LALLIO – Certi articoli ti capitano tra le mani, delicati come fossero fatti di cristallo. Mentre Fabio Felline ritirava le sue nuove biciclette al Trek Store in provincia di Bergamo ci si rendeva conto di come il torinese fosse in procinto di cambiare vita. Durante quella mattinata l’ex corridore professionista faceva fatica a distaccarsi dal modo di parlare degli atleti. D’altronde non si può pretendere di voltare pagina nella propria vita come se si fosse davanti a un libro. Tante volte si usa questa metafora quando si vuole dire che una persona è davanti a un grande cambiamento. La vita, però, non gira pagina ma continua tenendo ben saldo quanto si è scritto in precedenza.
L’animo torinese
Il destino poi a volte si mette di traverso, decidendo di metterti alla prova in maniera definitiva. Così nell’inverno che lentamente ha decretato l’addio di Felline al ciclismo agonistico si è aggiunta anche la perdita di un punto di riferimento: Gianni Savio. Il “Principe” era diventato un punto saldo nella vita di Fabio Felline e del ciclismo italiano. Per anni la sua figura ha rappresentato il ponte attraverso il quale speranze di corridori provenienti da terre lontane si sono aggrappate per cercare un posto nel ciclismo che conta. Savio per Felline è stato prima un nome lontano, poi un team manager e infine cognato e nonno.
«Gianni – racconta Felline in un angolo dello store – l’ho conosciuto quando ero un bimbo, poi il nostro rapporto di lavoro si è concretizzato tra il 2011 e il 2012 dopo la chiusura della Geox-TMC Transformers, squadra in cui correvo appena passato professionista. Durante quell’inverno avevo voglia di tornare a una dimensione più piccola di ciclismo, nonostante avessi la possibilità di andare alla Liquigas. Scelsi, invece, di correre all’Androni Giocattoli con Gianni (Savio, ndr) che era la squadra di Torino e di un manager torinese».
Che anni sono stati per te?
Di quelle stagioni ho ricordi molto belli, sono riuscito a vincere quattro corse e, cosa più importante, mi sono trovato benissimo. Sono stati due anni cruciali, che mi hanno permesso di spiccare il volo verso le grandi squadre. Da lì è iniziato il mio percorso di sei anni in Trek, poi è arrivata la parentesi dell’Astana e ancora la Trek.
Cosa ti ricordi del vostro primo incontro?
Appena l’ho conosciuto ho avuto l’impressione di aver davanti un signore, di quelli che oggigiorno ce ne sono sempre meno. Si è dimostrato subito una persona di parola. La prima volta che lo vidi nell’inverno del 2011 gli dissi che sarei voluto entrare nella sua squadra. Lui mi chiese qual era il mio contratto e in nemmeno una settimana mi fece una proposta di pari livello. Avrebbe potuto farla a ribasso ma visto che alla Geox avevo firmato un contratto triennale decise di rispettarlo.
Che team manager era?
Super positivo, grintoso. Il suo motto era, prima di partire, “cattivi e determinati”, ovviamente in senso agonistico. La cosa bella era che non si abbatteva mai, cercava sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Non l’ho mai visto fare una scenata davanti ai corridori, piuttosto ti prendeva da parte e ti parlava faccia a faccia. Savio era una persona in grado di gestire perfettamente i rapporti umani e di lavoro, caratteristica che lo ha reso impeccabile.
Anni dopo è tornato nella tua vita, ma in vesti differenti.
Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 ho incontrato sua figlia, Nicoletta. Sapevo che Gianni avesse una figlia ma fino a quel momento non avevo mai avuto modo di conoscerla. Da lì si è creata quella che è stata la nostra storia personale: una famiglia con un piccolo che si chiama Edoardo, e Gianni che era suo nonno.
Dal lato familiare che “Savio” hai conosciuto?
La cosa bella è che uno nel mondo della bici lo mitizzava un po’, lui era il “Principe”. Invece era una persona da scoprire, con le sue manie ma anche le sue cose semplici. Aveva un rapporto stupendo con gli animali, di rispetto. Piccole cose che ti fanno capire l’animo buono, come andare a trovare e dar da mangiare al cavallo di sua figlia Nicoletta. Aveva anche una grande passione per i cani. Se in casa trovava una formica o un ragno non li schiacciava, ma prendeva un pezzo di carta per farli passare sopra e metterli fuori dalla finestra.
Qual è l’aspetto più bello della persona che ti porti un po’ anche dietro?
Che non si lamentava mai, non demordeva mai, a volte quasi ti infastidiva (ride, ndr) e ti chiedevi come fosse possibile che non avesse mai un problema. Aveva sempre questo lato positivo, ed è una cosa che mi ha sempre colpito perché, al contrario, io sono più brontolone. A volte anche Nicoletta mi diceva: «Dovresti prendere da mio papà sotto certi aspetti». E in qualche modo ho sempre cercato di farlo.
Invece dal lato ciclistico com’è cambiato il vostro rapporto negli anni?
Era super rispettoso, se avevo voglia di parlare lui c’era, altrimenti non si intrometteva. In passato gli ho chiesto dei consigli, anche aiuto quando ne ho sentito il bisogno. Però non era mai una figura invasiva, ma una porta a cui bussare.
C’è stato un momento in cui hai avuto l’esigenza di bussare a quella porta?
Sì, tante volte. Anche solo a fine del 2024 quando non sapevo bene cosa fare. Savio fino all’ultimo mi ha dato una mano, cercando una soluzione, oppure anche con una parola di conforto per farmi vedere il bicchiere mezzo pieno, come solo lui era capace di fare. E’ una persona che manca e che secondo me mancherà sempre di più.
Hai corso con lui in Androni, squadra che poi ha chiuso nel 2022 è stato un colpo duro?
Mi è dispiaciuto perché quella squadra è sempre stata un po’ la sua ragione di vita, nel ciclismo. Quindi sicuramente vedevi che, nonostante lui abbia sempre mantenuto la sua proverbiale positività, era un uomo che dentro di sé era stato ferito. il progetto era continuato con la Petrolike, peccato che non abbia potuto continuare a viverlo.
Il ricordo di Gianni che ti porti dentro?
Dal lato personale certi consigli dietro le quinte, quando ti diceva determinate cose. Ma quelli li voglio tenere per me. Però sapeva trovare il momento giusto per dirti qualcosa, e quando lo faceva il suo consiglio o la sua parola prendevano un valore incredibile.
Da ciclista, invece?
D’inverno capitava che mi dicesse: «Fabio, andiamo a berci una cioccolata calda?». Solo perché voleva parlarmi e chiedermi come andasse la vita, per sapere se tutto fosse in ordine. Cose d’altri tempi che nessun manager fa più. Quelli sono i comportamenti e le attenzioni per i quali rimarrà un personaggio unico.