Gare giovanili e sicurezza: davvero servono le radioline?

08.08.2025
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Sistematicamente quando succedono degli eventi tragici e dolorosi come la scomparsa di Samuele Privitera, avvenuta nella prima tappa del Giro Ciclistico della Valle d’Aosta, si torna a parlare di sicurezza in gara. Ognuno sembra avere la propria ricetta, un’idea da mettere sul tavolo per risolvere il problema. Il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni ha ribadito l’importanza delle radioline in corsa, per le quali aveva già aperto l’utilizzo fino alle gare juniores regionali e nazionali dallo scorso primo giugno (in apertura photors.it).

La scelta del presidente, condivisibile o meno, non tiene conto di diversi aspetti. Il primo è che nelle gare internazionali juniores e under 23 non è consentito l’utilizzo delle radio in corsa, in quanto l’UCI non lo prevede. Forse sarebbe stato meglio porre il problema ai tavoli dell’Unione Ciclistica Internazionale e cercare una soluzione comune al problema?

Marco Della Devova (a destra) è stato fino al 2024 diesse della Bustese Olonia. E’ da anni ispettore di percorso per RCS
Marco Della Devova (a destra) è stato fino al 2024 diesse della Bustese Olonia. E’ da anni ispettore di percorso per RCS

Più tattica che sicurezza

L’utilizzo delle radio nelle corse giovanili è un tema trito e ritrito, il divieto di aprirne l’uso sta nel fatto che non si voglia dare modo alle squadre di imporre tatticismi e comunicazioni che fanno parte del mondo professionistico. L’obiettivo è di dare agli atleti la possibilità di imparare a correre seguendo l’istinto e lontani da schemi che possono intrappolare la loro fantasia. Il concetto è giusto, essere… radiocomandati dalla macchina non permetterebbe loro di sviluppare una visione critica della corsa e di agire seguendo l’istinto. 

Abbiamo posto tutte le nostre domande a Marco Della Vedova, ex professionista, ispettore di percorso nelle gare organizzate da RCS Sport & Events ed ex diesse della formazione juniores alla Bustese Olonia.

«Ho smesso – racconta – ma sono ancora nella chat con i diesse italiani e sono tutti contenti per questa cosa delle radioline. Che però a mio avviso per loro è sì un discorso di sicurezza, ma c’è anche l’interesse tattico. Il ciclismo è l’unico sport nel quale non hai modo di parlare direttamente con i tuoi atleti. Una volta saliti in bici, e tu sei in macchina, le comunicazioni sono ridotte al minimo. Le radioline sono un modo per avere un filo diretto».

La Federazione dall’1 giugno ha aperto all’uso delle radioline nelle gare juniores regionali e nazionali (photors.it)
La Federazione dall’1 giugno ha aperto all’uso delle radioline nelle gare juniores regionali e nazionali (photors.it)
Bisogna capire qual è lo scopo ultimo…

Se fosse solamente un utilizzo legato alla sicurezza la vedo comunque dura, perché le comunicazioni spetterebbero a radioinformazioni che anticipando il gruppo sul percorso dovrebbe avvisare dei pericoli. 

Ma come lo farebbe? Come capisce il posizionamento esatto all’interno del percorso?

Sicuramente non si potrebbe usare il contachilometri della macchina, dovrebbe avere un ciclocomputer o uno strumento che fai partire al chilometro zero in modo che sia sincronizzato con quello dei ragazzi. Noi con RCS quando facciamo l’ispezione dei percorsi segnaliamo i pericoli su Veloviewer in modo che le ammiraglie lo abbiano sul loro dispositivo.

Sono però strumenti che una squadra juniores non ha…

Infatti non è una soluzione, dovremmo far acquistare a tutti i team dei dispositivi nuovi che hanno comunque un costo. La soluzione reale è mettere le persone sul percorso e segnalare i pericoli, come si è sempre fatto. In Italia facciamo una cosa che non si fa da nessun’altra parte del mondo, alla riunione tecnica mostrano ai diesse tutti i punti pericolosi del tracciato. Ma come si fa a ricordarli tutti, comunicarli ai corridori e pretendere che loro memorizzino ogni curva?

Le strade stanno diventando sempre più pericolose per i ciclisti a causa degli interventi dei comuni nell’ambito dell’urbanistica
Le strade stanno diventando sempre più pericolose per i ciclisti a causa degli interventi dei comuni nell’ambito dell’urbanistica
Su strade che non sono esattamente a misura di ciclista, lo si vede ogni giorno.

Tutti i comuni adottano strategie per far rallentare le auto nei centri abitati, ma le biciclette vanno sempre più veloci. Il problema non sono le bici più veloci, ma le strade costruite negli anni ‘60 e adattate ai giorni nostri con soluzioni pericolose. In gara per la sicurezza ci si arrangia, ma è in allenamento il vero pericolo. Lo vedo anche io quando pedalo con mia figlia.

Lo vediamo anche dalle notizie recenti del telegiornale, con sempre più ciclisti morti sulle strade. 

Mi sono imbattuto in certe scene. Una macchina della scuola guida che, davanti a me e mia figlia, gira senza mettere la freccia. Un anziano che fa inversione a “U” invadendo la corsia opposta senza guardare. Il problema è la leggerezza con la quale viene data la patente o anche rinnovata. Si dovrebbe fare un tavolo di discussione nel quale far parlare tutti gli utenti della strada.

Nel WorldTour gli strumenti a disposizione delle squadre sono di più e permettono una comunicazione istantanea tra radiocorsa e l’ammiraglia
Nel WorldTour gli strumenti a disposizione delle squadre sono di più e permettono una comunicazione istantanea tra radiocorsa e l’ammiraglia
Vero, ma torniamo alle gare e alle radioline. Se il discorso è per aumentare la sicurezza allora basterebbe aprire un solo canale, quello di radioinformazioni.

Certo, anche perché si avrebbe una sola voce che annuncia il tratto pericoloso e il chilometro nel quale si trova. Basterebbe aprire anche il canale in uscita per comunicare eventuali incidenti o cadute. Un ragazzo che vede una situazione di pericolo o un caduta grave potrebbe subito comunicare con radioinformazioni che passerebbe il messaggio alle ammiraglie. 

La sensazione di chi scrive è che i team spingeranno per avere una comunicazione aperta anche con i ragazzi. 

Da un lato li capisco perché ormai i ragazzi da juniores passano professionisti e dovrebbero imparare a correre come tali. Anche se, va detto, che se un atleta a 18 anni passa nel WorldTour, sarà premura della squadra insegnarli a usare certi strumenti. Così come gli insegnano ad allenarsi in maniera diversa e correre. 

La scelta libera dei rapporti tra gli juniores ha contribuito a far alzare le velocità, ma bisogna insegnare ai ragazzi a guidare la bici (foto Campana Imballaggi)
La scelta libera dei rapporti tra gli juniores ha contribuito a far alzare le velocità, ma bisogna insegnare ai ragazzi a guidare la bici (foto Campana Imballaggi)
Il rischio è che con le comunicazioni radio aperte anche tra diesse e corridori si bombardino i ragazzi di mille informazioni. 

Alcune anche inutili magari. E poi mi viene da dire una cosa, un conto è se radioinformazioni comunica un pericolo. Hai una voce calma che indica qualcosa e basta. I diesse avviserebbero del pericolo, ma allo stesso tempo inizierebbero a urlare ai ragazzi di stare davanti. E’ una cosa che già succede anche ora quando si posizionano a piedi, sul percorso, nei punti salienti. Quando ancora facevo il diesse scherzando dicevo: «Bisognerà che qualcuno dica anche di stare nel mezzo e dietro, davanti non ci stanno tutti». Ma la verità è anche un’altra.

Quale?

Dobbiamo insegnare ai ragazzi come si guida la bici. Spesso hanno le mani sulle manopole anche in discesa, è chiaro che i rischi aumentano. Molti imitano i professionisti e non mettono i guantini. E’ giusto parlare di radio e sicurezza ma si deve anche fare educazione.

Luci e airbag: non c’è spettacolo senza sicurezza

06.08.2025
7 min
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Parlando con Lucio Dognini per l’intervista pubblicata lunedì mattina, il riferimento alla sua telefonata con Davide Martinelli dopo la morte di Samuele Privitera continuava a risuonarci nella mente e per questo abbiamo chiamato il giovane tecnico del team MBH Bank-Ballan. Di cosa hanno parlato? E perché le parole di Dognini hanno provocato reazioni stizzite nell’ambiente del ciclismo, anziché avviare un dibattito che potrebbe portare a una maggiore sicurezza per i corridori in allenamento?

Martinelli sta preparando le prossime corse. Fra Poggiana, campionati italiani cronosquadre, Capodarco e le gare successive tra i professionisti, agosto propone un menù sostanzioso per il quale bisogna farsi trovare pronti, ma il tema merita un approfondimento.

Sul podio dei tricolori cronosquadre del 2024, Martinelli e la sua MBH Bank vincente (photors.it)
Sul podio dei tricolori cronosquadre del 2024, Martinelli e la sua MBH Bank vincente (photors.it)
Secondo te il ciclismo può fare qualcosa per diventare più sicuro? Dognini ha detto cose giuste?

Si corre su strade dove si prova a rallentare le macchine, ma intanto le bici vanno sempre più veloci e questo va un po’ in contrapposizione. Il ciclismo diventa spettacolare quando è veloce, perché c’è più selezione. Trovo interessante la linea dell’UCI, ma non so se si riuscirà a rallentare il gruppo limitando i rapporti. Forse andrebbe messo un limite di peso anche alle ruote, invece di alleggerirle ulteriormente, perché la massa rotante è quella che ti dà la velocità. E forse abbasserei anche l’altezza dei profili. Il limite massimo sarà di 65 mm ed è raro che se ne usino di più grandi. Forse scenderei anche a ruote da 45 o da 35, però ci sono in ballo degli aspetti economici, perché già le aziende si sono lamentate per il cambio di rotta. E non basta…

Cosa?

Intervenire sulla larghezza del manubrio per me è fondamentale e l’ho sempre pensato da quando ho cominciato a vedere un po’ di estremo, come i manubri da 36. Su questo sono super d’accordo.

Sei d’accordo nel dire che sarebbe utile utilizzare il faretto anteriore sulle bici?

Penso di sì. Diventi più visibile anche nei casi in cui le macchine escono dagli stop e riescono a vederti meglio. Ormai il Varia posteriore (sistema di Garmin che segnala l’avvicinamento di autoveicoli alle spalle, ndr) lo utilizzano in tanti e c’è tanta differenza, perché inspiegabilmente vedendo la luce, le auto ti considerano come un veicolo. Io cerco di uscire quando trovo un compagno per pedalare, che di solito è un ex professionista o qualcuno che sa come stare in strada. E poi vivo in Franciacorta e non c’è tanto traffico, ma è un fatto che quando hai la luce, ti notano di più. Quando hai la luce, molte meno persone ti fanno il pelo. Non capisco perché accada e non capisco perché tanti devono passarti così vicino, pur avendo lo spazio per superare.

La luce del Varia di Garmin è abbinata a un radar che segnala al ciclista l’arrivo di veicoli: la sicurezza ne guadagna
La luce del Varia di Garmin è abbinata a un radar che segnala al ciclista l’arrivo di veicoli: la sicurezza ne guadagna
Sei stato un pro’ fino a due anni fa, nessuno dei tuoi ex colleghi pubblica foto in cui usa le luci sulla bici…

E’ il mercato che muove tutto, i corridori sono spinti dai brand e finché non viene capito quanto sia importante, la situazione resta questa. I team potrebbero fare certamente di più, anche se io sposterei il focus sull’abbigliamento. Bisognerebbe davvero inventarsi qualcosa su questo aspetto, più che sulle luci. Ancora non tutti capiscono di dover utilizzare la luce posteriore. La grande svolta c’è stata quando Garmin ha introdotto il Varia e quando le squadre hanno iniziato a darlo ai corridori. Parlo di Garmin perché sono stati i primi, ma ce ne sono anche di altri brand. Credo che per per la luce anteriore ci sarà bisogno di più tempo.

Tu utilizzi il Varia?

Sì, da quando me lo ha dato la squadra, ed è tanta roba perché ti segnala il veicolo in avvicinamento. Ho cominciato a usarlo, come me hanno cominciato a farlo altri professionisti in giro per il mondo e con il passa parola hanno iniziato a usarlo tanti altri. Ma tornando alle strade, mi sto rendendo conto di quanto sia pericoloso il ciclismo proprio da quando sono salito in ammiraglia.

Più adesso di quando correvi?

Finché corri, hai lo sguardo sul corridore davanti e non ti rendi conto di quanti spartitraffico, ringhiere laterali e paletti devi schivare. Ho corso tanto in Belgio e lassù sei sempre al limite, è una cosa incredibile. Mentre adesso in ammiraglia, anche nelle fasi più rilassate di gara, bisogna essere super concentrati perché ti accorgi di pericoli che da corridore non vedi nemmeno, perché ti senti in una bolla. Penso che correre con una maglia e un pantaloncino che insieme pesano 200 grammi non sia più sufficiente.

Il ciclismo spinge i suoi protagonisti a velocità elevate senza protezioni: un tema di sicurezza
Il ciclismo spinge i suoi protagonisti a velocità elevate senza protezioni: un tema di sicurezza
La sensazione è che stia per arrivare un però…

Però non ho la soluzione e questo è quello di cui parlavo al telefono con Lucio (Dognini, ndr). Se ci pensate, da questo punto di vista il ciclismo è lo sport più pericoloso. Non c’è un’altra disciplina in cui raggiungi certe velocità senza una protezione. E non cambia nulla fra le maglie da 30 grammi di oggi e quelle da 200 grammi di una volta. La maglia di 15 anni offriva la stessa protezione di quelle di adesso. Magari ti salvava da una mezza bruciatura, mentre adesso ti rovini di più la schiena. Io parlo proprio dei traumi, dei colpi che arrivano se finisci contro un paletto. Per fortuna gli organizzatori stanno facendo tanto. Ci sono sempre più segnalatori, sempre più persone che bloccano gli incroci. Da questo punto di vista RCS è imbattibile, nelle poche gare che ho fatto da diesse, ho visto davvero un’organizzazione super.

Perché un’intervista come quella di Dognini genera critiche e non dibattito?

Penso sia sotto gli occhi di tutti che bisogna fare qualcosa di più. Il problema secondo me è grande, ma nessuno sa bene che cosa si possa fare. Quindi tante volte quando non sai cosa fare, non fai niente e non dici niente. Lucio ha fatto bene a contattarvi, io forse non lo avrei fatto, perché non ho soluzioni da dare e in quel caso preferisco stare zitto. Ci rendiamo conto che effettivamente si va troppo forte, però non troviamo la soluzione.

Da corridore avresti accettato di correre con una maglia dotata di airbag o protezioni?

Se diventa obbligatorio, si usa e basta. Se diventa obbligatorio, magari si accorciano leggermente le tappe nelle giornate più calde. Penso che la spettacolarità del ciclismo debba essere subordinata alla sicurezza. Se anche si perde un 10 per cento di spettacolo, ma salviamo un ragazzo, penso che tutti accetterebbero. Io sono nato proprio quando fu imposto l’uso del casco e so che il gruppo si oppose. Non sarà facile introdurre l’airbag, se quella sarà la soluzione, ma sono sicuro che arriverà. Bisogna trovare qualcosa di molto efficiente, con la grandezza delle tasche piene di gel, che è già una bella dimensione. Quando abbiamo le tasche piene, contengono una decina di gel, 5-6 barrette, quindi penso che ci sia uno spazio interessante, l’equivalente di un paio di borracce. Ovviamente non rigide, ma penso che con quella ampiezza si possa fare qualcosa.

L’abbassamento dei telai fa sì che la presa bassa sia scomoda e l’assetto aero migliore sia quello con le mani sopra
L’abbassamento dei telai fa sì che la presa bassa sia scomoda e l’assetto aero migliore sia quello con le mani sopra
Dognini ha parlato anche delle mani sul manubrio e dei corridori che le tengono sempre sopra.

E’ così perché si è abbassata molto l’altezza del cannotto di sterzo, quindi il telaio davanti è molto basso e impugnare il manubrio nella parte inferiore è un po’ estremo. Si sono rubati 4-5 cm sotto l’attacco manubrio, per cui la posizione più comoda e aerodinamica è quella in presa alta. Sotto sei scomodo. Quindi la bici si guida molto bene con le mani sopra, però c’è un fattore di sicurezza quando sei in discesa. Perché un conto è perdere la presa a 40 all’ora, ma se succede quando vai a 70, allora diventa grave. In discesa serve tenerle sotto e sarebbe un aspetto facile da risolvere. Basterebbe imporre delle altezze minime del tubo di sterzo.

Dopo la morte di Privitera, i corridori sono sembrati più interessati al tema della loro sicurezza?

Nell’immediato, chiaramente no. Ero anche io in Valle d’Aosta e abbiamo cercato di tenerli tranquilli perché emotivamente erano molto provati. Per il resto, se ne parla sempre. Ma non essendoci la soluzione efficace e applicabile, si riduce tutto a delle chiacchiere. E alla fine si smette anche di parlarne.

Nuove regole UCI: manubri, ruote, rapporti… non tutto è chiaro

01.07.2025
6 min
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E’ in arrivo una svolta regolamentare nel ciclismo professionistico. A partire dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore una serie di regole UCI riguardanti manubri, rapporti, ruote e gomme, tutte pensate per aumentare la sicurezza e l’equità delle competizioni.

Le nuove norme sono frutto di un lavoro condotto da SafeR, l’organizzazione per la sicurezza nel ciclismo professionistico, in collaborazione con squadre e corridori. Tuttavia, il recepimento da parte degli atleti non è stato affatto unanime né così convinto. Abbiamo analizzato i tre principali cambiamenti in arrivo e raccolto il punto di vista di Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, la rappresentanza italiana dei corridori. E non solo…

Vediamo prima nel dettaglio le regole su strada (perché alcuni cambiamenti riguardano anche pista e cross) e poi aggiungiamo le considerazioni degli interessati.

La larghezza interna minima delle leve deve essere di 32 centimetri (misurata tra i bordi interni delle leve stesse)
La larghezza interna minima delle leve deve essere di 32 centimetri (misurata tra i bordi interni delle leve stesse)

I manubri

Le bici da strada dovranno avere una larghezza minima del manubrio di 400 millimetri misurata tra i bordi esterni, con almeno 320 millimetri tra le leve freno (bordi interni) e 380 millimetri centro-centro.
Oltre al minimo, l’UCI ha fissato una distanza massima di 50 millimetri tra l’estremità interna e quella esterna del manubrio sullo stesso lato, per limitare geometrie estreme. In pratica profili troppo alari.

Questa regola mira a impedire l’adozione di manubri troppo stretti che, pur migliorando l’aerodinamica, compromettono la stabilità e la sicurezza in gruppo.
Secondo l’UCI, si tratta di uno standard condiviso dalla maggior parte dei produttori. Tuttavia, il tema ha acceso un dibattito, specie tra le atlete più minute che spesso preferiscono misure più compatte. L’approccio, secondo l’UCI, è stato condiviso con le parti in causa, ma nel gruppo c’è chi ha percepito una comunicazione a senso unico.

Parlando con i team, emerge che il questionario da compilare non sia stato particolarmente capillare. Dario David Cioni, per esempio, ci ha detto che non ha ricevuto nulla e che, se qualcosa è arrivato, è arrivato al team. Roberto Reverberi ci ha riferito che effettivamente è giunto, ma pochissimi giorni prima dell’annuncio ufficiale: come a dire “ve lo chiediamo, ma abbiamo già deciso”.

Sparirà il pignone da 10 denti di Sram? Probabilmente sì, a patto di non usare corone da 50 denti per restare entro i 10,46 m di sviluppo massimo
Sparirà il pignone da 10 denti di Sram? Probabilmente sì, a patto di non usare corone da 50 denti per restare entro i 10,46 m di sviluppo massimo

I rapporti

Un’altra grande novità riguarda la limitazione del rapporto massimo: nella seconda metà del 2025, in alcune corse a tappe ancora da definire, verrà testato il limite di 54×11 (10,46 metri di sviluppo a pedalata).
«La misura – spiega l’UCI – è volta a contenere la velocità e, quindi, il rischio di cadute e incidenti. Si tratta di una sperimentazione, ma potrebbe preludere a una regola definitiva a partire dal 2026».

Il provvedimento, però, non ha trovato il consenso degli atleti, che lo considerano inutile se non dannoso. Secondo Cristian Salvato e altri corridori interpellati, le alte velocità si raggiungono in discesa, dove i rapporti lunghi servono per non perdere terreno e non sono in sé causa di pericolo. Inoltre, la variabilità delle sezioni degli pneumatici rende complicata anche la misurazione reale dello sviluppo metrico stesso. Per molti, l’efficacia di questa regola è tutta da dimostrare.

Abbiamo chiesto anche a un meccanico, Francesco Giardiniere della Red Bull-Bora: «Queste regole ci costringeranno a fare un bel lavoro: dovremo rivedere molte misure. Per quanto riguarda le cassette, noi in SRAM abbiamo anche quella che termina con l’11, ma poi dovremo montare corone diverse. Vedremo cosa ci forniranno».
Il nuovo limite metrico è di 10,46 metri, quello del 54×11. Anche con un 52×10 si sarebbe oltre, visto che equivale a circa 11,18 metri.

Gli fa eco Stefano Zanatta, direttore sportivo della Polti-VisitMalta : «Questa cosa dei rapporti mi sembra una sciocchezza. Come si fa ad aprire ai rapporti liberi tra gli juniores e poi bloccarli tra i professionisti? E poi noi il materiale lo paghiamo: acquistare 40-50 cassette che costano 300 euro l’una è una spesa enorme. Ma chi decide queste cose non ci pensa». Anche Zanatta ha confermato che, se il questionario è arrivato, è rimasto chiuso in qualche mail di squadra senza essere diffuso.

Definiti i profili massimi delle ruote: 65 millimetri. Ma questo inciderà meno
Definiti i profili massimi delle ruote: 65 millimetri. Ma questo inciderà meno

Ruote e gomme

Terza e ultima area di intervento riguarda ruote e gomme. Dal 1° gennaio 2026 sarà vietato utilizzare cerchi con altezza superiore ai 65 millimetri nelle gare su strada. Anche in questo caso, lo scopo dichiarato è migliorare la stabilità e la maneggevolezza delle bici.

Questa misura sembra meno controversa, in quanto i profili da 60 millimetri sono già molto diffusi nel gruppo e le ruote più alte sono poco utilizzate.

Più dibattuta la questione delle gomme, che l’UCI vorrebbe rendere standard la sezione di 28 millimetri. La misura sarà oggetto di un test in una gara da individuare entro la fine del 2025.
Collegate alle sezioni delle gomme sono anche le misure interne delle forcelle e dei foderi posteriori: 115 millimetri all’anteriore e 145 millimetri al posteriore.

«Una ruota più larga – osserva Salvato – andrà anche più veloce, ma assicura anche una tenuta migliore».

Cristian Salvato, presidente ACCPI (associazione corridori ciclisti professionisti italiani)
Cristian Salvato, presidente ACCPI (associazione corridori ciclisti professionisti italiani)

Parola a Salvato

Il polverone si è alzato. Le donne si sono arrabbiate più degli uomini per quanto riguarda i manubri: tra loro, essendo più minute, è più diffuso l’uso di pieghe da 36 centimetri centro-centro. Alla fine, bisogna essere onesti: la misura di 40 centimetri esterno-esterno corrisponde spesso a pieghe da 38 centimetri, accettabili per la maggior parte degli uomini. Più delicato il posizionamento delle leve, che devono distare almeno 32 millimetri, ma questa è un’estensione della regola sulla rotazione interna di 5° introdotta tempo fa.

«Sui manubri – sottolinea Salvato – è giusto evitare estremismi come leve troppo piegate o pieghe da 35 centimetri. Ma bisogna considerare la conformazione fisica degli atleti, specie delle donne. Delle regole rigide possono creare problemi».

La sicurezza secondo Salvato non passa solo dalle regole, ma anche da arrivi con barriere più idonee e circuiti da poter mettere in sicurezza
La sicurezza secondo Salvato non passa solo dalle regole, ma anche da arrivi con barriere più idonee e circuiti da poter mettere in sicurezza

Quale sicurezza?

«Sono regole nate con intenti nobili – osserva Salvato – ma rischiano di diventare pura burocrazia. Capisco lo spirito di SafeR e dell’UCI di voler rallentare le corse per migliorare la sicurezza. Ma limitare i rapporti o la sezione delle gomme rischia di essere solo una forzatura senza benefici reali. Le vere priorità sono altre».

Più netta la sua posizione sulla limitazione dei rapporti: «E’ una misura insensata. In discesa la velocità non dipende certo dal 54×11. Inoltre si rischia di tornare ai metodi da giovanissimi, con le strisce a terra per misurare lo sviluppo. Siamo seri… La vera sicurezza è nelle barriere protettive, per dirne una, nei circuiti pensati con intelligenza. Se vogliamo proteggere i corridori, iniziamo da lì».

Salvato fa un paragone forte ma efficace: «Nel motociclismo, in 40 anni è cambiato tutto: tute, airbag, circuiti sicuri, vie di fuga. Nel ciclismo, rispetto ai tempi di Gimondi, abbiamo solo caschi più aerodinamici. Per il resto gli arrivi sono sempre gli stessi, con l’aggravante che le città moderne, piene di spartitraffico, rotonde, dossi e pali, sono pensate per le auto, non per le bici. Anche per questo insisto sui circuiti: si possono progettare e mettere in sicurezza molto meglio rispetto a una gara di 200 chilometri in linea».

Il caso Iannelli: le ricostruzioni che non tornano

02.03.2025
8 min
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Giovanni Iannelli muore a 23 anni, contro una colonna di mattoncini rossi priva di transenne a 150 metri dal traguardo. Il video della caduta in volata è sgranato e mosso, ma rende il senso dell’immobilità dopo l’urto. Ne hanno parlato i giornali e, come raccontato nell’articolo di ieri, anche il Ministro dello Sport Abodi. Ne hanno parlato Le Iene, eppure nulla si muove. Solo un giudizio civile per il momento ha condannato gli organizzatori, ma in quella sentenza Carlo Iannelli, suo padre, non ha mai visto il seme della giustizia. Al punto di aver detto più volte che vi rinuncerebbe, a patto che venga celebrato un processo penale.

Nel frattempo continua a scrivere sui social di tutti per richiamare l’attenzione. Come per incatenarsi davanti agli occhi e le coscienze di tutti quelli che, a vario titolo, possono immaginare ciò che accadde in quella casa il 5 ottobre del 2019. 

Suo padre Carlo gli passa la borraccia: una scena che in Toscana era decisamente abituale
Suo padre Carlo gli passa la borraccia: una scena che in Toscana era decisamente abituale
Avvocato Iannelli, l’abbiamo lasciata all’ospedale di Alessandria, ripartiamo dall’ultima domanda: che cosa accade dopo?

Scopro che la corsa è stata approvata dalla struttura tecnica del Comitato Regionale del Piemonte senza i documenti relativi alla sicurezza, obbligatoriamente previsti dal regolamento tecnico.

Come fa a dirlo?

Io c’ero arrivato da me, comunque è scritto nella sentenza del giudizio civile.

Visto che lei ha fatto parte a lungo della macchina federale, capitava spesso che ci fosse questo tipo di mancanze?

Quando ero vicepresidente del Comitato Regionale Toscano, ero tra quelli che nominava il responsabile della struttura tecnica, che all’epoca era Alessandro Rolfi. E Alessandro mi chiamava, anche di notte, e mi diceva: «Carlo, hanno presentato il programma di gara e non ci sono i documenti relativi alla sicurezza». E io gli dicevo: «Alessandro, sospendi tutto. Chiama la società e fa integrare quella documentazione». Perché quei documenti sono essenziali. Significa che la società ha fatto una verifica delle condizioni di sicurezza. Il programma di gara così approvato le consente di fare il giro dei vari Enti interessati dalla manifestazione per chiedere le autorizzazioni.

Cosa ha scoperto per la gara di Molino dei Torti?

In quel caso, il programma di gara viene presentato il 29 agosto 2019 e viene approvato dalla Struttura Tecnica del Comitato Regionale Piemontese. Il responsabile era Luca Asteggiano. E’ quel signore che fa il video ed è grande amico di Imere Malatesta, il direttore sportivo di mio figlio, che nel video bestemmia. E che però, quando viene chiamato dai Carabinieri di Lucca per essere sentito sull’accaduto, fa delle dichiarazioni che il Pubblico Ministero richiamerà nel decreto di archiviazione.

Via Roma a Molino dei Torti, il tratto di strada in cui è avvenuto l’incidente oggetto della relazione di Gianni Cantini
Via Roma a Molino dei Torti, il tratto di strada in cui è avvenuto l’incidente oggetto della relazione di Gianni Cantini
Che cosa dice Malatesta?

Nonostante abbia appena perso un corridore, mio figlio, dice che il circuito in questione a suo avviso è semplice. Che non era una gara da considerare pericolosa, poiché sono altre le strade o i tracciati pericolosi. Dice che rientra nella “media” delle gare, che non ha notato anomalie e per questo non ha ritenuto di fare alcuna segnalazione.

Quando ha cominciato a capire che nelle varie versioni qualcosa non tornava?

Subito. Con quei pochi documenti raccolti nei giorni successivi alla morte di Giovanni, ho incaricato Gianni Cantini, un direttore di corsa internazionale e docente in materia di sicurezza alle corse ciclistiche, di prepararmi una relazione tecnica. Dopo una quindicina di giorni sono stato ricevuto dal Pubblico Ministero di Alessandria, Andrea Trucano. L’appuntamento era fissato per le 15. Così la mattina sono andato a Molino dei Torti: non c’ero ancora stato e ho fatto un video in cui si vedono tutti quegli ostacoli mortali. Quella strada è costellata di ostacoli mortali. Farci disputare una volata, ma anche il passaggio dei corridori è una follia.

Cosa le dice il Pubblico Ministero?

Entro nella sua stanza insieme al mio avvocato e sulla scrivania c’è un fascicolo con scritto: Giovanni Iannelli. Trucano lo apre di fronte ai miei occhi e dentro non c’è niente. E’ vuoto, neanche un verbale della Polizia Municipale. E’ morto un ragazzo, gli dico, ma lui mi guarda e solleva le spalle per confermare che è così. Poi mi dice di aver studiato i codici, ma che di corse non sa niente. Così io gli rispondo che siccome mi aspettavo questa sua obiezione, ho portato la relazione di Gianni Cantini.

Che cosa c’è scritto in quella relazione?

Sono 10 pagine in sui si parla di tragedia annunciata. E nella chiusura, Cantini aggiunge che per la sicurezza della gara fosse doveroso fare molto di più di quanto non sia stato fatto il 5 ottobre 2019. Si chiede, anzi, come sia stato possibile che la Direzione di Corsa abbia permesso di dare il via alla gara in assenza delle minime misure di sicurezza necessarie. Non c’erano transenne a sufficienza e non c’erano protezioni per gli ostacoli sporgenti, come quella colonna. E conclude chiedendosi come sia possibile che il verbale di gara del Collegio di Giuria non segnali e non sanzioni alcuna mancanza tecnico organizzativa.

Giovanni Iannelli studiava economia Aziendale. Qui è con Rebecca, la compagna conosciuta al liceo
Giovanni Iannelli studiava economia Aziendale. Qui è con Rebecca, la compagna conosciuta al liceo
Come si conclude l’incontro con il Procuratore di Alessandria?

A un certo punto, dopo due ore, io e il mio avvocato stiamo per alzarci e il Pubblico Ministero dice che il Procuratore Capo vuole salutarci. Esce dalla sua stanza e rientra dopo pochi secondi con il Procuratore Capo di Alessandria, Enrico Cieri, amico del professor Renato Balduzzi, padrino di quella corsa ciclistica e già Ministro della Salute del governo Monti.

In cosa consiste il saluto?

Enrico Cieri si mette seduto, mentre io probabilmente non parlavo in maniera pacata, diciamo che forse ero un po’ esagitato. E lui dice: «Avvocato, avvocato, non stiamo parlando di criminali. Stiamo parlando eventualmente di organizzatori negligenti». In quel momento ho una strana sensazione, come se il discorso fosse già chiuso. Ma per chiarire se sia stata negligenza o colpa, sarebbe stato interessante avere i tabulati telefonici del 5 ottobre 2019, per capire qualcosa di più su eventuali contatti. Ma i tabulati non li abbiamo visti. Un processo servirebbe a questo: anche semplicemente a fugare ogni sospetto. 

Ci sono stati invece dei contatti fra Carlo Iannelli, il papà di Giovanni, e l’organizzatore della corsa in cui il figlio è morto?

Assolutamente no! Ho visto il presidente della società Ennio Ferrari e il sindaco di Molino dei Torti al funerale di mio figlio. Dopodiché non ho più avuto nessun tipo di rapporto, nessuno.

Che cos’altro non torna secondo lei nella ricostruzione ufficiale?

La deposizione del Commissario di Giuria in moto: Giulia Fassina. Per verificarla sarebbe bastato che in Procura avessero periziato il video, da me portato al Pubblico Ministero Andrea Trucano, la prima volta ci sono andato. Gli dissi che avrebbe potuto recuperare il file originale dal telefono di Luca Asteggiano che lo aveva girato e forse su quello la perizia sarebbe stata più agevole. Ma il telefono non è stato preso e il video non è stato periziato. Comunque a prescindere da questo, basta andare sul posto, in via Roma a Molino dei Torti, e mettersi nella posizione dove era Giulia Fassina, cioè in via Luigi Einaudi. Nel video la si vede arrivare con la moto e il casco arancione.

Che cosa ha testimoniato Fassina?

Ha dichiarato che si trovava a 10-15 metri dal punto dell’incidente, quando in realtà i metri sono circa 70 e per giunta era dalla parte opposta della strada. Con il casco in testa, le persone davanti e i corridori che passavano, non può aver visto nulla di così chiaro. Tanto che lei stessa si tradisce e la tradisce anche Luca Botta, il Presidente del Collegio di Giuria, quello secondo cui non c’era nulla da segnalare.

Come la tradisce?

Di fronte alla Procura federale, il Procuratore Nicola Capozzoli fa un’eccezione. Le fa presente che Luca Botta, che si trovava sull’auto del Presidente di Giuria, ha detto che si erano sentiti via radio nell’immediatezza e lei gli avrebbe detto che non aveva visto nulla. Ma davanti alla Procura, Fassina dice che probabilmente Luca Botta si è sbagliato, che lei non gli ha mai detto di non aver visto nulla. 

E’ riuscito a ricostruire quanto accadde dopo la caduta?

Il corridore che dà il colpo al manubrio a Giovanni è il dorsale 51, Niccolò Tamussi della Delio Gallina. Cade anche lui e si frattura lo scafoide. Nonostante abbia questa frattura, immagino anche dolorosa, viene preso e portato in una stanza di fronte al Collegio di giuria e gli chiedono cosa sia successo. Poi non lo portano dai Carabinieri, che erano già lì. Lo mandano via, chiudono le porte della stanza, si riuniscono e alla fine la versione ufficiale è quella che Giulia Fassina ripete quando le viene chiesta.

E’ certo che Tamussi non abbia parlato con i Carabineri?

Tamussi è stato contattato da mia figlia Margherita. E in una chat, che ovviamente ho portato alla Procura, le racconta come sono andate le cose. Chat che a quando pare la Procura ha completamente ignorato. Mentre il direttore sportivo di Tamussi prende un pezzo di pedale, che si è frantumato nell’impatto contro la colonna, e va dall’accompagnatore della squadra di mio figlio. Gli dice: guarda che cosa è successo, a Giovanni si è rotto il pedale e per questo è caduto.

Non è possibile?

Guardate le foto della bici e delle scarpe di Giovanni. Quello è un pedale che si è sbriciolato nell’impatto, non un pedale che si è rotto mentre pedalava. A questo si aggiunge la voce di un corridore che era accanto a Giovanni, Dario Salvadori. Quel giorno era in corsa e probabilmente ha continuato a seguire la vicenda. Legge i giornali, legge la storia del pedale rotto, si registra ad una testata online e scrive parole precise. Il senso è: non scrivete cavolate, non è stata la rottura di un pedale a far sbandare Giovanni, quanto piuttosto un corridore che è voluto passare dove non c’era lo spazio. E così facendo ha urtato il manubrio di Giovanni che è partito per la tangente senza neanche avere il tempo per rendersene conto. Io questo ragazzo non lo conosco neanche, sono entrato in contatto con lui, ho portato tutto alla Procura, ma non è successo niente. Di tutto quello che stiamo dicendo ci sono prove documentali, è tutto scritto. Eppure non ci sono orecchie per intendere, capite? Zero. Perché non si deve fare questo processo?

Bugno chiamato in Lega per la sicurezza. Le sue parole sferzanti

24.02.2025
5 min
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Nuovo incarico per Gianni Bugno, chiamato dal presidente Pella a capo della Commissione Tecnica della Lega Ciclismo, che guarda soprattutto al tema sicurezza. Sin dalle sue prime parole il pluricampione del mondo ha preso l’incarico con grande serietà, nel quale vuole mettere non solo la sua esperienza, ma anche tutte le sue idee, tirando dritto anche se si tratta di andare contro l’ordine precostituito o idee in vigore.

Bugno sa che quella che ha preso per le mani è la classica patata bollente: «L’affronto con cognizione di causa perché non ci sono solo io, c’è un ottimo staff, tutta la commissione è impegnata su questi temi, in primis la sicurezza. E’ un problema che mi sta a cuore ma devo dire che ai miei tempi ce n’era molta meno. Anche in questo campo il ciclismo ha fatto passi da gigante».

La gestione delle corse è per Bugno un tema basilare. Gli organizzatori vanno però consigliati e non puniti
La gestione delle corse è per Bugno un tema basilare. Gli organizzatori vanno però consigliati e non puniti
Eppure da più parti si parla di un ciclismo estremamente rischioso…

Ma il rischio ci sarà sempre, fa parte integrante del nostro mestiere. Ai nostri tempi però c’era da prestare attenzione a tante cose, non avevamo uno staff che ti segue come oggi, dove devi solo pensare ad allenarti e correre. Le cadute ci saranno sempre, si può agire per studiare le cause, capire che cosa si può fare per aiutare chi corre, tenendo conto che i materiali sono ben diversi da quelli nostri, sono molto più performanti, le velocità sono molto maggiori. Ma la protezione assoluta non ci sarà mai, questo è sicuro.

Questa settimana si è parlato molto della decisione di neutralizzare la prima tappa della Volta ao Algarve dopo la vittoria di Ganna e l’errore di percorso di molti corridori…

E’ stata una scelta sbagliatissima. Per la semplice ragione che c’è un regolamento al quale prestare fede, che dice che se accade un fatto del genere si convalida il risultato dando a tutti lo stesso tempo. Se l’errore avviene entro i 3 chilometri, perché deve essere penalizzato chi l’errore non l’ha commesso? Lasciamo perdere le colpe e le responsabilità di chi quelle strade doveva presidiarle – e parliamo di una gara di livello inferiore solo al WorldTour – ma intanto si doveva solamente applicare il regolamento.

Le cadute fanno parte del gioco, soprattutto in gare difficili come la Roubaix dove la posizione è tutto
Le cadute fanno parte del gioco, soprattutto in gare difficili come la Roubaix dove la posizione è tutto
Di organizzatori che commettono errori non ce ne sono pochi, però…

Gli errori sono il migliore degli insegnamenti, basta saperne trarre vantaggio. Secondo me il problema è a monte, riguarda come vogliamo che sia il ciclismo di oggi e del futuro. Teniamo presente che è un mondo competitivo, anzi si basa sulla competizione: l’imperativo per ogni corridore è essere avanti, quindi si sgomita, ci si fa spazio. Bisogna rientrare nei limiti del regolamento, certo, ma esso c’è apposta. Se sono davanti voglio rimanerci, se sono dietro devo guadagnare spazio. La rincorsa al Poggio nella Sanremo sarà sempre una volata nella volata, come anche l’approccio alla Foresta di Arenberg alla Roubaix. Ripeto: i rischi ci sono e ci saranno sempre.

Che cosa ne pensi della figura del “safeR”, che deve raccogliere dati sugli incidenti e analizzarne le cause per individuare le aree di rischio?

Non mi piace, anche perché questa è una definizione teorica, ma finora io ho visto solo gente che a ogni caduta va a cercare la responsabilità del corridore, commina cartellini gialli e rossi quasi fosse un arbitro di calcio. Di una figura del genere non ne abbiamo bisogno, c’è già la giuria per questo. Cominciamo a guardare le cose nel loro complesso, le sedi stradali più adatte, la cura dei terreni di gara. Io la trovo una figura assurda…

La tappa vinta da Ganna all’Algarve e poi neutralizzata è stata un errore regolamentare
La tappa vinta da Ganna all’Algarve e poi neutralizzata è stata un errore regolamentare
L’aspetto sicurezza riguarda anche gli allenamenti, la tua carica riguarda anche questo?

Sì e su questo io penso che gli strumenti per agire ci siano già. Basti pensare alla striscia continua: l’automobilista sa che non può oltrepassarla, facciamo allora rispettare la regola. Per me cordoli, aiuole in mezzo alla carreggiata, sono tutti ostacoli alla circolazione che alla fine penalizzano anche il ciclista. Il problema è che poi le modifiche fatte al Codice Stradale non sono all’altezza: che cosa significa sorpassare tenendo un metro e mezzo dal ciclista? Anche le ciclopedonali sono un falso aiuto, perché a quel punto sono i ciclisti che diventano un pericolo per i pedoni…

E’ un problema di regole o di cultura?

Questa è la domanda. Io vengo da una settimana di pedalate in Spagna e non ho sentito neanche un clacson. La gente si posizionava dietro il gruppo e aspettava con calma, sorpassando appena possibile e in sicurezza. Da noi hanno tutti fretta, strano però che se davanti c’è un trattore gli automobilisti non si mettono a suonare all’impazzata allo stesso modo.

Imboccare il Poggio davanti è fondamentale. Si gioca di gomiti e spallate, ma bisogna restare nelle regole
Imboccare il Poggio davanti è fondamentale. Si gioca di gomiti e spallate, ma bisogna restare nelle regole
Tornando ai tuoi compiti che cosa ti proponi?

Dobbiamo lavorare sul dialogo, in primis con gli organizzatori – sostiene Bugno – per aiutarli però, perché aiutando loro aiutiamo i ciclisti. Mettiamoci insieme per proporre miglioramenti, ad esempio per i mezzi stessi, ma anche per le radioline, che in caso di caduta per la loro posizione possono arrecare danno. Ogni componente il nostro mondo può dare un contributo per migliorare la situazione e ridurre il rischio. Ma non annullarlo…

Lo stop di Besseges per colpa di chi? Non dei corridori

15.02.2025
6 min
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«A causa di un incidente, con un veicolo entrato nel percorso, il gruppo si è fermato dopo 12 km di gara. Dopo alcune discussioni con gli organizzatori della gara, è stato deciso di neutralizzare il Col des Brousses e la sua discesa, di cancellare l’ultimo giro locale a Besseges (riducendo la distanza da 164,05 a 136,2 km) e di far ripartire la gara al km 22. Diverse squadre, tuttavia, hanno deciso di non ripartire e hanno abbandonato la gara».

Su procyclingstats.com che è il sito di riferimento per ordini di arrivo e statistiche, la terza tappa dell’Etoile de Besseges viene introdotta da questo testo. Vi si spiega come mai di colpo otto squadre WorldTour e una professional abbiano deciso di ritirarsi dalla corsa francese. Era la terza tappa, il giorno prima un’auto era finita nel gruppo: l’episodio era stato accolto dai corridori con fastidio, sia pure con la comprensione dovuta all’organizzatore.

Il mattino della terza tappa è bagnato: Ganna guarda il cielo, Puccio sullo sfondo parla con un tecnico
Il mattino della terza tappa è bagnato: Ganna guarda il cielo, Puccio sullo sfondo parla con un tecnico

Nove squadre a casa

L’organizzatore si chiama Patrick Herse e ha respinto ogni osservazione al mittente: «Un residente ha tirato fuori la macchina dal garage al passaggio della gara. Siamo in piena campagna, non possiamo mettere un addetto della sicurezza davanti a ogni garage».

Secondo lui, che pure si è impegnato a fare una verifica sulla sicurezza della gara, sono altri i motivi che avrebbero spinto le squadre ad abbandonare: «I corridori avevano già intenzione di fermarsi, perché il tempo era terribile. Oggi i giovani pensano di essere delle superstar ed è un peccato. Quello che è successo è stato una totale mancanza di sostegno e rispetto».

Un ritornello spesso abusato che a volte gli atleti hanno legittimato: la colpa è dei corridori, ma questa volta la tesi non regge e il rispetto sta anche nell’organizzare la corsa garantendo in primis la sicurezza. I corridori infatti hanno avuto la percezione di non avere protezione e quando anche il terzo giorno si sono ritrovati con delle auto in corsa, hanno ritenuto necessario fermarsi. Fra loro c’era anche Salvatore Puccio. Che cosa è successo quel giorno a Besseges?

«Se avete visto il video della seconda tappa – racconta – c’era già venuta incontro quella macchina. Da lì abbiamo capito che qualcosa non andasse, ma il giorno dopo siamo partiti ugualmente. Però dopo 9 chilometri erano entrate in gruppo altre due macchine. Per giunta pioveva e a quel punto abbiamo deciso di fermarci, perché non era fattibile».

I corridori parlano con la direzione di corsa: si va verso lo stop della gara
I corridori parlano con la direzione di corsa: si va verso lo stop della gara
Come mai?

Il problema era che le moto passavano e fermavano il traffico, ma erano poche e gli incroci erano scoperti. Se una macchina arrivava allo stop dopo che la moto era passata, nessuno gli segnalava che ci fosse una corsa per cui si immetteva sul percorso. Non c’erano volontari né protezione civile. Per questo ci siamo fermati e tramite il CPA abbiamo parlato con gli organizzatori. Ci hanno detto: chi parte rimane in gara, chi non parte viene messo fuori.

E voi?

Noi ci siamo allontanati pensando che nessuno sarebbe partito, se non le due squadre più piccole e a quel punto la corsa sarebbe stata fermata ugualmente. Diciamo che sembrava fatta, avevamo fatto una scelta puntando sulla sicurezza, invece alla fine sono partiti tutti i francesi e noi siamo rimasti fuori gara. Anche nella squadra di De Lie che quel giorno ha vinto si sono fermati cinque corridori.

Le squadre WorldTour si fermano, ma non convincono le altre a seguirle
Le squadre WorldTour si fermano, ma non convincono le altre a seguirle
Per il CPA c’era Adam Hansen?

Nelle gare piccole ci sono soltanto i tre corridori delegati e in questo caso c’erano Benjamin Thomas della Cofidis, Jan Tratnik della Redbull-Bora e Alex Kirsch della Lidl-Trek. Al mattino, prima del via, era venuto fuori che c’erano soltanto dieci moto, per cui abbiamo concordato che se fosse successo di nuovo qualcosa, ci saremmo fermati.  Quando ci siamo ritrovati con due macchine nel gruppo, ci siamo fermati. Mancavano 150 chilometri, cosa succede se il gruppo finisce contro un’auto? Sappiamo bene quali sono i rischi del lavoro che facciamo, ma gareggiare con il traffico aperto, quello no. Ormai non succede neanche alle gran fondo.

La decisione è venuta solo dai corridori oppure i direttori vi hanno appoggiato?

I direttori delle squadre che si sono fermate ci hanno appoggiato e si sono presi la responsabilità, però arrivavano dei direttori di squadre francesi, particolarmente aggressivi contro i corridori. Non si poteva andare avanti, lungo il percorso c’erano le macchine parcheggiate sul ciglio. Non era come nelle corse in cui i poliziotti e le staffette davanti sgombrano la strada. Lì c’erano le macchine parcheggiate, perché giustamente arrivavano e venivano fermate dai due poliziotti che viaggiavano 100 metri davanti al gruppo. Sembrava una gara di dilettanti, non so quanto andare avanti sia stato utile per l’immagine della corsa. C’erano Ganna e Carapaz, due campioni olimpici, non era un gruppo qualsiasi…

Alex Kirsch era un delegato del CPA all’Etoile des Besseges
Alex Kirsch era un delegato del CPA all’Etoile des Besseges
Probabilmente l’organizzatore avrà avuto i suoi problemi economici nel mettere insieme volontari e staffette…

Non discuto, ma nessuno li ha costretti a fare tappe di 160-180 chilometri, sarebbe bastato fare dei circuiti, avrebbero avuto gli incroci chiusi e controllati. Abbiamo lottato tanto per la sicurezza e poi devi accettare di correre in quella situazione? Molti ci criticano e dicono che i corridori di oggi non hanno le palle come quelli di una volta, ma una volta c’era meno traffico e le macchine si fermavano. Già corriamo tanti rischi e lo sappiamo. Ma se quando siamo tutti in fila, ci ritroviamo una macchina contro mano su una strada stretta, avete presente che cosa può succedere?

E’ andata bene, insomma…

E’ andata benissimo! Nella seconda tappa, quando è entrata l’auto, davanti l’hanno schivata, ma c’è stata la caduta dietro e qualcuno si è ritirato perché andavamo a tutta, c’è stato un rallentamento brusco e nessuno poteva prevederlo. Si stava lottando per prendere le posizioni, abbiamo rischiato di farci male per davvero. Che poi la gente tanto non ci pensa…

La terza tappa a Besseges viene vinta da De Lie: nella Lotto Dstny si sono fermati in cinque
La terza tappa a Besseges viene vinta da De Lie: nella Lotto Dstny si sono fermati in cinque
A cosa non pensa?

Quando ti fai male, lì per lì si dice qualcosa, ma poi la gente si dimentica. Sei da solo e magari accade che le squadre nemmeno ti seguono. E alcune, dopo tre mesi che non corri, ti tagliano anche lo stipendio. Sembra che non aspettino altro. E devi rischiare di finire così per un’auto entrata in gruppo perché l’organizzatore non è stato in grado di garantire la sicurezza? No, grazie. Su queste cose dobbiamo essere fermi, perché ci andiamo di mezzo noi.

Elastic Interface lancia una campagna per la sicurezza in strada

10.02.2025
3 min
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“Non guidare d’istinto, ma distante”: con questo slogan Elastic Interface, azienda italiana specializzata nella produzione di imbottiture innovative e sostenibili per abbigliamento da ciclismo, ha avviato una nuova campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale dei ciclisti. L’iniziativa prevede la circolazione di un furgone aziendale appositamente allestito, che porta il messaggio di attenzione e rispetto per i ciclisti sulle strade della provincia di Treviso.

Dallo scorso 8 gennaio, tutti gli automobilisti della provincia di Treviso possono imbattersi in un veicolo di Elastic Interface con impresso un messaggio chiaro ed essenziale: “Non guidare d’istinto… ma distante. Rispetta la distanza di sicurezza.” Sul retro del furgone, lo slogan è accompagnato da un’immagine illustrativa che evidenzia l’importanza di mantenere almeno 1,5 metri di distanza dai ciclisti, garantendo così di conseguenza la sicurezza di tutti gli utenti della strada. L’obiettivo della campagna è chiaro, ovvero quello di sensibilizzare sia automobilisti che ciclisti sull’importanza di una convivenza rispettosa e sicura, riducendo il numero di incidenti e promuovendo una maggiore consapevolezza sui rischi della strada.

Questo il furgone di Elastic Interface che girerà in provincia di Treviso
Questo il furgone di Elastic Interface che girerà in provincia di Treviso

Necessità di cambiamento

Le statistiche confermano l’urgenza di un intervento concreto: nel 2024 si sono registrati 195 decessi causati da incidenti che hanno coinvolto ciclisti. La mancanza di infrastrutture adeguate, e la condivisione delle strade con altri veicoli, rendono particolarmente vulnerabili coloro che si spostano in bicicletta, soprattutto durante gli allenamenti. Anche un semplice spostamento d’aria generato da un veicolo può destabilizzare un ciclista, con conseguenze potenzialmente gravi.

Elastic Interface, da sempre attenta al benessere degli atleti su strada, ha inserito la promozione della sicurezza ciclistica tra gli obiettivi di beneficio comune della propria attività. L’iniziativa rientra in un impegno più ampio per favorire una maggiore sicurezza e consapevolezza nella condivisione degli spazi stradali.

Un impegno condiviso

Tra i sostenitori della campagna c’è Paola Gianotti, ciclista e ambassador del brand, che nel 2014 ha subito un grave incidente stradale durante il suo giro del mondo in bicicletta. Da allora, la stessa Gianotti si è impegnata attivamente nella sensibilizzazione sulla sicurezza dei ciclisti, promuovendo cartelli stradali e sostenendo proposte di legge per rendere obbligatoria la distanza minima di 1,5 metri in fase di sorpasso.

«Questa campagna – ha dichiarato Irene Lucarelli, responsabile marketing e comunicazione di Elastic Interface – è solo un primo passo. Abbiamo grandi aspirazioni e siamo aperti a collaborazioni per far crescere questa iniziativa. Elastic Interface ribadisce che la sicurezza su strada è una responsabilità condivisa: il rispetto delle regole e la consapevolezza reciproca sono difatti fondamentali per una convivenza più sicura tra ciclisti e automobilisti».

Elastic Interface

Il ciclismo negli autodromi. Sicurezza su, costi giù

09.02.2025
5 min
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Il ciclismo negli autodromi, spettacolo, costi più bassi e soprattutto tanta più sicurezza. E quanto serve di questi tempi… Può essere una grande soluzione per team e organizzatori. Pensiamo infatti alle gare, ma anche agli allenamenti. Abbiamo fatto una ricerca e attualmente in Italia ci sono 15-16 autodromi fruibili: sparsi dal Nord al Sud, da Monza a Racalmuto. In questo computo abbiamo tenuto conto di quelli la cui lunghezza è superiore ai 2.000 metri. Altrimenti diventano kartodromi, la lista si allungherebbe a dismisura e per esigenze tecniche andrebbero bene al massimo per i giovanissimi.


Ne abbiamo parlato con Marco Selleri, di ExtraGiro. Selleri di autodromi, quello di Imola in particolare, se ne intende. Ci ha organizzato diversi eventi, su tutti il mondiale del 2020, quello del Covid per intenderci. Marco non si limita a parlare solo degli autodromi, ma porta avanti l’idea del circuito, anche su strada. Chiaramente in località con determinate caratteristiche, che preveda la chiusura di pochi bivi. Ma per questo serve l’aiuto della politica: gli Enti del territorio da una parte, la Federciclismo dall’altra.

Selleri è un organizzatore di lungo corso: le sue perle? Il mondiale 2020 e il Giro Giovani
Selleri è un organizzatore di lungo corso: le sue perle? Il mondiale 2020 e il Giro Giovani
Marco il ciclismo negli autodromi: un tema alquanto vasto. Tu e la tua ExtraGiro nel 2020 avete iniziato a lavorarci a stretto giro…

Quella è stata una scelta dettata dalla necessità. Durante il Covid, la ripresa delle gare è stata più semplice negli autodromi, perché erano ambienti delimitabili e si potevano rispettare i protocolli sanitari con maggiore facilità. Però non è un’idea nuova: già negli anni 2000, a Imola si corse una cronometro del Giro delle Pesche Nettarine. Andando ancora più indietro, nel 1968, Nino Ceroni vi portò il mondiale.

Imola e il ciclismo insomma: un bel connubio…

L’autodromo di Imola si presta particolarmente bene perché ha saliscendi che lo rendono impegnativo. Circa 50 metri di dislivello a tornata e una pendenza massima del 10 per cento, e un asfalto con grip elevato, pensato per le corse automobilistiche. E poi è anche uno spettacolo per chi viene ad assistere alla gara che può vedere più passaggi (e volendo ci sarebbero anche i maxischermi, ndr).

Quali sono i principali vantaggi di una corsa in autodromo?

Il primo aspetto è la sicurezza. Un autodromo elimina il pericolo del traffico aperto e riduce drasticamente il numero di persone e mezzi necessari per garantire il regolare svolgimento di una corsa. Un altro punto a favore è il risparmio economico: servono meno moto di scorta, meno personale a terra e meno auto al seguito.

In Italia gli autodromi e kartodromi sono oltre 100. A questi si aggiungono una decina di piste test di vari brand o enti di ricerca, che sono di più complicato accesso
In Italia gli autodromi e kartodromi sono oltre 100. A questi si aggiungono una decina di piste test di vari brand o enti di ricerca, che sono di più complicato accesso
Di che numeri parliamo, rispetto appunto ad una corsa su strada?

Se parliamo di una corsa su un circuito di cinque chilometri, in strada servirebbero almeno sei-sette scorte tecniche, mentre in autodromo basta una sola moto. Se fosse una corsa in linea, il risparmio sarebbe ancora maggiore: una gara su strada richiede circa 150 persone a terra e 15-16 scorte tecniche in moto. Se considerate che il concetto di volontario è praticamente sparito si fa presto a capire che il risparmio di aggira sui 4/5 della spesa.

Si parla molto di sicurezza, tanto più dopo i recenti fatti di cronaca: gli autodromi possono essere utili anche per il ciclismo giovanile? Sono una risorsa per il movimento…

Assolutamente sì. A Imola, ad esempio, ogni anno si tiene un evento giovanile, il GP Fabbi Imola che coinvolge più di 800 ragazzi tra giovanissimi e allievi. Gli autodromi sarebbero perfetti per ospitare non solo gare, ma anche allenamenti in totale sicurezza. Il problema è che gli autodromi sono spesso occupati da eventi motoristici e trovare spazio per il ciclismo non è semplice. Alcuni, come Imola, aprono ai ciclisti in orari serali, ma servirebbe un accordo strutturato a livello federale per rendere questi spazi più accessibili. Ma si potrebbe estendere l’idea anche a circuiti su strada

Cioè?

In alcune zone si sta già lavorando in questa direzione. Ad esempio, il circuito dei Coralli a Faenza, un tracciato di otto chilometri, potrebbe essere chiuso al traffico un pomeriggio a settimana per gli allenamenti. Creare delle vere e proprie palestre di allenamento per il ciclismo giovanile sarebbe fondamentale per la crescita del movimento. Per farlo però serve la collaborazione delle amministrazioni locali e della Federazione. Studiando le esigenze dei cittadini e degli agricoltori si potrebbero individuare fasce orarie in cui chiudere temporaneamente il traffico senza creare disagi. Una volta a settimana si può fare… se si vuole.

Un’immagine del mondiale 2020: il gruppo aggredisce le curve dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola
Un’immagine del mondiale 2020: il gruppo aggredisce le curve dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola
Marco hai detto che non è semplice trovare spazio negli autodromi: perché?

Il costo di gestione degli autodromi è molto alto. Restiamo su Imola. Quando case come Pirelli, Ferrari, Lamborghini… ci svolgono i loro test, l’impianto viene affittate per circa 30.000 euro al giorno. Per il ciclismo la cifra richiesta è molto più bassa, intorno ai 3.000 euro.

Ci sono meno esigenze, è chiaro, ma questo lo rende meno appetibile per chi gestisce l’autodromo…

Questo rende difficile per i gestori destinare tempo e spazio alle biciclette. Imola lavora sempre. Quest’anno per esempio ci arriva il Giro Women, ma la sera prima c’è il concerto di Max Pezzali. Pertanto deve esserci qualcuno che nella notte pulisce tutto. E dopo il Giro Women ci sarà un altro concerto. Al termine di ogni evento c’è sempre un ispettore di pista o un manutentore che verifica pulizia e stato dell’impianto. E questi sono costi.

Almeno Imola lavora sempre e comunque sono sempre cosi più bassi rispetto alla strada…

Quello sì. Test, gare, eventi, la Formula 1 (che però al contrario è un costo)… Per questo dico che in mezzo a tanti eventi e di fronte e certi costi, servirebbe un intervento politico per agevolare l’accesso del ciclismo negli autodromi. Si potrebbero riservare almeno quattro ore a settimana nei mesi tra aprile e ottobre. Ma perché ciò accada, è necessario che le amministrazioni locali abbiano una reale sensibilità verso il ciclismo. Purtroppo, i sindaci che hanno a cuore questo sport sono ancora pochi.

Tricolori di Follonica, sul ciclismo lo sguardo dei genitori

09.01.2025
6 min
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FOLLONICA – I Campionati Italiani Giovanili di Ciclocross, che si sono svolti lo scorso fine settimana a Follonica e che vi abbiamo raccontato, sono stati anche l’occasione per parlare con genitori e direttori sportivi e raccogliere le loro sensazioni di… adulti. Come vivono la scelta di questa disciplina da parte dei propri ragazzi e ragazze? Quanto ha inciso il fatto che il ciclocross sia più sicuro rispetto alla strada, in questo momento di scarsa sicurezza, soprattutto per quanto riguarda gli allenamenti?

A Follonica si sono sfidati esordienti e allievi: categorie ancora… tranquille
A Follonica si sono sfidati esordienti e allievi: categorie ancora… tranquille

Per divertimento

Già dopo la riunione tecnica del sabato sera, tenuta dall’organizzatore Fausto Scotti e dal suo staff presso il Villaggio Mare Sì, abbiamo ricevuto le prime risposte. 

«Sicuramente allenarsi in circuito è più sicuro», spiga Simone Tognetti, papà di Piercarlo dell’Uc Empolese, al primo anno tra gli esordienti. «Per ora, comunque, deve pensare solo a divertirsi, poi se la passione prende, sarà lui a decidere se continuare».

Elisa Barberis è invece la mamma di Davide Ghezzi della Salus Guerciotti: «Mio figlio pratica tutte e tre le discipline (ciclocross, mtb e strada) ma credo proprio che al primo posto metta il ciclocross. E’ da quando ha 4 anni e mezzo che gli piace stare nel fango… Da genitore un po’ di ansia ce l’abbiamo sempre e da questo punto di vista il ciclocross mi mette meno paura. Comunque lo sosteniamo sempre, dato che si impegna e, stando in gruppo, vediamo che si diverte. Fra qualche settimana lo porteremo in Belgio a vedere le gare dei suoi campioni. E’ il nostro regalo di Natale».

Tutti ad ascoltare Fasuto Scotti nella riunione tecnica del sabato nel Villaggio Mare Sì di Follonica
Tutti ad ascoltare Fasuto Scotti nella riunione tecnica del sabato nel Villaggio Mare Sì di Follonica

L’ammiraglia al seguito

I direttori sportivi sono come una seconda famiglia per questi ragazzi, come nel caso di Alessio Montagner, diesse della friulana Asd Libertas Ceresetto.

«Ho vissuto il dramma di Silvia Piccini (investita ed uccisa nel 2021 a soli 17 anni mentre era in bici, ndr) per cui quando facciamo allenamenti su strada abbiamo sempre una macchina al seguito. La disciplina del ciclocross, oltre ad essere più sicura, cerchiamo di insegnarla ai ragazzi anche per diversificare l’attività. Molti la vedono come un ripiego rispetto alla strada, invece io credo sia molto importante per la formazione tecnica dell’atleta». 

Gli chiediamo anche se per alcuni la bici sia ancora solo un gioco e se invece per altri sia qualcosa di ben più strutturato: «Magari capiterà che qualcuno farà uno sport completamente diverso, ma noto che il mondo sta correndo sempre più e la bici come gioco la vedo solo nelle categorie dei giovanissimi. Già dagli esordienti si comincia a lavorare sulla specializzazione. Per quanto riguarda il ciclocross, quando si arriva alle categorie internazionali (a partire dagli juniores, ndr) a malincuore vedo che molte società declinano questa specialità per puntare sulla strada. Si tratta di una cosa prettamente italiana – prosegue – tanto che ho avuto atleti che per poter continuare a fare ciclocross sono dovuti andare nei devo team nord europei».

Durante i tricolori di Follonica, genitori e tecnici si spostavano tra i punti più chiave del percorso
Durante i tricolori di Follonica, genitori e tecnici si spostavano tra i punti più chiave del percorso

Il fascino dei campioni

Più o meno gli stessi concetti sono stati ribaditi anche alla domenica, durante l’assegnazione delle 8 maglie tricolori individuali (4 maschili e 4 femminili tra esordienti ed allievi, entrambi di 1° anno e di 2° anno).

In più è saltato fuori, com’è nella natura delle cose, che l’esplosione mediatica dei vari Van der Poel e Van Aert ha avuto un certo riverbero nell’animo di questi adolescenti e pre-adolescenti. E’ normale: come il ragazzino che gioca a calcio e sogna le gesta di Mbappé o di Haaland.

L’incitamento del padre, lo sguardo attento della madre e l’impegno del ragazzo ai tricolori di Follonica
L’incitamento del padre, lo sguardo attento della madre e l’impegno del ragazzo ai tricolori di Follonica

Il costo delle trasferte

Non abbiamo tralasciato il discorso delle spese da sostenere da parte delle famiglie. Alcune società sportive per la disciplina stradale forniscono il materiale in comodato d’uso, mentre per il ciclocross bisogna arrangiarsi da sé. Anche le trasferte incidono, mentre per chi va su strada è più facile trovare gare vicino casa.

Pasquale Losciale e il papà di Gabriele, ad esempio, sono di Bisceglie (Bari): «Al Sud – ci spiega il genitore – abbiamo alcune gare grazie anche al Giro delle Regioni. Per le altre trasferte, dove possiamo lo accompagniamo. Altrimenti lui e gli altri ragazzi della Sc Cavallaro hanno la fortuna di avere degli allenatori che li “coccolano” anche dal punto di vista umano».

Mentre le gare della domenica si susseguono e i ragazzi trovano una leggera pioggerellina a rendere più scivolosi i tratti tecnici, raccogliamo il parere di un’altra mamma, Elisa Petri di Gorizia. Suo figlio Luca De Monte dell’Uc Caprivesi alterna cross e mtb: «Devo dire che mi spaventa un po’ più la mountain bike rispetto al ciclocross – ammette – perché è sempre più estrema, con sempre più salti. La bici da strada invece la pratico anche io ed è un po’ un punto di domanda pensando alla sicurezza di chi pedala».

La svolta degli juniores

Infine chiudiamo col parere di Marco Bettinelli, da Bergamo. Per suo figlio Francesco (che ha seguito la sua passione per le due ruote) vede un futuro di divertimento almeno fino alla categoria juniores.

«Si tratta di una categoria tenuta molto in considerazione in tutte e tre le discipline – dice – a discapito, credo, degli under 23. Ma per ora auguro a lui e a tutti i ragazzi che si stanno sfidando qui a Follonica di praticare l’attività senza troppo assillo per la prestazione. C’è ancora un po’ di tempo per impostare una vera e propria carriera».