Le Tour Femmes

Dopo gli uomini, fari sul Tour Femmes con Giada Borgato

26.10.2025
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Dopo aver puntato i fari sul Tour de France uomini con Stefano Garzelli, facciamo la stessa cosa con il Tour de France Femmes insieme a Giada Borgato. Due ex corridori, due attuali commentatori Rai, due super competenti. La Grand Boucle in rosa si compone di nove tappe e 1.175 chilometri e, rispetto a quella maschile, sembra ancora più dura.

Tre tappe piatte, ma una è lunghissima. Tre movimentate, una crono, l’arrivo sul Mont Ventoux e la frazione finale con il Col d’Eze, che di fatto diventa mezza montagna. Un percorso complesso, che analizziamo con Borgato.

Giada Borgato, ex pro’ oggi commentatrice tecnica per la Rai (foto Instagram)
Giada Borgato, ex pro’ oggi commentatrice tecnica per la Rai (foto Instagram)
Giada, Tour de France Femmes: che impressione ti fa?

E’ bello mosso. Abbiamo un arrivo in salita secco al Mont Ventoux e quello è l’unico arrivo in quota, per le scalatrici, dove si deciderà quasi del tutto la classifica. Per il resto è molto mosso. Ci sono tante tappe da fughe, da fughe di qualità, c’è la crono ed è abbastanza lunga. E poi per le velociste hai poche occasioni, perché le prime due tappe non sono facilissime. La prima, per esempio, ha un arrivo su uno strappetto, quindi anche lì non sarà semplice.

Abbiamo notato che la crono è praticamente identica a quella maschile. Sia nel chilometraggio che nel profilo…

La crono è bella, anche dura, perché c’è quella salitina con una punta massima al 7,3 per cento, quindi importante. E’ comunque una crono lunga e se ne vedono poche così durante l’anno nel ciclismo femminile. Nel 2023 c’era quella di Pau, di 22,6 chilometri, poi nel 2024 quella di Rotterdam, ma era breve, meno di 7 chilometri. Vinse Demi Vollering, che quel giorno andò in maglia gialla. L’anno prima aveva vinto Marlen Reusser, ma su una distanza ben più lunga.

E Kopecky guadagnò terreno…

Quest’anno la crono sarà importante per la generale. Poi sarà positiva per certi tipi di atlete e negativa per altre, come Kasia Niewiadoma, che non va fortissimo nelle cronometro e potrebbe perdere qualcosa. Peggio ancora per le scalatrici come Gigante, Fischer-Black e Gaia Realini: potrebbero lasciare secondi preziosi.

Il percorso dell’edizione 2026. Partenza da Losanna (Svizzera) e arrivo a Nizza dopo 1.175 km
Il percorso dell’edizione 2026. Partenza da Losanna (Svizzera) e arrivo a Nizza dopo 1.175 km
Quella e il Ventoux saranno decisive per la generale dunque?

Saranno importanti. Diciamo che crono e Mont Ventoux delineeranno l’80-90 per cento della classifica. Il resto lo farà il Col d’Eze nella tappa di Nizza, che arriva a fine Tour quando la stanchezza si fa sentire. E’ una tappa breve, circa 100 chilometri, un continuo su-giù sull’Eze che può diventare più duro del Ventoux stesso.

La sensazione, Giada, è che sia un Tour in cui la squadra conta tantissimo. Sei d’accordo?

Conta molto perché ci sono tante tappe da fuga. Per esempio, la terza tappa da Ginevra ha una salita di 11 chilometri all’inizio: lì può partire una fuga. Non vedo rischi per la generale, ma potrebbe essere una tappa per le fuggitive. La quinta frazione, quella successiva alla crono, conta otto Gpm, con una salita lunga all’inizio e poi tante brevi.

Quindi vedi che è rischioso: se parte qualcuno di classifica, si spacca tutto…

Sì. Arrivi dal giorno del cronometro e chi ha perso tanto potrebbe tentare qualcosa. Se parte una di classifica, devi avere una squadra forte per chiudere o per controllare. Dopo la crono, quella tappa può diventare pericolosa: qualcuna potrebbe buttarsi dentro in fuga per recuperare o cambiare le carte.

In teoria questo Tour Femmes suggerisce squadre specifiche. Cioè non puoi fare team misti con velocista e donna di classifica. E’ così?

Dipende. Prendiamo la SD Worx: ha Wiebes e Van der Breggen, cosa fa, non porta Wiebes? Idem la FDJ-Suez, con Vollering e Wollaston. Magari la sprinter si arrangia, ma le sue volate le farà. Le squadre ci tengono a vincere tappe e al Tour portano sempre le migliori.

E se scappa qualcuna in avvio, chi controlla?

La maglia verde ha la sua importanza, ma serve una velocista di alto livello o una donna da classifica. Se portano una sprinter è perché hanno quasi la certezza di poter vincere o fare podio, altrimenti scelgono le sei migliori per la generale.

Le donne scalarono il Gigante di Provenza nel 2022 quando vinse Marta Cavalli, e nel 2023 nella Mont Ventoux Dénivelé Challenge (foto Maheux)
Le donne scalarono il Gigante di Provenza nel 2022 quando vinse Marta Cavalli, e nel 2023 nella Mont Ventoux Dénivelé Challenge (foto Maheux)
Visti i suoi miglioramenti in salita, la crono lunga e la partenza dalla Svizzera: questo Tour Femmes può sorridere a Marlen Reusser?

Proprio ieri facevo un censimento delle ragazze che vanno forte in salita e a cronometro. E pensavo a lei. Quando fecero la crono di Pau di 22,6 chilometri, vinse proprio Reusser. Quindi punterà molto sulla crono e poi dovrà salvarsi sul Mont Ventoux. Quello è il suo unico ostacolo. Ma è grosso, grosso, grosso.

Però quest’anno è andata forte in salita…

Sicuramente Reusser metterà il Tour Femmes tra gli obiettivi del 2026. Ma il Mont Ventoux non è una salitina qualsiasi. E’ lunghissimo, con pendenze sempre alte e il problema dell’altitudine: a un certo punto non ci sono alberi, l’aria è rarefatta e diventa difficile respirare. Lì non so come potrà comportarsi rispetto alle altre. Il Ventoux è una salita diversa da tutte.

Potrebbe esserci una sorpresa?

Le solite Vollering, Niewiadoma… ma su un percorso così è difficile dire una favorita secca. Penso a Fischer-Black, Gigante o Ferrand-Prévot che potrebbero staccare Van der Breggen, Reusser, Vollering e Elisa Longo Borghini sul Ventoux. Ma nella crono il gioco si ribalta.

Marlene Reusser nel 2023 quando vinse la lunga crono del Tour
Marlene Reusser nel 2023 quando vinse la lunga crono del Tour
E’ un bell’incastro. Questo dovrebbe garantire spettacolo…

Sì. Anche la salitina nella crono potrebbe sembrare favorevole alle scalatrici, ma è una salita da fare di potenza. Per me sarà un Tour che rimarrà aperto fino alla tappa di Nizza.

Per questo abbiamo detto che conta molto la squadra: la quinta tappa dopo la crono è un trappolone annunciato…

E’ vero. Tanti GPM, salite e discese, e nove giorni di corsa al massimo. Ricordate che un anno fa, parlando sempre del Tour, dicemmo: «Occhio alle prime tappe per le cadute». Ebbene, ce ne sono state tantissime nei primi tre giorni. Ci sono tanti fattori da considerare, anche i chilometraggi.

In che senso?

Al Tour Femmes sono sempre lunghi. L’ottava tappa, sì, è pianeggiante, ma misura 175 chilometri: credo sia la terza più lunga della storia del ciclismo femminile. E arriva dopo la montagna del Ventoux e prima del Col d’Eze. Ripeto, per me questo può essere il Tour Femmes.

Paret-Peintre, il re del Ventoux ha fiutato l’Angliru

25.08.2025
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TORINO – Se sei francese e arrivi a braccia alzate sul Mont Ventoux al Tour, la tua vita non sarà mai più la stessa. Valentin Paret-Peintre sa bene che quell’istantanea dello scorso 22 luglio rimarrà per sempre scolpita nella sua mente e nella storia dello sport transalpino. Però, al tempo stesso, non è nemmeno tipo da sedersi sugli allori e ha già nel mirino la prossima impresa.

Suo fratello maggiore Aurélien ne aveva predetto l’ascesa quando ancora non si era affermato al Giro ed aveva ragione, forse perché conosceva bene la sua caparbietà. Dopo la fuga vincente di Cusano Mutri nel 2024 e l’apoteosi in cima al colosso provenzale, ora il ventiquattrenne della Soudal-Quick Step è alla Vuelta con un solo obiettivo: chiudere il cerchio e imporsi anche nella corsa spagnola. Diventando così uno dei corridori capaci di trionfare in almeno una frazione in ciascuna delle corse di tre settimane. E visto che ama sognare in grande, Valentin fa l’occhiolino a un’altra salita mitica di questa edizione.

Sul Mont Ventoux, Paret Peintre ha avuto ragione di Healy con l’ultimo scatto
Sul Mont Ventoux, Paret Peintre ha avuto ragione di Healy con l’ultimo scatto
Valentin, quanto è cambiata la tua vita dopo la vittoria in una tappa così iconica al Tour de France?

In Francia è stato qualcosa di pazzesco, ma forse ancora di più per Paesi come il Belgio. Lì magari conoscono solo il Mont Ventoux o poche altre salite del Tour, per cui per loro ha un significato persino maggiore. La mia vita è cambiata moltissimo. Mentre mi alleno, mi è capitato che alcune volte qualche macchina mi abbia superato e si sia fermata a bordo strada solo per fotografarmi e devo dire che è davvero folle.

Ora che è passato un po’ di tempo, ci racconti a freddo che cosa ha voluto dire per te?

Ho provato spesso a pensare ad altro e a non rimanere troppo legato a quel giorno o alle vibrazioni positive che mi ha lasciato l’ultimo Tour de France, ma a volte è impossibile. Mi capita di vedere qualche video sui social, magari per caso, e quello che provo è ancora speciale, pure a distanza di settimane. E’ stato dieci volte più grande rispetto a vincere al Giro, anche perché non dovevo nemmeno correre il Tour e poi ero lì per aiutare Remco. Dopo il suo ritiro, ho avuto maggiore libertà, ma non avrei mai pensato di vincere una tappa al Tour nella mia vita, tantomeno di riuscirci così presto. 

Tuo fratello aveva detto che saresti arrivato e così è stato. E adesso?

Ora il mio obiettivo è di vincere anche alla Vuelta, così da entrare nel club ristretto dei corridori che sono riusciti a lasciare il segno in tutti e tre i Grandi Giri. Vincere al Giro o al Tour è stato davvero stupendo, forse stavolta sarà persino più facile, se posso dirlo. Non mi aspettavo di vincere così presto al Tour de France, per cui ora sono davvero convinto di avere le carte in regola per chiudere la mia personale trilogia.

Giro d’Italia 2024, a Cusano Mutri il filiforme Valentin Paret Peintre vince con 29″ su Bardet
Giro d’Italia 2024, a Cusano Mutri il filiforme Valentin Paret Peintre vince con 29″ su Bardet
Oltre a puntare alla vittoria di tappa aiuterai anche il tuo compagno di stanza Mikel Landa?

Con lui siamo grandi amici. Vediamo come si sentirà nei primi giorni e valuteremo se potrà puntare a un piazzamento nella classifica generale o se anche lui metterà nel mirino qualche vittoria di tappa. La prima settimana sarà cruciale per capire quale sarà la miglior tattica da adottare.

Hai messo nel mirino qualche frazione in particolare?

Alla Vuelta è tutto molto più aperto e bisogna cogliere ogni opportunità che si presenta davanti. Certo, non sarebbe per niente male vincere al Ventoux e sull’Angliru nello stesso anno, ma sarà dura riuscirci. 

Trovi che la Vuelta sia molto diversa dagli altri due Grandi Giri?

Sì, decisamente e l’ho già notato l’anno scorso. Devi sempre attivare la “modalità attacco” perché non si sa mai cosa può succedere, anche nelle tappe più piatte. E’ una lotta ogni giorno e ogni tappa può essere quella giusta.

Sei pronto all’accoppiata Tour-Vuelta dopo aver corso Giro e Vuelta l’anno passato?

Adoro le corse di tre settimane, sono il mio pane. Sono convinto di recuperare molto più velocemente rispetto a tantissimi altri e mi sento sempre benissimo nelle ultime frazioni. Nei Grandi Giri, mi guardo attorno e vedo tutti che sentono la fatica, mentre io miglioro giorno dopo giorno e mi automotivo. Questa è la cosa che mi piace di più.

Valentin Paret Peintre, classe 2001, è pro’ dal 2022: 1,78 per 52 kg da quest’anno è alla Soudal
Valentin Paret Peintre, classe 2001, è pro’ dal 2022: 1,78 per 52 kg da quest’anno è alla Soudal
Sei pronto anche per indossare la maglia della nazionale francese sul finale di stagione?

Devo dimostrare nella Vuelta quanto valgo e mi piacerebbe partecipare al mondiale, ma anche all’Europeo, visto che correremo in Francia, a circa due ore da casa mia. Entrambi i percorsi si addicono alle mie caratteristiche, per cui farò di tutto per essere selezionato. Ho parlato con Thomas Voeckler e lui è curioso di vedere come arriverò all’ultima settimana della Vuelta.

In generale, come ti sei trovato con la nuova casacca?

Devo dire che tante piccole cose sono cambiate rispetto al passato. Nel Wolfpack si parte sempre per vincere, in ogni corsa, e adoro quest’attitudine, che si addice di più a me. Ci prendiamo anche dei rischi per inseguire il successo a tutti i costi, mentre alla Decathlon AG2R non accadeva così. 

Tornerai al Giro l’anno prossimo?

Spero proprio di sì, è una corsa che adoro. La mia fidanzata vive sul versante francese del Moncenisio, per cui mi alleno spesso anche sul versante italiano e mi piace molto. Dopo il Tour, sono stato in Italia per alcuni allenamenti e mi è piaciuto che quasi ogni ciclista che mi ha incrociato mi abbia gridato: «Ehi, Paret-Peintre, complimenti!». E’ un po’ la mia seconda casa. Inoltre, qui c’è una grande conoscenza del ciclismo e lo si vede anche con questa partenza della Vuelta da Torino. Sono felicissimo di avere tanti tifosi italiani così calorosi.

Non il solito Pogacar, ma quanto basta per arginare Vingegaard

22.07.2025
7 min
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MONT VENTOUX (Francia) – Che sia stato per una crepa o un leggero malessere, la tattica del UAE Team Emirates è parsa subito insolita. Se Pogacar chiede di partire con la bici nera superleggera e poi lascia che la fuga guadagni sei minuti e chiede ai compagni un ritmo regolare, qualcosa forse non va. Abbiamo vissuto l’avvicinamento della corsa alle pendici del monte calvo seduti davanti al maxischermo sulla cima. Un panino comprato nell’ultimo bar, una felpa provvidenziale e lo sguardo fisso sulla corsa. Il vento non era violento come in altre occasioni, mentre tutto intorno lo sguardo si perdeva all’infinito facendo capire perché poeti e campioni abbiano trovato quassù la loro sublimazione.

I tifosi sloveni

La fuga guadagnava, solo il gruppo di Ben Healy alla fine è riuscito ad agganciarsi e dare la svolta al finale. Dietro, se non fosse stato per un’accelerata della Visma-Lease a Bike nell’avvicinamento alla salita, il margine sarebbe continuato a crescere. Pogacar non sta bene, abbiamo pensato, altrimenti sarebbe andato a riprendere tutti i fuggitivi. E così, nella disputa fra colleghi che parteggiano per l’uno o per l’altro, l’eventuale calo dello sloveno avrebbe significato il riaprirsi del Tour in vista delle Alpi. Solo che quando Vingegaard ha attaccato, l’altro gli si è incollato addosso. Pochi scatti, ben altra cosa rispetto a quello che sarebbe stato necessario. Tanto che quando Pogacar è scattato a sua volta, non è parso troppo provato. Non s’è tolto il danese di ruota, ma ha confermato ancora una volta che il suo è un livello a parte.

«E’ stato piuttosto difficile – dice quando tutto è finito e sul traguardo ha rifilato 2 secondi a Vingegaard – perché c’era solo una salita. Considerando che era la tappa dopo il giorno di riposo, sono molto contento di come l’ho affrontata e di aver mantenuto il vantaggio. Ho visto più bandiere slovene che sui Pirenei, penso che d’ora in avanti ce ne saranno tantissimi. Tifano anche Roglic e questo dà a entrambi un’energia in più. Quindi spero che nei prossimi giorni sulle Alpi, anche se il tempo sarà un po’ peggiore, avremo ancora le bandiere slovene alzate e che tiferanno per noi».

Violenti colpi di tosse

Un breve passo indietro. Ieri nell’hotel subito fuori Montpellier, passando casualmente accanto alla tavola in cui stavano mangiando i corridori della UAE, ci siamo accorti che proprio Tadej tossisse in modo violento. La notizia del ritiro mattutino di Van der Poel per problemi respiratori aveva acceso un allarme. Se davvero c’è qualcosa e gli avversari se ne accorgono, sul Ventoux per lui si farà dura.

«Fin dall’inizio della salita – prosegue Pogacar – sapevo che i corridori della Visma stavano bene e che avrebbero provato ad attaccare. Avevano un buon ritmo e noi ne abbiamo tenuto uno altrettanto buono, quindi sicuramente non hanno avuto tante occasioni per attaccare. In alcuni tratti ho sofferto, lo sforzo è stato intenso e le raffiche di vento si sono fatte sentire. Abbiamo lasciato andare la fuga perché non ci interessava vincere. Se avessimo voluto farlo, avremmo attaccato la salita con Adam Yates, invece abbiamo deciso di lasciare spazio. Anche se con gli scatti di Jonas e miei, ho pensato che li avremmo raggiunti. Si meritavano la vittoria. Mentre ci cambiavamo ho visto Paret Peintre, era super felice. Stava chiamando qualcuno ed è stato bello. E’ stata una giornata davvero dura dopo il giorno di riposo, ma ora sono motivato per i giorni successivi».

Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?
Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?

Vingegaard ci crede ancora

Il danese non ha vissuto il miglior finale di tappa. Dopo aver attaccato per staccare la maglia gialla e averne subito il ritorno, Vingegaard si è ritrovato anche per terra a causa di uno scontro fortuito con un fotografo. Si spiega perché di colpo gli addetti al servizio d’ordine siano diventati spietati e per muoverci abbiamo dovuto adottare tattiche da… uomo ragno.

«Un fotografo si è ritrovato davanti a me subito dopo il traguardo – racconta Jonas – e sono finito a terra. Credo che chi sta dietro al traguardo dovrebbe stare più attento… Mi sentivo davvero molto bene. Sono molto contento delle mie sensazioni oggi e degli attacchi che sono riuscito a sferrare. Certo, non ho recuperato tempo, ma è una grande motivazione per me. Volevamo mettere dei nostri corridori in fuga, la squadra è stata fantastica. Tutti hanno lavorato, hanno dato quello che avevano e mi hanno sostenuto completamente. Pogacar mi ha seguito in ogni attacco e così ho fatto io. Non credo di aver visto debolezze in lui, ma le mie sensazioni di oggi mi danno la motivazione e mi spingeranno a continuare».

La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts
La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts

La tappa migliore

Sulla stessa linea è il suo tecnico Marc Reef, uno che porta bene alla squadra. Quando c’è, di solto vincono. Lo incontriamo nella coda delle ammiraglie che si avviano lungo la corsia di evacuazione e si ferma per rispondere a qualche domanda.

«Eravamo e siamo ancora pronti per la battaglia – dice – siamo ancora molto fiduciosi. Jonas ha incitato i ragazzi a fare un ritmo molto alto e poi ha fatto un attacco davvero, davvero forte. Benoot era pronto più avanti e dopo di lui anche Victor (Campenaerts, ndr). Penso che continuare ad attaccare sia l’unico modo per creare ancora qualcosa e riguadagnare un po’ di tempo. Vogliamo lottare per ogni occasione che avremo. E’ stata la tappa migliore che abbiamo fatto finora e continueremo a mettergli pressione. Aver visto che oggi non è riuscito a staccarci accresce la nostra fiducia per le giornate che dovremo affrontare».

Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates
Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates

Raffreddore e aria condizionata

L’ultima parola è per Matxin, il responsabile tecnico della UAE Emirates, che aspettava proprio Pogacar per affrontare la discesa. Tutti gli altri sono andati in bicicletta, con il classico fischietto al collo, approfittando della strada chiusa con encomiabile zelo dalla Gendarmerie, che per certe cose è inimitabile.

«Non siamo voluti entrare nella lotta per la fuga – dice lo spagnolo – eravamo consapevoli che a un certo punto la Visma avrebbe iniziato a muovere le acque, dato che avevano cinque corridori, fra cui due scalatori. Ma noi abbiamo usato la testa. Potevamo anche controllare e cercare di vincere la tappa, ma avrebbe significato spremere tutti i corridori per un solo giorno. Alla fine abbiamo una priorità che è la maglia gialla, alla tappa si può anche rinunciare. La Visma ci proverà ancora, dovrà provarci ancora, per questo non è nostro interesse essere sempre i primi ad attaccare.

«Il raffreddore di Tadej? Ha avuto qualche fastidio per l’aria condizionata e per tutti questi cambiamenti dovuti al meteo degli ultimi giorni. Arrivi al podio che ci sono 15 gradi, poi il giorno dopo ne trovi 30 e in hotel hai l’aria gelida. Fa parte degli aspetti da tenere sotto controllo».

In sintesi, prima di salutarvi e darvi appuntamento a domani: se Pogacar sta bene, te ne accorgi perché attacca. Se invece non è al meglio, si mette buono in gruppo e lascia fare. Manca una settimana di Tour, mancano le Alpi dove probabilmente pioverà. L’obiettivo della maglia gialla è fisso su Parigi: le azioni plateali per ora sono sospese, in attesa di altre comunicazioni.

Paret-Peintre si prende il Ventoux e la Francia scoppia di gioia

22.07.2025
6 min
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MONT VENTOUX (Francia) – Ogni volta che Valentin Paret-Peintre attaccava o rispondeva a un attacco di Ben Healy sul Ventoux, esplodeva il boato. Noi eravamo proprio in cima al Gigante della Provenza, e sotto di noi c’era la curva ai 150 metri con un maxischermo. Quel maxischermo trasformava il Ventoux in uno stadio e Paret-Peintre nel loro eroe.

Un eroe francese sulla montagna simbolo di questo Tour de France. Ascoltavamo i commenti dei cugini: questa per loro era la tappa simbolo, quella a cui forse tenevano di più. Il fatto che abbia vinto uno dei loro significa tantissimo. Sul Gigante della Provenza non fa né freddo né caldo, ma c’è sempre un certo venticello che complica le cose per gli attaccanti e per chi è a bordo strada.

Sul Ventoux un bagno di folla, nonostante strade chiude da due giorni. E i francesi godono con Paret-Peintre
Sul Ventoux un bagno di folla, nonostante strade chiude da due giorni. E i francesi godono con Paret-Peintre

Finale da brivi

Gli ultimi 2.700 metri erano praticamente tutti controvento, esclusi gli ultimi 80 metri dove si girava. Paret-Peintre oggi ha fatto una vera impresa: ha gestito lo sforzo, non ha perso la testa quando davanti erano rimasti i corridori sulla carta più forti. Con la voglia di conquistare un traguardo ambizioso si è messo sotto: è stato il primo a scattare, il primo ad aprire il drappello dei contrattaccanti e il primo a richiudere sullo spagnolo.

E’ stato intelligente anche nella gestione dello sforzo quando sono iniziati gli scatti con Healy. Il finale è storia che tutti abbiamo visto: una volata tesissima e quella mezza ruota che precede quella dell’irlandese.

Dopo il traguardo abbiamo incontrato Davide Bramati, ci saluta, si ferma, tira fuori il braccio dall’ammiraglia. «Non riesco a parlare», ci “urla sottovoce”… senza voce. Riesce appena a sussurrare qualcosa. La gendarmerie fa sgombrare tutti. E’ il caos solito, solo che stavolta siamo in cima a una montagna di 1.910 metri e la strada è strettissima.

Il Brama forse vorrebbe parlare molto più di altre volte, ma proprio non ci riesce. A chiudergli la gola è un mix di emozioni e la voce effettivamente se n’è andata. Solo quando da dietro piomba Ilan Van Wilder e si sente un “Brama” in un italiano perfetto, il direttore sportivo ferma di nuovo la macchina. I due si abbracciano e scoppiano a piangere. Stavolta neanche il gendarme s’intromette.

Van Wilder come Pogacar

«Abbiamo giocato bene le nostre carte – racconta Van Wilder – Valentin ha attaccato, mi ha detto che si sentiva molto bene. Io invece no, quindi è stato facile scegliere di tirare per lui. Non sono egoista, se un mio compagno sta meglio di me corro per lui. Così ho accelerato e Valentin è partito dalla mia ruota. A quel punto, quasi all’improvviso, ho ritrovato il mio ritmo e le mie gambe. Ho fatto un crono con e contro me stesso!».

La scalata di Van Wilder ricorda vagamente quella di Pantani nel 2000, quando si staccò e poi rientrò sui migliori.
«Verso il finale – riprende il belga – ho visto che i ragazzi davanti a me non erano lontani e intorno all’ultimo chilometro ero di nuovo davanti. Vedevo che la situazione era difficile per Valentin, sia davanti che dietro. Sentivo che la maglia gialla si avvicinava velocemente quindi non ho esitato. Mi sono messo a blocco e ho tirato per lui.
«Fortunatamente ha fatto una bella volata e ho sentito dallo speaker che aveva vinto. Per radio “Brama” è impazzito completamente. Ha iniziato a urlare, non capivo cosa dicesse. E’ stato incredibile, non dimenticherò mai questa giornata. Per le montagne russe che abbiamo vissuto in questo Tour sono contento per la squadra. E’ come se avessi vinto io». Una chiosa alla Pogacar con Wellens.

In effetti dopo la batosta Remco, questa è stata una grande risposta per la Soudal-Quick Step. La squadra belga ha corso benissimo e, tutto sommato, liberandosi del leader tutti hanno avuto più libertà. Oggi la Soudal ha corso alla perfezione. Oltre a Paret-Peintre e Van Wilder, nella fuga c’era anche Pascal Eenkhoorn.
«E’ stato anche grazie a Pascal – ha concluso Van Wilder – se siamo riusciti a rimanere nel gruppo degli attaccanti. In pianura ha lavorato moltissimo consentendo a me e Valentin di risparmiare energie».

Valentin Paret-Peintre ha conquistato il Ventoux da pochi secondi. Una bevanda per recuperare seduto al fianco della pietra miliare della cima
Valentin Paret-Peintre ha conquistato il Ventoux da pochi secondi. Una bevanda per recuperare seduto al fianco della pietra miliare della cima

Sulla pietra del Ventoux

Quindi ecco l’eroe di giornata. Lo caricano letteralmente dal traguardo, e non ci vuole molto visto che Valentin è il più leggero del Tour: 52 chili. Lo portano dietro il palco dove c’è la pietra miliare tipica delle montagne francesi che indica la cima. Una di quelle pietre con la testa arrotondata, di colore giallo, il nome della montagna e la quota. Lo trascinano lì. Chiede e manda giù una di quelle bevande per il recupero.

La sensazione è che non abbia ancora realizzato l’impresa. Il patron del Tour Christian Prudhomme si avvicina e con ammirazione si complimenta con lui. In fin dei conti è anche la prima vittoria francese in questo Tour. Il fatto che sia arrivata quassù amplifica tutto.

«Una vittoria sul Ventoux… Non so che dire – attacca spaesato Paret-Peintre – è incredibile. Quando chiedono agli appassionati stranieri qual è la salita che conoscono in Francia, dicono il Ventoux. Davvero, non so che dire…

«All’inizio non credevo troppo alla fuga, guardavo cosa succedeva, ma pensavo che stare lì davanti non servisse a nulla. Poi finalmente si è creato un grande gruppo e le cose sono andate meglio. Ho detto a Ilan e a Pascal che mi sentivo davvero bene. Quando poi è partito il drappello di Arensman, la squadra ha scelto di tenere con noi Eenkhoorn. Lui ha tirato e penso che questa sia stata la strategia giusta. Non abbiamo sprecato energie».

Per la squadra

A chi dice che il ciclismo non è uno sport di squadra bisognerebbe far sentire le parole degli atleti e portarli dentro la corsa, dentro il gruppo. Quante cose ci sono che sfuggono.
«Questa vittoria – riprende Valentin – è di squadra. Se non ci fossero stati Eenkhoorn e Van Wilder non avrei vinto».

E questo vale anche a parti inverse, cioè se ci fosse stato ancora il leader, Remco Evenepoel. Anche in quel caso tutti per lui.
«Con Remco in corsa – conclude Paret-Peintre – non so se avrei avuto la libertà di andare davanti. Giustamente eravamo qui per lui. In ogni caso oggi è stato molto diverso rispetto a una giornata come quella di Carcassonne. Lì ho potuto pedalare tranquillamente nel gruppetto e fare così due giorni di recupero (la tappa tranquilla più il giorno di riposo di ieri, ndr), mentre se ci fosse stato Remco sarei dovuto restare al suo fianco. E questi, ai fini del recupero in un Grande Giro, contano tantissimo».

La Francia gode dunque, almeno oggi. Passata l’ondata Alaphilippe (e in attesa di Seixas), i cugini non hanno molto. Non più di noi… E come detto prima, il fatto che un francese abbia vinto quassù, proprio quando tutti davano per scontata la vittoria di Pogacar, è un regalo di quelli grossi. Una bella scossa che rinnova l’amore dei francesi per la loro corsa.
E intanto aspettiamo la prima pagina dell’Equipe di domani…

Mont Ventoux, una sola vittoria italiana: 25 anni fa con Pantani

22.07.2025
7 min
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MONTPELLIER (Francia) – Solo dieci volte nella lunghissima storia del Tour, la corsa si è conclusa sul Mont Ventoux. E nell’albo d’oro del monte caro al Petrarca figura soltanto un nome italiano: quello di Marco Pantani (anche Marta Cavalli ha vinto lassù nel 2022 nella Mont Ventoux Denivele Challenge).

Accadde il 13 luglio del 2000, venticinque anni fa, ed è uno di quei ricordi da cui speriamo di non separarci mai. C’era un vento che strappava gli striscioni, tanto che quello di arrivo fu messo via per paura che volasse. La sala stampa era sulla cima, in un tendone e non a 17 chilometri come accadrà oggi. C’era l’imbattibile Armstrong che nel 1999 aveva vinto il primo Tour. C’era anche la fiducia irrazionale, che viveva da qualche parte nel nostro petto, che il Pirata sarebbe tornato. E quel giorno infatti, come è vero Dio, Marco tornò.

Chiudiamo gli occhi e rivediamo i flash della giornata. Si parte da Carpentras e al via c’è Robin Williams. L’immenso attore saluta Ilario Biondi, riconoscendo la somiglianza, e gli sussurra ridendo che potrebbero essere fratelli. Poi la corsa parte e Marco, che in classifica viaggia con un ritardo abissale di 10’34”, si stacca ancora una volta. Tuttavia questa volta, anziché sprofondare, resta lì con la sua fatica. Il tempo di inquadrare la fuga e lo vediamo spuntare nell’inquadratura alle spalle della fuga, dove la montagna si espone al vento. A quel punto noi siamo già sulla cima, cercando di seguire la corsa da uno schermo montato al riparo di un furgone. Di colpo da dietro si muove Armstrong che ha visto staccarsi Ullrich e ne approfitta, arrivando a doppia velocità.

A Carpentras, l’incontro fra Robin Williams e Ilario Biondi
A Carpentras, l’incontro fra Robin Williams e Ilario Biondi

Lo prende e fa per staccarlo, ma non lo stacca. Ci riprova e non si capisce se non affondi il colpo o se l’altro piuttosto che lasciarlo andare abbia scelto di morire sulla bici. E quando infine si tratta di fare la volata, Pantani vince e Armstrong dichiara di avergliela regalata. Non dichiara ciò che su quei giorni emergerà dalle indagini, che hanno portato alla cancellazione dei suoi risultati. Forse è stato meglio che quel giorno abbia vinto Pantani, altrimenti il Ventoux avrebbe avuto soltanto nove vincitori su dieci arrivi in cima.

In bici con Siboni

Noi c’eravamo, ma meglio di noi visse la corsa Marcello Siboni, lo storico gregario di Pantani, che quel giorno chiuse la tappa a 11’23” dal suo capitano. Il compagno di allenamenti e zingarate dai tempi della Carrera, era stato schierato in quel Tour perché oltre a uomini forti, sarebbero servite anche persone capaci di stargli accanto. Il giorno di Campiglio aveva ancora strascichi profondi. Il risveglio di fine Giro, quando Marco spianò la strada di Garzelli verso la maglia rosa, aveva riacceso le speranze, ma niente era più splendente come prima.

«La tappa del Ventoux – ricorda – veniva dopo il giorno di riposo. Eravamo partiti per il Tour con Marco al 75-80 per cento della condizione. Poi col passare dei giorni iniziammo a renderci conto che si stava mettendo a posto, ma nulla aveva potuto fare per evitare la batosta di Hautacam (il romagnolo perse 5’10” da Armstrong, ndr)».

Marcello Siboni, classe 1965, è stato pro’ dal 1987 al 2002. Oggi ha la sua officina a Cesena e si occupa di riparazioni
Marcello Siboni, classe 1965, è stato pro’ dal 1987 al 2002. Oggi ha la sua officina a Cesena e si occupa di riparazioni

«Cominciò a guardarlo – prosegue Siboni – e a pensare che fosse un extraterrestre. In più quel giorno aveva anche piovuto, quindi era stata una giornata un po’ particolare e la sera Marco era demoralizzato. Sapeva che la sua condizione non fosse al 100 per cento, ma sperava che il carattere gli bastasse per colmare le differenze.

«Non aspettava altro che battersi con Armstrong – prosegue Siboni – che aveva vinto il Tour dell’anno prima senza che noi ci fossimo per difendere la vittoria del 1998. L’americano era il favorito, ma quando partimmo, l’idea era quella di sfidarlo ancora».

La tigna del Pirata

La tappa ha una serie di salitelle nell’avvicinamento al Mont Ventoux, in quel dedalo di strade, canyon e stradine della campagna provenzale così morbida e poi di colpo pietrosa. Nessuno prova a fare chissà quale selezione, per cui fatta salva la fuga di giornata, il gruppo arriva compatto nella zona di Bedoin.

«Il gruppo era bello nutrito – ammette Siboni – e lui come al solito era indietro. E’ sempre stato il suo modo di essere e del resto nessuno quel giorno si aspettava che potesse succedere qualcosa di bello. Però l’avete conosciuto anche voi: spesso diceva una cosa e ne faceva un’altra. Quindi magari non disse nulla, ma dentro di sé sperava di fare qualcosa. Solo, per come era andato sulle salite precedenti, era difficile crederci. Invece con la tigna che ha sempre avuto, si staccava, si riprendeva e poi tornava sotto. Quella tappa fu l’espressione massima di Marco: cioè di uno che non molla mai, a costo di arrivare morto».

«Finché a un certo punto è andato via e dopo un po’ abbiamo visto andare via anche l’americano. Magari è vero che l’ha lasciato vincere e Marco non era contento, perché lui lo voleva staccare. Ma quando l’altro si è messo a dire di avergli fatto un regalo, Marco si è imbestialito. Cosa dici certe cose? Se anche fosse, tienile per te…».

L’istinto contro il calcolo

Si passa in poco meno di due ore dalla gioia per la vittoria al fastidio per le parole di Armstrong. Marco è contento, sono tutti felici per il ritorno alla vittoria dopo quella maledetta tappa di Madonna di Campiglio che aveva segnato l’inizio della fine. Quando gli dissero che non avrebbe dovuto vincere così tanto: chissà se a Pogacar qualcuno l’ha mai detto. Probabilmente no.

«Dentro di lui covava il malumore per le parole di Armstrong– ricorda Siboni – e la sua voglia di batterlo è letteralmente esplosa. Per questo a Courchevel lo staccò, per quella cattiveria di cui solo lui era capace e che gli è cresciuta dentro. A Courchevel forse non era il vero Marco, ma nemmeno era da buttare via. Due giorni dopo cercò di sbancare tutto con la fuga di Morzine, perché di colpo credevamo di nuovo che si potesse tentare l’impossibile. Quella settimana ci sentivamo tutti galvanizzati per il suo ritorno alla vittoria.

Spaghetti all’astice per Pantani, Fontanelli e la Mercatone Uno: li ha preparati Giovanni Ciccola per la vittoria sul Ventoux
Spaghetti all’astice per Pantani, Fontanelli e la Mercatone Uno: li ha preparati Giovanni Ciccola per la vittoria sul Ventoux

«Devo ammettere che Marco non avesse mai avuto grande simpatia per Armstrong. Si era visto sin da subito, appena passato, che fosse un giovincello un po’ sbruffone. Marco nel 1998 aveva vinto il Tour, ma di colpo era l’altro che spopolava. Evidentemente non gli era tanto simpatico neppure il suo modo di correre così freddo e calcolato, mentre lui era genuino e garibaldino. Armstrong si muoveva come se fosse il padrone, con una squadra che al pari di oggi sembrava composta da atleti telecomandati».

Gli spaghetti all’astice

Le esternazioni di Armstrong non riescono a rovinare la cena della Mercatone Uno del Novotel di Avignone. Qualche giorno prima, Giovanni Ciccola, lo chef che lavora con la Mercatone Uno per conto del Tour de France, ha preso da parte Pantani, chiedendogli che cosa avrebbe voluto mangiare. E quando Marco gli ha risposto «aragosta», l’altro per punzecchiarlo gliel’ha promessa per quando avesse vinto.

Quella sera sulla tavola della squadra approdano così degli spaghetti all’astice. A noi che lo aspettiamo fuori dalla porta, ne tocca una forchettata che vale quanto un calice di champagne per brindare al successo.

Quella sera pensammo nuovamente che tutto fosse possibile, mentre il Mont Ventoux da lassù si sentì felice di essersi consegnato a un campione immenso e pelato come lui. Erano anni di sogni che si avveravano e di campioni con gambe e grinta ultraterrena. Ne servì tanto per lottare contro Armstrong che, impunito, continuò a sovralimentarsi per tutto il tempo della corsa. Tre giorni dopo, in un testa a testa niente affatto casuale, Marco lo piegò dimostrando che forse, senza quel che accadde a Madonna di Campiglio nel 1999, l’era Armstrong non sarebbe mai iniziata. Forse un complotto, se complotto ci fu, servì a spianare la strada all’americano cui il Tour tributò sette anni di onori, prima di cancellarlo senza accennare la minima autocritica.

Ventoux e Angliru: i “mostri” di Tour e Vuelta aspettando il Giro

10.01.2025
6 min
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Il Tour e la Vuelta hanno già presentato il percorso 2025, il Giro d’Italia solleverà il velo lunedì a Roma. In attesa di sapere quali saranno le salite clou della corsa rosa, e soprattutto la sua Cima Coppi, in Francia e Spagna spiccano gli inserimenti del Mont Ventoux e dell’Alto de Angliru, due autentici mostri sacri. Qual è l’approccio di un corridore di fronte alla montagna-icona di un Grande Giro? Provare a immaginare che cosa significa sapere di dover affrontare una montagna imponente sia per caratteristiche che per storia e tradizione. Certo, ci sono tante altre salite prestigiose e noi con la corsa rosa lo sappiamo bene, ma Ventoux e Angliru, in confronto alle altre delle due corse estere, hanno un sapore particolare.

L’uscita dal tunnel del Ventoux presenta sempre un paesaggio quasi lunare, che stordisce
L’uscita dal tunnel del Ventoux presenta sempre un paesaggio quasi lunare, che stordisce

Salite da affrontare mentalmente

Stefano Garzelli le conosce bene e le ha viste anche da osservatore. Conosce lo spirito che pervade la mente di chi deve superarle solo con la forza delle proprie gambe. In attesa di conoscere quali saranno nel dettaglio le grandi salite della prossima edizione del Giro d’Italia, parliamo dei “mostri” che i corridori si troveranno ad affrontare nelle altre due grandi corse del 2025.

«E’ un tema interessante – ammette Garzelli – che riporta alla mente tanti ricordi anche se io personalmente conosco bene l’Angliru e il Ventoux l’ho affrontato solo parzialmente. Ma parliamo di salite talmente famose che sono davvero sulla bocca di tutti».

Vento e sole a picco sono i principali ostacoli del Mont Ventoux, asperità icona del Tour (foto Eurosport)
Vento e sole a picco sono i principali ostacoli del Mont Ventoux, asperità icona del Tour (foto Eurosport)
Com’è il Ventoux?

Innanzitutto dal punto di vista geografico: è una montagna che non fa parte di Alpi, Pirenei, Massiccio Centrale, è davvero a sé stante e lo è anche tecnicamente. Perché a dir la verità non ha grandissime pendenze, di per sé è piuttosto facile, ma in quel caso influiscono tantissimo le condizioni atmosferiche. Il vento laterale diventa un ostacolo pesantissimo per la mancanza di vegetazione e può scatenare la bagarre. Poi c’è il fattore caldo, il sole che picchia d’estate e proprio l’assenza di ombra è un fattore. Per carità, non sono più gli anni Sessanta e i tempi di Simpson, ma un influsso sull’evoluzione della corsa lo può avere.

A te piace?

Mi affascina per certe caratteristiche che ha, come il suo paesaggio lunare, il panorama che ti trovi improvvisamente di fronte. Ripeto, non è una scalata lunghissima e impegnativa come pendenze, ma va affrontata con molta attenzione, perché può fare danni e in tanti lo sanno, ci sono cascati.

Niente vegetazione, di ombra neanche a parlarne. Il sole sul Ventoux diventa un nemico implacabile
Niente vegetazione, di ombra neanche a parlarne. Il sole sul Ventoux diventa un nemico implacabile
Quanto può essere utile l’apporto della squadra per quel capitano che punta, per la classifica generale o anche solo per il prestigio della tappa, a un risultato importante?

Moltissimo, proprio perché siamo in presenza di una scalata dove il vento può giocare un ruolo essenziale. Due-tre gregari che ti accompagnano il più possibile, che ti proteggono dalle folate soprattutto laterali possono essere in alcuni casi decisivi soprattutto se sei in crisi e non devi perdere eccessivamente terreno.

Che cosa dici invece dell’Angliru?

Ecco, questa invece è una scalata che non ho mai amato. E’ tosta davvero, una di quelle che ami oppure odi e io faccio parte della seconda categoria. Le sue pendenze oltre il 20 per cento sono pane per scalatori puri. Anzi è forse una delle poche salite rimaste che mette ancora in evidenza chi ha caratteristiche fisiche e tecniche per emergere in salita. Perché devi stare sempre sui pedali, non riesci ad andare su di ritmo come fanno i passisti, vai avanti a 7-9 chilometri l’ora anche se sei un professionista. Lì rischi davvero la giornataccia che ti butta fuori dalla classifica.

L’Angliru fa sempre grande selezione alla Vuelta, grazie alle sue pendenze anche oltre il 20 per cento
L’Angliru fa sempre grande selezione alla Vuelta, grazie alle sue pendenze anche oltre il 20 per cento
In questo caso quanto conta il team?

Poco perché su quelle pendenze sei solo con te stesso e con le tue gambe. Se ne hai puoi anche fare la differenza, ma io dico sempre – e questo vale anche per il Ventoux – che su salite del genere la grande corsa forse non la vincerai, ma sicuramente puoi perderla…

Qual è l’approccio psicologico a salite del genere, nella mente di un corridore impegnato in un Grande Giro fanno ancora la differenza, nel senso che ci pensi sin dalla prima giornata?

Sì, considerando che una corsa di tre settimane la devi affrontare e vivere prima di tutto di testa. Devi imparare a non soffrire la “giornata clou”, quella attesa da tutti. Anche per questo certe salite si affrontano prima della grande corsa, si va a esplorarle anche se le hai già affrontate più volte in carriera, perché un ripasso della memoria fa sempre bene e scaccia fantasmi. Se l’assimili al meglio sei avvantaggiato.

Una foto a suo modo storica: Roglic, Vingegaard e Kuss tutti Visma sull’Angliru nel 2023
Una foto a suo modo storica: Roglic, Vingegaard e Kuss tutti Visma sull’Angliru nel 2023
Scatenano tensione?

Più che tensione, emozioni contrastanti. Ma non solo in corsa, anche quando ci vai in ricognizione, all’inizio sei sempre un po’ più nervoso del solito. Poi, pedalando, inizi anche a godertela, ti tornano in mente passaggi, cominci a costruirti nella mente la tattica per il “grande giorno”. A me piaceva, quella settimana precedente il Giro o il Tour per entrare in sintonia con le grandi salite.

C’è differenza nell’approccio tra chi ci punta per la classifica e chi vuole fare il colpo a sensazione?

No, anche perché in salite del genere è ben difficile che riesca a emergere chi non è direttamente interessato alla classifica. D’altronde queste tappe sono inserite in momenti strategici, l’organizzatore stesso ha interesse che su quelle strade siano coloro che lottano per il simbolo del primato a emergere. E’ comunque vero che quando metti quella data tappa nel tuo mirino, ti giochi tutto. Io nel Giro 2004, quando ormai non guardavo più alla classifica, avevo scelto la tappa del Mortirolo e della Presolana, l’avevo detto che attaccavo lì e lo feci. Alla fine arrivai con Simoni che battei allo sprint, avevo tenuto fede ai miei propositi.

Contador a Navacerrada, una salita che è stata quasi dedicata a lui (foto Sanchez/AS)
Contador a Navacerrada, una salita che è stata quasi dedicata a lui (foto Sanchez/AS)
Del Tour tutti sanno quali, oltre al Ventoux, sono le grandi salite presenti anche in questa edizione, della Vuelta si parla sempre meno, ma per te che oltretutto conosci bene la realtà spagnola quali sono gli altri spauracchi oltre l’Angliru?

Innanzitutto Lagos de Covadonga, ma nel complesso tutte le salite delle Asturie sono molto dure e fanno spesso la differenza. E’ sbagliato però pensare che ci si giochi tutto al Nord, sui Pirenei. Al centro ad esempio c’è Navacerrada, quest’anno alla ventesima tappa sarà l’esame forse decisivo, la salita che Contador amava più di tutte. A sud Sierra Nevada, dove ai 1.500 metri c’è il centro di alto rendimento. Quest’anno ci sarà addirittura una crono di 28 chilometri tutta in salita…

E che ricordi hai del Ventoux?

Al Ventoux non ero in una giornata eccezionale, ricordo tanta fatica per venire su proprio perché faceva caldo. Per me il Tour è identificabile più con il Galibier, dove vinsi il mio unico premio al Tour per essere transitato primo davanti a Jalabert. Anche quella è una salita simbolo che mi ha lasciato un bel ricordo. E un trofeo al quale tengo particolarmente.

Santini collezione Maillot Jaune, stile e prestazioni da Tour

15.06.2023
5 min
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Il Tour e le infinite storie che ha da raccontare. Santini si fa narratrice in virtù della collaborazione nata lo scorso anno e omaggia la Grand Boucle con la nuova collezione Maillot Jaune. Una linea vestita di citazioni e tributi che unisce stile e prestazioni. Il primo kit della collezione celebra due giganti del Tour: Louison Bobet e il Mont Ventoux, il Gigante di Provenza, su cui Bobet costruì la sua vittoria nel Tour del 1955.

Il secondo completo, Redux, combina la tecnicità del brand bergamasco con lo stile elegante del brand Maillot Jaune. I prodotti presentati possono essere acquistati sul sito ufficiale del Tour de France, sul sito Santini e su una selezione di rivenditori ufficiali del TdF.

Santini narra il Tour

Il Tour de France è un libro con molteplici trame e colpi di scena in cui ogni personaggio principale è unico nel suo genere. Man mano che la storia si svolge, le leggende di oggi si succedono ai campioni di ieri mentre i leader di domani attendono il prossimo cambio della guardia. Le vette sacre sulle cui pendici gli atleti diventano eroi sono il nesso che collega il passato, il presente e il futuro del ciclismo professionistico. 

Santini con questa collaborazione nata nel 2022 sta realizzando numerosi capi volti a omaggiare le imprese e gli attori che hanno fatto grande questa corsa. Non solo, anche i luoghi che ogni edizione animano la Grand Boucle. Più di tutte le montagne iconiche e mitiche che ogni atleta che vuole arrivare a Parigi deve sfidare a viso aperto per la vittoria o per rimanere in corsa. 

Maillot Jaune

La prima linea Maillot Jaune rende omaggio a uno di questi giganti: Louison Bobet. Questo completo riporta indietro nel tempo di 68 anni, all’undicesima tappa del Tour de France del 1955, tappa che portò i corridori da Marsiglia ad Avignone attraverso il Mont Ventoux. Bobet, il campione in carica con due vittorie consecutive al suo attivo, colse al volo l’opportunità di imprimere il suo nome su questa salita e gettare le basi per la sua terza vittoria consecutiva

La linea Santini celebra quel momento storico: le strisce blu-bianco-rosse su pantaloncini, guanti, calzini e cappellino evidenziano che Louison Bobet correva per la nazionale francese. Il bianco crema della maglia evoca il paesaggio roccioso della vetta del Monte Calvo. La prima pagina de L’Équipe del giorno dopo l’arrivo a Parigi, stampata sulla maglia intima, celebra l’impresa monumentale di Bobet nel Tour del 1955. Prezzo di 30 euro.

La maglia a maniche corte Santini Mont Ventoux è realizzata con tessuti traspiranti e leggeri e presenta una vestibilità slim, con un prezzo di 100 euro. Mentre i pantaloncini sono realizzati con un tessuto italiano compatto ad alta elasticità con tecnologia di compressione, con un prezzo di 140 euro. Seguono gli accessori: guanti a 30 euro, cappellino a 20 euro e infine i calzini a 15 euro.

Redux

La seconda collezione di Santini, Redux, porta l’elegante design Maillot Jaune e lo mette al servizio dei ciclisti più tecnici. La maglia è il modello top di gamma realizzata con tessuti leggeri, ad asciugatura rapida e resistenti ai raggi UV, e con una vestibilità aerodinamica progettata per ridurre la resistenza. Disponibile sul sito ad un prezzo di 190 euro.

I pantaloncini sono il modello altamente tecnico Santini Unico, confezionati in microfibra italiana ad alte prestazioni che dona una sensazione di morbidezza e leggerezza sul corpo fornendo, allo stesso tempo, una leggera compressione muscolare. Vestono come una seconda pelle e sono completamente termosaldati per il massimo livello di comfort. Prezzo consultabile di 240 euro.

Il kit è completato da uno smanicato antivento e un baselayer: capi altamente performanti, come quelli indossati dai professionisti, pensati per quei ciclisti che cercano la massima performance. Antivento con un prezzo di 160 euro e intimo a 30 euro. 

Santini

Cavalli, dal Ventoux uno sguardo a Giro Donne e Tour Femmes

18.06.2022
5 min
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L’ultimo trofeo che ha portato a casa è una pietra miliare bianca e gialla, tipica delle montagne francesi. Chissà dove l’avrà posizionata in auto mentre rientrava con papà Alberto, di sicuro Marta Cavalli (in apertura foto Maheux) l’ha sollevata quattro giorni fa sul podio della prima edizione della Mont Ventoux Dénivelé Challenges. L’attacco decisivo a 2,5 chilometri dal traguardo per centrare in solitaria la sua terza vittoria stagionale, ottava della carriera.

L’ennesima dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, dello status da top rider che ricopre la 24enne cremonese della Fdj Nouvelle Aquitaine Futuroscope, attesa ora, come ci ha spiegato, dagli appuntamenti – forse i più importanti della stagione – con i colori della sua squadra prima di iniziare a pensare a quelli con la maglia azzurra nella seconda parte.

Marta, innanzitutto com’è il giorno dopo un successo? Ormai ti ci stai abituando…

E’ sempre emozionante. Dal punto di vista fisico è sempre tranquillo perché non pedalo e recupero. Dal punto di vista morale invece è sempre intenso, perché cerco di rispondere a tutti i messaggi di congratulazioni che mi arrivano. In realtà non ci si fa mai l’abitudine a giornate così.

Vinci solo gare prestigiose in pratica. Ed inoltre eri l’unica italiana al via al Ventoux…

Non lo sapevo, non ci avevo fatto caso alla partenza. Amstel Gold Race e Freccia Vallone sono corse WorldTour, hanno tutt’altro valore, e so che la startlist in Provenza non aveva la migliore qualità in circolazione. Però a volte non è semplice lo stesso, perché tutti corrono sui favoriti. Ho fatto gara su me stessa, era un test per me. Con la squadra abbiamo gestito bene tutte le varie fasi ed io ho finalizzato il lavoro. E’ stata una vittoria molto sentita sotto questo aspetto.

Andiamo per ordine. Ti aspettano i campionati italiani. Obiettivi?

Correrò il tricolore a crono (mercoledì 22 giugno a San Giovanni al Natisone in Friuli, ndr). Sarà una prova di 35 chilometri, quindi lunga per noi donne. Sono contenta di farla perché voglio tenere allenato questo tipo di sforzo per il futuro anche se nelle nostre corse a tappe ce ne sono sempre poche. Il tricolore in linea invece sarà tutto piatto (domenica 26 giugno a San Felice sul Panaro, ndr) e quindi poco adatto alle mie caratteristiche. Vediamo però che tipo di gara ci salterà fuori.

Poi rotta sul Giro d’Italia Donne dove parti come una delle favorite anche grazie alla tua squadra…

Sono consapevole di essere una delle maggiori pretendenti, ma non ci do peso. Senza dubbio sarà entusiasmante sentire il tifo italiano sulle strade. Però ora penso solo ad arrivarci nelle migliori condizioni possibili, poi vedremo come staremo col passare dei giorni. E merito alle rivali che andranno più forte. Siamo una bella formazione e mi sarà di aiuto anche se con Cecilie (la danese Ludwig, ndr) ci divideremo un po’ di pressione agonistica.

Hai visto già qualche tappa?

Sì, ne ho approfittato mentre ero in ritiro in altura al Passo San Pellegrino. Ho fatto la ricognizione delle due frazioni trentine, mentre farò un sopralluogo al Passo Maniva prima dei campionati italiani. Sono tre tappe consecutive, le più dure, ma credo che oltre alle gambe conterà tanto anche la testa.

Quali saranno le avversarie da tenere d’occhio?

Credo che tutti si chiedano se qualcuna batterà la Van Vleuten. Sinceramente non ho ancora visto la startlist ufficiale, non so chi sceglierà il Giro e chi il Tour. La Longo Borghini secondo me rimane sempre l’atleta di riferimento, poi ci saranno Blanka Vas, Realini e attendo altri nomi. Però come vi ho detto guardo molto di più a me stessa.

Due settimane dopo la fine del Giro ci sarà il Tour. Andrai con gli stessi gradi di capitano?

In teoria no. In Francia dovrebbe essere al contrario che in Italia e quindi sarà Cecilie che partirà come prima punta. Fra noi c’è grande rispetto e sintonia. Ovvio che poi, sia da una parte che dall’altra, sarà la strada a decidere.

Del percorso del Tour cosa sai?

Ci saranno 8 tappe, ma in media molto più lunghe che al Giro. Una sarà addirittura di 175 chilometri (la quinta, ndr) e le ultime molto impegnative. Ho già visto l’ultima frazione, quella con arrivo alla Super Planche des Belles Filles dove Ciccone prese la maglia gialla nel 2019. Non so se rispetto ad allora lo sterrato sia peggiorato, ma il finale di tappa è davvero duro e tecnico. Si pedalerà su un fondo molto disconnesso. Sarà difficile gestire e guidare la bici perché si arriverà da uno sforzo intenso di più di venti minuti. Sarà un Tour sfiancante.

Infine c’è da guardare anche agli appuntamenti con la nazionale, ora che si sa meglio il tracciato dei mondiali, che avrà un bel chilometraggio oltretutto…

Ormai le corse lunghe sono la normalità e quella iridata sarà di quasi 170 chilometri. Paolo (il cittì Sangalli, ndr) mi ha aggiornata subito dopo il sopralluogo dicendomi che è abbastanza impegnativo. Lo capiremo meglio però quando faremo la prova qualche giorno prima. Comunque io dovrei partecipare solo al mondiale e non all’europeo anche se mi farei trovare pronta nell’evenienza. Ma penso che sia giusto che ci sia turnover in nazionale, è importante per tutti.

Van Aert, il Ventoux, l’appendicite e un pensiero per Vdp

07.07.2021
5 min
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Solo ieri aveva sgomitato con Cavendish sul traguardo di Valence ed era chiaro che non gli potesse bastare. Dove lo trovi uno che fa le volate con i velocisti e appena l’indomani va in fuga sul Ventoux? Nei giorni precedenti, Van Aert si era complimentato a bocca stretta con Van der Poel. L’olandese aveva vinto una tappa e indossato a lungo la maglia gialla e neanche questo poteva andare giù al campione belga. Poi Mathieu è andato via e della loro presenza assieme in questo Tour rischiava di rimanere soltanto la fuga verso Le Creusot, quando gli obiettivi li avevano ritratti all’attacco con il gusto della sfida nel sorriso. Ma era chiaro che anche questo non potesse bastargli. E così oggi il campione del Belgio, deputato per fare il gregario di Roglic e frenato nella preparazione da un’operazione di appendicite, si è inventato un altro giorno da gigante decidendo di sfidare il Mont Ventoux. Il gigante del Belgio contro il gigante della Provenza. E ha tirato fuori dal cilindro una giornata che non dimenticherà tanto facilmente. Che ha definito la più bella da quando corre in bici. Mettendola davanti ai mondiali di cross, le classiche e tutti gli altri successi di una carriera portentosa.

Non ha tralasciato nulla, comprese le ruote Metron Vision senza scritte. Il ritardo dovuto all’appendicite è alle spalle
Non ha tralasciato nulla, comprese le ruote Metron Vision senza scritte. Il ritardo dovuto all’appendicite è alle spalle

La più bella

«Sono senza parole – ha continuato a ripetere dopo la vittoria – all’inizio del Tour non avrei mai osato sognare di vincere questa tappa. Invece ieri improvvisamente ho sentito di volerci provare. Ho chiesto alla squadra se potevo infilarmi nella fuga di giornata. Sapevo di non avere le caratteristiche per sfidare una montagna come questa (Van Aert è alto 1,90 e pesa 78 chili, ndr). Invece è venuta fuori quella che potrebbe essere la mia migliore vittoria di sempre, perché il Mont Ventoux è una delle salite più iconiche del ciclismo. Ci ho creduto lungo la strada e con la fiducia tutto è possibile. Anche il supporto del pubblico è stato travolgente. E’ stato un onore salire sul Ventoux con la maglia di campione nazionale».

Pogacar in difesa

Doveva essere la tappa dei ribaltoni, eppure l’unico che ha provato a fare qualcosa è un altro ragazzino terribile, che avevamo scoperto alla Settimana Coppi e Bartali. Quando il Team Ineos ha finito il lavoro e Carapaz ha capito di non avere le gambe per dare un senso alla fatica dei compagni, Vingegaard ha fatto quello che ci si aspetta da un corridore di 24 anni in buona condizione. Ha attaccato, incurante delle conseguenze. E almeno in salita ha fatto il vuoto.

Pogacar ha ceduto. Va bene che aveva ed ha ancora un vantaggio pazzesco. Va bene che dice di non essersi stupito per l’attacco del danese, che segue con interesse da tutto l’anno. Eppure per qualche chilometro ha provato il gusto amaro della fatica e quello più sottile dell’ansia.

«Non ho potuto seguirlo – ha detto a caldo – è partito super forte. Ha messo il rapportone, troppo anche per me. Ho ceduto negli ultimi chilometri, per cui ho cercato di arrivare il più velocemente possibile in cima, ma visto anche il caldo è stata davvero una giornata durissima. Per cui alla fine sono soddisfatto. Quanto alla Ineos, credo che volessero la vittoria di tappa, ma la fuga aveva ancora troppo vantaggio per sperare di prenderli».

Pogacar da solo ha gestito lo sforza: il caldo non gli va giù
Pogacar da solo ha gestito lo sforza: il caldo non gli va giù

Appendicite galeotta

La fuga era Van Aert, che per questa giornata sul filo della follia le ha studiate davvero tutte, compreso l’uso di una coppia di ruote non autorizzate, come del resto aveva fatto anche Van der Poel per salvare la maglia gialla a cronometro. E così, facendo girare molto in fretta la coppia di ruote Metron by Vision, il belga ha staccato anche Elissonde e nonostante la sua stazza, ha addentato il Ventoux con una cadenza prossima alle 85 pedalate.

«E’ stato difficile per me iniziare questo Tour ai massimi livelli – ha raccontato quando l’emozione lo ha in parte mollato – a causa dell’operazione all’appendicite (l’intervento si è svolto a metà maggio e gli ha impedito di correre il Delfinato, ndr). Inoltre nella prima settimana abbiamo avuto davvero tanta sfortuna. Con Primoz Roglic abbiamo perso il nostro leader e con Robert Gesink il nostro super gregario. Oggi purtroppo abbiamo perso anche Tony Martin. Per fortuna in finale tutto è andato a posto. E’ una questione di andare avanti ed essere in grado di individuare nuovi obiettivi ogni volta. Questo mi motiva di più. Continuerò ad aiutare Vingegaard, proprio come tutta la squadra. E’ molto forte, ma oggi è stato il mio giorno».

Cattaneo assieme a Valverde: il bergamasco si è difeso bene. Ora è 11° in classifica
Cattaneo assieme a Valverde: il bergamasco si è difeso bene. Ora è 11° in classifica

Cavendish ce l’ha fatta

Nel caldo torrido di Malaucene, anche oggi la sfida del tempo massimo ha tenuto in ansia i velocisti. Cavendish, questa volta scortato da tutta la squadra è entrato ampiamente nel limite, tagliando il traguardo con 7 minuti di anticipo. Non ce l’ha fatto invece Luke Rowe, dopo aver tirato forte per Carapaz. Altri sette si sono ritirati. E’ un Tour esigente. Chissà se Roglic è riuscito a guardare la tappa o sia ancora in casa a maledire la sfortuna che lo ha tolto di mezzo. Per la sua sfida contro Pogacar, anche senza Dumoulin, avrebbe avuto dei compagni superlativi. Lo dice Van Aert salutando. E intanto si chiede se anche Van der Poel abbia visto la corsa. A modo suo, questa vittoria è anche per il rivale di sempre.