Amadio: «Ecco la mia squadra, ecco come è nata»

06.11.2021
6 min
Salva

La presentazione dei nuovi tecnici a Milano ha chiuso il cerchio. Ora Amadio, che delle nazionali è il team manager, ha davanti un weekend di lavoro in vista dell’incontro di lunedì e martedì in cui tutti i tecnici cominceranno a parlare di programmi e faranno prove di intesa. Senza troppi preamboli, lo abbiamo perciò tempestato di domande.

E’ davvero come allestire una squadra?

A livello tecnico direi di sì, ma ci sono differenze rispetto al calendario. Un team WorldTour ha più impegni importanti nella stagione, la nazionale ha appuntamenti per 12 mesi, anche se il focus restano europei e mondiali.

Entriamo nella scelta dei tecnici.

La decisione spetta al Presidente e al Consiglio Federale, ma ovviamente ci siamo confrontati spesso, perché poi dovrò lavorarci io. Non è stato semplice. I risultati dimostrano che si stava lavorando bene, per cui cambiare non era semplice.

Salvoldi lascia la nazionale donne a tre anni da Parigi e passa agli juniores
Salvoldi lascia la nazionale donne a tre anni da Parigi e passa agli juniores
Spostare Salvoldi agli juniores, ad esempio?

Il tema juniores, di cui parlammo già al mio insediamento, sta diventando sempre più importante. A causa di pochi fenomeni, per procuratori e squadre è normale pescare fra i più giovani. Invece io credo che la categoria U23 sia importante e quello che sta succedendo mi sembra esagerato. Ci può essere l’eccezione, ma tutti gli altri non sono all’altezza di un simile passaggio, anche se li trattassero con i guanti bianchi.

E Salvoldi cosa deve fare?

Salvoldi è la persona adatta, uno dei tecnici più qualificati, per ricreare la giusta cultura nelle squadre. Faremo attività internazionale, ma uno junior non è un professionista. Devono andare a scuola, crescere, divertirsi. Non devono stremarli. Poi è chiaro che se arriva l’offerta della Ineos, uno ci pensa, altrimenti passano ragazzi privi della giusta maturità. Rischiamo di perderne tanti, mentre basta guardare Colbrelli e Caruso per capire che si può crescere in modo graduale e arrivare in alto.

Cosa fa dunque il tecnico della nazionale?

Dino è preparato per entrare nel merito della preparazione, individuare le criticità nelle squadre e provare a ripartire dalla base. In più lui e tutti gli altri avranno a disposizione un pool di allenatori, nutrizionisti e mental coach con cui affrontare le varie situazioni.

Marco Villa, Filippo Ganna, mondiali pista Berlino 2020
Marco Villa, qui con Ganna ai mondiali di Berlino 2020, è il responsabile di tutta la pista
Marco Villa, Filippo Ganna, mondiali Berlino pista 2020
Marco Villa, qui con Ganna ai mondiali di Berlino 2020, è il responsabile di tutta la pista
Intanto Villa deve gestire le ragazze della pista.

Marco ha raggiunto una conoscenza e una maturità tali da poter coordinare bene il settore, ma ovviamente non farà tutto lui. Gestirà un pool di collaboratori, fra cui per il settore specifico Diego Bragato.

Fatto salvo lo spostamento di Salvoldi, pensi si possa parlare di continuità?

Abbiamo fatto dei cambiamenti strategici, ma il nocciolo rimane quello. Ora serve che tutti i tecnici collaborino e portino le loro competenze. Il ciclismo è cambiato tantissimo, il fatto che 3/4 del quartetto provenga da squadre WorldTour fa capire la necessità di incontrarsi con i team e condividere il programma. A parte Ganna e Milan che fanno sembrare tutto facile, c’è bisogno di grande programmazione.

Lunedì e martedì si comincia.

Sarà fondamentale averli tutti. Lunedì, strada e pista. Martedì, il fuoristrada. Entriamo nel calendario, nella preparazione e nella logistica. Ma questi incontri si ripeteranno, magari più specifici: delle verifiche periodiche a uso dei cittì.

Il settore velocità sembra ancora fermo…

Abbiamo due atleti come Miriam Vece e Matteo Bianchi che stanno crescendo e per i quali il centro di Aigle è il miglior riferimento perché possano allenarsi con velocisti di alto livello. Nel frattempo, con Villa che è referente anche per la velocità, si sta facendo un lavoro di monitoraggio sugli juniores per creare una struttura a partire dal 2023. Il settore dà tante medaglie, ma in Italia si è persa la cultura. A livello mondiale ci sono Nazioni fortissime, ma ad esempio la Francia va avanti dai tempi di Morelon, mentre qui la storia si è fermata e non è semplice riallacciare i fili. Bisogna ripartire dai gruppi sportivi militari per offrire una prospettiva di guadagno, intanto la nascita della Uci Champions League può essere allettante per gli atleti perché permette altre entrate.

Velo diventa tecnico del settore crono: «Ha competenza – dice Amadio – e la stima degli atleti»
Velo diventa tecnico del settore crono: «Ha competenza – dice Amadio – e la stima degli atleti»
Si era parlato di Ivan Quaranta come tecnico della velocità.

Ivan sarà collaboratore di Villa per il settore, però dobbiamo ancora capire come impostarlo.

Quanto è agile la struttura?

La Fci è una macchina grande, con un’infinità di aspetti da gestire. Molto macchinosa. Per le nazionali stiamo cercando di snellire i processi. Ma mi sono reso conto, dopo una vita nel ciclismo, che è un contenitore di abitudini stratificate da anni e difficili da cambiare.

Pensi che i tecnici abbiano accettato subito bene l’arrivo di Amadio?

Il mio ruolo dovrebbe metterli nelle condizioni di lavorare al meglio, cosa che ho cercato di fare da subito. Si sono ritrovati con qualcuno che li osserva e vuole che le cose siano fatte al meglio. Probabilmente si sono sentiti messi in discussione e questo ci ha permesso di mantenere la concentrazione dopo le Olimpiadi.

Intanto Basso alla Eolo sta ricostruendo un pezzetto di Liquigas. Gli manca solo Scirea…

Mario ha acquisito competenza in Liquigas poi in Uae e sarà un utile raccordo fra la nazionale e i team. Con Ivan ho parlato (sorride, ndr), Scirea resta con noi. Si è ben integrato con Amadori e Velo e farà bene con Bennati.

Velo e le crono.

Resta nel suo ruolo. La crono è una specialità che si deve conoscere, nelle dinamiche che la precedono e in quello che comporta. L’ho osservato alle Olimpiadi e ai mondiali, ha competenza e soprattutto la considerazione dagli atleti. A lui toccherà il compito di stilare un calendario nazionale di crono che sia funzionale agli appuntamenti azzurri.

Bennati tecnico dei professionisti: la scelta più difficile per cui c’erano diversi candidati, di cui però Amadio è super convinto
Bennati tecnico dei pro’: la scelta più difficile, ma Amadio è soddisfatto
E alla fine s’è scelto Bennati…

Si sono fatti tanti ragionamenti. Avevamo pensato anche di puntare su qualcuno che fosse già su ammiraglie importanti, come Bramati, Tosatto e Volpi. Poi abbiamo pensato di prendere un diesse per i vari appuntamenti

Un cittì a gettone?

Una cosa del genere, che si è fermata per il rischio di conflitti di interesse, che secondo me non ci sarebbero stati perché conosco la professionalità delle persone in ballo. Credo in ogni caso che Bennati sia la scelta migliore. Conosce l’ambiente. Ha smesso da poco. Ha fatto i corsi da direttore sportivo. Mi ha sempre dato ottime sensazioni, anche quando correva. E’ pacato, sa parlare al momento giusto e gestire le emozioni anche nella concitazione degli arrivi. Negli ultimi anni la sua crescita come atleta è andata nella direzione della gestione del team. Avrà il supporto di Velo e Scirea, sarà un ottimo tecnico.

Che rapporto ci sarà fra team manager e il cittì?

Lo stesso che c’è fra il team manager e il primo direttore sportivo. Ci sentiremo spesso, ma io sono a disposizione di tutti. Il cittì è Bennati, guiderà lui la squadra.

Milano Sanremo 2005, Alessandro Petacchi

Nel 2022 mondiale veloce? Petacchi cittì. L’idea di Malori

28.09.2021
4 min
Salva

Giovedì scadono i contratti dei tecnici federali. La storia è nota. Nonostante l’elezione del nuovo presidente della Federazione avvenuta il 21 febbraio, per non sconvolgere lo svolgimento delle Olimpiadi, degli europei e dei mondiali, si è deciso di prolungare il rapporto con i cittì sino alla fine di settembre. Così, nonostante alcuni scivoloni di cui si poteva fare anche a meno, sono arrivati i successi di Tokyo, quelli di Trento, quelli di Bruges e quelli di Leuven.

Nel frattempo fiorivano i nomi di coloro che a vario titolo sono stati sentiti dal presidente per rivestire il ruolo di tecnico dei professionisti, alle… dipendenze di Roberto Amadio, nominato nel frattempo responsabile di tutte le nazionali. Prima Fondriest. Poi Pozzato. Ora Bennati. I nomi si rincorrono e forse anche per le sue doti in volata, pare che l’aretino sia in vantaggio nell’arrivo a tre. Ma sarà poi un arrivo a tre o nel frattempo le consultazioni sono andate avanti?

Secondo Malori Pozzato poteva essere cittì a Leuven, avendo corso tanto al Nord e nella Quick Step
Secondo Malori Pozzato poteva essere cittì a Leuven, avendo corso tanto al Nord e nella Quick Step

Malori getta il sasso

E allora succede che mentre si parlava di crono e campioni e malgrado quello che hanno detto vari tecnici fra cui Bettini e Cassani, Adriano Malori s’è zittito un attimo e ha fatto una domanda.

«Ma è proprio necessario – ha chiesto – che il commissario tecnico sia soltanto uno?».

Sul momento ci ha spiazzato. Ma siccome in questa fase storica è bene avere le antenne dritte e la capacità di intercettare il cambiamento, abbiamo voluto approfondire il suo punto di vista.

Che cosa intendi?

Non facciamo nomi se non per qualche esempio, ragioniamo soltanto. A capo di tutto c’è Amadio, questa è l’unica cosa sicura. Facciamo allora che lui è il direttore generale e poi a seconda dell’evento sceglie il tecnico di riferimento?

Vai avanti.

Punti su personaggi che nella loro carriera sono andati forte in eventi simili o hanno guidato la loro squadra in modo vittorioso. Ad esempio, per il mondiale di Leuven, seguendo il discorso potevano starci Ballan che ha vinto il Fiandre o Pozzato che ha corso nell’ambiente Quick Step e sa come si muovono.

Amadio, fra Scirea e Amadori, è il team manager delle nazionali: sarebbe lui a scegliere i cittì
Amadio, fra Scirea e Amadori, è il team manager delle nazionali: sarebbe lui a scegliere i cittì
Anche Bartoli ha vinto il Fiandre, anche Tafi…

Non andrei troppo indietro nel tempo, perché il ciclismo cambia in fretta. Ad esempio il prossimo anno è per velocisti? Chiamiamo Petacchi. Serve gente che abbia corso in questo stesso ciclismo. Chiaro che non glielo dici alla fine, ma all’inizio dell’anno, in modo che possa fare le sue osservazioni, valutare gli uomini e formare il gruppo. Un commissario tecnico a tutti gli effetti.

Cassani non lo ha mai vinto da corridore, ma ha pur portato a casa un secondo posto e quattro europei.

Perché ha avuto la fortuna o è stato bravo a formare un gruppo di ragazzi che corrono insieme sin da quando erano dilettanti e sono amici, fra loro c’è un’unione naturale. Ai mondiali non si è visto lo stesso.

Per le crono, Malori vedrebbe benissimo Pinotti come cittì per le crono
Per le crono, Malori vedrebbe benissimo Pinotti come cittì per le crono
Bettini ha vinto due mondiali da corridore, ma non li ha vinti da tecnico…

Bettini si è trovato l’incarico fra capo e collo per la morte di Ballerini. Nel 2011 il mondiale era per velocisti e una regola impediva a Petacchi di partecipare. A Valkenburg non aveva il corridore adatto. E a Firenze, senza la caduta Nibali vinceva di sicuro.

E nella crono come si fa?

Non serve cambiare ogni anno, basta chiamare uno competente. Uno come Pinotti, secondo me. Che ha imparato dai migliori e poi ha fatto il tecnico di specialità alla BMC. Almeno io farei così…

Cassani, un viaggio di otto anni prima dell’ultima sfida

26.09.2021
10 min
Salva

«A volte – Cassani sorride – succedono cose che ti fanno capire che è tempo di cambiare mestiere. Sto vivendo questa fase nel modo migliore, ho il piglio giusto. Non ho mai preso di petto i corridori come ho fatto quest’anno. E’ il mio carattere. Quando nel 1995 Ferretti mi disse che non mi rinnovava il contratto perché ero vecchio, mi misi di impegno e vinsi tre corse. Forse è per il mio orgoglio, ma se mi mancano di rispetto tiro fuori il meglio di me».

Oggi sarà l’ultimo. Da Anversa a Leuven, a capo di 268,3 chilometri e 2.562 metri di dislivello. Se le cose non cambieranno (e non si vede come e perché dovrebbero), il mondiale è l’ultima tappa nel viaggio di Davide Cassani sull’ammiraglia azzurra. Vinti gli europei di Trento, Flanders 2021 chiuderà otto anni che meritano un racconto.

Per questo, con il pretesto di un caffè alla vigilia della sfida, ci siamo presentati con una lunga serie di domande. Anche se da un certo punto in poi è stata la storia a guidare il racconto.

Come la vivi?

Nel modo giusto, con la cattiveria agonistica che a volte mi è mancata. E ogni tanto ricordo. La telefonata di Di Rocco il 29 dicembre del 2013. L’incontro a casa di Alfredo Martini il 4 gennaio. Il primo mondiale. Le delusioni. Le arrabbiature. Sono stati anni intensi come quelli da corridore. Per il mio cammino personale, non potevo chiedere di più.

Hai sempre sognato questo posto…

Era la mia idea di una vita, ma appena smesso di correre non mi sentivo di farlo. Però quando me lo hanno proposto ho accettato subito. Ero in Rai da 18 anni, bisognava cambiare. Ho sempre vissuto di sfide e nuovi sogni, ma sapevo che non sarei durato per sempre.

Se non ci fosse stato il cambio di presidente, probabilmente saresti durato più a lungo.

Probabilmente sì.

Primo mondiale, Ponferrada 2014.

Facevo riunioni tutte le sere, cercando di trasferire ai corridori quello che avevano insegnato a me. Dopo il Tour, Nibali aveva perso smalto. Ulissi non c’era per squalifica. Aru era più adatto alle corse a tappe. Avevo coinvolto Ferretti e Luca Paolini, che correva con lo scooter sulla salita e poi mi riferiva. Ferretti mi diede consigli molto preziosi. Io non avevo mai guidato una squadra, lui poteva aiutarmi.

Secondo mondiale, Richmond 2015.

Sbagliai completamente, andò male per colpa mia. Non avevo corridori, perché al tempo Viviani e Nizzolo erano al di sotto dello standard di adesso. Mi interrogai molto sul mio ruolo, sull’incapacità di dare le indicazioni giuste. Applicai le dritte di Alfredo, senza rendermi conto che i corridori non erano come noi. Avevano bisogno di indicazioni e incarichi precisi, per svolgere il loro compito. Io non fui in grado di darli.

Quasi fossero meno autonomi di quanto foste voi?

Parlerei di abitudini e necessità. In ogni caso, dopo quel mondiale mi isolai per un mese. Andai in America da amici e da lì le cose cambiarono. Nel 2016 sappiamo bene come andarono le Olimpiadi, ma la squadra fu perfetta e disegnata bene. Perdemmo per una caduta che ad oggi resta la delusione più grande. Più del mondiale di Trentin, perso da uno più forte.

Terzo mondiale, Doha 2016. Dicemmo che forse si poteva puntare su Bennati.

Facemmo una bella corsa con Nizzolo capitano. Eravamo presenti nel ventaglio. Bennati fece un lavoro straordinario per tenere il gruppo. Guarnieri lanciò benissimo la volata e Giacomo arrivò quinto. Battuto da Sagan, Cavendish, Boonen e Matthews. Non gente di poco conto, insomma.

Eppure sembra che tu abbia miglior rapporto con il gruppo degli europei…

Si è creato un gruppo di corridori che si fidano l’uno dell’altro e hanno un grande attaccamento nei miei confronti. Non nascondo che se sono ancora qui lo devo anche a loro e alla vicinanza che mi hanno dimostrato un mese fa quando ho avuto un piccolo problema.

Il problema di Tokyo?

Quello.

Ti è mai capitato di rivederti in loro?

Spesso mi capita. Per la passione che ci mettevo, l’attaccamento per la maglia azzurra. Trentin è più forte di me, ma in tante cose è com’ero io. Oggi è tutto più esasperato, ma la loro voglia di esserci è identica.

Quarto mondiale, Bergen 2017.

Quello della scoperta di Bettiol, ma anche quello di Moscon squalificato.

Brutto episodio.

Nulla che non si veda di frequente in corsa. C’era stato un barrage e proprio mentre Gianni stava per rientrare, una macchina della giuria si fermò in mezzo alla strada. Gli dissi di prendersi alla borraccia e lo tirai per 7 secondi. Non l’ho più fatto da allora. 

Bettiol e Moscon, due ragazzi da seguire…

Che a volte non si rendono conto del loro talento. Ho cercato di stargli sempre vicino, provando a motivarli. Una cosa che Alfredo sapeva fare da grande maestro. Moscon in nazionale ha sempre fatto ottime corse, anche quando nella sua squadra faceva fatica.

Quinto mondiale, Innsbruck 2018. Tutti ad aspettare Nibali…

Ma Nibali cadde sull’Alpe d’Huez. A ben vedere non ho mai avuto la fortuna di fare un mondiale con i più forti al top della condizione. Nel 2018 vincemmo il primo europeo con Trentin, ma prima di Innsbruck ci fu la caduta di Vincenzo. Provammo a recuperare, ma andò male. Mentre a Moscon mancarono 100 metri sullo strappo per tenere Valverde.

Dopo l’argento di Malori nel 2015, negli anni è cresciuto anche il settore crono…

I successi di Ganna sono frutto di quel lavoro. Me ne parlò Villa, poi lo portammo a fare la Roubaix da junior e lo ripresero sono alla fine. Quando passò U23, chiamai Pinarello e gli dissi di trovargli una bici da crono e Fausto gli diede subito una Bolide. Giorni fa è venuto e mi ha regalato la maglia iridata di Imola con una dedica che mi ha toccato molto. Ma non è merito mio, bensì del lavoro trasversale e delle società che hanno accettato di collaborare con la federazione.

Un lavoro di cui sei orgoglioso?

Ma io non ho inventato niente. Ho ripreso il lavoro di Bettini, che a sua volta discendeva da quello di Ballerini. Ho sempre avuto una bella intesa con i cittì e i risultati si sono visti.

Hai lavorato anche tanto per propiziare eventi e far entrare sponsor.

E ne vado orgoglioso, ma non ho mai fatto l’organizzatore. Con il Giro d’Italia under 23 ho trovato due amici molto bravi (Marco Selleri e Marco Pavarini, ndr) che hanno fatto crescere il ciclismo dei giovani in Italia. Con Extra Giro è ripartito il ciclismo dopo il Covid. I mondiali di Imola sono stati un incontro tra forze diverse e sono costati un settimo di questi in Belgio. E quanto agli sponsor, non ho mai preso un euro. Tutto quello che è entrato, l’ho riversato sull’attività. Sono nate corse e ne vado molto orgoglioso.

Bettini ha detto che forse sei stato poco con i tuoi corridori.

Può avere ragione, ma quest’anno ho cambiato tutto e sono stato tanto con loro. Comunque l’unione c’è sempre stata, non mi hanno mai tradito.

Corridori oggi, corridori ieri…

Adesso è complicato. Hanno mille impegni, le squadre sono più esigenti. Prima erano famiglie, ora sono aziende. Hanno bisogno di compiti precisi e qualcuno che glieli dia, poi diventano infallibili. I giovani hanno la testa sulle spalle. In un momento in cui la fragilità riguarda tutti i ragazzi, i ciclisti sono persone solide. Abituati a faticare e correre. Ma alla base di tutto deve esserci la passione. Se manca quella, sono finiti.

Corridore, cronista, cittì: cosa ti resta di tutto questo?

Diventare corridore era il mio sogno. Da commentatore ho capito che potevo fare anche altro nella vita. Ho scoperto la capacità di scrivere che mi ha aperto il mondo del giornalismo. Ho visto il ciclismo da un altro punto di vista, dopo anni in cui con i corridori avevo soprattutto un rapporto di complicità.

E da tecnico?

Ho capito che non si può piacere a tutti. A un certo punto te ne devi fregare e lavorare con la massima onestà. Sei quello che sceglie fra un sogno che si realizza e un altro che naufraga. Fare le scelte è la parte più difficile.

I corridori ti hanno riconosciuto come uno di loro?

Direi di sì, all’istante. Se mi avessero percepito come un giornalista, non avrei avuto possibilità di entrare in sintonia con loro (lo ringraziamo, ridendo e ride anche lui alzando le mani, ndr). In questi giorni in Belgio abbiamo avuto un rapporto fantastico. Quando Ganna mi ha chiesto di non fare la prova su strada, era dispiaciuto perché ci teneva a correre il mio ultimo mondiale da cittì.

La riunione di ieri sera l’hai improvvisata o te l’eri preparata?

Sono andato a braccio, come sempre del resto. Ma sono stato determinato come all’europeo. Sono andato a braccio e li ho seguiti nelle loro risposte.

Alla fine puoi dire che ne sia valsa la pena?

Decisamente sì, è stata un’esperienza straordinaria per cui ringrazio la Federazione. E adesso mi godo l’ultimo mondiale. Al futuro e alle proposte che mi saranno fatte ci penseremo poi.

Bettini, dica lei: come è fatto il cittì della nazionale?

17.09.2021
6 min
Salva

Chissà se al momento di cercare un sostituto per Cassani qualcuno ha pensato per un secondo a Paolo Bettini. Il campione olimpico di Atene lasciò la nazionale alla fine del 2013, dopo aver visto sfumare il mondiale di Firenze con la caduta di Nibali. Alla partenza dal diluvio di Lucca, tutto l’ambiente si era accorto della presenza di Fernando Alonso. Il pilota spagnolo aveva rotto gli indugi e sembrava sul punto di lanciare la sua squadra di ciclismo. Bettini gli diede fiducia. Rinunciò a essere il cittì azzurro, ma alla fine non se ne fece niente.

Paolo era diventato cittì subito dopo la morte di Ballerini, per una sorta di obbligo morale dopo la lunga strada percorsa accanto all’amico Franco. La sua gestione azzurra, a parte alcune tensioni con il presidente Di Rocco, aveva avviato la nazionale lungo la direzione poi ripresa e sviluppata da Cassani. E soprattutto, nella nazionale di Bettini, i corridori stavano bene. C’erano i ritiri con i giovani delle altre categorie. I piloti dei caccia militari che parlavano di motivazioni. C’era l’orgoglio di appartenere a un club esclusivo, il cui comandante era uno di loro. Sceso da poco di bici, dopo aver vinto appunto tutto quello che c’era da vincere.

Bettini scelse di ritirarsi con la maglia azzurra: il mondiale di Varese fu la sua ultima gara
Bettini scelse di ritirarsi con la maglia azzurra: il mondiale di Varese fu la sua ultima gara
Perciò, caro Paolo, diccelo tu: cosa serve per fare il tecnico della nazionale?

Devi essere un grande psicologo con un’altrettanto grande esperienza sul campo. Un selezionatore che non prepara i suoi atleti. Nessun cittì dei professionisti prepara i suoi atleti, malgrado quello che a volte si sente dire. Il cittì attinge al patrimonio nazionale e crea il miglior gruppo squadra per caratteristiche personali e resa. Non è la pallavolo in cui scegli in base agli avversari. Da noi comanda il percorso.

Un… gioco facile, insomma?

Non scherziamo. La parte più brutta è scegliere. Lo capii al debutto, nel 2010. Non era un mistero che Pozzato e Bennati non si prendessero e io non ero Alfredo Martini, che era capace di mettere insieme Moser e Saronni. Perciò per Geelong scelsi Pippo e significò rovinare i rapporti con Bennati. Li abbiamo ricuciti da poco, ora andiamo d’accordo, ma non fu facile.

Bello poter scegliere…

Allora c’erano tanti corridori, più di adesso. Le generazioni non sono mai uguali, ma non significa che fosse più facile. Devi comunque amalgamare il gruppo e Cassani lo ha fatto bene, riprendendo il mio lavoro che a sua volta seguiva da quello di Ballerini. Con lui si può essere critici quanto si vuole, ma al suo palmares manca solo il mondiale. Il resto l’ha vinto.

Per il primo mondiale nel 2010, Bettini puntò su Pozzato, che arrivò quarto
Per il primo mondiale nel 2010, Bettini puntò su Pozzato, che arrivò quarto
Che cosa può aver sbagliato?

Detto che ha lavorato bene, siamo diversi perché io sentivo la gara come un corridore. A Londra vennero i grandi del Coni e provarono a forzarmi la mano per portarmi alla cerimonia inaugurale. Mi dissero che non era possibile che prima da corridore e poi da tecnico io non avessi mai visto quell’evento. Ce la misero tutta, ma io dissi che sarei rimasto senza anche quella volta. I miei ragazzi avevano bisogno di me. In quei momenti, anche se nella vita di ogni giorno fanno i fenomeni, hanno bisogno di appoggio. Una vicinanza psicologica e il cittì deve esserci. Prima, durante e dopo la gara. Ricordate le barzellette di Alfredo ?

Impossibile dimenticarle…

Con le sue battute e i suoi racconti che contenevano il mondo, facevamo anche mezzanotte la sera prima del mondiale. Quest’anno Davide si è isolato con la squadra prima degli europei di Trento e ha parlato della vigilia più bella. Ecco, se posso, le vigilie avrebbe dovuto viverle tutte così. Senza dover seguire le prove di tutte le categorie, insomma. E se mi permetto questa critica, è perché queste cose le ho fatte.

Adesso alla guida delle nazionali c’è Amadio.

Credo che sia la persona migliore in quel ruolo. Prima delle elezioni mi chiesero di fare un nome per il possibile commissario tecnico e io feci il suo, ma così è anche meglio. Mi ricordo nel garage di Stoccarda quando Ballerini gli disse che dopo l’esclusione di Di Luca non avrebbe fatto correre Nibali, ma avrebbe richiamato Tosatto. Ricordo gli urli di quel giorno. Per cui quando vennero i mondiali del 2013, in cui non avrei convocato nessuno dei suoi atleti della Liquigas, ero pronto a discuterci. In più, avrei dovuto chiedergli la presenza di Archetti come meccanico e il camion officina. Invece mi spiazzò. Mi disse che capiva che stavo facendo delle scelte e mi disse di chiedere quello che mi serviva e lui me l’avrebbe dato.

Ai mondiali 2011 l’Italia corse con Bennati capitano, qui con Visconti
Ai mondiali 2011 l’Italia corse con Bennati capitano, qui con Visconti
Dicci la verità, ti hanno proposto di tornare?

La verità? No e penso che la minestra riscaldata non sia buona. Ma parliamo di nazionale e avrei mancato di rispetto alla maglia azzurra se, qualora me lo avessero chiesto, non ci avessi almeno pensato.

Si parla di Fondriest, Pozzato, Bennati…

Maurizio è un grandissimo amico. Abbiamo condiviso tanti viaggi crociere con la Gazzetta e Giri d’Italia con Mediolanum. Però fa anche il preparatore e il procuratore. Pozzato uguale. Il più libero al momento è proprio Bennati. Ma questi sono discorsi teorici, perché se vale la regola che non devono esserci altri incarichi, Cassani sarebbe stato il primo a non poter essere nominato. Io fui etichettato come “cittì marchettaro”, perché il primo Giro d’Italia da tecnico lo feci con Mediolanum, senza costare un euro alla Federazione. Una parte della stampa mi asfaltò, mentre ora non ci si fa più caso.

Sei d’accordo con l’idea di un cittì a giornata?

Neanche per sogno. Significherebbe che la nazionale è diventata una baracchetta e il ciclismo smetterebbe di essere il secondo sport nazionale. Piuttosto, inventiamo il mestiere di tecnico della nazionale. Guardiamo ad esempio quanto guadagna quello del basket. Facciamo che il nuovo tecnico debba lasciare tutto quello che ha in ballo e firmi con la Federazione un contratto a progetto di 4 anni ben retribuito. Io sono andato avanti con contratti annuali, esposto alle critiche di 40 milioni di commissari tecnici. Ero l’ultimo a dover accettare quell’incarico, ma dissi di sì per rispetto verso Martini e Ballerini.

Il suo ultimo mondiale da tecnico fu Firenze 2013: qui con Nibali, in ricognizione sul percorso iridato
Il suo ultimo mondiale da tecnico fu Firenze 2013: qui con Nibali, sul percorso iridato
Quindi la strada giusta resta la loro?

Secondo me sì. Sono convinto che sia un ruolo talmente importante da dover essere un punto fisso. Il calendario ormai è strapieno di impegni, pari a quello delle altre discipline olimpiche, in cui il tecnico della nazionale è una figura di riferimento. E va pagato, come accade nelle altre federazioni.

EDITORIALE / Ripartiamo dai tempi di Zenoni e Fusi?

13.09.2021
4 min
Salva

L’11 ottobre del 1998 era di domenica. I mondiali juniores si correvano a Valkenburg e nella prova su strada degli juniores, un irlandese poco noto di nome Mark Scanlon si lasciò alle spalle Filippo Pozzato (foto di apertura). Il vicentino era convinto di vincere e non la prese affatto bene, per cui sul podio si mise in faccia il grugno migliore e ascoltò l’inno del vincitore come una marcia funebre. Aveva già conquistato il podio nella crono, terzo dietro Cancellara e Hieckmann, per cui il secondo piazzamento in pochi giorni gli parve insostenibile. Quando di questo si accorsero Davide Balboni e Antonio Fusi, tecnico di categoria e responsabile delle nazionali giovanili, Pozzato venne richiamato all’ordine perché non era possibile che un secondo posto venisse accolto come una sconfitta. Negli juniores si corre per fare esperienza e qualunque risultato va preso e analizzato, per farne tesoro la volta successiva.

Nel 2019 per De Candido l’oro nella crono con Tiberi, del Team Franco Ballerini
Nel 2019 per De Candido l’oro nella crono con Tiberi, del Team Franco Ballerini

Una vecchia casa (gloriosa)

Ventitré anni dopo, agli europei di Trento, è successo qualcosa che a suo modo ci ha riportato a quel giorno. Solo che in questo caso la parte dell’infuriato l’ha recitata il tecnico della nazionale, che ha puntato il dito contro i corridori e la loro passività. La storia è nota, ne stiamo discutendo da quel giorno, e ci permette di proseguire nell’analisi.

Il ciclismo italiano è come una gloriosa casa di campagna, costruita di pietra antica. E’ andata bene per decenni, ma quando si è trattato di ristrutturarla e adeguarla alle nuove normative tecniche, anziché ragionare su come farlo in modo duraturo e organico, si è cominciato ad aggiungere accessori e piani, senza sincerarsi che la struttura fosse in grado di sorreggerne il peso e fosse completamente compatibile.

Idee chiare

Il passo indietro è stato evidente, ma forse è visibile soltanto a chi c’era anche prima. Siamo passati da una nazionale presente e capace di coinvolgere le società, gestendo la preparazione degli atleti convocati, a una nazionale che non si intromette. L’ha raccontato bene ieri Luca Colombo. Zenoni, ha detto, e Fusi dopo di lui seguivano le corse in moto, prendevano appunti, sceglievano, si formavano un’idea e la portavano avanti sino in fondo. Nessuno era a favore di Gualdi nel 1990 in Giappone, ma Gualdi divenne campione del mondo. Nessuno avrebbe lasciato a casa Bartoli per fare posto a Casartelli a Barcellona 1992, ma Fabio divenne campione olimpico. Nessuno nel quartetto avrebbe tolto di mezzo lo stesso Colombo a Oslo 1993, ma Fusi inserì Fina e vinse il mondiale con la Cento Chilometri.

Selezionare non basta

Il cambiamento lo vollero il presidente Di Rocco e i suoi consulenti tecnici a partire dal 2005. Non più tecnici giovanili che preparano, bensì largo ai selezionatori. Così dai tempi di Zenoni e Fusi, capaci anche di porre un argine all’eccesso di attività dei più giovani con provvidenziali raduni in altura, si è lasciato tutto in mano alle squadre. Si fissa la data e sta a loro portarceli tirati a lucido. Ma come? Sono iniziati gli eccessi, il conteggio delle vittorie, l’abuso tecnologico e la gestione smodata di talenti che arrivano al professionismo già spremuti.

Nibali fu il risultato della prima gestione, che lo accompagnò longitudinalmente dagli juniores agli under 23 e poi al professionismo. Oggi non c’è regia. Si formano le squadre e si va alle corse senza alcuna garanzia tecnica che andrà bene. Qualcuno in tutto questo ha davanti agli occhi un progetto a lungo termine per i ragazzi che vestono l’azzurro sin dagli juniores?

Fondriest, a breve l’incontro. E poi sapremo se sarà lui il cittì

25.08.2021
4 min
Salva

Neanche il tempo che uscisse l’indiscrezione e la pioggia dei messaggi ha inondato il telefono di Maurizio Fondriest, 56 anni, candidato prescelto come cittì della nazionale dei professionisti che a ore avrà un incontro con la struttura federale per capire che cosa gli proporranno. E’ chiaro che ci sia più di un’idea e che molto probabilmente le cose andranno così, ma c’è prima tutta una serie di tasselli da mettere a posto. Primo fra tutti il suo impegno con un gran numero di atleti che in lui e in Paolo Alberati hanno riposto fiducia per la loro crescita nel ciclismo e dovranno rassegnarsi a fare senza.

Maurizio sta vivendo giornate complicate, la presenza della Federazione in Val di Sole per i mondiali di mountain bike renderà se non altro più agevole la logistica dell’incontro, dato che nel weekend il campione del mondo di Renaix 1988 partirà per due settimane.

Cordiano Dagnoni e Maurizio Fondriest si conoscono da un pezzo. Maurizio lo ha sostenuto alle elezioni Fci
Cordiano Dagnoni e Maurizio Fondriest si conoscono da un pezzo. Maurizio lo ha sostenuto alle elezioni Fci
Che cosa manca perché ci sia la fatidica firma?

Che me lo chiedano ufficialmente. Quando poi questo accadrà, dovrò fare le mie valutazioni in base a quello che potrò fare come cittì.

Fai il prezioso oppure ci sono davvero degli impedimenti?

Ho un impegno morale con i miei corridori, dovrò vedere cosa fare. Per alcuni juniores sono un riferimento. E’ vero che passano under 23 e non ho da trovargli un contratto, ma il nostro lavoro con loro è farli crescere. Seguire la preparazione. Confrontarci dopo le gare. Provare a farne dei corridori perché un giorno possano diventare professionisti e a quel punto proporli a squadre che sappiano valorizzarli. E’ un ruolo importante che mi sono costruito negli anni e a cui tengo.

Ci sono anche altri impegni con sponsor, probabilmente…

C’è Alpecin di cui sono immagine. C’è Mediolanum. C’è la collaborazione con le crociere della Gazzetta. Non posso alzarmi una mattina e dire a tutti che dovranno arrangiarsi. E poi voglio vedere se con la mia mentalità sarò compatibile con quello che mi proporranno.

E’ un incarico che ti sarebbe sempre piaciuto, questo si sa…

Certo, ma come ho appena detto a mia moglie, non voglio andare avanti nel pensiero finché non saprò esattamente di cosa stiamo parlando. Ho parlato di questo anche con Cassani, che fino al 30 settembre è il cittì della nazionale, con cui sono da sempre in ottimi rapporti. 

Si parlò di te come cittì anche prima della nomina di Ballerini e poi saltasti nuovamente fuori prima che venisse scelto proprio Cassani.

Il mio nome viene spesso fuori, ma di fatto anche in quelle occasioni nessuno mi disse nulla. Chi mi dice che assieme a me in queste settimane non abbiano parlato anche con altri? Ma per me non è un problema.

Che rapporti hai con Dagnoni?

Ero andato a trovarlo nel suo ufficio tempo fa assieme a Giuseppe Saronni, per il progetto sui campioni del mondo. Beppe era curioso di vedere che cosa avesse in mente, ma di questa cosa non si è proprio parlato. Siamo amici, siamo stati in stanza insieme alla mia prima convocazione in nazionale. Andai a fare il Giro di Grecia con gli stayer, guidati da Domenico De Lillo, e divisi la stanza con lui. Sono passati tanti anni e durante le elezioni federali ho spinto per lui, perché credo che sia una persona in gamba con delle buone idee.

Se la proposta ti convince, credi che la situazione più insormontabile sia quella legata ai corridori che segui?

Da una parte è complicato, ma Paolo (Alberati, ndr) è cresciuto tanto in questi anni. Credo che facendo le giuste mosse, si potrebbe organizzare la mia uscita.

A breve l’incontro. Poi probabilmente Maurizio si prenderà il suo tempo per decidere. Con lui, come Vialli per Mancini sulla panchina della nazionale di calcio, potrebbe arrivare con un ruolo di importante consulenza anche Gianni Bugno. Ma una cosa è certa, il lavoro per rifondare l’attività della nazionale per come la immaginano Dagnoni e Amadio richiede tempo. Come ha appena detto anche lui però, stiamo a vedere che proposta gli faranno. E se, come sempre Maurizio ha fatto notare, nel frattempo la Federazione ha portato avanti altre piste.

In cucina con Mirko nel ritiro degli azzurri in Giappone

23.07.2021
4 min
Salva

La crisi di fame fa perdere mondiali o Giri d’Italia: per informazioni chiedere a Mathieu Van der Poel (Yorkshire 2019) o a Cadel Evans (Giro 2002). Spesso le condizioni atmosferiche contribuiscono a far cadere i corridori in questa infima trappola e proprio caldo e umidità, che in questo periodo soffocano Tokyo, saranno due avversari in più dei corridori che si contenderanno le medaglie olimpiche all’ombra del Fuji.

La nutrizionista Laura Martinelli, ha parlato dell’acclimatazione, necessaria per i corridori per rendere al meglio e che comprendeva anche una dieta mirata. Gli azzurri la seguiranno e il cuoco della federazione, Mirko Sut direttamente dal Giappone, ci svela qualche segreto, aprendoci le porte della cucina dell’albergo esclusivo in cui alloggiano ragazzi e ragazze delle prove in linea e a cronometro.

Azzurri pronti per il primo allenamento in terra giapponese
Azzurri pronti per il primo allenamento in terra giapponese
Clima soffocante, 234 chilometri da percorrere, 4.865 metri di dislivello. Come si prepara a tavola una corsa così?

Bisogna bere e mangiare frutta e verdura. Tanta. La pre-idratazione è fondamentale. Gli italiani hanno il vantaggio di venire da un Paese caldo che abitua a correre ed allenarsi a certe temperature.

State seguendo una dieta particolare per combattere il fuso orario?

Iniziamo un po’ prima la colazione per quei corridori che riescono a dormire meno, alle 6,15 sono già in cucina. Per il resto il ritmo è sempre quello: colazione, allenamento, pranzo in hotel, massaggi, cena.

Quante calorie si spenderanno durante le 7 ore di corsa?

Dipende da corridore a corridore e dal suo ruolo. In media si bruceranno 5-6mila calorie. L’importante sarà bere acqua, maltodestrine e sali minerali: la regola è che bisogna integrare tutto quello che si perde e non è affatto facile durante una corsa stressante.

Il Fuji visto dal’hotel azzurro: sembra l’Etna, ma è alto 400 metri di più
Il Fuji visto dal’hotel azzurro: sembra l’Etna, ma è alto 400 metri di più
Quante calorie si dovranno assumere a colazione?

Un migliaio che deriveranno dalla fonte principale di carboidrati (riso, pasta, crostata senza burro) e dalle proteine per cui propongo omelette, pancake, porridge di avena. 

E’ stato difficile reperire frutta e verdura in Giappone?

L’albergo in cui alloggiamo ci ha fatto trovare frutta e verdura di qualità, sana, gustosa, biologica, italiana insieme a pasta, bresaola, prosciutti. Per noi italiani è fondamentale trovare cibi uguali a quelli che assumiamo durante l’anno, è un aiuto a sentirsi a casa e a correre meglio. 

Durante la gara cosa mangeranno i corridori?

Alimentazione standard con un aumento di liquidi per contrastare l’alta sudorazione. Quindi: barrette, gel, panini dolci e salati. A Tokyo, grazie a Roberto Amadio, abbiamo trovato una panetteria gestita da una ragazza che ha lavorato in un panificio italiano. Ci ha preparato i classici “paninetti” al latte, da ciclista seguendo la ricetta italiana.

Prove di Monte Fuji per Moscon e Caruso, la corsa sarà durissima
Prove di Monte Fuji per Moscon e Caruso, la corsa sarà durissima
E le rice cake che hai contribuito a far diventare famose in gruppo…

Sono composte dal riso che si usa per il sushi, viene fatto cuocere tantissimo fino a diventare colloso. A quel punto viene impastato con banana schiacciata o miele e messo in frigo a raffreddare; una volta pronto lo si taglia in tante barrette.

Sappiamo che cerchi di inventare sempre qualcosa che appaghi il palato dei corridori. Il Giappone ti ha ispirato?

Sto cercando di proporre piatti che richiamano la cucina orientale. Preparerò ad esempio del tonno giapponese, buonissimo. Non esagero però con la fantasia perché i corridori sono molto fedeli alla loro dieta.

E’ difficile gestire gusti diversi?

Non lo è perché sono tutti molto preparati e perché li conosco bene. Amano i piatti classici come la pasta e la crostata e se hanno esigenze li assecondo cercando anche di anticiparli.

A che cosa non può rinunciare Vincenzo Nibali?

Alla crostata che preparo con marmellate diverse. Non c’è tutti i giorni e la propongo solo a colazione, ma quando c’è gli piace molto.

Il cittì Davide Cassani segue l’alimentazione?

E’ molto attento, gli piace chiedere e conoscere. Lo staff ha lo stesso menu dei corridori, quindi sa tutto.

Vedendoli a tavola ogni giorno riesci a capire come stanno le gambe?

Posso solo dire che il clima nel gruppo è positivo.

Compri, la forza giusta per il quartetto fra strada e palestra

11.06.2021
5 min
Salva

Un boccone tira l’altro. Così, dopo le parole di Scartezzini sul gap di forza fra gli uomini del quartetto che hanno lavorato tanto in palestra e gli stradisti reduci dal Giro, abbiamo chiamato in causa Marco Compri, figura chiave del Centro Studi Federale, preposto al lavoro in palestra. Rendendoci conto che un conto è il vecchio approccio un po’ sognatore del “prendi la bici e vai” e altra cosa è preparare le Olimpiadi 2020 su pista. Non ti inventi niente!

Lavori di equilibrio e stabiltà, necessari al passaggio dalla strada alla palestra: qui Ganna
Lavori di equilibrio e stabiltà, necessari al passaggio dalla strada alla palestra: qui Ganna
Ha ragione Scartezzini: per Viviani e soci si annunciano tempi duri?

I ragazzi hanno un protocollo per i lavori di forza, sia che vengano dal Giro, sia che siano stati a Livigno per allenarsi. Chiaro che quando arrivi dopo tre settimane di corsa, è necessaria una fase di adattamento prima di approcciare lavori prossimi ai massimale, soprattutto con esercizi complessi come lo squat, che richiede un perfetto controllo della tecnica esecutiva, altrimenti si rischia di farsi male. Non a caso nei giorni a Livigno, Elia ha caricato  con la pressa e non con lo squat.

Parliamo di lui, allora, visto che lo segui direttamente. Che cosa ha significato per lui fare il Giro?

Ha accumulato rilevanti volumi di resistenza alla forza per cui ora è il momento di fare il richiamo dei massimali. Chi invece era già a Livigno ad allenarsi ha mantenuto la confidenza con i gesti e l’affinità con i carichi. Quando è salito a Livigno dopo il Giro, Elia ha iniziato questa fase di adattamento. Siamo in contatto costante con lui e Diego Bragato e abbiamo concordato che la settimana scorsa sarebbe stata usata per riprendere confidenza con il gesto, in riferimento allo squat.

I balzi con i pesi servono ad accrescere l’esplosività
I balzi con i pesi servono ad accrescere l’esplosività
Palestra è solo questo?

No, appunto. Si lavora anche al core stability. Su esercizi complementari legati alla funzionalità dei gesti. Poi si cura l’esplosività, facendo balzi di vario tipo. Non tutti hanno la stessa consuetudine con la palestra, per cui il lavoro non è tanto una ricerca del carico fine a se stessa, ma tutela del corridore.

A cosa è serve allora andare a correre alla Adriatica Ionica Race?

Dal punto di vista metabolico, sarà una ripresa di intensità, mantenendo però la frequenza del lavoro. Si tratta di una corsa di tre giorni, non cambia niente e si può inserire benissimo nella programmazione del lavoro. Invece nella corsa di tre settimane la dimensione dei massimali di forza si riduce perché prevale la resistenza.

Meglio il Giro e poi il lavoro di qualità oppure quello che hanno fatto Scartezzini e gli altri?

Non esiste un meglio o un peggio, bisogna gestire le situazioni che si presentano. Come allenatori abbiamo il monitoraggio dei valori per qualità e quello che non si riesce a coprire con le gare, lo copriamo con gli allenamenti.

Riunione fra tecnici a Montichiari: da sinistra Villa, Lupi della Bmx, Marco Compri e Diego Bragato
Riunione fra tecnici a Montichiari: da sLupi della Bmx, Marco Compri e Bragato
Qual è il vantaggio di fare un Giro d’Italia?

La prerogativa, non so se sia giusto parlare di vantaggio, è che al Giro si mette insieme un grosso volume di lavoro, che permetterà poi all’atleta di concentrarsi su lavori di altissima qualità, sapendo di poggiare su una base molto solida. Gli altri avranno bisogno di aggiungere volume ed è il motivo per cui Villa ha valutato di portarli a correre in Sardegna.

Il Giro e la preparazione in palestra sono in qualche modo paragonabili?

Facciamo una premessa. Quando si lavora sulla forza si ragiona sui massimali, sulla forza resistente e sulla resistenza alla forza. Elia al Giro ha sicuramente lavorato tanto sulla resistenza alla forza , lavori che gli altri a Livigno hanno fatto in bici. Le esperienze sono equiparabili, l’importante, il punto di arrivo è lo stesso per tutti. Fra una decina di giorni dovremo allinearli sapendo che si trovano tutti allo stesso punto o con poca distanza fra loro.

Questi lavori di forza andranno avanti fino a Tokyo oppure a un certo punto si interromperanno?

Finché potremo, continueremo a richiamare la forza. Non sappiamo come sarà in Giappone, ma se non fosse possibile, continueremo comunque a lavorare sulla componente esplosiva tramite i balzi. C’è da dire che raggiunto il massimale, la situazione resta stabile per 10 giorni.

Per Ganna e Scartezzini, due diversi percorsi di avvicinamento
Per Ganna e Scartezzini, due diversi percorsi di avvicinamento
Palestra e bici restano integrate oppure una ha il sopravvento?

Sono e devono essere integrate e complementari. La componente aspecifica, cioè quella con preponderanza della palestra, magari sarà più utilizzata quando l’evento è lontano. Poi, avvicinandosi l’appuntamento, si andrà a intensificare la componente specifica, cioè la bici. A Montichiari ora abbiamo la palestra e combinare le due fasi è molto più semplice. In assoluto però non c’è mai solo una oppure l’altra.

E comunque l’approccio con la palestra è molto cambiato…

Notevolmente. E’ cambiata la consapevolezza degli atleti, che una volta usavano la palestra d’inverno e solo pochi velocisti facevano richiami nei periodi morti della stagione. Ed è cambiata l’impostazione stessa del lavoro in palestra, che ci permette di fare quei lavori che in bici non sono possibili.

Il viaggio di Castelli da Rio a Tokyo, fra vento e caldo umido

10.06.2021
5 min
Salva

Come nasce la maglia per andare alle Olimpiadi? In un ciclismo in cui i dettagli sono ormai il vero ago della bilancia e vengono disegnati nel vento perché uno svolazzare di tessuto può fare la differenza fra l’oro e il nulla, in cui il caldo umido spinge verso un tessuto piuttosto che un altro, che cosa c’è dietro i body quasi argentati con cui correranno gli italiani a Tokyo?

Una premessa è d’obbligo, i body sono in fase di realizzazione proprio in questi giorni: la maglia presentata ieri a Roma servirà per gli allenamenti ed è stata utile per far vedere la grafica.

Tre anni di studio

«Il cammino è stato lungo – ha spiegato Alessio Cremonese, Amministratore Delegato di Manufattura Valcismon che in apertura è con Viviani e Roberto Amadio – ed è iniziato tre anni fa in collaborazione con il Politecnico di Milano e i necessari passaggi in galleria del vento, alla ricerca della riduzione del materiale e del massimo miglioramento aerodinamico, in una fase in cui l’aerodinamica è diventata cruciale».

Clima decisivo

Si è parlato di scelte tecniche legate al clima caldo umido di Tokyo ed è una costante nel disegnare le maglie olimpiche. Già nel 1992, gli azzurri corsero con una divisa celeste su strada e azzurra in pista. Ad Atlanta e Sydney si tornò a un azzurro venato di bianco e di verde. Ad Atene si scelse il bianco e così pure a Pechino, Londra e anche Rio. Dove non arriva la tecnica, si spinge poi il marketing e tutto sommato l’idea di offrire ogni quattro anni un prodotto innovativo dalla grafica rinnovata tira anche sul mercato.

Alessio, quando si è assodato che farà caldo e sarà umido, come vi siete mossi?

Ci siamo messi al lavoro per individuare nuovi tessuti e reingegnerizzare il prodotto, tenendo conto anche delle diverse esigenze di vestibilità.

Si parte dall’ultimo body e si va avanti?

Ne teniamo conto, ma in cinque anni ci sono stati nuovi studi per cui il body 2021 sarà piuttosto diverso da quello di Rio.

In che misura incide la collaborazione con gli atleti?

E’ molto importante. Gli atleti provano i prodotti: quelli che già sono sponsorizzati da noi e quelli del giro della nazionale. Devono stare comodi e sanno in che modo una cucitura possa essere spostate perché non dia fastidio. 

Nel 2004 per Bettini maglia Sportful e tutta bianca
Nel 2004 per Bettini maglia Sportful e tutta bianca
In che modo si conciliano vestibilità e aerodinamica?

Utilizzando cinque tipi di tessuto e individuando un taglio unico che permette al body di mantenere la pressione e variare la compressione nei punti in cui deve esserci l’aderenza perfetta. Ormai si sta andando verso maniche sempre più lunghe, calze più alte e pantaloncini al ginocchio. Se non ci fossero delle limitazioni da parte dell’Uci, si potrebbe quasi immaginare il body integrale.

Quando costa realizzare un body come questo?

Non poco. Il singolo capo, la realizzazione del prototipo costa intorno ai 1.000 euro. La galleria del vento la paghi a ore, migliaia di euro ogni ora. E quando sei lì provi tanti capi e tanti abbinamenti per trovare quello più efficiente. Infine considerate che per occasioni come le Olimpiadi, ogni atleta avrà il suo capo su misura.

Avevamo scoperto che il giovane Ganna fece da manichino per Ryder Hesjedal: chi fa ora da manichino per Pippo?

Ora fa da sé, perché è molto disponibile ed è stato da noi anche pochi giorni fa. E’ chiaro che ognuno ha le sue esigenze. Il body di Ganna per la crono è diverso da quello dell’inseguimento perché si corre all’aperto con quel caldo umido di cui abbiamo detto. Il body dello stradista per lo stesso motivo non ha troppo a che fare con quello che useranno in pista per le gare di gruppo.

Il tempo di correre a Tokyo e poi le divise saranno in commercio?

Sia per un fatto di regolamenti, dato che possono usare solo prodotti in commercio, sia perché se il risultato è buono, la maglia si vende molto bene. Durante la presentazione si è detto che diventa il simbolo della Nazione e i riscontri non mancano. La maglia della nazionale si vende bene nelle località di vacanza, perché i turisti la portano via come se portassero una bandiera.