La lunghezza del mondiale e la sua durezza. Nei giorni di Kigali si è fatto un gran parlare del fatto che soltanto trenta corridori avessero finito la corsa: dove sta lo spettacolo? I 267,5 chilometri a 1.600 metri di quota e per giunta all’Equatore erano probabilmente troppi. Avrebbero potuto tirare via una cinquantina di chilometri e il risultato non sarebbe cambiato: Pogacar campione del mondo. Condivisibile o meno, probabilmente l’assunto è giusto. Va fatto notare, che se l’organizzazione non avesse fermato gli atleti staccati, al traguardo ne sarebbero arrivati di più. Ma cambia poco.
La controprova si è avuta ieri ai campionati europei in Drome et Ardeche. Corsa di 202,5 chilometri: lo stesso vincitore e appena 17 corridori all’arrivo. Considerando che Pogacar è rimasto da solo a 77 chilometri dall’arrivo, vogliamo dire che sarebbe bastato un percorso di 125 chilometri? Questa è chiaramente una provocazione, ma ci permette di fare una premessa edue osservazioni in materia di calendario e di eccezionalità di questa fase storica.
La grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sìLa grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sì
Il mondiale ad agosto
La premessa: non cadiamo nell’errore di parametrare tutto sull’anomalia di Pogacar. Tadej vincerebbe anche se le gare avessero un chilometraggio minore, per tutti gli altri c’è una bella differenza fra 200 e 250 chilometri. Detto questo, se serve per rendere il ciclismo più spettacolare, lasciando i Monumenti alle distanze originali, nulla vieta di ragionare su durata e lunghezza. Flanders Classics si è unita a Cycling Unlimited e ha preso in mano l’organizzazione del Giro di Svizzera. Hanno ridotto i giorni di gara, equiparando quelli degli uomini a quelli delle donne: lo spettacolo non cambierà. Un errore? Proviamo e poi valutiamo.
Il calendario. Se il mondiale è davvero una corsa importante, è tempo di riportarlo ad agosto, com’era fino al 1994. C’erano i corridori che uscivano bene dal Tour e quelli che si erano preparati dopo il Giro. Era un ciclismo meno veloce dell’attuale e a maggior ragione prevedere ancora il mondiale a fine settembre, con corridori spremuti come limoni dall’intera stagione e dalla Vuelta, è fare un torto alla gara più rappresentativa dell’UCI. Nessuno dei corridori della Vuelta ha fatto bene a Kigali, ad eccezione di Ciccone.
Altra annotazione sul calendario è che troviamo sciocco aver ravvicinato così tanto i mondiali e gli europei, proponendo per giunta percorsi pressoché identici. Lo hanno fatto notare sia Pogacar sia Evenepoel, ci meravigliamo che non lo capiscano i padroni del ciclismo, nonostante lo sfoggio di scienza con cui modificano ogni cosa senza chiedere riscontri. Ma questo non avviene per caso e ci porta alla seconda considerazione sull’eccezionalità di questa fase storica.
Evenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessunoEvenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessuno
Pogacar, la testa e le gambe
Tutti vogliono Pogacar in fuga. E’ come avere la possibilità di scritturare il cantante più in voga e puntare sempre e soltanto su quello che vende più dischi. Chiaramente gli sponsor sono più contenti di… vestire una sua vittoria, piuttosto che quella di un velocista. Eppure è anche un fatto di opportunità. Sapevano tutti che in caso di vittoria dello sloveno il prossimo anno non avremmo visto la maglia di campione europeo sulle strade del mondo, come accadrà con quella di campione della crono conquistata da Evenepoel. Evidentemente il ritorno della vittoria di ieri copre anche il prezzo della scomparsa del simbolo.
Il periodo è eccezionale perché tolto Pogacar, le corse avrebbero uno sviluppo ben più normale. Il gruppetto uscito compatto dal Mount Kigali sarebbe entrato nel circuito finale del mondiale e si sarebbe giocato la corsa con altri equilibri. Ma qui non stiamo dicendo che non vogliamo Pogacar in azione, semplicemente sarebbe interessante se gli rendessero la vita meno facile. Che noia erano i Tour de France con le crono da 60 chilometri per favorire Indurain? Se gli organizzatori lavorassero per amore del ciclismo e dello spettacolo, disegnerebbero percorsi aperti a più soluzioni, dimostrando anche un rispetto superiore per il resto del gruppo. Per i corridori africani in Rwanda, ad esempio. Per il resto del gruppo agli europei. Pogacar vincerebbe lo stesso, però magari per farlo dovrebbe usare anche la tattica e non dovrebbe accontentarsi solo delle gambe.
Con questa intervista esclusiva e profonda, Cattaneo ci porta nella Soudal-Quick Step fra la crisi e la rinascita di Remco Evenepoel. Da leggere d'un fiato
Stavolta di chilometri ne mancavano 75. Ormai bisogna contare questi dati per sorprendersi ancora, almeno un po’, quando si parla di Tadej Pogacar. Lo sloveno però non voleva – come a Kigali del resto – restare da solo tanto presto. Semplicemente e giustamente voleva togliersi di mezzo da una situazione tattica a dir poco fastidiosa con cinque belgi.
Il problema per Pogacar è che Remco Evenepoel ha retto la sua ruota per circa un minuto, poi si è spostato nel vero senso della parola, prima di esplodere del tutto. E forse questa è stata la decisione più giusta di giornata, quella che ha tenuto un filo di suspense per questo campionato europeo.
Momento decisivo della corsa: 75 km all’arrivo, troppi belgi per Pogacar che decide di attaccareMomento decisivo della corsa: 75 km all’arrivo, troppi belgi per Pogacar che decide di attaccare
Difendersi attaccando
E così dopo il mondiale, Tadej Pogacar conquista anche il Campionato Europeo. Una maglia che, a parte la foto di apertura, non vedremo mai di fatto. Completano il podio appunto Remco e uno stratosferico ragazzino di 19 anni, Paul Seixas, beniamino di casa. Sarebbe stato bello che sul podio ci fosse un gradino in più. La medaglia di legno è andata a Christian Scaroni. L’azzurro è stato bravissimo, generoso, coraggioso… ma contro questi mammasantissimi cosa vuoi fare? E sì che ne ha anche staccato uno, Juan Ayuso.
«Sapevamo – ha raccontato Pogacar – che la gara sarebbe stata molto difficile dal terzo giro con la salita lunga in poi, ma il Belgio ha attaccato dal secondo e ho iniziato a perdere compagni di squadra. Al terzo giro, appunto, mi sono accorto di essere solo, mentre i belgi erano in quattro o cinque (a tratti anche in sei vista la generosità dello slovacco Martin Svrcek, compagno di club di Evenepoel, ndr). Così mi sono detto che era meglio attaccare io piuttosto che avere troppi avversari che avrebbero potuto mettermi in mezzo».
L’arrivo di Pogacar, cannibale dell’era moderna. La Slovenia, che lo ha scortato bene nella prima metà della gara, lo attendeva dopo la lineaaL’arrivo di Pogacar, cannibale dell’era moderna. La Slovenia, che lo ha scortato bene nella prima metà della gara, lo attendeva dopo la lineaa
Tadej il ragioniere
A quel punto è iniziata la sua lunga cronometro. Quasi due ore da solo faccia al vento. Non solo, ma per quasi 30 chilometri Pogacar aveva solo due rifornimenti fissi, quello dei box e quello in cima allo strappo, in quanto l’ammiraglia non era stata fatta passare.
«Mi sono trovato davanti – ha ripreso Tadej – e ho cercato di mantenere il mio vantaggio intorno al minuto perché sapevo che il distacco era buono. Non ritengo di aver dominato totalmente la gara perché Evenepoel era molto forte e mi inseguiva sempre. Non ho potuto mollare fino al traguardo e sono stato costretto a dare il massimo. Sono contento di aver conquistato un altro titolo».
Come ormai ci ha abituato a fare dal mondiale dell’anno scorso, quando si trova in queste situazioni Pogacar cerca di costruirsi un margine di sicurezza e poi si attesta su quel distacco, in modalità “velocità crociera”. Centellina energie e controlla. Alla fine in questo modo non è mai a rischio di saltare. E ci riesce molto bene anche senza radioline.
Non solo, ma modula la velocità anche in base a chi segue. Lo stesso Pogacar ha detto che, una volta saputo che ad inseguirlo era Remco da solo, ha aumentato un po’. Quel po’ che ha fatto sì che il belga non recuperasse troppo e restasse attorno al minuto o poco più.
«Ogni volta – ha concluso il neo campione europeo – voglio dare il massimo e acquisire esperienza provando gare diverse. Sono fortunato a vincere tutte queste corse e devo sfruttare al meglio tutto ciò finché posso». Ormai questo senso di consapevolezza che più su non può andare lo ripete ogni volta.
Bellissima l’Ardeche, nel Sud Ovest della Francia. In basso si nota il gruppo: dei 97 partenti solo 17 hanno concluso la provaIl triello tanto atteso si spento a poco più di 100 km dall’arrivo quando Vingegaard si è staccatoIl podio degli europei elite 2025: 1° Tadej Pogacar, 2° Remco Evenepoel, 3° Paul SeixasMarco Frigo è stato l’unico attaccante della prima ora a tagliare il traguardo. E’ giunto 9° Bellissima l’Ardeche, nel Sud Ovest della Francia. In basso si nota il gruppo: dei 97 partenti solo 17 hanno concluso la provaIl triello tanto atteso si spento a poco più di 100 km dall’arrivo quando Vingegaard si è staccatoIl podio degli europei elite 2025: 1° Tadej Pogacar, 2° Remco Evenepoel, 3° Paul SeixasMarco Frigo è stato l’unico attaccante della prima ora a tagliare il traguardo. E’ giunto 9°
Lo strano tris di Evenepoel
Ancora secondo, come sette giorni fa. Quasi una gara “copia e incolla”, anche se non è stato affatto così. «E’ stata una delle prime volte in cui sono riuscito a rispondere all’attacco di Pogacar – ha spiegato Evenepoel – ma è durato un po’ troppo a lungo per me. Ho dovuto mollare la presa sull’ultimo tratto ripido prima di riprendermi dallo sforzo. Sono poi riuscito a trovare un buon ritmo. In cima, il distacco era di soli 30”, quindi non eravamo stati completamente spazzati via. Purtroppo, la collaborazione nel nostro gruppetto non è stata ottimale».
E ancora Remco: «Serge Pauwels dall’ammiraglia è venuto a dirmi che dovevo attaccare, che potevo guadagnare qualcosa, ma il distacco è rimasto complessivamente lo stesso. Pogacar ha meritato la vittoria e io ho fatto la mia gara. Nel complesso, sono contento di aver resistito bene e di essere riuscito a mettergli un po’ di pressione. Ho lottato bene, è il posto che meritavo. Mi spiace solo che nelle gare dei titoli quest’anno sia finito sempre secondo: europei, mondiali e campionato nazionale».
Christian Scaroni è arrivato quarto, ma è stato assoluto protagonista dell’europeo. Impegno massimo per il brescianoChristian Scaroni è arrivato quarto, ma è stato assoluto protagonista dell’europeo. Impegno massimo per il bresciano
Applausi a Scaroni
Ma in questa giornata francese il giusto spazio lo deve avere Christian Scaroni. L’azzurro è stato bravissimo. Ha mostrato gambe e coraggio. Gli è mancato davvero poco per un bronzo che sarebbe stato tanto, tanto per la sua stagione e anche per la sua carriera, che comunque è in piena luce.
«Mi hanno tolto diversi anni di vita – ci racconta scherzando Scaroni – penso che passerò un po’ di giorni a letto!». E in effetti glielo abbiamo fatto notare: dalla tv si vedeva quanto fosse impegnato nel gesto della pedalata per seguire Ayuso, Seixas e soprattutto Evenepoel. Questo vuol dire che ce ne metti più degli altri e che non ti spaventi di fronte a chi ne ha più di te. Davide contro Golia, per questo va applaudito.
«Mi è scappato Seixas proprio nel finale, su quel falsopiano dopo la Cote de Val d’Enfer. Ma proprio non ne avevo più. Paul ha dato una botta secca, violenta. Ho perso quei dieci metri, un po’ di vento e non ho più chiuso. Da questo punto di vista non posso proprio rammaricarmi di niente. Certo, dispiace per il podio. E dire che quando si era staccato Ayuso avevo iniziato a crederci per davvero, ma l’altro aveva una buonissima gamba. E dalla sua, questo talentuosissimo ragazzino, aveva anche il tifo. Un pubblico pazzesco per lui… com’era normale che fosse, visto che eravamo in Francia».
Quello che diceva Scaroni in una foto. Su ogni strappo e ad ogni sua tirata, Remco allungava il quartetto e tirando il collo a tutti. Non certo la mossa ideale per creare collaborazioneQuello che diceva Scaroni in una foto. Su ogni strappo e ad ogni sua tirata, Remco allungava il quartetto e tirando il collo a tutti. Non certo la mossa ideale per creare collaborazione
I nervi di Remco
Con “Scaro” si continua a parlare del suo sforzo e di come fosse impressionante vedere Remco in pianura filare stabile e quasi pacato, mentre gli altri dietro “sventolassero” alla sua ruota, come si dice in gergo. «Vero – spiega il bresciano – Remco è devastante in pianura. Magari da fuori non ci si rende conto di quanto va forte. Però magari non ne capisce troppo di certe cose, di tattiche. Si arrabbiava con noi perché tiravamo poco. Ci richiamava, parlava. Ma dico: se sugli strappi acceleri e ci metti in croce, se in pianura vai il doppio cosa chiedi i cambi? E soprattutto non puoi pretendere che andiamo come te… vista quanta ne hai. Vi dico: è stato un bene quando se n’è andato. Almeno noi tre abbiamo potuto collaborare e prendere il nostro passo».
Un altro pregio della corsa odierna di Scaroni è l’aver tenuto il punto, quando la scorsa settimana per un po’ sembrava dovesse partire al volo per il Rwanda in sostituzione di Pellizzari. Christian aveva impostato un programma, ci credeva, e ha detto di no. Aveva le idee chiare. «Sapevo che il percorso era adatto alle mie caratteristiche. Lo avevo già fatto a febbraio, quando quel giorno ci fecero sbagliare strada alla rotatoria. Conoscevo bene sia la salita lunga che lo strappo. Con il cittì Marco Villa se ne era iniziato a parlare già a giugno di questo europeo. Ho solo tremato un po’ la scorsa settimana quando ho avuto un po’ d’influenza, ma essendo la condizione buona tutto è andato bene.
Ora Scaroni cercherà di sfruttare la gamba per queste ultime gare. «Dal Gran Piemonte le farò tutte fino alla Veneto Classic. Sto bene, speriamo di divertirci».
Pogacar è in ritiro con la squadra. Un incontro sereno fino al momento in cui si parla del prossimo Tour. La sconfitta brucia. Si lavora per la vendetta
Vingegaard ripercorre il 2025 e spiega la fatica per tornare al top. La vittoria della Vuelta ha fatto bene. Farà il Giro? Di certo non salterà il Tour
Ci siamo, è il giorno dei giorni. Gli europei francesi vedono al via un bel gruppo di corridori in condizione, ma soprattutto i tre più attesi. Vingegaard, che non corre con la nazionale dal 2018. Pogacar, che arriva dall’impresa dei mondiali e sfoggerà la fresca maglia iridata. Evenepoel, che ha già ribadito la sua condizione vincendo la crono e magari vorrà rifarsi dello smacco di Kigali.
Attorno alla loro voglia di soffrire a fine stagione e dare spettacolo ruoterà la riuscita di un campionato europeo che raramente ha avuto al via così tanti nomi di grido e in condizione. Lo hanno fatto rilevare anche loro nella conferenza stampa di vigilia.
Vingegaard non ha mai corso una gara di campionato da quando è professionistaVingegaard non ha mai corso una gara di campionato da quando è professionista
Jonas e le classiche
Vingegaard parteciperà oggi alla prima gara di campionato dall’inizio della sua carriera professionistica. Il solo mondiale in precedenza fu quello di Innsbruck 2018 da under 23, che chiuse al 63° posto. L’ultima classica che ha concluso fu il Lombardia del 2022, in cui arrivò sedicesimo.
«Ho deciso di correre gli europei – ha detto Vingegaard, vincitore della Vuelta – perché è un buon momento per riprovarci. Altrimenti, la mia stagione sarebbe comunque finita. Ho sempre detto che mi piacerebbe fare più corse di un giorno, ma non ho mai trovato la ricetta per ottenere buoni risultati. Se dovesse andare bene, potrei dare più spazio alle corse con la nazionale (i prossimi due mondiali saranno ugualmente molto duri, ndr), perché si inseriscono meglio nel mio programma annuale rispetto, ad esempio, alla Liegi-Bastogne-Liegi. I mondiali e gli europei sono a fine anno, quindi potrei fare la mia preparazione per il Tour e alla fine pensare alla nazionale. Questo è un percorso che mi si addice, ma non sono sicuro della mia forma dopo un’estate con due Grandi Giri. Pogacar che dice che non parteciperei se non fossi in forma? Se sapessi che verrei staccato per primo, non lo farei. Quindi non succederà. Ma se non sono in forma per competere e vincere, voglio aiutare Skjelmose».
Gli europei avranno uno sviluppo diverso rispetto ai mondiali: secondo Pogacar sarà difficile andare via da tanto lontanoGli europei avranno uno sviluppo diverso rispetto ai mondiali: secondo Pogacar sarà difficile andare via da tanto lontano
Tadej e i calendari
Fasciato della seconda maglia iridata, Pogacar vive con leggerezza il momento. Ha provato il percorso con Urska Zigart, la sua compagna che ieri ha chiuso all’undicesimo posto nella gara vinta da Demi Vollering. Lo sloveno ha ammesso più volte che se potesse correre tutte le gare cui partecipa anche lei, sarebbe molto contento. E’ consapevole delle attese, ma ormai c’è abituato e ci scherza.
«Mi sento abbastanza bene – ha detto Tadej – anche dopo il lungo viaggio di ritorno dal Rwanda e poi fino a qui. Le salite sono davvero dure, ma più brevi, quindi sarà una corsa più esplosiva, molto incalzante. Ci saranno più corridori in lotta per la vittoria, anche perché la gara è più corta di 70 chilometri, quindi richiederà un diverso stile di corsa. Per vincere da soli, bisognerà davvero volare, avere una potenza enorme. Non credo che succederà, ma vedremo: mai dire di no. Ovviamente l’europeo non è l’obiettivo principale della stagione o della carriera. Non è un bene che si corra negli stessi giorni del Giro d’Emilia (vinto ieri dal suo compagno Del Toro, ndr), perché alcuni corridori hanno dovuto scegliere tra correre per la squadra o per la nazionale… La perfezione non esiste, ma se me lo chiedessero, cambierei molte cose nel calendario ciclistico. Intanto però siamo qui. Spero che la gente sia contenta che siamo qui tanti e così forti. Non parlo solo di Remco e Jonas (Evenepoel e Vingegaard, dr), molti corridori sono in ottima forma! Sarà una grande giornata di ciclismo».
La Val d’Enfer ricorda davvero la Redoute: Evenepoel è già arrivato secondo agli europei del 2021. Ora vuole vincereLa Val d’Enfer ricorda davvero la Redoute: Evenepoel è già arrivato secondo agli europei del 2021. Ora vuole vincere
Remco e la Redoute
E poi c’è Evenepoel. Nella crono ha piegato Ganna, imponendogli un distacco ben più pesante di quando fossimo abituati a subire negli ultimi anni. Questo ha fatto capire che il belga è in grande condizione. Al pari di quanto è accaduto in Africa, ci sarà da vedere se basterà per contrastare Pogacar.
«Il fatto che io sia qui – ha detto Evenepoel – ha sicuramente a che fare con la natura del percorso. Tuttavia, penso che quest’anno stiamo esagerando un po’. Sarebbe meglio se i mondiali e gli europei si completassero a vicenda. Uno per gli scalatori o gli attaccanti, uno per i velocisti. Sarà dura, molto dura. Dal momento in cui si arriva al circuito, la corsa diventa difficile. Tre volte la salita lunga di Saint Romain des Lerps, poi sei volte la Val d’Enfer: per me è più duro del Rwanda. Se sommi la lunghezza delle tre salite, arrivi a un vero passo di montagna, seguito da sei volte la Val d’Enfer. Non credo che ci sarà molta esplosività nelle gambe su quell’ultima salita. La Val d’Enfer mi ricorda La Redoute, ma con un fondo peggiore. Mi ispira. Mi aspetto che le cose si muovano solo sull’ultima salita, che è quella lunga. Non credo che il percorso si presti a un attacco da lontano, è più probabile un corpo a corpo nell’ultimo giro».
Ci sono tutti gli ingredienti per una super domenica sul divano, il giusto antipasto per Il Lombardia che bussa alle porte. L’Equipe scrive scherzando che in Drome e Ardeche, la regione in cui si corrono questi europei, non passa un treno passeggeri dal 1973. Ma quello che passerà oggi sarà certo indimenticabile.
Altro che stanchezza, altro che viaggio lungo: 72 ore dopo la folle prova iridata, Remco Evenepoel va a prendersi anche il titolo europeo a cronometro. E lo fa indossando la fresca maglia iridata e conquistando una maglia che a questo punto non vedremo mai. Ma tant’è. La bella (o brutta) notizia è che Remco ha battuto di nuovo Filippo Ganna. Bella perché alla fine Pippo è sempre lì, brutta… perché gli è arrivato davanti.
Ma certo la notizia di giornata, per noi italiani, è senza dubbio l’oro di Federica Venturelli tra le under 23. Una vittoria netta, schiacciante, con (quasi) lo stesso distacco che Remco ha inflitto a Ganna. Si apre così con una abbuffata di crono la cinque giorni di campionati europei in Francia, nella zona della Drôme-Ardèche.
Evenepoel formidabile: 72 ore dopo la corsa in linea in Africa eccolo mangiarsi i 24 km della crono europeaEvenepoel formidabile: 72 ore dopo la corsa in linea in Africa eccolo mangiarsi i 24 km della crono europea
Venturelli d’oro
La prima news che giunge dal dietro le quinte, nel vero senso della parola, è mentre Federica è al controllo antidoping. Al suo fianco c’è una donna che di maglia azzurra e grandi successi ne sa qualcosa: Marta Bastianelli. «Appena è arrivata – ci dice Marta – ha detto finalmente, come se si fosse liberata. Era davvero contenta, felice. Federica è una ragazza fortissima che a volte ha solo bisogno di credere un po’ più in sé stessa e oggi ci è riuscita alla grande».
Una vera macchina schiacciasassi è stata Venturelli. Dopo il bronzo iridato eccola prendersi l’oro continentale. Il tracciato europeo era circa 2.000 metri più lungo rispetto a quello africano, ma con oltre 100 metri di dislivello in meno, o meglio il 30 per cento. Ed ecco che Federica ha potuto dare sfogo alla sua potenza e, se vogliamo, anche alle sue doti di pistard.
L’azzurra, che è atleta della UAE Development Team e che dal 2026 passerà al team WorldTour, è partita con un setup a dir poco aggressivo: doppia corona 58-44 all’anteriore con l’11-34 al posteriore.
Dopo il bronzo iridato Venturelli si prende l’oro continentale. La sua crescita è costante e potenteDopo il bronzo iridato Venturelli si prende l’oro continentale. La sua crescita è costante e potente
In bici con Federica
E partendo proprio da quei rapporti, ecco le parole di Venturelli. «Quale rapporto mulinavo di più? Non so, so solo che volevo mantenere le 95-100 rpm, cioè quelle che mi danno una buona sensazione di gamba piena. Ma in qualche tratto in discesa ho spinto il massimo rapporto».
Federica è ai massaggi mentre racconta. La voce è quella di chi è felice, ma anche consapevole: insomma dei veri campioni che non si lasciano andare alla gioia sfrenata. «In questa crono più che crederci – racconta la fresca campionessa europea – ci speravo. La forma era buona e il percorso era adatto alle mie caratteristiche, in quanto più filante».
Ma un altro “oro” Federica ce lo regala mentre racconta la sua crono: un vero compendio di tecnica, musica per gli appassionati. «Oggi c’era molto vento – spiega Venturelli – così abbiamo deciso di gestirci nella prima metà della crono per poi dare il massimo nella seconda, perché col vento potevano esserci maggiori differenze. Guardavo i watt ma non tanto per i numeri in sé, quanto per vedere se quei valori corrispondessero alle mie sensazioni, pensando sempre a poter aumentare nel finale. In pratica partire al 90 per cento del mio potenziale nella prima parte e poi dare tutto. Per me le sensazioni restano centrali».
Ganna secondo sull’arrivo di Étoile sur Rhône. Il piemontese ha dato tuttoGanna secondo sull’arrivo di Étoile sur Rhône. Il piemontese ha dato tutto
Ganna vs Remco
Mentre si scrutano i vari ordini di arrivo e non si può certo gioire per il 12° posto di Vittoria Guazzini e il 14° di Lorenzo Milesi, ecco che si passa a parlare di Pippo Ganna. Intanto va avanti l’immensa gioia di e per Venturelli.
«Appena sono arrivata – riprende Federica – ero troppo stanca per pensare alla vittoria. Ci ho messo un po’ a realizzare. E poi ero anche un po’ tesa per le ultime due ragazze che dovevano arrivare. Insomma ero un mix tra stanchezza e agitazione!».
Agitazione che di certo non aveva Evenepoel. Ormai Remco è ufficialmente la bestia nera di Filippo Ganna. Che le crono siano filanti o mosse, financo dure, il belga lo precede. E’ dalla crono alla Vuelta 2023 che Ganna non batte Remco a cronometro. E il più delle volte il belga è arrivato primo e Pippo secondo. La cosa preoccupante è il trend del distacco. Sin qui si parlava di 6”-14”, stavolta siamo arrivati a 43”. Come mai?
E’ Remco che è volato o Pippo che non era al suo top? Forse, ma in tal senso siamo nel pieno campo delle ipotesi, una via di mezzo. Di certo il belga è in una condizione stratosferica, Ganna sta bene ma non sappiamo se era sui suoi valori migliori di sempre.
Il podio finale degli elite uomini: primo, Remco Evenepoel, secondo Filippo Ganna a 43″, terzo Niklas Larsen a 1’08”Anche Marlene Reusser concede il bis rispetto alla crono iridata. Lascia a 49″ Ottestadt e a 51″ BredewoldTra i tanti italiani impegnati quest’aggi in Francia, da segnalare l’incoraggiante sesto posto di Nicolas Milesi tra gli U23Il podio finale degli elite uomini: primo, Remco Evenepoel, secondo Filippo Ganna a 43″, terzo Niklas Larsen a 1’08”Anche Marlene Reusser concede il bis rispetto alla crono iridata. Lascia a 49″ Ottestadt e a 51″ BredewoldTra i tanti italiani impegnati quest’aggi in Francia, da segnalare l’incoraggiante sesto posto di Nicolas Milesi tra gli U23
Questione di vento?
Il vento ci ha messo lo zampino. Vedevamo come tutti quelli più alti, quindi Ganna, ma anche Stefan Küng, Vacek e Josh Tarling, sbandassero non poco. Mentre Evenepoel era molto più stabile. Essendo più basso era meno esposto alle folate laterali. «Ho fatto la mia gara – ha detto Ganna dopo la cronometro – e sono contento della prestazione. Non pensavo che Remco riuscisse a recuperare le fatiche del mondiale in così poco tempo. E’ stato bravo, ha fatto un tempone, non ho nulla da rimproverarmi. Il vento? C’era per tutti, ma sicuramente il sottoscritto ha un fisico più imponente degli altri ragazzi saliti sul podio». Insomma la nostra teoria non era poi così sbagliata.
A Ganna dunque non si può rimproverare nulla. Lui stesso ha rifilato 25” al terzo, vale a dire oltre 1” al chilometro. E anche la tattica di partire forte per mettere pressione a Remco, tattica studiata con il cittì Marco Villa, non era poi così sbagliata. Semplicemente Remco è stato più forte.
Nonostante il carattere battagliero, le parole di Evenepoel e Ayuso nel giorno di riposo ci avevano incuriosito. Così le abbiamo rilette con Manuella Crini
Il campione olimpico Remco Evenepoel sul traguardo di Kigali ha passato diversi minuti seduto sull’asfalto africano a pensare e sbollire. La rabbia per il mondiale perso è tanta, soprattutto se il pensiero va ai due cambi di bici che hanno condizionato la corsa del belga.
Al termine della prova iridata Evenepoel ha parlato così in conferenza stampa: «Prima del Mount Kigali, sono finito in una buca della strada e la sella si è abbassata, tanto che stare seduto è diventato un problema. Poi è cominciata la salita e i crampi ai muscoli posteriori della coscia si sono fatti sempre più forti. Non è stato il massimo. E una volta che Tadej ha sferrato il suo attacco, cosa che sapevo sarebbe accaduta lì, ho avuto dei crampi e non riuscivo a spingere bene. Potrebbe sembrare strano, ma è così che funziona quando si cambia posizione drasticamente».
A Kigali Evenepoel è stato messo fuori dai giochi a causa dell’inclinazione della sellaA Kigali Evenepoel è stato messo fuori dai giochi a causa dell’inclinazione della sella
Pochi gradi
E’ possibile perdere un campionato del mondo a causa di una buca? La risposta è sì. Nel ciclismo dell’estremo e della ricerca della massima prestazione ogni dettaglio conta e anche la più piccola variazione causa dei problemi. Siamo però andati a bussare alla porta di Alessandro Colò, biomeccanico del centro Biomeccanica Bodyframe, per un parere tecnico sull’accaduto.
«Che una buca possa causare una variazione dell’inclinazione della sella è possibile – spiega Colò – soprattutto per il modello di reggisella che utilizza Evenepoel. Infatti il belga sulla sua Specialized Tarmac SL8 utilizza l’offset 0 millimetri. Questo modello ha il morsetto che tiene la sella in posizione centrata rispetto all’asse del tubo verticale. Sulla Tarmac SL8 è possibile anche montare il reggisella offset 15 millimetri».
Questi sono i coni del morsetto reggisella offset 0 millimetriEcco Colò nel suo studio alle prese con una Tarmac SL 8 con reggisella offset 15 millimetriQuesti sono i coni del morsetto reggisella offset 0 millimetri
Cosa cambia tra i due?
Che l’offset 0 millimetri permette di tenere la sella più avanti, cosa necessaria per assecondare la posizione estrema che Evenepoel tiene in bici. Infatti per stare così in avanti con il bacino serve spingere molto in avanti la sella. Questo reggisella, per forza di cose, utilizza una sola vite per il serraggio. A differenza dell’offset 15 millimetri che ne utilizza due.
Il rischio, nel montare l’offset 0 è che si possa muovere?
Diciamo che può ruotare. Fondamentalmente l’offset 0 si basa su due coni che si incastrano nel tubo del reggisella. Una volta raggiunta la misura giusta si serra a una forza di circa 13 Nm, che non è poco. E’ progettato per resistere, tuttavia può succedere che in occasioni particolari possa ruotare. Infatti la casa madre segnala di utilizzare anche un grasso specifico, grippante, per tenerlo in posizione.
La posizione estrema di Evenepoel porta il peso sulla punta della sellaLa posizione estrema di Evenepoel porta il peso sulla punta della sella
Possibile sia stato montato male?
Sì. Anche se stretto bene con la giusta chiave al serraggio indicato c’è la possibilità di muoversi.
Evenepoel ha parlato di una buca sull’asfalto…
Probabilmente il belga stava pedalando in punta di sella, quando si viaggia a grandi velocità e si prende una buca il peso dell’atleta può causare un cambiamento dell’inclinazione della sella di 1 o 2 gradi. Questo comporta dei problemi fisici, come dolori alla schiena e alla zona lombare. Infatti un’inclinazione eccessiva verso il basso farà scivolare il bacino in avanti e i muscoli lombari devono lavorare ancora di più per tenere il corpo in posizione.
Ma una buca, a quelle velocità, non avrebbe causato una foratura?
Dipende. Evenepoel utilizza il copertoni tubeless, quindi se fosse stata una buca “classica” avrebbe bucato e ci sarebbe stata la fuoriuscita del liquido sigillante. Probabilmente ha preso un avvallamento importante nell’asfalto, e molto probabilmente in un momento in cui non stava spingendo sui pedali. Il cambiamento dell’inclinazione della sella è dato dalla velocità, se nel mentre avesse pedalato le gambe avrebbero sollevato leggermente il busto e magari non sarebbe successo nulla.
Nei giorni precedenti la corsa Evenepoel ha fatto una ricognizione del percorso pedalando sulla bici nera (la stessa poi presa ai box?) Nei giorni precedenti la corsa Evenepoel ha fatto una ricognizione del percorso pedalando sulla bici nera (la stessa poi presa ai box?)
Evenepoel ha parlato anche di crampi.
Vero. Una sella troppo inclinata in avanti porta i quadricipiti a lavorare male, come se la posizione fosse più bassa. In una fase di piena spinta possono sopraggiungere dei crampi. Non dimentichiamoci che il tutto è accaduto nel momento in cui Pogacar ha alzato il ritmo. Evenepoel si è sfilato, ma a giudicare da come ha proseguito non ha mollato perché stanco o al limite.
Poi è arrivato al box e nemmeno la bici di scorta andava bene…
Questo, invece, è molto più strano. E’ passato dalla bici oro a quella nera e ha lamentato che la sella fosse poco inclinata, troppo orizzontale e questo gli avrebbe dato problemi di schiena (tanto che ha preso a manate la punta della sella alla ricerca della giusta inclinazione, ndr). Mi sembra strano pensare che la terza bici del campione olimpico non sia settata perfettamente. Poi c’è un altro fattore…
Al secondo cambio di bici Evenepoel è tornato ad avere ottime sensazioniAl secondo cambio di bici Evenepoel è tornato ad avere ottime sensazioni
Quale?
Evenepoel ha pedalato con la bici nera nei giorni della ricognizione. Se ci fosse stato qualche problema se ne sarebbe accorto. Magari il meccanico nel montarla ha sbagliato qualcosa, è possibile visti i tanti aspetti da curare. Però Remco ci ha pedalato sopra…
Però si è fermato ancora e ha preso una terza bici.
Lui ha pedalato fino ai box per non perdere troppo tempo sul Mont Kigali, se avesse aspettato l’ammiraglia in quel momento avrebbe perso anche il secondo posto. Nel momento in cui ha cambiato la bici nera ha preso, probabilmente, la seconda bici (sempre con il telaio dorato, ndr) ed è andato fino alla fine. Tanto da dichiarare che è tornato ad avere sensazioni perfette, infatti ha viaggiato alla stessa velocità di Pogacar, ma ormai la corsa era andata.
Siamo ancora in piena sbornia post mondiali, con le immagini di Kigali che scorrono fresche nella memoria, eppure è già tempo di voltare pagina. Dall’1 al 5 ottobre la scena si sposta in Francia, tra Drôme e Ardèche, per i campionati europei 2025. Un appuntamento che arriva quasi senza respiro, ma che porta con sé fascino, storia e la voglia di indossare quella maglia bianco-blu stellata che negli ultimi anni ha acquisito sempre più prestigio.
Il percorso degli élite, uomini ma anche donne, sarà al centro dell’attenzione, perché dopo i Mondiali si avverte aria di grande rivincite. Remco su Pogacar, le big donne sulle outsider. In tutto ciò la Francia si prepara a offrire un palcoscenico che fa fregare le mani, grazie a tracciati sì selettivi ma non impossibili e che pertanto dovrebbero essere più aperti.
Europei a crono di livello stellare (qui Ganna). Tutti le gare misureranno 24 km, ad esclusione della prova juniores femminile che sarà di 12 kmEuropei a crono di livello stellare (qui Ganna). Tutti le gare misureranno 24 km, ad esclusione della prova juniores femminile che sarà di 12 km
Prima le crono
Il menu degli Europei sarà ricco e distribuito in cinque giornate. Si parte domani con le cronometro, che vedranno impegnate tutte le categorie: dalle juniores donne fino agli élite uomini. Le prove contro il tempo saranno il primo banco di prova, anche perché in Francia il tracciato offrirà difficoltà tecniche interessanti, con tratti vallonati che non favoriranno solo i passisti puri e un finale molto tosto.
In totale saranno assegnati 14 titoli tra cronometro e gare in linea e mix relay, uno in più rispetto ai mondiali. Ci sarà infatti anche la staffetta mista juniores.
Le prove contro il tempo hanno un parterre ricco forse come non mai. Al via tutti i top rider, da Remco Evenepoel fresco di maglia iridata, fino a Filippo Ganna, passando per Kung e Tarling, Almeida, Armirail… Un livello pazzesco.
Il profilo della prova in linea maschile: 202,5 kmQuello della gara elite femminile: 116 km…Infine lo strappo che dovrebbe essere decisivo: Cote du Val d’Enfer (1,7 km al 9,3%)Il profilo della prova in linea maschile: 202,5 kmQuello della gara elite femminile: 116 km…Infine lo strappo che dovrebbe essere decisivo: Cote du Val d’Enfer (1,7 km al 9,3%)
Percorsi più aperti
Il culmine degli Europei sarà ovviamente la prova élite maschile. Il percorso misura 202,5 chilometri e presenta oltre 3.300 metri di dislivello. Si tratta di un tracciato misto, ben più equilibrato rispetto a quello di Kigali. Un tracciato che unisce durezza e scorrevolezza: salite brevi e ripetute, tipiche del paesaggio dell’Ardèche. Un profilo così potrebbero tagliare le gambe agli scattisti, ma non far scappare gli scalatori. Il profilo ricorda molto quello di una Liegi-Bastogne-Liegi. O, perché no, di una Clasica de San Sebastian. I numeri sono molto, molto simili alla classica basca. Secondo altri, invece, questo percorso ricorda molto le prime frazioni dell’ultimo Delfinato.
La gara femminile, élite chiaramente, non è invece durissima: 116 chilometri e poco più di 1.500 metri di dislivello. Se si pensa, insomma, alla nostra Elisa Longo Borghini, la sfida potrebbe essere sin troppo aperta. Per loro, rispetto agli uomini, lo strappo di Val d’Enfer sarà da affrontare solo due volte nel finale.
In entrambe le categorie, la gestione tattica sarà cruciale. Non ci saranno muri impossibili, ma la continua alternanza di salite e discese manterrà il gruppo in tensione. Su carta a decidere il tutto dovrebbe essere, come accennavamo, la Cote du Val d’Enfer: 1,7 chilometri al 9,3 per cento di pendenza media, con una porzione centrale al 14 per cento. Occhio però al falsopiano tra un passaggio sulla stessa Cote. Un momento d’incertezza lì potrebbe essere fatale, specie in campo femminile.
Un percorso che favorisce coraggio e aggressività, pronto a essere plasmato da chi saprà muoversi nel momento giusto. Per questo le varie nazionali dovranno essere attente e compatte, ben più che in Rwanda. La squadra davvero potrà essere un elemento chiave. Una curiosità poi. E’ vero che le previsioni meteo oltre i tre giorni hanno scarsa attendibilità, ma sembra che proprio le donne potrebbero incappare in una giornata di pioggia battente. Ecco dunque un’altra variabile che potrebbe risultare determinante.
Da sinistra: Vingegaard, Pogacar ed Evenepoel, impossibile non darli per favoriti per questi EuropeiE tra le donne, certi del dente avvelenato delle big, ci si aspetta una sfida tra Longo Borghini, Vollering (qui alla Liegi 2023) e Ferrand-PrevotDa sinistra: Vingegaard, Pogacar ed Evenepoel, impossibile non darli per favoriti per questi EuropeiE tra le donne, certi del dente avvelenato delle big, ci si aspetta una sfida tra Longo Borghini, Vollering (qui alla Liegi 2023) e Ferrand-Prevot
Tre favoriti e tanti outsider
Quando si parla di favoriti, è inevitabile guardare al trittico del Tour de France: Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel e Tadej Pogacar. Saranno loro i fari dell’Europeo, pronti a rinnovare la sfida che ha infiammato i mondiali e Tour. Vingegaard avrà dalla sua la resistenza e la freschezza di chi si è evitato una lunga trasferta e ha le gambe che lascia un Grande Giro (ha vinto la Vuelta). Di certo non vorrà essere da meno. Remco ha detto che senza problemi meccanici a Kigali se la sarebbe giocata con Pogacar. E Tadej sarà pronto a difendere il leadership con attenzione massima.
Eppure il percorso di Drome e Ardèche potrebbe aprire la porta anche a soluzioni diverse. Corridori come Skjelmose, Skujins o Healy hanno dimostrato di sapersi esaltare su terreni mossi e duri. Potrebbero approfittare della marcatura stretta dei tre big. E poi Almeida, Ayuso, Van Baarle, di certo almeno un francese che in casa darà più di quello che ha… La lista è lunga. E a questa lista lasciateci aggiungere Mads Pedersen: chiaro che se gli scalatori la butteranno giù dura lui è del tutto tagliato fuori, ma Mads appartiene alla schiera dei “mega motori” e quantomeno va citato.
E gli azzurri? L’Italia si presenterà con una selezione che sarà un mix tra nuovi innesti e atleti che erano presenti in Africa. Ulissi, Bettiol, Scaroni… per provare a giocarsela magari con un’azione da lontano, sfruttando qualche situazione tattica ambigua. Non sarà facile fronteggiare avversari di questa caratura, ma un piazzamento di prestigio, che ci servire come il pane, potrebbe non essere impossibile.
KIGALI (Rwanda) – Dopo l’arrivo, mentre Pogacar ancora faceva festa con la squadra e la compagna, Remco Evenepoel è andato a sedersi contro una transenna con la testa fra le mani (foto di apertura). Il secondo posto brucia, il fatto che sia stato scatenato da un problema meccanico, lo rende anche più pesante. Sul podio il belga aveva un sorriso vagamente mesto, ma gradualmente ha recuperato il senso delle cose. Dopo aver vinto l’oro nella crono, il belga ha centrato l’argento su strada. Se esistesse una classifica combinata fra le due discipline, sommando i distacchi fra crono e strada, il leader nella sfida contro Pogacar sarebbe ancora lui, con margine di 1’09”. Meglio sorridere e fare buon viso a cattivo gioco.
La sua giornata è stata variopinta, come lo è stata la sua settimana. E’ iniziata con la crono stellare in cui ha imposto la sua legge anche su Pogacar. E’ proseguita con una conferenza stampa piena di sicurezza e con un’affermazione sugli italiani che si è prestata a interpretazioni poco simpatiche. Quando la corsa è partita, lo abbiamo visto fermarsi e infilarsi in un WC chimico. Poi ha cambiato per due volte la bici, con tanto di scena stizzita diventata ormai virale sui social. E alla fine, rimesse le cose in pari, si è espresso in un inseguimento così potente da aver tolto di ruota Ciccone in pianura e discesa e non in salita. La sua giornata l’ha spiegata lui quando, ultimo dei tre del podio, è venuto a raccontarsi davanti alla platea dei giornalisti.
Nei giorni precedenti la corsa, Evenepoel (come Pogacar) è stato visto spesso nelle ricognizioni sul Mount KigaliAl via, per Remco il saluto inatteso di Mark Cavendish, invitato dell’UCI a KigaliNei giorni precedenti la corsa, Evenepoel (come Pogacar) è stato visto spesso nelle ricognizioni sul Mount KigaliAl via, per Remco il saluto inatteso di Mark Cavendish, invitato dell’UCI a Kigali
Perché quei minuti sconsolati dopo l’arrivo?
Forse dopo la guarderò con occhi diversi, ma al momento non mi sento benissimo.
Che cosa è successo da farti cambiare per due volte la bici?
Prima del Mount Kigali, sono finito in una buca della strada e la sella si è abbassata, tanto che stare seduto è diventato un problema. Poi è cominciata la salita e i crampi ai muscoli posteriori della coscia si sono fatti sempre più forti. Non è stato il massimo. E una volta che Tadej ha sferrato il suo attacco, cosa che sapevo sarebbe accaduta lì, ho avuto dei crampi e non riuscivo a spingere bene. Potrebbe sembrare strano, ma è così che funziona quando si cambia posizione drasticamente. Finché ho trovato dei compagni di squadra e ho detto loro che dovevano riportarmi dentro, ma che al traguardo avrei dovuto cambiare bici.
Primo cambio: e poi?
Al box mi hanno passato la terza bici, che non uso molto. Sentivo che aveva la sella troppo orizzontale e che iniziava a darmi molti problemi alla parte bassa della schiena, a causa dei miei infortuni del passato. Quindi non sono riuscito a farci neanche un giro, perché ero davvero in difficoltà. A quel punto mi sono fermato per prendere la seconda bici dall’auto. Sfortunatamente in quel tratto c’erano alcuni corridori staccati e un po’ di traffico, quindi ho dovuto aspettare un po’ per la macchina. Una volta presa la bici, ho sentito che ero nella posizione giusta e tutto girava correttamente. Così sono rientrato in gara e ho concluso con un secondo posto.
La compagnia di Healy e Skjelmose dopo un po’ non è bastata e Remco li ha staccati, ma Pogacar era imprendibileLa compagnia di Healy e Skjelmose dopo un po’ non è bastata e Remco li ha staccati, ma Pogacar era imprendibile
Hai pensato anche solo per un secondo di ritirarti?
Sì, l’ho pensato. Ero fermo, con la bici rotta. Guardavo con stupore il mio distacco che ormai era di 1’45”. A quel punto mi sono chiesto: perché continuare? Mancavano ancora cinque giri o qualcosa del genere, per cui è stata dura. Poi però ci siamo ritrovati tra le ammiraglie, almeno fino a che c’è stato il barrage e così sono tornato nel gruppo. Con il secondo cambio di bici, mi sentivo di nuovo meglio, le gambe giravano e avevo meno crampi. Ho sentito che c’era ancora un po’ di potenza e qualcosa da fare. Ovviamente in quel momento il distacco era già troppo grande per colmarlo, perché sappiamo tutti che se Tadej prende vantaggio, non rallenta. Siamo bravi cronomen, sappiamo come mantenere un certo margine. Quindi, la gara in quel momento era già persa, potevo solo sperare nel meglio e puntare al massimo.
Sei andato fortissimo, sapevi di stare così bene?
Credo di essere andato piuttosto forte, ma Tadej ancora una volta ha fatto una corsa fenomenale ai campionati del mondo. Ero frustrato perché sapevo che oggi sarebbe potuta andare diversamente senza i problemi alla bici. Penso che se non avessi avuto i crampi sul Mount Kigali, sarei riuscito a stare al passo con lui e Del Toro. E a quel punto la gara sarebbe finita, perché in tre saremmo arrivati davvero lontano. Le gambe c’erano, ma ho avuto anche un po’ di sfortuna.
Evenepoel ha mantenuto pressoché invariato il suo ritardo da Pogacar, segno di due andature piuttosto similiEvenepoel ha mantenuto pressoché invariato il suo ritardo da Pogacar, segno di due andature piuttosto simili
Ti accorgi che il gap da Tadej è sempre più sottile?
Mi rendo conto che il mio livello è salito. Oggi sono finito dietro Pogacar, ma non a tre minuti come al Lombardia dell’anno scorso. Sono rimasto dietro di un minuto e non sono diventati tre. L’ho inseguito andando alla sua stessa velocità. A un certo punto abbiamo perso terreno in tre. Io stavo lavorando molto, invece sentivo che Ben e Matthias (Healy e Skjelmose, ndr) ci stavano rallentando ed è per questo che ho deciso di provarci sulla cima della salita del golf. E alla fine ho sempre mantenuto lo stesso distacco. Mi sento abbastanza bene e spero di poter mantenere questa forma la prossima settimana agli europei e poi anche al Lombardia. E’ una gara che prima o poi nella mia carriera mi piacerebbe vincere.
Alcuni corridori hanno detto che si è trattato della gara più dura della loro carriera.
Per me no, per esempio Glasgow fu qualcosa di completamente diverso perché eri sempre in salita. Certo, il tratto sul pavé alla fine ha reso tutto davvero difficile, perché inizi a essere stanco e poi hai di nuovo quel pavé e ancora quel pavé e ancora, ancora, ancora. Non era una cosa che mi infastidisse, ma alla fine ho iniziato a odiarla. Non mi è sembrata la gara più dura, probabilmente perché sono in ottima forma.
Dopo il traguardo, Evenepoel non ha voluto altro che un angolo di asfalto per sedersi a smaltire fatica e delusioneDopo il traguardo, Evenepoel non ha voluto altro che un angolo di asfalto per sedersi a smaltire fatica e delusione
Perché a un certo punto hai dovuto andare in un bagno chimico? Problemi di stomaco?
Dovevo fare pipì e non ho osato farla da qualche altra parte per paura che mi squalificassero. Ma poi, dopo qualche chilometro, ho visto tre australiani che la facevano sul ciglio della strada. E allora mi sono chiesto: perché non l’ho fatto anch’io? Però è vero che negli ultimi giorni ho avuto qualche problema di stomaco, non serve che vi spieghi cosa (ride, ndr). All’inizio della gara è andata abbastanza bene, ma appena ho cominciato a mandaregiù dei gel, ho avvertito un po’ di crampi allo stomaco. Ma non mi hanno frenato, solo che dopo l’arrivo sono dovuto correre in bagno per sfogarmi, diciamo così. Penso di non essere il primo e neanche l’ultimo in questa trasferta ad avere problemi di stomaco.
Vincere il campionato europeo di domenica prossima potrebbe riequilibrare la situazione?
L’ultimo mese della mia stagione ha da tempo tre obiettivi: il mondiale di Kigali, gli europei in Ardeche e il Lombardia. La maglia degli europei è anche l’unica che manca dal mio armadio, quindi nel prossimo fine settimana avrò molta motivazione. Ma non cerco la vendetta, è solo un obiettivo molto ambizioso e mi sento pronto. Quindi spero di riprendermi bene e poi ci riproveremo.
KIGALI (Rwanda) – Quando gli facciamo notare le gambe svenate e ridotte a pelle e ossa, Ciccone sfrega il palmo sulla coscia e ammette di aver perso 15 anni in un solo giorno. Quando gli abbiamo chiesto di fermarsi per parlare, ha avuto bisogno di sedersi, sfinito come mai l’avevamo visto in precedenza. Il sesto posto è un buon risultato e in qualche misura ricalca i valori in campo. Se poi gli si chiede se avrebbe firmato, allora dice di no. Che il podio sarebbe stato meglio, ma un quinto sarebbe andato bene lo stesso.
«Si sapeva che Mount Kigali sarebbe stato il punto chiave della corsa – racconta dopo aver ripreso fiato – però onestamente non mi aspettavo che il percorso fosse così duro. Anche nei giorni scorsi, a vederlo e provarlo, si aveva tutt’altra sensazione. E’ stato durissimo, già dai primi giri. Ci si è messo anche il clima, perché non era proprio un circuito proibitivo. Però la sensazione per una buona parte di noi era veramente di sofferenza. Invece sulla salita mi sono sentito bene. Quando ho visto Tadej attaccare ho cercato di gestire le mie energie al meglio. Sapevo che era ancora lunga, quindi ho fatto una bella progressione. Conoscevo bene il pezzo duro e poi il muro successivo, quindi ho cercato di gestire le mie forze. Invece quando siamo entrati nel circuito è iniziata proprio un’altra gara».
Ripreso il gruppetto di Roglic, Ciccone ha potuto lottare per un piazzamento migliore: è arrivato il 6° postoRipreso il gruppetto di Roglic, Ciccone ha potuto lottare per un piazzamento migliore: è arrivato il 6° posto
La squadra ha fatto quel che poteva. Da buon capitano, Ciccone loda il lavoro di tutti, ma quelli che più si sono visti nel vivo sono stati Frigo e Bagioli, con qualche tirata anche da parte di Garofoli. Alla fine l’hanno chiusa in tre: Ciccone, appunto, Bagioli e Garofoli. Ma la corsa che fino alla salita lunga aveva risposto a una logica, una volta entrata nel circuito, è esplosa in mille gruppi come ieri per le donne.
Come è andata?
C’è stato un momento che eravamo in tre-quattro davanti e io mi sentivo molto bene. Per un attimo abbiamo pensato di rimanere uniti, per cercare di controllare, però come sempre al mondiale, da un giro all’altro può cambiare tutto. C’è stato un giro in cui con Bagioli, abbiamo provato ad anticipare lo strappo, ma ci hanno preso in cima. Nel giro dopo sono andati via Remco ed Healy proprio davanti a me. Ho fatto un fuorigiri per seguirli, ma non nel tratto in salita, addirittura prima. Nel tratto in discesa, prima del muro in pavé, per seguire Remco facevo fatica a stare a ruota in discesa. Non ho recuperato. Ero ruota, ma dovevo spingere più di quello che riuscivo. E quando ho preso il pavé ero al limite. In quel giro non ho potuto fare altro che gestirmi, ma penso sia stata la giornata più dura della mia vita. Ho avuto delle sensazioni tremende, dal mattino e fino all’arrivo.
Sei soddisfatto del risultato?
Sì, è un buon sesto posto. Il mio rimpianto più grande è proprio nel non essere riuscito a tenere quel gruppetto: ho fatto quel fuori giri e l’ho pagata. In questo mondiale non c’erano troppi colpi, c’era un colpo solo e l’ho sparato forse nel momento sbagliato. Però visto il livello così alto, non ho rimpianti perché sono arrivato morto. Non ho più niente da dare. E penso che anche la squadra abbia fatto un bellissimo lavoro, il massimo di quello che potevamo. Magari una top 5 o il podio era meglio, però bisogna accettare il nostro livello. Siamo sesti in uno dei mondiali più duri degli ultimi anni, dobbiamo essere soddisfatti.
Nel finale, Bagioli e Frigo sono stati gli azzurri più attivi accanto a CicconeAnche lo staff ha fatto la sua parte: qui i meccanici Foccoli, Archetti e Pellicioli. Con loro ha lavorato anche FrugeriNel finale, Bagioli e Frigo sono stati gli azzurri più attivi accanto a CicconeAnche lo staff ha fatto la sua parte: qui i meccanici Foccoli, Archetti e Pellicioli. Con loro ha lavorato anche Frugeri
Che cosa ti è parso della squadra?
Ero sicurissimo del gruppo, sapevo che ognuno di noi avrebbe dato il 100 per cento. Tutto quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto e stasera possiamo essere soddisfatti perché abbiamo fatto il massimo. E’ una squadra che avrebbe dovuto avere Caruso, Pellizzari e anche Tiberi, se fosse uscito bene dalla Vuelta. Ma abbiamo dato tutti il massimo. Tante fasi magari non si vedono dalla televisione, però oggi non era facile gestire le cose, anche l’aspetto delle borracce, il ghiaccio. C’era un grosso lavoro sporco da fare dietro e loro l’hanno fatto alla grande, quindi voglio ringraziare veramente tutti.
Pogacar è di un’altra categoria, ma in certe gare ti confermi fra i migliori al mondo.
Diciamo che oggi, su un percorso così, ho dovuto correre più di rimessa. Mi sono trovato più a mio agio nella salita lunga fuori dal circuito, Mount Kigali, appunto. Infatti in quella fase ho avuto veramente delle belle sensazioni e per un attimo sono stato super ottimista. Poi quando siamo rientrati nel circuito, è cambiato tutto. Oggi la fatica è stata estrema per tutti.
Che cosa ti sembra di questo Pogacar?
Tadej è il corridore più forte al mondo, forse della storia. Nel ciclismo moderno, con i numeri di oggi, le medie e come si corre, bisogna solo dirgli chapeau e basta. Noi che viviamo in gruppo da avversari, un po’ ci conosciamo e analizziamo anche gli avvicinamenti e quello che è stato fatto prima. Lui arrivava dal Canada, non aveva usato la bicicletta da cronometro, per questo il giorno della crono è andato male. Ci sono tanti i dettagli che fanno la differenza e oggi avrei messo la firma che avrebbe vinto.
Quando Cicone è arrivato da noi, ha chieso di sedersi e lo ha fatto su un cubo di cementoLa gamba “svenata” di Giulio dà l’idea della fatica della giornataQuando Cicone è arrivato da noi, ha chieso di sedersi e lo ha fatto su un cubo di cementoLa gamba “svenata” di Giulio dà l’idea della fatica della giornata
Lo raggiunge anche Villa (i due sono insieme nella foto di apertura), che ha parcheggiato l’ammiraglia ed è venuto a chiedergli come mai a un certo punto non sia entrato nel gruppetto con Evenepoel e Healy. E allora Ciccone riprende a spiegargli il fuorigiri per seguire Remco in discesa e quello che sarà il ritornello di questa serata calda alle porte di Kigali. Gli altri azzurri hanno ripreso la via dell’hotel, Ciccone va a sedersi sotto il gazebo dei box e racconta la sua storia. Il sesto posto è un passo avanti. E obiettivamente, al netto di quel passo mezzo falso, ha la faccia di uno cui oggi non avresti potuto chiedere oltre.
KIGALI (Rwanda) – Giovedì aveva detto che Mount Kigali gli piaceva, ma che fosse troppo lontano dal traguardo per immaginare un attacco. Dalla cima sarebbero mancati 104 chilometri all’arrivo, troppi anche per lui. La salita era trabordante di tifosi vestiti di ogni colore e il gruppo era tutto sommato ancora numeroso, quando invece Tadej Pogacar ha attaccato.
La scena di una corrida: il torero più famoso e atteso ha preso di petto il toro ben prima che fosse iniziato il lavoro per sfiancarlo. Alla sua ruota si sono portati subito Ayuso, Evenepoel e Del Toro. Sembrava il primo atto di una storia a quattro, è diventato presto il prologo dell’ennesima impresa. Remco è naufragato praticamente subito. Ayuso, che probabilmente ha pensato di avere l’occasione di vendicare qualche torto, ha chiesto troppo a se stesso e si è piantato. Solo Del Toro ha avuto le gambe per insistere, prestandosi al lento e inesorabile svuotamento. Perché Pogacar non dà mai l’idea di spingere, ma il suo ritmo ti toglie l’aria dai polmoni e l’ossigeno dai muscoli.
«In realtà – sorride Pogacar – avevamo progettato di muoverci proprio da lì, per cominciare a fare male. Andare da solo sarebbe stato un rischio, ma quando ho visto che eravamo in tre, ho pensato che sarebbe stata la mossa decisiva. Si poteva combinare qualcosa di buono e ha funzionato. Credo che a un certo punto Isaac (Del Toro, ndr) abbia avuto problemi di stomaco. Non volevo che si staccasse perché sarebbe stato meglio correre più a lungo con un altro corridore, soprattutto se era lui. Per questo ho cercato di incoraggiarlo e di farlo stare più a lungo con me. Sono rimasto da solo a sessanta chilometri dall’arrivo, una misura abbastanza giusta, che sono riuscito a gestire da solo».
Nel tratto finale in pavé di Mount Kigali, davanti c’è Del Toro, poi Pogacar e Ayuso già staccatoNel tratto finale in pavé di Mount Kigali, davanti c’è Del Toro, poi Pogacar e Ayuso già staccato
L’obiettivo di tenere la maglia
Ha corso e vinto alla sua maniera, sprezzante del rischio di piantarsi e rimanere a corto di energie. Si è messo sul suo passo migliore e non si è alzato dalla sella neppure per rilanciare all’uscita dalle curve. Sempre regolare, sempre composto. Come si fa nelle crono, lui che nella crono di domenica scorsa le aveva prese in modo pesante proprio da Evenepoel.
«Da quando sono arrivato qui – racconta Pogacar – ci siamo preparati per dare il massimo proprio in questa giornata. Per arrivare alla gara e prenderla in mano. Dopo il Tour non ho potuto abbandonare completamente la bici, perché se ti prendi due settimane di pausa e vai in vacanza, perdi molta forma fisica. Per cui non puoi. Magari una settimana fai meno, poi però devi allenarti di nuovo. Il mio grande obiettivo stagionale era difendere la maglia, ma ugualmente mi sono goduto questo viaggio. Qui è tutto diverso, ma in senso positivo. Ho fatto degli allenamenti davvero buoni con Urska e i miei compagni di nazionale. E’ stato semplicemente bellissimo. Abbiamo avuto molto supporto: ho vissuto una giornata fantastica, in una settimana fantastica e in un’esperienza fantastica. Però è stato anche un giorno durissimo per la quota, il caldo e il sole cocente. Sono super felice e orgoglioso di essere riuscito a farcela».
Arrivo a braccia alzate: negli ultimi metri, Pogacar ha anche richiesto l’applausoArrivo a braccia alzate: negli ultimi metri, Pogacar ha anche richiesto l’applauso
Niente viene per caso
All’arrivo ha trovato tutti i compagni che nel frattempo si erano ritirati, ad eccezione di Roglic che ha chiuso undicesimo. La folla alle transenne è esplosa in un boato che Tadej per primo, con gesti delle braccia, ha invitato a rendere ancora più rumoroso. Ha bissato così il titolo conquistato lo scorso anno a Zurigo, ma su un palcoscenico ben più vivace e al contempo delicato di quello quasi invernale e compassato della Svizzera.
«Non saprei scegliere – annuisce Pogacar – sono state due vittorie speciali, ciascuna a modo suo. L’anno scorso sono diventato campione del mondo per la prima volta, però difendere il titolo è sempre una delle cose più difficili da fare. Quindi anche questa vittoria è davvero speciale. In più siamo qui in Rwanda. E’ stato un lungo viaggio e ha richiesto una lunga preparazione e la cura di ogni dettaglio. Ad esempio avevamo con noi lo chef Jorge Marin Laria, uno dei membri del team UAE Emirates. Così ho potuto mangiare quel che normalmente mangio in gara. Bisogna fare così, questo sport lo esige. Magari è noioso, ma devi fare quello a cui sei abituato, incluso prepararti il cibo. Soprattutto in questo tipo di gara, perché è così lunga e si bruciano tante calorie. Bisogna assumere molto cibo e soprattutto quello che mangi normalmente nei giorni di gara e prima della gara».
Evenepoel è stato costretto per due volte a cambiare bici, ma ha pedalato allo stesso ritmo di PogacarEvenepoel è stato costretto per due volte a cambiare bici, ma ha pedalato allo stesso ritmo di Pogacar
La rivincita con Remco
Nella sfida c’era anche la sfida con Evenepoel, perchè giovedì aveva anche detto che in un modo o nell’altro oggi si sarebbe vendicato. Non si può dire che non gli sia costato o che non sia stato costretto a raschiare il fondo del barile. In certe inquadrature, stringeva i denti come uno che non ce la facesse davvero più. Però anche in questo andare in profondità, Pogacar ha mostrato di avere una riserva superiore. Anche più di Evenepoel che, malgrado i due cambi di bici, minacciava di avvicinarsi.
«Sapevo che Remco ha avuto qualche problema – racconta Pogacar – prima ho saputo che era nel gruppo. Poi non c’era più. Poi di colpo era davanti al gruppo. Ma non lo sapevo con esattezza, perché non avevamo le radio come nelle altre gare. Per cui mi sono concentrato solo sul distacco e su quanti corridori ci siano dietro e quanti siano rimasti in gara. Ho saputo che ha cambiato bici per due volte, quindi anche la sua corsa è stata impressionante».
La gente di Kigali ha accolto il mondiale con calore e curiosità: questa la folla del podioE sul podio assieme a Pogacar ed Evenepoel c’è anche Ben Healy, rivelazione di questo 2025La gente di Kigali ha accolto il mondiale con calore e curiosità: questa la folla del podioE sul podio assieme a Pogacar ed Evenepoel c’è anche Ben Healy, rivelazione di questo 2025
Trenta all’arrivo
Impressionante è stata anche l’accoglienza del Rwanda per questi eroi dalle gambe sottili. Il solo corridore africano che abbia raggiunto il traguardo è stato Amanuel Ghebreigzabhier, eritreo della Lidl-Trek. E’ passato sul traguardo, trentesimo e ultimo, con 12’04” di ritardo da Pogacar. Il resto del gruppo, vale a dire gli altri 134 corridori, si sono fermati ben prima: stremati dal ritmo, dalla polvere e dal caldo. Solo tre gli azzurri al traguardo: Ciccone arrivato sesto, Bagioli e il tenace Garofoli.
Raramente su una salita abbiamo visto lo spettacolo di Mount Kigali e raramente nei mondiali precedenti si sono visti così tanti bambini. In Europa il ciclismo è uno sport seguito da un pubblico prettamente adulto. Anche qui il ciclismo è uno sport, ma è stato soprattutto una festa. Resta la curiosità di capire che cosa questo grande evento, pagato neanche poco, lascerà a Kigali e alla sua gente. Loro ci hanno lasciato tanta allegria e tanta bellezza, speriamo di aver fatto qualcosa anche noi.