EDITORIALE / Giro duro e bello, nonostante i social

29.05.2023
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Soltanto tre Giri d’Italia negli ultimi dieci anni si sono corsi a una media superiore ai 40 orari: i due vinti da Nibali (2013-2016) e quello di Froome (2018). Il terzo, giusto per offrire qualche dato, è stato lungo 3.546 chilometri per 44.000 metri di dislivello. L’ultimo, della lunghezza di 3.489 chilometri, aveva dislivello di 51.400 metri: 57 chilometri in meno, ma in compenso 7.400 metri di dislivello in più. Se anche non volessimo considerare il maltempo e il freddo come attenuanti per alcune tappe non proprio entusiasmanti, valga il fatto che malgrado le apparenze, il Giro d’Italia appena vinto da Roglic è stato durissimo: con il dislivello più alto dopo quello monstre del 2011 (52.390 metri!).

Tifosi sloveni per Roglic: una marea di gente che ha sostenuto il campione della Jumbo Visma
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Tre Cime a 6,5 watt/chilo

Si è parlato di noia e a volte l’abbiamo sfiorata anche noi. Si è parlato di ridurre i chilometraggi. Qualcuno ha ipotizzato di inserire delle prove speciali all’interno delle tappe. Per due settimane se ne sono dette di ogni genere, dimostrando di non aver capito quello che stava succedendo e quello che sarebbe successo nella terza settimana.

La trama del Giro 2023 ha ricalcato quella del 2022 (3.445 chilometri per 50.580 metri di dislivello), con la corsa decisa nell’ultima crono a capo di duelli tiratissimi nella terza settimana, che non hanno schiodato la situazione dal sostanziale pareggio fra i primi tre della classifica. Ma se come dice Caruso i gregari di Thomas tiravano sulle Tre Cime di Lavaredo a 6,5 watt/chilo, come si pretendeva che qualcuno attaccasse?

Il duello iniziato sul Bondone è esploso alle Tre Cime fra ali di folla incredibili
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Il gusto della noia

Il ciclismo ha accelerato dopo il Covid. Molti hanno avvertito di non prendere come modello le prestazioni di pochi campioni, invece è successo esattamente questo.

I social e l’arrivo di nuovi tifosi hanno impresso un’accelerazione subdola e nociva, che ha condizionato anche chi dovrebbe fare informazione sulla base di ragionamenti e competenza. Si è preferito assecondare il coro delle accuse, senza tenere in dovuta considerazione il fatto che per 14 tappe il gruppo abbia corso sotto la pioggia e con temperature rigide. Inoltre il ritiro di Evenepoel ha fatto intravedere la possibilità di lottare per la vittoria e a quel punto si sono dosate le energie per una terza settimana durissima.

La capacità di annoiarsi è una dote su cui lavorare, dalla noia si esce col ragionamento. L’incapacità di aspettare rientra fra i mali del nostro tempo, ma non nelle specifiche del ciclismo.

Siamo pronti a scommettere che le uscite di alcuni corridori sono state la reazione al coro di fischi che ogni giorno li investiva dal web, mentre la gente sulle strade – probabilmente testimone delle stesse condizioni – ha sempre continuato ad applaudirli.

Il Monte Lussari è stato il teatro della sfida finale, giocata sul filo dei secondi e dei nervi
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Un Giro di cuore

E’ stato un bel Giro, con quattro vittorie italiane. La logistica degli ultimi giorni è stata impegnativa: il viaggio dalle Tre Cime di Lavaredo a Tarvisio e poi dal Monte Lussari a Roma ha costretto tutti a tre giorni di tirate non indifferenti. Tuttavia lo spettacolo della folla sulle salite del Veneto, la sfida finale sulla stradina del Santuario friulano e la conclusione a Roma sono stati lo spot migliore per uno sport e un Paese che nel turismo ha risorse impensabili. Bella Parigi, ma il finale del Giro a Roma ha surclassato il classico finale del Tour.

Roglic ha vinto con le gambe e col cuore. Per lo stesso motivo avrebbe meritato Thomas, che nel nome dell’amicizia, ha propiziato la vittoria di Cavendish: questo è il ciclismo. E se nessuno ve l’ha spiegato, noi proveremo a farlo con la nostra testimonianza. Non è detto che avremo sempre ragione o che saremo sempre d’accordo, ma di certo non rifiuteremo il confronto. Come si diceva ieri con Roberto Damiani alla partenza dell’ultima tappa, è giusto cavalcare il nuovo, ma anche ricordarsi quale grande storia abbiamo alle spalle.

Il dio pallone

Il Giro d’Italia numero 106 è finito. Ha sfiorato la tragedia della Romagna, che abbiamo vissuto in piccolissima parte negli occhi degli amici romagnoli in gruppo. E ha ricevuto a sua volta la visita del Presidente Mattarella, il solo politico italiano con una vera cultura sportiva e non solo calcistica.

Per un po’ continueremo a parlarne, ma già si annunciano le prossime sfide. Il Giro degli under 23, il Delfinato e lo Svizzera sulla strada del Tour e i campionati nazionali. Chiudiamo questo editoriale avendo negli occhi l’immagine di Roglic affacciato sui Fori Imperiali. Cercheremo di tenerla il più a lungo possibile, sebbene altrove il dio pallone – indagato e indebitato – l’abbia già fagocitata.