Il caso Iannelli: 7 ottobre 2019, la morte del figlio Giovanni

01.03.2025
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«Negligenza, imperizia, imprudenza – dice Carlo Iannelli – gli estremi basilari della colpa penale. Sarebbe bastato che venisse celebrato un giusto processo per omicidio colposo, mettendo nel piatto che questi signori venissero anche assolti. Sarei stato il primo a battere le mani. Non posso accettare che non si faccia un processo davanti alla morte di un ragazzo di vent’anni e in presenza di elementi a iosa. C’è qualcosa di strano, oppure no? Un processo sarebbe servito anche a concentrare davvero l’attenzione sul tema trascurato e ignorato della sicurezza».

L’avvocato di Prato, padre di Giovanni Iannelli morto in una corsa piemontese di cinque anni fa, dice tutto d’un fiato e così per un’ora e mezza di intervista. I più lo hanno bloccato, perché i suoi interventi sui social sono fastidiosi e irriverenti. Eppure, visto l’argomento, bloccarlo ci è parsa una mancanza di rispetto. Oggi proviamo ad ascoltare e capire perché questo padre avvocato cammini da cinque anni sul filo della pazzia, cercando invano di arrivare a un processo. Abbiamo diviso questa intervista in più puntate, che pubblicheremo oggi e nei prossimi giorni.

La famiglia Iannelli vive a Prato, Giovanni è il secondo da destra: quel giorno di sei anni fa ha sconvolto le loro vite
La famiglia Iannelli vive a Prato, Giovanni è il secondo da destra: quel giorno di sei anni fa ha sconvolto le loro vite

La sponda del Ministro

Perché il Ministro dello Sport dovrebbe parlare ripetutamente di questo caso, se tutto fosse davvero a posto? Anche giovedì, durante la presentazione della Coppa Italia delle Regioni, Andrea Abodi ha fatto un riferimento alla vicenda. Come aveva già fatto il 25 gennaio all’indomani della morte di Sara Piffer.

«Il tema della sicurezza – ha detto il Ministro – purtroppo assurge alle cronache quando succede qualcosa che lascia il segno nella vita delle persone, delle famiglie. Ci sono ancora troppi morti, questo vale nei giorni normali, ma vale anche nei giorni delle competizioni. Qua ci sono ancora dei temi irrisolti. Io vorrei che a fronte di morti durante le competizioni, ci fosse un accertamento puntuale, tempestivo, efficace, credibile, convincente delle responsabilità. Non cerchiamo un colpevole, cerchiamo l’individuazione di modelli di sicurezza che, anche attraverso l’esperienza drammatica di chi se n’è andato, ci consenta di essere sempre più efficienti proprio sul fronte della sicurezza».

L’avvocato Iannelli, con suo figlio Giovanni in braccio, assieme a Marco Pantani al Giro del 2000
L’avvocato Iannelli, con suo figlio Giovanni in braccio, assieme a Marco Pantani al Giro del 2000
Carlo, ci dica, chi era suo figlio Giovanni?

Giovanni era un ragazzo esemplare, un corridore esemplare, il cui solo errore è stato quello di amare la bicicletta e il ciclismo. Per Giovanni il ciclismo non era una ragione di vita, era una cosa bella della sua vita. A lui piaceva andare in bicicletta per la sensazione di libertà che provava, ma mio figlio non era solo un ciclista. Era anche uno studente, un ragazzo di 22 che aveva un foltissimo gruppo di amici non solo nel mondo del ciclismo. Giovanni era tante altre cose. Era la bontà, la bellezza fatta persona. Chiunque l’abbia conosciuto è concorde nell’attribuirgli grandissime doti di umanità, di generosità, di lealtà e di correttezza. Questo era Giovanni. Un ragazzo che non meritava certamente di finire così e non meritava il trattamento che gli stanno riservando.

Che cosa ricorda di quel 5 ottobre del 2019?

Ero al primo piano di casa mia, a Prato, e stavo guardando il Giro dell’Emilia, vinto da Primoz Roglic. Mia moglie invece era nella stanza accanto. A un certo punto, era finito da pochi minuti il Giro dell’Emilia, la sento urlare e sento un tonfo. Vado di là ed era lei che aveva il telefonino in mano e me lo mostrava: «Caduta a Molino dei Torti, un corridore dell’Hato Green immobile a terra». E lì mi si gela il sangue, perché i velocisti della squadra erano due, quella era una corsa per velocisti. Poteva essere Giovanni oppure Lorenzo. Quindi mi sono attaccato al telefono cercando di parlare con qualcuno della squadra, ma nessuno mi rispondeva perché erano momenti concitatissimi.

E poi?

Ad un certo punto riesco a parlare con Imere Malatesta, il direttore sportivo di Giovanni, e lui mi dice che lo stanno portando con l’elicottero ad Alessandria. Io non mi ricordo neanche cosa avessi addosso, se ero vestito, se avevo un pigiama, non me lo ricordo. Mi ricordo che prendo le chiavi della macchina e dico a mia moglie: «Partiamo!». Non so come ho fatto ad arrivare ad Alessandria, veramente non lo so come ho fatto. Durante la strada, cercavo sempre di mettermi in contatto con qualcuno, però nessuno mi rispondeva. A un certo punto, arrivato a circa 50-60 chilometri da Alessandria, mi telefona l’altro direttore sportivo, Mirko Musetti. Io ovviamente mi fermo sulla corsia d’emergenza e lui mi dice: «Guarda Carlo, Giovanni è in rianimazione. Questo è il numero, telefona subito alla rianimazione».

Cosa le dicono?

Telefono subito e mi risponde un dottore, il quale parte da lontano. Mi dice che mio figlio ha avuto un incidente in bicicletta, ma io gli dico che so tutto e voglio sapere come sta. E lui parla di «una sorta di tempesta perfetta». Nel senso che si sono assommate delle circostanze che hanno reso il quadro molto critico. E poi al termine della telefonata mi chiede dove mi trovi. Io gli dico che sono sull’autostrada e mi manca poco per raggiungere l’ospedale. E lui mi dice: «Guardi, vada piano, piano, piano, piano». Ho pensato che fosse morto e ovviamente non sono andato piano. Sono arrivato alla rianimazione di Alessandria e in tarda serata sono potuto entrare nella rianimazione.

Giovanni Iannelli, classe 1996, ritratto in un momento di quiete domestica
Giovanni Iannelli, classe 1996, ritratto in un momento di quiete domestica
Che cosa ha trovato?

Giovanni era stato sottoposto a un intervento disperato. Se fosse capitato a una persona anziana, non sarebbero neanche intervenuti. Ma avendo vent’anni, hanno provato l’impossibile. La verità è che Giovanni purtroppo è morto sul colpo, perché l’impatto con la testa contro quella colonna di mattoni rossi a 70 chilometri orari è stato devastante. Era steso nella rianimazione, attaccato alle macchine. Era caldo. Respirava. Era bello come un dio greco, in faccia non aveva nulla, perché la lesione era nella parte posteriore della testa. Aveva solamente questo turbante in testa e appena qualche piccola sbucciatura. E’ rimasto così fino a lunedì 7 ottobre 2019, quando ci hanno chiamato i medici e ci hanno dato la notizia che Giovanni era morto. Io e mia moglie ci siamo consultati neanche più di tanto e abbiamo deciso di optare per l’espianto degli organi. Abbiamo scoperto poi dalla sua fidanzata che Giovanni si era detto favorevole casomai gli fosse successo qualcosa, per dimostrare il suo altruismo, nella vita di ogni giorno e nel ciclismo. Si metteva a disposizione, era veramente l’amico che tutti vorrebbero avere. Quando eravamo alla rianimazione, da Prato è partito un gruppo di ragazzi, amici al di fuori del ciclismo. Ho visto questi coetanei di Giovanni, quindi poco più che ventenni, che facevano fatica a camminare…

Che cosa accade dopo?

Io per oltre trent’anni mi sono occupato di ciclismo. Sono stato per dieci anni presidente della Ciclistica Pratese, organizzando corse per tutte le categorie, dai giovanissimi fino ai professionisti, con il Gran Premio Industria e Commercio. Sono stato per otto anni vicepresidente del Comitato Regionale Toscano della Federciclismo. Sono stato per 15 anni un giudice agli Organi di Giustizia sempre eletto dalle varie assemblee: regionale e nazionale. Non mi ha mai nominato nessuno. Questo per dirle che io ho tutto chiaro sin dall’inizio, chiarissimo. E così, appena mi sono un po’ ripreso, ho iniziato a fare un’investigazione per conto mio, con i miei modestissimi mezzi. E ho scoperto che a fronte di un rettilineo di arrivo particolarmente pericoloso, quella corsa era stata approvata dalla struttura tecnica del Comitato Regionale del Piemonte senza i documenti relativi alla sicurezza, obbligatoriamente previsti dal regolamento tecnico…