Sivakov e l’overthinking. Un problema diffusissimo

Sivakov e l’overthinking. Un problema diffusissimo

25.11.2025
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In un’intervista su Cyclingnews a fine stagione, Pavel Sivakov ha confessato come la sua esperienza sia cambiata con il passaggio alla UAE e la coesistenza con Pogacar: «La mia crescita si è frenata per cause mentali più che fisiche. Mi sono messo troppa pressione, cercando di fare troppo per quello che potevo. Nel confronto con Tadej mi accorgo che ha la capacità di rimanere calmo e non stressarsi. Io mi stressavo anche per piccoli dettagli e questo mi rallentava. Anche Paul Seixas è così, non va in overthinking, prende la pressione come parte del gioco. Tutto dipende dal fatto se correre ti piace davvero».

L'overthinking è l'affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)
L’overthinking è l’affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)
L'overthinking è l'affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)
L’overthinking è l’affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)

Pensare in modo eccessivo e ripetitivo

Il tema dell’overthinking, che coinvolge anche altre discipline sportive, anche quelle che hanno uno sviluppo temporale molto più breve di una corsa ciclistica, è sempre più centrale nel mondo professionistico. Partiamo da che cos’è attraverso l’esperienza della dottoressa Paola Pagani, mental coach che lavora con tanti ciclisti anche di alto livello.

«Partiamo da che cos’è l’overthinking. Dobbiamo considerarla come la tendenza a pensare in modo eccessivo, ripetitivo, a situazioni, problemi, decisioni e spesso porta a focalizzarsi soprattutto su quello che può andare storto, su possibili errori, sulle conseguenze negative. Per un ciclista professionista potrebbe manifestarsi come un continuo ripensare alle strategie di gara, con gli errori connessi a quei timori che possono essere legati alla prestazione».

Che influsso ha?

Questo tipo di pensiero finisce col consumare le energie cognitive, quindi crea stress, ansia e va a sabotare la lucidità mentale. Alla fine si ci si ritrova con poche energie e con la mente offuscata.

Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Quanto influisce il carattere di una persona, quanto anche il passato, le vicende trascorse, specialmente quelle legate al mestiere del ciclista?

Sicuramente le vicende passate influiscono, perché noi attraverso le esperienze che facciamo, ci creiamo le nostre convinzioni. E quando ce l’hai, vediamo le cose della nostra vita attraverso quei filtri. Quindi sicuramente le esperienze del passato hanno una grande importanza. Teniamo presente che il cervello umano non è progettato per farci vincere, ma per farci sopravvivere, non per la prestazione massima. Ma che cosa significa sopravvivere? Significa anticipare rischi, minacce, quindi tende a monitorare costantemente l’ambiente intorno alla ricerca di pericoli e di problemi.

Come influisce tutto ciò sulla prestazione?

Se il cervello non è allenato, nei momenti di pressione come una gara il sistema nervoso attiva i circuiti di allerta e quindi viene innescato quel ciclo di stress che va a incrementare tutto il sistema di vigilanza e riduce la capacità di focalizzarsi su quali sono i compiti chiave legati alla performance di quel momento. Se permettiamo al cervello di agire in questo modo, è come se giocasse contro di noi, ma lo fa per salvaguardarci. Ma noi possiamo allenare il nostro cervello perché giochi dalla nostra parte.

Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Ha un influsso sul rendimento di un corridore?

Assolutamente sì. Se io in una situazione vedo soltanto rischi e pericoli, sicuramente il mio rendimento cala, c’è perdita di reattività, calo della fiducia e cioè se noi andiamo a vedere i campioni e gli altri, vediamo che il livello di autostima nei primi è decisamente superiore. Questo perché i primi hanno saputo anche allenare consciamente o inconsciamente la propria mente perché sia un’alleata.

Sivakov diceva che sta cercando di imparare come ovviare all’overthinking proprio stando al fianco di Pogacar. E’ possibile?

Io posso dire come alleno i miei ragazzi. Innanzitutto bisogna lavorare per migliorare l’autostima e la fiducia. Si va a lavorare con tecniche di reframing, di dialogo interno positivo. Si va a considerare una routine che sia di maggior successo. La persona distingue tra quelli che sono pensieri utili e pensieri che lo stanno sabotando, quindi alleniamo l’abilità di scegliere in maniera consapevole su cosa focalizzarsi anche quando si è sotto pressione. Utilizzo strumenti che derivano dalla mindfullness, quindi tutto quello che è respirazione consapevole. Spezzo il pensiero ciclico e mi focalizzo sull’azione oppure su un altro strumento provando a simulare mentalmente diverse situazioni di gara per allenare la risposta emotiva e comportamentale.

Sivakov ha raccontato di ispirarsi a Pogacar per gestire lo stress negativo
Sivakov ha raccontato di ispirarsi a Pogacar per gestire lo stress negativo
Che cosa significa?

Significa simulare mentalmente come se effettivamente io stessi facendo quell’esperienza. Quello che vedrei se fossi lì, quindi vedo le mie mani sul manubrio, la bicicletta, le ruote, l’asfalto. Ascolto i rumori, il mio respiro, le voci, quindi tutto quello che succede in una situazione del genere e sento la sensazione che voglio sentire in quel momento. Mi alleno a sentire quella sensazione così è più facile che poi in gara io riporti quello stesso schema. E per di più altri strumenti che si possono utilizzare anche in gara sono delle parole chiave.

Quali?

Uno scalatore può ripetersi “veloce, veloce, leggero, leggero”. Un velocista “veloce e potente”, insomma delle parole chiave che portano la mente a focalizzarsi su quei concetti, quelle qualità andando a interrompere il circolo vizioso di pensieri negativi.

In base proprio alla sua esperienza, il problema dell’overthinking è diffuso?

Diffusissimo, nel senso che è una cosa talmente automatica che è molto più diffusa di quanto si pensi, anzi Sivakov è già avanti perché si è reso conto di esserne vittima, ha consapevolezza e quando si diventa consapevole di qualcosa, allora è lì che si può fare qualcosa per cambiarlo.

Gaia Masetti è nata il 26 ottobre 2001. Dopo 4 stagioni alla AG Insurance Soudal, nel 2026 correrà nella Picnic PostNL

Masetti sorride: annata buia superata e Picnic per rilanciarsi

18.11.2025
6 min
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La sua vittoria più bella quest’anno l’ha conquistata giù dalla bici in una gara che ogni anno riguarda sempre più corridori. Gaia Masetti ha iniziato il 2025 con alcune aspettative e lo ha finito con altre convinzioni e soprattutto col nuovo contratto firmato con la Picnic PostNL.

Nella seconda parte di stagione abbiamo incontrato tante volte la 24enne modenese come ospite delle gare giovanili del suo comitato provinciale e il suo sguardo era lo stesso che avevamo incrociato alla team presentation del Giro d’Italia Women, l’ultima gara disputata. L’immancabile sorriso aveva assunto sfumature tristi per una serie di motivi sfortunati che avevano minato pure la volontà di continuare a correre. La mononucleosi è infida da sconfiggere e quando passi da un oro europeo con la nazionale al non avere più una squadra, tutto diventa più scuro.

Il suo percorso è stato tortuoso, Masetti si è scoperta scalatrice nelle difficoltà e alla fine è riuscita a scollinare bene con l’aiuto di persone a lei care. Dopo quattro annate con la AG Insurance Soudal (le prime due nel devo team e le altre due nella formazione WorldTour) nella quale è cresciuta molto, Gaia è pronta ad una nuova dimensione.

Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino da junior. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino agli juniores. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino da junior. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino agli juniores. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Possiamo dire che l’ufficialità del passaggio alla Picnic di due settimane fa ha chiuso un periodo cupo?

Assolutamente sì, non ho paura a riconoscerlo. Quando ho firmato tra fine settembre ed inizio ottobre ho cominciato a stare meglio, sia fisicamente che mentalmente, tanto che in bici ho iniziato a rivedere i miei valori e ad avvertire sensazioni buone. E’ stato un sospiro di sollievo, ma durante le trattative in realtà non ero serena, nonostante il mio procuratore mi dicesse di stare tranquilla che era tutto sotto controllo. Mi si erano profilate delle alternative, però la preoccupazione maggiore era capire se potevo restare ancora nel WorldTour dopo una stagione del genere.

Cos’è che ti ha fatto perdere un po’ di fiducia in te stessa?

Infortuni e problemi di salute si sono succeduti in sequenza. Ero caduta alla Strade Bianche fratturandomi alcune vertebre alte e rimediando una forte botta al gomito. Sono stata ferma per un po’ e dopo ero condizionata negli allenamenti. Ho ripreso a maggio all’Itzulia Women e mi sentivo stanca. Prima del Tour de Suisse durante un’uscita di sei ore sul mio Appennino attorno al Monte Cimone, sono stata punta da un ragno violino. Mi sono gonfiata appena rientrata a casa. Al pronto soccorso mi hanno dato del cortisone e non ho potuto più correre fino ai campionati italiani. E non era finita.

Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Cosa è successo dopo?

La crono tricolore l’ho fatta con numeri non buoni, mentre nella prova in linea mi sono sentita male e svuotata dopo la prima ora di gara. Ho cercato di gestire le forze di quel periodo perché c’era il Giro Women. Volevo correrlo perché ci tenevo ad aiutare Sarah (la compagna Gigante, ndr) a fare risultato come poi è stato. L’ho finito con grandi dolori alla milza, sono arrivata in fondo solo di testa. A quel punto abbiamo approfondito gli esami del sangue che avevo già fatto e abbiamo riscontrato una forte forma di mononucleosi. Dovendo fare almeno tre settimane di stop, il mio 2025 è finito.

Sono quindi subentrati problemi più di natura psicologica che altro?

Proprio così. Da una parte avevo trovato la cura giusta malgrado essendo asmatica alcuni farmaci inizialmente andassero in conflitto tra loro. Dall’altra parte sapevo di non potermi più far vedere in gara né dalla mia squadra, che forse aveva già fatto scelte diverse, né dalle altre. Ad agosto ho toccato il momento più brutto. Ho pianto e sono stata male. Ne sono uscita grazie a Paola Pagani, con la quale collaboro da ormai un anno e mezzo. E’ stata fondamentale per me, a parte il ruolo importante della mia famiglia.

Come ti ha aiutata?

Un anno fa di questi giorni, dicevamo che il 2025 sarebbe stata una stagione magnifica. Invece ad ogni incontro con lei, le dicevo che era sempre peggio. Di natura sono pessimista ed autocritica, ma Paola ha lavorato a fondo con me per farmi vedere il bicchiere mezzo pieno. Assieme a lei ho trovato lati positivi che mi hanno spinta a resistere.

Cosa ti ha consigliato?

Già da prima di agosto ho dovuto distrarmi dal ciclismo e non è stato facile perché non ero disposta a fare passi indietro. Ho seguito le sue parole e alla fine ho ottenuto una vittoria umana e personale che mi ha fatto fare un salto di qualità mentale. Paola l’ho ringraziata pubblicamente e non lo farò mai abbastanza perché immagino che non sia stato semplice per lei spiegare certi concetti ad una ragazza che sta vedendo tutto buio.

La luce in fondo al tunnel, è il caso di dirlo, è stata quella della Picnic. Com’è nato il contatto con loro?

Sapevo che mi stavano tenendo sotto osservazione da un po’ e sono stati i primi a farsi vivi e poi concretizzare tutto. Per la verità dovevano sistemare le posizioni di alcune loro atlete e quindi i tempi non sono stati immediati. Tuttavia ho apprezzato molto questo atteggiamento e le loro parole. Quando hanno risolto quelle questioni, abbiamo fatto una video-call, poi sono andata a Manchester per parlare coi diesse Rudi Kemna e Callum Ferguson. Successivamente ho fatto un salto in Olanda per le misure della bici e dell’abbigliamento. Lassù ho conosciuto anche il mio futuro preparatore che mi ha già stimolata tantissimo per i lavori da svolgere.

Quale sarà il ruolo di Gaia Masetti alla Picnic PostNL?

Innanzitutto visto da fuori mi è sempre piaciuto il loro modo di correre, molto unite. Più che ruolo, abbiamo discusso della mia crescita. Loro ritengono che io abbia buoni numeri per ottenere risultati migliori di quelli avuti finora. So che atleta sono, ma non conosco i miei limiti e so anche che posso migliorare ancora in tanti punti, come intensità o esplosività. Io cercherò di meritarmi il mio spazio in alcune gare.

Nonostante un'estate difficile, Gaia grazie alle parole di Paola Pagani non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di sè stessa
Nonostante un’estate difficile, grazie alle parole di Paola Pagani, Gaia non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di se stessa
Nonostante un'estate difficile, Gaia grazie alle parole di Paola Pagani non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di sè stessa
Nonostante un’estate difficile, grazie alle parole di Paola Pagani, Gaia non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di se stessa
Troverai tante connazionali tra cui Rachele Barbieri, modenese come te. Avevi parlato con lei?

Ad inizio contatto con la Picnic avevo sentito Rachele. Lei per me è un riferimento, ma non so se farò parte del suo treno. Di sicuro, come vi ha detto anche lei, anche io sono felice di essere nella sua stessa squadra. Anzi, finalmente ritrovo compagne italiane dopo quattro stagioni e non è male ogni tanto poter parlare la propria lingua in un team straniero.

Sai già qualcosa del tuo programma del 2026?

Dal 10 al 18 dicembre saremo in ritiro a Calpe. So che dovrei iniziare col Tour Down Under e poi proseguire col blocco delle classiche. Non vedo l’ora di iniziare. Arrivo in una squadra molto strutturata con comparti precisi ed un metodo di lavoro ben rodato che mi piace. Per come sono fatta io e dopo l’annata appena trascorsa, questa squadra è proprio quella che mi serviva per ritrovare me stessa.

Nella mente di Pogacar: stress, emozioni e voglia di fermarsi

01.08.2025
7 min
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Senza dubbio l’ultimo Tour de France di Tadej Pogacar ha lasciato qualche punto di domanda sul suo comportamento, sul suo approccio mentale. Se da un punto di vista tecnico-sportivo l’asso sloveno ha sbaragliato il campo e ha dimostrato ancora una volta di essere il numero uno a mani basse, dall’altra parte per la prima volta ha mostrato un suo lato umano, se così possiamo dire. E tante sue dichiarazioni lo confermano.
Ricordiamone alcune: «Non so cosa ci faccio qui in questo momento». «Non vedo l’ora che finisca questo Tour. Conto i chilometri che mancano a Parigi». «Non so per quanto tempo correrò ancora. Ho l’obiettivo delle Olimpiadi poi vedrò». E via discorrendo.

Questa situazione nuova in qualche modo, per tutti coloro che considerano Tadej invincibile contro ogni avversario e avversità, ha stimolato la nostra curiosità e abbiamo posto alcune domande a Paola Pagani, mental coach che lavora con molti atleti e in particolar modo con tanti ciclisti. E’ quindi una figura che conosce bene il nostro ambiente.

Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Dottoressa Pagani, abbiamo visto questo comportamento di Pogacar variare un po’ durante il Tour de France. Molto attivo e brillante nella prima parte, un po’ meno nella seconda. Di fatto si è trovato a battagliare con Van der Poel all’inizio. Ha distrutto la concorrenza sui Pirenei. Dopodiché cosa è successo?

Partiamo dal fatto che è un ragazzo di 27 anni che da tanti anni è nel WorldTour ad un livello altissimo. Corre sempre con gioia ed entusiasmo, e magari un po’ di stress ci sta anche per lui. In più siamo al Tour e il soggetto in questione è Tadej Pogacar: quando si tratta di lui le cose vengono ingigantite. Ripeto, non dimentichiamo che è un ragazzo, nonostante sia un atleta di altissimo livello e per certi aspetti più maturo dei suoi coetanei. Ma semplicemente può essere stato stanco anche lui.

In effetti è sembrato più un aspetto mentale di approccio che non di stanchezza. Perché di fatto in crisi in bicicletta non lo abbiamo mai visto…

Il ciclismo a quel livello è qualcosa di difficilissimo. Io seguo molti atleti e sono entusiasta in particolar modo dei ciclisti, della fatica che riescono a fare. Questi ragazzi, che ci sia pioggia, caldo, vento o tempesta, escono e si allenano o corrono. Se poi spostiamo tutto sul palcoscenico del Tour, in cui ogni cosa è stressante ed è dura perché è sempre una gara, capiamo che diventa tutto ancora più complicato. E se hai una maglia, i tempi di recupero si accorciano ancora, perché sei più sottoposto a interviste e protocolli post-gara. E si riducono le ore di riposo. Questo non ha fatto altro che aumentare il suo stress.

Quello che abbiamo visto noi è che di fatto dopo i Pirenei lui raggiunge l’obiettivo e in qualche modo si ferma, non va oltre. O quantomeno non è il solito Tadej che siamo abituati a vedere. Si ferma…

Si ferma è esagerato. Lui l’obiettivo l’ha raggiunto, sui Pirenei. Poi magari, come avete detto voi, era anche un po’ raffreddato e ci sta che l’insieme delle due cose abbia inciso sul suo entusiasmo. Ma succede, vuol dire che è un essere umano anche lui. Io non conosco Pogacar, ma come essere umano anche lui è “fallibile”. Può essere preso dallo stress, può stancarsi. E poi c’è un’altra cosa molto importante che secondo me va sottolineata.

Qual è?

Lui ha detto spesso cose sul momento, sull’emozione del momento e non a seguito di un ragionamento. Parlo delle conferenze stampa: parlare in quelle situazioni è diverso che farlo dopo aver recuperato un po’, dopo averci riflettuto. Sono parole immediate, dirette.

Una cosa che ci ha colpito in particolare è stata la tappa di La Plagne. Pogacar fa lavorare la squadra e di solito quando fa così lui va a dama. Quando arriva alla salita fa uno scatto, ma forse perché non era troppo convinto o forse perché la salita era troppo veloce, non stacca Vingegaard. A quel punto non insiste. Perché?

Forse il suo rivale non era l’ultimo arrivato. Parliamo di Jonas Vingegaard, un ragazzo che ha vinto anche lui due Tour de France e in altre edizioni è arrivato sul podio. Guardiamola anche da questo punto di vista: Pogacar non corre da solo. Diamo onore agli avversari.

Poi ci ritroviamo un Pogacar che invece a Parigi sorride e torna a dare spettacolo. Cosa vuol dire quel sorriso?

Ha detto che contava i chilometri che mancavano a Parigi. Probabilmente, essendoci arrivato, era a conclusione del suo percorso. Ma a Parigi trova un nuovo obiettivo: quello di vincere la tappa.

E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo
E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo
Insomma, dottoressa, l’entusiasmo è una componente importante?

Per lui sicuramente è importante. Quel giorno a Parigi Pogacar lo vive come l’ultimo giorno di un percorso. Dice: «Ci sono arrivato. Ho fatto quel che dovevo». E in qualche modo si riprende. Poi consideriamo anche che fare la vita dell’atleta, soprattutto a quel livello, è una bella vita, però sei sempre sotto i riflettori. Soprattutto lui. E ogni cosa che fa Pogacar è amplificata. Questo alla lunga può diventare stressante. E lo stress può arrivare da un momento all’altro.

Chiaro…

Pogacar ha tutta la mia comprensione possibile. Io lavoro con tanti sportivi, soprattutto ciclisti. Ci sta che ogni tanto possano esserci delle defaillance in mezzo alla loro vita così difficile.

E’ notizia di un paio di giorni fa che Pogacar rinuncia alla Vuelta. E’ la naturale conseguenza di quanto ci siamo detti, dottoressa?

Lui sta dicendo di cosa ha bisogno. E’ semplicemente stanco. E non è una cosa semplice, al suo livello, nella posizione in cui si trova. Questa scelta è prendersi una responsabilità. Magari si sarà anche messo contro alcune persone. Di certo non penso che la UAE Team Emirates abbia delle ricadute negative. Anzi, sicuramente la squadra vorrà preservare il suo diamante. Quindi lo appoggerà. L’importante è non cercare sempre qualcosa di negativo. Spesso in queste situazioni ci sono elementi positivi, o quantomeno vanno visti con prospettive diverse.

Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)
Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)
Cioè, dottoressa, può spiegarci meglio?

Anch’io sono un essere umano. Anch’io non sono invincibile. Ho bisogno dei miei tempi, ho bisogno di riposarmi. Non è una cosa negativa. Magari in questo fase di recupero, di lontananza dai riflettori potrà valutare altre cose della sua vita che prima non poteva.

Alcuni media inglesi hanno parlato persino di burnout. Sinceramente questo burnout, questo andare in tilt, sembra un po’ esagerato anche a noi. Lei che cosa ne pensa?

Dico che burnout è una parola che adesso va molto di moda. E la si usa dappertutto. Direi semplicemente che Pogacar è stanco. Quante stagioni ha corso a quel livello? Questo ragazzo ha vinto quattro Tour e in altri due è arrivato secondo. Ci sta che ora sia un po’ stanco. Ci sta che improvvisamente si sia ritrovato a corto di energie mentali. Quando dico che non sempre le cose sono negative, intendo che ora potrà riposarsi. Rigenerarsi. Ricalibrare la mente. E se dovesse aver bisogno di un aiuto, di certo la sua squadra glielo metterà a disposizione. E sarà pronto per i prossimi obiettivi.

E quindi rivedremo il Pogacar che tanto ci fa divertire ed entusiasma la gente e probabilmente anche se stesso…

Ogni volta che parliamo di questi ragazzi ci dimentichiamo che sono giovani. Molto spesso non hanno neanche 25 anni. Proviamo a immaginare noi a 40, 50 anni a rivederci a quell’età: ci riconosceremmo in maniera del tutto diversa. Faremmo cose che non avremmo fatto prima. Abbiamo un’altra esperienza. Ripeto: qui dobbiamo pensare che c’è un ragazzo che è stato sotto stress. Che si è sentito stanco. E tutto ciò è emerso su un palcoscenico come il Tour de France e da un personaggio qual è Tadej Pogacar. Quelle cose che ha detto nell’immediato dopo gara, magari dopo qualche ora sarebbero state diverse. E forse tutto ciò avrebbe avuto un’eco molto più piccola.

I giovani nel ciclismo: professionisti nelle gambe e nella mente

10.07.2025
4 min
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Le parole di Alessandro Borgo appena terminato il campionato italiano under 23 di Darfo Boario Terme, con il tricolore addosso ci hanno lasciato qualcosa su cui ragionare: «Quando ero al secondo anno juniores avevo iniziato a lavorare con un mental coach, penso sia una figura importante per chi corre a questi livelli. Alleniamo ogni giorno il corpo, ma serve allenare anche la mente appoggiandoci a queste figure. Avevo perso il campionato italiano di categoria e la notte non avevo dormito a causa di tutte le lacrime che ho versato. Lavorare con un mental coach mi ha aiutato tanto (in apertura lo stesso Borgo al Giro della Lunigiana 2023, photors.it)».

Anche la categoria under 23 sta alzando il livello con l’arrivo dei devo team (foto La Presse)
Anche la categoria under 23 sta alzando il livello con l’arrivo dei devo team (foto La Presse)

Pressioni anche da giovani

Spesso abbiamo parlato dell’importanza di lavorare sulla mente tra i professionisti, ma anche tra i giovani è fondamentale non sottovalutare questo aspetto. I ragazzi a diciassette e diciotto anni, ovvero nella categoria juniores, sono ormai sottoposti a stress e confronti che non fanno sempre bene. Siamo andati così da Paola Pagani, mental coach, e ci siamo fatti raccontare in che modo si lavora e ci si confronta con i giovani. Le sue parole non si discostano, nel significato, da quelle di Stefano Garzelli di qualche giorno fa.

«Nella performance – racconta Paola Pagani – la mente ha sempre il suo peso, che un atleta sia junior, under 23 o professionista. I ragazzi, anche i più giovani, subiscono pressioni stratosferiche e affrontano le categorie giovanili con il coltello tra i denti. A volte il carico mentale è addirittura superiore rispetto ai professionisti».

La categoria juniores è la prima nella quale c’è un confronto a livello internazionale e aumentano le aspettative (photors.it)
La categoria juniores è la prima nella quale c’è un confronto a livello internazionale e aumentano le aspettative (photors.it)
A volte i ragazzi giovani vivono tutto come un qualcosa di determinante…

Ciò che dico ai più grandi vale anche per loro: la vita non finisce dopo una corsa e non sarà un risultato negativo a determinare il loro futuro. Tutto è questione di passaggio e alla base c’è un cammino. Nessuno di noi è definito da un risultato, in ogni campo della vita. 

Nei giovani come si disinnesca questo pensiero?

C’è da dire una cosa, i ragazzi giovani che fanno sport hanno una maturità non indifferente. Lavoro con pochi ragazzi di categorie giovanili, ma questa caratteristica la riscontro in tutti. Non sono dei classici adolescenti.

Il pubblico e l’attenzione mediatica sono due fattori da gestire, lavorare sulla mente può dare un giusto supporto
Il pubblico e l’attenzione mediatica sono due fattori da gestire, un mental coach può dare un giusto supporto
Come mai?

Fare sport fin da bambini ti mette davanti a fatica e impegno costanti. Si fanno allenamenti duri, lunghi e si corre con il freddo, la pioggia, il caldo. Questi ragazzi fanno cose che altri adolescenti nemmeno si sognano. E’ normale abbiano una resilienza mentale totalmente diversa. Però va fatto un passaggio importante.

Quale?

Si deve ricordare a questi ragazzi che lo sport comunque deve avere una base di divertimento. Questo aspetto è capace di non farci percepire il peso di tante cose. Nella testa di ragazzi juniores e under 23 c’è un cammino delineato: vogliono diventare dei professionisti. Non fanno ciclismo come hobby ma vogliono farlo diventare il loro lavoro. 

Il rischio è che ogni gara diventi una lotta interna tra successo e fallimento…

Tanto del mio lavoro passa da qui. Non performare in una gara che si aveva nel mirino a volte diventa una tragedia e ci si concentra solamente su ciò che non è andato. Invece io li prendo e dico loro: «Guarda anche quello che è andato bene». Il focus deve essere su quello che si può dare. E’ importante cercare di farli rimanere loro stessi e non guardare agli altri. 

Da giovani le emozioni di una sconfitta o di una vittoria vengono amplificate dalla passione verso questo sport (photors.it)
Da giovani le emozioni di una sconfitta o di una vittoria vengono amplificate dalla passione verso questo sport (photors.it)
Con gli juniores l’approccio cambia?

Entra in gioco un fattore di “accudimento” ovvero di tutela. Ma non è questo che porta a porre domande diverse o fare discorsi tanto differenti rispetto a quelli che si fanno agli under 23 e ai professionisti. Nel parlare cerco di usare l’umorismo come arma di comunicazione, per sdrammatizzare, ma l’equilibrio è delicato.

In che senso?

Non deve entrare nella loro testa che li prendo in giro o che non si dà il giusto peso a ciò che dicono. Comunque bisogna riconoscere l’impegno e il doppio lavoro, sia sportivo che scolastico. Questi ragazzi, specialmente gli juniores, dedicano praticamente tutto il loro tempo alle due attività. 

Si deve valorizzare ciò che fanno…

Esattamente, il loro impegno e tutto il tempo che dedicano. Questo aggiunge valore alle loro attività. E’ difficile perché questi ragazzi stanno diventando sempre più professionisti e anche la loro mente

Ganna e la prestazione monstre a Sanremo: frutto della mente

30.03.2025
5 min
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La Milano-Sanremo continua a tenere banco, lo spettacolo che ci ha regalato ha tenuto tutti con il fiato sospeso e con gli occhi incollati alla strada. Da una parte c’era il campione del mondo, Tadej Pogacar, mattatore della passata stagione e che ha iniziato il 2025 con lo stesso piglio. Dall’altra parte gli sfidanti: Mathieu Van der Poel e Filippo Ganna. Quello che più ha colpito è stata la prestazione di “Top Ganna”, un continuo ghigno di fatica era scolpito sul suo volto. Ha messo tutto quello che aveva e anche qualcosa in più per rientrare tutte le volte sulle ruote dei primi due. Ecco, proprio qui sta la chiave di lettura di questo articolo, in quel qualcosa in più che Ganna ha messo in gioco. 

Il secondo posto di Ganna alla Sanremo è figlio di tante gambe e di altrettanta determinazione
Il secondo posto di Ganna alla Sanremo è figlio di tante gambe e di altrettanta determinazione

La forza di soffrire 

Un post su Instagram di Adriano Malori ha riassunto perfettamente la corsa e lo spirito dell’azzurro: “Ultimamente dopo ogni gara c’è la sfida sui social media a chi pubblica per primo la potenza di un ciclista o quanto tempo è passato a tot watt per chilo, ma c’è una componente molto importante che mai nessuno tiene in conto:  Le palle”. 

«Io sono una signora e una mental coach e quindi dico la testa». Risponde sorridendo Paola Pagani, alla quale ci siamo affidati per capire quale sia questo “qualcosa in più” messo in corsa da Ganna. «Perché è quella la componente che spesso fa la differenza. In atleti di primo livello non è quasi mai un problema di gambe, ma è la mente che ti fa resistere quel qualcosa in più. Alla Sanremo Ganna aveva le gambe che bruciavano ma la sua testa gli ha fatto dire: “Ok, sei qua, resisti, puoi starci, non mollare”». 

Ganna ha dovuto fare sforzi incredibili per resistere alle bordate di Pogacar su Cipressa e Poggio
Ganna ha dovuto fare sforzi incredibili per resistere alle bordate di Pogacar su Cipressa e Poggio

Motore o freno

Gran parte della prestazione di Filippo Ganna è data dagli allenamenti e dalle sue qualità atletiche, questo non lo dobbiamo dimenticare. Tuttavia per resistere a certi attacchi serve una grande forza mentale, che non è sempre facile trovare. 

«La testa può essere un grande acceleratore o un grande nemico – continua Paola Pagani – perché tanti atleti si fermano appena sentono di fare fatica. Il tutto cambia quando cominciamo a ragionare sul fatto che anche gli altri faticano. Diciamo che la testa diventa un acceleratore quando metabolizzano questo concetto. Però grande parte dello sforzo passa da noi, allenarsi serve anche a sapere quali sensazioni proverai in gara. Ai miei ragazzi dico sempre che anche Pogacar fa fatica, nel ciclismo questa componente non manca mai. Bisogna agganciarsi al fatto che questo sforzo lo posso sopportare e allora si riesce a fare una prestazione come quella di Ganna».

Per alcuni chilometri il corridore della Ineos è stato un puntino sfocato sullo sfondo dello schermo
Per alcuni chilometri il corridore della Ineos è stato un puntino sfocato sullo sfondo dello schermo

Oltre i numeri

In un ciclismo che si basa sempre più sui numeri e i valori che gli atleti riescono a esprimere sta sparendo la componente umana. Invece Ganna ci ha ricordato che in bici ci salgono delle persone e che la differenza spesso è nella voglia di vincere e primeggiare, di dimostrare che qualcosa è possibile. 

«A proposito – spiega Paola Pagani – porto l’esempio del primo uomo che è riuscito a correre il miglio sotto i 4 minuti. Fino al 1956 si credeva che fosse impossibile, i medici dicevano che per l’essere umano fosse nocivo. Finché è arrivato Roger Bannister, un inglese, che è riuscito a correre il miglio in 3 minuti e 59 secondi e 56 centesimi. Ganna a suo modo ha fatto la stessa cosa, ha visto quei watt e ha capito di poter stare lì insieme a due mostri sacri. Sapete cosa è successo dopo che Bannister ha corso il miglio sotto i 4 minuti? Quell’anno, nel 1956, altri 16 atleti sono riusciti a fare la stessa cosa».

La forza di “Top Ganna” è stata quella di non mollare mai e di tenere ben focalizzato il suo obiettivo
La forza di “Top Ganna” è stata quella di non mollare mai e di tenere ben focalizzato il suo obiettivo

Dimostrare l’impossibile

Le ultime parole della mental coach aprono uno spiraglio interessante nel discorso. Dopo quasi un anno di dominio indiscusso Ganna e Van der Poel hanno battuto Pogacar. Lo sloveno nel 2024 e in questi primi mesi del 2025 non ha vinto solamente tre gare alle quali ha partecipato: la Sanremo dello scorso anno, il GP Quebec e di nuovo la Classicissima. 

«Hanno dimostrato che è battibile – dice Pagani – perché lo hanno battuto. Quando è scattato sulla Cipressa tutti hanno pensato potesse scavare un solco tra sé e gli altri, facendo quello cui ci ha abituato ultimamente. E invece gli sono stati dietro. La storia dell’essere umano è ricca di eventi che si pensava fossero impossibili e sono stati resi possibili da persone che con impegno e dedizione si sono messe e le hanno fatte. Quindi tu vai con la consapevolezza di aver fatto tutto il necessario riesci a superare i tuoi limiti. Ognuno ha il suo limite, non può essercene uno uguale per tutti. Ganna ha visto qual è il suo. Lui e Van der Poel hanno dimostrato che Pogacar è battibile, ora sta agli altri provarci». 

«La convinzione di possibilità – conclude – è una delle più forti, io devo essere convinto di quello che posso fare. Se lo sono metto in gioco tutte le mie capacità, il mio potenziale e il lavoro per arrivare dove voglio. Ma se parto già con il tarlo che tanto non è possibile magari metterò in gioco tutto quello ho ma ad un certo punto tenderò a autosabotarmi».

Imparare a vincere è un allenamento: e si parte dalla mente

26.10.2024
5 min
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In un ciclismo che va veloce, sempre di più anno dopo anno, è importante vincere e confermarsi ad alti livelli stagione dopo stagione. Eppure il successo non passa solo dalle gambe, ma dalla forza della mente. La testa gioca una parte fondamentale quando si tratta di giocarsi una vittoria, avere la giusta convinzione e motivazione ci permette di tirare fuori quel qualcosa in più. Il famoso 101 per cento. Dove quell’uno fa una differenza abissale tra vincere e perdere.

Paola Pagani è una mental coach e da anni lavora nel mondo del ciclismo, affiancando atleti e aiutandoli a trovare la giusta motivazione e forza mentale per raggiungere i propri obiettivi. Non si tratta sempre e solo di vincere, ma di esprimere il massimo del proprio potenziale. Qualunque sia il ruolo svolto.

Per Pellizzari il focus non era vincere, ma dimostrare di essere il più forte in salita
Per Pellizzari il focus non era vincere, ma dimostrare di essere il più forte in salita

Il “caso” Pellizzari

L’idea di questo articolo è nata parlando, ormai più di un mese fa, con Giulio Pellizzari. Il corridore prossimo a vestire i colori della Red Bull-Bora Hansgrohe aveva detto di aver bisogno di fare uno step mentale per imparare a sfruttare il suo talento al massimo e iniziare a raccogliere qualche vittoria.

«Per me la cosa più importante è dimostrare di essere il più forte – ci aveva detto Pellizzari – poi magari non vinco. Da piccolo ero scarso, per me l’obiettivo era far vedere di essere forte. Per me la gara finisce in cima alla salita. Vado a tutta e quando mi giro e vedo di aver tolto tutti i più forti da ruota sono a posto. Un esempio arriva dal Giro del Friuli: volevo staccare in salita Torres che due settimane prima aveva vinto l’Avenir con grandi numeri».

«Partendo da questo esempio – inizia a spiegare Paola Pagani – bisogna far capire al corridore, se vuole anche vincere oltre che togliersi i più forti dalla ruota in salita, che la gara non finisce in cima alla salita ma sotto lo striscione di arrivo».

Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Come si “sblocca” la mente?

Qui entra in gioco il processo di coaching. L’essere umano crea le proprie convinzioni facendo esperienza nella vita. Queste possono essere potenzianti o limitanti. Il ciclista in questione si è convinto che per dimostrare di essere il più forte deve vedere di essersi tolto i più forti da ruota in salita, dopo di che è a posto. Questa è una convinzione potenziante se l’obiettivo è la performance su quella salita o se l’arrivo è in cima alla salita, diventa meno potenziante se non addirittura limitante se l’obiettivo è la vittoria e la gara non termina sulla salita.

Continui…

Se un corridore pensa di essere un perdente perché si concentra su tutti i secondi posti ottenuti in carriera e non sulle vittorie o sulle performance di successo, allora sarà più difficile per lui essere un vincente. Esistono degli esercizi di consapevolezza che ci aiutano a ristrutturare le convinzioni che ci limitano.

La cosa importante è che il corridore arrivi a fine gara senza rimpianti, soddisfatto della sua performance
La cosa importante è che il corridore arrivi a fine gara senza rimpianti, soddisfatto della sua performance
Si tratta di capire dove mettere il focus?

Sì, non serve dire: «Sono un campione». La cosa importante è tirare fuori sempre il meglio da se stessi e ricordare quanto lavoro si è fatto per arrivare a quell’appuntamento. Il focus deve essere positivo: ad esempio si può chiedere all’atleta di fare una lista delle sue prestazioni migliori, così da farlo focalizzare sulla performance e i suoi punti di forza.

C’è una chiave?

L’autostima. Ricordiamoci sempre che i corridori sono per lo più ragazzi giovani (ora sempre di più, ndr). Una cosa che ho notato nel tempo è che nel 90 per cento dei casi l’autostima può vacillare. Sbloccare la mente vuol dire aiutare il cervello a identificare i pensieri negativi, ristrutturarli, e buttar via il resto, come se fosse spazzatura.

Paola Pagani ha lavorato con Colbrelli dal 2019 in poi aiutandolo nella sua crescita professionale
Paola Pagani ha lavorato con Colbrelli dal 2019 in poi aiutandolo nella sua crescita professionale
Il lavoro in cosa consiste?

E’ tutto molto “sottile” ovvero si tratta di andare a capire ciò che limita la persona e far crescere la consapevolezza nelle proprie qualità. Evidenziare i punti di forza in modo da aumentare le risorse. Vi faccio un altro esempio: a gennaio ho iniziato a lavorare con un ragazzo giovane. La squadra voleva lasciarlo a casa, abbiamo iniziato un lavoro di consapevolezza in cui si è impegnato al 100% per migliorare la considerazione di sé. Abbiamo lavorato insieme solamente tre mesi, ma in quei tre mesi è stato capace di migliorare talmente la stima di sé che nella seconda parte della stagione ha fatto cose strepitose.

La base qual è?

Riconoscere il proprio potenziale e il lavoro svolto. Nel ciclismo ci si allena tanto e i ragazzi tendono a vederla come una cosa normale. E’ giusto, ma bisogna sempre riconoscere gli sforzi fatti. La mente è un grande motore, serve sapere come sfruttarlo.

Scegliere le giuste parole da utilizzare con noi stessi e gli altri ci aiuta a far nascere le giuste emozioni
Scegliere le giuste parole da utilizzare con noi stessi e gli altri ci aiuta a far nascere le giuste emozioni
E come si fa?

Sicuramente sviluppare l’intelligenza linguistica oltre a quella emotiva è un’ottima idea. Le parole che rivolgiamo a noi stessi e agli altri danno significato alle esperienze della nostra vita e influenzano direttamente la nostra neurologia. Dal nostro dialogo interiore ed esteriore nascono le emozioni, dalle emozioni scaturiscono le azioni e dalle azioni derivano i nostri risultati. Pertanto, imparare a utilizzare parole e schemi linguistici che ci supportano positivamente rappresenta una scelta strategica, particolarmente importante quando si opera a livelli elevati.

Rileggiamo con coach Pagani il blackout di Colbrelli

15.01.2023
7 min
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Adesso che piano piano Colbrelli inizia a farsene una ragione, proprio adesso si comprende quanto sia stato psicologicamente enorme quello che gli è capitato. Nel giorno di quella famosa conferenza stampa di metà novembre, Sonny rese merito pubblicamente alla sua mental coach.

«Mi ha fatto capire quanto valgo – disse il bresciano, in apertura nella foto Bahrain Victorious – e che sono più forte di quanto pensassi. Ho capito che posso fare cose importanti anche non essendo più un corridore. Ora la vedo così, magari domani mi chiudo nei miei silenzi. Non è facile».

Il tramite di Pozzato

Paola Pagani è di Como, ma vive a Bergamo. Conobbe Colbrelli nel 2019 per l’intuizione di Pozzato, che con lei aveva collaborato attorno al 2013, in uno dei momenti più faticosi della sua carriera. Fu Pippo a intuire che Sonny fosse pronto per il salto di qualità e avesse solo bisogno di sgombrarsi la testa. E così andò. Le vittorie del tricolore, del campionato europeo e della Roubaix del 2021 facevano pensare che il lavoro stesse dando ottimi frutti e che la carriera sarebbe stata un continuo crescendo, invece di colpo all’inizio del 2022, tutto si fermò. Il cuore e la sua strada.

«E’ durissima – spiega la mental coach – per un ciclista come Sonny, come per chiunque arrivi veramente ai vertici della propria carriera, precipitare bruscamente a terra, per qualcosa che non dipende assolutamente da lui. Sonny ha dovuto ovviamente mettere la testa su tutto quello che può ancora fare, grazie al fatto che è riuscito a farcela. Ma sopravvivere all’inizio è stato veramente difficile. Stavamo programmando il 2022 e doveva essere una stagione coi fiocchi. Voleva riconfermarsi per dimostrare che effettivamente il 2021 non era stato un caso».

Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Stamattina abbiamo intervistato un corridore di 32 anni (Villella, ndr), rimasto senza squadra, ed è lì che spacca in quattro il capello per capire chi abbia sbagliato e perché.

Qui però è un po’ diverso. Il ragazzo che a 32 anni smette di andare in bici perché non ha una squadra, può fare una sorta di analisi su se stesso, per capire quello che è stato fatto e quello che non ha funzionato. Oppure può indagare sulla mentalità che ha avuto e che gli ha impedito di arrivare ai risultati. Per Sonny è diverso, perché lui stava facendo tutto bene e una squadra ce l’aveva. Si è trattato di affrontare qualcosa su cui non aveva nessun tipo di controllo. Il ragazzo che smette a 32 anni forse qualche responsabilità la può avere. Magari poteva fare qualche gara impegnandosi di più. Oppure, se si è impegnato, poteva iniziare a lavorare sulla sua mentalità, per essere un campione che sfruttasse i suoi talenti molto più di quanto li ha sfruttati lui.

Invece Sonny?

Sonny non ha avuto nessun problema per le sue abilità e questo rende tutto meno gestibile. Nel senso che non hai nulla su cui ragionare. E’ passato dal correre normalmente al rischio di morire. Mi ricordo benissimo la gara in Spagna. Facevo il tifo alla televisione. L’ho incitato, dopodiché mi sono allontanata e dopo mezz’ora mi son trovata con messaggi che arrivavano dappertutto su cosa gli fosse successo…

Come si fronteggia l’imprevisto?

Non c’è nessun tipo di controllo su certe cose che spesso ci possono succedere. Perciò dobbiamo essere abbastanza forti da riuscire a rialzarci e a reinventarci una strada diversa dalla precedente. Per continuare ad essere le persone spettacolari che comunque restiamo, perché Sonny era spettacolare come ciclista e può essere spettacolare giù dalla bicicletta. E’ difficile. Quando sei abituato a essere un campione e la tua vita ruota intorno alla bici, è difficile mollare tutto.

Tanto che per un po’ ha pensato di tornare…

Sonny ha smesso di pensare di poter tornare a correre quando ormai era chiaro che non gli avrebbero dato il nullaosta. Per correre hai bisogno dell’idoneità. Eriksen gioca a calcio, fa goal e vince partite, però si muove su un campo molto più ristretto rispetto ai ciclisti. Quindi è anche comprensibile che l’UCI non acconsenta.

Come si passa dal preparare le grandi classiche ad allenarsi per sopravvere?

Si tratta di gestire la mente di un atleta che si prepara per vincere e dall’altra parte di un uomo che si deve rialzare. Per me è sempre una gara, ma più difficile: diversa. E’ una competizione sconosciuta, nel senso che una persona abituata a fare gare, sa com’è la gara. Sa quali sono le emozioni collegate alla gara, sa cosa significa vincere e sa cosa significa perdere. Quando invece ti trovi ad affrontare qualcosa totalmente sconosciuto, diventa tutto più difficile. Però essendo una competizione, dicevo sempre a Sonny che questa era la più importante della vita. Si trattava di rialzarsi e tornare in sella su un altro tipo di bicicletta.

Si lavora molto sulle motivazioni?

C’è l’aspetto motivazionale, ma soprattutto un aspetto molto personale per capire che la persona ha un valore e un talento legati non soltanto alla bravura come corridore, ma alla persona. E quei talenti si possono usare in un altro modo, in altri campi.

E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
Sono dinamiche di vita che accadono spesso?

E’ una casistica molto diffusa. Dico a tutte le persone con cui lavoro che “la vita succede per noi”. E quindi in ogni caso, che vada bene o che vada male, comunque succede per noi. Se va bene, celebriamo e stappiamo lo champagne. Se invece non va come vogliamo, dobbiamo trovare cosa c’è di buono in quello che è successo.

E come si fa?

La domanda che faccio sempre è se quello che di negativo ti è successo non sia in realtà la cosa migliore che ti potesse capitare, quello di cui avevi proprio bisogno. E’ ovvio che quando lo dici a qualcuno che era in vetta e improvvisamente si trova ai piedi della montagna, senza neanche capire come abbia fatto a scivolare giù, non sono domande facili da accettare. Però quando ti fermi un attimo e inizi a pensare e a riprenderti, inizi a vedere le cose in una prospettiva diversa. E allora puoi anche rialzarti e reinventarti in modi anche migliori rispetto a quanto immaginavi. Perché noi non sappiamo effettivamente cosa ci può riservare la vita, però l’importante è usare quello che la vita ci dà per creare la vita che vogliamo. 

A un certo punto Sonny ha cominciato a dire che sarebbe potuta andargli molto peggio…

Certo, assolutamente. L’ho fatto sempre riflettere sul fatto che comunque lui è stato preso per i capelli, perché ci sono state tante circostanze che hanno giocato a suo favore. A quest’ora poteva anche non esserci più. E’ stato salvato, ha una famiglia splendida e comunque quello che gli è successo è capitato all’apice della sua carriera. C’è tanta gente che ancora lo cerca, tanta gente ancora che lo apprezza. Quindi è anche uno dei momenti migliori per potersi reinventare. Non è come quando cadi e sei già nell’oblio, allora certo è più difficile. Ma il suo cammino è ancora lungo e ha le gambe per farlo.

Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
E’ stato faticoso riprendersi?

E’ stato molto faticoso. Caspita, mettiamoci nei suoi panni. Dal pomeriggio alla sera ti si cambia completamente la vita. Hai 32 anni. Sei giovanissimo. Pensi di aver davanti ancora 3-4-5 anni per poter fare ai massimi livelli la professione che ami e che adori. E improvvisamente tutto ti cambia per qualcosa che non capisci. Però è stato bravissimo, assolutamente.