Riscaldamento: gli azzurri del cross alla ricerca di un protocollo

13.11.2023
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Nel ciclocross il riscaldamento conta tantissimo. E’ uno sforzo particolare: è esplosivo, ma al tempo stesso di endurance. Le fasi del via sono quasi sempre le più importanti e decisive, specie sul fronte fisiologico. Spesso è da come si digeriscono queste sgasate “a freddo” che la propria corsa prende una piega anziché un’altra.

Marco Decet è un giovane preparatore da poco entrato nel giro del gruppo performance della nazionale. Decet è stato uno stradista prima e un endurista poi, il cittì Daniele Pontoni l’ha voluto nella sua squadra. E al tecnico veneto ha affidato uno scopo preciso: quello di standardizzare il riscaldamento. Si vuol creare un protocollo per i ragazzi, ciascuno chiaramente con i suoi piccoli adattamenti.

Marco Decet è un preparatore della Fci e ha anche un suo centro: Fuori di Soglia, a Feltre (Bl)
Marco Decet è un preparatore della Fci e ha anche un suo centro: Fuori di Soglia, a Feltre (Bl)
Marco, come sei arrivato a Pontoni?

Il mio è stato un avvicinamento universitario, più che sportivo. Terminata la mia attività, mi sono reso conto quanto per un ragazzo fosse importante avere un riferimento che lo indirizzasse. E così ho fatto della mia passione la mia professione. Finiti gli studi (che in realtà non sono finiti in quanto procedono con dei dottorati, ndr) ho partecipato al bando della Fci per entrare a far parte del team performance. L’ho vinto e Pontoni, sapendo del mio passato da biker e vedendo il mio approccio scientifico che all’inizio avevo avuto con i ragazzi della Bmx, mi ha voluto con sé.

E avete iniziato a lavorare sul riscaldamento…

Esatto. L’idea è quella di standardizzare i protocolli del warm up per i ragazzi, in particolare per coloro che sono impegnati nel team relay, visto che si tratta di sessi ed età differenti, che per di più vengono chiamati in causa in momenti diversi. In questo caso si tratta soprattutto di individuare le tempistiche migliori per il riscaldamento. E questo, agli ultimi europei in Francia, è servito molto ai più giovani. Ma devo dire che anche i più esperti hanno apprezzato e ritoccato qualcosa.

In cosa consiste il tuo lavoro con il riscaldamento?

E’ un approccio totale alla gara. E quindi va dal riscaldamento vero e proprio all’ingresso in griglia. Mi sono concentrato soprattutto sul tema della temperatura corporea ideale da raggiungere. E come raggiungerla, chiaramente. Abbiamo visto che non è necessario un lungo tempo sui rulli, per portare i muscoli al di sopra dei 37 gradi, la temperatura ideale per il lavoro delle fibre e l’apporto di ossigeno al sangue.

Questo protocollo dà molta importanza anche all’abbigliamento: va gestito al meglio nei minuti tra riscaldamento e start
Questo protocollo dà molta importanza anche all’abbigliamento: va gestito al meglio nei minuti tra riscaldamento e start
Perché è importante standardizzare il riscaldamento?

Perché è una fase delicata in vista della gara e va fatta bene. In più avere un protocollo, delle certezze, apporta anche un beneficio mentale all’atleta che va sul sicuro. Per esempio abbiamo dato anche molta importanza all’abbigliamento.

Hai parlato di tempi non troppi lunghi: cosa intendi?

Che bastano anche 20 minuti, non serve consumarsi più a lungo. In questa fase c’è un po’ di tutto, anche del Vo2 Max, ma senza accumulo. Variazioni con cadenze che simulano il percorso…

Proviamo a vedere come potrebbe essere un riscaldamento standard?

La prima fase è quella dell’innalzamento della temperatura e della mobilità articolare, la seconda quella dell’intensità, c’è poi una terza fase che va dalla fine dell’intensità all’ingresso in griglia. La prima dura una decina di minuti: 5′ molto tranquilli, poi 3′ in una fase più intensa e 2′ a soglia, una “Z5” per intenderci. Successivamente inizia la seconda fase. Di base ci si mette a Z2 e si fanno delle variazioni: 2′ a soglia, poi 3×30”-30” sempre in Z5 e infine 2-3 progressioni da 15” che vanno dalle basse alle alte cadenze con un rapporto importante: quindi dalla forza massima alla forza dinamica. Tutta  questa seconda fase dura altri 10′, massimo 15’, a seconda dei soggetti.

Però hai detto senza accumulo, come fanno i ragazzi a capire che hanno recuperato tra una progressione e l’altra?

Da quando ritornano in Z2, quella è la base. Nel cross pochissimi hanno il potenziometro e quindi si regolano con i battiti, ma il concetto è quello.

Partenze violente ed esigenze di guida invitano a mantenere calde anche le articolazioni (in foto, Agostinacchio)
Partenze violente ed esigenze di guida invitano a mantenere calde anche le articolazioni (in foto, Agostinacchio)
E poi?

Poi, conclusa l’ultima progressione, il riscaldamento vero e proprio finisce. Si fanno ancora un paio di minuti in Z2, per non scendere col fiatone, e ci si va a cambiare. Da qui inizia per me la fase chiave, la più delicata. E’ molto importante in questo intermezzo prima della partenza, 10 minuti o poco più, mantenere la temperatura che si è raggiunta sui rulli. Bisogna sapere che già dopo 15 minuti si perde oltre il 70 per cento dell’efficienza del riscaldamento. Per questo consiglio ai ragazzi di coprirsi bene. Anche collo e viso, dove vi sono molti recettori della temperatura che, in caso di freddo, potrebbero inviare segnali non ottimali al cervello in vista della gara. Altra cosa da osservare: la mobilità articolare.

Spiegaci meglio, visto che anche prima l’hai citata in fase di riscaldamento…

In bici, e nelle discipline offroad soprattutto, non si deve solo pedalare, ma si deve anche guidare. E’ bene tenere al caldo polsi, anche, caviglie… sono aspetti che possono fare la differenza. Se non hai una buona “stiffness”, che si fa a monte anche con la palestra chiaramente, paghi un prezzo salato. Se scendi di sella e devi correre non puoi metterci tre passi per spingere bene. O magari ad ogni curva non sei sciolto a dovere. Potresti andare un pelo più più forte e sei costretto a recuperare facendo quel paio di pedalate in più nel tratto di transizione sprecando più watt. Moltiplichiamo questi watt per ogni curva, per un’ora… Va da sé quanto sia importante scaldare bene tutto il corpo.

Battiti alti e watt bassi: la ripresa di Puccio dopo le ferie

09.11.2023
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Le vacanze per i ciclisti sono finite, è ora di tornare ad allenarsi, è il momento dell’anno in cui gli atleti ritrovano la loro fedele compagna: la bicicletta. Ripartire è sempre difficile, soprattutto se per un mese si è stati, meritatamente, a riposo. Ma quanto è complicato per un ciclista ripartire? Che sensazioni prova una volta tornato in sella? Come si ritrova familiarità con il gesto atletico? 

Salvatore Puccio, classe 1989, è alto 1,82 per 68 chili. Al Giro d’Italia 2013 , vestì la maglia rosa dopo la vittoria di Sky nella cronosquadre
Salvatore Puccio, classe 1989, è alto 1,82 per 68 chili. Al Giro d’Italia 2013, vestì la maglia rosa

Puccio racconta

Queste domande le abbiamo poste a Salvatore Puccio, il 34enne in forza alla Ineos Grenadiers ci dice come affronta lui la ripresa invernale. 

«Ho ripreso da una settimana – racconta Puccio da casa – e come tutte le volte che mi trovo a ripartire soffro tanto, forse ogni anno di più. Sembra che la bici non sia la tua, che la posizione in sella sia sbagliata. Però è una sensazione normale, alla fine per un mese hai abituato il tuo corpo a fare altro, i muscoli hanno lavorato in maniera diversa. Hai camminato un po’ di più, oppure hai pulito il garage, o semplicemente sei rimasto fermo. Insomma, il fisico reagisce diversamente rispetto a quando sei nel pieno della forma».

Dopo i primi giorni di ripresa Puccio inserisce qualche lavoro ma nulla di particolare, per fare fatica ci sarà tempo in ritiro
Dopo i primi giorni di ripresa Puccio inserisce qualche lavoro ma nulla di particolare, per fare fatica ci sarà tempo in ritiro
In questi primi dieci giorni di allenamento che cosa hai fatto?

Le prime uscite vai a sentire le sensazioni del tuo corpo, pedali in maniera blanda, decidono le gambe quanto allenarsi, un’ora e mezza, massimo due. Una cosa è certa, mi ritrovo ad essere davvero “leggero” sui pedali. Vado alla ricerca della pianura, anche perché pedalare in salita diventa controproducente. Ora se trovo del vento contro mi sembra di pedalare sul Muro di Sormano! (dice con una risata, ndr). 

Che cosa guardi nelle prime uscite, qualche dato lo sbirci?

Solamente i battiti, che cerco di tenere sempre al medio. Anche per questo non vado a cercare le salite, per tenere i battiti bassi ora come ora dovrei andare molto piano in salita e non avrebbe senso. 

La condizione si costruisce giorno per giorno, per essere performanti durante tutto l’anno
La condizione si costruisce giorno per giorno, per essere performanti durante tutto l’anno
Meglio riabituare il corpo a pedalare a certe velocità, seppur controllate…

Esattamente. In questi giorni se vado a pedalare con qualche amico amatore, che solitamente mi sta a ruota tutto il tempo, sono io a dirgli di andare piano. Potrei seguire il suo ritmo, ma sarebbe troppo alto per la ripresa che devo fare e per gli obiettivi che ho. 

Che obiettivi hai?

Riabituarmi al gesto della pedalata e mettere tanto fondo, quindi Z2 (sempre parlando di frequenza cardiaca per il momento, ndr). Se dovessi mantenere un livello più alto entrerei in condizione troppo presto, mi ritroverei ad andare forte alle prima corse di stagione, ma non avrei la condizione per essere costante per tutto l’anno

Nelle prime uscite Puccio guarda i battiti e non la potenza: è il cuore che comanda lo sforzo
Nelle prime uscite Puccio guarda i battiti e non la potenza: è il cuore che comanda lo sforzo
Cosa fondamentale, visto il lavoro che devi fare in gruppo. 

Sì, io sono un corridore che in corsa deve tenere per tante ore una velocità costante. Per me è importante allenarmi, fin dai primi giorni, a far stare il mio fisico in quel range di sforzo. E’ come costruire una casa: si mettono dei pilastri solidi e poi si costruisce il resto.

Quando inizi a “costruire” il resto? Mettere qualche salita o fare lavori specifici?

Più si avvicina il primo ritiro della stagione, più aumenta l’intensità degli allenamenti. Questo perché poi quando siamo tutti insieme ognuno ha una condizione differente e se si è troppo indietro si rischia di fare l’intera giornata con il cuore in gola. Per evitare di fare troppa fatica in ritiro aumento il ritmo e porto le uscite a tre ore. Nell’uscita magari inserisco anche una salita fatta in Z3. 

Puccio è alla Ineos da 13 stagioni e con il rinnovo arriverà a 15, la sua esperienza è fondamentale
Puccio è alla Ineos da 13 stagioni e con il rinnovo arriverà a 15, la sua esperienza è fondamentale
Nel corso degli anni il tuo metodo di allenamento è cambiato?

L’età incide un po’, ma nemmeno troppo nel mio caso. Quello che fa tanta differenza nell’entrare in condizione è il peso. Io, rispetto ad uno scalatore di 55 chilogrammi, ci metto più tempo a “riaccendere” il motore. Prima facevo qualcosa in palestra, ma ora no, ho notato che se non la curi tutto l’anno non serve a molto. Ma la palestra, in particolare, è utile a chi deve fare dei lavori specifici, come gli sprinter. 

Di recente hai rinnovato con Ineos per altri due anni, ti aspettano almeno altre due preparazioni invernali…

Sono qui dal 2011, conosco tutti e conosco il metodo di lavoro. A fine carriera non mi sarei sentito pronto per delle nuove sfide. In squadra conosco il mio lavoro ed anche io sono consapevole di cosa posso dare. Alla Ineos riesco a mettere in campo tutte le mie qualità, cosa che da altre parti non sarebbe possibile. 

Allora buona ripresa.

Grazie e ci vediamo sulle strade!

Posizioni avanzate: lavoro a secco sulla catena posteriore, ma non solo

04.11.2023
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Posizioni moderne, posizioni raccolte. Non è la prima volta che trattiamo questo argomento. Lo abbiamo fatto dal punto di vista biomeccanico, da quello relativo ai “nuovi” dolori, stavolta lo facciamo da quello muscolare e della preparazione a secco. E lo facciamo con l’aiuto (fondamentale) di Marco Compri, preparatore delle nazionali della FCI.

Compri è l’esperto dei pesi, per dirla in soldoni. Palestra, esercizi a secco, equilibrio, coordinazione… sono il suo mondo.

Marco Compri fa parte dello staff performance della Federciclismo
Marco Compri fa parte dello staff performance della Federciclismo
Marco, a posizioni nuove, più raccolte, corrispondono esercizi nuovi? Cambiano le preparazioni a secco?

Credo che prima vada fatta una premessa. Quando parliamo di allenamento a secco parliamo di un allenamento a-specifico con il quale non si può avvicinare la specificità del gesto. Devi allenare al meglio quel muscolo, quel distretto muscolare e poi si fa la trasformazione in bici. Con l’allenamento a secco vai a tirare fuori il meglio della forza che può darti quel muscolo, a prescindere da quel che sarà poi il movimento finale. Ricordiamoci infatti che il cervello riconosce il movimento e non il muscolo: questa è una regola molto importante.

Quindi non c’è questa relazione fra posizioni in bici diverse e allenamento a secco? Si dice che stando più avanti sulla pedaliera lavori molto di più la muscolatura posteriore.

Sicuramente è più importante lavorare con carichi liberi, il classico bilanciere sulle spalle e non quello che scorre nel macchinario. In questo modo si attivano più assi e poi questa produzione di forza si traduce in bici. La palestra è la componente analitica dell’allenamento.

L’obiettivo primario è sviluppare la forza, insomma?

Esatto. Sappiamo che un certo tipo di tensioni in bici non le sviluppi, non hai una certa durata e una certa forza da contrastare, così come ci sono degli stimoli che la palestra non può dare. Nel mezzo c’è una gamma di lavori che si possono fare in bici. Faccio un esempio: devo allenare la forza massima. Meglio farla in palestra, soprattutto per soggetti con caratteristiche neuromuscolari importanti, come i velocisti.

Lo squat libero col bilanciere resta uno degli esercizi più efficienti, sia per la catena posteriore che per quella anteriore
Lo squat libero col bilanciere resta uno degli esercizi più efficienti, sia per la catena posteriore che per quella anteriore
C’è quindi un limite che dice che alcuni esercizi è meglio farli in palestra e altri in bici?

Direi che se si deve riprodurre un esercizio di forza che in bici è fino a 50 rpm, anche 60 rpm, allora è meglio farli in palestra. Mentre al di sopra, meglio la bici. Per un velocista che tocca anche le 140 rpm non si può riprodurre in palestra un gesto tanto veloce.

Ci sorge una domanda. Ma se è così, allora non ha senso fare le famose SFR?

Dipende. Le classiche SFR a 50 rpm al medio potrebbero ancora andare bene per alcuni soggetti, vedi gli scalatori puri. Bisogna sapere che si parla di allenamento della forza quando si attiva almeno il 30 per cento del proprio massimale. A quelle pedalate e a quell’intensità lo scalatore, forse, ancora ci riesce perché di base ha poca forza.

Chiaro…

Se il suo massimale è 650 watt, il 30 per cento della sua forza è poco più di 200 watt e a 50 rpm al medio forse ci sta. Ma se lo deve fare un velocista che ha più forza e magari il suo medio è 350 watt diventa piuttosto impegnativo, magari è alla soglia, e non sono più le classiche SFR. Il tutto dipende dalle qualità metaboliche del soggetto.

Adam Yates e la sua posizione particolarmente avanzata
Adam Yates e la sua posizione particolarmente avanzata
Tempo fa pubblicammo una foto di Adam Yates tutto spostato in avanti. Questi soggetti così avanzati non stressano di più il bicipite femorale? Non devono fare qualcosa in allenamento?

Ci sono tre concetti: il primo, ripeto, è lo stimolo della forza pura, quindi un lavoro a-specifico, poi c’è il concetto dell’allenamento dei muscoli e il terzo che il corpo umano è in equilibrio antero-posteriore e per me non è mai ideale sovraccaricare una catena muscolare rispetto all’altra. Anche perché c’è il noto concetto dei muscoli protagonisti e antagonisti. E per un muscolo che favorisco, ce n’è un altro che fa da freno. Con queste posizioni si spinge di più con la catena posteriore è vero, ma in realtà più del bicipite femorale è interessante il grande gluteo, che è un muscolo potentissimo. Un muscolo che tanti allenano ma che pochi sono in grado di attivare.

Cioè?

Come detto, il cervello riconosce il movimento e non il muscolo, quindi è importante allenare tutta la catena della coscia tramite la coordinazione intramuscolare… allora sì che è efficace e si sfruttano i muscoli.

Il trust, esercizio ottimo per il trofismo dei glutei, ma non ideale per il ciclista in quanto “isolato” dalla catena posteriore
Il trust, esercizio ottimo per il trofismo dei glutei, ma non ideale per il ciclista in quanto “isolato” dalla catena posteriore
Quindi come si allena il gluteo?

Non c’è un modo selettivo, bisogna capire questo: il corpo umano lavora in equilibrio con più distretti. Lo squat – nei suoi vari tipi – può essere un ottimo esercizio. Lo squat libero intendo e sapete perché? Perché può sembrare banale ma per farlo si coinvolgono 276 muscoli. E’ un movimento complesso e come si fa a dire: attivo solo il gluteo? Poi chiaramente ci sono esercizi che stimolano più o meno specifici muscoli. Lo stesso gluteo per esempio si può fare con il trust: spalle sulla panca e piedi a terra, pesi sull’inguine, si spezza la catena del tronco e si fa su e giù col bacino. Di certo si avrà un gluteo più trofico, ma non è detto che si riesca poi ad attivarlo in bici.

Insomma se abbiamo ben capito, lo sviluppo della forza anche per quei muscoli più stressati dalle nuove posizioni non si fa in modo specifico. Non si va a lavorare solo sul gluteo o sul bicipite femorale, ma sull’intera catena e sempre in un’ottica di equilibrio generale…

Esatto, bisogna saper attivare in maniera armonica i muscoli. Per questo a mio avviso è molto importante fare esercizi a carico libero, perché ci sono le componenti di equilibrio e di coordinazione. Perché poi dobbiamo esprimerci al meglio in una realtà complessa, che è la pedalata.

Fine stagione, il preparatore stila il report e inizia le sue analisi

20.10.2023
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Stagione alle spalle – resta giusto qualche gara in Estremo Oriente – ma di fatto molti corridori si sono appena fermati, mentre altri lo sono da un po’ più tempo. E poi ci sono gli allenatori, i quali però non vanno del tutto in vacanza, specie in questi giorni. Paolo Slongo per esempio, preparatore della Lidl-Trek, è negli Stati Uniti con grandissima parte del team, sia maschile che femminile, per delle riunioni, per scoprire i nuovi materiali (in apertura immagine Training Peaks)…

Ma se un coach non sta fermo, cosa fa dunque? Come gestisce questa sua fase dell’anno? Ne abbiamo parlato appunto con Slongo, che ci ha risposto da Chicago, dove ormai da tre anni la squadra si ritrova in autunno.

Paolo Slongo, coach della Lidl-Trek, ci ha spiegato il fine stagione del preparatore
Paolo Slongo, coach della Lidl-Trek, ci ha spiegato il fine stagione del preparatore
Paolo, oggi con tutte le piattaforme che ci sono, immaginiamo che il preparatore abbia accumulato una lunga serie di dati durante l’anno. Cosa ne fa?

Vero, abbiamo molti dati. Io per esempio, stilo un’analisi mensile degli atleti e delle atlete che seguo, e a fine anno faccio un report per ognuno di loro. E lo faccio secondo un programma che avevo messo a punto personalmente qualche anno fa.

Cosa c’è in questo report?

Quanti chilometri, quante ore ha passato in quella determinata zona, la critical power… e li confronto con gli anni precedenti. Per esempio, ormai sono parecchi anni che lavoro con Elisa Longo Borghini e di lei posso fare lunghi confronti. In base a questi inizio a pensare dove posso migliorare ancora, se ho sbagliato qualcosa… incrociando il dato numerico, ma anche ciò che mi ha detto l’atleta. Perché poi il confronto numerico resta importante, ma non vanno dimenticate le sensazioni del corridore. Per esempio nell’analisi generale c’è scritto anche se quell’atleta paga più o meno il fuso orario. In questo caso si cerca di non farlo allontanare troppo dall’Europa. O se soffre di sinusiti o raffreddori frequentemente, allora gli consigliamo di allenarsi maggiormente al caldo.

Voi per esempio siete in ritiro, e così altri team, è il cosiddetto ritiro senza bici: a cosa serve? E perché è importante farlo? E come ci “s’incastra” il lavoro del preparatore?

Il report e il ritiro sono importanti perché con la fine della stagione inevitabilmente si è già proiettati con la testa verso l’anno nuovo. E poi è un ciclismo veloce quello attuale, a gennaio si va a correre. Quindi s’imposta anche la preparazione, almeno i macrocicli, di carico e scarico, in base ai grandi obiettivi, tanto più che nel 2024 ci saranno anche le Olimpiadi. C’è un planning da individuare.

Incrociare i dati oggi è più facile da una parte, ma più difficile dall’altra, vista la mole d’informazioni che si accumula con i nuovi software
Incrociare i dati oggi è più facile da una parte, ma più difficile dall’altra vista la mole d’informazioni che si accumula con i nuovi software
Da cosa vedi i miglioramenti dei tuoi atleti?

Innanzitutto dai risultati e dalle prestazioni in gara: ciò che più conta. Poi dai dati legati principalmente alla soglia, alla forza… Ma c’è anche la valutazione tattica: come si è affrontata la corsa, se si è più o meno tranquilli, se si sono commessi errori.

Prima, Paolo, hai detto che stili un report, nel tuo caso va a finire “sulla scrivania” di Guercilena, il team manager, o comunque alla dirigenza?

No, il report è più una cosa mia personale, figlia di un mio metodo di lavoro affinato negli anni. Non è la squadra che me lo richiede. Poi chiaramente se individuo qualche aspetto o qualche dato particolare, lo condivido sia con l’atleta che con il capo della performance, Josu Larrazabal, e da lì con gli altri coach.

L’altro giorno parlando tra le righe con Michele Bartoli, anche lui preparatore, ci aveva detto che stava preparando le “schede dei consigli” per atleti per affrontare questo periodo di stacco. Anche per te è così?

Noi, anche se non abbiamo ancora tutto il calendario, sappiamo già chi correrà a gennaio. Ed è importante saperlo ora. Di solito questi atleti sono quelli che hanno smesso prima e pertanto faranno un percorso diverso. Magari lo stacco lo hanno già fatto e tutto s’imposta diversamente. Questo per dire che i consigli si danno, ma individualmente. Riprendo l’esempio della Longo, con tutto quello che le è successo quest’anno, abbiamo deciso di farle osservare uno stop un po’ più lungo per consentirle di recuperare meglio.

E cosa riguardano questi consigli? 

Sono consigli generali che riguardano soprattutto l’alimentazione e la gestione dell’attività. Lo stacco è importante soprattutto di testa. Quindi okay le attività alternative, ma senza stress. Non solo, ma gli consigliamo di fare eventuali interventi in questi giorni. Per esempio, se qualcuno deve fare qualche intervento ai denti, al naso… cose da non fare in corso d’opera per non perdere tempo prezioso. C’è ancora un’altra cosa sulla quale batto molto: la posizione in bici più dettagliata.

Nella progettazione delle lunghe trasferte vengono prese in considerazione anche le reazioni al fuso orario, qui la Lidl-Trek in Giappone
Nella progettazione delle lunghe trasferte vengono prese in considerazione anche le reazioni al fuso orario
Cioè?

Con i nuovi o se ho un atleta che aveva un problema più evidente, insisto perché si attivino nel fare i vari test biomeccanici, tanto più che il peso è ancora buono e la muscolatura è ben definita. Questo vale anche per il vestiario. Le misure per un body da crono meglio prenderle adesso che non fra due mesi quando magari il corridore ha due o tre chili in più.

Come condividi il tuo report?

Invio un’email all’atleta, ma preferisco accompagnarla da un colloquio, meglio ancora se di persona. Per esempio, prima di venire qui negli States mi sono appuntato alcune cose per parlare con alcuni atleti e gli do queste indicazioni.

Restiamo sul report: su quale aspetto si sofferma il preparatore? C’è un dato in particolare che analizza?

Un dato solo non c’è, ma se guardo un dato metto in relazione le critical power tra un anno e l’altro, tra mese e mese… E tra i periodi che m’interessano. A quel punto vedo se siamo arrivati all’appuntamento “X” con la forma giusta. Perché se i massimi valori sono stati espressi durante l’obiettivo, va bene. Ma se un mese prima i valori erano più alti che in gara, allora vuol dire che si poteva fare meglio. A quel punto, come dicevo prima, inizio a pensare: “Qui mancava questo”. “Qui potrei fare così”… e di conseguenza immagino come fare, che poi a me piace cambiare. Okay, alcuni concetti base sono intoccabili, ma poi mi piace dare nuovi stimoli: è importante sia per l’atleta che per me come preparatore.

Lombardia: avvicinamento e preparazione ideale con Bartoli

06.10.2023
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Era il 18 ottobre 2003 e Michele Bartoli conquistava il suo secondo Giro di Lombardia. Quell’anno si andava da Como a Bergamo, esattamente come sabato prossimo. I chilometri allora erano 249, stavolta saranno 238, ma i connotati di quel tracciato erano davvero simili a quello che sta per arrivare. Specie nella parte iniziale e in quella finale con lo strappo di Bergamo Alta.

Oggi Bartoli è un preparatore affermato e ci aiuta ad entrare nei segreti del tracciato del prossimo Giro di Lombardia anche da un punto di vista della prestazione.

Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)
Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)

Finali a confronto

Da Como Bergamo, dicevamo: 239 chilometri, 4.400 metri di dislivello. Si va da un ramo del Lago di Como all’altro. Si sale sul Ghisallo in avvio, ci si tiene sul filo dell’Alta Brianza e ci si sposta verso est superando nell’ordine le alture di: Roncola, Berbenno, Passo della Crocetta Dossena, Zambla Alta, Passo di Ganda (zona Selvino) e infine Bergamo Alta, prima di planare sulla città in pianura.

Il finale di Como dello scorso anno era più impegnativo, con due salite a ridosso dell’arrivo. Per contro, ed è la teoria di Giulio Ciccone (che purtroppo non vedremo al via), arrivando a Bergamo ci sono da affrontare salite più lunghe e regolari.

«Il percorso del Lombardia – dice Bartoli viene sempre selettivo. Io credo che vinceranno gli stessi che potevano vincere anche a Como. E lo dico non solo per le caratteristiche del percorso, ma perché gli atleti che possono vincere sono tutti veloci. Pogacar, Roglic… sono loro i favoriti numero uno».

«Salite più lunghe dice Ciccone: questa analisi ci sta benissimo, è vera, ma le cose non cambiano. Il Lombardia resta quello. Ci sono il Ghisallo, il Selvino, la Roncola. Forse quando vinsi io il Berbenno era più vicino al traguardo e il fatto che non ci sia potrebbe togliere una difficoltà. Ma come ripeto, cambia poco. L’ultima vera differenza si farà su Bergamo Alta e dopo 240 chilometri farà male».

La tattica

Il percorso del prossimo Lombardia, con salite più lunghe e regolari, inciderà non solo sulle prestazioni degli atleti, ma anche sull’andamento tattico della corsa. Una corsa che in teoria potrebbe essere più facile da controllare.

«Su un tracciato così – prosegue Bartoli – le squadre riescono ad organizzarsi meglio. E’ un po’ più facile per loro controllare la corsa rispetto a quando c’è il Sormano o più salite nel finale. Poi bisogna considerare che siamo a fine stagione: le forze sono contate e non è detto che qualcuno non possa fare una sorpresa o che un attacco non possa andare più avanti e risultare più incisivo del previsto. Succede poche volte, ma succede».

Energie al lumicino, dunque, tuttavia viene da chiedersi se nel ciclismo attuale in cui ogni aspetto è calibrato si arrivi ancora con le energie contate. Anche in questo caso Bartoli fa delle precisioni importanti.

«Che in generale ci si arrivi meglio è vero – spiega il toscano – ma questo discorso vale ancora. Chi più e chi meno, tutti hanno a che fare con le ultime risorse. Il fisico è stanco e per me riesce a fare la differenza chi gestisce meglio questo avvicinamento. Chi riuscirà a conservare qualcosa in più. E se in questa fase vincono sempre gli stessi è anche perché sono più bravi anche a gestire le energie.

«In questa fase della stagione non esiste più una prestazione, ma la reazione ad un’azione. E non a caso le tabelle di allenamento variano. E’ importante comunicare bene con se stessi. Oggi bastano 3 ore fatte male che ti mancano energie».

Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como
Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como

Preparazione al dettaglio

La corsa durerà circa sei ore. E’ prevedibile una selezione importante sul Passo di Ganda e quindi uno scatto, una fiammata decisiva verso Bergamo Alta. Fiammata che potrebbe decidere il vincitore o chi si giocherà l’ultimo Monumento dell’anno allo sprint.

Se dunque le energie sono contate, se Bergamo Alta sarà decisiva ed è uno strappo breve che non va oltre i 3 minuti di sforzo, come si deve fare per essere al top in quel preciso momento? Si fa un avvicinamento mirato? Preparare il finale di Como con Civiglio e San Fermo in successione prevede delle differenze?

«E’ chiaro che si devono fare degli aggiustamenti – spiega Bartoli – ma partiamo dal presupposto che le squadre devono far correre chi ha ancora energie. E questo già incide. Si personalizza qualcosa, ma non c’è una differenza sostanziale nella preparazione come per un Fiandre o una Liegi, in cui hai la necessità di allenarti su percorsi molto simili e riprodurre sforzi e stimoli analoghi. Non fai una volata in più perché l’arrivo di Bergamo è, sulla carta, più facile di quello di Como. Quando dico di aggiustamenti intendo, come ho detto prima, della gestione dell’avvicinamento.

«Per esempio, per chi ha corso all’Emilia in questa settimana è importante il recupero, ma anche fare dei richiami di Vo2 Max. Non si può stare troppi giorni senza allenamento specie a fine stagione quando il fisico stanco tende a rallentare e a perdere con più facilità certi stimoli. Quindi si farà un po’ meno quantità, ma più qualità».

SD Worx imbattibile? Cecchini ci spiega come lavorano

02.10.2023
5 min
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Elena Cecchini ci ha portato di nuovo nel mondo della SD Worx, lo squadrone WorldTour del ciclismo femminile. Se quest’anno il faro tra gli uomini è stata la Jumbo-Visma, la stessa cosa ha fatto il team olandese fra le ragazze: 63 vittorie tra cui il Tour de France Femmes, tante classiche e da ieri hanno primeggiato persino nel gravel! Prima Wiebes, terza Cecchini nel campionato europeo in Belgio.

«Di questo europeo gravel, me lo aveva chiesto a luglio Daniele Pontoni – ha detto Cecchini – che conosco da quando sono una bambina. Alla fine è stata un’esperienza interessante e un modo anche per non concludere troppo presto la stagione, visto che la squadra aveva chiuso col Romandia (metà settembre, ndr). Io ero un po’ scettica, ma poi anche Barbara Guarischi ci andava e allora ho colto questa occasione. In allenamento, nei giorni prima dell’europeo mi sono divertita. Le sensazioni erano buone, ma non mi aspettavo di andare così».

I risultati, tanti ed importanti, che hanno portato a casa le ragazze della SD Worx sono frutto di grandi atlete chiaramente, di tanto lavoro ma anche di tanta meticolosità come tra l’altro ci diceva qualche giorno fa Barbara Guarischi, che giusto quest’anno si è unita alla compagine olandese. Lei ha così potuto notare questo cambiamento. Con Elena già avevamo fatto un viaggio nel mondo SD Worx, ma era più un viaggio a tutto tondo, stavolta parliamo di preparazione.

Elena Cecchini (classe 1992) in azione ieri all’europeo gravel di Oud-Heverlee in Belgio
Elena Cecchini (classe 1992) in azione ieri all’europeo gravel di Oud-Heverlee in Belgio
Elena, partiamo proprio dalle parole di Guarischi, circa la meticolosità che c’è in SD Worx. Barbara ha parlato anche di carichi di lavoro importanti. E’ così?

Non penso che ci siano carichi maggiori, ma sicuramente da noi c’è un’intensità media più alta che in altre squadre. Siamo 14 atlete il cui valore è alto e magari negli allenamenti si fa di più. E non mi riferisco tanto agli specifici, che sono liberi anche perché ognuna di noi ha il proprio coach, quanto alle andature medie.

Il passo è sempre buono insomma…

Esatto. Penso non tanto al ritiro di dicembre quanto a quelli di gennaio e febbraio che sono volutamente impegnativi. Il fisico si adatta a tutto, ma serve consapevolezza sui carichi da fare. Io non posso fare gli stessi lavori di chi ha più talento di me. Bisogna conoscersi e trovare il proprio limite. E questo per me è un aspetto chiave di questa squadra: ci lasciano libertà, appunto con il preparatore, e per me è qualcosa che funziona.

Quindi preparatore personalizzato, però poi andate tutte forte allo stesso momento quando serve. I coach personali si coordinano con quelli della squadra?

Se c’è bisogno sì. Poi oggi con TrainingPeaks accedono ai tuoi dati sia i tecnici della SD Worx che quelli personali. Funziona così: prima della stagione io atleta dichiaro gli obiettivi che vorrei centrare, il team li valuta, si tira giù un calendario e poi la palla passa al preparatore per far sì di essere al meglio per quegli obiettivi. Che poi solitamente sono due picchi intervallati da una parte di scarico nell’arco della stagione. Questo ti aiuta moltissimo nel responsabilizzarti.

Come hai detto tu prima: serve consapevolezza.

Questo è buon modo di lavorare. Per me non esiste una preparazione migliore o peggiore, giusta o sbagliata, semplicemente devi credere in ciò che fai e perché lo fai. Credo sia questo un passaggio importante del nostro metodo di lavoro.

Elena, proviamo ad entrare un po’ più nel dettaglio. Facciamo una “settimana tipo” di un’atleta SD Worx a febbraio, quando i carichi di lavoro sono importanti.

La nostra settimana è fatta di due blocchi di lavoro di tre giorni intervallati da uno di scarico o riposo. Però, se si è stanche, il secondo blocco potrebbe diventare due giorni di carico e uno di scarico.

La SD Worx in allenamento a gennaio durante il ritiro. Vista la qualità delle atlete i ritmi sono sempre sostenuti
La SD Worx in allenamento a gennaio durante il ritiro. Vista la qualità delle atlete i ritmi sono sempre sostenuti
Lunedì?

Tre ore. Si tratta di un allenamento intenso con delle volate.

Martedì?

Quattro ore con lavori in soglia o sopra la soglia. Anche in salita può capitare.

Mercoledì?

Cinque ore, è il classico allenamento di endurance che comprende anche due o tre salite lunghe, quindi dai 20′ in su.

Giovedì?

Scarico o riposo. E’ una nostra scelta. Io solitamente faccio riposo assoluto, ma può capitare anche che faccia un’oretta facile, facile. Dipende dal livello di stanchezza.

Venerdì?

Di nuovo tre ore. E’ un giorno duro in quanto intenso. Facciamo degli sforzi corti che non sono proprio delle volate, ma ripetute un po’ più lunghe. Non so, 8×30” a tutta… magari senza un recupero fisso, ma nell’arco delle tre ore.

Sabato?

Quattro ore con ripetute in salita al medio o anche di più, dipende dal livello di stanchezza anche in questo caso.

Infine domenica?

Cinque ore: quindi di nuovo la distanza. Ma se si è stanche si anticipa il giorno di riposo.

Secondo Elena non si tratta solo di preparazione, certi risultati arrivano grazie al buon clima che c’è in squadra
Secondo Elena non si tratta solo di preparazione, certi risultati arrivano grazie al buon clima che c’è in squadra
Guarischi parlava di questa meticolosità, ma tu che di squadre importanti ne hai viste è davvero così? E’ questo il segreto della SD Worx?

Io credo che andiamo forte non perché siamo meticolosi come la Jumbo-Visma, per dire, ma perché nel complesso lavoriamo duro e siamo consapevoli. Io credo che conti moltissimo la sintonia del gruppo. Tra di noi siamo molto chiare. C’è una bell’atmosfera, ci sacrifichiamo l’una per l’altra e ci divertiamo anche. Mi rendo conto che la mia non è una riposta molto scientifica! Ma se la mettiamo su questo piano posso assicurarvi che ci sono squadre molto più meticolose della nostra

A questo punto non ti possiamo non chiedere quali sono queste squadre…

La Canyon Sram per esempio (squadra in cui Elena è stata per cinque stagioni prima di passare alla SD Worx, ndr). Lì sono molto più meticolosi nella cura della crono per esempio, nella programmazione che è più a breve scadenza e cadenzata. C’è una tipica mentalità tedesca. Anche loro vincono, ma anche perché hanno atlete fortissime.

Verso il gran finale: come ha lavorato e come sta Ciccone?

29.09.2023
5 min
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Giulio Ciccone è pronto ad affrontare il suo ultimo blocco di gare del 2023. L’abruzzese sarà di scena domani al Giro dell’Emilia, quindi Tre Valli Varesine e Giro di Lombardia. In realtà poi il suo programma prevede anche l’appendice asiatica della Japan Cup. 

Il corridore della Lidl-Trek è rientrato in gara dopo le fatiche del Tour de  France e lo ha fatto al Giro di Lussemburgo, anche se prima c’era stata la parentesi del Trofeo Matteotti. Come ha lavorato dunque Ciccone nel suo post Tour? Cosa ci possiamo attendere? Ce lo ha detto Giulio stesso… E lo ha fatto con un tono brillante che ci ha lasciato davvero una piacevole impressione.

Giulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie Annabruna
Giulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie Annabruna
Giulio, ultime fatiche. Una stagione tutto sommato buona a parte la parentesi del Covid che non ti ha permesso di fare il Giro…

E’ quasi fatta dai! E’ stata una buona stagione, altroché. Io dico sempre che se non avessi preso il Covid non avrei vinto la tappa al Delfinato, non sarei andato al Tour e non avrei portato a casa la maglia a pois. Magari se fossi andato al Giro d’Italia chissà cosa avrei fatto. Questi intanto sono stati risultati concreti.

Partiamo proprio dalla fine del Tour: come è andata?

La settimana successiva alla Grande Boucle sono stato ancora in giro per mezza Europa per i circuiti, avendo vinto la maglia c’erano questi impegni. Quindi mi sono riposato una settimana, una settimana scarsa. Ne avevo bisogno. Avendo cambiato i piani nel corso della stagione sono arrivato a fine Tour che ero davvero stanco.

E come hai lavorato?

Ho fatto una parte di giorni, 5-6, di riposo assoluto, poi qualche piccola uscita e dal 10 agosto ero di nuovo nel pieno degli allenamenti. Non sono andato in altura. Subito dopo il Tour, Bennati mi ha chiamato e mi ha detto del Matteotti. Io ho accettato immediatamente. Sapevo che qualche gara mi serviva e l’ho vista come un’ottima occasione. E infatti è stata ottima per tornare a fare un po’ di ritmo. E poi era anche un po’ la corsa di casa.

Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)
Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)
Il Matteotti si è tenuto il 17 settembre, a seguire c’è stato il Lussemburgo: che sensazioni hai avuto? Hai riconosciuto la gamba “fotonica” del Tour?

Riprendo il discorso del cambio dei piani nel corso dell’anno. Dopo il Tour mi serviva quel periodo di stacco e il Lussemburgo lo abbiamo preso proprio per fare ritmo. L’ho disputato in un’ottica di carico di lavoro. E tutto sommato le sensazioni sono state buone nonostante il livello alto. I valori non erano malvagi, ma come detto, mancava il ritmo corsa. E quella gara era perfetta: cinque tappe, l’ultima delle quali a sei giorni dall’Emilia, percorsi vallonati con salite brevi… L’unico piccolo rammarico è che nei giorni più difficili faceva freddo, c’erano sette gradi e pioveva, e in questi casi è difficile testarsi o avere indicazioni precise.

Sei giorni tra Lussemburgo ed Emilia: come li hai gestiti?

Nei primi due ho continuato a recuperare, ma andando in bici: senza avrei avuto l’effetto opposto e il Lussemburgo anziché farmi bene mi avrebbe fatto male. Poi ho fatto un giorno di lavoro intenso e quindi in questi ultimi due giorni prima dell’Emilia ancora recupero, scarico. In bici ovviamente. Alla fine non ho fatto molto (esattamente il discorso che faceva Notari qualche giorno fa, ndr).

Giro dell’Emilia: cosa ci possiamo aspettare da Giulio Ciccone?

L’Emilia è una di quelle gare che mi piace tanto, ma proprio tanto… devo però ancora capire se è adatta a me! Certo, con i corridori che ci sono quest’anno è dura, soprattutto per essere a fine stagione. Però io ho lavorato bene e anche di testa sono propenso, sono motivato. E in questa fase della stagione magari si riesce a cogliere qualcosa di più proprio perché si ha voglia. Mettiamola così: le aspettative sono buone, il risultato vedremo.

Al Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiave
Al Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiave
Fai lo stesso discorso per il Lombardia?

E’ un po’ diverso perché il Lombardia è l’obiettivo grande, grande. Arriva alla fine e lo si prepara come fosse un mondiale… ma è così per tutti. Io mi aspetto di stare bene.

Preferivi il finale più duro di Como o quello più classico di Bergamo che andrà in scena il prossimo 7 ottobre?

A me piace di più questo di Bergamo. Primo, perché sono strade che conosco molto bene (Ciccone è stato alla Colpack, team bergamasco, ndr). Secondo, perché l’arrivo a Bergamo presuppone un tracciato diverso, con salite più lunghe e regolari prima. Vero, il finale di Como è più duro, ma anche più esplosivo se vogliamo, mentre qui c’è lo strappo della Boccola (Bergamo Alta, ndr), ma come ho detto ci si arriva facendo scalate più lunghe. E’ una corsa diversa.

Allora vedremo Ciccone fare a “sportellate” con Pogacar!

Il Lombardia è il mio grande obiettivo. In questa corsa ho colto un quinto posto nel 2020. La condizione c’è, manca ancora qualcosa e spero di trovarla con Emilia e Tre Valli Varesine. Se tutto va come deve andare sarò competitivo come voglio io.

Stagione agli sgoccioli, come cambiano i carichi di lavoro?

28.09.2023
4 min
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Siamo a fine stagione e nel vasto campo della preparazione qualcosa inizia a cambiare. E cambia per due motivi principali. Il primo, più fisiologico, è che a fine anno ormai le condizioni tendono a livellarsi. Altrimenti se così non fosse la crescita dei valori sarebbe infinita. Il secondo motivo, è che i fisici mediamente sono più stanchi, pertanto “meno propensi alla fatica”, per dirla in modo molto spicciolo.

Di questo aspetto della preparazione autunnale ne parliamo con Giacomo Notari, coach dell’Astana Qazaqstan (in apertura foto Instagram), attualmente impegnato in Asia, per il Tour de Langkawi penultima corsa a tappe della stagione.

Giacomo Notari (classe 1988) è coach dell”Astana e ha anche un suo centro di preparazione, l’NG Training
Giacomo Notari (classe 1988) è coach dell”Astana e ha anche un suo centro di preparazione, l’NG Training
Giacomo, dunque, come cambiano i carichi di lavoro a fine stagione?

E’ una risposta ampia e difficile. Diciamo che il carico dipende soprattutto dal calendario gare dell’atleta. Dopo la Vuelta, ci sono quasi solo corse di un giorno, spesso molto fitte come quelle in Italia e in questa fase, ripeto, con l’ultimo grande Giro alle spalle, la stanchezza fisica e mentale si fa sentire. Pertanto i carichi calano un po’.

Quanto? Chiaro che ci riferiamo ad una stima e non a numeri precisi…

Io credo che diminuiscano di un 20 per cento, anche 25. Proprio perché ci sono corse di un giorno si va a ricercare la brillantezza e si è brillanti se si è freschi. E per essere freschi serve il recupero. In questa fase perciò si tende molto a sfruttare la gara e a scaricare nei giorni tra un impegno e l’altro.

Si dice, proprio in virtù della stanchezza, che i lavori più intensi vengano assimilati meno: è così? Per esempio l’altura ormai non si fa più…

Per me no, semmai questa componente dell’assimilazione è molto legata all’aspetto mentale, cioè quanto un corridore è stanco e propenso a lavorare. Perché se la testa c’è, è motivato, e chiaramente di base sta bene, il lavoro viene assimilato normalmente.

Anche in questo periodo della stagione la fase intensa dei lavori è molto importante
Anche in questo periodo della stagione la fase intensa dei lavori è molto importante
E quali sono i lavori più intensi che si fanno?

Si tende a fare qualche sessione dei classici 30”-30”, 40”-20” o 15′ in sessioni di 5′ di Vo2Max con recuperi completi. O ancora una salita lunga partendo dal medio e facendo il finale fuori soglia..

E per il resto?

Dipende anche quanto tempo si ha a disposizione tra una gara e l’altra, se si deve arrivare al Giro di Lombardia o si stacca prima. Nel caso si faccia “la classica delle foglie morte” ci sta che si facciano un paio di allenamenti lunghi, curando ancora un po’ la parte aerobica, e poi si passa a qualche lavoro di brillantezza. Ma per il resto in questa fase sono soprattutto le sgambate a tenere banco. Considerando che ci sono parecchie corse come accennato.

Dopo lo stacco estivo Lutsenko (qui primo al Memorial Pantani) ha inanellato una serie di corse di un giorno e sarà così fino a fine stagione
Dopo lo stacco estivo Lutsenko (qui primo al Memorial Pantani) ha inanellato una serie di corse di un giorno e sarà così fino a fine stagione


E invece il metodo del preparatore cambia o è sempre lo stesso? Per esempio, come inviate i programmi durante questo periodo?

Questo dipende da team a team. Noi per esempio inviamo i programmi in Pdf, come nel resto della stagione. TrainingPeaks lo utilizziamo per analizzare i file di gare e allenamenti. Quel che cambia è che rispetto ad inizio stagione il programma va rivisto più spesso, si tende a parlare molto più anche con il corridore per sentire come sta. Il programma lo devi adattare, rimodulare. E infatti nel pieno della stagione di solito inviamo programmi di due settimane, in questa fase di una sola settimana.

Rispetto al passato, in linea di massima, in questa fase si affronta l’autunno in un altro modo?

Di base direi di no, ma come è ormai noto essendo cambiato il modo di correre, oggi in allenamento, anche in questo periodo, si tende a fare più intensità. E questo perché non puoi più permetterti di andare alle corse per allenarti. Il livello è alto anche nelle gare più piccole e quindi ci devi arrivare ben preparato.

Il monte ore annuo del cronoman: numeri da capogiro

15.08.2023
5 min
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All’inizio dell’anno viene decisa gran parte della stagione, sia quella agonistica (il calendario) sia quella relativa alla preparazione. Sempre più spesso si sentono parlare coach ed atleti di ore di allenamento, non solo nel ciclismo, e non di chilometri. Questo approccio dà un quadro d’insieme di quanto siano grandi i volumi di attività nel corso dell’anno.

In questa suddivisione colpisce moltissimo la differenza di ore di sella fra chi è anche un cronoman e chi no. Possono esserci differenze pari a dieci volte, tra chi vi pedala per 10-12 ore e chi per 100-120 ore. Quando si entra in tema di cronometro e di preparazione va quasi da sé che l’interlocutore sia Marco Pinotti, coach della Jayco-AlUla.

Una bici da crono (da allenamento) per Foss. L’ex iridato ci fa anche le distanze in quota
Una bici da crono (da allenamento) per Foss. L’ex iridato ci fa anche le distanze in quota
Marco, davvero si parla di quelle quantità di ore e di quelle differenze?

Magari 120 ore sono effettivamente molte, anche se non è un numero impossibile, tuttavia può starci specie se ci si include le gare.

Il monte ore si stabilisce ad inizio stagione?

Non del tutto. Non si pongono delle percentuali di ore a crono e di ore su strada. Diciamo che ad un cronoman si cerca di fornire prima di altri la bici “da tempo” e la prende almeno per un’uscita a settimana. Sempre. Che diventano due prima di un grande Giro o di una gara in cui c’è una crono e tre prima di un evento come un mondiale, un’Olimpiade, un campionato nazionale… Tutte cose che lo stradista in linea non fa e che chiaramente contribuisce a spostare il monte ore di allenamento verso la crono.

E a fine stagione, in percentuale, quanto tempo del suo monte ore uno specialista passa sulla bici da crono?

Si va dal 10 al 50 per cento, per i super specialisti. Io credo che una quantità di ore più concreta sia tra le 80 e le 100 ore l’anno per un cronoman sulla bici da crono. Mentre gli altri si attestano al di sopra delle 20 ore.

Quanto può dare in più lo stare in sella alla bici da crono? Ammesso che si possa stabilire…

E’ difficile, dipende molto da come si passano quelle ore sulla bici da crono e anche dalla posizione che ha quello specialista, cioè se è più o meno estrema. Diciamo che può esserci una differenza di miglioramento del 5 per cento. Ma è un dato molto grossolano.

Chi era un atleta che passava davvero tante ore sulla bici da crono?

Mi viene in mente Kung, ma forse più di tutti Rohan Dennis. Lui ci fa anche i lavori specifici e forse anche per questo è uno dei pochissimi atleti in grado di esprimere gli stessi watt, se non di più, sulla bici da crono che non su quella da strada. Perché va ricordato che la vera differenza il cronoman la fa con l’efficienza biomeccanica. E’ una questione muscolare.

Sin qui abbiamo parlato dei cronoman. Ma quanto è importante che su quella bici ci passi del tempo anche lo scalatore?

E’ importante, ma questo non deve togliere nulla alla sua attività principale che è andare forte in salita. Poi è chiaro che è importante, specie nel ciclismo super livellato (in alto) di oggi, ma gli obiettivi per cronoman e scalatore sono diversi.

Grazie all’aumento del monte ore sulla bici da crono, Kristen Faulkner è migliorata molto anche nella guida di questo mezzo
Grazie all’aumento del monte ore sulla bici da crono, Kristen Faulkner è migliorata molto anche nella guida di questo mezzo
Cioè?

Il cronoman si allena a crono per andare forte in quella disciplina. Lo scalatore soprattutto perché il giorno dopo la tappa contro il tempo non deve accusare troppo a livello muscolare il cambio di bici. Si chiama transizione. Simon Yates (nella foto di apertura, ndr) per esempio, ci ha lavorato parecchio e non a caso al Tour il giorno dopo la crono ha fatto secondo. Ovviamente quando dico che è importante per lo scalatore, mi riferisco a quello che deve fare classifica.

Marco, prima hai detto che a grandi linee usare molto la bici da crono può dare un 5 per cento in più rispetto a chi la usa di meno in termini di prestazione, di efficienza biomeccanica, e in termini di guida?

Chiaramente serve, ma con i fenomeni e i materiali che ci sono adesso conta un po’ meno che in passato. Oggi ci sono dei super specialisti e qualche fenomeno tra gli uomini di classifica: basta. Tanti corridori per svariati motivi (traffico, tempistiche, certezza di rispettare determinati wattaggi…) utilizzano la bici da crono sui rulli. In questo modo magari migliorano sul piano muscolare e della posizione, ma non su quello della guida. Tuttavia questo tipo di miglioramento è strettamente legato alle capacità di guida del singolo atleta. Matteo Sobrero per esempio è molto bravo e, parlando di guida, non avrebbe così necessità di passarci tante ore. Kristen Faulkner, al contrario, ne aveva tanto bisogno. Da quest’anno ha aumentato il suo monte ore con la bici da crono ed è migliorata parecchio.