Con Dmt ID personali le tue Pogi’s: prestazioni top e stile unico

09.06.2025
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Dmt alza ancora l’asticella dell’innovazione nel ciclismo su strada con una novità che fonde tecnologia, performance e identità personale: Dmt ID. Il marchio italiano, “player” di grandissimo valore nel mondo delle calzature tecniche per il ciclismo, ha difatti introdotto la possibilità di personalizzare il suo modello di punta, la celebre Pogi’s: la scarpa sviluppata in collaborazione con il due volte vincitore del Tour de France Tadej Pogacar.

Per la prima volta, gli appassionati di ciclismo possono così configurare una scarpa di altissimo livello secondo i propri gusti e la propria personalità. Visitando la pagina prodotto sul sito ufficiale di Dmt, è già possibile accedere alla funzione “Personalizza le tue scarpe ID”, che consente di scegliere tra una vasta gamma di colori, aggiungere il proprio nome, una bandiera o un simbolo distintivo. Ogni singolo ciclista potrà così esprimere la propria unicità, mantenendo intatte le straordinarie caratteristiche tecniche della scarpa originale.

Le Pogi’s sono le scarpe disegnate e realizzate da Dmt per il campione sloveno Tadej Pogacar
Le Pogi’s sono le scarpe disegnate e realizzate da Dmt per il campione sloveno Tadej Pogacar

Massima performance, stile personale

La Dmt Pogi’s ID mantiene intatta l’anima racing che ha reso questo modello una delle scelte preferite dai professionisti del WorldTour. La tomaia è realizzata in Aeroflex Knit ultraleggero, un tessuto tecnico con base in nylon pensato per offrire il massimo in termini di traspirabilità, leggerezza e calzata adattiva. Il risultato è una scarpa comoda come un calzino tecnico, ma estremamente reattiva sotto sforzo.

A livello di sicurezza, Dmt ha introdotto una soluzione all’avanguardia: nella scarpa sinistra è difatti integrato un chip NFC che permette ai soccorritori, in caso di incidente, di accedere in tempo reale a tutte le informazioni mediche e anagrafiche dell’atleta. Grazie a una semplice app, il ciclista può registrare dati personali, gruppo sanguigno, allergie, patologie, terapie in corso e persino documenti d’identità o numeri ICE da contattare in caso di emergenza. Una funzione pensata per chi prende sul serio ogni dettaglio della propria attività sportiva.

Nelle Pogi’s sul tallone è presente un codice NFC utile in caso di incidente
Nelle Pogi’s sul tallone è presente un codice NFC utile in caso di incidente

Dettagli tecnici al servizio della velocità

La nuova Pogi’s ID conserva tutti gli elementi che hanno decretato il successo del modello originario: la tasca AeroSafe integrata per riporre i lacci e massimizzare l’aerodinamica, i lacci integrati nel design della tomaia per una tenuta sicura e minimale, la suola ventilata in carbonio Super Light, studiata per offrire la massima rigidità con il minimo peso, il sistema di chiusura a puleggia da 8 mm per una micro-regolazione precisa, la regolazione longitudinale della tacchetta per un “fitting” su misura e il peso di appena 220 grammi nella taglia 42.

La Pogi’s è molto più di una scarpa da ciclismo: è un’estensione della potenza, dello stile e dell’identità di chi pedala. Con il lancio del servizio per la loro personalizzazione, l’eccellenza tecnica si fonde con la libertà creativa. La scarpa resta quella apprezzata dai pro – da Tadej Pogacar in “primis”… – per comfort, reattività e design, ma adesso il tocco finale è nelle mani di ogni ciclista…

Dmt

Pogacar torna al Delfinato: serenità, prudenza e tanto lavoro

07.06.2025
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In qualche modo Tadej Pogacar riesce a stupire anche attraverso lo schermo di un computer. Avete presente la serenità? Beh, se non ce l’avete, possiamo dirvi che era impersonificata nel volto di Tadej. Lo sloveno, nella videoconferenza che introduceva al Critérium du Dauphiné, per tutti il Delfinato, era pacioso, tranquillo… appunto sereno. Cappellino con visiera all’indietro, la sua Colnago appoggiata a una parete bianca sullo sfondo, e via a rispondere alle domande dei giornalisti.

Una scena che ci ha colpito tanto più se pensiamo alle stesse conferenze che sempre la UAE Emirates ha tenuto al Giro d’Italia. Isaac Del Toro e Juan Ayuso, con ai lati Matxin e Baldato… pronti a supportare i due ragazzini terribili.

Tra l’altro proprio sul Giro, Pogacar ha detto che Del Toro è stato bravissimo, che ha imparato tanto da questa gara, ma si è anche svincolato alla grande.

«Ho seguito il Giro tutti i giorni. La squadra lo ha sempre supportato e lui ha quasi vinto. Siamo orgogliosi di Isaac. E’ stato bello vederli in azione. Sono accadute molte cose al Giro. Puoi prenderle da te e studiarle un po’. Magari il Delfinato potrà essere simile in alcune cose e diverso in altre… Tutti abbiamo imparato qualcosa da questo Giro».

Pogacar nella videoconferenza di oggi: pressione zero
Pogacar nella videoconferenza di oggi: pressione zero

Delfinato, a noi

Al Delfinato Pogacar mancava dal 2020. In quell’occasione, era l’anno del Covid, fu quarto, poi sappiamo come andò il Tour de France: vinse sfilando la maglia gialla al connazionale Roglic all’ultimo giorno. Quanto è cambiato da allora. Era davvero un “bimbo”. Anche le sue gambe erano ben meno formate di adesso e, se facciamo un paragone (fuoriluogo forse), anche meno formate di coetanei come Del Toro o Ayuso.

Inizia così domani la corsa che vedrà per la prima volta dall’anno scorso la sfida fra i “tre tenori”: Pogacar appunto, Remco Evenepoel e soprattutto Jonas Vingegaard. Secondo tutti, il rivale più accreditato.
Otto tappe: una facile, quattro da ondulate a ondulatissime, una crono e due tapponi di montagna a chiudere il tutto. E’ il grande antipasto del Tour de France. E tutti già si chiedono se i tre si sfideranno a gas (e viso) aperto. O se qualcuno si nasconderà mantenendo qualcosa per la Grande Boucle.

«Il Delfinato – ha detto Pogacar – è una competizione fantastica, è quasi come un Tour de France per la classifica generale. Ci saranno difficoltà, ma devo ricordarmi che vengo da un grande blocco di allenamenti. E noi qui stiamo lavorando di più per il Tour de France. Se qualcosa non va bene e non vinco questa gara, non sarà un problema, non avrò più pressione. Così come non ho la pressione della vittoria. Cercherò di gustarmi la corsa, di fare il meglio possibile e quindi cercherò di vincere. Ma se non succederà pazienza. Molte volte abbiamo visto che vincere il Delfinato non è un segnale sincero. Intanto pensiamo a iniziare bene domani».

Preparazione al centro

Gran parte dell’incontro con Tadej ha riguardato il suo approccio al Tour e di conseguenza la sua preparazione. C’è qualcosa di diverso nel suo allenamento rispetto alla doppietta Giro e Tour dell’anno scorso? Il fulcro delle domande è questo.


«L’anno scorso – spiega Tadej – avevo un piano simile al 2023. Ma poi ho avuto il problema del polso e non ho potuto allenarmi come volevo. Questa è la prima volta che esco dalla stagione piena classica. Mi sono ritrovato a Sierra Nevada abbastanza presto. Ho fatto un buon allenamento. Un allenamento di qualità. Per avere la certezza che tutto sia al meglio, vorrei avere ancora più tempo per fare altre cose: magari un giorno di più sulla bici da crono o un giorno in più per degli interval training. Ma finora il percorso è stato buono. Vediamo se ci sarà spazio per migliorare ancora un po’ o se mi potrò rilassare dopo il Delfinato.

«Ho cambiato un po’ il mio allenamento negli ultimi due anni. Non dico che questi allenamenti siano migliori, ma un po’ di novità dopo quattro anni è stata buona. Questo mi ha fatto migliorare. Non posso comparare quest’anno con l’anno scorso, perché avevo fatto il Giro. Dopo il Giro ho dovuto riposare e recuperare, poi ho fatto alcune sessioni in quota, ma di fatto mi ero già preparato per i Grandi Giri. Quest’anno invece, come dicevo, vengo dalla stagione delle classiche, quindi ho intrapreso una preparazione diversa, più esplosiva e non adatta ai Grandi Giri. Poi siamo stati a Sierra Nevada, dove c’erano la maggior parte dei team. Avremmo potuto fare una gara! Tra l’altro è stato molto caldo, quindi abbiamo avuto un buon adattamento a quel che ci aspetterà».

Pogacar torna al Delfinato cinque anni dopo la sua prima ed ultima apparizione. Era il 2020 e terminò quarto. Guardate quanto è cambiato da allora
Pogacar torna al Delfinato cinque anni dopo la sua prima ed ultima apparizione. Era il 2020 e terminò quarto. Guardate quanto è cambiato da allora

Tra prudenza e duelli

Oltre alla tranquillità, Pogacar ci ha un po’ sorpreso con il suo insolito realismo. Vale a dire che dall’anno scorso ha fatto solo una corsa a tappe, il UAE Tour a febbraio. Questo, per uno come lui, può significare anche zero, tuttavia è un fatto. E il livello dei competitor non è stato certo fermo nel frattempo.

«Devo ridurre la mentalità che ho di vincere questa gara – sembra quasi frenare se stesso, Tadej – perché non faccio una corsa a tappe da mesi. E’ un approccio completamente diverso. Ma sapete il motivo per cui l’ho fatto? Perché voglio sperimentare cose nuove e non fare sempre la stessa cosa, altrimenti credo che non durerei molto. Questo è il principale motivo.
«Anche fare gare differenti è stato importante, questo fa esperienza. Corse diverse, velocità diverse, tattiche diverse e tanti tipi di terreni. Parigi-Nizza, Catalunya, Paesi Baschi, Delfinato, Svizzera… questo tipo di gare hanno più o meno sempre lo stesso risultato. Le classiche invece sono più interessanti, secondo me».

Infine eccolo finalmente parlare anche dei suoi avversari. Se con Remco, Tadej ha incrociato le ruote nelle Ardenne, con Vingegaard la sfida manca da undici mesi, proprio dal Tour.

«Sono davvero entusiasta – ha detto Pogacar – di rincontrarlo. Jonas sembra in buona forma, è ciò che ho visto in ritiro (anche Vingegaard era a Sierra Nevada, ndr), quindi penso che possiamo aspettarci che sia ad un livello davvero buono. Sono davvero contento di vederlo, perché ha avuto un’esperienza difficile. Possiamo combattere io e lui, ma non devo dimenticare gli altri. La sfida non si concentra solo su Jonas, ma anche su altri atleti, come Remco per esempio. Spero che sarà divertente vederci in TV. Speriamo di avere delle grandi battaglie sulle salite e non solo. Vedremo cosa succederà da domani».

Delfinato in vista: come lo affrontano i tre big. Parla professor Nibali

02.06.2025
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Il Giro d’Italia si è concluso da meno di 24 ore ed è già tempo di guardare avanti al Tour de France. Ma per farlo bisogna passare dal Critérium du Dauphiné, per tutti il Delfinato, l’antipasto storico della Grande Boucle, che scatterà l’8 giugno da Domerat. Quest’anno sarà un antipasto ancora più gustoso, in quanto saranno presenti i tre maggiori contendenti alla maglia gialla: Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard e Remco Evenepoel

Ma come si affronta un Delfinato quando poi il grande obiettivo termina un mese abbondante dopo? E soprattutto, come lo si affronta quando ci sono tutti i tuoi rivali? Ne abbiamo parlato con un ex corridore che di Tour se ne intende: Vincenzo Nibali. 

Il Delfinato è ricco di salite dure. Salite che spesso si affrontano al Tour che verrà
Il Delfinato è ricco di salite dure. Salite che spesso si affrontano al Tour che verrà
Cosa significa per uno che, ovviamente come te, doveva vincerlo il Tour, andare al Delfinato? Come ci si va?

Il Delfinato è un passaggio. Un passaggio quasi obbligato per andare verso il Tour de France, un po’ perché a volte ricalca il percorso del Tour stesso e quindi hai anche modo di studiare in corsa le strade, e poi soprattutto perché vedi come sono messi i tuoi rivali dal punto di vista della condizione. Vedi quello che è un pochino più indietro, quello che è con i tempi giusti, quello che invece è già in super condizione e forse è un po’ troppo avanti. 

Che ricordi hai dei tuoi Delfinato?

Sono state occasioni che ho sofferto maledettamente, perché comunque lo affrontavo dopo un periodo di altura. Avevo bisogno di metabolizzare il lavoro e quindi facevo fatica. In alcune occasioni invece sono andato molto bene. Però diciamo che, a prescindere da come va, non c’è da fasciarsi troppo la testa perché poi l’appuntamento clou rimane comunque il Tour de France. 

Chiaro…

Prima ho parlato delle strade. Un aspetto molto importante è prendere confidenza con quel tipo di percorsi e di tattiche. Con quello che troverai lungo le strade, abituarsi al modo di correre francese… sempre un po’ particolare e… scattoso. E’ un antipasto del Tour, insomma. 

Bisogna arrivarci in condizione oppure si può anche non essere al top?

Oggi è molto importante arrivare in condizione in una gara che sicuramente potrebbe essere meno importante, ma che poi meno importante non è. Mi spiego: al Delfinato capita molte volte che si vada più forte del Tour de France. 

Non sei il primo che lo dice…

Davvero si va più forte. Qualcuno deve guadagnarsi il posto… E’ dunque un riferimento importante. Si cominciano a vedere un po’ di numeri importanti sul computerino. E quelli sono molto indicativi, si prendono dati importanti. Perché se trovi corridori che vanno fortissimo già dal Delfinato, è normale che poi prima o poi caleranno. Almeno si spera… Ci sono invece squadre che hanno già programmato tutto il team per il Tour e prendono davvero il Delfinato come un avvicinamento. E questo è stato spesso il mio caso. 

Raccontaci…

Sapevo da tempo cosa dovevo fare e con chi. Pertanto lo affrontavo per migliorare la condizione, tanto è vero che dopo il Delfinato inserivo un altro blocco di lavoro in altura. Magari media altura, ma era un completamento di preparazione, di un programma. 

Tra pochi giorni vedremo tutti e tre i maggiori contendenti del Tour impegnati al Delfinato: cosa ti aspetti da loro? Ognuno seguirà il proprio programma o si punzecchieranno?

Non è facile da dire. Loro sono stati tantissimo fuori gara. Quello che più di tutti è rimasto fuori gara è stato Remco per i suoi problemi legati all’infortunio. Pogacar, lo sappiamo, può rientrare anche il giorno prima senza aver mai corso e andare forte. Vingegaard invece per me è da valutare e per me è quello più pericoloso, se non altro per capire come arriverà a questo appuntamento. 

Lo scorso anno vinse Roglic (in giallo), sembrava dominasse ma nell’ultima tappa rischiò di saltare
Lo scorso anno vinse Roglic (in giallo), sembrava dominasse ma nell’ultima tappa rischiò di saltare
Questo ciclismo corre tantissimo e, anche se sono passati pochi anni, è diverso dai tuoi tempi il Delfinato attuale?

Oggi è diverso il modo di correre, perché sono state affinate le tecniche di allenamento. Ormai sappiamo tutti che i carboidrati, l’alimentazione, i materiali fanno una grandissima differenza. Se ne parlava anche al Giro con gli stessi corridori. Abbiamo visto le medie altissime, specialmente nelle prime ore. Basti pensare che nella tappa del Mortirolo, a fine discesa, avevano 38 di media, una media altissima. È vero che le bici sono più veloci, è vero che l’abbinamento è molto più tecnico, però alla fine la devi spingere, devi pedalare. Resta dunque valida l’idea che non ci si debba arrivare troppo in forma.

Lo vince uno dei tre? E chi secondo te?

Non lo so, perché a volte vengono fuori anche degli outsider, ma credo che Pogacar vorrà far vedere sin da subito chi comanda. 

Qual è il tuo aneddoto del Delfinato, Vincenzo?

Difficile ricordare! Forse non c’è un aneddoto particolare, ma dire tutto il mio primo Delfinato. Lì mi sono reso conto che era qualcosa di diverso: era duro, era difficile ed ero mi trovavo sempre staccato. Ero giovane e avevo un mal di gambe pazzesco. Vedevo i campioni vicino a me che lottavano e prendevano, come ho detto, i vari riferimenti per il Tour de France, su grandi salite come Croix de Fer, Télégraphe… E io facevo tanta, tanta fatica!

Tadej Pogacar e Continental: una partnership a lungo termine

30.05.2025
3 min
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Il campione del mondo e vincitore del Tour de France, Tadej Pogacar, ha recentemente ufficializzato una collaborazione a lungo termine con Continental, storico marchio tedesco attivo nel settore della produzione degli pneumatici. Un’alleanza che nasce da valori condivisi: eccellenza prestazionale, sicurezza e rispetto reciproco tra tutti gli utenti della strada, automobilisti e ciclisti.

A soli 26 anni, Tadej Pogacar è già considerato un talento generazionale. Con la sua determinazione e la sua visione globale dello sport, il fuoriclasse sloveno incarna perfettamente la filosofia di Continental: superare i limiti, ma sempre in modo consapevole e responsabile. «Le prestazioni di alto livello non derivano solo dal talento ha dichiarato lo sloveno – ma da un costante desiderio di miglioramento. Io e Continental condividiamo la stessa ambizione: sfruttare al massimo ogni possibilità, nello sport come nello sviluppo tecnologico. Questa collaborazione è stata una scelta naturale. Come ciclista professionista so quanto sia fondamentale potersi fidare degli pneumatici. Senza l’attrezzatura giusta, non sarei il corridore che sono oggi».

Tadej Pocagar pedalerà con pneumatici Continental nel prossimo futuro
Tadej Pocagar pedalerà con pneumatici Continental nel prossimo futuro

Sicurezza e prestazioni: su due e quattro ruote

Che si tratti di auto o biciclette, la sicurezza rimane una priorità assoluta. Continental è da anni sinonimo di affidabilità: i suoi pneumatici ad alte prestazioni garantiscono grip, stabilità e controllo in ogni situazione, dal traffico cittadino ai percorsi di gara più impegnativi.

Continental, già protagonista nel mondo delle corse automobilistiche e ciclistiche, rafforza così la propria presenza nel ciclismo professionistico, affiancando uno degli atleti più completi e influenti dell’era moderna. La nuova partnership si fonda su un messaggio chiaro: promuovere la convivenza tra tutti gli utenti della strada. 

Continental non è un nome nuovo nel mondo delle due ruote. Al Tour de France, tutte le auto di supporto ufficiali sono dotate dei suoi pneumatici. Inoltre, numerose squadre di vertice – inclusa la vincitrice dell’edizione 2024 – corrono con pneumatici Continental. L’azienda è anche sponsor ufficiale del Giro d’Italia, equipaggiando l’intera flotta di supporto con i suoi prodotti per garantire sicurezza durante i 3.000 chilometri di gara.

In questo momento il campione del mondo in carica sta preparando uno degli appuntamenti più importanti della stagione: il Tour de France
In questo momento il campione del mondo in carica sta preparando uno degli appuntamenti più importanti della stagione: il Tour de France

Tadej Pogacar: oltre il campione, un modello

Dal 2019 con la UAE Team Emirates-XRG, Pogacar ha riscritto la storia del ciclismo moderno. Nel 2024 ha centrato un’impresa epocale: vincere Giro d’Italia, Tour de France e Mondiali su strada nello stesso anno, oltre a conquistare classiche come Strade Bianche e Liegi-Bastogne-Liegi. Solo due atleti nella storia sono riusciti in una simile impresa.

Ma il suo impatto va oltre i risultati sportivi. Con la Pogi Team Foundation sostiene difatti i giovani talenti sloveni, dimostrando di avere a cuore il futuro del ciclismo. Fuori dalle corse, è un’icona autentica, capace di ispirare milioni di fan con la sua semplicità e passione anche per le auto sportive ad alte prestazioni.

La sua collaborazione con Continental non è soltanto una strategia di marketing: è una dichiarazione d’intenti. Una visione condivisa che mette al centro la sicurezza, l’innovazione e il rispetto sulle strade di tutto il mondo.

Continental

Pogacar e VDP al vaglio di De Vlaeminck, maestro severo…

25.05.2025
6 min
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E pensare che lo consideravano un burbero, uno strafottente. Ma dove lo trovi un campione che in una domenica pomeriggio di Giro d’Italia prende il cellulare e ti chiama da migliaia di chilometri di distanza, guardando anche lui la corsa rosa e si mette a chiacchierare amabilmente? Lui è Roger De Vlaeminck, “monsieur Roubaix, considerato ancora oggi un maestro delle Classiche. Uno dei tre capaci di fare il Grande Slam, vincendo tutte e 5 le Monumento.

«Io sono sempre stato onesto – sorride – ho sempre detto tutto con sincerità senza ipocrisie. Mi criticano perché dico che quasi tutti i campioni di oggi ai miei tempi non avrebbero vinto una corsa. Ma pensate che anche gli altri, anche lo stesso Eddy Merckx non pensino la stessa cosa? E’ che per quieto vivere non lo dicono, ma io a 78 anni non devo rendere conto a nessuno…».

L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx
L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx

Passista veloce? No, molto di più…

Non è un’intervista, quella che prende il via guardando le imprese della carovana rosa è più una chiacchierata fra presente e passato. De Vlaeminck è stato capace di vincere 3 Sanremo, 4 Roubaix, 2 Lombardia più un Fiandre e una Liegi. L’esempio del ciclista completo, eppure tutti, pensando a lui lo ricordano come un semplice passista veloce.

«Passista veloce io? Ma io vincevo anche le crono, ho battuto gente come Moser contro il tempo. Sai qual è la vittoria più bella per me? Non è una classica, ma il Giro di Svizzera del 1975 perché in un giorno battei Merckx 3 volte: in linea, a cronometro e nella classifica finale. Eddy era un riferimento per tutti: con lui in gara non c’era bisogno di fare strategie, bastava seguirlo e se ne avevi, provare a batterlo. A me riuscì, anzi quando completai la mia collezione con il Fiandre del ’77 avrei voluto che secondo fosse lui, non Teirlinck».

De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)
De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)

Quel Giro perso per la sella…

Eppure pensare a De Vlaeminck vincitore del Lombardia sembra quasi una contraddizione in termini: «Ma l’ho fatto due volte, nel ’74 e ’76. Non ero proprio negato per le salite, solo che nel mio curriculum non ci sono Grandi Giri. Io però penso che il Giro d’Italia del ’75 avrei anche potuto vincerlo, se non è successo è a causa di un errore di  un meccanico, che nella quarta tappa mi alzò la sella di un paio di centimetri. Col risultato che mi vennero i crampi sulla salita di Prati di Tivo e persi 4 minuti. Vinsi 7 tappe e su 23 in totale fui fuori dai primi 8 solo due volte. Avevo una gamba eccezionale e nel Giro di Svizzera successivo lo dimostrai».

Ma c’è anche un’altra ragione: Roger era figlio di un ciclismo dove si pedalava sempre, si era al top all’inizio come alla fine della stagione. Un po’ come avviene oggi: «Non facciamo di questi paragoni. Uno solo è di quel tipo e si chiama Tadej Pogacar. Lo sloveno mi piace, emerge dappertutto, a marzo come a ottobre. Si vede che ha fame di successo. Gli altri? Confermo quel che ho detto, non avrebbero vinto una corsa ai miei tempi».

Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…
Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…

Giudizi impietosi sul ciclismo di oggi

Neanche Van der Poel? «Van der Poel lo vedi emergere nelle classiche, fa la volata e vince, ma poi? Dove lo vedi più? Come va a cronometro? E quando la strada si rizza sotto le ruote? Non è completo, sicuramente la Roubaix sa interpretarla, ma d’altronde è un campione del ciclocross. Anch’io facevo ciclocross, ho anche vinto il mondiale del ’75. Ne facevo 15 proprio per preparare la stagione su strada e anche lì c’era gente forte. Correvo senza particolare preparazione, soprattutto per guadagnare, eppure ne ho vinti 112…».

Su un aspetto, De Vlaeminck è particolarmente “battagliero”: «Tutti paragonano Pogacar a Merckx, ma c’è una cosa profondamente diversa: la caratura degli avversari. Eddy aveva veri campioni che lo contrastavano e che non hanno vinto e sono diventati celebri come avrebbero potuto proprio perché c’era lui che si prendeva tutto. Oggi Tadej chi ha come rivali?».

Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)
Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)

L’assenza di campioni italiani

Eppure si dice sempre che questa è l’epoca d’oro del ciclismo, quella fatta di grandi fenomeni… «Tutti settoriali. Vingegaard lo vedi al Tour e basta, se va bene magari emerge in un altro Grande Giro e qualche corsa a tappe, ma nelle classiche dov’è? Van Aert si sta spegnendo, Evenepoel gareggia col contagocce. Pogacar mi piace perché fa tante corse e le fa sempre al massimo. Lui ha lo spirito che avevamo noi».

E’ un ciclismo che ti piace? «No, per nulla, lo trovo noioso. Alla Roubaix si sapeva che ce n’erano solo due che potevano vincere, alla Sanremo tre perché c’era anche Ganna. Il ciclismo di oggi soffre molto l’assenza degli italiani, cinquant’anni fa ce n’erano almeno 15 fortissimi, che potevano vincere dappertutto, oggi tolto Filippo a cronometro chi c’è? Ve lo posso assicurare: vincere contro Gimondi, Moser e Saronni non era per nulla facile…».

Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78
Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78

Tadej e un Grande Slam legato alla fortuna

Pogacar e Van der Poel sono a due vittorie dal Grande Slam, potranno farcela? «Tadej penso di sì, è il migliore in tutte le corse, tra Sanremo e Roubaix avrà solo bisogno di un po’ di fortuna, soprattutto nella prima che è più difficile da interpretare. VDP no, lui è solo per le Classiche del Nord. Lo vedi tra Sanremo e Roubaix, poi diventa uno dei tanti».

Rispetto ai suoi tempi però quel che è cambiata profondamente è la preparazione: «Io non credo che tanti si allenino più di quanto facevamo noi. Io dopo la Gand-Wevelgem, che allora era l’antipasto della Roubaix, facevo altri 140 chilometri, arrivando a 400 a fine giornata. E per allenarmi per bene per la Roubaix, con mio fratello Erik (7 volte iridato di ciclocross, ndr) andavamo in campagna cercando i contadini che avevano appena passato il trattore sul campo e pedalavamo il più possibile dentro il solco. Oppure andavamo sui binari dei treni, per acquisire maneggevolezza della bici. Dicevano che in bici ero il più elegante, adesso sapete perché…».

Pogacar e Vingegaard: da Sierra Nevada strade parallele…

24.05.2025
5 min
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Qui si lotta sulle strade del Giro d’Italia, ma il resto del ciclismo non si ferma. C’è chi corre nel Nord Europa, chi lo fa in Estremo Oriente e chi invece nel Sud dell’Europa si sta allenando. Parliamo dei primi due pretendenti alla prossima maglia gialla: Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard. Sloveno e danese, per ironia della sorte o forse semplicemente per qualità dell’altura, sono entrambi a Sierra Nevada, nel sud della Spagna.

E’ lì che stanno costruendo il rispettivo Tour de France. E’ lì che si sono persino incrociati in allenamento, ma non si sono parlati. Da quel che si sa, uno procedeva in un senso e l’altro nella direzione opposta. E come stanno andando le cose?

Pogacar a Sierra Nevada: resistenza ma anche tanta intensità (screenshot a video su X)
Pogacar a Sierra Nevada: resistenza ma anche tanta intensità (screenshot a video su X)

Casa UAE

Partiamo dalla UAE Emirates di Pogacar. Come sempre, il campione del mondo è parso il ritratto della felicità: sereno, tranquillo, fa il suo e ride. Emblematico il video che ha pubblicato lui stesso qualche giorno fa, mentre giocava col vento e la sua Colnago alla soglia dei 2.500 metri di quota.

«Tadej è Tadej – sorride Mauro Gianetti, quando ci spiega come procedono i lavori del suo corridore – Viene da un ottimo inizio stagione, quindi è rilassato. Allo stesso tempo però è concentrato sul Tour. Sa bene, e lo sappiamo anche noi, che Vingegaard ci arriverà molto agguerrito, molto forte. Per questo sta lavorando seriamente, ma soprattutto serenamente».

Dopo le classiche, Pogacar si è fermato una settimana precisa: una pausa di riposo e relax, anche e soprattutto mentale. La doppietta Roubaix-Amstel non è stata uno scherzo neanche per lui.

«Vero – dice Gianetti – dopo la primavera ha fatto una settimana di stacco per poi ricominciare pian piano. I primi giorni a Sierra Nevada sono stati molto tranquilli in termini di allenamenti, adesso invece sta lavorando sodo per arrivare al Delfinato in buona condizione. Il Delfinato servirà a fare una rifinitura».

Per la precisione proprio in questi giorni Pogacar è tornato a casa a Monaco. Si è allenato anche con il suo amico e pilota della Williams, Carlos Sainz.

Vingegaard a Sierra Nevada ha utilizzato anche la bici da crono (foto da X)
Vingegaard a Sierra Nevada ha utilizzato anche la bici da crono (foto da X)

Casa Visma

Vingegaard ha affrontato un calendario di gare molto limitato, con solo una trasferta all’Algarve e la Parigi-Nizza abbreviata a causa di un incidente. La sua permanenza in Francia è stata interrotta da una caduta con conseguente commozione cerebrale, che gli ha fatto saltare anche il Catalunya di marzo.

Si sta allenando in quota insieme a diversi compagni della Visma-Lease a Bike, tra cui Matteo Jorgenson, Sepp Kuss, Victor Campenaerts e Tiesj Benoot. Qui a parlare è stato direttamente Vingegaard.

«Ora sto meglio – ha detto il danese – la caduta di quest’anno è stata uno scherzo rispetto a quella della primavera 2024. E’ avvenuta a 15 all’ora in salita. Però mi ha creato non pochi problemi. Rimanevo sveglio per circa un’ora e poi dovevo dormire. E’ stato così per i primi tre-quattro giorni. Poi sono migliorato e già pochi giorni dopo l’incidente sono risalito in bici, ma dopo solo un’ora avevo mal di testa e nausea e mi sono dovuto riposare. A quel punto poi non sono più salito in bici per qualche giorno. Dal punto di vista mentale è stata comunque difficile da affrontare. Anche per questo ora sono ancora più motivato nel tornare in gara, perché mi sono perso anche il Catalunya. Sono più determinato che mai».

Vingegaard e Pogacar all’ultimo Tour. I due arriveranno alla prossima Grande Boucle rispettivamente con 18 e 22 giorni di corsa
Vingegaard e Pogacar all’ultimo Tour. I due arriveranno alla prossima Grande Boucle rispettivamente con 18 e 22 giorni di corsa

Tadej a Isola 2000?

Entrambi si incontreranno al Delfinato. I due non corrono uno contro l’altro dal giorno di Nizza, finale dell’ultimo Tour, che era per giunta una crono. La corsa francese è un passaggio quasi obbligato per il loro programma. Il Tour de Suisse avrebbe significato un approccio al Tour leggermente diverso e più breve in termini di recupero.

«Dopo il Delfinato – riprende Gianetti – Tadej tornerà in altura, credo a Isola 2000, ma questo deve ancora essere definito per bene. Per adesso sta facendo un lavoro in crescendo, come dicevo. Ha lavorato sulle salite lunghe, sulla forza, sulla resistenza: quello che serve dopo una primavera in cui aveva fatto un lavoro più specifico per le classiche, con più lavori di esplosività».

Abbiamo chiesto a Gianetti se questo tipo di lavoro comporti anche un leggero cambiamento fisico: vedremo un Pogacar più magro?

«Sì, ci sta che cambiando un po’ lavoro si perda quel chiletto, ma non perché lui debba dimagrire. Semplicemente, in quel momento serviva più forza. E’ una conseguenza del lavoro che deve fare, quindi è molto probabile che al Tour sia più leggero rispetto alle classiche. Poi è chiaro che il fisico è quello, non è che lo puoi stravolgere. Stiamo parlando di dettagli, ma dettagli che a questo livello diventano importanti».

Il danese è parso super motivato: «La primavera di Pogacar? Mi ha impressionato, ma non vuol dire che al Tour sarà così forte»
Il danese è parso super motivato: «La primavera di Pogacar? Mi ha impressionato, ma non vuol dire che al Tour sarà così forte»

Vingegaard a Tignes

Ancora Vingegaard: «Al momento so di non essere ancora al mio miglior livello, ma questo è il motivo per cui sono qui sulla Sierra Nevada ad allenarmi. Spero di riuscire a raggiungere un livello che non ho mai raggiunto in passato. Se dovessi riuscirci, sono sicuro di poter lottare per vincere il Tour».

Da quel poco che si è visto, anche Vingegaard sta intensificando i lavori. Ci sono alcuni video in cui è impegnato a fare degli scatti.

Una piccola differenza fra i due è che, per adesso almeno, Vingegaard ha già fatto delle ricognizioni sulle tappe chiave della Grande Boucle, mentre Pogacar ha visionato la crono di Caen (ma qualche tempo fa). Il capitano della Visma è andato sul Col du Soulor e ad Hautacam, quindi in ricognizione della dodicesima tappa. Ha percorso anche la frazione numero 14, il tappone pirenaico con Col de Peyresourde, Col du Tourmalet, Col d’Aspin e il finale in salita di Superbagnères.

Dopo il Delfinato, i due saranno di nuovo “vicini di casa”: Vingegaard e compagni, stavolta con la squadra al completo, andranno a Tignes, sulle Alpi francesi.

KR4 PJ Junior, le scarpe per i Pogacar di domani

21.05.2025
3 min
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Che Tadej Pogacar abbia fatto breccia nel cuore e nell’immaginario dei tifosi più giovani è ormai fatto noto, ne abbiamo parlato anche noi raccontando la bella storia di Petra.

Questo aspetto non è sfuggito a Dmt, l’azienda che fornisce le scarpe al campione sloveno, che ha deciso di presentare le KR4 PJ Junior, un modello pensato per i campioni di domani.

Il design riprende quello classico delle scarpe del campione sloveno, a partire dalla chiusura con i lacci
Il design riprende quello classico delle scarpe del campione sloveno, a partire dalla chiusura con i lacci

Stesso stile del campione

Le KR4 PJ Junior riprendono lo stile delle scarpe create da Dmt per Pogacar: bianche e con la chiusura a lacci, la più evidente caratteristica. Gli aspetti tecnici sono, naturalmente, meno esasperati rispetto a quelli che si trovano nei modelli top di gamma, ma restano comunque di buon livello, anzi ottimo considerando che si rivolgono a ciclisti in erba.

La tomaia è in rete mesh, leggera, traspirante e che si asciuga velocemente, per pedalare comodamente anche e soprattutto nelle giornate estive. La suola è in nylon, quindi rigida ma non in maniera esagerata, e provvista di prese di areazione sia nella parte anteriore che in quella centrale.

Un fumetto con Hulk in giallo rende le KR4 PJ Junior ancora più accattivanti per i più giovani
Un fumetto con Hulk in giallo rende le KR4 PJ Junior ancora più accattivanti per i più giovani

Fumetto di Hulk-Pogacar, un supereroe ai propri piedi

Sappiamo che Pogacar ama attaccare sul manubrio uno sticker di Hulk, il suo supereroe preferito. Essendo le KR4 PJ Junior delle scarpe pensate per i ragazzini, in Dmt hanno deciso di ispirarsi a quel personaggio per rendere questo modello unico. 

Nella parte interna è stato stampato un Hulk in versione Pogacar, con tanto di maglia gialla e ciuffetto che sporge dal casco. In questo modo durante le loro pedalate i campioni di domani avranno sempre un supereroe al loro fianco (cioè, ai loro piedi).

La linguetta in microfibra, assieme alla tomaia in mesh, garantiscono un’ottima calzata
La linguetta in microfibra, assieme alla tomaia in mesh, garantiscono un’ottima calzata

Altri dettagli, taglie, peso e prezzo

La comodità della calzata è garantita – oltre dalla chiusura con i lacci – anche dalla linguetta in microfibra che si adatta a tutti i tipi di piede. In più, come le scarpe “dei grandi” la tacchetto posteriore è intercambiabile. Le taglie vanno dal 35 al 39, e il peso è  di 195 grammi (per la misura 36). Il prezzo delle KR4 PJ Junior indicato nel sito di Dmt è di 119 euro 

Dmt Cycling

Senza Pogacar, al Giro per vincere. Il punto con Nibali

08.05.2025
6 min
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TIRANA (Albania) – Vincenzo Nibali nei panni di ambassador ci sta davvero bene. Si muove con la sicurezza del leader, mai una parola di troppo e l’acutezza di sempre nel valutare le situazioni. Sta per iniziare il terzo Giro senza di lui e mai gli sentirete dire che si è portato dietro qualche rimpianto. A differenza di quelli che smettono per sopraggiunti limiti nervosi, il siciliano ha scelto la data e si è fermato dopo aver dato davvero tutto. Lo incontriamo nel quartier tappa mentre stanno per arrivare i protagonisti per la conferenza stampa di rito. Sta finendo di raccontare all’inviato di Marca l’importanza che il ciclismo ha avuto nella sua vita. Racconta che se non avesse sfondato nel ciclismo, avrebbe intrapreso la carriera del fisioterapista. E poi rivendica con orgoglio il suo ruolo nell’approfondire la ricerca in tema di allenamento e preparazione. Il ciclismo spaziale di questo tempo è iniziato nel suo e in qualche modo è bello tenerlo a mente.

La riflessione che gli proponiamo parte dall’assenza di Pogacar e dal fatto che quando lui non c’è, gli altri corridori sanno di poter vincere e vanno al via con idee ben più bellicose. Se oggi al tavolo dei contendenti ci fosse stato lo sloveno, avremmo assistito a una sfilata di omaggi e distinguo. Invece, pur non lanciandosi in proclami roboanti, per mezz’ora abbiamo avuto la sensazione di avere davanti un plotone di sfidanti con concrete possibilità di vittoria.

Il quartier tappa del Giro 2025 a Tirana si trova nel Palazzo dei Congressi
Il quartier tappa del Giro 2025 a Tirana si trova nel Palazzo dei Congressi
Quando non c’è “Taddeo” si può pensare anche di vincere?

“Taddeo” è il cannibale del momento, è fantastico. Vince e stravince, non c’è niente da dire. Quando attacca da così lontano ti lascia a bocca aperta. Anche io a mio modo sono stato un precursore in questo senso. Magari non partivo a 100 dall’arrivo, però l’idea di attaccare da lontano l’ho sempre avuta. Quando non c’è Tadej, sono tutti più tesi e cercano di capire cosa potranno fare. Se Pogacar blocca la giornata sbagliata, allora magari qualcosa può cambiare. Sempre che quando ha la giornata sbagliata, fa secondo o terzo».

E allora che Giro sarà questo senza Pogacar?

Molto aperto, molto, molto complicato. Ci sono delle tappe che possono essere trabocchetti. Il Giro non è mai semplice, ho parlato anche con dei direttori sportivi. Con Bramati, con Tosatto che ha dei corridori molto interessanti. Quando si parla di Giro non è mai semplice, e l’ultima settimana è dura davvero.

E’ il terzo Giro senza di te, t’è rimasto qualcosa del corridore addosso oppure hai chiuso bene la porta?

Non ho rimpianti, veramente non ne ho. Ne ho avuti pochissimi in vita mia, perché quello che ho fatto l’ho sempre fatto con grande voglia e volontà. Ora vivo il ciclismo da un punto di vista diverso da quello dell’atleta. Lo vivo da fuori, ma sono sempre molto vicino ai ragazzi e ogni tanto pedalo anche con loro, come si può vedere anche dai social. L’altro giorno ero con Bettiol, capita di uscire con Ulissi, con Pippo Ganna e altri come Honoré. E’ bello scambiarsi opinioni con loro che ci sono ancora dentro.

In un duello ipotetico fra Roglic e Ayuso, il fatto che uno abbia già vinto il Giro sarà un punto a suo favore?

L’esperienza che ha Roglic è tantissima e lo può aiutare tanto, però è un atleta che gioca tanto in difesa. Ayuso invece è l’esatto opposto e quindi potremmo ritrovarci con un attaccante e uno che si difende e questo potrebbe rendere la gara interessante. Però sono certo che lungo la strada ne verranno fuori altri cinque o sei.

Ad esempio?

Non sottovaluterei Del Toro e nemmeno Yates. Tiberi ha preparato questo Giro nei dettagli e ha fatto dei sopralluoghi delle tappe già all’inizio dell’anno. Ciccone arriva con un’ottima gamba e bisogna capire se il suo orientamento sarà per la classifica o per le tappe, dove secondo me si può togliere tanti sassolini dalle scarpe.

Tiberi lo hanno spesso accostato a te, come valuti il suo percorso?

L’ho lasciato che era un ragazzino, quando eravamo in Trek. Da allora è cresciuto tantissimo e ha preso con decisione la strada delle corse a tappe. Io riuscivo a fare anche le gare di un giorno, però si sta muovendo nella giusta direzione.

Dici che si gioca davvero tutto nelle ultime tappe in Valle d’Aosta?

Io starei molto attento anche alle tappe qua in Albania, che sono molto pericolose. La tappa di Valona (la terza, domenica, ndr) è difficile. Mentre la prima, quella di domani, essendo la prima, non è affatto semplice. Se non sei pronto e non sei entrato nel mood del Giro d’Italia, è facile lasciare qualche secondo già sulle prime rampe. E’ una cosa vista e rivista, le prime salite hanno sempre fatto un po’ di danni.

Hai parlato di un Giro aperto e Red Bull assegna 6 secondi di abbuono a ogni tappa: possono diventare decisivi?

Spero di no! Ho fatto anche un’intervista dicendo che molte volte i corridori hanno appiattito la gara, spero non accada nuovamente. Non credo però che questi abbuoni recheranno disturbo alla classifica. All’inizio magari sì, poi non più. Sarebbe stato peggio se ci fossero stati degli abbuoni importanti all’arrivo per i primi tre. Mi ricordo di quando Joaquim Rodriguez perse il Giro del 2012 appunto per un gioco di abbuoni.

Stiamo vivendo un momento eccezionale di ciclismo, con prestazioni e guadagni decisamente importanti…

Il ciclismo ha raggiunto un livello molto alto ed è giusto e dovuto. Non è uno sport di serie B o di serie C, è uno sport di serie A. Tutto questo ce lo siamo meritati nel tempo, per la gente che ci ha tifato e per i corridori che hanno portato tanta aria fresca in questo mondo che era rimasto legato alle tradizioni. Oggi ci ritroviamo sicuramente uno sport fantastico che merita tutta l’attenzione. E mi piace pensare di aver avuto una parte nel suo sviluppo. E magari qualcosa posso fare ancora.

Presa manubrio e inclinazione sella: la posizione di Pogacar

07.05.2025
7 min
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Questa prima parte di stagione non solo ci ha mostrato un favoloso Tadej Pogacar. Guardandolo con occhi più tecnici ci sono balzati all’occhio due aspetti riguardanti la sua posizione. E chissà se questi due dettagli sono collegati. Di cosa parliamo? Della presa sul manubrio e dell’inclinazione, molto accentuata, della sua sella.

Abbiamo notato che Pogacar è quasi sempre in presa alta, cioè impugna le leve anche quando sta spingendo forte in pianura, magari da solo in fuga. Una differenza emersa chiaramente alla Roubaix: nei tratti asfaltati Van der Poel era schiacciato sulla curva bassa del manubrio, mentre Tadej manteneva la presa alta. Apparentemente questo dovrebbe danneggiare l’aerodinamica. Apparentemente, però: perché oggi ogni dettaglio è frutto di uno studio accurato.

E poi c’è la sella: inclinata in avanti molto più rispetto all’anno scorso. Di questo abbiamo parlato con Mauro Testa, biomeccanico e responsabile scientifico di Biomoove Lab.

Il dottor Mauro Testa, responsabile scientifico del centro Biomove, è titolare di oltre 300 brevetti
Il dottor Mauro Testa, responsabile scientifico del centro Biomove, è titolare di oltre 300 brevetti
Dottor Testa, ci siamo accorti che Pogacar mantiene quasi sempre la presa alta, anche quando è da solo in fuga. Non si abbassa molto con i gomiti, a differenza per esempio di Van der Poel o Evenepoel. Perché?

Ci sono delle premesse da fare. Quando si scrive sulla posizione di un atleta, specie se così importante, bisogna rispettare chi lo ha messo in sella. Senza conoscere il lavoro dietro, si rischiano critiche inutili. Mi capitò anche con Sagan. Qualcuno disse che la sua posizione era sbagliata, ma io rispettai le sue caratteristiche morfologiche. E guarda caso, da quando lo mettemmo in un certo modo, tornò a vincere.

Qui però non si tratta di critica, ma di analisi. E chi meglio di lei può darci una lettura tecnica?

Capisco, ma quella premessa resta importante. La domanda vera è: cosa è stato fatto e quali misurazioni sono state prese dal biomeccanico prima di impostare quella posizione? Con Sagan, ad esempio, mi accusarono di averlo posizionato come un biker. In realtà lo feci perché nella fascia 8-12 anni, l’età d’oro dello sviluppo motorio, lui si era formato come biker. Era quindi giusto assecondare quello sviluppo. Non contesto mai il lavoro di un collega se non conosco da dove è partito. E comunque Pogacar sta vincendo, quindi è chiaro che il suo biomeccanico ha fatto un lavoro eccellente. Se la posizione non fosse efficiente, non riuscirebbe a ottenere queste prestazioni.

Ma quindi perché può preferire la presa alta?

Ci sono atleti che si trovano più comodi in presa alta. Può darsi che siano leggermente lunghi rispetto al telaio, oppure che la loro conformazione dal bacino in giù sia più favorevole a quella postura. Magari Pogacar ha le gambe lunghe e il busto corto, pertanto tende a essere “corto” nella parte anteriore della bici. Potrebbe sentirsi meglio in quella posizione. Sagan, ad esempio, chiedeva un attacco manubrio molto lungo per le volate, che faceva in presa bassa. Per evitare di sbattere le ginocchia, scelse un attacco più lungo rispetto a quello ideale per le sue misure.

La differenza più marcata è stata nei confronti di VdP spesso in fuga insieme: uno in presa bassa, l’altro in presa alta. Vedendo la foto l’olandese sempre più aero
Quindi una posizione dettata da un bilanciamento tra spinta, comodità e aerodinamica?

Esatto. Magari Pogacar ha un attacco leggermente lungo e sceglie la presa alta per compensare. E comunque la comodità, specie in gare lunghe, è parte della prestazione.

E la sella così inclinata in avanti? Potrebbe esserci un legame tra le due cose?

Sì, l’inclinazione può portare l’atleta a scivolare in avanti, e cercare appoggio sulle leve per sostenersi meglio. Una sella molto inclinata aumenta la curva della lordosi e porta il bacino in posteroversione. Questo può essere legato a rigidità articolari o muscolari. Bisogna tenere conto che nessuno è perfettamente simmetrico: una parte del corpo può essere più rigida. L’atleta cerca quindi una posizione che sia un compromesso specifico e personale.

Quindi l’approccio è sempre individuale?

Assolutamente sì. Due persone alte 175 centimetri possono avere caratteristiche diverse: uno può avere il tronco più lungo, l’altro le gambe. Le tibie e i femori possono variare. Per questo è importante che il biomeccanico lavori sulle misure antropometriche reali. Così l’atleta si trova in una posizione che gli consente di risparmiare energia.

Nell’analisi frontale l’impatto con l’aria di VdP appare maggiore per via della sua stazza, anche se è più piegato con i gomiti
La comodità quindi è un parametro primario nella prestazione?

Sicuramente. In uno sport di endurance la prima cosa da evitare sono i dolori dovuti a una posizione non confortevole. Bisogna rispettare le leve muscolari e articolari di ogni individuo. E serve conoscere le aspettative dell’atleta, anche dal punto di vista cognitivo e psicologico. Ecco perché la posizione deve farla il biomeccanico, non il semplice bikefitter: servono competenze fisiologiche molto approfondite.

Veniamo alla sella 3D che sta usando Pogacar. Rispetto all’anno scorso ha più grip. Questo può aver influito sull’inclinazione?

Capita spesso che gli atleti chiedano piccoli aggiustamenti in base a fastidi momentanei: una vescica, una ferita, un’irritazione. Molti parlano di prostata, ma è un falso mito. La zona sensibile è il perineo, che quando viene compresso causa problemi, anche nervosi. Il senso di impedimento che si avverte scendendo dalla bici non dipende dalla prostata, che è più in alto, ma proprio dal perineo.

Quindi Pogacar potrebbe avere un fastidio perineale?

Potrebbe. E potrebbe preferire quella posizione perché si sente più scaricato. Personalmente gliela sconsiglierei, ma sono certo che ne abbia parlato con il suo biomeccanico.

Perché la sconsiglierebbe?

Perché quella posizione lo porta a scivolare in avanti con il bacino e ad aumentare la lordosi. Questo incrementa la compressione a livello delle vertebre lombari: L3, L4, L5 e S1. Sono le prime a ricevere vibrazioni, e a lungo andare possono creare problemi.

Come si risolve un fastidio perineale?

Molto spesso basta cambiare fondello. Un fondello di qualità, magari in SEBS (stirene-etilene-butadiene), aiuta moltissimo. Io avrei cercato un compromesso tra il disturbo e il desiderio dell’atleta.

Ma l’inclinazione della sella migliora la circolazione sanguigna?

No, il sangue torna al cuore per gradiente di pressione, non per la posizione della sella. Quando sei in piedi, la pressione al piede è di circa 30 mmHg, 0 al cuore e -10 al cervello. Il sangue va da dove la pressione è maggiore a dove è minore. Nel ciclismo, sport antigravitario, non c’è una pressione sufficiente per favorire il ritorno venoso. Serve una buona contrazione muscolare che “spreme” la vena e aiuta il ritorno del sangue. Ecco perché non è utile scivolare indietro col bacino e bisogna avere libero il triangolo pelvico.

Triangolo pelvico e di Scarpa: cosa sono?

Il triangolo di Scarpa è l’area tra l’inguine e la coscia, dove c’è la piega anteriore della gamba. Si chiama così dal professor Scarpa che lo individuò nel ‘700. E’ importante perché, insieme ai diaframmi respiratorio e pelvico, crea pressioni negative e positive che facilitano il ritorno venoso. Il sangue che torna al cuore è venoso, viene poi ossigenato e rimesso in circolo per produrre ATP, l’energia del movimento. In bici da crono questo triangolo è chiuso, ma lì la durata è limitata. In una gara lunga e dura come la Roubaix, per esempio, invece è fondamentale preservarlo.

E’ un’analisi molto profonda. Quanto conta osservarla su strada?

E’ fondamentale. Serve guardare l’atleta in azione, su strada. Non basta un’analisi su rullo o in laboratorio. Con appositi sensori misuro l’emoglobina e l’ossigenazione nei vari distretti corporei durante lo sforzo. Questo consente di sapere con precisione dove e come circola l’ossigeno.

Il triangolo di Scarpa (o femorale) indicato da Testa. Pogacar lo chiude meno anche (ma non solo) per via dell’utilizzo di pedivelle più corte rispetto a molti altri
Il triangolo di Scarpa (o femorale) indicato da Testa. Pogacar lo chiude meno anche (ma non solo) per via dell’utilizzo di pedivelle più corte rispetto a molti altri

In conclusione

E’ evidente che la posizione di Pogacar è frutto di un lavoro accurato, costruito sulle sue caratteristiche morfologiche e sulle sue esigenze prestative. I due dettagli che abbiamo messo in evidenza, la presa alta sulle leve e la forte inclinazione della sella, potrebbero essere collegati tra loro, come ipotizzato.

Ma vanno interpretati alla luce di ciò che ci ha spiegato il dottor Mauro Testa: ogni atleta è un mondo a sé e la posizione in bici deve tener conto non solo dell’aerodinamica, ma anche della comodità, dell’efficienza muscolare e del ritorno venoso. In questo senso, la postura di Pogacar rappresenta forse un compromesso tra tutti questi fattori, e finché continuerà a vincere, sarà difficile dargli torto.