Felline racconta il suo Savio: nonno, manager e punto di riferimento

09.02.2025
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LALLIO – Certi articoli ti capitano tra le mani, delicati come fossero fatti di cristallo. Mentre Fabio Felline ritirava le sue nuove biciclette al Trek Store in provincia di Bergamo ci si rendeva conto di come il torinese fosse in procinto di cambiare vita. Durante quella mattinata l’ex corridore professionista faceva fatica a distaccarsi dal modo di parlare degli atleti. D’altronde non si può pretendere di voltare pagina nella propria vita come se si fosse davanti a un libro. Tante volte si usa questa metafora quando si vuole dire che una persona è davanti a un grande cambiamento. La vita, però, non gira pagina ma continua tenendo ben saldo quanto si è scritto in precedenza

L’Androni Giocattoli è stata la squadra di Gianni Savio, che ha lanciato tanti corridori italiani, qui con Cattaneo
L’Androni Giocattoli è stata la squadra di Gianni Savio, che ha lanciato tanti corridori italiani, qui con Cattaneo

L’animo torinese

Il destino poi a volte si mette di traverso, decidendo di metterti alla prova in maniera definitiva. Così nell’inverno che lentamente ha decretato l’addio di Felline al ciclismo agonistico si è aggiunta anche la perdita di un punto di riferimento: Gianni Savio. Il “Principe” era diventato un punto saldo nella vita di Fabio Felline e del ciclismo italiano. Per anni la sua figura ha rappresentato il ponte attraverso il quale speranze di corridori provenienti da terre lontane si sono aggrappate per cercare un posto nel ciclismo che conta. Savio per Felline è stato prima un nome lontano, poi un team manager e infine cognato e nonno.

«Gianni – racconta Felline in un angolo dello store – l’ho conosciuto quando ero un bimbo, poi il nostro rapporto di lavoro si è concretizzato tra il 2011 e il 2012 dopo la chiusura della Geox-TMC Transformers, squadra in cui correvo appena passato professionista. Durante quell’inverno avevo voglia di tornare a una dimensione più piccola di ciclismo, nonostante avessi la possibilità di andare alla Liquigas. Scelsi, invece, di correre all’Androni Giocattoli con Gianni (Savio, ndr) che era la squadra di Torino e di un manager torinese».

Non solo italiani, l’Androni è stata il trampolino di lancio per tanti atleti sudamericani, qui Savio con Bernal
Non solo italiani, l’Androni è stata il trampolino di lancio per tanti atleti sudamericani, qui Savio con Bernal
Che anni sono stati per te?

Di quelle stagioni ho ricordi molto belli, sono riuscito a vincere quattro corse e, cosa più importante, mi sono trovato benissimo. Sono stati due anni cruciali, che mi hanno permesso di spiccare il volo verso le grandi squadre. Da lì è iniziato il mio percorso di sei anni in Trek, poi è arrivata la parentesi dell’Astana e ancora la Trek.

Cosa ti ricordi del vostro primo incontro?

Appena l’ho conosciuto ho avuto l’impressione di aver davanti un signore, di quelli che oggigiorno ce ne sono sempre meno. Si è dimostrato subito una persona di parola. La prima volta che lo vidi nell’inverno del 2011 gli dissi che sarei voluto entrare nella sua squadra. Lui mi chiese qual era il mio contratto e in nemmeno una settimana mi fece una proposta di pari livello. Avrebbe potuto farla a ribasso ma visto che alla Geox avevo firmato un contratto triennale decise di rispettarlo.

Che team manager era?

Super positivo, grintoso. Il suo motto era, prima di partire, “cattivi e determinati”, ovviamente in senso agonistico. La cosa bella era che non si abbatteva mai, cercava sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Non l’ho mai visto fare una scenata davanti ai corridori, piuttosto ti prendeva da parte e ti parlava faccia a faccia. Savio era una persona in grado di gestire perfettamente i rapporti umani e di lavoro, caratteristica che lo ha reso impeccabile.  

Anni dopo è tornato nella tua vita, ma in vesti differenti.

Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 ho incontrato sua figlia, Nicoletta. Sapevo che Gianni avesse una figlia ma fino a quel momento non avevo mai avuto modo di conoscerla. Da lì si è creata quella che è stata la nostra storia personale: una famiglia con un piccolo che si chiama Edoardo, e Gianni che era suo nonno.

Qui Savio con la famiglia, a sinistra la figlia Nicoletta, compagna di Felline
Qui Savio con la famiglia, a sinistra la figlia Nicoletta, compagna di Felline
Dal lato familiare che “Savio” hai conosciuto?

La cosa bella è che uno nel mondo della bici lo mitizzava un po’, lui era il “Principe”. Invece era una persona da scoprire, con le sue manie ma anche le sue cose semplici. Aveva un rapporto stupendo con gli animali, di rispetto. Piccole cose che ti fanno capire l’animo buono, come andare a trovare e dar da mangiare al cavallo di sua figlia Nicoletta. Aveva anche una grande passione per i cani. Se in casa trovava una formica o un ragno non li schiacciava, ma prendeva un pezzo di carta per farli passare sopra e metterli fuori dalla finestra. 

Qual è l’aspetto più bello della persona che ti porti un po’ anche dietro?

Che non si lamentava mai, non demordeva mai, a volte quasi ti infastidiva (ride, ndr) e ti chiedevi come fosse possibile che non avesse mai un problema. Aveva sempre questo lato positivo, ed è una cosa che mi ha sempre colpito perché, al contrario, io sono più brontolone. A volte anche Nicoletta mi diceva: «Dovresti prendere da mio papà sotto certi aspetti». E in qualche modo ho sempre cercato di farlo. 

Il lato “nascosto” di Gianni Savio, nonno amorevole. Qui con il piccolo Edoardo
Il lato “nascosto” di Gianni Savio, nonno amorevole. Qui con il piccolo Edoardo
Invece dal lato ciclistico com’è cambiato il vostro rapporto negli anni? 

Era super rispettoso, se avevo voglia di parlare lui c’era, altrimenti non si intrometteva. In passato gli ho chiesto dei consigli, anche aiuto quando ne ho sentito il bisogno. Però non era mai una figura invasiva, ma una porta a cui bussare.

C’è stato un momento in cui hai avuto l’esigenza di bussare a quella porta?

Sì, tante volte. Anche solo a fine del 2024 quando non sapevo bene cosa fare. Savio fino all’ultimo mi ha dato una mano, cercando una soluzione, oppure anche con una parola di conforto per farmi vedere il bicchiere mezzo pieno, come solo lui era capace di fare. E’ una persona che manca e che secondo me mancherà sempre di più.

La chiusura della Drone Hopper è stato un duro colpo per il “Principe”
La chiusura della Drone Hopper è stato un duro colpo per il “Principe”
Hai corso con lui in Androni, squadra che poi ha chiuso nel 2022 è stato un colpo duro?

Mi è dispiaciuto perché quella squadra è sempre stata un po’ la sua ragione di vita, nel ciclismo. Quindi sicuramente vedevi che, nonostante lui abbia sempre mantenuto la sua proverbiale positività, era un uomo che dentro di sé era stato ferito. il progetto era continuato con la Petrolike, peccato che non abbia potuto continuare a viverlo.

Il ricordo di Gianni che ti porti dentro?

Dal lato personale certi consigli dietro le quinte, quando ti diceva determinate cose. Ma quelli li voglio tenere per me. Però sapeva trovare il momento giusto per dirti qualcosa, e quando lo faceva il suo consiglio o la sua parola prendevano un valore incredibile. 

Da ciclista, invece?  

D’inverno capitava che mi dicesse: «Fabio, andiamo a berci una cioccolata calda?». Solo perché voleva parlarmi e chiedermi come andasse la vita, per sapere se tutto fosse in ordine. Cose d’altri tempi che nessun manager fa più. Quelli sono i comportamenti e le attenzioni per i quali rimarrà un personaggio unico.

Il popolo del ciclismo a Torino per l’addio a Gianni Savio

03.01.2025
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TORINO – «Mi raccomando, teniamoci in contatto». Prendendo in prestito il suo saluto elegante e gentile, gli amici del pedale hanno voluto dire così ciao a Gianni Savio ieri mattina alla Chiesa Gran Madre di Torino, luogo che peraltro ha salutato tanti arrivi celebri del Giro d’Italia negli ultimi anni.

Uomo e diesse d’altri tempi, che ha conquistato tutti con la sua classe e la sua disponibilità, Gianni ha radunato una squadra di oltre duecento persone tra ex corridori, diesse, meccanici, dirigenti, giornalisti e appassionati di ciclismo in occasione del suo funerale, celebrato nello stesso giorno in cui ricorreva anche la morte del Campionissimo Fausto Coppi. Tra i tanti presenti alla cerimonia anche Giovanni Ellena, Wladimir Belli, il presidente federale Cordiano Dagnoni e Franco Balmamion.

Il tributo di Tafi

C’era anche il re delle classiche Andrea Tafi, che con noi ha voluto ricordarlo così: «Il primo pensiero che mi viene in mente è che ha creduto subito in me. Il mio primo contratto da professionista ho avuto il piacere e l’onore di poterlo firmare insieme a lui, nonostante in tanti mi chiedessero perché volessi andare in una piccola squadra come la sua. Ha creduto fortemente in quello che avevo fatto da dilettante, mi ha dato questa grande opportunità e senza di lui non sarei qui a dire che ho vinto la Roubaix o il Fiandre. Questo gliel’ho ripetuto tante volte e, nonostante ci siano stati alti e bassi, sono stati anni bellissimi con Gianni. Ricordo ancora anche quando ha preso Leonardo Sierra, era uno scopritore di grandi talenti e ha dato le opportunità a chi aveva talento i mezzi per poterlo esprimerlo e non è cosa da poco».

Il campione toscano aggiunge ancora: «Come hanno detto in tanti in questa giornata, la cosa che è mi è piaciuta molto in lui è che non è mai cambiato di una virgola, sempre uguale nei suoi modi cortesi e con un solo ideale: l’amore per il nostro sport. Ci lascia una grande persona, un petalo di questo fiore meraviglioso che è il ciclismo».

Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera
Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera

Lo scopritore di talenti

Più di tre lustri, Savio li ha vissuti quotidianamente con Giovanni Ellena, ora al Team Polti-VisitMalta: «Abbiamo condiviso 17 anni di lavoro, ma è difficile fermarsi soltanto a una caratteristica di Gianni. Mi ricordo i nostri “scontri lavorativi”, in senso buono. Entrambi avevamo la testa dura e magari per arrivare a una conclusione ci passava del tempo. Però, da lui ho imparato molto e una caratteristica che ho cercato di fare mia è di non infierire nel momento degli errori, perché tutti ne commettiamo. L’ho visto trovarsi davanti a situazioni complicate, ma lui non ha mai inferito con la persona che aveva commesso qualunque tipo di errore. Anzi, si è sempre comportato in maniera elegante e signorile».

Tanti talenti internazionali, ma anche tanti giovani del nostro Paese lanciati nel mondo del pedale. «Tutti parlano di Bernal o Sosa, ma Gianni ha creduto in italiani che all’inizio nessuno voleva come Vendrame e Ballerini – prosegue Ellena – e che ora tutti vediamo quanto valgono. Loro due, come tanti altri hanno fatto tanta fatica a passare professionisti e probabilmente non ci sarebbero riusciti se non avessero incrociato Gianni Savio sulla loro strada». 

Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni
Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni

Un terzino alla Maldini

L’ex pro’ torinese Umberto Marengo, suo corridore per una stagione con la Drone Hopper-Androni, lo ricorda con affetto: «Con lui ho vissuto un’annata difficile nel 2022, anche a causa del Covid, ma non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio. Ogni volta, ci infondeva tutta la sua grinta e ci dava tante motivazioni. La sua eleganza era il tratto distintivo e ha sempre creduto nei giovani».

C’è poi chi rimembra persino i suoi trascorsi sul rettangolo verde del pallone da ragazzo, prima di salire con classe sull’ammiraglia e non scendere più e lanciarsi alla scoperta di talenti. «Tra il 1975 e il 1976 abbiamo giocato insieme nel Vallorco, in Prima Categoria. Era un terzino fluidificante, alla Maldini, mentre io ero ala sulla stessa fascia, a destra. Era molto generoso e ben dotato tecnicamente. Ricordo che già allora era appassionato di bici e spesso ne parlavamo in spogliatoio, lui sempre con la sua eleganza e la “r” arrotata», racconta un ex compagno di calcio, Michele D’Errico.

Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno
Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno

L’uomo dei sogni

Sport e famiglia, i due capisaldi di Gianni. L’amata “Pablita”, con cui ha festeggiato le nozze d’oro la scorsa estate, ha affidato il suo messaggio nella lettura di un amico per ringraziare dell’ondata d’affetto ricevuta in questi giorni tra visite, telefonate e messaggi ricevuti da lei e dalle figlie Annalisa e Nicoletta. A raccontare le gesta del nonno al piccolo nipote Edoardo Felline ci penserà papà Fabio, ritiratosi ufficialmente due domeniche fa e anch’egli grato nel suo percorso, ciclistico e umano, al compianto suocero.

«Ci mancherai, grande Gianni. Di te mancheranno la gentilezza, la disponibilità, il tuo sorriso e l’attenzione che ponevi ai rapporti umani», le parole in chiesa di Vladimir Chiuminatto, diesse del Madonna di Campagna . «Il ciclismo è stata la tua seconda casa, in cui ti sei mosso sempre in maniera elegante. Ci mancherà vederti camminare con passo spedito nei pressi del traguardo poco prima dell’arrivo dei tuoi ragazzi. Grazie alla tua determinazione e alla tua competenza, hai contribuito a far avverare i loro sogni. Mancherai a tutte quelle persone con cui hai collaborato in questi anni e per cui sei stato un condottiero carismatico, così come ai tuoi tifosi. Non solo quelli italiani, ma a quelli di tutto il mondo, in particolare a quelli sudamericani, a cui hai regalato grandi imprese». 

Noi appassionati siamo certi che il suo sorriso disponibile ci accompagnerà sempre: d’altronde, Gianni si è semplicemente avvicinato in anticipo al traguardo. 

Gli ultimi 15 giri e la nuova vita di Fabio Felline

24.12.2024
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TORINO – Quindici giri nel Motovelodromo per salutare il ciclismo, tanti quanti gli anni passati tra i pro’. È già scesa l’oscurità quando Fabio Felline inforca la Trek rossa fiammante e compie la passerella finale nel salotto buono del capoluogo piemontese. Quel tempio a due passi da casa che lui ha contribuito a far tornare in auge, legandoci tanti degli appuntamenti delle sue ultime stagioni sui pedali. 

L’amico e collega Jacopo Mosca fa da contagiri d’eccezione, mentre in braccio alla moglie di Fabio, Nicoletta Savio, c’è il piccolo Edoardo pronto a scampanellare per l’ultimo giro del papà, già pronto a gettarsi nella nuova vita. «Serenità, Consapevolezza e Determinazione» le tre parole presenti nell’unico tatuaggio stampato sulla sua pelle, ad accompagnare tutte le sue pedalate ma anche la sua nuova quodianità. 

Una festa per Fabio

Non poteva che chiudersi in sella la festa organizzata dall’Associazione Sul Tornante per il ritiro del trentaquattrenne cresciuto nella Rostese e passato professionista nel 2010 con la Footon-Servetto di Mauro Gianetti. Un lungo pomeriggio di aneddoti, risate, qualche lacrimuccia e una folta platea, arricchita dalla presenza dei direttori sportivi che hanno segnato la sua carriera come il mitico Giuseppe Martinelli, che omaggiando Fabio e abbracciandolo ha commentato: «Alla fine quest’anno smettiamo insieme, visto che anch’io do l’addio dopo 15 anni di Astana». 

Poi ancora Giovanni Ellena, che lo guidava negli anni dell’Androni, e Adriano Baffi, ultimo diesse in Trek. Tra il pubblico anche i campioni piemontesi che l’hanno consigliato da giovane e sempre tifato come Italo Zilioli e il due volte vincitore del Giro d’Italia Franco Balmamion. Chi non c’era però non ha fatto mancare il suo affetto, vista la cascata di videomessaggi arrivati da tanti tra compagni di squadra e avversari, che hanno condiviso qualche chilometro con Fabio.

Era presente anche Giuseppee Martinelli, che lo ha avuto con sé all’Astana
Era presente anche Giuseppee Martinelli, che lo ha avuto con sé all’Astana

L’incidente dell’Amstel

Poi una carrellata di immagini a fare da sottofondo, con lo stesso Felline a raccontare tutti i retroscena nascosti dietro quegli scatti. Dalle pedalate con papà Maurizio fino alla vittoria di Laigueglia del 2017 o all’ultimo acuto, il Memorial Pantani del 2020 in maglia Astana. Senza scordare il tremendo incidente nel tratto di trasferimento dell’Amstel Gold Race 2016 che avrebbe potuto costargli un ritiro precoce.

«Per un mio errore ho rischiato la carriera – ha raccontato – ma quel momento ha rappresentato l’inizio di una svolta. Quando mi han detto che potevo ancora correre in bici e che dovevo solo aspettare di riassorbire le botte, ho cominciato a pensare che dovevo tornare più forte di prima».

La conquista della maglia verde alla Vuelta del 2016 è stata uno dei momenti forti della carriera
La conquista della maglia verde alla Vuelta del 2016 è stata uno dei momenti forti della carriera

La verde di Madrid

Quattordici le vittorie complessive, tanti piazzamenti di prestigio, ma un ricordo nel cuore più di tutti: «Salire sul palco di Madrid, con la maglia verde, è un qualcosa che non dimenticherò mai, lì con tutti i grandi di quella Vuelta del 2016. E dire che non ho neanche celebrato con la bici verde o il casco verde perché avevo timore che Valverde mi togliesse la maglia all’ultimo, ma è stato lui stesso prima della tappa conclusiva a dirmi “Es tuya, complimenti. Eppure, io non ci credevo ancora, invece, lui non ha più attaccato ed è andata così. È stata una bella soddisfazione».

Tirreno 2021: quarto alle spalle di Van der Poel, Pogacar e Van Aert: una grande prestazione
Tirreno 2021: quarto alle spalle di Van der Poel, Pogacar e Van Aert: una grande prestazione

Da record dietro Van der Poel

Poi ancora un aneddoto della Tirreno Adriatico 2021, quando fu quarto nell’epica tappa di Castelfidardo vinta da Mathieu Van der Poel davanti agli altri due “alieni” Pogacar e Van Aert.

«Ricordo che quel giorno ero all’inseguimento in solitaria di Van der Poel – racconta – poi mi sono spento, ma comunque sono arrivato a 1”26” e gli ho guadagnato 2 minuti. Sono chiacchiere da bar e forse nessuno lo saprà mai, ma quel giorno forse ho sfoderato la miglior prestazione tra tutti. E infatti tanti mi hanno detto che sono stato il primo degli umani dato il calibro dei tre che mi sono arrivati davanti. Visto che a tutti piacciono i numeri, posso dire che in quella corsa ho fatto quasi 360 watt medi per 120 minuti. Quei valori rappresentano le mie due ore record in quanto a potenza di tutta la carriera». 

E’ stato Jacopo Mosca a dare il via a Fabio Felline per gli ultimi 15 giri di pista
E’ stato Jacopo Mosca a dare il via a Fabio Felline per gli ultimi 15 giri di pista

Gli ultimi 15 giri

Le storie si susseguono, la platea lo abbraccia tra domande e applausi, ma poi è tempo di mettersi scarpette e casco. La commozione è tanta prima dell’ultima passerella.

«È stata una giornata come la sognavo, sapevo soltanto per quanto tempo ero impegnato, ma non i contenuti né chi sarebbe venuto. È stato un regalo stupendo, un’emozione fortissima e i 15 giri simbolici sono stati una degna chiosa della mia carriera». 

In una famiglia che respira il ciclismo dalla mattina alla sera però, il futuro sarà sempre nell’ambiente, come conferma Fabio prima di lanciare la lotteria benefica con in palio tanti cimeli ciclistici e il ricavato da donare alla Fondazione Michele Scarponi.

«Non bisogna mai star fermi e sicuramente il Motovelodromo rappresenta qualcosa che farà parte del mio futuro. Mi sento in dovere di far qualcosa, abbiamo già fondato una squadra di bambini, con grande attenzione al tema sicurezza al quale siamo molto sensibili e vogliamo continuare su questa strada. Sarò ambassador Trek, darò una mano per l’abbigliamento agli amici di Pella e continuerò a pedalare. E chissà, magari organizzerò un’altra Fellinata, però questa volta in primavera, magari il 29 marzo per il mio compleanno». Parafrasando il videomessaggio di Giulio Ciccone, buona pensione ciclistica Fabio!

Narvaez va con Pogacar, ma non vuole solo tirare

22.12.2024
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BENIDORM (SPAGNA) – A un certo punto, in uno dei momenti sfaccendati del primo ritiro, Pogacar gli è andato vicino e ha chiesto di farsi un selfie assieme a uno dei pochi che nel 2024 lo abbia battuto. Narvaez lo ha guardato, ha sorriso e si è prestato per la foto. Quell’immagine non è venuta fuori sui social, ma varrebbe il primo premio per l’originalità. Che Tadej non avesse digerito lo… scherzetto delle ecuadoriano sul traguardo di Torino al Giro d’Italia si era capito da varie sfumature nelle sue dichiarazioni. Significò non prendere la prima maglia rosa e non poterla difendere per ogni santo giorno fino a Roma. Per cui averlo adesso come compagno di squadra rende tutto più singolare.

Dopo quella vittoria, Narvaez ci ha provato ancora, ma altre vittorie non sono venute. Un secondo posto a Nova Gorika, battuto da Aleotti nel Giro di Slovenia, e un quarto alla Vuelta. Sinché, il primo agosto è arrivata la notizia del suo passaggio dalla Ineos Grenadiers al UAE Team Emirates. Ventisette anni, 1,74 per 65 chili, Narvaez arrivò al professionismo nel 2017 grazie alla Axeon Bermans Hagen di Axel Merckx, assieme a Eddie Dunbar, Neilson Powless e ai fratelli Oliveira, che ha ritrovato nella nuova squadra. Passò nel 2018 alla Quick Step con qualche piazzamento interessante che gli valse l’interesse dello squadrone britannico, in cui è rimasto per sei stagioni.

Dopo sei anni alla Ineos, Narvaez approda alla UAE Emirates: contratto per due stagioni
Dopo sei anni alla Ineos, Narvaez approda alla UAE Emirates: contratto per due stagioni
Come va in questo nuovo mondo?

Sto bene. E’ il secondo training camp che facciamo con la squadra e mi sono sentito il benvenuto già da quello ad Abu Dhabi. Conosco molti dei miei compagni, che hanno corso con me in precedenza. Ho un buon rapporto con Matxin. Ci sono alcuni massaggiatori che conosco, quindi mi sono sentito il benvenuto e la verità è che in una squadra questo fa la differenza.

E’ tanto diversa dalla Ineos?

Mi sono sentito molto fortunato nella mia carriera sportiva. Quando sono diventato professionista, la Quick Step era grandissima. Aveva vinto tanto, all’epoca era la migliore squadra del mondo. Anche la Ineos, quando ci sono arrivato, vinceva ancora il Giro e il Tour. E ora sono qui, nella squadra numero uno. Riguardo alla tua domanda, fra le due squadre c’è pochissima differenza. Entrambe hanno aspetti molto buoni. Ottimo materiale, ottimi allenatori, cercano continuamente di migliorare e questo è un bene. Posso solo dirvi che una squadra sta lavorando a suo modo su un tipo di percorso e l’altra va per la sua strada, ma entrambe raggiungono lo stesso risultato che poi è vincere.

Che cosa ti proponi per questa stagione?

Crescere, continuare sulla strada intrapresa, magari con risultati migliori. Nel 2024 ho vinto e, come dissi l’anno prima, spero di fare un altro passo avanti. Che poi significhi vincere o fare bene, l’importante è continuare a lavorare sulla stessa linea. Quello che voglio è lavorare bene, ho un buon supporto nel team e questo l’ho notato subito. Quindi sono molto motivato.

E’ il 2018, Narvaez è appena passato con la Quick Step. Al Tour Colombia, tappa di Tambo, viene bruciato da Uran
E’ il 2018, Narvaez è appena passato con la Quick Step. Al Tour Colombia, tappa di Tambo, viene bruciato da Uran
Sai già quale ruolo avrai nel team?

Come si può vedere, non è un team in cui sia facile trovare tutte le opportunità che vuoi. Chiunque sia vincente, sogna di farlo il maggior numero di volte possibile, metterle in fila su una bacheca, ma qui è difficile. Quindi la mentalità è ovviamente di vincere, ma puoi farlo quando hai le tue possibilità. Nel resto del tempo, dovremo giocare tatticamente per far vincere un compagno di squadra. Penso che, almeno nelle gare in cui Pogacar non c’è, non abbiamo ancora un chiaro favorito o un leader designato e questo è positivo. Però non posso dire di essere un leader, dovrò guadagnarmelo. Altrimenti lo farà un altro.

Sai già qualcosa del tuo calendario?

Nella prima parte dell’anno, sono molto entusiasta di fare le classiche. Il pavé e poi anche le Ardenne. Quindi il Tour de France per sostenere Tadej Pogacar. Più o meno sarà così.

Come vive Tadej il fatto di avere per compagno uno dei pochi che sia riuscito a batterlo nella sua stagione migliore?

Eravamo a Dubai e mi ha chiesto di fare un selfie insieme, dicendo proprio questo. Ne abbiamo parlato, gli ho impedito di prendere la prima maglia rosa, ma penso che per me sia stata una giornata molto bella. L’arrivo di Torino era molto adatto alle mie caratteristiche, ne avevo parlato a lungo con il mio vecchio allenatore. Era uno scenario in cui potevi pensare a molte cose, ma non che mi sarei ritrovato da solo assieme a Pogacar.

A quale finale avevate pensato?

Potevano rimanere 20 corridori, potevano essercene 10, sarebbe potuto arrivare qualcuno da solo. C’erano molti scenari possibili e in ciascuno di questi io sarei stato adatto a quel tipo di traguardo. Ed è andata così. Ho vinto perché ero uno dei più veloci in quello sprint a tre (con Narvaez c’erano appunto Schachmann e Pogacar, ndr). E’ una vittoria che ricorderò a lungo.

Adesso che corri assieme a lui, come pensi che sarà Tadej come compagno di squadra?

Per quello che lo conoscete anche voi e per come sto iniziando a conoscerlo io, so che sarà un buon compagno. E’ sempre aperto, sempre gentile, sempre sorridente, sempre calmo. Quindi l’impressione è che sarà un buon compagno.

Hai detto che tecnicamente Ineos e UAE non hanno grandissime differenze, cosa si può dire del clima in squadra?

Non si può paragonare uno spagnolo con un inglese. Hanno una cultura diversa, fanno le loro cose in modo diverso. Quindi, in termini di sport, in termini di struttura, in termini di come fanno le cose, le due squadre sono simili. Cercano sempre di migliorare e cercano sempre di improvvisare per vincere gare e tutto il resto. Ma sul piano dei rapporti personali, qui c’è un altro calore.

Ti mancherà qualcuno della Ineos?

Forse il mio allenatore, Adrian Lopez, che si è comportato molto bene negli ultimi tre anni e mi ha portato alle gare con la condizione che serviva. Ma qui ho conosciuto una persona molto brava, che è lo stesso allenatore di Tadej Pogacar. Vediamo quindi come andranno i prossimi anni. Se andassi come lui (ride, ndr), potrei anche accontentarmi.

Bouwman lascia la Visma e parla di Roglic e dell’anno nero

28.10.2024
7 min
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La maglia azzurra messa sulle spalle nel 2022, quella rosa conquistata dal suo capitano Roglic nel 2023 e quella giallonera riposta quest’autunno definitivamente nell’armadio dopo un decennio in casa Visma. Koen Bouwman guarda con curiosità al 2025 che lo vedrà vestire un nuovo completo, quello della Jayco-AlUla, la formazione australiana che l’anno prossimo punterà fortissimo su Ben O’Connor nei Grandi Giri.

Le corse di tre settimane sono il pane quotidiano per il trentenne olandese, che vuole tornare a disputarle dopo averle viste da spettatore nel 2024. Il successo alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali in primavera, infatti, non ha poi portato fortuna per il resto dell’annata e la voglia di rivalsa è tanta per il corridore oranje che compirà 31 anni il prossimo 2 dicembre.

Finalmente in vacanza?

In realtà non proprio, perché ho appena comprato casa con la mia fidanzata e ci hanno consegnato le chiavi da poco, per cui ho un po’ di appuntamenti e lavori da fare. Abbiamo deciso di prenderla nella città in cui sono nato e cresciuto: Ulft, nella parte orientale dei Paesi Bassi, vicino al confine con la Germania. Avevo pensato di trasferirmi in Andorra, a Girona o da qualche altra parte, ma essendo spesso in ritiro, quando sono a casa preferisco essere davvero a casa e in questo posto mi sento così.

Il tuo 2024 si è chiuso col Tour di Guangxi: qual è il tuo bilancio?

Direi che è stato un mix di sensazioni contrastanti. Era cominciato in Australia, quasi inaspettatamente, ma mi sentivo già bene pur senza troppi allenamenti ed è stato positivo direi fino al Romandia. Alla Parigi-Nizza, così come alla Coppi e Bartali, ho raggiunto il livello più alto della stagione. Era dall’inverno che puntavo a vincere almeno una corsa e direi che con quest’ultima ho centrato l’obiettivo, poi sono andato ad allenarmi in altura. Non dovevo fare Grandi Giri, ma ero riserva per il Giro d’Italia, per cui volevo farmi trovare pronto in caso di rinunce o infortuni. Sono andato al Romandia e lì purtroppo mi sono ammalato. Ho avuto la febbre quasi a 40 per una settimana e così, pur essendo arrivata la chiamata per il Giro, ho dovuto rinunciare. Dal Tour of Norway in poi, non ho più ritrovato le sensazioni giuste. In Polonia non è stato niente di eccezionale, poi ho fatto qualche gara di un giorno e ad Amburgo sono caduto male, incrinandomi qualche costola con annessi problemi a un rene. Ho fatto di tutto per esserci al Guangxi per dare il mio ultimo supporto alla squadra e finire in sella la mia lunga avventura in giallonero e non con una caduta.

Com’è andata?

Sono arrivato in Cina con appena 25/30 ore di allenamento ed è stata una corsa durissima. Negli ultimi giorni ero davvero al limite, ma alla fine sono felice di esserci stato e di aver chiuso così il capitolo con la Visma. 

Com’è stata l’ultima stagione dopo la partenza di Roglic e cosa ti porti dietro di questo decennio?

Il 2023 è stato un anno pazzesco perché ci è mancata soltanto una Monumento, ma per il resto è stato tutto incredibile. Il 2024 è stato tutto il contrario perché, dopo una stagione come quella, non siamo riusciti a raggiungere nessuno degli obiettivi prefissati in inverno, anche a causa di diversi episodi sfortunati. Salverei Matteo Jorgenson, che ha avuto una grande stagione e ha mostrato quello di cui è capace, ma per il resto tutte le cadute dei leader hanno mandato in frantumi i sogni di gloria. Forse un’annata così può comunque far bene alla squadra, per far capire che quello che abbiamo ottenuto nel 2023 è stato qualcosa di fuori dal normale e che sedersi sugli allori non basta. Nel complesso, non è stata una stagione pessima perché tutti abbiamo lottato finché abbiamo potuto, ma al tempo stesso non è stata facile. Lo si è visto anche in Cina dove eravamo soltanto in 6 a causa dei vari acciacchi. Alla fine però, bisogna accettarla per quello che è stata. 

Che cosa ti ha portato a cambiare squadra?

Il punto di svolta è stato già lo scorso inverno, quando abbiamo cominciato a pianificare il 2024 con lo staff. In quel momento, conosci il tuo calendario per la prima parte di stagione e anche un pezzo della seconda. Per me è stata una grande sorpresa non essere nelle liste per un Grande Giro ed ero molto contrariato sul programma che mi avevano assegnato e la preparazione era totalmente differente rispetto al 2023. Lì ho capito che era il momento di cambiare. Abbiamo parlato un po’ con la squadra, ma ho cominciato a guardarmi attorno. Verso metà aprile, sono cominciati i dialoghi con la Jayco-AlUla e in breve tempo abbiamo trovato un accordo.

Che cosa ti aspetti dalla nuova sfida?

Sono molto felice di questa scelta e sono certo che così potrò di nuovo focalizzarmi sui Grandi Giri e avere qualche occasione di vincere gare di un giorno. Non so ancora se supporterò Ben (O’Connor, ndr) per la classifica generale in un Grande Giro o se aiuterò Dylan (Groenewegen, ndr) per gli sprint, perché è ancora tutto da decidere. A dicembre ne capirò qualcosa di più, ma non vedo l’ora, soprattutto di tornare ad avere libertà in alcune corse.

Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Quali sogni di vincere, se potessi scegliere?

Domanda difficile, ma forse direi un’altra tappa al Giro o alla Vuelta: sarebbe un sogno arrivare a braccia alzate.

Se avessi tu in mano il pallino, che Grande Giro vorresti fare?

Beh, un giorno mi piacerebbe andare al Tour de France. Ma anche l’accoppiata Giro e Vuelta mi stuzzica, per cui davvero non saprei scegliere. So solo che le corse di tre settimane si addicono alle mie caratteristiche e adoro anche tutta la fase di preparazione per arrivarci. Mi auguro di mostrare una buona forma sin dall’inizio e poi vedremo che sarà.

Hai aiutato Roglic a vincere un Giro: che suggerimento daresti a O’Connor per ripetere un’impresa simile?

Ben forse non è del livello di Vingegaard, Roglic e Pogacar, ma senza dubbio gli è molto vicino e quest’anno ha dimostrato di essere uno dei contendenti quando si parla di Grandi Giri. A parlare saranno le gambe, ma sono sicuro che con la nostra squadra potremmo aiutarlo in questa sfida.

Che emozione è stata la cavalcata rosa con Primoz?

Il momento più bello è stato al Monte Lussari. Sin dal primo camp in altura, Primoz parlava soltanto del Monte Lussari e ci era già andato a piedi in inverno, durante una passeggiata con sua moglie. Era certo che il Giro si sarebbe deciso lì. Non è stato facile perché durante le tre settimane ha avuto momenti in cui non stava benissimo ed è stato speciale vivere tutti quei momenti da così vicino, sia quelli positivi sia quelli negativi. È stato incredibile, poi persino col salto di catena. Quando ha tagliato il traguardo e abbiamo capito che aveva vinto, è stato un momento che non mi scorderò mai, un’esplosione di emozioni.

Bouwman in azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
In azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
Che ne pensi della sua dichiarazione recente in cui afferma che correrà dove non ci sarà Pogacar al via?

Conosco Roglic abbastanza bene per i nove anni fatti insieme e per il grande rapporto che ci lega. Posso affermare che il 90% di quello che dice è solo per divertimento. So che lui vuole vincere il Tour più di ogni altra cosa, per quanto anche un altro successo al Giro o alla Vuelta sarebbero davvero grandiosi, per cui non mi stupirei di vederlo di nuovo in Francia.  

Come sei arrivato al ciclismo da bambino?

Giocavo a badminton e calcio, ma già da piccino avevo chiesto a mamma e papà di regalarmi una bici e se non ricordo male, la prima è arrivata quando avevo 4 anni. Giocavo abbastanza bene a calcio a livello regionale, ma quando ho iniziato ad allenarmi tre volte a settimana sul rettangolo verde oltre alla bici, ho capito che era arrivato il momento di scegliere.

De Pretto, un anno in più: il giovane cresce e sogna in grande

20.10.2024
5 min
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TORINO – Se tanti in gruppo gli dicono «Bravo, giovane», un motivo ci sarà. La prima stagione nel WorldTour per Davide De Pretto è stata tutta una scoperta, ma il ventiduenne di Thiene ha dimostrato di avere stoffa. Basti pensare che, pochi giorni dopo la chiacchierata con noi, ha sfiorato il podio del Giro del Veneto, chiuso al 4° posto. Senza dimenticare il primo hurrà tra i grandi al Giro d’Austria a luglio.

Come ci ha raccontato Luka Mezgec, arriverà il tempo in cui lo vedremo a braccia alzate in corse di spessore. Ma per il momento godiamoci, pedalata dopo pedalata, questo talento in erba e ci facciamo raccontare che cosa vuol dire limare tra i grandi verso le posizioni che contano.

Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Raccontaci la tua prima volta al Lombardia: com’è stata?

Impegnativa, senza dubbio. Sapevo che sarebbe stata una gara dura, ma ci sono arrivato preparato. Come squadra, forse ci aspettavamo qualcosa di più. Il mio lavoro era tenere davanti i miei compagni fino all’ultima salita lunga, poi io ho fatto il mio ritmo. Comunque, è stata una bella esperienza per il futuro.

Era come lo sognavi?

L’anno scorso ero andato all’arrivo del Lombardia e, vedendo vincere Pogacar, mi sono detto: «Sarebbe bello fare questa gara l’anno prossimo». In realtà, avevo fatto anche la Sanremo in primavera ed era stata anche quella una bella avventura.

Hai aperto e chiuso con due Monumento una stagione da ricordare: è quello che ti aspettavi dalla tua prima da pro’?

In realtà, non mi aspettavo tutti questi risultati da subito, già da gennaio. Sin dall’Oman, ho capito che potevo dire la mia e sono riuscito poi a mantenere la condizione per tutta la stagione.

Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Ci spieghi che cosa cambia col grande salto nel WorldTour?

L’organizzazione delle squadre prima di tutto. Sei seguito in ogni piccolo particolare, soprattutto negli allenamenti, monitorato dai fisio e ti controllano dai piedi alla testa. Ognuno viene trattato allo stesso livello, senza che il palmares abbia un peso.

Hai fatto più o meno chilometri dello scorso anno?

Secondo me qualcuno in meno come totale, tipo 2.000 in meno, però quest’anno ho corso decisamente di più. Mi sono divertito molto ed essere al via con la maglia di una squadra importante è stato davvero stimolante.

Chi è il corridore che ti ha insegnato di più o che ti ha colpito?

Le prime gare mi guardavo attorno e scovavo corridori che ero abituato a seguire la tv. Mi ricordo ad esempio che mi ha impressionato Mohoric in Spagna, quando è andato via in discesa e ha vinto alla Vuelta Valenciana. Oppure in un’altra occasione McNulty. Poi ci fai l’abitudine, a forza di correrci insieme e cominci a pensare a te stesso. 

Ti piace come ti ha accolto il gruppo?

Sì, in tanti mi dicono: «Bravo, giovane». Essendo neopro’, è così che vengo chiamato da chi è già nel circuito da qualche annetto. Sanno che posso essere pericoloso perché ho iniziato a farmi notare.

Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Che cosa ti aspetta nel futuro prossimo?

Un po’ di vacanza in Kenya con la mia fidanzata Elisa (con lui nella foto di apertura dopo il quarto posto al Giro del Veneto, ndr). Ci conosciamo dalle medie e quest’anno mi ha seguito praticamente ovunque, sin dalle corse di inizio stagione in Spagna. Per cui ora voglio godermi qualche giorno di relax con lei per arrivare all’anno prossimo ancora più carico.

Piani per il 2025?

Spero di fare il primo Grande Giro della mia carriera e mi auguro sia proprio il Giro d’Italia. Poi sarebbe bello qualche vittoria o podio importante in gare che contano. Ci saranno nuovi corridori in squadra, per cui sono pronto ad aiutarli.

Ti stuzzicano arrivi come quelli di Ben O’Connor e Koen Bouwman?

Ho incrociato Ben alle visite qui a Torino e abbiamo cominciato a conoscerci. Lui come Koen sono corridori importanti e ti stimola anche aiutarli perché sai che possono ottenere buoni risultati.

Ti senti più uomo da classiche o da Grandi Giri?

L’anno prossimo spero di testarmi sulle tre settimane così vedremo. Per ora mi trovo bene nelle gare a tappe più corte, quelle di una settimana, poi nelle gare di un giorno ravvicinate l’una all’altra ho visto che se ho un recupero in mezzo di uno o due giorni, riesco a farmi trovare pronto. 

Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, per De Pretto è venuto l’ottavo posto alla Coppa Agostoni
Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, De Pretto è arrivato ottavo alla Coppa Agostoni
Sogni nel cassetto?

Ho fatto la Sanremo quest’anno e sono arrivato nel secondo gruppo, a 30 secondi dal primo. Quindi, direi che è una gara che mi si addice. Sarebbe un sogno, perché sono quelle vittorie che ti svoltano la carriera.

Hai chiesto qualche consiglio a Matthews che l’ha sfiorata a ripetizione?

Non l’ho visto tanto in verità, perché abbiamo fatto un calendario abbastanza diverso. Però, ero presente quando ha fatto 2° alla Sanremo lo scorso marzo. Era dispiaciuto, ma anche contento perché un secondo posto in una Monumento è pur sempre un bel traguardo. E’ un ragazzo come gli altri, molto tranquillo e disponibile.

La Sanremo dal 2025 aprirà anche alle donne: il tuo commento?

Penso che oramai tutte le gare più importanti abbiano una versione femminile, per cui questo è un altro bel passo in avanti.

Ai giovani che sono lì per fare il salto da pro’, che consiglio daresti?

Di prepararsi bene durante l’inverno, poi fare sempre le cose fatte bene e i risultati si manifestano già nel corso della stagione. Non bisogna mai aver fretta e lavorare duro ogni giorno.

Vuelta, mondiali e nuova squadra: cosa dice O’Connor?

19.10.2024
7 min
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TORINO – Il peso di una Nazione sulle spalle, ma Ben O’Connor non è uno che si lasci influenzare dal giudizio altrui né dalle pressioni. L’ha dimostrato con un finale di stagione da applausi, andandosi a prendere il tanto agognato podio in un Grande Giro alla Vuelta, riscattandosi così di quello sfuggitogli all’ultimo Giro d’Italia e in precedenza al Tour del 2021. Non contento, ha sfoderato un’altra piazza d’onore di prestigio nella rassegna iridata in quel di Zurigo.

Mentre lo guarda svolgere i test all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, Brent Copeland si frega le mani pensando al gioiellino che sarà il farò della Jayco-AlUla per il 2025. L’aspetto che lo stuzzica di più è proprio il fatto che i due secondi posti ottenuti dal ventottenne di Perth siano arrivati in corse così diverse sia come tipologia sia per le condizioni ambientali e metereologiche. Ora il manager della squadra australiana è ancora più convinto nell’avergli affidato il compito di raccogliere l’eredità di Simon Yates.

Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Ben, che effetto ti fa il pensiero di indossare dal 1° gennaio 2025 la maglia di una squadra australiana?

I quattro anni con la Decathlon hanno rappresentato un’esperienza completamente nuova, ma sarà speciale far parte di una squadra del mio Paese. Mi conforta molto perché, pur vivendo a migliaia di chilometri dalla nostra Australia, in effetti mi sentirò un po’ a casa. Sono contento di ritrovare un amico come Luke Durbridge e uno staff di connazionali. Essere il capitano della Jayco-AlUla in un Grande Giro poi, sarà una motivazione enorme ad alzare ancora l’asticella per portare in alto la nostra bandiera comune. Spero di ripetere quanto fatto quest’anno.

Sei cresciuto in una Nazione esplosa con i successi di campioni come Cadel Evans e Simon Gerrans: hai sempre pensato di fare il ciclista?

In realtà, no. Ho provato moltissimi sport, come ad esempio il cricket, il calcio e anche la corsa. Il Tour de France era sempre in tv da noi, ma il ciclismo non è mai stata un’ossessione, semmai un’opportunità che si è creata. Ci ho provato e, con il supporto dei miei genitori che mi hanno comprato la prima bici da corsa, è cominciato tutto. E’ successo tutto in fretta e in maniera inaspettata. In poco tempo mi sono trovato da correre nelle gare nazionali in Australia a gareggiare col primo team Continental in Asia. Fino ad arrivare in Europa l’anno dopo, nel 2017, e cominciare a vivere come un ciclista professionista

Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Sei passato da essere spettatore alla tv a esserne protagonista, visto che negli ultimi anni ti abbiamo visto parecchio anche nella serie sul Tour de France trasmessa da Netflix. Ti sei divertito?

Forse sono stato in onda pure troppo e chiedo scusa a tutti gli utenti che mi hanno guardato. Dai, almeno non ci sono nella prossima stagione, per cui vi do un po’ di sollievo. E’ stato interessante, ma direi che preferisco vedere le corse piuttosto che la serie di Netflix.

Beh, il tuo 2024 è stato un film avvincente, sei d’accordo?

Direi proprio di sì, penso di aver finalmente espresso il mio potenziale. Al Giro mi è spiaciuto stare male l’ultima settimana. In quel momento pensavo soltanto al podio perso nella generale e non sapevo se e quando mi sarebbe ricapitata un’altra occasione del genere. Poi, quando mi sono trovato in testa alla Vuelta per due settimane, è stato folle.

La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
Com’è stato per la prima volta trovarsi al comando di un Grande Giro?

E’ stato pazzesco indossare una maglia iconica come quella rossa. Vedi gli altri farlo nei Grandi Giri e ti chiedi mille volte che cosa si provi. Poi tocca a te ed è incredibile, un mix di orgoglio e consapevolezza di essere un vincente. In quel momento, comunque, sei davanti a tutti. Non c’è niente di meglio e se non ti fai distogliere dalle tante attenzioni, è una carica in più.

A volte non ti sembra ti chiedere troppo a te stesso?

Sono entusiasta del mio finale di stagione perché ho raggiunto il livello che sapevo di valere. Il quarto posto al Giro mi aveva lasciato una sensazione di incompiutezza perché sentivo di poter valere di più, così come già all’Uae Tour perso all’ultimo giorno per appena due secondi. Il secondo posto alla Vuelta, invece, è stato come una vittoria per me.

Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
E tra quella piazza d’onore sudata per tre settimane e quella della domenica mondiale, che punti in comune ci sono?

In entrambi i casi ho dato tutto quello che avevo e ho finito senza nessun rimpianto né alcun pensiero negativo. Sia in Spagna sia in Svizzera ho interpretato la corsa nel migliore dei modi. Punto. E ora sono carichissimo per la prossima stagione.

Non ti ha un po’ sorpreso essere sul podio nella gara di un giorno, primo degli umani dopo l’imprendibile Pogacar?

Il mio allenatore alla Decathlon continuava a ripetermi che avrei dovuto fare più corse di un giorno perché si addicono alle mie caratteristiche, per cui penso che ora possa essere orgoglioso. Forse perché sono arrivato al mondiale senza troppe aspettative, non sapendo se avrei finito la corsa né tantomeno in che posizione, per cui figuriamoci sul podio. E’ stata una bella sorpresa, perché ero così stanco dopo la Vuelta che non ho fatto nemmeno la crono e così sono arrivato molto tranquillo alla prova in linea. 

Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Com’è stato lottare contro Pogacar?

Non ho lottato con lui, anche se in realtà ero proprio alla sua ruota quando è partito. Ho avuto un momento di riflessione e mi sono chiesto se avessi dovuto seguirlo. Ci ho provato e non ero così lontano. Lui viaggiava su un altro pianeta, per cui sono stato contento di aver sfruttato l’occasione per avvantaggiarmi sugli altri perché chiunque degli inseguitori avrebbe potuto fare secondo o terzo. 

Hai qualche hobby quando non pedali?

Mi piace stare comunque all’aria aperta e passare tempo con mia moglie o con i miei amici. Magari mi concedo qualche bicchiere di vino o di birra o un buon caffè, niente di speciale. Preferisco fare un bel picnic, una camminata in montagna o comunque qualunque attività outdoor.

Pensi già ai piani per il 2025?

E’ ancora tutto da decidere, ma mi piacerebbe tornare al Tour de France. Se poi riuscissi a inserire anche Giro o Vuelta non sarebbe male, ma non devi fare due Grandi Giri per forza e magari potrei tenermi questo piano per il 2026. Mi è sempre piaciuta la combinazione Giro-Vuelta, mentre non sono così sicuro dell’abbinamento Tour-Vuelta. Giro-Tour, invece, potrebbe essere stimolante perché d’altronde il Giro è il Grande Giro che forse si addice di più alle mie caratteristiche

Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
A maggio non le avevi mandate a dire a chi criticava la neutralizzazione della tappa di Livigno sotto la neve. Hai visto quanto successo di recente con la cancellazione delle Tre Valli Varesine e che ne pensi delle reazioni del pubblico?

Non mi sognerei mai di dire a nessuno come deve svolgere il proprio lavoro. Non dirò mai a un avvocato come deve comportarsi né a un giudice o un investitore. Per questa ragione, mi è parso alquanto paradossale che ci fosse gente che parlasse alle nostre spalle riguardo a un lavoro che non conoscono e che non saprebbero nemmeno fare. Chiunque può andare in bicicletta, non è così difficile. Ma gareggiarci e fare il ciclista professionista è totalmente un altro mondo. Ho chiuso coi social media e preferisco non leggere cosa scrive la gente che pensa di poter fare il nostro mestiere. Dovremmo essere noi ciclisti, insieme agli organizzatori, a prendere le decisioni, non il pubblico. 

La tua salita preferita?

Port de Cabus, in Andorra, forse una delle più belle che abbia fatto. E poi anche Arcalis non scherza affatto.

Mezgec e la Slovenia, un popolo a ruota dei giganti

16.10.2024
6 min
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TORINO – «In ogni angolo della Slovenia si parla soltanto di ciclismo». Sorride sornione Luka Mezgec, prima di sottoporsi alle visite oramai di rito di fine stagione della Jayco-Alula all’Istituto delle Riabilitazioni Riba. Il Lombardia ha consacrato la stagione magica di Tadej Pogacar, faro di una Nazione che si è presa tutti e 3 i Grandi Giri (e non solo!) grazie al poker calato alla Vuelta da Primoz Roglic. 

Così abbiamo chiesto a chi era a Zurigo per contribuire al trionfo iridato di svelarci come si vive da dentro questa epoca d’oro delle due ruote per un Paese abituato a celebrare i campioni della neve o del basket. Una panoramica del travolgente momento sloveno, prima che l’uomo di fiducia delle volate per Dylan Groenewegen si rituffi sulle sue prospettive verso la decima stagione con la formazione australiana di cui oramai è una bandiera. Non è sfuggito, fra l’altro, che la sua vittoria nella tappa di Trieste al Giro del 2014 sia stata una fortissima ispirazione per il piccolo Pogacar, che lo ha più volte raccontato.

Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino, all’indomani del Lombardia
Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino
Il 2024 ha segnato lo strapotere sloveno nei Grandi Giri e l’anno perfetto di Tadej Pogacar: quali sono le tue impressioni?

E’ difficile fare meglio di così. Fa specie pensare che la Slovenia conti appena 2 milioni di abitanti e 3 squadre continental. In più, a parte poche eccezioni, la maggior parte delle formazioni nel nostro Paese fanno fatica economicamente dal punto di vista degli sponsor. E’ davvero un miracolo quello che sta accadendo. Ora abbiamo 7 corridori nel WorldTour e alle spalle di questi ci sono giovani talenti che stanno emergendo, dagli juniores in su. Ogni anno in Slovenia diciamo che sarà dura ripetere quanto fatto, ma questa stagione è stata qualcosa di pazzesco. Pensando anche alla vittoria di Roglic alla Vuelta, sono certo che molte persone non si rendano conto del periodo che stiamo vivendo. Siamo in un’epoca d’oro e dobbiamo solo goderci questo show, sperando che sia d’ispirazione per i ragazzini che stanno cominciando a pedalare.

Ci racconti il trionfo mondiale?

E’ stato un momento incredibile. Per la prima volta da quando la corro, eravamo al via della prova in linea per vincerla e non “soltanto” per un piazzamento sul podio. A Zurigo per noi contava soltanto l’oro e chiunque sarebbe stato deluso se ci fossimo fermati all’argento. C’erano grandissime aspettative, eppure la squadra era molto rilassata.

Ci spieghi com’è stata possibile quest’atmosfera al netto delle pressioni?

Siamo tutti abituati a vivere in un ambiente molto stressante, per cui non c’erano grosse differenze. Tutti sapevano cosa dovevano fare e l’hanno fatto alla grandissima. Tadej ha leggermente modificato il piano, attaccando prima del previsto, ma a parte quello è andato tutto secondo i piani. Tratnik è stato perfetto. Sapeva esattamente cosa fare quando ha capito che Pogacar era partito alle sue spalle.

Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Che cosa hai detto a Tadej dopo l’apoteosi iridata?

La domanda che gli ho fatto è stata: «Ma perché hai attaccato a più di 100 chilometri dal traguardo? A che pensavi?». E lui, senza fronzoli, mi ha risposto: «Stavano attaccando in tanti, mi sono guardato attorno e ho visto che tutti stavano soffrendo, mentre io non mi sentivo così male e così ci ho provato». Insomma, la tipica mossa imprevedibile alla Tadej. Ma quando sei così tanto più forte degli altri come lo è lui in questo momento, il ciclismo diventa un giochino divertente.

E del suo assolo al Lombardia, cosa dici?

Quest’anno Tadej ha davvero alzato l’asticella. Sappiamo che ha cambiato allenatore e i risultati si sono visti. Nella prima parte della stagione si è focalizzato sui giri di tre settimane, mettendo nel mirino Giro d’Italia e Tour de France. Una volta vinto quest’ultimo, il suo unico pensiero era diventare campione del mondo. Così è riuscito ad avere un secondo picco di forma sul finale, rinunciando anche ai Giochi di Parigi. E’ imbattibile al momento e anche al Lombardia si è visto che non ha dovuto nemmeno attaccare a tutto gas per fare la differenza. 

Sei alla Jayco-Alula da quasi un decennio, ci dai un bilancio di quest’anno?

Penso che il 2024 sia stato sopra la media se si parla di successi come squadra. Abbiamo centrato quasi tutti gli obiettivi che ci eravamo posti a inizio stagione, grazie a una ottima Vuelta con due vittorie di tappa, senza dimenticare il successo al Tour di Dylan (Groenewegen, ndr). Forse ci saremmo aspettati qualcosa di più per quanto riguarda la classifica generale nei Grandi Giri, ma abbiamo visto com’è andato quest’anno con tanti acciacchi e malattie. Ad esempio Simon (Yates, ndr) non si è sentito bene un giorno e la posizione in graduatoria al Tour è peggiorata. Nel complesso, possiamo essere contenti. Il team sta ringiovanendo e questo è molto positivo per il futuro e per noi corridori più esperti si tratta di trasferire le nostre conoscenze e la nostra esperienza ai giovani.

Come vedi De Pretto?

E’ davvero un ottimo corridore. Davide è arrivato in squadra come talento promettente, in virtù di alcuni buoni risultati a livello giovanile. Ha subito mostrato che può dire la sua anche nel WorldTour. Sarà interessante seguire la sua crescita nei prossimi due anni e assistere ai suoi successi.

La vera rivoluzione però avviene con la fine dell’era Yates e l’arrivo di Ben O’Connor: che ne pensi?

Ben si prepara a indossare scarpe molto più grandi delle sue, ma ha già dimostrato di poterlo fare al meglio. Ha fatto una grandissima stagione con i secondi posti nella classifica generale della Vuelta e poi ancora ai Mondiali di Zurigo. Se lavorerà ancora sulle corse di un giorno, può far risultato anche nelle Monumento come ad esempio la Liegi-Bastogne-Liegi. Sarà bello lavorare con un nuovo capitano per la generale dopo tanti anni al servizio dei fratelli Yates. Poi, un australiano in una formazione australiana…

Che cosa ti aspetti dal 2025?

Il mio obiettivo personale è di assistere Dylan nel miglior modo possibile, come ho fatto in passato. So che invecchio, ma penso di avere ancora un paio d’anni al top. Conto di essere lì per aiutarlo a vincere il più possibile. Come squadra abbiamo grandi piani con Ben O’Connor per la classifica generale del Tour o di quel che metterà nel mirino. Poi, vincere una tappa nei tre Grandi Giri: quest’anno ci è mancato solo il Giro d’Italia.

Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Anche perché al Tour ci hai messo lo zampino tu…

Dylan era in forma smagliante ed è stato bellissimo guidarlo al successo. In quello sprint non tutto è stato perfetto, ma non ci siamo fatti prendere dal panico quando ci siamo persi l’un l’altro prima di un punto cruciale come i -2 dall’arrivo. Elmar (Reinders, ndr) è stato fantastico e, con tutta calma, ci ha riportato avanti. Io ho creato un po’ di spazio all’ultima rotonda e Dylan ha preso la ruota giusta. Quando lavori 6 mesi per un momento così, quello che senti è qualcosa di speciale. Provo la stessa sensazione di quando vinco in prima persona.

L’Avenir sul Finestre: Torino diventa patria del ciclismo

11.07.2024
5 min
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La partenza del Giro d’Italia. La tappa del Tour de France. L’annuncio della grande partenza della Vuelta 2025 e nel mezzo, fra qualche settimana, la conclusione del Tour de l’Avenir (18-24 agosto). Il Piemonte e la Città Metropolitana di Torino, al pari dell’Emilia Romagna e dell’Abruzzo, hanno colto le potenzialità del ciclismo come veicolo promozionale per il territorio. E proprio in quest’ottica si inserisce l’approdo del Tour de l’Avenir, gara under 23 per uomini e per donne, che si correrà contemporaneamente per donne e per uomini: al mattino le prime, di pomeriggio l’arrivo dei ragazzi.

Il passaggio più curioso della vicenda è che l’approdo italiano è stato propiziato da Marco Selleri, uomo di Extra Giro che in passato ha organizzato il mondiale di Imola e ha tenuto in mano per anni il Giro d’Italia U23, prima che il celebre bando propiziasse il passaggio di tutti i Giri a RCS Sport.

«Ho sentito anche io che il Colle delle Finestre sia un possibile approdo futuro per il Tour de France – spiega Selleri – però magari ne sapremo di più a fine luglio quando andrò su per fare il punto finale e la presentazione delle tappe italiane, che ci sarà il 29 luglio a Torino. In ogni caso il contatto con i francesi c’è stato lo scorso settembre, quando Laurent Bezault e Philippe Colliou mi scrissero due righe dicendo che l’anno successivo, quindi quest’anno, avrebbero avuto delle difficoltà a chiudere l’Avenir in Francia a causa delle Olimpiadi. Tutte le forze di sicurezza sarebbero state dirottate su Parigi, in più ora ci sono state anche le elezioni…».

Il Tour de l’Avenir per come è illustrato ancora sommariamente sul sito ufficiale
Il Tour de l’Avenir per come è illustrato ancora sommariamente sul sito ufficiale
Che cosa gli hai risposto?

Di lasciarmi un po’ di tempo e avrei visto se potevo dargli una mano, visto che comunque in Italia qualcosa abbiamo fatto. L’occasione è stata una telefonata con Aldo Peinetti, giornalista dell’Eco del Chisone, che mi aveva presentato Chiatellino quando nel 2022 finimmo il Giro U23 a Pinerolo. Lui è un appassionato di ciclismo e mi ha chiamato dicendomi che avrebbero voluto promuovere il loro territorio a livello cicloturistico. Così con Marco Pavarini siamo andati a vedere la bellissima salita al Rifugio Barbara Lowrie che hanno appena asfaltato in zona Bobbio Pellice, con la strada che finisce appunto in un rifugio dove si potrebbe far arrivare una corsa. Ci siamo seduti per fare due chiacchiere e gli ho detto che se davvero volevano promuovere la zona, arrivavano a puntino, dato che avevo ricevuto una mail dagli organizzatori del Tour de l’Avenir.

Sono parsi interessati?

Molto, così ho messo in contatto Peinetti con Philippe Colliou, che è il direttore di Alpes Velo e organizza il Tour de l’Ain e altre corse. Da quel punto io ho fatto un passo indietro e sono andati avanti loro, fino a che hanno raggiunto l’accordo con la Città Metropolitana di Torino e qualche comune della Val Pellice. L’ho saputo quando mi ha scritto Peinetti dicendo che era fatta. E’ partito tutto così, finché siamo arrivati ai primi di maggio, quando Colliou mi ha riscritto dicendo che aveva bisogno di una mano per delle questioni tecniche in Italia.

Philippe Colliou è il direttore di Alpes Velo, società francese che organizza il Tour de l’Avenir, ma anche il Tour du Rwanda e il Tour de l’Ain
Philippe Colliou è il direttore di Alpes Velo, società francese che organizza il Tour de l’Avenir, ma anche il Tour du Rwanda e il Tour de l’Ain
Cioè?

La scelta dei percorsi è stata fatta dalla Città Metropolitana di Torino insieme a Peinetti. C’è la Val Pellice e poi c’è appunto il Colle delle Finestre, dove prepareranno il fondo sterrato come quando vinse Froome, quindi battendola molto bene. Io ho fatto la ricognizione il 3-4 giugno, quando sulla strada c’era ancora neve. Mi sembra che sia un po’ impegnativa, soprattutto per il Tour de l’Avenir delle ragazze, perché i percorsi sono identici. Non cambia una virgola, sia per la tappa che arriverà a Condove, sia per quella che partirà da Bobbio Pellice e arriverà al Colle delle Finestre. Si arriva in cima. Si premiano lassù i primi tre di tappa e poi ci si sposta a Usseaux, uno dei borghi più belli d’Italia, bello davvero come un confetto. Lì ci saranno le premiazioni protocollari dei vincitori dei due Tour.

A quali questioni tecniche si riferiva Colliou?

In Italia abbiamo le nostre leggi, di conseguenza è necessario anche l’intervento della Struttura tecnica nazionale. L’idea adesso è che l’incarico ufficiale di fare le cose in regola arrivi dal Consiglio federale del 20 luglio. L’Uci ha un articolo per cui l’organizzatore straniero dovrebbe chiedere alla Federazione ciclistica italiana l’autorizzazione per arrivare con due tappe in Italia. Quindi si sta cercando di fare in modo che queste ultime due tappe diventino come gare italiane, pagando le tasse federali, con i nostri direttori di corsa e l’assicurazione italiana. E questo è al vaglio del Consiglio federale del 20 luglio. Trattandosi dell’ultima tappa della Nations’ Cup, quindi una prova UCI che partecipa alle spese, spero non ci siano problemi.

Dopo l’arrivo finale sul Colle delle Finestre, le premiazioni del Tour de l’Avenir si svolgeranno a Usseaux
Dopo l’arrivo finale sul Colle delle Finestre, le premiazioni del Tour de l’Avenir si svolgeranno a Usseaux
Come mai Bezault e Colliou si sono rivolti a voi?

Perché sono stati entrambi con noi per 15 giorni durante i mondiali di Imola, dato che erano i referenti dell’UCI. E poi perché l’Italia interessa, ci sono anche altri organizzatori che provano a venire da noi

Quindi il prossimo passo è la presentazione di Torino?

Il 29 luglio a Torino ci saranno Philippe Couliot e Bernard Hinault, perché lui all’Avenir c’è sempre. Presenteranno le tappe italiane a Torino, dato che la Città Metropolitana di Torino è coinvolta in modo importante. Hanno capito qual è lo sport che genera economia e che genera visibilità in giro per il mondo. La Val Pellice ne avrà una bella promozione, perché è spettacolare. Vedrete che richiamo…