E prima di partire, il Tour of the Alps riletto con Garzelli

23.04.2021
6 min
Salva

Mentre Simon Yates ha appena finito di dire di essere soddisfatto, per aver trovato le sensazioni che cercava e un’ottima squadra, Stefano Garzelli rimette in ordine gli appunti del Tour of the Alps e si prepara per i sopralluoghi delle ultime nove tappe del Giro. E poi anche per lui sarà tempo di andare a Torino per la partenza.

La corsa ha dato grandi indicazioni per se stessa e per il Giro d’Italia. E se prima non stava bene tirare in ballo la corsa rosa per rispetto verso i padroni di casa, artefici di una manifestazione davvero eccellente, ora uno sguardo alle tre settimane che si annunciano è quantomeno indicato. Per questo abbiamo puntato nuovamente su Garzelli. Perché il Tour of the Alps lo ha commentato accanto a Pancani. Perché conosce il percorso del Giro. E perché, soprattutto, un Giro l’ha vinto. Andiamo per nomi e vediamo che idea si è fatta il varesino che da anni vive a Valencia.

Yates, vincitore giusto?

«Ha dimostrato una grande condizione – comincia – e arriverà al Giro davvero prontissimo. Inoltre le prime tappe saranno subito dure, per cui avere già la gamba giusta potrebbe essere un vantaggio. So bene che l’obiezione è che anche nel 2018 partì fortissimo e poi si spense, ma quell’esperienza lo ha sicuramente segnato e già alla Vuelta dello stesso anno corse in modo più accorto e vinse. E poi sono convinto che debba ancora migliorare. Per quello che ha fatto vedere al Tour of the Alps, è il favorito numero uno del Giro d’Italia».

Pello Blbao ha vinto una tappa e conquistato il secondo posto al Tour of the Alps
Pello Blbao ha vinto una tappa e conquistato il secondo posto

Pello leader o gregario?

«Gregario di Landa – dice senza esitazione – la fortuna è che sono amici, essendo entrambi baschi. Di certo non avrebbe senso partire per il Giro con due leader e visto il campo dei partenti, Landa ha un’ottima occasione di conquistare il podio. Sarebbe da stupidi non puntare su di lui. Inoltre Pello ha fatto i Paesi Baschi, va forte da qualche settimana di troppo per pensare che possa avere la terza al Giro d’Italia».

Froome in fuga: primo segnale di vitalità del britannico
Froome in fuga: primo segnale di vitalità del britannico

Froome ha deluso?

«Sentendo voci in gruppo – dice pensieroso Garzelli – pare che si staccasse quando c’erano ancora 70-80 corridori. Per prendere la fuga ieri un po’ di gamba deve averla e di sicuro non soffre la pressione: ha troppa abitudine, anche se questa è una pressione differente. Credo che stia prendendo questa stagione come un rodaggio per la prossima, perché i postumi dell’incidente non sono spariti. Lo svantaggio è che il gruppo si è popolato di giovani esplosivi e aggressivi, contro i quali non è facile correre a una certa età. Inoltre Sky era costruita su di lui, è dura se adesso è lui a dover spiegare come costruire la squadra. Diciamo che al Delfinato sapremo un po’ meglio quale sia il livello attuale».

Peccato per la tappa di Riva sfuggita, ma il 4° posto dimostra che Moscon c’è
Peccato per la tappa di Riva sfuggita, ma il 4° posto dimostra che Moscon c’è

Moscon è tornato?

«E’ stato bello vederlo protagonista – dice secco – mi è solo dispiaciuto per oggi, perché tirando da subito avrebbero potuto vincere con lui la terza tappa. Il fatto che abbia sprintato per il quarto posto fa pensare che ha la mentalità del leader e spero per il ciclismo italiano che sia davvero così. Anche dal Belgio non vengono grandi segnali e siamo ancora qui ad augurarci il recupero di Nibali. Non so se a Liegi Moscon potrà correre per vincere, magari andrà in supporto dei compagni. Ma non mi stupirei di vederlo in fuga e arrivare davanti, con il pretesto di tenerli coperti».

Sivakov frenato dalla caduta, alternativa a Bernal per il Giro
Sivakov frenato dalla caduta, alternativa a Bernal per il Giro

Sivakov ha deluso?

«Abbiamo detto che ha ceduto, quando in realtà potrebbe aver pagato la caduta di mercoledì. Certo ieri ha messo la squadra a tirare, ma potrebbe averlo fatto per garantirsi un ritmo costante e non permettere scatti. Al Giro lo vedo accanto a Bernal, che è un mistero, visto che non corre dalla Tirreno. Bernal è Bernal, ma negli ultimi mesi ha avuto i suoi problemi. Fossi nei tecnici della Ineos, gli terrei Sivakov accanto, pronto semmai a subentrare».

Vlasov terzo finale al Tour of the Alps, è in chiara crescita di condizione
Vlasov terzo al Tour of the Alps, in crescita di condizione

Vlasov farà un bel Giro?

«E’ il nome che ho fatto in cronaca – dice – perché è molto costante, anche se va provato nelle tre settimane. Sa vincere, perché lo ha già fatto, e ha alle spalle Martinelli che qualche Giro l’ha pur messo in bacheca. Ha vinto il Giro U23 gestendo la pressione della crono Real Time. Saper vincere è qualcosa di innato, anche se puoi lavorarci. A tutti tremano le gambe arrivando verso il traguardo, esiste la paura di vincere. Quello cui tremano di meno sarà il vincitore. Credo che sia pronto anche mentalmente».

La Bike Exchange è stata molto bene accanto al suo leader
La Bike Exchange è stata molto bene accanto al suo leader

Quale l’ammiraglia migliore?

«Bella domanda – risponde – direi la Bike Exchange. Non si sono mai innervositi. Ieri hanno tenuto la fuga a due minuti e anche oggi sono riusciti a non perderli di vista. Hanno corso bene in favore di Yates e arrivano al Giro con un bel collettivo. Magari non saranno la squadra più forte, ma certo saranno una delle più unite».

Quanto vale Fabbro?

«Potrebbe volere più spazio – dice – e gli alti e bassi di questi giorni sono dovuti sicuramente all’altura conclusa da poco. Al Giro potremmo aspettarci da lui un piazzamento nei dieci, ma se sarà al servizio di Buchmann, magari dovrà accontentarsi di altro. Non è ancora un vincente, gli manca qualcosa, ma rispetto agli anni passati lo vedo più sicuro mentalmente. Sulle potenzialità, finché non affronti da leader una corsa di tre settimane, non puoi sapere se sarai all’altezza».

Maurizio Evangelista, organizzatore della corsa, qui con Vlasov
Maurizio Evangelista, organizzatore della corsa, qui con Vlasov

Un giudizio sulla corsa?

«Gli organizzatori – dice – hanno fatto un gran lavoro, con due sole sbavature. Le auto parcheggiate sul percorso a Innsbruck, che oltre ad essere pericolose hanno dato una brutta immagine. E la discesa della tappa di Pieve di Bono. Ero andato prima a vederla con Pancani e ho visto subito che sarebbe stata critica, potevano benissimo fare il circuito al contrario. Detto questo, è stata una bellissima corsa. Dura il giusto e con tappe non lunghissime. La bellezza di una corsa come questa è che sblocca la fantasia, perché i corridori non ne hanno paura. La tappa di 200 chilometri li tiene bloccati, la tappa breve e dura consente l’inventiva. Tutto sommato davvero una bella corsa».

Una corsa, ci sentiamo di aggiungere, in cui abbiamo potuto svolgere ottimamente il nostro lavoro di giornalisti, con gli spazi e le giuste libertà, avendo sostenuto i due tamponi che hanno autorizzato una possibilità di movimento che altrove è ancora impossibile. Anche per questo, una grande corsa.

Garzelli e Martinelli: «Caro Ciccone è ora di provarci»

09.04.2021
6 min
Salva

E veniamo a lui, Giulio Ciccone. Speranza (e realtà) del nostro ciclismo che però sin qui ci è apparso un po’ indietro. L’abruzzese esce da un 2020 pressoché inesistente, lasciatecelo dire, ma non per colpa sua. Anzi, era anche partito bene vincendo la prima gara a Laigueglia. Poi lo stop, la ripresa e il Covid. Della sua situazione e del suo futuro, facciamo il punto con Stefano Garzelli e Giuseppe Martinelli.

Emilio Magni, Giulio ciccone
Il dottor Emilio Magni e Giulio Ciccone al Giro 2020: l’abruzzese si è fermato dopo 13 tappe
Emilio Magni, Giulio ciccone
Emilio Magni, Giulio Ciccone al Giro 2020 per lui finito dopo 13 tappe

Inizio lento (giustificato)

Covid che in lui ha inciso più di altri. Andare al Giro con i postumi del virus e una preparazione non adeguata non ha fatto altro che rallentarlo ulteriormente.

Ma forse proprio per questo motivo era lecito attendersi qualcosa di più in questa prima parte dell’anno. E’ vero che Giulio ha dichiarato che il suo grande obiettivo è la Vuelta, è vero che Luca Guercilena al via della Tirreno ci aveva detto che era un po’ indietro e che sarebbe andato in crescendo, ma non vedere mai un’attaccante nato come lui nel vivo della corsa un po’ ci spaventa. In più “Cicco” ha lasciato l’ultima gara a cui preso parte, il Catalunya, per un problema al ginocchio.

Insomma: che stagione dobbiamo aspettarci? Sono campanelli d’allarme o tutto sommato le cose procedono secondo programma? Un secondo posto ad inizio stagione (2ª tappa del Tour de la Provence) può farci stare tranquilli?

Stefano Garzelli (48 anni), oggi è un commentatore Rai
Stefano Garzelli (48 anni), oggi è un commentatore Rai

Garzelli lo attende

«Giulio – spiega Garzelli, ex maglia rosa e ora commentatore Rai – ha vinto la maglia azzurra di miglior scalatore del Giro ed anche una tappa molto dura e questo ha posto in lui grandi aspettative, però non ha ancora provato a far classifica veramente. Deve testare realmente il suo recupero, come tiene la pressione. Il fatto di avere Nibali vicino è un buon vantaggio: riflettori e attenzioni volgeranno molto più su Vincenzo che su di lui.

«Credo sia giusto avere delle aspettative su di Ciccone – riprende Garzelli – non è sopravvalutato, però deve provare a far classifica per saperlo. Come detto, deve avere la pressione addosso, fare delle crono davvero a tutta, testare il recupero, arrivare davanti anche nelle tappe veloci… Una gara di tre settimane non la vinci perché vai forte in salita, ma perché sei sempre davanti, perché ti salvi e non crolli nel giorno di crisi, che tanto c’è sempre».

Tanta fatica verso Prati di Tivo alla Tirreno. Giulio aveva attaccato ma si è poi staccato
Verso Prati di Tivo, alla Tirreno, Giulio aveva attaccato ma si è poi staccato

Meno impulsività

Garzelli in qualche vuole aspettare che punti davvero ad una grande corsa a tappe, prima di giudicare Ciccone. Il potenziale c’è, ma va dimostrato.

«In Italia che possono far bene nelle gare a tappe, dopo Vincenzo, ci sono lui e Masnada, ma credo che Fausto dovrà aiutare i compagni. Giulio ormai ha un’età matura per fare questa prova. L’aver vinto la maglia azzurra ti consente di staccarti in qualche tappa, di mollare mentalmente e fisicamente. La maglia rosa no. Lui deve essere meno impulsivo, forse questo potrebbe essere il suo problema maggiore».

Infine il varesino si pone qualche dubbio sul perché Ciccone, se punta a fare bene al Giro, non sia in altura come tutti gli altri, capitani e non. 

Giuseppe Martinelli (66 anni), diesse dell’Astana
Giuseppe Martinelli (66 anni), diesse dell’Astana

Martinelli lo ammira

E dalla voce del corridore passiamo a quella del direttore sportivo, Giuseppe Martinelli dell’Astana Premiertech. 

«Ciccone è sicuramente uno di quei corridori buoni che abbiamo in Italia – dice Martinelli – Forse ci si aspettava qualcosa di più viste le sue vittorie, ma c’è chi matura prima e chi ci mette un po’ di più. Non dimentichiamo che questo ragazzo vinse una tappa al Giro “da bambino”, il che vuol dire molto. Adesso è chiamato al salto di qualità: ha l’età giusta, la squadra ideale e la vicinanza di Nibali che gli può insegnare molto».

“Martino” fa poi un’analisi molto interessante sul suo ritardo in questa stagione e in quella passata.

«Ciccone ha spesso avuto qualche inconveniente e nel ciclismo di oggi è molto, molto difficile recuperare. Non è come una volta che andavi alle corse ti mettevi a ruota e piano piano ritrovavi la forma. No, adesso devi essere pronto. E se non lo sei ti stacchi. Se il tuo cammino prevede, per esempio, Tirreno, altura, Tour of the Alps e Giro e va secondo i programmi okay, altrimenti te la porti dietro per parecchio tempo.

Ciccone re di Sestola al Giro 2016. Quest’anno ci si ritorna, che sia di buon auspicio
Ciccone re di Sestola al Giro 2016. Quest’anno ci si ritorna, che sia di buon auspicio

La continuità

«Cosa gli manca? Non posso rispondere con precisione perché non ho il ragazzo sottomano, né l’insieme dei suoi dati e poter vedere i suoi margini – continua Martinelli – E’ un corridore che a me è sempre piaciuto. Si butta nella mischia, non ha paura di attaccare, non sta lì ad aspettare. Ai tempi della Bardiani Cfs, con Shefer che lo conosceva bene, volavamo anche prenderlo, ma aveva già un contratto e non lo disturbammo.

«Deve forse aumentare un po’ il suo motore ma per farlo gli serve continuità. Come dicevo prima deve avere una serie di stagioni senza intoppi che gli consentano davvero di esprimersi. Altrimenti per quanto forte possa andare rischia di restare fuori dai podi già prima di partire, visto che ci sono 4-5 atleti che stanno vincendo tutto».

Giulio Ciccone, Trofeo Laigueglia
Il Laigueglia 2020, corso in azzurro, è stata l’ultima vittoria di Ciccone
Giulio Ciccone, Trofeo Laigueglia 2020
Il Laigueglia 2020, corso in azzurro, è stata l’ultima vittoria di Ciccone

La pressione

Ma il fatto che alla Tirreno non sia andato benissimo, che al Catalunya si sia ritirato, non possono essere campanelli di allarme?

«Se non ha avuto un programma lineare c’è il rischio che al Giro possa brancolare un po’ nel buio – conclude “Martino” – ma potrebbe anche rientrare nel programma che la Trek-Segafredo ha deciso per lui. Magari lo hanno fatto per non mettergli addosso la pressione e che debba fare solo un assaggio di classifica. Consideriamo anche che ci sono delle strategie di comunicazione. Magari fa i primi dieci giorni e vede come va. Ma deve provare se i grandi Giri sono il suo obiettivo e non può aspettare che arrivi l’anno buono o perfetto, perché le stagioni passano».

Da parte nostra non possiamo che augurarci che Ciccone ritrovi presto la sua condizione. L’Italia ha bisogno di un corridore come lui che sa vincere… dando spettacolo.

Zoncolan 2003: dietro Simoni, un duello infinito

18.02.2021
6 min
Salva

Non solo le Tre Cime di Lavaredo. Pare che il Giro d’Italia torni anche lassù, sullo Zoncolan che nel 2003 salutò l’ultimo grande Pantani e si concesse alla furia rosa di Gilberto Simoni. I ricordi sono come vetri rotti. Hanno forme diverse, alcuni sono taglienti, altri sono abbastanza grandi da riflettere le immagini di quel giorno di maggio di quasi vent’anni fa. Non provate a ricomporle, il quadro sarebbe troppo frammentato.

A 1,5 chilometri dalla vetta, Simoni è già da solo
A 1,5 chilometri dalla vetta, Simoni è già da solo

Come l’Angliru

Il Giro sullo Zoncolan, 22 maggio 2003. Con quel nome la salita fa già paura, anche se nessuno c’è mai stato. Si sale da Sutrio e si sussurra che ci sia un versante ancora più duro, che parte da Ovaro, che però non è stato ancora asfaltato.

«Si tratta di un arrivo molto duro – racconta Francesco Casagrande che è andato a vederlo a fine aprile – mi hanno impressionato gli ultimi 3 chilometri impegnativi con tratti al 22 per cento, pari all’arrivo dell’Angliru. Non oso pensare a cosa potrebbe succedere se quel giorno dovesse piovere. I corridori rischierebbero di scivolare indietro, respinti dalla montagna».

Volano caschi

Ma quel giorno non piove. La pioggia è venuta tutta giù il giorno prima a San Donà di Piave, procurando la caduta di Cipollini, che per lo Zoncolan stava già pensando di mettere su strada una mountain bike biammortizzata che allo sponsor avrebbe procurato parecchio piacere e avrebbe permesso a Mario di stigmatizzare certi percorsi troppo duri. E’ l’anno dell’assurda regola per cui il casco puoi toglierlo all’inizio della salita. Così quando il gruppo prende a salire, si assiste a un lancio di caschi anche pericoloso a destra e sinistra della strada.

Mai visto al Giro un finale così ripido come lo Zoncolan
Mai visto al Giro un finale così ripido come lo Zoncolan

«Anche io ero andata a vederla una settimana prima del Giro – ricorda Garzelli – e non si era mai fatta una salita con quelle pendenze. Prima 15 chilometri costanti, poi svolta a sinistra e iniziavano quei 2-3 chilometri durissimi, in un periodo in cui il rapporto più agile che avevamo era il 39×28».

Gibo all’attacco

Simoni ha la faccia da duro, bruciata dal sole. Alla partenza, il suo vantaggio su Garzelli è di appena due secondi. La maglia è ancora appesa a un filo e Gibo è più che mai deciso a difenderla fino alla morte, dopo quello che è successo l’anno prima con la storia delle caramelle colombiane. Sono anni di ciclismo insolito e questa volta il trentino non vuole correre rischi. Per cui all’inizio di quella salita così dura, prende il largo lasciando gli altri dietro a litigarsi l’osso.

Vigilia bagnata

La sera prima, sotto ai pini di San Donà con il profumo di bagnato, i meccanici della Mercatone Uno preparavano le bici Carrera della squadra. Passandoci davanti con Ilario Biondi ci eravamo trovati a pensare quanto fosse strano non fermarsi dal Panta alla vigilia di una tappa così dura. Ma la classifica lo vedeva 14° a quasi cinque minuti e in quella sera così buia c’erano altre voci da sentire. Era tardi, in ogni caso, e Marco era di certo già in camera con la sua bici gialla.

Simoni conquista lo Zoncolan e consolida la rosa
Simoni conquista lo Zoncolan e consolida la rosa

Invece l’indomani, appena il gruppo imbocca il primo tratto della salita, sulla testa assieme agli uomini della Saeco e della Caldirola arrivano quelli della Mercatone Uno.

Gomito a gomito

«Dopo un chilometro e mezzo – ricorda Garzelli – parte Gibo e Marco è lì che rientra su di me. Mi prende e restiamo in due. Di quella tappa ho parlato anche con sua mamma, la foto di noi due insieme sullo Zoncolan è la più bella della mia carriera. Le immagini del duello dall’elicottero non me le scordo più. Ero a tutta, ma il fatto di avere accanto Marco Pantani, mi permise di arrivare secondo. Volete sapere che cosa spingeva entrambi? Ce lo dicemmo il giorno dopo e ci venne da ridere. Per tutto il tempo non feci che pensare: “Col cazzo che mi stacchi!”. E lui lo stesso. Ho la pelle d’oca pensando al pubblico».

Hai visto chi era?

Simoni sale seduto. Si alza solo a tratti, ma tiene l’andatura costante. Dietro Garzelli e Pantani danno di gomito e ancora più indietro ci sono Casagrande e Popovych. Vanno così piano che l’ultimo chilometro sembra lungo un’ora. Il tornante più ripido prende la strada e la solleva brutalmente di una ventina di metri. C’è folla da curva nel derby e quando lo speaker grida che nel gruppo della maglia rosa c’è anche Marco Pantani, l’attesa esplode con un fragore possente che scuote la montagna. I tifosi lo vedono passare, lo incitano stupiti e poi si guardano come a dire: «Hai visto chi era?».

La gente quel giorno rivide l’ultimo, grande Marco Pantani
La gente quel giorno rivide l’ultimo, grande Marco Pantani

Non mi stacchi

Nell’ammiraglia della Saeco che sta per vincere la tappa e il Giro con Simoni, Martinelli fa il tifo per Marco. Ci sono moto ferme con la frizione bruciata, Pantani che scatta e Garzelli che risponde. «Col cazzo che mi stacchi!» E così vanno avanti insieme.

«Non lo avrei mai lasciato andare – ricorda ancora Stefano – era Marco Pantani in una delle sue più belle imprese sportive, forse l’ultima. Quel giorno siamo stati rivali, forse l’unica volta in una vita. La classe di Marco non si è vista quando ha vinto il Giro e il Tour, ma secondo me è stato un gigante al Tour del 2000 quando ha vinto due tappe e poi proprio in quel Giro del 2003».

Troppo ripido

Simoni vince la tappa e guadagna 34″ su Garzelli, che sulla cima dello Zoncolan è ancora secondo in classifica ma a 44″.

«Non mi piacciono queste salite – dice Simoni – troppa pendenza non permette di fare differenze».

Dopo. l’arrivo Marco è sfinito, ma rivede la luce
Dopo. l’arrivo Marco è sfinito, ma rivede la luce

Pantani, invitato al Processo alla Tappa, risponde che se uno è scalatore, in giornate come queste ha il terreno perfetto per fare la differenza. Troppo diversi per essere amici.

«Credo che il miglior Marco – commenta Garzelli – avrebbe fatto la differenza. Gibo non è uno che facesse tanti cambi di ritmo, andava fortissimo ma in modo regolare. Marco era uno che si alzava e aumentava di due chilometri e lo faceva in continuazione. Con quei rapporti, se avevi la forza di girarli, facevi per forza velocità. Ma dovevi anche stare attento, perché una volta il rischio di piantarsi c’era molto più di adesso, che con la compact gestiscono bene lo sforzo».

La bici gialla

Entriamo nell’hotel di Maniago. La Mercatone Uno Scanavino è una piccola squadra, la guida Amadori e non c’è più lo sbarramento della Ronchi, che Boifava non ha voluto al seguito. Marco è passato per andare a cena e alla battuta che ci è parso di averlo riconosciuto, ha fatto un cenno con la mano come a dire: «Manca poco». Quando torna gli chiediamo il favore di fotografare la bici gialla, che ormai tiene sempre in camera. E mentre siamo insieme in ascensore commentando il lancio dei caschi, il Pirata fa un ghigno amaro. «Quando ero famoso e tutti mi volevano – dice – non avete idea di quanti soldi mi offrivano perché mettessi il casco. Invece adesso che non sono nessuno, mi tocca metterlo e pure gratis».

La bici era là, tutta gialla, ai piedi del letto. E c’era ancora Marco…

Stefano Garzelli, qualche consiglio per Formolo

07.02.2021
6 min
Salva

I ricordi che la maggior parte della gente ha di Stefano Garzelli sono legati direttamente o indirettamente a Marco Pantani, ma ci sono scene come quella della cronoscalata del Sestriere al Giro, o le fughe in maglia verde qualche anno dopo sulle Alpi che sono tutte sue e non te le puoi scordare.

Stefano, 47 anni, oggi fa parte della squadra Rai che segue il ciclismo. E’ un commentatore tecnico, mai banale. E di questo suo non essere banale ce ne aveva parlato qualche tempo fa Roberto Amadio, quando ci disse che con la sua intelligenza il “Garzo” aveva capito che non poteva più vincere le corse tappe. E la prese bene questa cosa, nonostante il varesino fosse stato il primo a firmare per quella Liquigas che sarebbe diventata poi un “dream team” e per cui doveva far bene proprio nei grandi Giri.

Marco Pantani, Francesco Casagrande, Stefano Garzelli, Izoard, Giro d'Italia 2000
Pantani, Casagrande e Garzelli, sull’Izoard al Giro 2000 vinto da Garzelli stesso
Marco Pantani, Francesco Casagrande, Stefano Garzelli, Izoard, Giro d'Italia 2000
Pantani, Casagrande e Garzelli. Era il Giro 2000 vinto da Garzelli stesso
Stefano, partiamo da qui… E’ vero quel che ha detto Amadio?

Vero! Sia che firmai per primo, sia che mi accorsi di non poter più vincere un grande Giro. L’ho capito quando dopo metà dei grandi Giri, appunto, mi staccavo da dieci corridori. Fare 8° o 9° non portava nulla: né a me, né alla squadra.

E infatti Amadio disse che poi vincesti quasi subito la Tre Valli Varesine e altre corse di un giorno…

Sì, quelle e anche le corse a tappe più brevi, come la Tirreno. La Tre Valli per un corridore varesino è un risultato importante, ne ho vinte due, ma vinsi anche il Gp Francoforte, sfiorai San Sebastian e Liegi, vinsi diverse tappe al Giro. Sapete, a San Sebastian ancora ci penso un po’: persi da Florencio per una volata non perfetta…

Che età avevi quando decisi per la svolta verso le corse di un giorno?

Avevo 32 anni.

Stefano Garzelli, oggi è un commentatore Rai
Stefano Garzelli, oggi è un commentatore Rai
E questa scelta ti ha bruciato dentro o è stato un percorso naturale?

Chi è nato per le corse a tappe fa fatica ad uscire da questa mentalità. E anche nei Giri successivi l’idea era quella comunque di tener duro. E infatti poi era la squadra che mi mandava fuori classifica per cercare di vincere le tappe. La testa voleva tenere, ma poi arrivava la tappa che saltavi. A quel punto correvi giorno per giorno.

Quando hai sentito di essere stato al top della tua carriera?

Io credo di avere avuto due momenti importanti: quello della Mercatone Uno e quello della seconda parte di carriera. Lo dico sempre: con la Mercatone sono stato all’università. Sei in squadra con Pantani, hai tutti gli occhi puntati addosso. Sai che devi mettere da parte le tue ambizioni, però vedi come si lavora per il leader, come si gestisce la squadra, impari a convivere con le pressioni. Tutto quello che ho imparato l’ho appreso lì. Ed è stato, credo, il segreto che mi ha fatto correre fino a 40 anni.

C’è qualche corridore in cui oggi ti rivedi?

Nessuno. Io ero un corridore completo: ho vinto i Giri e le corse di un giorno. Direi Alaphilippe, però nelle corse a tappe ancora non ha vinto. E’ difficile trovare uno scalatore da grandi Giri che sia anche molto veloce.

E secondo te perché?

Senza dubbio perché oggi il ciclismo è più specializzato. Ai miei tempi, almeno all’inizio, non c’era il potenziometro, si andava e si lasciava molto spazio all’istinto. In più le squadre avevano 18-20 corridori e ognuno aveva più occasioni. Ora è tutto pianificato. Vediamo la Ineos Grenadiers: tutti pensano ad arrivare al 100% a quello specifico appuntamento.

Un’altro aspetto dell’intervista con Amadio che ci ha incuriosito riguarda Formolo. Il tuo ex team manager ha detto che si aspettava qualcosa di più da Davide nelle corse a tappe e che potrebbe però far bene in quelle di un giorno. Che ne dice Garzelli?

Quanti anni ha Formolo, 28 giusto? Il ciclismo è cambiato. Oggi se a 23-24 anni non ha vinto un grande Giro o non sei stato lì per farlo è difficile che tu possa avere quelle capacità in futuro. E non è solo per una questione fisica, ma anche di stress per lottare tre settimane. E Davide non si è mai giocato un grande Giro sin qui. Però dico che può far bene nelle corse di un giorno. Ha già fatto secondo alla Liegi. Fossi in lui penserei anche ad una Tirreno-Adriatico che dura una settimana e non comporta grandi stress. Andrei a caccia della maglia della montagna verde o a pois. E’ un corridore che a me piace tanto.

Liegi 2019, Formolo (dietro) terminerà secondo alle spalle di Fuglsang
Liegi 2019, Formolo (dietro) terminerà secondo alle spalle di Fuglsang
Che consigli daresti al Formolo corridore da corse di un giorno, per la preparazione o dal punto di vista tattico?

Per quel che riguarda la preparazione non sono io la persona giusta, ci sono allenatori che sanno il fatto loro. Dal punto di vista tattico forse gli direi di osare di più, di essere meno attendista, di rischiare anche di perdere se necessario. Ora che è in una squadra importante deve ritagliarsi gli spazi.

In effetti la UAE, è diventato un super team. Formolo rischia di dover restare “incastrato” nel treno della salita per Pogacar…

Magari sono in tanti e avrà spazio in corse differenti. Bisogna vedere il calendario. Fossi in lui punterei al Giro, sempre in ottica tappe. E per questo non dico che deve uscire di classifica per forza. Spesso quella arriva in modo inaspettato, magari entra nella fuga giusta, si trova davanti e poi si gioca il Giro. Bisogna sempre ambire alla classifica e se poi salti ti giochi le tappe, altrimenti sei tu che decidi di uscire. Certo, poi mi rendo conto che oggi certe indicazioni sono molto difficili da mettere in atto. Sono i team a decidere e i corridori hanno meno potere. Magari ci sta che alla squadra vada bene il 7° posto e al corridore no, ma quelli sono gli ordini. E’ un ciclismo molto economico. Ai miei tempi mi prendevo io il rischio, anche di sbagliare.

E hai mai sbagliato?

Sì, sì! Ricordo la tappa di Bormio 2000 al Giro del 2004, quello di Cunego. Non andavo fortissimo quell’anno e così quel giorno mi misi in testa di capovolgere il Giro (Dna “pantaniano”, ndr) e attaccai sul Gavia… ma all’inizio del Gavia! Mi ripresero ai piedi della salita finale. Se fossi rimasto a ruota avrei vinto la tappa. Non contento, il giorno dopo riprovai. C’erano da fare Mortirolo, Vivione e Presolana, scattai sul Mortirlo e vinsi… Però erano decisioni che venivano dal corridore e questo oggi manca. E’ la spontaneità dell’atleta in un mondo molto “quadrato”.

Stefano Garzelli stremato verso il Rifugio Gardeccia al Giro del 2011 (foto/La Presse)
Stefano Garzelli stremato verso il Rifugio Gardeccia nel 2011 (foto/La Presse)
Che ricordi! Una delle tue fughe storiche fu quella verso Gardeccia, al Giro del 2011…

Ecco, vuoi l’errore? Quello!

Vai spara!

A parte che credo quella sia stata la tappa più dura della storia: quasi 240 chilometri con quasi 7.000 metri di dislivello. Ricordo che nel tendone dove ci stavamo cambiando entrò Contador e mi disse: «Es el dia mas duro de mi vida», il giorno più duro della mia vita. Io impiegai 7 ore e 28′ il gruppetto 8 ore 10′. Venendo all’errore, prendo la fuga buona con dentro molti bravi corridori tra cui Sastre e Nieve. Sul Passo Giau, Hoogerland va in fuga e mi manda all’aria i piani. Gli vado dietro e lo stacco. Sul Fedaia spendo molto e nel finale prendo una “balla”… e mi passa Nieve. Questa ancora mi brucia! Almeno però conquistai la maglia verde!

Corridori come Garzelli restano nel cuore. Attaccanti eleganti, potenti… campioni che poi ti ritrovavi anche alle classiche sia in primavera che d’estate da San Sebastian alle premondiali. Eh sì, perché poi magari volevano anche andare ai mondiali. Speriamo che Formolo possa percorrere le sue orme. Il fisico e la tenacia a Roccia non mancano…

Daniele Casanova, Eddy Mazzoleni, ristorante Casanova 2020

Volete sapere cosa fa ora Eddy Mazzoleni?

19.12.2020
5 min
Salva

Dal 2008 Eddy Mazzoleni manda avanti il suo ristorante, il Casanova di Curno, assieme al socio che gli ha messo il nome. Daniele Casanova, appunto, suo cugino di secondo grado, già cuoco in ristoranti stellati. Il bergamasco ha impiegato un anno, dopo aver smesso di correre, per scegliere quale strada intraprendere. E anche se il momento per chi fa ristorazione non è affatto semplice, con la possibilità di tenere aperto soltanto a pranzo, dice di averne approfittato per stare un po’ di più a casa. Dato che, a cose normali, starebbe nel locale da mattina a sera.

«Non siamo tantissimi – dice – in tutto una decina. Per cui si è fatta un po’ di cassa integrazione con i dipendenti, ma ora stiamo lavorando tutti. La fortuna è che il locale è mio, per cui la voce dell’affitto non va considerata».

Eddy Mazzoleni, Gand-Wevelgem 1999
Nel 1999 alla Gand-Wevelgem, Eddy è già professionista da tre stagioni
Eddy Mazzoleni, Gand-Wevelgem 1999
Gand-Wevelgem 1999, è pro’ già da tre anni

Gregario di lusso

Eddy era una forza della natura. Diventò professionista nel 1996 con la Saeco e passando per il Team Polti, la Tacconi Sport poi Vini Caldirola, di nuovo la Saeco, Lampre, T-Mobile e Astana e si fermò contro un’accusa di doping in realtà non suffragata da prove. Aveva già 34 anni e valutò che non valesse la pena imbarcarsi in una costosa disputa legale che comunque non gli avrebbe permesso di correre. E così pensò di occuparsi d’altro.

Era stato tra gli artefici della vittoria di Cunego al Giro del 2004. Prima ancora, braccio destro di Gotti e di Garzelli, dopo anni di apprendistato alla corte di Cipollini. Poi lo presero per aiutare Ullrich e alla fine per Savoldelli, che però cadde al Giro del 2007 lasciando al compagno via libera verso il terzo posto.

La ruota storta

Giusto per farci una risata, lo conoscemmo mentre il suo direttore sportivo Locatelli lo copriva di improperi al Giro d’Italia dilettanti del 1994. Infatti Eddy aveva fatto un’ottima crono in Romagna e al traguardo Olivano si era accorto che aveva corso con il tubolare che toccava contro il fodero orizzontale.

«In tanti anni che ho corso – si fa a sua volta una risata – mi è successo solo con quella bici Colnago e quelle ruote. Sotto sforzo il mozzo mollava e la ruota si storceva. Ero proprio forte, si vede, perché non me ne ero neppure accorto».

Eddy Mazzoleni, Paolo Savoldelli, Giro di Romandia 2007
Al Romandia del 2007 preparando il Giro d’Italia con Paolo Savoldelli
Eddy Mazzoleni, Paolo Savoldelli, Giro di Romandia 2007
Al Romandia 2007, preparando il Giro con Savoldelli
Come sono stati gli anni dopo aver smesso?

Il tempo passa. Ormai ho fatto più anni da ristoratore che da professionista. All’inizio ebbi qualche difficoltà, perché venivo davvero da un altro mondo. Sono serviti due anni per togliermi la mentalità del corridore.

Esserlo stato non ti ha lasciato niente?

Mi è servito parecchio. Mi ha insegnato la metodicità nel lavoro, la capacità di non mollare quando si fa dura. E’ stato una scuola di vita, anche se la mia vita a un certo punto l’ho trasformata. Chi era inquadrato nel ciclismo, ne ha tratto vantaggi. Per chi non lo era, non cambia poi molto.

Pensi mai ai tuoi anni in sella?

Certo e penso che sono stato fortunato. Ho fatto il mestiere che avevo sempre sognato e di conseguenza ho il rammarico di aver smesso prima. In quel periodo le cose andavano in modo strano e dare la colpa solo ai corridori è stato per anni il modo di non fare chiarezza. Oggi sarei forse più forte e senza tanti stress. Chi ha qualità esce più facilmente.

Eddy Mazzoleni, Tre Cime di Lavaredo, Giro d'Italia 2007
Tre Cime di Lavaredo, Giro 2007, arriva 5° e sale al 2° posto nella generale
Eddy Mazzoleni, Tre Cime di Lavaredo, Giro d'Italia 2007
Quinto alla Tre Cime di Lavaredo al Giro del 2007
Il sogno…

Alle elementari facevo i compiti con la tele accesa, per guardare Moser, Saronni e Lemond. Volevo esserci anche io, ma poteva sembrare un sogno di bambino. Perciò se penso a tutto quello che ho fatto, sono contento. Il terzo posto al Giro dimostrò che potenzialmente non ero solo un gregario.

Quali furono i tuoi capitani?

Ho imparato tanto da Cipollini. Come allenarsi, come mangiare, la messa a punto della bici. Alla Saeco capitai nel pieno della lite fra Cunego e Simoni e mi ritrovai dalla parte di Cunego. Poi Gotti e Salvoldelli, con cui ho un rapporto di amicizia anche dopo tanto tempo. Con Garzelli, alla Caldirola, eravamo una squadra piccola, come oggi l’Atalanta. Nessuno ci considerava, ma facemmo grandi cose.

Se qualcuno ti chiede il perché tu abbia smesso?

Me lo chiedono spesso anche al ristorante. Se è gente che non sa nulla di ciclismo, dico che avevo raggiunto un’età in cui era meglio smettere. A chi conosce il ciclismo dico di aver avuto un problema, per il quale mi hanno fatto smettere.

E’ un peso che ti porti addosso?

No, poteva succedere ed è successo anche ad altri. Non ho fatto male a nessuno, non sono mai risultato positivo. Sono finito in delle intercettazioni e tanto bastò.

Mazzoleni con la compagna Alessandra, con cui condivide la passione per la bici
Mazzoleni con la compagna Alessandra, con cui condivide la passione per la bici
Eddy, vai ancora in bicicletta?

Farò a dire tanto 1.000 chilometri all’anno. Vado in palestra, corro a piedi. Mi alleno 4-5 volte a settimana, ma sapete com’è la bici, no? Se esci poco, ogni volta è una pena. E se ricordi i vari tratti di strada e le velocità con cui li facevi, ti viene male passarci al rallentatore.

Dove abiti?

Vivo a Palazzago e convivo con Alessandra Bianchini, sono felicissimo con lei anche perché condividiamo la passione per lo sport e soprattutto la bici. Vedo mia figlia Camilla, che ha 10 anni. Vedo Gotti due volte a settimana, perché viene a mangiare da noi. Vedo Fidanza, perché abita nel mio paese. Seguo gli altri su Facebook.

La tivù è sempre accesa sul ciclismo come quando Eddy era un bambino?

Non guardo tutte le tappe, ma non mi perdo quelle più belle. Non sono più così assiduo e anche con i nomi faccio un po’ fatica. Però negli ultimi 2-3 anni sono usciti dei bei corridori che fanno la differenza. Van der Poel, Evenepoel, Pogacar, Roglic. Prima non c’erano e peccato per gli italiani. Credo stia passando da noi il buco che hanno avuto per un po’ i francesi, ma sono fasi che passano. Tutto passa. Passerà anche il Covid. La vita va sempre avanti, mai dimenticarlo.