Nel mondo del ciclismo professionistico, alcuni atleti trascendono i confini nazionali e i palmares, guadagnandosi un posto speciale nel cuore degli appassionati. Romain Bardet è senza dubbio uno di questi. Il ciclista francese, recentemente ritiratosi dal ciclismo su strada al Critérium du Dauphiné, ha ricevuto un’ondata di affetto e riconoscenza da parte di colleghi e tifosi.
Per celebrare la sua straordinaria carriera e la sua ultima partecipazione a un Grande Giro, Ursus – partner quest’anno del team WorldTour del corridore francese – ha realizzato un toccante video tributo, diffuso sui propri canali social ufficiali. Il filmato, girato durante l’ultimo Giro d’Italia, offre uno sguardo esclusivo dietro le quinte, catturando le emozioni e i momenti salienti che hanno caratterizzato la sua ultima grande corsa a tappe. Questa iniziativa rientra nel più ampio progetto di Ursus, “Behind the Race”, ideato per raccontare la sua prima stagione al fianco di un team WorldTour.
Dal 2021, dopo tanti anni trascorsi nel gruppo AG2R, Bardet è stato un punto di riferimento e capitano del Team dsm-firmenich PostNL (ora Team Picnic-PostNL), contribuendo in modo significativo ai successi della formazione olandese.
Un percorso di emozioni e successi
La carriera di Romain Bardet è stata costellata di momenti memorabili e prestazioni che hanno infiammato gli animi dei tifosi. Il suo nome è indissolubilmente legato al Tour de France, dove ha conquistato un secondo posto assoluto nel 2016 e un terzo nel 2017. Ha vestito la prestigiosa maglia a pois nel 2019 e si è aggiudicato ben quattro tappe della Grande Boucle, indossando la maglia gialla per un giorno nel 2024 al traguardo di Rimini. Sebbene non sia riuscito a riportare in Francia il tanto agognato titolo del Tour, il trentaquattrenne di Brioude ha saputo conquistare l’ammirazione generale grazie al suo spirito combattivo e alla sua integrità.
Oltre ai successi al Tour, il palmarès di Bardet vanta vittorie importanti come il Tour of the Alps nel 2022 e il Tour de l’Ain nel 2013. Ha inoltre conquistato una tappa alla Vuelta a Espana e un brillante secondo posto ai campionati del mondo di Innsbruck nel 2018, alle spalle del leggendario Alejandro Valverde. Al di là dei risultati, è stato il suo stile di corsa audace e aggressivo – sempre all’attacco, sia in salita che in discesa – a renderlo un’icona e un beniamino per generazioni di appassionati di ciclismo.
Romain Bardet ha salutato il gruppo al termine dello scorso Criterium du DauphinéeMirko Ferronato, CEO di Ursus, mentre accompagna i corridori del Team Picnic PostNL durante una visita in aziendaRomain Bardet ha salutato il gruppo al termine dello scorso Criterium du DauphinéeMirko Ferronato, CEO di Ursus, mentre accompagna i corridori del Team Picnic PostNL durante una visita in azienda
Le Proxima Team Edition
Negli ultimi mesi della sua carriera professionistica su strada, Romain Bardet ha potuto contare sulle eccellenti qualità tecniche delle ruote Ursus Proxima Team Edition. Questo modello di punta, in dotazione nel corso di questa stagione al Team Picnic PostNL, ha giocato un ruolo cruciale nelle performance della squadra, che si sta distinguendo sempre più nelle gare più importanti del circuito WorldTour. La partnership tra Ursus e il team olandese testimonia l’impegno dell’azienda italiana nel fornire prodotti all’avanguardia che supportano gli atleti ai massimi livelli, contribuendo a scrivere nuove pagine nella storia del ciclismo.
Il tributo di Ursus a Romain Bardet non è solo un omaggio a un grande campione, ma anche il riconoscimento di un atleta che ha incarnato i valori di passione, resilienza e dedizione che contraddistinguono il ciclismo. La sua assenza dalle corse lascerà un vuoto, ma il suo lascito e l’impronta indelebile lasciata nel cuore dei tifosi continueranno a ispirare le future generazioni di ciclisti.
Un Giro d'Italia è costituito anche da storie e sfide personali, che il più delle volte restano nascoste, che vive solo il protagonista. Edoardo Zardini invece la sua ce l'ha raccontata
«Ca va Bardet, Ca va Bardet», quel grido risuona nelle orecchie all’ultima edizione del Giro del Delfinato. E’ ancora più forte del solito, probabilmente perché forse non lo risentiremo. Perché Romain ha deciso di chiudere la sua carriera, a 34 anni dopo 13 stagioni da pro’. Ha voluto farlo nella corsa che ama di più, anche se nel mezzo della stagione: «E’ la mia preferita, quella dove sono andato più vicino alla vittoria e dove ho conquistato il mio primo successo importante, in una tappa nel 2015. Non potevo che chiudere qui». Con i più grandi del ciclismo odierno a fargli da contorno, da Pogacar a Vingegaard a Evenepoel, protagonisti di un ciclismo che forse non gli appartiene più.
Uno dei tanti cartelli dei tifosi all’ultimo Giro del Delfinato, dove gli hanno tributato una vera ovazioneUno dei tanti cartelli dei tifosi all’ultimo Giro del Delfinato, dove gli hanno tributato una vera ovazione
Un francese dalle mille sfumature
D’altro canto si dice sempre più spesso che il ciclismo cambia velocemente e quello dei suoi inizi, nel 2012 quando esordì all’AG2R la Mondiale, non era quello di oggi. E’ curioso il fatto che di vittorie Bardet ne ha collezionate poche ma buone, 11 in totale, di cui due in classifiche di corse a tappe (Tour de l’Ain 2013 e Tour of the Alps 2022) eppure passerà alla storia come uno specialista di grandi giri.
Non che se la sia cavata male, in fin dei conti vanta 4 tappe al Tour, una alla Vuelta, al Giro affrontato tardi in carriera si è pure distinto, ma la sua storia non è semplicissima da raccontare, soprattutto se lo si vuole identificare in uno stereotipo. Perché Bardet da Brioude (Alta Loira) è come un personaggio pirandelliano, pieno di sfaccettature. Proviamo allora a venirne a capo attraverso episodi.
Il francese in fuga all’Amstel del 2012. Il sogno vivrà fino a 10 chilometri dal traguardoIl francese in fuga all’Amstel del 2012. Il sogno vivrà fino a 10 chilometri dal traguardo
Amstel Gold Race 2012, il primo squillo
Romain, figlio di un maestro e un’infermiera, è appena passato di categoria, ma di recitare un ruolo di contorno proprio non gli va. D’altronde nelle categorie giovanili si è ben distinto, soprattutto come corridore di classiche (2° alla Liegi U23 dell’anno prima). All’Amstel dopo 40 chilometri si lancia all’attacco. E’ la fuga di giornata, figurati se va al traguardo. Sono in 7 (fra loro anche un giovanissimo Pello Bilbao), si aggiungono altri 2 e il vantaggio monta, monta fino a 13 minuti. Il gruppo si sveglia e inizia la rimonta, ma lui non molla. Mollano gli altri, lui no, tira dritto. Lo riprendono a 10 chilometri dal traguardo eppure ci crede ancora e quel 25° posto finale vale molto. Quel ragazzo ha un bel caratterino…
L’esordio al Tour 2013
L’anno dopo arriva l’esordio al Tour de France. Bardet non ha ancora vinto da pro’, ma nelle prove a tappe è sempre fra i migliori giovani e l’AG2R decide di dargli fiducia. Si parte dalla Corsica e Romain si distingue perché ha già capito che deve rimanere nelle prime posizioni, soprattutto nel finale delle tappe, poco importa che ci si scanni per la volata. Ma quando si tratta di salire, sa tenere il passo, anche se poi paga a cronometro. Alla fine è 15° in classifica, il migliore dei francesi. Poca cosa? Forse, ma intanto si capisce che quella è la “sua” dimensione.
L’attacco di Mende, dove con Pinot nasce una forte rivalità, che Bardet però ha sempre negatoL’attacco di Mende, dove con Pinot nasce una forte rivalità, che Bardet però ha sempre negato
Il Tour 2015 e “il pasticciaccio” di Mende
Ci si attende tanto da lui, la prima parte di stagione è stato tutto un lungo prologo al Tour. Ma in classifica non c’è, sui Pirenei accusa distacchi pesanti mentre Chris Froome mette subito le cose in chiaro. Il vantaggio di accusare minuti e minuti c’è, perché cominciano a controllarti di meno. Bardet inizia a pensare a riprendere vigore, è 3° a Plateau de Beille e si sente pronto per il primo centro nella Grande Boucle. Nella tappa di Mende però succede qualcosa. Va in fuga con un altro francese di belle speranze, Thibaut Pinot.
I due si studiano, si guardano, si fanno i dispetti: Steve Cummings, anziano britannico del Team MTN-Qhubeka ringrazia e li prende in contropiede. In casa sudafricana si festeggia, i due “galletti” continuano a beccarsi e la loro rivalità rimarrà a fare da contrappunto a un ciclismo francese che con loro riprende a crescere, anche se non come vorrebbe. Bardet però non si dà per vinto e alla diciottesima tappa, a Saint Jean de Maurienne coglierà la sua prima vittoria al Tour, riuscendo anche ad agguantare la Top 10 finale.
A Saint Gervais-Mont Blanc una delle sue quattro vittorie di tappa al TourA Saint Gervais-Mont Blanc una delle sue quattro vittorie di tappa al Tour
Il Tour 2016 e il podio finale
Il francese ci crede e il popolo è con lui. Che sia arrivato il momento di chiudere la lunga astinenza da maglia gialla, che risale all’epoca d’oro di Hinault? L’anno dopo Bardet si prepara pensando solo al Tour, questa volta i Pirenei non fanno male, la cronometro invece sì, accusa quasi 3 minuti da Froome. Ma d’altronde il britannico ha una corazzata, lui è un autodidatta. Sulle Alpi è un crescendo rossiniano: recupera sull’arrivo in salita di Finhaut-Emosson, va bene anche nella cronoscalata di Megève, a Saint Gervais-Mont Blanc si scatena e dà scacco matto a Mollema e Adam Yates. Sul Joux Plane controlla gli avversari, sa che Froome è troppo lontano e chiude secondo a 4’05”. I media francesi lo acclamano: «Abbiamo trovato il campione per il Tour».
Alla Grande Boucle del 2020 il ritiro dopo la caduta alla tredicesima tappa con esiti molto pesantiAlla Grande Boucle del 2020 il ritiro dopo la caduta alla tredicesima tappa con esiti molto pesanti
La terribile caduta del Tour 2020
L’anno dopo finisce ancora sul podio, ma quell’ultimo centesimo per completare l’euro non riesce proprio a trovarlo e man mano perde fiducia. Bardet ci prova, ci prova sempre. Anche nel 2020, nell’anno del folle calendario legato al covid, è lì a lottare. Alla tredicesima tappa è quarto in classifica: «Quella mattina mi sentivo alla grande – ha raccontato poco tempo fa all’Equipe – a un certo punto sono caduto e ho battuto la testa. In quel momento non ci ho neanche fatto caso, sono risalito in sella e ripartito, pensavo solo a riagganciarmi al gruppo. Ma iniziavo a non sentirmi bene, ero come in trance. Faticavo più del normale. Sono arrivato al traguardo, poi il buio più totale».
Bardet riporta una commozione cerebrale, viene naturalmente fermato: «Non facevo che vomitare con un forte mal di testa. Ci ho messo tantissimo per recuperare, fisicamente e come stress psicologico: se ti rompi un osso si riaggiusta, con il cervello è più difficile e qualcosa ti lascia». Molti dicono che qualcosa sia cambiato da allora, fatto sta che non è stato più uomo da classifica.
Il riscatto del transalpino alla Liegi 2024, dove solo lo scatenato Pogacar lo precedeIl riscatto del transalpino alla Liegi 2024, dove solo lo scatenato Pogacar lo precede
Il riscatto della Liegi del 2024
Fatto sta che l’anno dopo cambia team e lascia la Francia, approdando al Team DSM. Per molti appassionati francesi è un’onta: è come se Totti lasciasse la Roma o Del Piero la Juve (per chi crede ancora alle bandiere…). Ma lo fa con cognizione di causa: basta classifiche, meglio pensare ai traguardi singoli. Così comincia a raccogliere, vince una tappa alla Vuelta 2021, vince al TOTA 2022 e nel 2024 stupisce tutti con la piazza d’onore alla Liegi-Bastogne-Liegi. Non è che avesse ambito alla vittoria, davanti c’è Pogacar che… fa il Pogacar, ma gli altri li mette tutti in fila con un paio di attacchi vecchia maniera.
«Ho abbastanza esperienza per sfruttare le situazioni – racconterà al traguardo – è la dimostrazione che bisogna sempre crederci e che il karma sa ripagarti». Una frase che stupisce qualcuno, chi non ricorda l’episodio di due anni prima: caduta di Alaphilippe e lui che non ci pensa un attimo, butta la bici da una parte e va a prestargli soccorso. Alla faccia della rivalità…
Bardet in giallo, un sogno realizzato proprio a fine carriera in quel di RiminiBardet in giallo, un sogno realizzato proprio a fine carriera in quel di Rimini
Rimini, l’ultimo acuto al Tour 2024
Il podio alla Doyenne ha un valore, ma non è quello che davvero cerca. Come fare per mettere il sigillo alla sua carriera? A Bardet manca una cosa, colorata di giallo. Sarebbe bello conquistare la maglia di leader al Tour e se non si può fare in Francia, perché non farlo in Italia? Alla tappa inaugurale a Rimini sono tanti che la cercano ma lui ha in mente un piano e trova in Frank Van den Broek l’uomo giusto per attuarlo. Il francese attacca sulla salita di San Leo e va a prendere i fuggitivi, poi con il fidato gregario se ne va. Il gruppo è affamato al loro inseguimento, ma l’olandese è fenomenale sul lungomare scortandolo verso quel successo che gli regala il simbolo inseguito per tutta la carriera.
Il resto è un lungo, lunghissimo saluto, fino al Delfinato, sentendo sempre quel grido: «ça va Bardet». Ma chissà che non torneremo a sentirlo, perché Romain ha detto basta al ciclismo su strada, ma vuole ancora togliersi qualche sfizio sulla gravel e punta al mondiale di Nizza. E i suoi tifosi già si stanno organizzando…
Qualche foto condivisa sui social insieme al fidanzato Manlio Moro mentre si trovavano seduti sugli spalti del velodromo Ottavio Bottecchia di Pordenone. Sotto, sul cemento, giravano bambini e ragazzi di età diverse. Rachele Barbieri ha vissuto una giornata particolare, che l’ha portata a ricordare quando il ciclismo era un semplice divertimento (in apertura foto Alessia Tosoni). Quando era ancora Rachele e il ciclismo professionistico era solamente un sogno talmente lontano da essere quasi aleatorio.
«Avevamo programmato di stare qualche giorno a casa di Manlio in Friuli – racconta Rachele Barbieri – perché tra i tanti impegni e le gare era da un po’ che non tornava. Allora la società Amici della Pista ci ha contattato chiedendoci di andare a trovare i bambini e i ragazzi in pista. Avevano programmato una serie di gimkane e di gare per i più grandi. Abbiamo portato qualche maglia delle nostre rispettive squadre (Team Picnic PostNL per Barbieri e Movistar per Moro, ndr)».
Rachele Barbieri e Manlio Moro sono stati invitati dalla società Amici della Pista a passare una giornata al Velodromo Ottavio Bottecchia a Pordenone (foto Alessia Tosoni)Rachele Barbieri e Manlio Moro sono stati invitati dalla società Amici della Pista a passare una giornata al Velodromo Ottavio Bottecchia a Pordenone (foto Alessia Tosoni)
Di nuovo in pista
Per Rachele Barbieri la pista ha un significato profondo legato al ciclismo di quando si è piccoli. Tornare a respirare quell’atmosfera le ha permesso di far riaffiorare emozioni e ricordi passati.
«Tra l’altro – ci dice – qualche giorno prima di andare al velodromo di Pordenone ero tornata a girare su pista a Montichiari. Quindi in pochi giorni sono tornata davvero a rivivere certi aspetti del passato che mi hanno regalato delle belle emozioni. Vedere quei bambini girare mi ha ricordato quando ho iniziato ad andare in bici, come molti di loro l’ho fatto da piccolissima: avevo cinque anni. Quando le gambe si sporcavano con il grasso della catena, la serenità e la spensieratezza di pedalare e basta. Erano i tempi in cui il ciclismo e la bicicletta li vivevi come un divertimentocon gli amici e alle gare ti accompagnavano i genitori e i nonni».
Qualche giorno prima Rachele Barbieri era tornata a girare in pista a Montichiari dopo tanto tempo (foto Instagram/Rachele Barbieri)Qualche giorno prima Rachele Barbieri era tornata a girare in pista a Montichiari dopo tanto tempo (foto Instagram/Rachele Barbieri)
Cosa ti ricordi di quelle prime volte in pista?
Spesso da piccola ero sola perché i miei genitori lavoravano entrambi. Per fortuna il diesse della squadra in cui correvo mi veniva a prendere a casa con il furgone della società. Crescendo poi, i miei genitori mi hanno accompagnato ovunque, soprattutto nel periodo invernale in cui facevo ciclocross. Correvo in una società piccola, quelle in cui i genitori guidano il furgone o mettono a disposizione la propria macchina per la trasferta.
Come hai vissuto il rapporto sport-genitori?
Sono stati sempre al loro posto. Mi hanno dato il massimo sostegno ma senza mai mettermi pressione. Penso che questo aspetto abbia influenzato positivamente la mia crescita e la mia carriera. Sono cresciuta insieme al ciclismo e se sono diventata l’atleta e la ragazza che sono lo devo a questo sport. Si dice sempre che lo sport è una scuola di vita, ma è così.
L’evento organizzato dalla società Amici della Pista era rivolto a bambini e ragazzi (foto Alessia Tosoni)Nei giorni successivi si sono svolte anche gare riservate ai più grandi (foto Instagram/Amici della Pista)L’evento organizzato dalla società Amici della Pista era rivolto a bambini e ragazzi (foto Alessia Tosoni)Nei giorni successivi si sono svolte anche gare riservate ai più grandi (foto Instagram/Amici della Pista)
Per te in che modo lo è stato?
Mi ha insegnato a prendere un impegno e a rispettarlo. Ad avere dei vincoli e saper incastrare e programmare i diversi aspetti della mia vita, anche quando ero piccola. La scuola, poi i compiti prima di andare in bici. Insomma, magari piccoli aspetti ma che ti mettono davanti a scelte e responsabilità.
Avere a che fare con tante persone aiuta a crescere?
Ho imparato il rispetto verso gli altri. Ad esempio quando si era in pulmino o in camera con ragazzi che non conosci capisci le esigenze e le abitudini degli altri. Impari a rispettarli e a trovare un compromesso.
Rachele Barbieri vedendo i bambini girare ha rivissuto emozioni del passato, quando il ciclismo era un gioco (foto Alessia Tosoni)Rachele Barbieri vedendo i bambini girare ha rivissuto emozioni del passato, quando il ciclismo era un gioco (foto Alessia Tosoni)
Che cosa ti è venuto in mente guardando quelle biciclettine che giravano?
Mi ha colpito il fatto di vederli cadere e dopo un secondo ritrovarli già in piedi con la bici sotto braccio pronti a ripartire. Il ciclismo ti insegna a reagire a certe cose. Un bambino che non ha mai fatto sport cade e piange, loro invece pensano subito a ripartire. Una pulita con la mano al ginocchio o al gomito e via.
Ci sono delle foto in cui parli, i bambini ti hanno chiesto qualcosa di particolare?
Mi venivano a chiedere il nome. Non sapevano nemmeno come mi chiamassi. Ed è stato bello così, per loro ci sarebbe potuta essere anche la persona più importante del mondo che comunque non l’avrebbero riconosciuta. Volevano solo pedalare e divertirsi. E’ stato bello anche per me, che per un giorno sono tornata Rachele, la bambina che pedalava su quelle biciclette senza altri pensieri per la testa.
Dal Tropico del Cancro ad una stazione sciistica nel cuore dell’Europa. Dal Teide a Gstaad senza soste intermedie. Dopo più di tre settimane di altura sul vulcano di Tenerife, Marta Cavalli fa rotta sul Tour de Suisse Women, che parte domani e terminerà domenica 15 giugno.
In ritiro la cremonese della Picnic PostNL ha macinato chilometri assieme alle compagne Francesca Barale e Pfeiffer Georgi, impostando l’imminente parte centrale della stagione che sarà poi l’ingresso della seconda. Dalle sensazioni alla giornata tipo, Cavalli ci ha raccontato come arriva al prossimo foglio-firma.
Assieme a Cavalli c’erano anche Barale e la britannica Georgi. Per loro tanto lavoro seguendo i propri programmi (foto Ajona Diaz)Le tre compagne della Picnic PostNL a fine allenamento compilavano report per i coach (foto Ajona Diaz)Nel ritiro sul Teide c’erano anche Barguil, Onley e Van den Broek. Partenza con le ragazze poi le strade si dividevano (foto Ajona Diaz)Assieme a Cavalli c’erano anche Barale e la britannica Georgi. Per loro tanto lavoro seguendo i propri programmi (foto Ajona Diaz)Le tre compagne della Picnic PostNL a fine allenamento compilavano report per i coach (foto Ajona Diaz)Nel ritiro sul Teide c’erano anche Barguil, Onley e Van den Broek. Partenza con le ragazze poi le strade si dividevano (foto Ajona Diaz)
Marta come hai affrontato queste settimane di altura?
E’ sempre particolare allenarsi sul Teide. I primi giorni vanno vissuti con calma, cercando di adattarsi. Si parte sempre con uscite a battiti bassi per non stressare il proprio fisico. Abbiamo dormito oltre i 2.200 metri di quota, ma ogni settimana facevamo lavori specifici di intensità ad altitudini diverse e crescenti. Al Teide è tutto accentuato, è quindi necessario dare riscontri costanti e quotidiani.
In che modo?
Al termine di ogni giornata abbiamo fatto un report. Ci siamo sempre consultati con i coach, gli allenatori, il nutrizionista e altre figure. E’ tutto sotto controllo, di stress mentale non ne abbiamo avuto sotto quel punto di vista.
L’ultima corsa di Cavalli è stata la Liegi. Per lei finora 11 giorni di garaL’ultima corsa di Cavalli è stata la Liegi. Per lei finora 11 giorni di gara
Qual era la giornata tipo?
Sveglia e colazione naturalmente, poi si partiva in bici verso le 10. Gli allenamenti sono andati in base alla tabella che avevamo. Abbiamo alternato blocchi anche da 5 ore, con poche soste o pause caffè, ad uscite da circa 3 ore inserendo esercizi in palestra nel pomeriggio. I massaggi li facevamo solo nelle giornate di riposo, mentre negli altri giorni avevamo un programma di stretching da svolgere in autonomia, con qualche attrezzo.
Col cibo invece come eravate organizzate?
Avevamo il nostro chef che ci preparava tutto in modo personalizzato, specie il pranzo di fine allenamento. In base al lavoro che avevamo fatto in bici, era lui che ci preparava il giusto mix tra carboidrati, proteine e grassi per recuperare. Stessa cosa per la cena in vista del giorno successivo. Durante le attività del pomeriggio era previsto anche una sorta di merenda, anche quella collegata all’allenamento.
Hai lavorato su qualcosa in particolare nelle uscite in bici?
L’intenzione è stata quella di recuperare la grossa mole di lavoro che abbiamo sviluppato. E contemporaneamente velocizzare il lavoro stesso. Di base si partiva con un ritmo medio all’inizio per poi alzarlo, parallelamente alla potenza sui tratti in salita a fine allenamento per simulare un finale di gara. Su questi adattamenti le sensazioni sono sempre crescenti o andate migliorando.
Cavalli sul Teide ha dormito ad oltre 2.200 metri di quota, adattandosi all’altura giorno dopo giorno (foto Ajona Diaz)Durante il ritiro Marta ha “allenato” anche la discesa grazie alle trenate dei colleghi uomini (foto Ajona Diaz)Cavalli sul Teide ha dormito ad oltre 2.200 metri di quota, adattandosi all’altura giorno dopo giorno (foto Ajona Diaz)Durante il ritiro Marta ha “allenato” anche la discesa grazie alle trenate dei colleghi uomini (foto Ajona Diaz)
C’è stato il rischio di “monotonia” in questo ritiro?
Fare altura sul Teide significa fare quasi sempre gli stessi itinerari. Si può scendere da due versanti, nord o sud, che poi a loro volta hanno una ulteriore diramazione. Noi tre ragazze partivamo sempre assieme ai tre ragazzi del team maschile (Onley, Barguil e Van den Broek, ndr) poi ci dividevamo per seguire i nostri programmi. Tuttavia con loro abbiamo allenato anche la discesa. Ci siamo trovati in una di queste strade larghe facendo 22 chilometri di discesa a più di 65 chilometri orari di media dandoci i cambi anche a 125 pedalate al minuto. E’ stato importante curare anche questo aspetto perché impari sempre qualcosa di nuovo nel guidare la bici.
Come rientra Marta Cavalli dal Teide?
Non era la prima volta che ci andavo, ma l’anno scorso era un contesto diverso, dove stavo recuperando dall’infortunio. Personalmente ho fatto fatica all’inizio, come sempre, ma negli ultimi giorni avvertivo una gamba diversa. Le prime uscite da 3 ore mi sembravano infinite, invece gli ultimi allenamenti li terminavo bene e con buone sensazioni. L’esperienza mi ha insegnato che è meglio finire i ritiri con un po’ di margine.
Marta tornerà al foglio-firma al Tour de Suisse, poi punterà su campionato italiano in linea e Giro d’Italia WomenMarta tornerà al foglio-firma al Tour de Suisse, poi punterà su campionato italiano in linea e Giro d’Italia Women
Ti aspetti qualcosa in particolare dalle prossime gare?
Domani corro il Tour de Suisse e vediamo che riscontri avrò, senza essermi fissata alcun obiettivo. Successivamente starò a casa prima di concentrarmi sul campionato italiano in linea e sul Giro d’Italia Women. Andrò a provare la crono di Bergamo perché mi piace e perché sarà importante farla bene. Ho puntato tanto su questo ritiro. Solitamente nella seconda parte di stagione vado meglio, spero di raccogliere presto i frutti.
Elisa Longo Borghini riconquista la maglia tricolore della crono, lasciando indietro Guazzini e Cavalli. Tre Fiamme Oro sul podio. E adesso il Giro d'Italia
In occasione della seconda giornata di riposo del Giro d’Italia, lunedì 26 maggio, lo stabilimento Ursus di Rosà (Vicenza) ha ospitato una visita d’eccezione. A varcare i cancelli dell’azienda vicentina, riferimento tutto italiano operativo nella produzione di ruote ad alte prestazioni, è stata la formazione WorldTour olandese Team Picnic PostNL. Un momento carico di significato tecnico e simbolico, che testimonia il consolidarsi di una partnership di alto profilo e proietta entrambi i protagonisti verso ambiziosi traguardi futuri.
Il legame tra Ursus e il Team Picnic PostNL è relativamente recente, ma si è già rivelato estremamente proficuo. La collaborazione, nata all’inizio della stagione, rappresenta la prima alleanza World Tour per l’azienda veneta, e ha dato vita a uno scambio virtuoso di “know-how”, performance e sviluppo tecnologico. Il simbolo più evidente di questa sinergia è rappresentato dalle nuove PROXIMA Team Edition, le ruote ufficiali utilizzate dalla squadra olandese e già protagoniste di risultati di prestigio.
Durante la visita, guidata dal CEO di Ursus Mirko Ferronato, i corridori Romain Bardet, Casper Van Uden – vincitore della quarta tappa del Giro a Lecce – e Max Poole, insieme al resto della squadra e allo staff tecnico, hanno avuto modo di immergersi nel cuore produttivo dell’azienda. Il tour ha incluso la linea di montaggio, i laboratori di test e ricerca, e l’area dedicata alla progettazione, offrendo agli ospiti un’esperienza completa all’interno di una realtà che da oltre cinquant’anni è sinonimo di innovazione meccanica nel mondo del ciclismo.
Ecco i ragazzi del Team Picnic PsotNL guidati in azienda dal CEO di Ursus Mirko FerronatoEcco i ragazzi del Team Picnic PsotNL guidati in azienda dal CEO di Ursus Mirko Ferronato
Un dialogo tecnico costante
«È stato un momento inaspettato e molto gradito – ha commentato Mirko Ferronato – solitamente siamo noi a recarci presso il ritiro dei team durante le corse. Stavolta, invece, sono stati loro a chiedere di conoscere da vicino l’origine dei loro strumenti di lavoro. Un gesto che dimostra interesse e rispetto per il nostro lavoro, ma anche un segnale di quanto la nostra collaborazione sia già diventata solida. La curiosità e l’attenzione con cui hanno seguito ogni fase della produzione ci ha davvero colpiti».
Il confronto diretto tra atleti, ingegneri e tecnici ha evidenziato l’importanza del dialogo continuo tra chi corre e chi costruisce i materiali. Non si è trattato solo di una visita formale, ma di un momento di crescita reciproca. La PROXIMA Team Edition, infatti, è frutto di un lungo processo di test sul campo, con dati scientifici e sensazioni condivise tra gli ingegneri Ursus e i corridori del Team Picnic PostNL.
Gli atleti del team WorldTour olandese hanno sbirciato il processo produttivo dal quale nascono i prodotti usati poi in garaGli atleti del team WorldTour olandese hanno sbirciato il processo produttivo dal quale nascono i prodotti usati poi in gara
Innovazione, dedizione, fiducia
«La collaborazione con un team World Tour ci offre l’opportunità di migliorare costantemente i nostri prodotti – ha aggiunto Ferronato – rivelandosi un banco di prova unico, che ci consente di affinare le nostre soluzioni tecniche secondo standard altissimi. E il fatto che una squadra di questo livello scelga di venirci a trovare in una giornata di pausa dalla Corsa Rosa, ci conferma che siamo sulla strada giusta».
La visita del Team Picnic PostNL allo stabilimento Ursus non è stata solo un evento simbolico, ma il riflesso di una partnership che si fonda su valori comuni: innovazione, dedizione, fiducia. Un incontro che racconta il presente e anticipa il futuro, dove tecnologia e passione pedalano fianco a fianco verso nuovi obiettivi.
Il Giro d’Italia di quest’anno, ed attualmente nel pieno del proprio svolgimento, segna una tappa fondamentale per Ursus, azienda italiana ben attiva nella produzione di ruote e componenti per il ciclismo ad alte prestazioni. Per la prima volta, il brand di Rosà sarà difatti presente in corsa in qualità di partner tecnico ufficiale di una squadra WorldTour: il Team Picnic-PostNL. Un traguardo che arriva dopo anni di esperienza maturata al fianco di team professional e che inaugura una nuova stagione di ambizioni elevate e visione internazionale.
Ursus è entrata nel WorldTour insieme al team olandese nel 2025 e al Giro hanno già vinto una tappa #BehindTheRace è il nome del progetto che racconta i retroscena del team alla Corsa RosaUrsus è entrata nel WorldTour insieme al team olandese nel 2025 e al Giro hanno già vinto una tappa #BehindTheRace è il nome del progetto che racconta i retroscena del team alla Corsa Rosa
Alzare il sipario
In occasione di questo debutto, Ursus ha presentato #BehindTheRace, un progetto editoriale che accompagnerà gli appassionati lungo le tre settimane del Giro d’Italia – e successivamente anche durante Tour de France e Vuelta a Espana – con uno sguardo esclusivo su tutto ciò che accade dietro le quinte del ciclismo professionistico. Più di un semplice reportage: #BehindTheRace è una narrazione autentica del mondo che vive attorno alla corsa, tra tecnica, emozioni e fatica quotidiana.
Grazie all’accesso esclusivo della crew fotografica di Poci’s Pix, il progetto racconterà le dinamiche interne di una squadra WorldTour durante un Grande Giro, dai momenti di tensione nel pre-gara alle emozioni post-tappa, passando per il lavoro dei meccanici, i briefing tecnici, la gestione dello stress e il rapporto umano tra atleti e staff. Un diario visivo che vuole restituire la complessità e il fascino del ciclismo vissuto al massimo livello, su un palcoscenico globale.
Mirko Ferronato, CEO di Ursus, con Giada Borgato ambassador dell’azienda e inviata al Giro per la RAIMirko Ferronato, CEO di Ursus, con Giada Borgato ambassador dell’azienda e inviata al Giro per la RAI
In corsa con la protagonista PROXIMA
Protagonista su strada sarà anche la nuova Ursus PROXIMA Team Edition, ruota in carbonio top di gamma, pensata per le esigenze più estreme degli atleti professionisti. Leggerezza, reattività e aerodinamica si fondono in un prodotto d’élite, sviluppato per affrontare ogni scenario, dalla salita più aspra agli sprint ad altissima velocità. PROXIMA accompagnerà i corridori del Team Picnic-PostNL lungo le tre settimane di corsa, garantendo prestazioni costanti e affidabilità anche nelle condizioni più impegnative. Ogni dettaglio è stato studiato in collaborazione con gli atleti per massimizzare la performance su ogni terreno.
Il racconto di #BehindTheRace sarà articolato in tre episodi settimanali per ciascun grande Giro, pubblicati sui canali social di Ursus (Instagram e Facebook) e attraverso la newsletter ufficiale. Un’occasione unica per vivere il ciclismo professionistico da una prospettiva nuova, intima e coinvolgente, fatta di passione, sacrificio e innovazione tecnologica al servizio dello sport.
Non deve essere facile sentirsi dire ad ogni corsa in cui si presenta: «Romain, è la tua ultima gara qui». «Romain, tra poco termini la tua vita da corridore». E’ un po’ il destino di chi annuncia anzitempo il suo ritiro. E capiamo bene quando Alessandro De Marchi qualche giorno fa ci ha detto che prima di appendere la bici al chiodo c’è ancora tanto da fare.
Romain, era Bardet, chiaramente. Il francese del Team PicnNic- PostNL si appresta così a concludere la carriera. Ma vuol uscire dalla porta principale, con tutti gli omaggi del caso.
Romain Bardet (classe 1990) è pro’ dal 2012Romain Bardet (classe 1990) è pro’ dal 2012
Ultimi assalti
La Liège-Bastogne-Liège è stata l’ultima Monumento per Romain Bardet. Il francese in qualche modo è stato preso d’assalto, tanto più che lui una Liegi l’ha sfiorata. Era proprio quella dell’anno scorso.
«La Doyenne è una corsa che mi piace molto, quindi è stato bello potervi partecipare un’ultima volta». Insomma il giro dei saluti è già iniziato. Ovunque vada il francese è ben voluto. In fin dei conti è stato un pezzo importante del ciclismo internazionale e francese soprattutto.
Lui, come Thibaut Pinot, ha portato il fardello dell’erede di Hinault e di chi doveva vincere il Tour de France a tutti i costi. Una pressione che assolutamente non li ha aiutati. Nonostante tutto parliamo di un corridore che ha messo nel sacco 11 vittorie, quasi tutte di peso, due podi alla Grade Boucle e per nove volte è entrato nella top dieci dei grandi Giri. Ma soprattutto ha fatto tutto questo da scalatore e gli scalatori che vanno forte trovano sempre uno spazio nel cuore dei tifosi.
Alla Liegi una caduta lo ha messo fuori dai giochi. Nonostante tutto ci ha tenuto a concludere la corsaAlla Liegi una caduta lo ha messo fuori dai giochi. Nonostante tutto ci ha tenuto a concludere la corsa
Sotto col Giro
Ma torniamo all’attualità, a ben meno di una settimana dal via di Durazzo. Magari senza la caduta della Liegi poteva arrivare meglio al Giro, ma lui non si tira indietro.
«Per ora – ha detto Bardet – sto molto bene, non ho avuto i risultati che avevo sperato in questa prima parte di stagione, quindi ho ancora molto da fare. Ma anche per questo la motivazione non manca».
«Quali sono le risposte dopo il Tour of the Alps? Bene direi, stiamo ancora costruendo la condizione. Non sono ancora al top, ma c’è ancora un piccolo margine per crescere. Anche in squadra tutti seguono il proprio corso, quindi è positivo. Sono molto motivato all’idea di un grande programma come il Giro».
Il francese ha anche sottolineato l’importanza della terza settimana del Giro. «Attendo – ha detto il classe 1990 – particolarmente la terza settimana, con delle salite emblematiche. Voglio mostrare carattere e essere davanti in qualche modo per godermi la corsa, godermi la mia passione del ciclismo».
La prima vittoria al Tour. Era il 2015. Romain ha poi vinto anche una tappa alla Vuelta 2021. Manca all’appello quella del GiroLa prima vittoria al Tour. Era il 2015. Romain ha poi vinto anche una tappa alla Vuelta 2021. Manca all’appello quella del Giro
Sognando il tris
Quando gli facciamo notare che in Italia, soprattutto dopo le ultime stagioni in cui al Giro d’Italia è sempre stato presente, ha molti fan, lui annuisce e sorride. E’ il suo modo di ringraziare.
«Cosa puoi dire loro?», gli chiediamo. «Sono contento di poterli trovare al Giro – replica lui – in particolare la terza settimana, che si annuncia ricca di montagna. Sono contento che il mio ultimo grande tour sia il Giro e spero di raggiungere un livello molto alto. Tappe o classifica? Vedremo, sarà la strada a dircelo…»
«Di certo, abbiamo una squadra abbastanza forte per gli sprint (il riferimento è soprattutto Van Uden, ndr), e abbiamo due buone carte per la generale. Cercheremo di fare una gara piena sui 21 giorni che ci aspettano».
Stavolta neanche lo abbiamo toccato il tasto “vittoria di tappa”. E anche Romain (forse per scaramanzia) non ha detto niente in merito, ma è noto che il sogno più grande di Bardet sarebbe quello di vincerne una nella corsarosa. E’ l’unica che gli manca dei tre grandi Giri e sarebbe un modo esaltante di chiudere la carriera.
Dopo il successo della prima edizione, “Ruota Libera”, il podcast ideato e prodotto da Ursus, è tornato per una seconda stagione ancora più ricca di contenuti, ospiti e curiosità dal mondo del ciclismo. La partenza è già avvenuta, sabato 12 aprile, in concomitanza con uno degli appuntamenti più attesi dell’anno: la Parigi-Roubaix.
A condurre questa nuova avventura sarà ancora Giada Borgato, ex ciclista professionista e volto noto di Rai Sport, che guiderà gli ascoltatori in un viaggio… a ruota libera tra il presente, il passato e il futuro delle due ruote. La seconda stagione conferma lo stile diretto e coinvolgente del format, che ha saputo conquistare gli appassionati fin dalla prima puntata.
Registrato all’interno della sede Ursus di Rosà (Vicenza), “Ruota Libera” è molto più di un semplice podcast: è un progetto editoriale che riflette l’anima dell’azienda veneta, da sempre punto di riferimento nella produzione di ruote ad alte prestazioni per bici da strada, gravel e mtb. Il legame tra “Ruota Libera” e la passione per l’innovazione trova massima espressione nel 2025, anno che segna l’ingresso ufficiale di Ursus nel WorldTour al fianco del Team Picnic-PostNL, sia nella sezione maschile che femminile. Le nuove PROXIMA Team Edition, presentate alla Milano-Sanremo, sono il frutto di questa visione e accompagneranno gli atleti nelle competizioni più importanti al mondo.
Il 2025 per Ursus ha portato l’ingresso nel WorldTour con il Team Picnic PostNLLa collaborazione comprende anche la formazione femminile Il 2025 per Ursus ha portato l’ingresso nel WorldTour con il Team Picnic PostNLLa collaborazione comprende anche la formazione femminile
Con Ursus nel cuore del ciclismo
Come anticipato, la prima puntata – già disponibile online – ha avuto come protagonista Alessandro Ballan, ultimo italiano a vincere sia il Giro delle Fiandre che il Mondiale su strada. Ballan ha svelato i segreti delle Classiche del Nord, tra pavé, fatica e adrenalina, offrendo uno sguardo autentico e coinvolgente su uno dei momenti più iconici del calendario ciclistico.
La nuova stagione di “Ruota Libera” proporrà un episodio al mese, disponibile su Spotify e YouTube, con interviste esclusive a protagonisti del ciclismo professionistico e tecnico. Tra gli ospiti annunciati ci saranno: Angelo Furlan, ex professionista oggi esperto in preparazione atletica, Diego Bragato, Head of Performance della Federazione Ciclistica Italiana e Niklas Quetri, specialista in “bike fitting” e biomeccanica. Ma non solo: la seconda stagione sarà arricchita da contenuti tecnici, approfondimenti sui materiali, racconti inediti dal mondo delle corse, e uno sguardo dietro le quinte del professionismo, portando in primo piano le persone, le idee e le tecnologie che fanno girare le ruote del ciclismo moderno.
Con “Ruota Libera”, Ursus conferma il proprio impegno nel raccontare il ciclismo dall’interno, offrendo contenuti di qualità, approfondimenti tecnici e storie vere. Una visione in linea con l’evoluzione del brand, sempre più presente nei grandi eventi internazionali e al fianco degli atleti.
Il cammino prosegue e Marta Cavalli si sta avvicinando con passo regolare al ruolo di leader e alle corse che più le piacciono. Gli ordini di arrivo raccontano una parte. Il tredicesimo posto della Sanremo è stato la conferma delle buone sensazioni e anche il Fiandre, che dopo la Roubaix è la corsa che meno le si addice, per un po’ ha fornito dati interessanti.
Ora Marta è a casa. Ci rimarrà fino a domenica, poi si sposterà a Sittard, nel quartier generale del Team Picnic-PostNL, nell’avvicinamento alle corse delle Ardenne. Prima che parta siamo curiosi di avere i suoi feedback su questo avvio di stagione.
«Sta andando abbastanza bene – dice – meglio delle mie aspettative. Innanzitutto non mi aspettavo che mi inserissero addirittura nel Fiandre, una corsa veramente esigente. Abbiamo visto che negli ultimi anni ha sempre fatto tanta differenza, perché ha il chilometraggio importante e richiede tanto, inclusa una bella preparazione. La primavera italiana è andata bene, sono corse che sento particolarmente. Non ho raccolto il risultato, ma non l’ho neanche cercato…».
La Strade Bianche e le corse italiane di inizio stagione hanno riallacciato il filo con le giuste sensazioniLa Strade Bianche e le corse italiane di inizio stagione hanno riallacciato il filo con le giuste sensazioni
Come mai?
Fa parte del processo di inserimento in una nuova squadra, di reinserimento in un ambiente che è cambiato molto e che all’inizio stagione mi sembrava tanto estraneo. Invece adesso mi ci ritrovo, ho ripreso le misure, ho visto l’andamento generale e siamo nella fase in cui ambientarsi senza pretendere nulla. Per questo dico che forse è arrivato qualcosa in più e questo ci dà fiducia, quella che loro chiamano confidence, per le gare che più mi si addicono. Cioè quelle delle prossime settimane.
Che esperienza è stata il Fiandre?
Fino a un certo punto è andato bene, ma è stato duro tenere la concentrazione per quattro ore e mezza di corsa. Come alla Strade Bianche, il Fiandre è una corsa che chiede costantemente attenzione. Devi fare il settore, poi devi riposizionarti bene, fai lo sforzo, poi devi riposizionarti. Due, tre, quattro, cinque, sei volte e a un certo punto ho impattato contro questo mio limite attuale, che mi fa piacere aver incontrato.
Per prendere la misura?
Per capire dove ancora devo migliorare e dove dobbiamo lavorare come squadra e come individualità. Fisicamente non sto male, non posso dire di essere ai livelli migliori, però riesco a mantenere una buona continuità nella preparazione e questo prima o poi si tradurrà in risultati.
La nuova squadra e le nuove abitudini sono uno step ormai quasi compiutoLa nuova squadra e le nuove abitudini sono uno step ormai quasi compiuto
Qual è stata finora la difficoltà di inserirsi nella nuova squadra?
Un approccio differente con il ciclismo. Hanno un modo totalmente diverso di correre. Tengono molto a essere presenti come squadra, a posizionarmi bene, a farmi sentire coperta. C’è dietro una struttura forte creata per me e faccio ancora fatica ad abituarmi anche solo a chiedere. Non perché abbia delle pretese, ma perché il loro obiettivo è aiutarmi a essere nella giusta posizione al momento giusto. Piano piano sto prendendo l’abitudine a gestire la squadra, ad averla in mano, a dire senza essere arroganti o troppo pretenziosi quello che preferirei facessero. Mi dicono costantemente che sono lì per me e mi hanno fatto capire che, senza il loro capitano, non sarebbero niente. Che io abbia buone sensazioni o che non sia il periodo migliore, loro fanno ugualmente il loro lavoro.
Un nuovo modo di pensare?
Alla fine il bus ce l’hanno tutti. I gel e le barrette li hanno tutti e tutti hanno il top dei materiali. Invece la differenza la fai nei rapporti con le persone, con lo staff, con il direttore sportivo, la comunicazione, l’ammiraglia, il grado di responsabilità che ti danno: quelle sono le cose che poi si vedono in corsa. E sono le cose alle quali sto cercando di adattarmi.
Il passato è passato o serve come riferimento?
Non posso cancellarlo perché mi può essere utile. Mi dà esperienza e tranquillità, mentre dall’altro lato potrebbe mettermi pressione, ma quell’aspetto lo considero una storia chiusa. Sono una Marta differente, che ha padronanza della propria condizione fisica. Consapevole di non poter fare la voce grossa. Quindi, come si dice in dialetto da me: “schiscia”, che significa schiacciata, volando basso.
Freccia Vallone 2022, Cavalli si impone su Van Vleuten, pochi giorni dopo aver vinto l’AmstelFreccia Vallone 2022, Cavalli si impone su Van Vleuten, pochi giorni dopo aver vinto l’Amstel
Quale preferisci tra Amstel, Freccia e Liegi?
La Liegi! Insieme al Fiandre, è da sempre tra le mie preferite, perché è tra le più esigenti. Se però dovessi indicare la più adatta a me, dovrei dire sicuramente la Freccia Vallone. L’arrivo secco in salita: tutto o niente. Il 90 per cento della corsa che si decide sul Muro d’Huy: è quella più adatta, però d’istinto e di pancia, dico la Liegi.
Da domenica si va in ritiro con le compagne?
Esatto, nel loro Keep Challenging Center. Abbiamo degli impegni con la squadra e poi faremo un paio di ricognizioni dei percorsi, un buon modo per entrare nell’atmosfera. Quello che ho imparato è godermi un po’ di più ciò che sta attorno alla corsa. E’ un bell’ambiente, con le ragazze mi trovo bene, si lavora bene. Lontani dalle gare si trascorre un bel tempo insieme, è una dimensione che mi piace.
Ultima cosa: hai cambiato squadra, ma la bici è rimasta Lapierre.
Non me l’aspettavo. Nel primo ritiro mi avevano dato l’altra bici (una Scott, ndr), dicendomi che sarebbe stata la mia bici da allenamento. Ho iniziato a usarla, invece pochi giorni prima del ritiro ci hanno chiamato e hanno annunciato il passaggio con Lapierre. Da una parte è stata una sorpresa, dall’altra lato sono contenta perché mi sono sempre trovata bene, sia in salita che ancora di più in discesa. Abbiamo rifatto la posizione, cambiato la sella e mi trovo nuovamente benissimo. Ovviamente è un modello differente, leggermente più aerodinamico, quindi più reattivo e questo aggiunge valore a un telaio che era già buono.
Valenciana 2025, bici Lapierre e seduta in punta, posizione allungataUAE Tour del 2023, per Cavalli bici Lapierre, seduta in punta e manubrio all’altezza delle spalleValenciana 2025, bici Lapierre e seduta in punta, posizione allungataUAE Tour del 2023, per Cavalli bici Lapierre, seduta in punta e manubrio all’altezza delle spalle
In cosa è cambiata la posizione?
E’ più aerodinamica. Siccome ho sempre fatto fatica in pianura, abbiamo cercato a livello di preparazione e anche di posizionamento, di migliorare il mio coefficiente aerodinamico. Per cui sono sempre molto avanzata, ma leggermente più lunga. Un assetto molto sbilanciato in avanti, che però mi permetta, in caso di necessità, di abbassarmi ancora per essere più aerodinamica.
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