L’Avenir sul Finestre: Torino diventa patria del ciclismo

11.07.2024
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La partenza del Giro d’Italia. La tappa del Tour de France. L’annuncio della grande partenza della Vuelta 2025 e nel mezzo, fra qualche settimana, la conclusione del Tour de l’Avenir (18-24 agosto). Il Piemonte e la Città Metropolitana di Torino, al pari dell’Emilia Romagna e dell’Abruzzo, hanno colto le potenzialità del ciclismo come veicolo promozionale per il territorio. E proprio in quest’ottica si inserisce l’approdo del Tour de l’Avenir, gara under 23 per uomini e per donne, che si correrà contemporaneamente per donne e per uomini: al mattino le prime, di pomeriggio l’arrivo dei ragazzi.

Il passaggio più curioso della vicenda è che l’approdo italiano è stato propiziato da Marco Selleri, uomo di Extra Giro che in passato ha organizzato il mondiale di Imola e ha tenuto in mano per anni il Giro d’Italia U23, prima che il celebre bando propiziasse il passaggio di tutti i Giri a RCS Sport.

«Ho sentito anche io che il Colle delle Finestre sia un possibile approdo futuro per il Tour de France – spiega Selleri – però magari ne sapremo di più a fine luglio quando andrò su per fare il punto finale e la presentazione delle tappe italiane, che ci sarà il 29 luglio a Torino. In ogni caso il contatto con i francesi c’è stato lo scorso settembre, quando Laurent Bezault e Philippe Colliou mi scrissero due righe dicendo che l’anno successivo, quindi quest’anno, avrebbero avuto delle difficoltà a chiudere l’Avenir in Francia a causa delle Olimpiadi. Tutte le forze di sicurezza sarebbero state dirottate su Parigi, in più ora ci sono state anche le elezioni…».

Il Tour de l’Avenir per come è illustrato ancora sommariamente sul sito ufficiale
Il Tour de l’Avenir per come è illustrato ancora sommariamente sul sito ufficiale
Che cosa gli hai risposto?

Di lasciarmi un po’ di tempo e avrei visto se potevo dargli una mano, visto che comunque in Italia qualcosa abbiamo fatto. L’occasione è stata una telefonata con Aldo Peinetti, giornalista dell’Eco del Chisone, che mi aveva presentato Chiatellino quando nel 2022 finimmo il Giro U23 a Pinerolo. Lui è un appassionato di ciclismo e mi ha chiamato dicendomi che avrebbero voluto promuovere il loro territorio a livello cicloturistico. Così con Marco Pavarini siamo andati a vedere la bellissima salita al Rifugio Barbara Lowrie che hanno appena asfaltato in zona Bobbio Pellice, con la strada che finisce appunto in un rifugio dove si potrebbe far arrivare una corsa. Ci siamo seduti per fare due chiacchiere e gli ho detto che se davvero volevano promuovere la zona, arrivavano a puntino, dato che avevo ricevuto una mail dagli organizzatori del Tour de l’Avenir.

Sono parsi interessati?

Molto, così ho messo in contatto Peinetti con Philippe Colliou, che è il direttore di Alpes Velo e organizza il Tour de l’Ain e altre corse. Da quel punto io ho fatto un passo indietro e sono andati avanti loro, fino a che hanno raggiunto l’accordo con la Città Metropolitana di Torino e qualche comune della Val Pellice. L’ho saputo quando mi ha scritto Peinetti dicendo che era fatta. E’ partito tutto così, finché siamo arrivati ai primi di maggio, quando Colliou mi ha riscritto dicendo che aveva bisogno di una mano per delle questioni tecniche in Italia.

Philippe Colliou è il direttore di Alpes Velo, società francese che organizza il Tour de l’Avenir, ma anche il Tour du Rwanda e il Tour de l’Ain
Philippe Colliou è il direttore di Alpes Velo, società francese che organizza il Tour de l’Avenir, ma anche il Tour du Rwanda e il Tour de l’Ain
Cioè?

La scelta dei percorsi è stata fatta dalla Città Metropolitana di Torino insieme a Peinetti. C’è la Val Pellice e poi c’è appunto il Colle delle Finestre, dove prepareranno il fondo sterrato come quando vinse Froome, quindi battendola molto bene. Io ho fatto la ricognizione il 3-4 giugno, quando sulla strada c’era ancora neve. Mi sembra che sia un po’ impegnativa, soprattutto per il Tour de l’Avenir delle ragazze, perché i percorsi sono identici. Non cambia una virgola, sia per la tappa che arriverà a Condove, sia per quella che partirà da Bobbio Pellice e arriverà al Colle delle Finestre. Si arriva in cima. Si premiano lassù i primi tre di tappa e poi ci si sposta a Usseaux, uno dei borghi più belli d’Italia, bello davvero come un confetto. Lì ci saranno le premiazioni protocollari dei vincitori dei due Tour.

A quali questioni tecniche si riferiva Colliou?

In Italia abbiamo le nostre leggi, di conseguenza è necessario anche l’intervento della Struttura tecnica nazionale. L’idea adesso è che l’incarico ufficiale di fare le cose in regola arrivi dal Consiglio federale del 20 luglio. L’Uci ha un articolo per cui l’organizzatore straniero dovrebbe chiedere alla Federazione ciclistica italiana l’autorizzazione per arrivare con due tappe in Italia. Quindi si sta cercando di fare in modo che queste ultime due tappe diventino come gare italiane, pagando le tasse federali, con i nostri direttori di corsa e l’assicurazione italiana. E questo è al vaglio del Consiglio federale del 20 luglio. Trattandosi dell’ultima tappa della Nations’ Cup, quindi una prova UCI che partecipa alle spese, spero non ci siano problemi.

Dopo l’arrivo finale sul Colle delle Finestre, le premiazioni del Tour de l’Avenir si svolgeranno a Usseaux
Dopo l’arrivo finale sul Colle delle Finestre, le premiazioni del Tour de l’Avenir si svolgeranno a Usseaux
Come mai Bezault e Colliou si sono rivolti a voi?

Perché sono stati entrambi con noi per 15 giorni durante i mondiali di Imola, dato che erano i referenti dell’UCI. E poi perché l’Italia interessa, ci sono anche altri organizzatori che provano a venire da noi

Quindi il prossimo passo è la presentazione di Torino?

Il 29 luglio a Torino ci saranno Philippe Couliot e Bernard Hinault, perché lui all’Avenir c’è sempre. Presenteranno le tappe italiane a Torino, dato che la Città Metropolitana di Torino è coinvolta in modo importante. Hanno capito qual è lo sport che genera economia e che genera visibilità in giro per il mondo. La Val Pellice ne avrà una bella promozione, perché è spettacolare. Vedrete che richiamo…

La gialla di Carapaz, progettata e raggiunta. Ecuador in festa

02.07.2024
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TORINO – Tutta l’America Latina in visibilio nel nome di Richard Carapaz. Il campione olimpico di Tokyo 2020 ha un rapporto speciale con Torino. E dopo averci sfrecciato in rosa il 21 maggio di due anni fa, ieri ha coronato il lungo inseguimento giallo, regalandosi una giornata storica non soltanto per l’Ecuador ma per l’intero Continente.

Dopo la maglia conquistata quasi per sbaglio da Tadej Pogacar a Bologna, ne arriva una cercata, voluta e sudata nel primo arrivo per ruote veloci nonché la tappa più lunga di questo Tour (230,8 km). Nell’arzigogolata classifica dopo le prime due tappe, erano ben quattro e a pari tempo i pretendenti al simbolo del primato. Oltre all’asso sloveno c’erano Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard e appunto Carapaz. Quest’ultimo, con la rabbia ancora in corpo per l’esclusione dai Giochi di Parigi 2024 da campione uscente, era per tanti il candidato numero uno a indossare la maglia tanto ambita. E così è andata con il quattordicesimo posto nella tappa vinta da Biniam Girmay.

«Richard, ma sei in maglia?», gli chiediamo pochi metri dopo lo sprint. Lui ribatte: «Credo di sì», ma al tempo stesso fa segno di aspettare e butta giù alcuni orsetti gommosi. Poi arriva l’ufficialità e comincia la festa. «Good job, guys» il messaggio di un euforico Carapaz al traguardo, dopo la conferma che la missione era compiuta e prima di abbracciare il campione portoghese Rui Costa, tutti i compagni che arrivano alla spicciolata, artefici dell’impresa corale.

Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla
Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla

Il piano giallo

A pilotarlo fuori dal traffico nel concitato finale, evitando la caduta ai – 2 km è stato Marijn Van der Berg (13°) che, mentre defatica sui rulli, rivive quegli istanti con noi: «Ho provato a tirargli la volata – dice – è stato qualcosa di nuovo trovarsi lì davanti con uomo di classifica alle tue spalle, ma è stato spettacolare e penso che Richard fosse super felice di quello che abbiamo come squadra».

Poi, racconta il piano maglia gialla: «Al mattino, prima della partenza da Piacenza, abbiamo cominciato a studiare come prenderla e abbiamo fatto di tutto perché diventasse realtà. Avere la maglia gialla è super speciale. Ovviamente, tutti sognano di conquistarla in prima persona, ma se la indossa un tuo compagno, la senti davvero vicino ed è qualcosa di pazzesco. Siamo stati uniti come squadra e ora speriamo di tenerla per un po’, anche se ci aspetta subito una giornata molto dura, ma ci proveremo».

L’irlandese Ben Healy gli fa eco: «Ce l’abbiamo fatta, siamo andati a tutto gas e ci siamo riusciti. Il mio lavoro è stato meno tattico e più di fatica perché è arrivato ben lontano dal traguardo, ma credo che faremo un po’ di festa ora. Sarà bello vedere Richard vestito di giallo».

Una festa di paese

Il diesse della EF Procycling Charly Wegelius racconta ancora: «Dopo la grande prestazione di Richie a Bologna, abbiamo guardato la classifica. Sapevamo che in caso di parità, si sarebbe guardata la somma dei piazzamenti. Valeva la pena lavorare per un obiettivo di questo calibro, ma sapevamo che in un arrivo così concitato allo sprint poteva succedere di tutto».

E a chi mormora che Pogacar volesse comunque cedere la maglia, ribatte: «Abbiamo fatto il nostro lavoro senza pensare a chi la voleva lasciare. Ora teniamo i piedi per terra e cercheremo di difenderla, ma sarà la strada a parlare».

I tifosi al motorhome fucsia attendono il loro beniamino e fanno un gran fracasso. «Eravamo a Verona quando ha trionfato al Giro 2019. Ora siamo qui per questa festa gialla che proseguiremo a Pinerolo, acclamandolo alla partenza della quarta tappa», racconta Osvaldo, originario di Ambato, ma oramai trapiantato a Torino, e a capo della curva ecuadoregna.

Attorno al bus della squadra americana si sono radunati tifosi provenienti anche da Panama, Costa Rica, Colombia tutti uniti nella festa della Locomotiva del Carchi. Accanto al costaricano Ricardo e alla panamense Argelia si fa largo Josè, ecuadoregno arrivato da Varese, che fa da capocoro col suo megafono e poi ci racconta. «Sono originario di Milagro – dice – ma oramai vivo qui ed è fantastico averlo visto raggiungere questa maglia storica. Ora speriamo che vinca il Tour».

Il sogno giallo

Il bus della squadra se ne va, non c’è nemmeno la troupe di Netflix a immortalare questo giorno storico perché oggi aveva la giornata libera. Però Johannes Mansson, video e social manager della squadra ci assicura che la nuova maglia gialla è in arrivo ed è pronto a filmare tutto. La strada viene riaperta e comincia a ripopolarsi di macchine, scendono le prime gocce di pioggia, ma ecco che alle 18,11 compare un puntino giallo in lontananza e si sente musica latina nell’aria.

I tifosi rimasti in via Filadelfia, proprio davanti allo Stadio Olimpico Grande Torino, vengono ricompensati dalla visione paradisiaca. Richard sorride a tanto affetto e ci concede qualche battuta: «Mi sto godendo questo momento unico. Ho sempre sognato di portare questa maglia, è davvero speciale e non potete capire quanto sono felice in questo momento».

Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra
Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra

Torino porta bene

Torino gli ha regalato un’altra giornata magica, da aggiungere al cassetto dei ricordi: «E’ una bella casualità. Passai proprio qui da leader del Giro nel 2022 e ora guardate, sono qui vestito di giallo».

E’ il primo sudamericano a indossare tutte le tre maglie dei Grandi Giri in carriera, lui sorride e replica: «Sono molto contento di questo». E chissà che non ci torni l’anno prossimo nel capoluogo piemontese che dice bene ai ciclisti dell’Ecuador. Lo aveva già dimostrato l’accoppiata tappa e maglia di Jhonathan Narvaez (preferito a Carapaz per l’imminente Olimpiade) nella prima tappa dello scorso Giro. Torino, infatti, ospiterà anche la grande partenza della Vuelta nell’agosto del 2025 come confermato ieri da più fronti istituzionali per un tris inedito.

Sul calore proveniente da ogni angolo del Centro e Sud America, commenta: «E’ qualcosa di splendido rappresentare insieme questi Paesi e vedere che il ciclismo sta crescendo anche lì. È una grande cosa e mi rende molto felice». La dedica? «E’ per la famiglia, perché soltanto loro sanno quanti sacrifici ho fatto e quanto tempo passo lontano da casa. I miei figli quando saranno grandi potranno rendersi conto di quello che ho fatto e sono questi gli sforzi che vale la pena fare». 

Johannes carica la bici sul tetto, le porte si chiudono, ma il tripudio latino-americano prosegue per le strade torinesi: «Carapaz-Carapaz-Carapaz». Un ritornello che travolgerà anche Pinerolo in un altro abbraccio giallo prima che la corsa lasci l’Italia.

Anche Gaviria rivede la luce. Prima il Tour, poi Parigi (su pista)

01.07.2024
4 min
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TORINO – Gaviria arriva che tutti i compagni sono già sul pullman. Sorride. Non sorride. Dice che è contento. Dice di no. Arrivare secondo per un velocista di razza è difficile da accettare. Anche se a ben vedere è da tanto che Fernando non alza le braccia. L’ultima volta fu a Duitama, prima corsa di stagione, nel Giro del suo Paese. Poi tanti piazzamenti nei dieci, con il quarto posto nella tappa di Roma del Giro come miglior risultato di primavera e il secondo di oggi a Torino alle spalle di Biniam Girmay.

«Non è vero che è mancato poco – dice – non abbiamo dimostrato nulla. Se avessi avuto le gambe migliori, avrei vinto. Però ci abbiamo provato. La squadra ha fatto un lavoro molto buono, è un peccato non aver ottenuto la vittoria».

Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero
Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero

Scalatori contro giganti

Max Sciandri passa per un saluto. Stasera il toscano tornerà a casa e scherzando dice di aver avviato la squadra sulla strada giusta. Intanto attorno al corridore del Movistar Team arrivato secondo si concentrano anche le telecamere colombiane. Lui tiene gli occhiali e il casco giallo perché la Movistar è in testa alla classifica. Parla calmo e continua a spiegare.

«Sono soddisfatto di quello che abbiamo fatto – dice – la squadra mi ha aiutato molto. Vedere compagni come Nelson Oliveira e Alex Aranburu davanti a me, che mi sostenevano e mi stavano accanto, è stato importante. Perché alla fine qui ci sono corridori di 90 chili che ti toccano e scalatori che ne pesano 50, quindi il lavoro che hanno fatto per me è da ammirare. Eravamo così concentrati che nemmeno mi sono reso conto della caduta. Oggi volevo fare bene. Ho sentito che era successo qualcosa. Ho sentito che parlavano alla radio, ma ero in un altro mondo».

Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon
Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon

Tra il dire e il fare…

Questa prima tappa, che si pensava sarebbe stata il terreno del primo assalto di Cavendish si è trasformata nel ritorno di Girmay, che a sua volta non vinceva dalla fine di gennaio. Non è più il Tour di una volta che nelle prime settimane proponeva volate su volate. Dopo le prime due tappe piene di dislivello, domani il Galibier sarà un alto ostacolo da scavalcare per poter puntare ad altre volate successive.

«Speriamo di vincerne una – risponde laconico – non so se lo sapete, ma noi corridori vinciamo tante tappe in anticipo e poi alla fine dobbiamo fare i conti con la realtà. Difficile dire se oggi io abbia capito di poter vincere. E’ difficile, perché ogni giorno lo sprint è diverso. Oggi puoi finire secondo, la prossima volta magari avrai le gambe migliori e ugualmente finisci ventesimo. E’ molto difficile sapere come andrà a finire ogni tappa, ma alla fine cercherò di fare ogni giorno del mio meglio».

L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium
L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium

Da Nizza a Parigi

La sua strada porta a Nizza attraverso le montagne e le volate. Poi però da Nizza porterà a Parigi. Nonostante le polemiche, Gaviria correrà infatti le Olimpiadi dell’omnium in pista, tornando a sfidare Viviani davanti cui si inchinò nel 2016 a Rio.

«Però adesso la priorità è il Tour de France – dice – come per tutti i corridori. E’ una delle corse più importanti del mondo ed è una priorità. Più tardi penseremo ai Giochi Olimpici. Forse la preparazione che ho fatto è più adatta a quell’obiettivo, ma in questo momento sono concentrato sul Tour, cercando di fare il meglio che posso. Quando mi hanno detto che sarei andato a Parigi, le sensazioni sono state molto buone.

«Alla fine dello scorso anno ero tornato ad allenarmi in pista e ho fatto il campionato Panamericano. Quest’anno ho ricominciato ad allenarmi in velodromo e nell’ultimo mese ho fatto ancora di più. Quindi mi sento abbastanza bene e motivato da questi nuovi obiettivi che ci siamo prefissati, sia con la squadra che con il Comitato Olimpico. Hanno preso questa decisione e sono contento di rappresentare nuovamente il Paese ai Giochi Olimpici. Perciò innanzitutto speriamo di non superare il tempo massimo di domani sul Galibier. E poi avremo il tempo per pensare a cosa verrà dopo…».

Primo eritreo al Tour. Girmay colpo storico a Torino

01.07.2024
5 min
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TORINO – «Bi-ni, Bi-ni, Bi-ni». Corso Galileo Ferraris si trasforma nella Curva Maratona dello Stadio del Toro che è proprio qui a fianco. E’ una bolgia quella degli eritrei che, incredibilmente, spuntano all’improvviso ovunque si corra. Dal Sud della Spagna al Nord del Belgio. Dall’Italia alla Francia. Loro ci sono sempre e sono anche felicemente rumorosi.

La terza tappa di questo Tour de France va a Biniam Girmay e ci va anche con margine. Il corridore della Intermarché-Wanty è autore di uno sprint di personalità. Preso in testa con la squadra, dominato e senza nessuno che sia stato in grado di affiancarlo nel lungo rettilineo finale.

Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali
Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali

Sprint perfetto

E’ festa grande. I giornalisti, i fotografi, i compagni… tutti lo assalgono. Le Cube sono appoggiate ad una transenna, mentre i corridori si abbracciano. Girmay si mette la faccia tra le mani. Quasi non ci crede dopo l’anno (e mezzo) difficile che ha passato. Di fatto era dalla tappa del Giro, finita con il tappo di spumante nell’occhio, che Bini non andava tanto forte.

Okay il recente titolo nazionale, ma qualche certezza iniziava a schricciolare. Sono bastati 300 metri fatti alla grande per cancellare tutto.

«E’ stato uno sprint molto duro, fisico – racconta Girmay – i miei compagni hanno aiutato moltissimo. Ma lo hanno fatto anche nei primi due giorni. Hanno cercato di mettermi nelle migliori condizioni possibili.

«E’ stato uno sprint nervoso. Negli ultimi chilometri avevo perso i mei compagni e ho dovuto fare uno sprint per riprenderli e ritrovarli. Poi siamo stati uniti. Mi hanno portato fuori benissimo (all’ingresso del rettilineo finale erano in tre, ndr). Devo ringraziarli tantissimo.

«Sapevo che sul lato sinistro c’era più vento e quindi mi sono tenuto sul lato opposto, molto stretto alle transenne. E lì ho passato Mads Pedersen».

Un africano a Torino

A Torino si è fatta la storia? Quando Girmay iniziò a seguire il ciclismo i vincenti erano Sagan e Cavendish. In Eritrea si corre o si gioca a pallone. Il ciclismo però rispetto a molti altri Stati limitrofi la bici ha un certo peso specifico. 

«Un africano nero che vince una tappa al Tour è incredibile – dice Girmay – Abbiamo il ciclismo nel sangue. Ciò che è che è successo oggi è formidabile. Questa vittoria è importante per me e per il mio continente. Gli africani conoscono il Tour. Per il ciclismo eritreo è un grande momento.

«Mio padre guardava il Tour dopo pranzo e mi sedevo con lui. Mi diceva che il ciclismo era uno sport difficilissimo. Era il 2011. Poi vennero Merhawi Kudus e Daniel Teklehaimanot. La svolta vera c’è stata quando proprio Teklehaimanot è salito sul podio del Tour e ha vestito la maglia a pois. Questo mi ha dato una grande spinta. Ma c’erano ancora grandi ostacoli per arrivare sin qui. In Africa bisogna fare molte corse locali e non c’è tanto spazio per mostrare il nostro potenziale. Arrivi in Europa a 22-23 anni e ti ritrovi in un altro mondo. Ma adesso penso ai tanti nostri giovani e voglio dirgli che tutto è possibile».

La cabala del bus

Ma l’emozione è anche quella del team manager Jean-François Bourlart. E’ grande e grosso, un tipico “omone del Nord”, eppure si commuove quando inizia a raccontare.

«Per noi è incredibile – dice Bourlart – una piccola squadra che riesce a vincere qui: il sogno si è avverato. Bini ha vinto al Giro e ora anche al Tour. E’ qualcosa d’incredibile. Questa è una vittoria per tutta la squadra. Tutta.

«Si sapeva che era forte, che era sempre là e che poteva fare bene. Ma in questo periodo difficile ha anche ricevuto messaggi poco belli. E’ stato attaccato. Tutti pensavano che la sua vittoria alla Gent-Wevelgem era stato un colpo di fortuna. Sappiamo tutti che ha talento, ma anche che non è facile per un ragazzo così giovane vincere gare importanti. E’ stato un periodo duro per lui, per la sua famiglia. 

Tra l’altro in questo Tour si sta diffondendo la cabala del bus rotto. A quanto pare se il grande mezzo va ko il leader vince. E’ stato così per la maglia gialla di Bardet ed è stato così per la Intermarché-Wanty di Girmay, che a Torino aveva per supporto un piccolo camper.

«E’ la vittoria della passione – va avanti Bourlart – al Giro d’Italia era caduto. Le cose non vanno sempre bene. Abbiamo portato la miglior squadra possibile per sostenerlo per gli sprint: Gerben Thijssen, Mike Teunissen, Laurenz Rex. Gli ho detto di mettersi alla ruota di Gerben. E oggi tutto ha funzionato bene… Ora vado ad abbracciare Biniam».

La passione, la fatica, i dubbi e la iella nel lungo viaggio di Felline

11.05.2024
7 min
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Il progetto Giro d’Italia di Felline è durato quanto quello di Ciccone. Quando a causa della nota cisti e il relativo intervento ai primi di febbraio l’abruzzese ha dovuto rinunciare al grande obiettivo, la Lidl-Trek ha rimodulato la squadra e del gruppo costruito attorno a Giulio è rimasto ben poco. Il piemontese ha avuto tutto il tempo per farsene una ragione: l’annuncio è arrivato il 14 marzo e da allora il suo calendario è stato riscritto.

Fabio non è mai stato un corridore banale e probabilmente vale più di quanto sia riuscito a ottenere, che è comunque tanto. In questi giorni è al Giro d’Ungheria e la vittoria di Nys nella tappa di ieri vedrà probabilmente la squadra in difesa della maglia di leader. Perché Felline alla Lidl-Trek c’è arrivato per lavorare, mettendo in un angolo le velleità personali.

Il Giro da fuori

Quando la squadra americana si è ritrovata con i bimbi del Motovelodromo della sua città, Fabio si è fermato dietro le quinte della manifestazione che aveva contribuito a organizzare. Chi c’era lo ha visto un po’ malinconico, come è facile intuire se il Giro d’Italia parte da casa tua e tu non ne fai parte.

«Dispiace – dice – certo che dispiace, ma non ho problemi a riconoscere un limite fisico. L’anno scorso il Giro d’Italia dovevo farlo, ma non andavo, era un periodo no, quindi alla fine sono stato anche contento di saltarlo. Diciamo però che quando la scelta non si basa su un discorso di watt o di forza, ma su ragionamenti tattici che non dipendono dal corridore, bisogna accettarli in maniera professionale. E’ stata una scelta, semmai ora potrei sperare di entrare nella rosa della Vuelta. Ma la mia non era la delusione di uno che è stato fatto fuori, sapevo da tempo che avrei cambiato programmi. Tutte le gare che ho fatto da marzo a oggi non erano finalizzate al Giro. L’idea del Motovelodromo è nata quando ero ancora nel gruppo del Giro. Ho dato il mio contributo, ma era un progetto talmente nobile, importante e bello che era giusto farlo a prescindere dalla mia presenza».

Le gare di primavera di Felline sono cambiate quando è sparito l’obiettivo Giro
Le gare di primavera di Felline sono cambiate quando è sparito l’obiettivo Giro
Come sta andando il ritorno in Lidl-Trek?

Mi trovo da Dio, qui mi sono sempre sentito a casa. E’ stata la mia prima grande squadra, poi sono andato in Astana, ma sul piano affettivo non è scattata la scintilla. Ci siamo lasciati bene, solo che dopo i primi due anni la squadra ha cambiato pelle e obiettivi. Sono spariti uno ad uno i leader per il Giri e io mi sono ritrovato senza riferimenti che prima valorizzavano il mio lavoro. Sono arrivato che c’erano Vlasov e Fuglsang, poi è venuto Nibali e mi sono trovato benissimo, poi la squadra ha cambiato obiettivi.

Cosa prevede ora il tuo programma?

Avevo valutato se staccare, anche perché non rientro nel gruppo del Tour. Però abbiamo deciso di tenere duro fino all’italiano, facendo Norvegia e Belgio. Questo vuol dire che correrò fino a giugno e poi il vero stacco lo farò dopo i tricolori.

Coppa Bernocchi 2023, Felline ha già firmato con la Lidl-Trek: aiuterà Giulio Ciccone al Giro…
Coppa Bernocchi 2023, Felline ha già firmato con la Lidl-Trek: aiuterà Giulio Ciccone al Giro…
In Ungheria si lavora per qualcuno in particolare?

Onestamente siamo partiti abbastanza liberi. L’altro giorno abbiamo provato a fare la volata e siamo arrivati quarti con Vacek. Io le volate di gruppo non le faccio più, per cui mi sono spostato all’ultimo chilometro e mezzo dopo aver tenuto davanti i miei compagni. Ieri c’era un arrivo in salita in cui ero libero di tenere duro. Ha vinto Nys, che aveva già vinto al Romandia. Il nostro obiettivo qui non era fare la classifica, vediamo adesso cosa cambierà.

Dopo 14 anni da professionista, ti sei dato un termine o si va avanti?

L’anno scorso, onestamente, ho pensato di smettere. Ho saputo a luglio che sarei venuto alla Lidl-Trek e ho rivisto la luce, ma prima ero abbastanza giù. Ho fatto 15 anni di professionismo e penso anche di aver fatto grandi cose. Magari non tutto quello che la gente si aspettava e questo l’ho sempre sofferto. Il fatto è che mi hanno sempre additato per quello che non ho fatto, piuttosto che applaudito per quello che sono riuscito a fare. Ho vinto 14 corse. Ho fatto 9 volte podio nelle tappe dei Grandi Giri, ma nessuno lo sa. Quando sono passato si aspettavano che vincessi il mondiale, la Liegi, questo e quest’altro. Non so se non ci sono riuscito perché non avevo abbastanza qualità, ma non sono uno che si piange addosso. Non sono uno che si sfoga sui social, sbandierando le sventure passate. Eppure, quando mi fermo a raccontare la mia vita d’atleta e metto in fila tutti gli infortuni e le coincidenze sfortunate, è veramente una barzelletta.

Felline passò pro’ nel 2010 a vent’anni e debuttò subito al Tour
Felline passò pro’ nel 2010 a vent’anni e debuttò subito al Tour
Qual è stato il momento in cui hai scelto di diventare un gregario?

Quando all’Astana ho capito che davo più garanzie aiutando un capitano, che cercando il risultato per me. In più c’è stato un ricambio generazionale ed è oggettivo che ci sono dei giovani che vanno fortissimo e che hanno cambiato il ciclismo. Forse il mio più grosso rammarico è stato aver perso i primi 7-8 anni in cui ero più rampante e forse avrei avuto la possibilità di svoltare.

Sei passato a vent’anni e sei subito andato al Tour: super giovane anche tu?

Non lo so, ma so che l’anno dopo la squadra è fallita e io ho avuto paura di andare nuovamente in una grande squadra. Sarei potuto andare alla Liquigas, ma pensai di non avere la solidità necessaria e andai all’Androni. A Savio devo un grazie grande così, ma se non avessi avuto quel blocco psicologico, magari la mia crescita sarebbe iniziata a 22 anni e non a 25 quando sono arrivato alla Trek. Quindi per tornare alla domanda di partenza…

Ti sei dato una scadenza?

So che la squadra è contenta, io sono stato chiaro sulle mie intenzioni. Ho detto che il mio lavoro penso di poterlo fare ancora un paio d’anni: mi piacerebbe e spero di rientrare ancora nei loro progetti. Non voglio diventare un corridore che si trascina o che la gente guarda chiedendosi perché non abbia ancora smesso. Mi piacerebbe uscire dal ciclismo a testa alta, dicendo che fino all’ultimo sono stato utile a qualcosa. In questo momento però non ho nulla di certo in nessun senso, magari se ci risentiamo fra un mese avrò le idee più chiare…

Al Tour of the Alps, per Felline un buon 6° posto nella tappa gelata di Stans
Al Tour of the Alps, per Felline un buon 6° posto nella tappa gelata di Stans
E’ frustrante lavorare se poi alla fine non si vince?

No, perché so che vincere è durissimo. Per cui non ce l’hai con chi non vince, mentre è frustrante per quelli che ti valutano. Il valore di un atleta e quello che può fare dovrebbe essere riferito alla tipologia di squadra. Chiaro che il rendimento atletico tu debba garantirlo, ma se sei sempre dove serve e aiuti bene la squadra, allora hai fatto la tua parte. Sono contento di come sto andando. E alla fine sarò soddisfatto se potrò continuare a fare il mio lavoro come lo sto facendo ora.

Dopo così tanti anni, quanto c’è ancora di passione?

Ti rendi conto che a volte odi il ciclismo, se si può dire così. Succede quando fai tanta fatica e non viene ripagata dalle soddisfazioni. Poi però, appena ritrovi il filo conduttore, la passione ritorna. Sfido chiunque ad avere passione se semina, semina e semina ancora e alla fine non nasce nulla. Dopo un po’ diventa dura, in qualsiasi ambito lavori. Sono fasi che vengono e vanno via. Adesso quello che sto facendo mi piace davvero molto…

Tutte le bici del Giro? Eccole qui (e qualche chicca)

05.05.2024
10 min
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Il Giro d’Italia è anche quello della tecnica, dei dettagli e ovviamente delle biciclette in tutti i loro colori e particolarità.

Vogliamo lasciare spazio (senza entrare eccessivamente nel dettaglio) alle immagini che rappresentano le biciclette delle 22 squadre al via del Giro 2024.

La Van Rysel della Decathlon-AG2R

Sicuramente una delle bici più osservate è la Van Rysel RCR Team, già molto vincente in questi primi 5 mesi dell’anno. La trasmissione è Shimano Dura Ace nella sua completezza, selle Fizik e manubrio full carbon integrato Deda (ma su specifiche Van Rysel), tubeless Continental e pedali Look. L’unica bici ad avere le ruote SwissSide.

Una nuova Aurum per il Team Polti?

Di sicuro colpisce la colorazione diversa e differenziata per ogni bici di ogni corridore. Il reggisella aero e specifico ci porta a pensare che sia la nuova versione della Magma. Trasmissione Sram Red nella sua completezza e pedali Look. Selle Prologo e componentisitica Enve, con le ruote gommate Vittoria.

Arkea-B&B con le Bianchi

Specialissima e Oltre RC. Le prime hanno un comparto manubrio integrato, ma che tende al tradizionale, le Oltre RC hanno l’integrato con il caratteristiche stem sdoppiato. La trasmissione è Shimano Dura Ace senza variazioni, mentre le ruote sono Vision gommate Vittoria. Le selle sono di Selle Italia. I pedali sono Shimano.

Le BMC del Team Tudor

Tutti i corridori hanno in dotazione la Teammachine R, nessuno (e non si è vista neppure sulle ammiraglie) si è presentato con la Teammachine SLR. Selle Italia, tubeless Schwalbe su ruote DT Swiss ARC1100 Dicut. La trasmissione Sram Red e si è visto anche il nuovo Red AXS (sulla bici di Trentin). Per i pedali le preferenze vanno tra i Time e Wahoo.

SuperSix Evo Lab71 per la EF-Easy Post

La versione è la top di gamma Lab71, con selle Prologo e manubrio full carbon integrato Vision. Quest’ultima firma anche le ruote, l’ultima versione delle SL (45 e 60), gommate Vittoria tubeless. La trasmissione è Shimano Dura Ace, ma con la guarnitura FSA che integra il power meter PowerBox. I pedali sono Wahoo.

Le Canyon di Movistar e Alpecin

Tutti i corridori di entrambi i team si sono presentati al via con le Aeroad CFR (qualche Ultimate CFR posizionata sulle ammiraglie). Per la compagine iberica l’allestimento si basa sul portfolio Sram, con ruote Zipp e pedali Time (che hanno sostituito Look), selle Fizik e gomme Continental. Per le Canyon del team belga il pacchetto Shimano è completo (trasmissioni, ruote e pedali), con le selle di Selle Italia ed i tubeless Vittoria.

Le Cervélo del Team Visma

Tutti gli atleti del team olandese hanno preso il via con le Cervélo S5 (le R5 erano posizionate sulle ammiraglie) e nessuno ha montato la corona singola anteriore. Trasmissione Sram Red AXS e ruote Reverse (molti corridori hanno optato per i profili differenziati tra anteriore e posteriore). Tubeless Vittoria e selle Fizik, mentre i pedali sono Wahoo.

La V4Rs di Colnago per Pogacar

Il modello è unico per tutte le competizioni e per tutti i corridori. Le veriabili sono rappresentate dai profili delle ruote Enve e dal fatto che i corridori possono scegliere se montare le corone Shimano o Carbon-Ti (sulle trasmissioni Dura-Ace). I manubri sono Enve e le selle Prologo, mentre i tubeless sono Continental. I dischi dei freni sono Carbon-Ti.

Cube in due versioni per l’Intermarché

Sono le Litening Aero, usata ad esempio da Girmay (già vittorioso al Giro) e la più leggera e sfinata Litening Air, usata da Colleoni. Tutte hanno il manubrio integrato e specifico, selle Prologo e le trasmissioni Dura-Ace complete (non c’è più la guarnitura con power meter Rotor). Le ruote sono NewMen con i raggi in carbonio e i tubeless Continental. I pedali sono Look.

De Rosa per il VF Group

Tutti i corridori sono equipaggiati con le De Rosa 70 ed è l’unica formazione con il pacchetto completo Campagnolo (trasmissione e ruote). Manubrio integrato Vision e selle di Selle SMP. I pedali sono i Favero con il power meter e le gomme Vittoria.

Bici nuova e ruote nuove
Bici nuova e ruote nuove

Factor Ostro VAM per Israel

Un modello nuovo che si è messo in bella mostra con diverse vittorie e piazzamenti di rilievo. Le Factor sono equipaggiate con le trasmissioni Dura Ace, ma con le guarniture/power meter FSA PowerBox. Selle Italia e ruote Black Inc. gommate Continental, mentre i pedali sono Shimano.

Jayco tra Propel e la nuova TCR

Due i modelli Giant in dotazione agli atleti del team Australiano, ovvero la Propel e la nuova TCR. Trasmissione e pedali Shimano a parte, tutto il pacchetto si basa su Cadex che firma ruote, manubri e selle. I tubeless sono Vittoria.

Look 795 Blade RS per Cofidis
Look 795 Blade RS per Cofidis

Il Team Cofidis su bici francesi

Sono le nuove Look 795 Blade RS con le ruote Corima, con il particolare della gommatura Michelin. Anche il comparto manubrio è Look. La trasmissione è Shimano con alcune variabili rappresentate dal power meter SRM. Pedali Look (ovviamente) e selle di Selle Italia.

Una nuova Merida per Caruso?

Tutta nera la Merida Scultura di Damiano Caruso alla partenza di questo Giro, con delle ruote evidentemente Vision, ma senza scritte e adesivi. Selle Prologo e manubrio integrato Vision. Trasmissione Shimano (anche i pedali) e tubeless Continental. In generale tutto il Team Bahrain-Victorious si divide tra la Scultura e la aero Reacto.

Il Giro delle Dogma F

Una Pinarello Dogma F che rispetto alla scorsa stagione è cambiata leggermente nella livrea cromatica. C’è il manubrio integrato tutto in carbonio ed il pacchetto completo Shimano (ruote, trasmissione e pedali). I tubeless sono Continental. Ci sono le selle Prologo.

Scott Foil RC per tutti, scalatori e non
Scott Foil RC per tutti, scalatori e non

Foil per il Team DSM Firmenich

Tutte bici di concezione aero per tutti i corridori, Bardet incluso ed è una delle poche formazioni ad usare le ruote da 36 millimetri. Il pacchetto Shimano è completo, con i tubeless Vittoria. Le selle invece sono Scott.

SL8 per Bora e Soudal-Quick Step

Il pacchetto telaio è l’S-Works SL8 ed è in comune ai due team. Cambia l’allestimento ad eccezione delle ruote e delle selle, sempre del portfolio Roval, S-Works (inclusi i copertoncini con camera d’aria). Da una parte abbiamo le trasmissioni Sram (per i Bora e spunta anche qualche Red nuovo), mentre per i Soudal Quick-Step c’è Shimano.

Lidl-Trek con le Madone, tranne Lopez

Tutti con le Trek Madone, tutte con sram, ruote e selle Bontrager, pedali Time e gomme Pirelli. L’unica eccezione è rappresentata dal piccolo e leggero Lopez che è partito, (come sua abitudine) con la Emonda.

Due volte Wilier

FDJ-Groupama e Team Astana-Qazaqstan. La compagine francese ha in dotazione solo il modello Filante SLR con tutti i componenti Shimano. Le selle sono Prologo ed i tubeless Continental. Il team del Campione Italiano, Simone Velasco, invece si divide tra la Filante SLR e la Zero, tutte con manubrio integrato Wilier e selle Prologo, ruote Vision e tubeless Vittoria. La trasmissione ed i pedali sono Shimano.

Narvaez in rosa. Pogacar ha capito che non sarà una passeggiata

04.05.2024
5 min
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TORINO – Tadej Pogacar non ha vinto. E questa è già una notizia, se non altro per come la sua UAE Emirates ha impostato la corsa. Nel clan dello sloveno assolutamente non ci sono musi lunghi, però quel pizzico di amarezza aleggia. E ci sta. Jhonatan Narvaez è stato più veloce in volata e scaltro a sfruttare scia e lavoro dello sloveno.

I compagni di Pogacar hanno lavorato sodo per tutta la tappa e perdere per un soffio non fa piacere, tanto più che sul piatto c’era anche la maglia rosa. Segno che non è stato (e non sarà) tutto così facile come ci si poteva attendere da parte di tutti. Tifosi, media, team, atleti.

Il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito. Narvaez, che s’intravede dietro di lui, resiste e poi vince in volata
Il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito. Narvaez, che s’intravede dietro di lui, resiste e poi vince in volata

Un solo gregario

Di bello è che Pogacar e la UAE Emirates hanno fatto divertire. Hanno corso a carte scoperte sin da subito, all’attacco già dalla prima frazione.

«Se sarà tutti i giorni così? Speriamo – ha detto a caldo il Ceo della UAE, Gianetti quando ancora Pogacar doveva sfilare tra i fotografi e i giornalisti dietro il traguardo – Siamo stati davanti, peccato che non abbiamo vinto. Ma il Giro d’Italia è lungo».

Il Giro è lungo. Tadej sta bene perché comunque è arrivato davanti e ha già messo un piccolo gap tra se e gli altri uomini di classifica, però è innegabile che qualcosa non abbia funzionato. Di fatto è rimasto con un solo uomo, Rafal Majka, un po’ troppo presto. E da quel momento ha avuto di fatto l’intero gruppo contro più che mai. Se non è un campanello d’allarme poco ci manca.

Mentre Pogacar, dapprima silenzioso e serio e poi un po’ più sciolto fa defaticamento sui rulli, intercettiamo Fabio Baldato, il direttore sportivo che lo ha guidato in ammiraglia.

Fabio, subito spettacolo…

Sì, spettacolo… l’idea era di correre aggressivi. Il tracciato era tecnico, le discese insidiose e rischiose. Volevamo appunto fare corsa dura per stare davanti, ridurre il “traffico” e appunto evitare rischi e pericoli. E facendo corsa dura sono rimasti in pochi presto.

Corsa dura, ma non si è potuto fare a meno di notare che siete rimasti con un solo uomo, Majka. C’è qualche dinamica che non ha funzionato?

Un paio di ragazzi hanno reso un po’ meno del previsto. Non sono stati all’altezza di quel che ci aspettavamo ma non ne facciamo un dramma. Siamo al primo giorno di corsa e può succedere. In più era una tappa di 140 chilometri, quindi breve, e gente come Novak e Grosschartner hanno fatto un po’ più di fatica. Forse qualcosa è andato storto, ma davvero nulla di particolare.

In molti hanno pagato in effetti…

Tappa corta, esplosiva che qualcuno ha digerito bene e qualcun altro ha pagato. Ma non credo sia oggi che si capiscano i reali valori del Giro. Si può andare a vedere chi è stato più in difficoltà di altri, quello sì. Ma un primo giorno così esplosivo poteva riservare qualche sorpresa. Tanto più dopo tre giorni tra prove, interviste, presentazioni… 

C’era incertezza?

E’ facile trovarsi imballati e con le gambe non a posto. E’ successo ad un paio dei miei, ma anche ad altri. Adesso aggiusteremo il tiro e sono convinto che tra qualche giorno ognuno troverà il suo posto.

La sensazione è che Pogacar sullo strappo fosse il più forte, nonostante Narvaez lo abbia tenuto. Lo sloveno sembrava in pieno controllo, come se avesse avuto l’input di non esagerare con i fuorigiri. E’ così?

Sarebbe stato bello vincere la tappa, ma non era comunque qui che si sarebbe vinto il Giro. Adesso ci devo parlare e vediamo cosa dice. Tadej era lì e questo è l’importante. Gli altri hanno corso sulla sua ruota e su di noi.

Ecco: “Hanno corso su di noi”. Sarà questo il leitmotiv di questo Giro?

Sicuramente. E noi dovremmo essere bravi a non perdere il controllo, la pazienza, la lucidità. Questa tappa ci servirà da monito che non bisogna abbassare la guardia e non si deve sottovalutare nessuno.

Fabio, hai detto che ci devi parlare. Nel ciclismo dei numeri il dialogo resta importante dunque?

Certo, almeno per capire le sue sensazioni e cosa si può fare meglio. E’ il primo giorno di gara, ne abbiamo altri venti davanti ed è importante trovare la giusta armonia.

La UAE Emirates ha preso in mano la tappa, ma nel finale aveva un solo uomo vicino a Pogacar
La UAE Emirates ha preso in mano la tappa, ma nel finale aveva un solo uomo vicino a Pogacar

Fare meglio

Intanto il bus inizia a richiudere i battenti. Anche Molano, l’ultimo della UAE Emirates, al traguardo ha finito di fare il defaticamento sui rulli, come per primo aveva fatto Pogacar.

Si parla di crampi: in tanti ne hanno avuti. Oggi a Torino non era caldo, ma neanche così fresco. All’ombra serviva in giacchino, ma al sole i raggi picchiavano. E in questi casi l’umidità è forte. Questo meteo variabile ha messo in crisi più di qualcuno sul fronte dell’idratazione. 

La UAE Emirates ci dicono è solita fare il debriefing sul bus mentre si ritorna in hotel. «Adesso – dice Matxin – dovremmo parlare. Non è andata male, volevamo correre così, ma sicuramente c’è qualcosa da mettere a punto». 

Quinto a Torino, ma Conci comincia col piede giusto

04.05.2024
5 min
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TORINO – Quando si è voltato a pochi metri dallo scollinamento di San Vito, Nicola Conci ha avuto la percezione del sogno che finiva. Quella sagoma bianca non lasciava spazio a dubbi, ma non ha cancellato la bellezza della sua azione. Il trentino ha attaccato, come pure Caruso e l’indomito Pellizzari. E per la prima volta da qualche anno ha sentito che tutto funziona come deve. La gamba spinge, il cuore la sostiene: a queste condizioni sognare non è più vietato.

Quella sagoma bianca

Prima tappa del Giro d’Italia, la sconfitta di Pogacar fa sembrare tutto più grande di quanto sia davvero. La UAE Emirates ha frantumato il gruppo e alla fine è lì a masticare sul terzo posto di Tadej. Lo sloveno non ce l’ha fatta a stare fermo e ha subito l’astuzia e la freddezza di Narvaez, ma quando ha preso e saltato Conci, la sensazione era che avrebbe fatto di tutti un sol boccone.

«E’ stata come ci si aspettava – dice Conci – una corsa dura nella seconda parte, soprattutto nel momento in cui la fuga cominciava ad avere un vantaggio discreto, considerata la lunghezza della tappa. Ho visto due ragazzi che si muovevano, uno era Honoré e l’altro Echachmann. Sono dei pedalatori, mi sono inserito ed è nata una bella azione. Stavo molto bene. Ho visto il momento in cui c’era un piccolo gap dietro di me. Ho accelerato un attimo e sono riuscito a prendere vantaggio. Fino a metà della salita finale ci ho creduto abbastanza, non nascondo che un pochino il sogno l’ho cullato.

«Poi mi sono girato. Ho visto una sagoma bianca con i colori della Slovenia e ho capito. Certo un po’ di rammarico c’è, perché sono esploso negli ultimi cento di metri di salita. Se non avessi fatto un fuorigiri così, magari sarei riuscito a rimanere con i primi tre. Anche se dubito che poi avrei avuto le gambe per fare una buona volata…».

Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe
Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe

Lo avevamo sentito ad aprile, deluso per non aver corso le Ardenne eppure motivato per arrivare bene al Giro. Vedendolo inquadrato durante la fuga, nel box dei giornalisti all’arrivo si ragionava su quanto sembrasse predestinato da junior e i mille intoppi degli ultimi anni. Finalmente però si comincia a vedere un bel Conci al Giro d’Italia…

Era ora?

Non nascondo che il Giro sia una corsa a cui tengo fin da bambino. L’ho detto più volte: i primi quattro anni da professionista sono stati difficili. Il quinto è stato travagliato con la storia della Gazprom e l’anno scorso non nascondo di aver preso una batosta a livello morale non indifferente, dovendomi ritirare dopo solo sei tappe. Quindi quest’anno ho mantenuto la calma, ho avuto qualche malanno di influenza. Sono caduto ai Baschi, quindi non sono riuscito a esprimermi al meglio, ma negli ultimi dieci giorni ho cominciato a stare veramente molto bene.

Quel che serve per arrivare giusti alla partenza?

Sapevo di aver lavorato bene, quindi arrivo a questo Giro fiducioso di poter far bene e con la voglia di godermelo fino in fondo. Non lo nascondo, ma uno dei miei primi obiettivi è quello di arrivare a Roma e godermi queste tre settimane. Finire un grande Giro sembra scontato, una volta che si è professionisti, ma è comunque un sogno. Nel momento in cui si arriva al traguardo finale ci si rende conto di aver fatto qualcosa di grande. Quindi ho la condizione, cercherò di far bene in diverse tappe, ma uno dei miei obiettivi rimane quello di vedere il Colosseo.

L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
Eri partito per andare in fuga?

Sì. Ieri ho fatto un paio di lavoretti cosiddetti opener, azioni ad alti giri, e in certi momenti mi domandavo se il power meter funzionasse, perché veramente stavo bene. Oggi ero anche molto nervoso e un po’ lo sentivo nelle gambe. Poi ho visto il momento, stavo bene, ho capito che era un buon momento e sono andato. E alla fine è venuta fuori una bella prestazione.

Com’è la sensazione di quando si vede arrivare Pogacar? Probabilmente nelle prossime tre settimane la vivranno in tanti…

Sinceramente non è che fossi tanto sorpreso. Ho sentito che avevo 20 secondi sul gruppetto e 25 dal gruppo dietro. Fino a poco prima della salita avevamo un gap maggiore rispetto al grosso, quindi ho immaginato che avessero aperto il gas. Se c’era un corridore che mi aspettavo di vedere per primo era lui e così è stato.

E’ parso che per un po’ abbiate discusso in fuga…

C’era la sensazione che si andasse via con il freno non tirato, ma non al massimo. Ognuno sapeva che anche se fossimo arrivati insieme e ci fossimo giocati la tappa, avremmo dovuto combattere tra noi sulla salita, quindi ognuno giustamente ha cercato di risparmiarsi. Restano la bella sensazione e l’orgoglio di aver fatto una mossa intelligente.

Quindi è stata un’azione voluta?

Sinceramente era già qualche minuto che acceleravo, poi frenavo. Acceleravo e frenavo, perché alla fine tutti giustamente guardavano Tadej e lui ormai aveva solamente Maika a tirare. Sapevo che se ci fossero stati degli attacchi, alla fine sarebbe toccato a Rafal tirare contro gli elementi della fuga. E di conseguenza sapevo che c’era la possibilità di andare lontano. E così ci ho provato. Io e anche altri…

E Verre? All’inizio sarà tosta, ma sulle grandi salite…

03.05.2024
5 min
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TORINO – Dopo la serataccia di ieri sera, con la pioggia e il freddo che hanno investito la presentazione dei team, oggi splende il sole. Alessandro Verre ha appena finito la sgambata di rifinitura con i suoi compagni dell’Arkea-B&B Hotels. Un’ora e mezza facile, facile. Mentre ieri avevano provato, appunto sotto la pioggia, il finale della tappa inaugurale.

Lo scalatore lucano si appresta ad affrontare il suo secondo Giro d’Italia. L’emozione è alta, la condizione un po’ meno, ma Verre ha comunque il coltello tra i denti. Ogni cosa se l’è sempre sudata ed è pronto a fare lo stesso anche stavolta.

Alessandro Verre (classe 2001) è alla sua terza stagione da pro’ e al secondo grande Giro
Alessandro Verre (classe 2001) è alla sua terza stagione da pro’ e al secondo grande Giro
Alessandro, come stai? Come ci arrivi a questo Giro d’Italia?

Ci arrivo tranquillo, molto tranquillo. Il che significa che non lo vivo come l’anno scorso, quando mi ero caricato troppo di tensioni, programmi… Stavolta lo sto vivendo davvero senza stress. Quasi non mi sembra di essere al Giro.

Come mai questo approccio così diverso?

Non lo so, forse sono io che mi sono caricato meno di aspettative. E forse anche perché ci sono stati dei cambi di programma nelle corse precedenti e mi sono ritrovato un po’ in ritardo con la preparazione. Inizialmente non dovevo fare i Paesi Baschi, bensì Catalunya, poi Amstel e Romandia. Invece non è andata così. Ci sono state un po’ di sfortune.

Cosa prevedeva il programma iniziale?

Era un programma in cui dopo il Catalunya avrei fatto l’altura, ma appunto sono stato chiamato all’ultimo minuto per i Paesi Baschi in sostituzione di un compagno che stava per diventare papà. E lì mi si è infiammato il ginocchio destro. Avevo dolore, quindi ho saltato sia l’Amstel che il Romandia. E il Romandia l’ho saltato perché altrimenti sarei arrivato al Giro con troppi giorni di corsa. 

Verre durante la crono dei Paesi Baschi
Verre durante la crono dei Paesi Baschi
Ti sei dovuto un po’ adattare insomma…

Esatto, al posto del Romandia ho fatto una settimana di allenamento un po’ più intenso a casa, però nulla di che. Alla fine però non ho fatto né altura, né tenda.

Riguardo ai grandi Giri, l’nno scorso in Cina e ci avevi detto che per un giovane era meglio iniziare con la Vuelta e che tutto sommato ti sarebbe piaciuto farla. Come è andata questo inverno? Poi avevi chiesto di fare la corsa spagnola?

In effetti io ero rimasto con questa idea della Vuelta. E ammetto che in partenza quest’anno avrei preferito fare la Vuelta, almeno per come erano andate le cose fino a dicembre. Poi è successo che durante il ritiro, quando mi è stato proposto il calendario ho accettato di fare il Giro. Era un calendario ottimo, il migliore di tutti e tre gli anni fatti finora in Arkea. Era perfetto per arrivare al Giro.

Quindi già a dicembre comunque sapevi del Giro?

Sì, sì. Con quel calendario non potevo chiedere niente di meglio. Un calendario corretto, con corse di alto livello e allo stesso tempo gli spazi giusti per allenarsi. Dovevo partire in Australia. Ora invece mi ritrovo con più di 25 giorni di gara… Per fortuna che alla fine sono state quasi tutte corse a tappe e va bene così. Poi comunque io non sono uno dei leader e non mi posso permettere di chiedere di fare questo o quello: alla fine mi devo anche accontentare. E resta in ogni caso un buon calendario, non è quello iniziale ma è buono.

L’Arkea-B&B Hotels durante la presentazione del Giro al Castello del Valentino. Verre è il primo da sinistra
L’Arkea-B&B Hotels durante la presentazione del Giro al Castello del Valentino. Verre è il primo da sinistra
E sei pure sempre al Giro!

Nonostante lo scorso anno non sia riuscito a performare come ci si aspettava, non è cosa da poco che la squadra mi abbia dato di nuovo questa opportunità. Spero di ricambiare questa fiducia nei prossimi giorni.

Come mai poi non sei andato in Australia?

Come dicevo sono iniziate subito un po’ di sfortune. A dicembre per colpa di un gatto sono caduto e ho perso del tempo. Così non sono più partito per l’Australia. Il mio inizio di stagione è slittato di un mese. Però in quel mese mi sono allenato bene.

Alessandro, sei ancora giovanissimo, ma hai già tre anni di esperienza da pro’ sulle spalle. Senti questa tua crescita? L’avverti in modo concreto quando sei in gruppo?  

Non è facile rispondere a questa domanda perché alla fine magari avrò trovato anche qualcosa di più rispetto al passato, anche più costanza, ma il problema è che come sono cresciuto io, sono cresciuti anche gli altri. Quindi il livello si è alzato. Me ne sono reso conto in Oman, alla prima gara. E’ vero che non ero andato in Australia, ma in quel mese mi sono comunque allenato bene e mi sentivo bene. In Oman sono stato discreto, ma pensavo fosse perché ero alla prima corsa, poi una volta in Europa ho capito che il gap più o meno è sempre quello.

Il lucano lo scorso anno al Giro. Qualche fuga, tanti acciacchi e ritiro dopo 14 tappe
Il lucano lo scorso anno al Giro. Qualche fuga, tanti acciacchi e ritiro dopo 14 tappe
Cambiamo argomento, conosci la tappa di Cusano Mutri? Non è lontanissima dalle tue terre…

Purtroppo no e non sono andato a vederla. Forse è per questo tipo di approccio che sono molto tranquillo. L’anno scorso c’erano più tappe vicino casa e avevo fatto più di una ricognizione.

Cosa ti aspetti da questo Giro? Come te lo immagini?

Duro! Spero che il meteo sia migliore dell’anno passato. Correre a maggio è sempre particolare, passi dai 30 gradi delle coste, alla neve in montagna. Poi il Giro propone percorsi sempre impegnativi. Sul piano personale non ho grandi aspettative e chissà, magari questa alla fine sarà una cosa positiva.

Insomma, corri senza pressione…

Esatto, quello che viene prendo, ma dando sempre il massimo. Vivrò giorno per giorno. In questa prima settimana dovrò cercare un po’ la condizione. E per questo starò attento a non finirmi… In attesa dell’ultima settimana, la più dura, quella con le grandi salite. Lì serviranno le gambe.