Roglic attacca e viene punito. O’Connor tiene, Castrillo vince

01.09.2024
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Se qualcuno pensava che la vittoria di Castrillo nella dodicesima tappa, alla Estacion de Montaña de Manzaneda, fosse stata per caso, a quest’ora ha dovuto ricredersi. Lo hanno fatto tutti, forse anche Sivakov e Vlasov che sono stati in fuga con lui per tutto il giorno, immaginando in che modo lo avrebbero staccato, quando lo hanno visto andare via non appena le rampe più severe del Cuitu Negru sono iniziate sotto le ruote. La montagna di Dario Cataldo ha premiato un ragazzino spagnolo con tante cose da dire e la maglia della Kern Pharma sulle spalle.

Il ragazzo non è piccino come uno scalatore. E’ alto 1,83 e pesa 74 chili, eppure quando ha cambiato passo, lo ha fatto con una frullata degna del miglior Froome e ha preso il largo. Prima della vittoria di tre giorni fa, la sua precedente risaliva al campionato spagnolo della crono U23 del 2022: l’identikit si fa interessante.

Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili
Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili

Il sogno di Castrillo

E se l’altro giorno la vittoria aveva portato con sé una gradazione pazzesca di emotività, oggi si è trattato dell’esplodere di gambe e voglia di dimostrare qualcosa. Si dice che sulle tracce del corridore di 23 anni originario di Jaca ci sia già la Ineos Grenadiers e lui ce l’ha messa tutta per dargli qualche spunto aggiuntivo.

«Tre giorni fa – dice – non ho fatto che pensare a Manolo Azcona in ogni momento, per tutta la tappa. Quando ho tagliato il traguardo ho pensato molto a lui. E’ stata una fortuna avergliela potuta dedicare. Grazie a lui sono emersi grandi corridori come quelli che erano in fuga con me, cioè Soler e Rodriguez. Perciò ho voluto dedicargli la vittoria per tutto ciò che ha significato per il ciclismo e per la nostra squadra.

«La verità è che oggi non me l’aspettavo. Stamattina – prosegue – sono arrivato con l’intenzione di andare in fuga e vedere come sarebbe andata, ma non mi aspettavo di arrivare nella posizione per vincere. La prima vittoria è stata incredibile, ma ottenerne una seconda è un sogno. Penso che sia la migliore Vuelta possibile. Non so cos’altro dire».

Red Bull-Bora all’attacco

Oggi era il giorno della prima, vera resa dei conti fra Roglic e O’Connor. Anche Landa voleva lasciare il segno. Eppure nonostante il gran lavoro della Soudal-Quick Step, quando si è scatenata la bagarre, la maglia rossa ha tenuto più di quanto si pensasse e domani vivrà il riposo da leader della Vuelta per l’undicesimo giorno consecutivo. A preparare l’attacco dello sloveno si è ritrovato Lipowitz, che occupando a sua volta il sesto posto della classifica, non ha badato a spese nell’affondare il colpo.

«L’intera tappa è stata super dura – spiega il tedesco della Red Bull-Bora – è stato un ritmo super duro fin dall’inizio. Nell’ultima salita, ho cercato di stare con i migliori. Poi, negli ultimi 3 chilometri ho lanciato l’attacco di Primoz. Ho dato tutto quello che potevo, poi sono esploso completamente. Ho cercato di arrivare al traguardo nel miglior modo possibile, ma alla fine ero completamente al limite. Penso che Roglic abbia fatto un buon lavoro e avevamo anche Vlasov davanti, quindi penso che oggi abbiamo fatto bene tutti e ora siamo molto più vicini alla maglia rossa».

La risposta di O’Connor

O’Connor ha la faccia tosta di dire che tutto sommato ancora ci crede e a diventare l’agnello sacrificale non ci pensa troppo. E a ben vedere è stato bravo. Non ha neppure provato a rispondere allo scatto di Roglic, anzi ha preso il suo passo. E anche se alla fine il suo vantaggio risulta dimezzato (risalirà sopra al minuto per la penalizzazione inflitta a Roglic), intanto arriva al riposo con la maglia rossa. E magari per la sua squadra va bene anche così.

«Oggi ero ottimista – dice inaspettatamente – immagino di aver smentito le persone che si aspettavano che perdessi la maglia. Ho avuto una giornata piuttosto buona. E’ un peccato che sia scoppiato un po’ nel finale, ma è stato uno degli arrivi in salita più orribili che abbia mai fatto. C’è stato un solo attacco, quello di Roglic. E’ stato super impressionante, poi è stata una scalata uomo contro uomo. Mi sentivo come se non stessi andando da nessuna parte, non riuscivo a vedere nulla con la nebbia. È stato difficile, ma sono ancora in testa, quindi va bene. Domani mi riposerò e poi martedì affronterò i Lagos de Covadonga. Sono orgoglioso di me e dei ragazzi. Penso che sia davvero un momento magico».

Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia
Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia

Il cambio bici di Roglic

Roglic ci ha provato anche cambiando bici. Si è fermato quando la corsa era nella direzione della scalata finale e si è fatto passare dall’ammiraglia una Tarmac Sl8 con monocorona da 46 e pacco pignoni 10-44. Ruote a profilo medio di Alpinist, per un peso di 6,81 contro i 6,9 dell’altra. Non l’aveva mai usata prima, ma sapendo di dover affrontare una salita così ripida, lo sloveno non ha rinunciato a giocare la carta della tecnologia, puntando sull’inerzia inferiore dei cerchi più bassi.

Purtroppo il margine guadagnato in salita è stato vanificato in parte dai 20 secondi di penalità che gli sono stati inflitti per il rientro dietro troppe scie, proprio in occasione del cambio di bici. Lo sloveno ha mostrato ottime gambe e probabilmente la sua erosione al trono di O’Connor darà i frutti che spera. Forse c’è da sistemare un po’ la mira: il punto scelto per il cambio bici non era forse dei migliori.

Tiberi e Vergallito, lampi d’Italia nella Vuelta che decolla

24.08.2024
5 min
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Non sarà come quando al Giro del 2010 la fuga dell’Aquila costrinse la Liquigas ai lavori forzati per riprendere e staccare Arroyo, se non altro perché il margine di allora sfiorava i 13 minuti. In ogni caso la fuga con cui tre giorni fa Ben O’Connor ha conquistato la maglia rossa della Vuelta vincendo a Yunquera ha messo i principali favoriti della Vuelta nella condizione forzata di inseguire. Non a caso, dopo la vittoria di Roglic sul traguardo di oggi a Cazorla, i giornali spagnoli hanno titolato sull’inizio della rimonta.

«E’ stata una tappa difficile – ha detto Primoz, che la maglia l’aveva presa a Pico Villuercas – ho rinunciato ad attaccare da lontano, ma alla fine c’era l’opportunità di puntare alla vittoria di tappa e l’ho fatto. La salita finale mi andava bene e avevo buone gambe. Sono felice di essermi ripreso parte del mio tempo, ma sto vivendo la Vuelta un giorno alla volta. Domani potrei perdere nuovamente terreno. Sento ancora l’infortunio alla schiena dovuto al Tour».

Almeida ha scalato la salita finale accanto a Stefan Kung, segno che qualcosa davvero non andasse
Almeida ha scalato la salita finale accanto a Stefan Kung, segno che qualcosa davvero non andasse

La scelta della UAE

Nel giorno in cui Roglic e Mas hanno iniziato a risalire la china, con Tiberi giusto alle spalle, chi ha perso terreno in modo significativo e inatteso è stato Joao Almeida, che da più parti era stato indicato a ragione come il favorito della Vuelta. Il portoghese ha tagliato il traguardo a 4’53” dal vincitore, fiaccato a quanto si dice dalla positività al Covid.

Chissà se è vero quanto ha detto il tecnico della nazionale spagnola sul fatto che Ayuso in realtà stia benissimo e sarebbe stato lasciato a casa per il comportamento del Tour. Sia quel che sia, anche oggi nella scalata a Cazorla si è capito che la UAE Emirates senza Pogacar (o la promessa della sua imminente presenza) non è lo squadrone che abbiamo ammirato al Giro, allo Svizzera e al Tour de France. Con Yates mai realmente della partita e l’Almeida claudicante di oggi, se il risultato finale sarà che Ayuso rimarrà nel team, allora il team avrà ottenuto una qualche forma di risultato. In caso contrario, finirà come per il marito che per punire la moglie ha scelto di infierire sulla propria virtù.

L’errore di O’Connor

Il finale di tappa era perfetto per lo sloveno: l’unico a non averlo capito è stato il leader Ben O’Connor. Forte di un margine a dir poco importante, l’australiano ha creduto di avere un livello paragonabile a quello di Roglic. E anziché amministrare con sapienza il proprio margine, si è messo in testa di rispondere a Primoz, che al terzo affondo se lo è tolto di ruota e lo ha lasciato sprofondare nel fiato corto.

«La fase di apertura della tappa era già molto dura – ha cercato di spiegare O’Connor – sono sempre stato davanti, ma ovviamente sono un po’ deluso per come è finita. Non mi aspettavo di perdere così tanto, ma penso che le salite di domani intorno a Sierra Nevada saranno meno moleste per me. Spero di avere una giornata migliore e di tenere la maglia».

A suo agio anche sulle pendenze arcigne di Cazorla, il passivo di Tiberi è di 17″
Tiberi si è trovato a suo agio anche sulle pendenze arcighe di Cazorla: il suo passivo è di 17″

Tiberi sornione

Antonio sta lì e per ora segue. Lo senti parlare e riconosci una sicurezza superiore a quella del Giro dove tutto era scoperta. Sarà perché ha già corso per due volte la Vuelta negli anni alla Trek-Segafredo o perché dopo la maglia bianca del Giro, l’asticella s’è alzata per davvero. Oggi sul traguardo, Tiberi è stato il primo dopo Roglic, Mas e Landa, pagando appena 17 secondi, figli più delle caratteristiche di ripidezza della salita che di un’effettiva difficoltà.

«Oggi è stata un’altra tappa dura dall’inizio – spiega il corridore della Bahrain Victorious – con un ritmo davvero elevato, almeno fino a quando non è partita la fuga. Poi si è continuato ad andare forte per tutto il giorno. L’ultima salita l’abbiamo presa forte dall’inizio ed era molto ripida. Ho cercato di fare del mio meglio per tenere il ritmo e alla fine ho dato davvero tutto. Ho seguito i migliori e sono arrivato quarto. E’ molto bello per me su questo tipo di salita, perché non è adatta a me. Ma se oggi sono riuscito a guadagnare qualcosa, allora vuol dire che sto bene e cercherò di continuare così».

Vergallito è rimasto in fuga per 95 chilometri, cedendo solo a pochi passi dal traguardo
Vergallito è rimasto in fuga per 95 chilometri, cedendo solo a pochi passi dal traguardo

E intanto Vergallito…

A proposito di italiani, registrata la tenace difesa di Tiberi, non si può dimenticare la lunga fuga di Luca Vergallito, rimasto allo scoperto per quasi 100 chilometri con Tejada, Lazkano, Schmid, Oomen, Izagirre e Le Berre. E poi, mano a mano che i chilometri passavano, il milanese della Alpecin-Deceuninck si è ritrovato testa a testa con Tejada e Lazkano. E se lo spagnolo alla fine ha ceduto le armi, solo Tejada ha fatto meglio di lui, piazzandosi al settimo posto a 24 secondi da Roglic. Per Vergallito è venuto il dodicesimo posto a 36 secondi dal vincitore. Secondo miglior italiano di giornata nel primo Grande Giro della carriera.

«Durante la fuga ci sono stati momenti in cui speravamo di farcela e altri dove invece vedevo al fine segnata. Ai meno 20 però ho capito che arrivare sarebbe stato quasi impossibile. Anche la prossima potrebbe essere una tappa adatta, ma oggi ho speso tanto e non credo potrò essere al cento per cento. Qui c’è un livello altissimo, sono nell’elite del ciclismo, ci metto tutto me».

La Vuelta è ancora lunga, ma il motore della corsa sta decisamente prendendo giri. Domani l’arrivo di Granada metterà ancora di più alla prova gli uomini di classifica e a quel punto capiremo se O’Connor potrà durare ancora a lungo o se il suo regno ha i giorni contati.

Come il gatto col topo, Roglic dà la zampata e riprende la maglia

20.08.2024
5 min
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In cima al Pico Villuercas fa davvero tanto caldo. E forse proprio la fornace spagnola ha trasformato il primo arrivo in salita della Vuelta in un calvario. Gli improvvisi passi a vuoto di grossi nomi come Yates, Kuss, Rodriguez e Carapaz fanno pensare che non sia stata soltanto la salita, che pure è stata di tutto rispetto. Quattordici chilometri e mezzo, con una strappata dal decimo al tredicesimo con pendenze fra 11,8 e 14,6 per cento. Un drittone cementato per trattori, la scorciatoia per evitare i chilometri di troppo della strada principale. E su in cima, anche se il tratto finale spianava scendendo a un più mite 7,6 per cento, il vecchio Roglic ha spiegato le regole del ciclismo al giovane Van Eetvelt. Come il gatto col topo. Il belga aveva praticamente vinto ed era così contento da aver alzato il braccio, nel momento stesso in cui lo sloveno ha dato il colpo di reni, superandolo.

«Quando sei fra i giovani – dice Van Eetvelt – impari che devi continuare a sprintare fin oltre il traguardo. Non ero del tutto sicuro di aver vinto, non ho sentito Roglic arrivare e pensavo di avercela fatta. Non è stato così. Ho un duplice sentimento. Da una parte sono molto soddisfatto della forma che mi permette di giocarmi la vittoria di tappa. Gli ultimi mesi non sono stati facili perché ho combattuto con un infortunio al ginocchio e quindi sono contento. Allo stesso tempo mi sento anche stupido, ma ci saranno ancora opportunità».

Nonostante le grandi pendenze che non ama, Tiberi ha chiuso al quarto posto dietro i migliori
Nonostante le grandi pendenze che non ama, Tiberi ha chiuso al quarto posto dietro i migliori

Tiberi in bianco

A margine dell’incresciosa ingenuità, Van Eetvelt si è detto dispiaciuto di non aver conquistato la maglia bianca, che sarebbe stata un privilegio. Quella infatti se l’è presa in virtù della crono e del piazzamento odierno il nostro Antonio Tiberi, già miglior giovane del Giro d’Italia.

«Sono davvero felice e orgoglioso della tappa di oggi – dice l’azzurro del Team Bahrain Victorious – e dal momento che non ci aspettavamo di fare così bene, per tutto il giorno abbiamo lavorato con la squadra per restare al riparo e al fresco, anche ricorrendo a ghiaccio e acqua. Abbiamo fatto un ottimo lavoro, anche se è stata una tappa super dura per il ritmo imposto dalla Red Bull e per il caldo. Era una salita super ripida, non di quelle che preferisco, ma sono andato più forte che ho potuto. E forse mi sono sorpreso un po’ anche io, dato che normalmente nella prima settimana di un Grande Giro ho sempre bisogno di più tempo per prendere il ritmo. Qui alla Vuelta è un po’ diverso. Mi sento bene davvero da subito, quindi spero di continuare così. Sono super felice di aver indossato la maglia bianca, mi dà un sacco di morale per continuare in questo modo».

Sua maestà della Vuelta

Sua maestà della Vuelta, per averne già vinte tre, s’è ripreso la maglia rossa. Roglic dice che non prevedeva di vincere la tappa e che forse non era neppure nei suoi piani, ma per tutto il giorno è parso eccezionalmente tranquillo e in controllo. Seppure Enric Mas abbia dato a lungo la sensazione di essere ottimamente a suo agio, lo sloveno ha colpito con la ferocia di un cecchino. E dopo il cambiamento di squadra, il ritiro dai Paesi Baschi dopo la caduta in cui tuttavia non subì danni e quello dal Tour con ben più conseguenze, finalmente ha trovato il modo per sorridere.

«Vincere di tappa non era l’obiettivo principale oggi – dice – ma quando vedi i compagni di squadra lavorare così duramente con il caldo, sono felice di essere riuscito a portarla a termine. Di certo non ho chiesto io di fare quel lavoro sulla testa. Se me lo avessero chiesto, avrei detto che non era necessario. E stata una salita dura, molto ripida. Dopo il mio ritiro dal Tour, sto ancora recuperando. Dopo tante ore in bici ho sentito la schiena dare problemi. Speriamo che nei prossimi giorni la situazione non peggiori. Ho continuato a viverla giorno dopo giorno. Perciò adesso cerco di godermi questa vittoria di tappa, perché alla mia età non si sa mai quando sarà l’ultima».

Terzo al traguardo, Almeida ha rintuzzato tutti gli attacchi tranne l’ultimo
Terzo al traguardo, Almeida ha rintuzzato tutti gli attacchi tranne l’ultimo

Almeida sornione

Il vincitore uscente Sepp Kuss si è detto soddisfatto per il passivo di soli 28 secondi alle spalle del suo ex capitano, che aspettava vincente quassù. Dice di non aver avuto le migliori sensazioni, perché il caldo è stato duro e all’inizio dell’ultima salita il gruppo era ancora numeroso e c’era parecchio nervosismo. Chi invece s’è salvato molto bene (al contrario del compagno Adam Yates) è il solito Almeida, che si stacca sugli scatti e poi rientra da par suo.

«E’ stata una giornata molto, molto calda – dice il portoghese – sin dalla partenza. Penso che probabilmente abbia battuto qualche record di temperatura. Il team ha fatto un ottimo lavoro con le borracce e il ghiaccio per tenerci freschi e mantenere alta l’idratazione. E quando siamo arrivati all’ultima salita, eravamo in posizione perfetta, ma ci siamo accorti che era davvero dura. Io mi sono ritrovato con gambe abbastanza buone e in qualche modo sono arrivato terzo al traguardo. E’ stata una giornata positiva per me, per cui continuiamo a far girare la palla e speriamo di riuscire a fare meglio. Spero che Adam (Yates, arrivato a 1’29”, ndr) stia meglio già da domani, in modo che abbia presto risultati e sensazioni migliori».

Kuss immaginava la vittoria di Roglic, ma forse non di perdere 28 secondi
Kuss immaginava la vittoria di Roglic, ma forse non di perdere 28 secondi

Van Aert ha lasciato la maglia rossa all’ex compagno Roglic, raggiungendo il traguardo con 16’44” di ritardo, felice tutto sommato che la gloria sia andata all’amico che ha il suo bel conto aperto con la sfortuna. Domani si arriverà veloci a Sevilla, ma l’indomani si tornerà a salire. La Vuelta è cominciata. E anche se patron Guillen dice che il caldo non sarà determinante, quello che si è visto oggi a 1.526 metri di quota qualche preoccupazione addosso in effetti l’ha messa.

Parte la Vuelta e si rivede Kuss, ultima maniglia per la Visma

16.08.2024
8 min
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«Vincere la Vuelta – dice Kuss, americano di 29 anni – è stato un’esperienza davvero speciale, soprattutto se penso a quello che ha significato per me come corridore. Per il resto, non credo che mi abbia cambiato molto come persona. Certo, quando hai successo nello sport, ti aspetti sempre di più o ti concentri di più. Però in un certo senso questo rende le cose più difficili. Da una parte è bello avere il riconoscimento, ma si tratta sempre di trovare un equilibrio».

Domani Lisbona ospiterà il via della Vuelta e il vincitore uscente è ricomparso dopo un lungo periodo di silenzio in quota e la vittoria alla Vuelta a Burgos che gli ha dato tanto morale. Lo scorso anno Sepp Kuss era un gioviale e generoso gregario, capace di interviste di sconfinata umanità. Accompagnò Roglic alla vittoria del Giro e subito dopo Vingegaard alla terza maglia gialla. E quando tutti si stupirono perché sarebbe andato anche alla Vuelta, lui la Vuelta la vinse, passando alla dimensione di vincitore di un Grande Giro. Va bene, la vittoria gliela avranno anche lasciata i due illustri compagni, ma nella fuga verso l’Observatorio Astrofísico de Javalambre che gli permise di conquistare il primato ci entrò lui e alla fine la maglia rossa appesa idealmente sul camino resta un trofeo ampiamente meritato.

Dopo il Giro con Roglic e il Tour con Vingegaard, la Vuelta 2023 vide la vittoria della Jumbo con Kuss, scortato dai due compagni
Dopo il Giro con Roglic e il Tour con Vingegaard, la Vuelta 2023 vide la vittoria della Jumbo con Kuss, scortato dai due compagni
Eri mai stato a Lisbona?

C’eravamo stati in vacanza, ma questa non sarà una vacanza. Fu davvero bello e in qualche modo sarà bello anche questa volta, perché le prime tre tappe saranno perfette per entrare nel vivo della gara. Una cronometro relativamente breve (12 chilometri, ndr) e poi alcune tappe più semplici ci daranno il ritmo e metteranno un primo ordine nella classifica.

Lo scorso anno alla partenza dicesti che i due favoriti sarebbero stati Roglic e Vingegaard: come sarà ora che loro non ci sono?

Primoz ci sarà, ma con un’altra maglia (sorride cogitabondo, ndr). L’anno scorso è stata una circostanza unica. Essendo loro i leader della squadra, sicuramente all’inizio tutti guardavano loro e io sono riuscito a infilarmi in quella fuga che si è rivelata molto decisiva. Quest’anno senza loro due sarà diverso. Non voglio dire che c’è più pressione, ma non c’è nessun altro che possa aiutarmi e io non posso contare su due dei migliori corridori da corse a tappe al mondo. Questo darà alla corsa un’altra impostazione.

Hai vinto la Vuelta a Burgos, questo significa che arrivi nella forma che speravi?

Sì, penso che la mia forma sia piuttosto buona. Sono stato sorpreso di andare così forte a Burgos, ma è bello quando le cose vanno bene in modo inatteso. Non correvo da due mesi, dal Delfinato. Non vincevo dalla Vuelta dello scorso anno, quindi di sicuro da quella vittoria ho avuto una bella spinta mentale. In ogni caso però in un Grande Giro è sempre diverso. La cosa più importante è che mi sento abbastanza fresco per questa Vuelta. A questo punto della stagione quel che conta è essere forti e recuperare bene.

Alla Vuelta a Burgos, Kuss vince la tappa di Lagunas de Neila, con dedica al bimbo in arrivo
Alla Vuelta a Burgos, Kuss vince la tappa di Lagunas de Neila, con dedica al bimbo in arrivo
In ogni caso hai vinto in condizioni ambientali simili a quelle che si troveranno alle Vuelta.

Sono molto contento di questo. Quando ho vinto a Lagunas de Neila è stata una giornata dura, soprattutto a causa del caldo. Sulla salita finale ho fatto parecchia fatica, ma volevo provare almeno una volta. Quando ho visto che avevo preso vantaggio, ho dato il massimo. Sono contento che abbia funzionato e voglio ringraziare i miei compagni di squadra per tutto il lavoro che hanno fatto.

Non ti consideri il favorito, ma come ci si sente a partire con il numero uno?

Davvero bene. E’ un onore essere di nuovo qui come vincitore uscente e voglio fare del mio meglio per onorare questo fatto, con tutto ciò che ne consegue. Insomma (sorride, ndr), non vedo l’ora. Mi piace sempre correre la Vuelta. Vivo ad Andorra, mi sento un po’ spagnolo anche io. Le persone lungo il percorso sono molto carine, cantano il mio nome e mi fanno sentire apprezzato. Questo è uno dei motivi per cui sono davvero emozionato di correre la Vuelta. E farlo da campione uscente sarà un altro motivo di orgoglio.

C’è tanto scetticismo da parte del pubblico sui corridori che vengono fermati ancora per il Covid, puoi dirci come mai sei stato costretto per questo a saltare il Tour?

In realtà è stato davvero strano. Le altre volte che ho preso il Covid, non è mai stato un problema. Solo pochi giorni di malessere e poi ho sempre potuto continuare con la mia vita. Questa volta invece ci ho messo tanto tempo, anche solo per recuperare la miglior efficienza dei polmoni. Sono stato incredibilmente affaticato per diverse settimane, quindi a quel punto non avrei nemmeno potuto immaginare di iniziare il Tour de France. Fortunatamente alla fine tutte le complicazioni sono passate ed è arrivato finalmente il momento in cui tutto ha ricominciato a funzionare. E ora mi sento normale.

E’ stato difficile restare concentrati sulla stagione?

Posso dire certamente che saltare il Tour sia stato per me molto deludente, ma non ero nello stato d’animo e fisico di pensarci come a una concreta possibilità. Ho dovuto prendere tanti antibiotici e questo mi ha buttato giù parecchio, per cui una volta che mi sono fatto una ragione di dover stare fermo, ho iniziato a concentrarmi su quello che avrei potuto fare dopo. E la Vuelta era chiaramente la possibilità principale.

Tornando alla Vuelta, la UAE Emirates e la Red Bull-Bora hanno squadre fortissime, pensi di potergli tenere testa?

Vero, hanno team super forti, però penso che la Vuelta sia una corsa diversa dal Giro e soprattutto dal Tour. Ovvio che la squadra serva, non voglio dire il contrario, ma qui spesso ci sono salite finali così ripide che le strategie passano in secondo piano e tutto si riduce al confronto fra chi ha gambe e chi no. Ma è anche vero che ci sono molte tappe in cui può essere complicato se quei team così forti hanno più corridori a disposizione nei momenti salienti della corsa. Ci sono sempre situazioni in cui le cose possono essere un po’ meno controllate. Quindi, in sintesi tutto ciò significa che ci saranno più corridori da tenere d’occhio e che bisognerà essere intelligenti e forti nei momenti giusti.

Con il via dal Portogallo, come vedi l’equilibrio in casa UAE Emirates: Almeida sarà uno dei favoriti?

Penso di sì. E’ un corridore che va forte in tutte le gare che fa. Al Tour de France è stato super forte accanto a Pogacar. E penso che quest’anno alla Vuelta, proprio per il fatto che si parte qui dal Portogallo, avrà delle motivazioni in più. Quindi non so come siano organizzati nella loro squadra, ma credo che Joao sarà un grande favorito.

Com’è il tuo rapporto con Roglic e come sarà correre contro di lui?

Abbiamo un bel rapporto. Certo, ora siamo avversari e penso che a qualsiasi gara partecipi, Primoz sia sempre un grande rivale e uno dei principali favoriti. Perciò sono sicuro che tutti guarderanno a lui. Poi ammetto che soprattutto all’inizio sarà strano. Quando sei abituato a stare nella stessa squadra con qualcuno per così tanto tempo (i due sono stati compagni di squadra dal 2018 al 2023, ndr), ritrovarlo come avversario non sarà immediato.

Tanti utilizzano la Vuelta come preparazione per il mondiale, che sarà anche duro: pensi che sarà così anche per te?

Direi proprio di no. In quei giorni mia moglie dovrebbe partorire e penso sia meglio che io mi faccia trovare a casa.

Hai parlato di salite molto dure, ne vedi una in particolare?

Penso che il Cuito Negro, arrivo della quindicesima tappa, sia la più temibile. Però anche il Picon Blanco è davvero duro, esposto e molto ripido. E soprattutto sarà l’arrivo della ventesima tappa, saremo tutti belli stanchi.

La Visma-Lease a Bike per Kuss avrà Van Aert e Affini: entrambi attesi anche a una bella crono
La Visma-Lease a Bike per Kuss avrà Van Aert e Affini: entrambi attesi anche a una bella crono

Il via con una crono

Di più non dice. Un po’ perché se nasci gregario, fai fatica a recitare da star. E un po’ perché Kuss ha capito da un pezzo che lasciare ad altri il peso della corsa sia il modo migliore per approfittare di eventuali passaggi a vuoto e infilarsi come il piccolo cuneo che con due colpi giusti spacca anche il tronco più grande.

Si comincia domani a Lisbona, con la partenza del primo corridore alle 16,23 da Praca do Imperio e l’arrivo a Oeiras dopo 12 chilometri. Strada costiera, un paio di avvallamenti e semmai il rischio di vento. Alla Visma-Lease a Bike non lo dicono, ma puntano forte con Wout Van Aert, bronzo a Parigi. Con la minaccia di Tarling che vorrà rifarsi proprio per la foratura e la delusione olimpica.

Aleotti riparte da Burgos, lo sguardo alla Vuelta e alla Cina

10.08.2024
5 min
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Il caldo della Vuelta a Burgos arroventa l’asfalto e l’attesa verso l’ultima grande corsa a tappe della stagione: la Vuelta Espana. La corsa spagnola è diventata, vista la sua posizione nel calendario, il classico esame di riparazione. Quello nel quale, a scuola, gli studenti si aggrappavano per strappare una sufficienza a fine anno. Come in classe anche nel ciclismo settembre diventa un mese di recupero. Chi, per un motivo o per l’altro, ha mancato l’appuntamento cardine della stagione, si trova alla Vuelta con il coltello tra i denti

Uno degli habitué della corsa a tappe spagnola è Roglic che l’ha vinta tre volte: tra il 2019 e il 2021. In tutti e tre i casi arrivava all’appuntamento con le ossa rotte, metaforicamente e fisicamente. Anche quest’anno la Vuelta potrebbe essere per lo sloveno della Red Bull-Bora un ultimo tentativo per raccogliere dei risultati all’altezza del suo nome

Giovanni Aleotti ha ripreso a correre alla Vuelta a Burgos, tanta fatica per lui che cercava il ritmo gara
Giovanni Aleotti ha ripreso a correre alla Vuelta a Burgos, tanta fatica per lui che cercava il ritmo gara

Da Burgos alla Vuelta (forse)

Tra gli atleti, impegnati a Burgos nei giorni scorsi, e che hanno lavorato con lo sguardo sulla Vuelta Espana c’è Giovanni Aleotti. Il 25enne di Mirandola ha ripreso a correre dopo una lunga pausa, nella quale ha recuperato le energie dopo una prima parte di stagione impegnativa. Dopo il Giro d’Italia, nel quale ha aiutato Martinez a conquistare il secondo posto finale, è andato in Slovenia. Nella breve corsa a tappe ha ritrovato la vittoria in una classifica generale, due anni dopo quella ottenuta al Sibiu Tour. 

Un successo che sembrava avergli dato una bella dose di fiducia in vista del finale di stagione. Tanto da chiederci se fosse arrivato il momento di prendere in mano la situazione e mettersi, finalmente, alla prova in una corsa a tappe di tre settimane. Ma è lo stesso Aleotti a gettare acqua sul fuoco. 

«Mi sono preparato molto bene – dice – in questo periodo. Dopo il campionato italiano (chiuso al sesto posto, ndr) mi sono fermato per una settimana, nella quale ho riposato. Al termine mi sono rimesso in bici, ma giusto per riabituare il fisico a pedalare. Da lì sono andato ad Andorra per tre settimane, dove ho fatto un bel periodo di preparazione con in testa la partecipazione alla Vuelta. Se dovessi andare, saprò anche con quale ruolo (la formazione ufficiale infatti sarà comunicata lunedì dopo la Classica San Sebastian, ndr)».

Difficile inserirsi in una squadra così ricca di capitani?

E’ logico, un team con Roglic, Vlasov e Martinez è molto competitivo. Io non mi reputo al loro livello, ho ancora tanto da imparare. Penso che la cosa più importante sia riconoscere il proprio livello e ruolo. Sono il primo a volersi migliorare e ogni anno punto a fare sempre qualcosa in più. Essere stato parte della squadra che ha aiutato Martinez a raggiungere il podio al Giro è stato comunque stimolante.

Però la prestazione dello Slovenia ci aveva dato la sensazione di una crescita…

Anche a me. Per questo ho chiesto alla squadra di andare al Tour of Guangxi, è una delle poche occasioni che ho per provare a fare un risultato. Mi piacerebbe essere lì e cercare il risultato finale. 

Dopo la vittoria del Giro di Slovenia Aleotti vorrebbe giocarsi le sue occasioni al Tour of Guangxi
Dopo la vittoria del Giro di Slovenia Aleotti vorrebbe giocarsi le sue occasioni al Tour of Guangxi
Cosa ti manca per essere a livello di quei tre?

Sinceramente da parte mia non c’è un paragone con gli altri. Ogni anno penso di essere migliorato un pochino, di aver fatto degli step. io voglio solo lavorare al meglio, se si riesce a fare ciò la crescita arriva di conseguenza. 

Con Roglic e Vlasov che devono recuperare dopo la debacle del Tour non c’è spazio per altre ambizioni?

Non sappiamo ancora chi saranno i capitani alla Vuelta, la cosa certa è che io lavorerò per i capitani. La squadra ha una grande occasione per vincere con uno di loro, specialmente Roglic. Lui e Vlasov arrivano da due infortuni, bisognerà vedere come staranno. Allo stesso tempo, però, ci sarà Martinez che ha lavorato bene in questo periodo. 

Alla Vuelta dovrebbe esserci anche “Dani” Martinez, il quale guidato da Aleotti, ha conquistato il secondo posto al Giro
Alla Vuelta dovrebbe esserci anche “Dani” Martinez, il quale guidato da Aleotti, ha conquistato il secondo posto al Giro
Come hai lavorato in altura?

Bene, ho costruito una buona base e mi sento pronto. Chiaramente a Burgos sono arrivato senza ritmo gara, ma l’idea era di costruirlo in questi appuntamenti. Burgos e San Sebastian erano utili in quest’ottica: costruire il ritmo gara. La Vuelta sarà durissima nell’ultima settimana, come ogni anno. Sarà importante essere pronti, il piano messo insieme ad Artuso è l’ideale per arrivare in condizione alla terza settimana.

Per poi arrivare pronto per l’ultima parte di stagione…

Dopo la Vuelta dovrei fare le corse in Italia e poi il Guangxi, si spera.

Guillen e la Vuelta: poche stelle, ma spettacolo sicuro

05.08.2024
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Con la seconda medaglia d’oro di Evenepoel a Parigi si sono chiuse le Olimpiadi della strada e si aprono quelle della pista. Il circo del WorldTour ha riacceso i motori e si avvia verso la Vuelta, terzo Grande Giro di stagione dopo le meraviglie di Pogacar al Giro e al Tour. Lo sloveno l’hanno tirato per entrambe le maniche affinché corresse anche in Spagna, ma lui saggiamente è rimasto lontano dalla tentazione delle tripletta, spegnendo il sorriso sul volto di Javier Guillen, che della Vuelta è l’organizzatore. In realtà lui non ci aveva mai creduto, anche se i sogni costano zero e se si avverano ti svoltano la vita.

Raggiungiamo Guillen in un mattino di relax a due settimane della partenza della Vuelta, che quest’anno scatta da Lisbona e per tre giorni batterà le strade portoghesi, prima di affrontare quelle del Sud della Spagna, per poi salire al Nord: Galizia, Asturie e Paesi Baschi, prima del gran finale di Madrid.

Javier Guillen è il direttore della Vuelta España
Javier Guillen è il direttore della Vuelta España
Che cosa fa l’organizzatore della Vuelta a due settimane dal via?

Sono più che altro compiti di coordinamento interno, per essere certi che tutto sia pronto, soprattutto per Lisbona da cui partiremo. Ad oggi tutti stanno lavorando al 100 per cento per la Vuelta. Le vacanze dei pochi che hanno potuto farle sono finite e quello di cui abbiamo bisogno è che tutto sia a posto e il mio compito è assicurarmi che sia così, in modo che non vengano fuori problemi.

Il percorso è definito e pronto?

Tutto pronto. Abbiamo localizzato perfettamente e da tempo i punti sui quali potrebbe essere necessario qualche intervento, per problemi che possano verificarsi in questo periodo. Ma per ora è tutto a posto.

La Vuelta 2024 partirà dal Portogallo per concludersi a Madrid
La Vuelta 2024 partirà dal Portogallo per concludersi a Madrid
Proprio guardando il percorso, che Vuelta possiamo aspettarci?

Una Vuelta per arrampicatori, come ogni anno, ma un po’ più aperta. In questo momento non possiamo indicare un chiaro favorito. Penso che non ci sarà un dominatore come negli altri due Grandi Giri e penso che anche questo ci porterà ad una gara in cui tutto sarà possibile sino alla fine. Quello che noi organizzatori vorremmo avere tutti gli anni.

Si fa fatica a trovare un nome di riferimento?

E’ ovvio che se arrivasse Primoz Roglic, su cui in linea di principio contiamo, allora ci sarebbe in corsa il vincitore di tre Vuelta e penso che partirebbe con un certo vantaggio. Ma è anche vero che vedendo squadre come la Movistar o la stessa UAE Emirates, la corsa è sicuramente molto aperta. Un altro corridore che per me avrà molte opzioni in questa Vuelta è Carapaz, che penso arriverà in grande forma.

Roglic ha vinto tre Vuelta, potrebbe essere la star dell’edizione 2024
Roglic ha vinto tre Vuelta, potrebbe essere la star dell’edizione 2024
Cosa pensavi quando si parlava di Pogacar alla Vuelta?

Penso che per noi sarebbe una notizia straordinaria e per lui vincerla immagino che sarebbe un sogno. Ma è evidente che Tadej Pogacar non ha illuso nessuno, fin dal primo momento ha detto che il suo programma era fare Giro e Tour. Abbiamo visto tutti il grande livello che ha mostrato in entrambi ed è ovvio che certi risultati, oltre ad una gioia immensa, producano fatica mentale e stanchezza fisica. Per noi sarebbe stata una notizia straordinaria. Tanto più, adesso che ha il Giro e il Tour, per entrare nel club di chi ha vinto le Tre Grandi gli resta solo la Vuelta. Eravamo consapevoli che non sarebbe venuto, non è stata una sorpresa.

In Italia, dopo Nibali non abbiamo più trovato corridori da Grandi Giri. La Vuelta di quest’anno potrebbe essere un’opportunità per i corridori spagnoli?

Lo spero, perché quello che succede in Spagna è un po’ come in Italia. Abbiamo una così grande tradizione di corridori e vincitori, che quando non ne vediamo di nuovi, ci sembra di attraversare una siccità. Penso che quest’anno ci siano dei bravi spagnoli, che si sono comportati bene al Tour de France, come Enric Mas e Mikel Landa. Credo anche che ci sia un corridore come Carlos Rodriguez che, se venisse alla Vuelta, avrebbe grandi possibilità di fare una buona classifica generale. E ovviamente ad oggi il quartetto dei migliori sarebbe completato da Juan Ayuso. In questo momento però non ho la conferma che verrà, ma credo che tra Enric Mas, Mikel Landa e Carlos Rodríguez avremmo molte opzioni per lottare sino alla fine.

La presenza di Ayuso alla Vuelta non è ancora sicura
La presenza di Ayuso alla Vuelta non è ancora sicura
Come organizzatore, quale fra questi funziona di più come immagine?

Non lo so, devo essere cauto perché non posso mostrare preferenze. Credo che ognuno abbia il proprio stile. Penso che Ayuso sia un corridore molto aggressivo, che lotta molto e che usa un linguaggio che piace molto ai tifosi. Rodriguez è un corridore con molta classe e credo abbia un’intelligenza straordinaria in gara. Potremmo dire che sia un po’ più calmo e posato di Juan quando si tratta di esprimersi.

Invece Enric Mas?

Enric Mas è più esperto. Alla fine gli anni trascorsi in gruppo gli danno un certo vantaggio quando si tratta di leggere le gare. E poi ovviamente non si può dimenticare Mikel Landa, un corridore che piace a tutti. Perché è un uomo per la montagna, un corridore che va all’attacco. E’ un corridore che quando lotta, dà tutto. Alla fine, ognuno ha la sua personalità e per me che sono tifoso, mi piacerebbe che lottasse per il podio. Mentre come organizzatore non posso dire tanto di più.

Come ti aspetti l’accoglienza di Lisbona?

Incredibile. Troviamo una città molto preparata, molto moderna, esteticamente bella, che si colloca molto bene tra modernità e tradizione. In Portogallo è come essere a casa. Partiamo dall’estero, ma non smettiamo di sentirci in patria grazie alla collaborazione ricevuta da tutte le Istituzioni. Abbiamo accettato la sfida e affrontato il progetto con molta responsabilità, perché il Portogallo può essere una porta da mantenere aperta. Creare un buon legame ci aprirebbe una vasta gamma in termini di percorso. Possiamo ragionare su nuove proposte senza dover fare trasferimenti o grandi distanze come quando partiamo da altri Paesi. E questo in Spagna è importante perché, come succede in Italia, siamo nel Sud dell’Europa. Siamo il Paese più meridionale e questo fa sì che anche i nostri confini siano lontani dagli altri Paesi, non come accade nel Centro Europa.

Pensi che il caldo sarà un tema della Vuelta?

Lo è sempre stato. La verità è che il caldo è qualcosa di cui dobbiamo essere consapevoli. Il ciclismo ha sempre fatto i conti con il caldo, perché si svolge sostanzialmente in estate. E’ vero che andiamo in posti dove possiamo trovare temperature elevate, come in Extremadura o in Andalusia, ma non credo che troveremo qualcosa di diverso rispetto agli altri anni. Il caldo alla fine si combatte con l’idratazione e, a meno di temperature mai viste prima, non credo che influenzerà lo sviluppo della gara dal punto di vista organizzativo. Di certo ai corridori potrebbe costare più fatica. Alcuni faranno meglio col caldo, altri rimpiangeranno il freddo. E’ una circostanza che influisce sullo sport, ma non credo che possa impedire lo svolgimento delle tappe.

Enric Mas secondo Guillen potrebbe essere avvantaggiato dalla sua esperienza
Enric Mas secondo Guillen potrebbe essere avvantaggiato dalla sua esperienza
A proposito di partenze dall’estero: si parla molto della partenza 2025 da Torino…

Mi piacerebbe che questa possibilità diventasse realtà, stiamo lavorando. Non ho mai nascosto che abbiamo rapporti con la Regione Piemonte, ma voglio essere cauto e annunciarlo ufficialmente nel momento in cui ci sarà qualcosa. E’ evidente che il ciclismo richiami il ciclismo. La Spagna è un Paese ciclistico, l’Italia probabilmente è il Paese ciclistico per eccellenza. E noi vogliamo stare con chi parla la nostra stessa lingua e soprattutto siamo contenti quando possiamo farlo in un Paese così bello. Con così tanta tradizione, con così tanta storia e con tanti legami con la Spagna. Però permettetemi di essere un po’ cauto riguardo a ciò che dobbiamo ancora annunciare. Penso che lo sarà a breve, ma in questo momento non posso dire più di questo.

Red Bull-Bora, dalla debacle del Tour al piano per ripartire

25.07.2024
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Il Tour de France, come tutti i grandi eventi, porta con sé un’onda lunga di considerazioni, bilanci, ricordi. E un bilancio, ma anche (e soprattutto) un discorso in prospettiva lo facciamo con Enrico Gasparotto, tecnico della  Red Bull-Bora-Hansgrohe, squadra che non ha avuto una Grande Boucle facile.

Il team tedesco, lo ricordiamo, ha perso il suo leader Primoz Roglic, il quale aveva fatto quasi all-in sul Tour. E ha perso anche il suo braccio destro, Alexander Vlasov. Da lì sono saltati un po’ tutti i piani e anche chi doveva aiutare, o già aveva aiutato, non poteva raccogliere all’improvviso un’eredità tanto importante. Neanche se ci si chiamava Jai Hindley o Bob Jungels.

Enrico Gasparotto (classe 1982) è un direttore sportivo della Red Bull-Bora
Enrico Gasparotto (classe 1982) è un direttore sportivo della Red Bull-Bora
Insomma, Enrico, dicevamo di un Tour non facile per voi…

Penso sia stato decisamente così. Partivamo con l’ambizione di lottare per vincere e in seconda battuta di lottare per il podio e invece ci siamo ritrovati come ultima squadra nella classifica dei guadagni, dei premi elargiti, il che la dice lunga su come sia andata.

Crolla un po’ il castello?

Quando punti un obiettivo e il tuo leader viene meno, cambia tutto. Se poi anche il leader in seconda battuta, Vlasov, va a casa è ancora peggio. Faccio un esempio: prendiamo la Soudal-Quick Step che aveva in Remco e Landa i suoi due corridori principali. Mettiamo che per un motivo o per un altro loro due si ritiravano, che Tour avrebbe fatto la Soudal?

Chiaro, rispecchia la vostra situazione…

Noi abbiamo perso Vlasov nella tappa degli sterrati, dove ha riportato la frattura della caviglia. E tre giorni dopo abbiamo perso Roglic per una caduta. Era la peggior situazione che ci potesse capitare. Poi Jai è stato bravo ad entrare nelle fughe che potevano portare a qualcosa. In questi attacchi loro c’erano, ma anche in questo caso, di reali possibilità che la fuga arrivasse ce ne sono state poche. Se pensiamo che tre uomini (Pogacar, Girmay e Philipsen, ndr) hanno vinto 11 tappe e una dodicesima, la prima crono, è andata a Remco, alla fine per tutti gli altri restava veramente poco. 

Vlasov nella tappa dello sterrato poco prima della caduta che lo ha messo ko
Vlasov nella tappa dello sterrato poco prima della caduta che lo ha messo ko
E voi impostando la squadra in quel modo neanche avevate il velocista…

Ripeto, è stato un Tour difficile per tutti noi della Red Bull-Bora. Erano tre mesi che i ragazzi vivevano insieme praticamente tra gare, ritiri, altura… E quando il tuo leader viene meno anche mentalmente si fa dura. Ma si è fatta dura anche per i direttori sportivi, per lo staff: meccanici, massaggiatori… Noi abbiamo cercato di reagire e devo fare un plauso a Jai e a Nico Denz, che ci hanno provato nonostante anche loro in alcuni giorni non siano stati bene.

Come si fa ora? Come si riordinano le idee?

Come sempre, dopo i grandi eventi e i grandi Giri in particolare si fa il debriefing. Si analizza il tutto: preparazione, dinamiche di corsa, materiali, staff, logistica… In qualche cosa si poteva fare meglio, in altre si è fatto bene e si cerca di capire come migliorare ancora. Si fa un’analisi approfondita di tutto, specie dopo batoste così importanti, si va ancora di più nel dettaglio.

Come avviene questo debriefing: si fa con una call tutti insieme o ognuno invia il suo report?

Si riunisce il management e il responsabile di ogni reparto e si analizza il tutto. Per la nostra parte c’era Rolf Aldag, che era il responsabile Red Bull-Bora-Hansgrohe al Tour e quindi si sa già molto. Poi vengono coinvolti i coach, il responsabile dei materiali, della logistica, della nutrizione: si mette tutto sul tavolo. Credo che a fine settimana ci sarà un rapporto definitivo.

Se questo, Enrico, è quel che è successo, iniziamo a guardare avanti e la domanda diretta è: al netto del problema alla vertebra, vedremo Roglic alla Vuelta?

Dal primo giorno in cui un corridore torna a casa si pensa già al prossimo obiettivo. E questo vale anche per Vlasov. Entrambi erano già e sono nella lista lunga della Vuelta. Posso dire che Primoz è stato presso il centro Red Bull Athlete Performance Center vicino Salisburgo per i test e le analisi fisiche e può riprendere ad allenarsi bene. Attenzione però, con questo non dico che Primoz sarà alla Vuelta. Una decisione non sarà presa prima della prossima settimana.

Proprio in questi giorni Roglic può iniziare ad allenarsi bene
Proprio in questi giorni Roglic può iniziare ad allenarsi bene
Serve anche un certo tempo di riflessione, immaginiamo…

C’è un periodo di stand by, prima di dare la formazione della Vuelta, a prescindere dalle cadute o meno. Deve passare almeno una settimana dopo la fine del Tour de France, anche per vedere come recuperano i ragazzi. Quando si molla all’improvviso, dopo tanti giorni di adrenalina, spesso i corridori si ammalano, escono fuori dolori… servono alcuni giorni perciò per valutare il vero grado di stanchezza. Senza contare che ci sono stati anche casi di Covid, alcuni più seri e altri più lievi. In tutto ciò il lato positivo è che Roglic si può allenare bene e presto credo otterrà lo stesso via libera anche Vlasov.

Guardando oltre la Vuelta, per esempio tu, Enrico, direttore sportivo, cosa farai?

Ora un po’ di riposo. Ho fatto molte corse, tra cui Giro d’Italia e Tour. Rientrerò a Plouay e Renewi Tour, quindi farò la trasferta canadese e chiuderò con le gare italiane tra settembre e ottobre.

E per gli altri corridori come si programma questo post Tour?

Bisogna pensare che per otto atleti al Tour ce ne sono altri 22 a casa e lì si procede indipendentemente dal Tour. Su questo aspetto abbiamo lavorato prima della Grande Boucle: due settimane di programmi fatti nella seconda metà di giugno.

E cosa ne è emerso?

Che abbiamo una lista lunga di 12 nomi per la Vuelta e altri ragazzi assegnati a tutte le altre gare. Ma programmare non è facile. Perché spesso i programmi saltano. Penso per esempio a Buchmann che doveva fare un altro percorso e al Tour de Suisse si è fratturato la clavicola. O a Kamna che è  ancora fuori. Alcuni corridori sono impegnati alle Olimpiadi…

Intanto Aleotti (al centro) è in altura ad Andorra. Qui in un selfie di Schachmann
Intanto Aleotti (al centro) è in altura ad Andorra. Qui in un selfie di Schachmann
Daniel Martinez, secondo al Giro, dove lo vedremo?

Fa parte della lista lunga della Vuelta, ma non è detto che ci vada. Vista la su grande duttilità, Dani Martinez potrebbe essere anche dirottato sulle corse di un giorno come San Sebastian o brevi corse a tappe.

Come dicevi bisogna vedere anche come stanno gli altri e in tutto ciò di Sobrero cosa ci dici?

Matteo non farà la Vuelta. Ha fatto moltissimo quest’anno: tutta la parte del Tour e quindi gare e ritiri con Roglic, ma anche delle gare in Belgio nelle quali Primoz non era previsto. Rientrerà a Plouay.

Aleotti?

Giovanni invece è uno dei 12 della lista lunga per la corsa spagnola. Si sta allenando in altura e il suo ruolo alla Vuelta lui ce lo avrà. Dovrebbe riprendere a Burgos (i primi di agosto, ndr).

Insomma tutto è in divenire, ci si rialza continuando a lavorare. Al netto della Vuelta per un team come il vostro servono grandi obiettivi. Quindi si punta forte sul Lombardia?

Tutti puntano sul Lombardia e anche noi ovviamente. Abbiamo diversi corridori che possono vincerlo. Penso a Primoz e a Vlasov che hanno concluso tra i primi anche nella passata edizione e lo stesso vale per Martinez e Hindley o Higuita. Per ora il Lombardia è l’ultimo dei miei problemi! Lì in teoria dovremmo avere problemi di abbondanza. Poi è chiaro che è uno dei nostri obiettivi. I Monumenti sono cinque: in questo momento un corridore per vincere Sanremo, Fiandre o Roubaix non ce lo abbiamo, però abbiamo ottimi atleti per puntare ad una Liegi e ad un Lombardia.

Girmay cala il tris, ma la notizia è la maledizione di Roglic

11.07.2024
6 min
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Più di due minuti per Roglic che ha tagliato il traguardo scortato da tutta la squadra. Anche questo ti fa sentire capitano, come con Pantani dopo la caduta del Chiunzi. Ma alla fine sarà una ben magra consolazione, soprattutto se i medici diranno qualcosa di brutto e inatteso. E’ stata una tappa per certi versi disastrosa, in cui il solo contento sarà alla fine Girmay, che ha sollevato le braccia al cielo per la terza volta in questo Tour de France.

Riavvolgiamo il nastro dall’epilogo. Per scorrettezze durante lo sprint sono stati declassati Demare e Cavendish. Poco prima, a 12 chilometri dall’arrivo, Alexei Lutsenko ha provocato la caduta che costerà il Tour a Primoz Roglic, che finalmente era parso in crescendo. Mentre nei chilometri precedenti hanno alzato bandiera bianca Pello Bilbao, Fabio Jakobsen e non è partito Morkov, positivo al Covid. Doveva essere una tappa di trasferimento, è venuto fuori un finimondo.

«Se guardo la mia performance – dice Van Aert, secondo all’arrivo – posso essere soddisfatto. Avevo alcuni dubbi, soprattutto ieri. Mi facevano male l’addome e il braccio, ma abbiamo accertato che non ci siano fratture, anche se sull’asfalto sconnesso si fa sentire. Stamattina mi sentivo meglio, stavo bene sulla bici. Così ho voluto provare lo sprint. E’ stato difficile, avrei potuto fare meglio, se non fossi dovuto ripartire durante la volata. Ancora una volta ho scelto la parte giusta, quindi non è stata colpa mia. E’ stato uno sprint disordinato, senza una squadra che lo abbia impostato. Davanti c’erano solo uomini sciolti. Io ho iniziato a ruota di Demare. Doveva semplicemente andare dritto, ma ha scelto di spostarsi a destra dove c’ero già io. Ho dovuto smettere di pedalare e spostarmi dall’altra parte. Poi sono arrivato accanto a Biniam, ma con mezza ruota di troppo. E’ un peccato.

«Ed è un peccato che sia caduto Primoz, mi dispiace molto per lui. Ha già avuto tanta sfortuna, la classifica generale non dovrebbe definirsi così, ma c’è molto stress. Dal mio punto di vista è stata una frazione molto difficile, con alcuni spartitraffico troppo pericolosi. Penso che certi ostacoli possano essere segnalati meglio o addirittura rimossi. Perciò sono molto orgoglioso del fatto che Primoz sia voluto arrivare al traguardo. E ora spero che stia bene e che continui la corsa».

Amarezza per Roglic

Attorno al pullman della Red Bull-Bora-Hansgrohe si respira un pessimo umore. Quando è arrivato Roglic, ha trovato anche un tifoso che insisteva a camminargli accanto per farsi un selfie, incurante della spalla lacera e degli evidenti segni della caduta. La dinamica è stata spiegata e vivisezionata. Al centro della strada c’era da diversi metri un cordolo che separa le due carreggiate. E Lutsenko, forse perché spinto o forse perché non se ne è accorto, dal lato sinistro, si è spostato per andare a destra. La sua bici si è impuntata sul gradino, è finita dall’altra parte ed è diventata la rampa di lancio per Roglic. Lo sloveno non lo ha nemmeno visto arrivare, dato che al momento della caduta di Lutsenko era ancora indietro. Si è semplicemente trovato davanti l’uomo a terra ed è franato a sua volta, battendo la schiena.

L’inseguimento è stato doloroso e drammatico. Era palese che Primoz non ce la facesse. E a vederlo in quella brutta posizione, sono saltate alla mente tutte le volte che è caduto, lasciando andar i suoi sogni. Come al Tour del 2022, il primo vinto da Vingegaard. Quando lo sloveno cadde nella tappa del pavé, fu decisivo per l’attacco contro Pogacar sul Granon, poi impacchettò le sue cose e tornò a casa.

Passaggio a Rocamadour, luogo sacro per i francesi, teatro dell’ultima crono 2022
Passaggio a Rocamadour, luogo sacro per i francesi, teatro dell’ultima crono 2022

Il racconto di Pogacar

«Abbiamo sentito uno schianto – ha commentato Pogacar – ma il finale era già abbastanza stressante e non mi sono voltato per capire che fosse caduto. Ma poi, subito dopo il traguardo, hanno detto che era Primoz e mi è dispiaciuto molto. E’ davvero in buona forma e lo vedo progredire durante le tappe, quindi finora ho pensato che avrebbe lottato sino in fondo per questo Tour.

«E’ stato davvero triste vederlo cadere oggi e penso che abbia perso un bel po’ di tempo. Spero che stia bene. Normalmente è un grande combattente, spero si possa riprendere e puntare a vincere qualche tappa. Io invece sono stato bene. Mi aspettavo gambe più stanche, invece sono stato abbastanza bene per tutto il giorno».

Okay, sembrano dirsi Pogacar e Vingegaard, da sabato si comincia…
Okay, sembrano dirsi Pogacar e Vingegaard, da sabato si comincia…

«Una caduta come quella di oggi non dovrebbe accadere – dice Merjin Zeeman, ex direttore di Roglic alla Jumbo-Visma – c’erano cordoli impossibili da vedere per il gruppo. La caduta non è colpa dei corridori e ci dispiace davvero per Primoz. Non puoi far percorrere al gruppo del Tour una strada del genere, è da irresponsabili».

Girmay, grazie a Dio

E poi arriva lui, il vincitore vestito di verde che ha esultato come un giorno fece Sagan, imitando Hulk. Anche se nel caso di Girmay, la sensazione è che sia stato semplicemente un urlo liberatorio dopo la tensione della volata.

«Voglio ringraziare Dio – dice – senza il quale non avrei la forza per fare tutto questo. Poi voglio ringraziare i miei compagni e la mia squadra, perché senza di loro non riuscirei a dimostrare di essere il più veloce. Fin dall’inizio di questo Tour de France, sapevo che avrei potuto vincere. In tre sprint ho dimostrato che, se sono ben posizionato, sono in grado di farlo. Oggi poteva starci bene che la fuga arrivasse, ci avrebbe fatto comodo. Ma quando si è capito che sarebbe finita in volata, ho detto alla mia squadra via radio che mi sentivo bene e che mi sarei buttato.

«Questo mi fa venire voglia di continuare a concentrarmi completamente sugli sprint. La maglia verde mi mette le ali. Mi sento super veloce ed è soprattutto un fatto nella testa. Ho avuto i miei alti e bassi nelle ultime stagioni, ma quest’anno ho cambiato le cose e sta funzionando. Ho cambiato anche la mia filosofia».

La lenta sfilata della Red Bull-Bora non è servita a limitare il passivo di 2’27”
La lenta sfilata della Red Bull-Bora non è servita a limitare il passivo di 2’27”

Roglic, errore o sfortuna?

Probabilmente in serata arriveranno aggiornamenti sulle condizioni di Roglic, l’uomo che ha cambiato squadra per giocarsi il Tour e si ritrova ancora una volta al tappeto come già altre volte in passato. Non è mai per caso, a certi livelli. Enrico Gasparotto ha detto in diretta RAI che da qualche giorno non riescono a vedere la corsa dall’ammiraglia e non si è capito se questo significhi non poter dire ai corridori di stare davanti o se fosse semplicemente un modo per dire che non potesse fare un commento. In ogni caso che Roglic stia sempre indietro e finisca spesso nei guai è un fatto.

Nel finale convulso e mal segnalato di oggi, i primi della classifica erano tutti in testa con le loro squadre. E’ bello pensare che la squadra compatta si il modo di tenerti lontano dai guai, non un drappello afflitto che ti scorta dolorante verso un traguardo ormai troppo lontano.

«Primoz ha appena fatto la doccia – ha detto Rolf Aldag, manager del team – il medico lo sta visitando, per determinare quali cure mediche ha bisogno. Ci auguriamo tutti che non succeda nulla di grave, per il momento la cosa più importante è lo stesso Primoz, non il suo risultato al Tour de France. Speriamo che stia bene, che non si sia allenato così duramente per niente. E’ un dato di fatto, questa caduta ha avuto conseguenze importanti sulla nostra squadra oggi».

Red Bull-Bora: la storia delle nuove divise raccontata da Sportful

11.07.2024
5 min
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I colori e le immagini del gruppo al Tour de France hanno una nuova sfumatura al loro interno, è quella della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Il team di Primoz Roglic ha cambiato pelle proprio in occasione della Grande Boucle. Sulle strade francesi abbiamo visto per la prima volta i due tori, simbolo del famoso marchio di bevande energetiche, appoggiarsi sul petto dello sloveno e dei suoi compagni. La firma, in alto a destra, è sempre la stessa: Sportful. Il marchio veneto ha realizzato le divise e le ha fornite al team in tempo record (in apertura foto JM Red Bull-Bora).

«E’ stato un processo lungo mesi di lavoro – racconta Federico Mele, Head of Global Marketing di Sportful – anche perché Red Bull è entrata in prima persona nel team. Ne sono diventati proprietari, acquistando il 51 per cento delle quote. La notizia del passaggio di proprietà era arrivata già prima della Strade Bianche e il lavoro è stato il solito ma comunque frenetico».

La divisa della Red Bull-Bora è simile a quella usata dal team di Formula 1 (foto JM Red Bull-Bora)
La divisa della Red Bull-Bora è simile a quella usata dal team di Formula 1 (foto JM Red Bull-Bora)

Stesso stampo

Quando un marchio così grande come Red Bull entra in un team, e in uno sport, gli equilibri si spostano, cambiano. Molti hanno notato, infatti, che la divisa della Red Bull-Bora sia molto simile a quella del team di Formula 1. 

«E’ così – continua Mele – non abbiamo avuto molta voce in capitolo nel decidere il design della divisa. Anche perché il blu Red Bull è un marchio di fabbrica, quasi come il Rosso Ferrari. Difficile cambiare qualcosa di così radicato. La parte delicata è stata quella di inserire tutti gli sponsor all’interno della divisa e di far approvare anche a loro il nuovo design. Ma siamo abituati a lavorare con tante realtà importanti, quindi si è trattato di trovare il giusto equilibrio e di decidere le dimensioni del logo».

La parte più difficile del lavoro è stata questa?

Sì, anche se non la definirei difficile. Noi come Sportful abbiamo poi voluto darci una scadenza per realizzare il tutto ed era quella della presentazione ufficiale a Salisburgo. Volevamo arrivare con il materiale pronto: divise, completi invernali, e accessori. Sia per il team che per il merchandising. 

Come ha risposto il pubblico?

Siamo andati soldout dopo poche ore dal lancio. Un effetto così grande non lo abbiamo mai visto. I prodotti sono esauriti in pochissimo tempo sia sul nostro sito che su piattaforme terze come Deporvillage o All4Cycling. 

Avevate fatto delle previsioni di vendita?

Come sempre, ed erano in linea con quanto prodotto e venduto solitamente. L’effetto Red Bull però ha ampliato il tutto, sono stati esauriti 25.000 prodotti in un giorno. Appena capito che sarebbe andato tutto soldout ci siamo messi all’opera per riassortire la collezione.

Pochi giorni dopo, la divisa è stata mostrata al grande pubblico per il via del Tour de France
Pochi giorni dopo, la divisa è stata mostrata al grande pubblico per il via del Tour de France
Per i corridori ci sono stati dettagli particolari?

In realtà no. Non sono stati fatti fitting o altre misurazioni. I tessuti utilizzati sono gli stessi della divisa di inizio anno. Chiaramente non tutti i prodotti realizzati per il team sono andati in vendita. Ad esempio il body corto e quello lungo non sono disponibili. 

Hai detto che avevate l’obiettivo di preparare il tutto per la presentazione ufficiale, com’è andata?

C’è stata una parte importante di organizzazione del lavoro per quanto riguardava le tempistiche e le quantità. Quando entra un marchio come Red Bull vuoi dare il massimo e così abbiamo fatto. Avere tutto in ordine per il lancio, gli shooting fotografici e la presentazione del Tour era importante. E’ stato delicato anche gestire la grande attenzione mediatica. Tutti gli addetti ai lavori e all’informazione erano curiosi e tenere segreta la nuova divisa è stato difficile. 

Quando avete visto la presentazione ufficiale, con tutti i prodotti pronti, cosa avete pensato?

E’ stata una grande emozione. Non capita tutti i giorni di lavorare con un marchio come Red Bull, ti rendi conto che il team e il ciclismo stanno cambiando. Come in ogni sport in cui Red Bull mette piede, tutto aumenta: visibilità, attenzione mediatica e tecnica. Me ne sono reso conto nelle prime tappe del Tour. 

In che senso?

Amici, conoscenti, ma anche noi stessi, continuavamo a cercare i colori della nuova divisa in gruppo. E’ anomalo, Roglic è sempre uguale, ma con la maglia Red Bull sembra avere un cerchio rosso intorno. Passatemi il termine ma “fa figo”, è di moda e tutti cercano quel particolare, quei due tori rossi.