Benoit Cosnefroy,

Gianetti: vi dico perché abbiamo preso Cosnefroy

15.11.2025
4 min
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Qualche giorno fa abbiamo parlato di Benoit Cosnefroy e del suo passaggio alla UAE Emirates. Ripartendo proprio da questo pezzo e dai suoi contenuti, oggi ritorniamo sul francese e lo facciamo con Mauro Gianetti, CEO della squadra numero uno al mondo.

In particolare ci ha colpito una frase di Cosnefroy: «Quando Mauro Gianetti mi ha presentato il progetto, ho capito che questa squadra era la sfida ideale per me in questa fase della mia carriera». Perché dunque la nuova squadra sarebbe così ideale per l’ex Decathlon-Ag2R?

Mauro Gianetti durante uno dei meeting negli UAE (foto Instagram)
Mauro Gianetti durante uno dei meeting negli UAE (foto Instagram)
Mauro, partiamo dall’arrivo proprio di Cosnefroy da voi: come è andata? L’avete cercato voi?

In realtà è stato il suo agente a contattarci dicendoci che era libero e che avrebbe avuto piacere di correre con noi. A quel punto noi gli abbiamo chiesto cosa venisse a fare da noi, cosa si aspettasse e la sua risposta è stata importante.

Quale è stata?

Correre con voi mi renderebbe motivatissimo. Io sono francese, ma non ho la pretesa o il pallino del Tour de France. Io voglio stare nella squadra numero uno al mondo per crescere come atleta, per cercare di fare tutto al meglio come hanno fatto tutti i corridori che sono approdati in UAE Team Emirates. Tanto più che vengo da un anno difficile e ho voglia di rialzarmi. So che voi potete darmi il supporto tecnico necessario per il mio miglioramento e io sono pronto a dare una mano. E se poi dimostrerò di avere le qualità necessarie e ci saranno percorsi giusti sarei pronto a dire la mia.

Però! Fossero tutti così…

Veramente! Subito si è mostrato con qualità umane non da poco. E questo l’ho apprezzato.

Già lo avete avuto con voi?

Sì, nei giorni che abbiamo passato negli Emirati Arabi Uniti. Era felicissimo, sereno e convinto della scelta fatta e di trovarsi in questo ambiente. Si è subito integrato, ma devo dire che questo è anche facile nel nostro gruppo.

Lo scorso anno Cosnefroy ha vinto la Freccia del Brabante. Il francese ama molto certe classiche
Lo scorso anno Cosnefroy ha vinto la Freccia del Brabante. Il francese ama molto certe classiche
Perché?

Perché come dico spesso siamo davvero amici. Quello della UAE Team Emirates è un gruppo aperto, internazionale e caloroso. Benoit l’ho visto bello brillante, sciolto nel parlare con gli altri. E per me si è anche divertito. Dai, sono fiducioso. Era beato tra i compagni. Mi sembra sia stato un bell’acquisto.

E invece, Mauro, da un punto di vista tecnico di che atleta parliamo? E come s’inserisce nella vostra rosa?

E’ un corridore che in qualche modo va a sostituire Alessandro Covi: un corridore che ogni squadra vorrebbe avere, in quanto sa aiutare ma sa anche vincere. Sa prendersi le sue responsabilità a prescindere dal ruolo che gli si dà. Un atleta così può andare bene sia per le gare di un giorno che per quelle di una settimana. Sa scattare, sa andare in fuga e cosa importantissima sa svolgere lavori ad alta intensità, ovviamente nei percorsi accidentati o su salite fino a 10-15 minuti.

Avete già definito già il suo programma?

No, per adesso c’è stato solo questo incontro. I programmi li faremo poi con Matxin a dicembre.

Cosnefroy vuole crescere, anche tecnicamente: ha già fatto qualcosa sul piano tecnico?

E’ già venuto al nostro service course. Per ora siamo partiti con un approccio soft, nel senso che abbiamo riportato le misure che aveva sulla vecchia bici e le abbiamo adattate sulle Colnago, ma qualche piccola modifica alla posizione l’abbiamo già fatta. Il resto lo faremo col tempo.

Cosnefroy durante un live sui social con il suo fans club
Cosnefroy durante un live sui social con il suo fans club

Un corridore vivo

L’idea che un corridore, come dice Cosnefroy, voglia continuare a crescere, sperimentare, migliorare vuol dire che è ancora attivo. E’ mentalmente sul pezzo. Probabilmente soprattutto all’inizio sarà utilizzato in supporto. La UAE Emirates è infarcita di campioni ed è comprensibile che ci siano un certo inserimento e, perché no, anche delle gerarchie. Ma ciò non toglie il fatto che se Benoit dovesse andare forte, non esiterebbe ad avere più spazio. In questi anni la UAE si è sempre mostrata molto propensa a lasciare spazio a chi andava forte e a rotazione tutti hanno avuto le loro chance.

Tra l’altro si è proposto con umiltà. Ha ribadito persino al suo fans club di non pretendere di essere al Tour e che anzi, quasi certamente, non ci sarà.

«I miei infortuni hanno complicato il mercato – ha detto Cosnefroy al giornale locale di casa sua, La Presse de la Manche – ma era l’ultima spiaggia per rimanere ai massimi livelli». Questa grinta è ciò che lo rende vivo e giovane nonostante la prossima stagione lo vedrà andare per i 31 anni.

Grand Prix du Morbihan 2025, Benoit Cosnefroy

Cosnefroy alla UAE: scommessa o gran colpo di mercato?

29.10.2025
5 min
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«Sono molto felice di unirmi al UAE Team Emirates – ha commentato Benoit Cosnefroy – e sono entusiasta di far parte della squadra migliore al mondo. Quando Mauro Gianetti mi ha presentato il progetto, ho capito che era la sfida ideale per me in questa fase della mia carriera».

Con queste poche parole, il corridore francese, che dal 2016 al 2025 ha sempre corso nello stesso gruppo (prima Ag2R La Mondiale e poi Decathlon AG2R), ha commentato il passaggio nella squadra emiratina. Il suo 2025, iniziato fra mille intoppi, si è riaperto in modo convincente a primavera per poi interrompersi di nuovo bruscamente in estate. Tredici giorni di corsa e una vittoria. Eppure questo gli è valso la chiamata della UAE, con un contratto biennale.

Il trentenne di Cherbourg en Cotentin è la grande scommessa di Gianetti e Matxin per il 2026. Quest’anno infatti Cosnefroy ha corso molto poco a causa di un intervento al ginocchio e ha poi saltato i campionati francesi e il Tour de France per una caduta al Giro di Svizzera. Benoit porterà con sé l’esperienza nelle corse di un giorno, avendo vinto il Grand Prix Cycliste de Québec e la Classica di Plouay battendo Alaphilippe. Sembrava il francese del futuro per le corse di un giorno, soprattutto dopo aver conquistato il secondo posto all’Amstel del 2022, battuto al fotofinish da Kwiatkowski, ma il suo cammino ha subito varie battute di arresto.

Amstel Gold Race 2022, Benoit Cosnefroy, Michal Kwiatkowski
Questo lo sprint tiratissimo fra Cosnefroy e Kwiatkowski all’Amstel del 2022, vinta poi dal polacco
Amstel Gold Race 2022, Benoit Cosnefroy, Michal Kwiatkowski
Questo lo sprint tiratissimo fra Cosnefroy e Kwiatkowski all’Amstel del 2022, vinta poi dal polacco

Il Natale più nero

Gli ultimi mesi sono stati tutti in salita. L’inverno era già stato un continuo patire, a causa del dolore al ginocchio, che a gennaio aveva richiesto un intervento. Ha raccontato suo padre che Cosnefroy non riusciva a pedalare per più di un quarto d’ora. A Natale aveva un dolore fortissimo, fino al momento in cui ha capito cosa avesse e a quel punto si è sentito liberato.

«Non è stato un periodo lineare – ha raccontato Cosnefroy – inizialmente avevo tanti dubbi, finché abbiamo trovato la causa. L’inverno è stato molto complicato, soprattutto a dicembre. Speravo di fare una bella stagione e per questo stavo lavorando. Di colpo invece non sono stato più in grado di gestire la situazione. All’inizio di gennaio sono andato a vedere un chirurgo in Belgio e lui mi ha detto che avrei avuto bisogno di un’operazione. A partire da quel momento è stato tutto più facile. Dopo l’operazione ho fatto 15 giorni di riposo totale, poi sono andato per tre settimane in un centro di rieducazione».

Dopo essere tornato in azione al Giro di Romandia e dopo il secondo posto alle Boucles de l’Aulne, Cosnefroy ha vinto il GP du Morbihan a Plumelec (foto di apertura). «Onestamente – ha commentato – non ho mai dubitato che sarei tornato al meglio. Dopo l’intervento, tutti i parametri erano buoni e la mia riabilitazione è stata buona. E’ stata una lunga strada».

Lo scorso anno, la vittoria al Brabante è stata la conferma della passione di Cosnefroy per le strade fiamminghe
Lo scorso anno, la vittoria al Brabante è stata la conferma della passione di Cosnefroy per le strade fiamminghe
Lo scorso anno, la vittoria al Brabante è stata la conferma della passione di Cosnefroy per le strade fiamminghe
Lo scorso anno, la vittoria al Brabante è stata la conferma della passione di Cosnefroy per le strade fiamminghe

Passione per le Fiandre

Il 2024 era stato probabilmente la sua stagione migliore. La vittoria al Tour de Alpes Maritimes davanti ad Albanese. Il sesto posto alla Strade Bianche. Le vittorie alla Parigi-Camembert e soprattutto alla Freccia del Brabante. Il quarto posto alla Freccia Vallone e la vittoria al GP du Morbihan e al GP du Finistere. Infine la frattura della clavicola al Renewi Tour che lo ha costretto a chiudere anzitempo la stagione.

«Questi luoghi sono le radici del nostro sport – disse dopo aver battuto Teuns e Wellens al Brabante – da anni desideravo scoprire questo mondo, immergermi in questa atmosfera. Da quando ho visto Valentin Madouas arrivare terzo al Giro delle Fiandre del 2022, mi è venuta una gran voglia di provarci. Le gare fiamminghe non sono come le altre: richiedono molta energia fisica, ma l’aspetto mentale gioca un ruolo fondamentale. E’ un aspetto stressante e bisogna sapersi superare. Per questo mi sono preparato a compiere sforzi molto impegnativi, spingendomi oltre i miei limiti».

Alla Strade Bianche del 2024, Cosnefroy ha centrato il sesto posto, a 4'39" da Pogacar
Alla Strade Bianche del 2024, Cosnefroy ha centrato il sesto posto, a 4’39” da Pogacar
Alla Strade Bianche del 2024, Cosnefroy ha centrato il sesto posto, a 4'39" da Pogacar
Alla Strade Bianche del 2024, Cosnefroy ha centrato il sesto posto, a 4’39” da Pogacar

La scommessa di Gianetti

Adesso si riparte nella squadra numero uno al mondo. Nel ciclismo francese ci si chiede se Cosnefroy avrà lo spazio per fare le sue corse, ma probabilmente nella gestione della UAE Emirates potrebbe andare a occupare lo spazio lasciato libero da Alessandro Covi. Un corridore vincente, mandato a fare punti nelle corse in cui non verranno schierati i top rider. Il motivo della scelta sarà da chiedere a Mauro Gianetti, per ora Cosnefroy resta nel suo entusiasmo e sta per riprendere il lavoro interrotto con la caduta allo Svizzera.

«Dopo aver parlato con il team e analizzato le loro ambizioni – ha spiegato – è diventato chiaro che questa collaborazione avrebbe potuto rivelarsi un successo e la decisione giusta da prendere. Non vedo l’ora di iniziare questo nuovo capitolo e di gareggiare con i miei nuovi compagni di squadra».

Nel finale di stagione lo si è visto in Italia per recuperare il nuovo materiale. Il primo appuntamento con la nuova squadra sarà il ritiro spagnolo di dicembre. E a quel punto il nuovo capitolo nella carriera dell’occhialuto francese sarà iniziato. Una scommessa per due: per lui e per i manager che l’hanno ingaggiato.

Campionati del mondo Kigali 2025, Juan Ayuso, massaggiatore Pablo Lluna

Matxin e l’addio di Ayuso: erano davvero tutti convinti?

30.09.2025
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KIGALI (Rwanda) – Juan Ayuso ha chiesto di andarsene. Il messaggio che deve passare è però che la decisione sia stata presa dalle tre parti coinvolte: la UAE Emirates, l’atleta e la Lidl-Trek. Sta di fatto che lo spagnolo ha chiesto di lasciare i numeri uno al mondo, subito accolto dalla squadra di Guercilena.

Le spie del suo disagio c’erano da tempo. Lo scorso anno i dissapori del Tour passarono in sordina con il suo ritiro. Anche se nelle dichiarazioni dopo il Galibier la squadra gettò acqua sul fuoco, ci risulta che quella sera a Valloire, Pogacar in persona avesse tuonato contro la condotta del compagno. Da allora i due si sono incrociati davvero raramente. Quest’anno il Giro e la Vuelta hanno confermato che il giovane spagnolo diventa insofferente ogni volta che gli viene affiancato un secondo leader. Al Giro, con Adam Yates e soprattutto Del Toro. Alla Vuelta con Almeida. E proprio durante la Vuelta, nonostante si fossero accordati per una comunicazione condivisa a fine corsa, è stata la UAE Emirates a comunicare la partenza di Ayuso.

Vuelta Espana 2025, Jotxean Matxin, Giovanni Lombardi, procuratore di Juan Ayuso
Lombardi, qui con Matxin, è l’agente che ha trattato il passaggio di Ayuso dalla UAE Emirates alla Lidl-Trek
Vuelta Espana 2025, Jotxean Matxin, Giovanni Lombardi, procuratore di Juan Ayuso
Lombardi, qui con Matxin, è l’agente che ha trattato il passaggio di Ayuso dalla UAE Emirates alla Lidl-Trek

Ayuso a Kigali

In questi giorni, lo spagnolo ha parlato e ha rivelato di essere rimasto in buoni rapporti con i compagni e con Matxin, meno con Gianetti. E probabilmente nella decisione di lasciarlo andare, il general manager svizzero ha avuto un ruolo decisivo, dopo che all’inizio dell’anno gli era stato prospettato un rinnovo fino al 2030.

«Queste decisioni non si prendono dall’oggi al domani – ha detto Ayuso in un’intervista a Domestique – credo che fosse una sensazione che si avvertiva gara dopo gara. La cosa importante per me era che internamente non ci fosse un buon coordinamento. Anche se capisco quanto sia difficile in una squadra dove si hanno così tanti impegni con così tanti bravi corridori. E’ andata male quando Gianetti si è reso conto che non c’era modo, per quanto lo desiderasse, di tenermi. Da quel momento in poi, il suo atteggiamento è cambiato».

Nel post che ha pubblicato su Instagram all’indomani dell’annuncio della squadra, lo spagnolo ha inteso ringraziarla e dichiarare la sua volontà di andare in cerca di altri obiettivi e di un ambiente più in linea con i suoi valori e il suo modo di essere. Un ambiente in cui possa crescere con fiducia e tranquillità.

Campionati del mondo Kigali 2025, Juan Ayuso, Tadej Pogacar, Mount Kigali
Kigali 2025, inizia l’attacco di Pogacar a Mount Kigali: Ayuso lo segue: sembra un regolamento di conti, ma la pagherà cara
Campionati del mondo Kigali 2025, Juan Ayuso, Tadej Pogacar, Mount Kigali
Kigali 2025, inizia l’attacco di Pogacar a Mount Kigali: Ayuso lo segue: sembra un regolamento di conti, ma la pagherà cara

Lombardi e il Tour

Nel raduno di partenza del mondiale su strada, Matxin è una sorta di calamita per corridori e addetti ai lavori. Il tecnico spagnolo è quello che più ha spinto per avere Ayuso alla UAE Emirates, avendolo seguito sin da quando era un ragazzino. Ora che il passaggio alla Lidl-Trek è ufficiale, si affacciano alla mente degli spicchi di memoria e la sensazione che se fosse stato per lui, non si sarebbe mai arrivati a questo punto.

Nel secondo riposo del Tour, una scena ci aveva incuriosito. Eravamo in attesa di parlare con Gorka Prieto, nutrizionista del team, per un confronto fra Pogacar e Milan, quando ci accorgemmo che a un tavolo del giardino assieme a Matxin era seduto il general manager Gianetti. E mentre i due confabulavano a bassa voce, Giovanni Lombardi li aveva avvicinati. Aveva chiesto come andassero le cose, poi si era allontanato. Una battuta sarcastica fra gli altri due ci aveva sorpreso, quasi a sottolineare che si trattasse di un interessamento poco sentito. Pochi giorni dopo sapemmo che Ayuso si era affidato al manager pavese, che in questo ruolo ha preso il posto di suo padre.

Che cosa pensa Matxin della fuga del suo corridore? Anche Covi è andato via per trovare più occasioni per sé, ma che effetto fa vedere andar via il primo corridore giovane su cui la squadra ha puntato con convinzione? «Non è una questione di andare via – dice – e non è neanche questione se sia il primo oppure no. E’ una situazione individuale con lui e credo che l’accordo raggiunto sia stato voluto da tutte le parti».

Campionati del mondo Kigali 2025, Juan Ayuso, Giulio Ciccone
Dopo il fuori giri per seguire Pogacar, Ayuso si è ritrovato con Ciccone, futuro compagno, chiudendo alle sue spalle
Campionati del mondo Kigali 2025, Juan Ayuso, Giulio Ciccone
Dopo il fuori giri per seguire Pogacar, Ayuso si è ritrovato con Ciccone, futuro compagno, chiudendo alle sue spalle
Perchè secondo te è voluto andar via?

Il perché magari lo devi chiedere lui. Con Juan ho un rapporto buono, ho volato con lui dalla Spagna, non è cambiato niente. Ovviamente a livello sportivo, lui vuole qualcosa di più che noi, a suo parere, non possiamo dargli. Abbiamo parlato sempre molto chiaro. Quest’anno doveva fare il Giro da capitano. Una volta che non l’ha finito per le circostanze che sapete (la puntura sul volto di una vespa, ndr), ha chiesto subito se poteva fare la Vuelta.

Ma alla Vuelta doveva andare Pogacar…

Infatti gli ho detto di stare in stand by, perché ovviamente se Tadej avesse corso in Spagna, sarebbe stato leader unico. Non si tratta di non volere Juan con lui alla Vuelta, solo avremmo preferito che andasse alle altre corse per cercare di vincere. E’ stata una decisione di squadra.

Ayuso ha fatto sempre un po’ di fatica ad aiutare Pogacar nei Giri…

Alla fine lui è un campione, per cui forse non è una questione di fatica. Juan è sempre convinto delle sue prestazioni e delle sue condizioni e noi crediamo che quando ha il livello per vincere, lo portiamo da capitano. Proprio per questo, se serve lavorare per un altro leader, preferiamo portare un altro. Siamo onesti e anche realisti.

Il dado è tratto, ma intanto alla Vuelta Ayuso vince la settima tappa e Matxin corre ad abbracciarlo
Vuelta Espana 2025, 7a tappa Cerler, Juan Ayuso
Il dado è tratto, ma intanto alla Vuelta Ayuso vince la settima tappa e Matxin corre ad abbracciarlo
Quest’anno ci avevi detto che fosse pronto per vincere il Giro, che però è andato male. Credi che a 23 anni sia pronto per diventare leader di uno squadrone con tutto il peso sulle spalle?

E’ quello che vuole. La domanda in più per lui è se non gli andasse bene essere un co-leader come era con noi, perché di certo ha un’opinione anche su questo. Io ovviamente la rispetto, ma so anche che alla UAE decide la squadra, in questo caso tocca a me, come programma e come tattica. Lo abbiamo portato come leader al Giro d’Italia. Però, come sapete bene, avevamo anche due alternative per fare eventuali movimenti tattici. Uno era Adam Yates e l’altro era Del Toro. E’ ovvio che quando Isaac è davanti, si rispetta il leader. Anche questo l’ha deciso la squadra e lo trovo giusto.

Quale sarebbe stato secondo te lo sviluppo di Ayuso se fosse rimasto con voi?

Secondo me poteva fare come quest’anno. Cioè puntare il Giro o la Vuelta. Qualche anno farne uno, qualcun altro doppiarli come quest’anno, che non era d’accordo a farlo. Salvo che, non avendo finito il Giro, è stato lui a chiedere di fare la Vuelta. E noi abbiamo approntato un piano A e un piano B. Non è stato lui a volerlo né ad imporlo. Se Tadej avesse corso la Vuelta dopo il Tour, Ayuso sarebbe andato a fare San Sebastian, Polonia, Plouay, Canada e le cose di fine stagione, provando a vincerle. Una volta che Pogacar ha rinunciato, cambiare è stato naturale. Il Canada a Tadej al posto di Juan, mentre Ayuso alla Vuelta.

Tour de France 2024, Presentazione squadre Firenze, Tadej POgacar, Juan Ayuso
Il Tour de France 2024 parte da Firenze, Ayuso è con Pogacar, ma lascerà la corsa dopo qualche frizione e per Covid alla 13ª tappa
Il Tour 2024 parte da Firenze, Ayuso è con Pogacar, ma lascerà dopo qualche frizione e per Covid alla 13ª tappa
Ti dispiace che cambi squadra?

Ovviamente sì. Mi dispiace a livello personale perché ho grande considerazione e mi dispiace a livello professionale, perché so che è un corridore eccezionale. Credo che se lui voleva fare questa scelta, era giusto ascoltarlo. Lo abbiamo fatto e alla fine la decisione l’abbiamo presa in tre. Noi, lui e la squadra che ha deciso di prenderlo. Non è che Juan abbia deciso di andare, questo sia chiaro: abbiamo deciso tutti insieme di fare così.

record vittorie 86, UAE Emirates, Tour de France, Tadej Pogacar

La UAE e le 86 vittorie. Con Gianetti nei retroscena del record

24.09.2025
6 min
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Era il 21 settembre, per molti un giorno non troppo felice in quanto segna la fine dell’estate, ma non era così per la UAE Emirates. Al Tour de Luxembourg Brandon McNulty faceva la storia. Vinceva la classifica generale e regalava alla sua squadra l’ottantaseiesima vittoria stagionale: un record assoluto. E lo faceva mentre tutti i componenti della UAE erano davanti al televisore, con il telefono in mano pronti a far partire il messaggio di gioia tanto atteso.

A raccontarci questo record delle 86 vittorie è il patron della UAE Emirates, Mauro Gianetti, team manager e CEO della formazione emiratina. La sua squadra ha superato il limite delle 85 vittorie stagionali che siglò la Team Columbia-HTC nel 2009. In quell’anno il solo Mark Cavendish ne portò 25, altre 20 André Greipel e 14 Edvald Boasson Hagen. Con tre corridori 59 successi. In casa UAE il discorso è ben diverso, come vedremo, e parte da quella “fame” tanto ammirata anche da Moreno Moser pochi giorni fa.

Mauro, prima di tutto complimenti, 86 vittorie! Sono davvero tante. Ve lo aspettavate?

Essendoci andati vicino lo scorso anno, quando ci fermammo a 81 successi, l’acquolina in bocca ci era venuta. Sapevamo che sarebbe stato complicato e che quel numero di vittorie sarebbe stato difficile da raggiungere perché spesso è legato alle squadre dei velocisti, degli sprinter, coloro che raccolgono più successi. Prendiamo la Soudal Quick-Step che con Merlier ne ha raccolte oltre 10 da solo e lo stesso la Visma-Lease a Bike con Kooij e Brennan. Noi di sprinter puro abbiamo solo Molano, e non sempre è schierato.

Avendo ben altro tipo di corridori, si fa più fatica a trovare spazio per lo sprint e tanto più a creare un treno dedicato.

La cosa bella è che, pur sapendo che era un numero gigantesco di vittorie da raggiungere, alla fine è stato un percorso condiviso da tutti. I corridori hanno sentito loro questo obiettivo e man mano che il traguardo si avvicinava erano sempre più partecipi. C’era la voglia. Ci siamo stimolati a vicenda. Il countdown è partito da lontano: «Dai ragazzi, ne mancano 15, 14…».

Insomma c’era consapevolezza…

Sì, il buon inizio di stagione ci ha messo subito sulla buona strada. Penso alle vittorie di Morgado, Del Toro, Ayuso, Narváez… Abbiamo iniziato a crederci davvero già nelle prime fasi dell’estate e devo ammettere poi che le sette tappe vinte alla Vuelta ci hanno fatto fare un bel salto. Vi dico che domenica scorsa, nella tappa finale dello Skoda Tour of Luxembourg, eravamo tutti davanti alla tv in attesa del successo di McNulty. Tutti ad aspettare questa vittoria numero 86, col telefono in mano per scrivere nella chat interna. E quando dico tutti intendo non solo i corridori, ma anche meccanici, allenatori, massaggiatori. Questo per me è stato, ed è, straordinario.

Gianetti con Pogacar. Tadej è il plurivittorioso stagionale con (sin qui) 16 successi. Seguono Del Toro con 13 e Almeida con 10
Gianetti con Pogacar. Tadej è il plurivittorioso stagionale con (sin qui) 16 successi. Seguono Del Toro con 13 e Almeida con 10
Chiaro che il Tour de France di Pogacar è la “ciliegiona” sulla torta, ma c’è una vittoria meno importante che ti ha colpito particolarmente?

Ogni vittoria ha la sua emozione e un suo valore. Come avete detto, il Tour ovviamente è stato importante e qualcosa di intenso. Però mi è piaciuta tantissimo la vittoria di Filippo Baroncini in Belgio, la vittoria di un ragazzo fortissimo che si è sempre messo a disposizione. Per di più è stata anche la sua prima vittoria in una corsa a tappe. Ero sinceramente felice per lui. Oppure mi viene in mente la tappa di Wellens al Tour o quella di Soler conquistata coi denti alla Vuelta. E quasi dimenticavo quelle di Del Toro al Giro d’Italia. Sono tutte vittorie durissime da raggiungere ma che rappresentano realisticamente la nostra squadra: un gruppo in cui tutti lavorano e hanno un obiettivo.

Cosa vuoi dire?

Da noi hanno alzato le braccia 20 corridori. E questo è un aspetto importante. Non solo, ma di questi atleti quasi tutti sono giovani, ragazzi che abbiamo cresciuto in casa o presi da giovanissimi. Togliamo Adam Yates, Politt e Wellens che sono arrivati da noi già ben formati, ma gli altri come Christen, Ayuso, McNulty… sono cresciuti con ambizioni di vittoria e di gruppo. Mi piace che abbiano preso questa identità. Vanno alle gare con serenità, con la voglia di poter vincere e non con l’ansia di dover vincere.

Gianetti ha espresso grande emozione per la vittoria di Baroncini al Baloise Belgium Tour
Gianetti ha espresso grande emozione per la vittoria di Baroncini al Baloise Belgium Tour
Mauro, nella UAE ci sono corridori fortissimi. Pogacar, giustamente, quando è in gara calamita l’attenzione e il lavoro. Ma magari, da parte dei tuoi ragazzi, c’è anche l’ambizione di mettersi in mostra quando hanno quelle poche possibilità personali? Pensiamo a Covi, per esempio, che come ha avuto l’occasione ha vinto o ci è andato vicino…

Covi è un ragazzo d’oro a cui sono affezionato e gli auguro il meglio anche ora che andrà via. Ha fatto altre scelte, ma sarò felice di vederlo vincere comunque. Io però farei il discorso contrario. Nel nostro gruppo la mentalità è che il collettivo è forte e il corridore stesso vuole sentirsi forte, vuole essere rassicurato dal suo gruppo e al tempo stesso essere consapevole che può vincere perché fa parte della UAE Emirates. Da noi chi vince ha un aiuto di altissimo livello, e lui stesso diventa di altissimo livello quando dà il proprio supporto. E credetemi quando dico che i nostri ragazzi sono amici. Ci tengo molto a questo spirito, perché secondo me fa la differenza.

Invece c’è una vittoria sfumata che ti è mancata?

Quando vai vicino a corse importanti ci ripensi un po’, ma è difficile vincere sempre. Penso alla Milano-Sanremo o alla Parigi-Roubaix di Pogacar, però parlare di dispiacere vero e proprio forse è troppo. Serve anche il rispetto verso chi quel giorno è stato più forte. Se poi riavvolgo il nastro della stagione non posso non citare il Giro d’Italia perso alla fine in due minuti. Perché è stato un momento: un blackout generale di 120 secondi. Due minuti in cui Simon Yates ne ha guadagnato uno.

Non solo gioie, in questo percorso c’è stata anche qualche sconfitta che ha bruciato, come quella del Giro, svanito in pochi attimi sul Finestre
Non solo gioie, in questo percorso c’è stata anche qualche sconfitta che ha bruciato, come quella del Giro, svanito in pochi attimi sul Finestre
Chiaro…

Mi è dispiaciuto per il ragazzo che aveva dimostrato di essere il più forte, di aver staccato sempre tutti in salita. Quel blackout ci è costato il Giro. Abbiamo analizzato, capito, fatto valutazioni. Avevamo dato un po’ troppo per scontato Yates che fino a lì si era sempre staccato, pensando solo a Carapaz, e in un attimo è finito tutto. Ma anche in questo caso bisogna dare atto alla Visma-Lease a Bike per come ha giocato le proprie carte. Sono stati bravissimi. Hanno studiato bene la situazione tattica. Noi invece dobbiamo imparare la lezione e andare avanti.

Un’ultima domanda, Mauro: è impossibile arrivare a 100 vittorie? Ci pensate sotto, sotto?

No, non esageriamo! Non è un traguardo che sia mai stato nominato né preso in considerazione. Per di più alla fine della stagione mancano poche gare. Quello però che possiamo fare è aggiungere qualche altra vittoria per rendere la vita più difficile a chi, prima o poi, batterà questo record. Ormai si va verso squadre sempre più specializzate e qualche formazione di sprinter potrà superarci. Noi cercheremo di rendergli la vita più complicata!

Majka sceglie la famiglia, ma non esclude di tornare (da diesse)

17.09.2025
6 min
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Nella sua storia di corridore, Rafal Majka ha corso per tanti capitani, ma tre sopra tutti. Contador, Sagan e Pogacar. Nulla in comune, ride il polacco che a fine anno lascerà il ciclismo, se non la determinazione nel vincere. Per loro a un certo punto ha messo via la voglia d’essere leader ed il suo è diventato il viaggio del più forte gregario del gruppo. Quello che dà la svolta alla corsa e costringe i rivali al fuorigiri. Quello cui un giorno Pogacar ha detto di calare un po’, che bastava anche meno. Tre sono state anche le squadre in cui Majka ha corso a partire dal 2011. La Saxo Bank di Bjarne Riis. La Bora Hansgrohe di Ralf Denk. Il UAE Team Emirates di Mauro Gianetti.

Da oggi, Majka è impegnato nello Skoda Tour de Luxembourg, dopo aver scortato Isaac Del Toro alla raffica di vittorie in Toscana, da Larciano a Peccioli, passando per il Giro della Toscana dedicato ad Alfredo Martini. Lo raggiungiamo prima di cena alla vigilia della corsa, con la curiosità di sapere perché ritirarsi, avendo dimostrato anche quest’anno un livello da assoluto numero uno.

Da oggi Majka è in gara al Tour of Luxembourg, dopo aver aiutato Del Toro in Toscana. Qui a Peccioli
Da oggi Majka è in gara al Tour of Luxembourg, dopo aver aiutato Del Toro in Toscana. Qui a Peccioli
Rafal, come mai?

Ho fatto una bella stagione (sorride, ndr). Anche in Polonia, Austria e le corse successive, sono sempre stato davanti. Però, ti dico la verità, avevo già deciso a gennaio e l’ho comunicato alla squadra. Avevo anche la proposta per l’anno prossimo, perché il grande Mauro (Gianetti, ndr) mi ha detto che il mio posto c’è sempre. La motivazione per andare in bici e allenarmi c’è, però la decisione è arrivata dalla famiglia, dalla voglia stare con i bimbi. Sono 24 anni che sono fuori e non è facile.

Siete stati a lungo separati?

In realtà no. A parte i primi tre anni che ho passato in Italia, poi sono stato in Polonia. Però sempre girando il mondo, più di otto mesi all’anno fuori casa. La routine normale di un corridore. Non sono ancora stanco, però voglio passare un po’ tempo con i bimbi. Vanno a scuola, hanno cinque e nove anni, il tempo passa veloce.

Ti stai abituando all’idea che sono le ultime corse?

Sto veramente bene. Dopo il Giro, abbiamo vinto ancora con Del Toro. Ho fatto il podio al Giro dell’Austria. In Polonia tutti sapevano che avrei smesso e ogni giorno è stato una festa. Poi abbiamo vinto in Toscana e Isaac volava. Adesso sono in Lussemburgo, con una squadra veramente forte. Sono contento di smettere con una squadra che è ancora prima al mondo e che vince tutto.

La UAE Emirates è solo la terza squadra di una carriera molto lunga: come mai hai cambiato così poco?

Sono stato per sei anni alla Saxo Bank che poi è diventata Tinkoff perché stavo bene e avevo sempre la fiducia. Dopo quattro anni sono diventato capitano e potevo anche aiutare Contador. Con la Bora ero un po’ più stressato, perché ero il solo capitano per le corse a tappe e dopo quattro anni ho sentito il bisogno di cambiare. Alla fine è arrivata una squadra, la Uae Emirates, in cui sapevo che c’erano un giovane di nome Pogacar. Pensavo fosse un buon corridore che avrebbe vinto una o due corse, invece mi sono ritrovato a correre con uno che vince tutto e che diventerà una leggenda. Per me è un divertimento correre con il migliore del mondo e migliore della storia. E’ veramente come una famiglia e so che mi mancherà. Perché Gianetti mi ha dato fiducia e come lui anche Matxin. Sono stati davvero cinque anni speciali.

Tre squadre e tre grandi capitani. C’è qualcosa in comune fra Contador, Sagan e Pogacar?

Tutti e tre sono forti con la testa. Impressionante la loro capacità di puntare un obiettivo. Tecnicamente Sagan è diverso dagli altri due, ma quando stava bene, poteva vincere tutto. Tre mondiali di seguito non sono una cosa normale. Anche Alberto è stato un grande campione capace di dichiarare che avrebbe vinto il Giro, il Tour o la Vuelta e poi di vincerli davvero. E poi c’è Tadej, che non dice niente, ma vince tutto. Pogacar parla meno, ma vince tanto.

Era il Giro del 2020, nel giorno di riposo nella cantina di Robert Spinazzè, quando ci dicesti che l’anno dopo saresti andato alla UAE per fare il gregario. Che cosa ti fece scegliere questa strada?

Sapevo che stavano arrivando dei giovani fortissimi. Io avevo ormai trent’anni e capii che sarebbe stato meglio diventare un buon gregario che vincere solo una o due corse all’anno. Perciò decisi di firmare per una squadra come la UAE, pur non sapendo quanto sarebbe diventato forte Pogacar.

Rafal Majka, classe 1989, è passato professionista nel 2011. Ha vinto 3 tappe al Tour (2 volte la maglia a pois), 2 tappe alla Vuelta, il Giro di Polonia
Rafal Majka, classe 1989, è passato professionista nel 2011. Ha vinto 3 tappe al Tour (2 volte la maglia a pois), 2 tappe alla Vuelta, il Giro di Polonia
E’ paragonabile lo stress del leader con quello del gregario?

C’è stress ugualmente, perché per aiutare uno così, devi essere pronto nel momento in cui serve. Però diciamo che lo sopporti meglio, se il capitano può davvero vincere tutto. E’ uno stress diverso, mi viene meglio ed è più facile correre così. Per quello avrei ancora la motivazione di continuare, perché non sono ancora un atleta sfruttato.

Al Giro di quest’anno il meccanismo UAE si è inceppato e Del Toro ha perso la maglia rosa. Che cosa è successo secondo te?

Tutti pensano che possano essere state le gambe o la testa. Io penso a un corridore di 21 anni che ha indosso la maglia rosa fino al penultimo giorno. Ho grande rispetto per Del Toro, come è chiaro che possa essergli mancata un po’ di esperienza. Però è un ragazzo forte, andrà fortissimo ai mondiali e sono certo che nei prossimi anni vincerà anche un Grande Giro.

E a proposito di giovani: che consiglio di senti di dare ad Ayuso che lascerà la squadra?

Di andare forte, andare forte e basta. Allenarsi al 100 per cento e andare forte. Perché anche Ayuso ha un talento che può sfruttare veramente bene, ovunque andrà a correre.

Sestriere, Del Toro ha appena perso la maglia rosa: Majka lo abbraccia, non si può sempre vincere
Sestriere, Del Toro ha appena perso la maglia rosa: Majka lo abbraccia, non si può sempre vincere
Tutto questo ti mancherà?

Mi mancherà tutto. Se fai la stessa cosa da quando sei giovane, è inevitabile che ti manchi quando la interrompi. Però alla fine voglio anche godermi la bici in tranquillità. Non guardare i watt e guardare invece la natura, fare chilometri con uno spirito diverso.

E’ fuori luogo aspettarsi un Majka direttore sportivo?

Volete proprio saperlo? Vi rispondo fra quattro mesi (ride, ndr), perché adesso voglio recuperare bene dopo la stagione. Lasciare tutto per quattro mesi e dopo sicuramente parleremo del futuro in questo sport, perché non voglio abbandonare del tutto un mondo che mi piace così tanto.

Domani Andorra dirà chi comanda fra Almeida e Ayuso

27.08.2025
6 min
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SUSA – Almeida o Ayuso, questo è il dilemma. Mentre tutti si interrogano su chi sarà l’avversario principale di Jonas Vingegaard, in casa UAE Emirates si parla sempre di coppia di leader e di responsabilità condivise, sin da quando la squadra è stata annunciata ed è stata confermata l’assenza di Tadej Pogacar, fresco del poker giallo.

Già dalla prima conferenza stampa congiunta al J-Hotel nel giorno della presentazione delle squadre a Torino, il gioco di carte è diventato provare a capire chi dei due bluffasse e chi, invece, nascondesse l’asso nella manica. «La mia forma è un’incognita perché ho pochissimi giorni di gara nelle gambe dopo il Giro, mentre Joao va davvero forte», spiegava Ayuso, uscito con morale e fisico a terra dalla Corsa Rosa e a caccia di riscatto nella Vuelta che, ironia della sorte, è scattata proprio dall’Italia. «Mi sento bene, ma sono certo che anche Juan andrà forte e la cosa più importante è che vinca la squadra. Noi, senza dubbio le proveremo tutte», gli faceva eco Almeida.

Tutti contro Vingegaard

Il primo arrivo in salita, con l’allungo di Soler sulle ultime rampe che portavano all’arrivo di Limone Piemonte, è stato fin troppo esplosivo per il tandem UAE. I due però si sono difesi con gli artigli, sfruttando anche il lavoro di Soler: quinto Almeida, ottavo Ayuso, che si è preso la maglia bianca. Lunedì, invece, nel tortuoso finale di Ceres, con il tornante ai -75 metri, il portoghese ha chiuso 28° e lo spagnolo 35°. Qualche chilometro prima del finale della terza tappa, trovandoci accanto a Mauro Gianetti ad attenderne l’esito, ci siamo fatti raccontare come procede la convivenza dopo queste prime tappe italiane. 

«Stanno bene entrambi – ci ha detto – e l’hanno già dimostrato nell’arrivo di Limone Piemonte. Abbiamo questa opportunità di avere due leader e quindi bisogna giocarseli bene. Anche perché per provare a battere Jonas Vingegaard bisogna essere veramente forti. Essere in due è un piccolo vantaggio. Certo, rimane il fatto che Jonas è fortissimo e ha una squadra di altissimo livello ma, con due carte a disposizione, c’è qualche chance in più. Quindi, è importante proprio avere questa coppia perché, nei giorni più difficili, la superiorità numerica può girare a nostro favore».

Di certo, non è una situazione abituale per la UAE, che di solito fa la parte del leone con Pogacar e che, stavolta, è costretta a raddoppiare le forze per contrastare il “solito” rivale danese. Gianetti replica: «E’ chiaro che Tadej è il numero uno al mondo, ma Almeida è un corridore straordinario, così come lo è Ayuso. Entrambi possono sfruttare la presenza dell’altro a proprio vantaggio e dividere le responsabilità».

Ayuso ha conquistato la maglia bianca e per ora corre in posizione di attesa
Ayuso ha conquistato la maglia bianca e per ora corre in posizione di attesa

Chi va e chi resta

Al netto dei tatticismi però, l’incerto futuro di Ayuso per il 2026 (persistono le voci che lo danno in uscita con la Lidl-Trek in pole position) fa propendere la tesi che sia Almeida l’uomo di punta per queste tre settimane a cavallo tra Italia e Spagna con la breve parentesi francese di ieri. Oltre alla preparazione non ottimale sbandierata a più riprese, il ventiduenne catalano è per la prima volta al via di due Grandi Giri nella stessa stagione e questo rappresenta un ulteriore punto interrogativo. Il portoghese, invece, prima del ritiro nella nona tappa del Tour de France, aveva impressionato facendo filotto tra Paesi Baschi, Romandia e Svizzera. Senza dimenticare che era stato l’unico, oltre a Pogacar, a battere Vingeegard in salita, con l’acuto nella quarta frazione della Parigi-Nizza.

Sul portoghese, Gianetti aggiunge: «Ha dimostrato negli ultimi due anni di riuscire ancora a crescere, poco alla volta. Grazie alla sua costanza nelle tre settimane può impensierire Vingegaard che, dal lato suo, ha un Tour de France sulle gambe, molto impegnativo sia dal punto di vista fisico sia mentale». Al punto da convincere anche un alieno come Pogacar a rifiatare. Il doppio impegno potrebbe pesare sulle gambe del danese. A questo si aggiunge, l’indole della Vuelta degli ultimi quindici anni, ovvero di prestarsi spesso a sorprese e colpi di scena: in casa Uae si è pronti a più scenari. 

Matxin è da sempre il mentore di Ayuso, qui parla con Almeida: è importante che regni l’equilibrio
Matxin è da sempre il mentore di Ayuso, qui parla con Almeida: è importante che regni l’equilibrio

Pogacar da tutelare

Sul mancato nuovo atto del dualismo Vingegaard-Pogacar, il team manager risponde così: «Tadej ci aveva pensato a venire alla Vuelta, sin da inizio stagione, perché è una corsa a cui tiene. Non si può però pensare di fare le classiche, il Tour e la Vuelta, perché le prime tolgono parecchie energie. In una corsa a tappe di una settimana, hai tempo magari per rifiatare. Nelle corse di un giorno come Strade Bianche, Milano-Sanremo, Fiandre sei sempre a tutta e richiedono una preparazione ad hoc e complicata. Tra le classiche e il Tour, Tadej ha staccato soltanto 2 giorni. Se avesse fatto la Vuelta, ne avrebbe avuti altrettanti di riposo prima della Corsa spagnola e sarebbe stato un po’ troppo poco per essere al top fisicamente e mentalmente».

Anche perché poi nel finale di stagione ci sono tanti altri appuntamenti che fanno gola al cannibale sloveno come mondiali, europei e Lombardia. E per un’altra ragione più a lungo termine a cui Gianetti tiene: «Vogliamo che il pubblico possa godersi il suo talento cristallino più a lungo possibile. Ovvio, in una Vuelta disegnata così, Tadej avrebbe potuto vincere parecchie tappe, ma bisogna fare delle scelte e preservarlo».

A ruota di Vingegaard, Ayuso vuole rifarsi dello smacco del Giro
A ruota di Vingegaard, Ayuso vuole rifarsi dello smacco del Giro

Ayuso guarda avanti

Gianetti poi rimescola le carte e dà ancora una carezza ad Ayuso, che vede in crescita di forma e non distratto dalle voci di mercato: «Purtroppo al Giro è andata com’è andata, malgrado la sua volontà, ma questo gli ha permesso di essere qui in corsa oggi alla Vuelta. Bisogna guardare avanti e lui non è certo un corridore che guarda indietro. Al massimo, lo fa per analizzare se c’è stato qualche errore o qualcosa nella preparazione che non ha funzionato. Senza dimenticare poi la caduta e la puntura dell’ape che l’hanno costretto al ritiro. Questa è una grande occasione per lui ed è concentrato soltanto su quest’obiettivo».

Dunque, la strana coppia Ayuso-Almeida continua a braccetto. Almeno fino all’arrivo in quota in Andorra di giovedì 28, quando potrebbe essere già la strada a svelare l’arcano, costringendo l’Uae a giocare a carte scoperte. 

EDITORIALE / Anche diplomazia nella stanchezza di Pogacar?

11.08.2025
5 min
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Il fatto che abbia visto il limite della riserva ha reso improvvisamente Pogacar più umano e questo non è necessariamente un male. Ieri Komenda, il suo paese, lo ha accolto con una gratitudine e una marea umana degna del Tour de France (in apertura un’immagine di Alen Milavec). Dalla Slovenia, la Grande Boucle dovrebbe partire nel 2029, costringendo implicitamente il campione del mondo a ripensare la data del ritiro che nei giorni francesi aveva invece legato alle Olimpiadi del 2028.

In tempi non sospetti, comunque dopo la seconda vittoria del Tour, Mauro Gianetti disse parole chiare sulla necessità di tenere a freno lo sloveno per tutelarne la carriera e la salute. «Lui si diverte – disse nel 2023 lo svizzero – ma dobbiamo comunque gestire la cosa con calma e tenere anche una visione sul lungo termine. Perché è chiaro che Tadej abbia delle grandi potenzialità, delle ambizioni grandissime, però sappiamo che è importante guardare oltre il presente. E quindi corre, va forte perché va forte e fa la stessa fatica di quello che arriva decimo o cinquantesimo. Perché tutti si impegnano al 100 per cento, ma lui è davanti. Secondo noi, corre il giusto: l’anno scorso ha fatto 54 giorni di gara».

Nella terza settimana del Tour si è avuta spesso la sensazione di un Pogacar stanco o meno motivato del solito
Nella terza settimana del Tour si è avuta spesso la sensazione di un Pogacar stanco o meno motivato del solito

La fine della carriera

I giorni di corsa sono stati 50 nel 2023 con l’interruzione per la frattura dello scafoife; 58 nel 2024 con il Giro e poi il Tour; sono 43 per ora quest’anno. La gestione è stata molto oculata e questo ha permesso a Pogacar di tenere un altissimo livello, che ne ha fatto il campione acclamato in tutto il mondo.

«Ho iniziato a vincere abbastanza presto – ha detto ieri nella conferenza stampa – e da allora tutto è andato alla grande. Alcuni ridono leggendo che conto gli anni che mancano al mio ritiro. A ogni stagione ci alleniamo più duramente e più velocemente, quindi guardo al mio futuro con piacere. Da un lato, so che la mia carriera sportiva non sarà lunga, ma dall’altro sono consapevole di poter godere del livello attuale per qualche anno ancora. Mi aspetto che questo livello calerà a un certo punto e che non ci saranno più vittorie in stagione di quelle attuali e che prima o poi ci sarà un anno negativo. Sono preparato a tutto ciò che sta arrivando, quindi sono ancora più consapevole di dover godermi il momento. Devo essere pronto a fermarmi, ringraziare e dire addio alle gare ai massimi livelli».

A Komenda ieri un pubblico degno del Tour de France se non superiore (foto Alen Milavec)
A Komenda ieri un pubblico degno del Tour de France se non superiore (foto Alen Milavec)

Ragioni di opportunità

E se all’aumento della fatica, si fosse sommata davvero la necessità di non dare troppo nell’occhio? Ospite del programma Domestique Hotseat, Michael Storer del Tudor Pro Cycling Team ha raccontato un singolare retroscena della tappa di Superbagneres, che a suo dire Pogacar avrebbe rinunciato a vincere.

«Quel giorno il UAE Team Emirates-XRG ha tirato a tutta per tutto il giorno – ha raccontato – e poi Pogacar, sull’ultima salita, non ha fatto nulla. Per quello che mi hanno riferito, lungo la strada ci sono stati dei cori di disapprovazione da parte del pubblico e quindi i direttori della squadra hanno deciso che quel giorno era meglio che Pogacar non vincesse, in modo da tenere i tifosi francesi dalla loro parte. E penso che abbiano tenuto in conto la cosa anche durante l’ultima settimana del Tour de France: non volevano vincere tutto».

Un punto di vista che cancella parzialmente l’immagine di Pogacar stanco o aggiunge ad essa una differente sfumatura? «A La Plagne può anche essere che non avesse le gambe – ha proseguito Storer – ma a Superbagneres ha proprio detto ai compagni che non voleva vincere. Allora avrebbe potuto lasciar andare subito la fuga e non spremere la squadra per tutto il giorno. Si vedeva che i suoi compagni erano molto stanchi e anche Tadej sembrava provato».

Dopo l’arrivo, Pogacar è andato da Arensman e si è congratulato: ha davvero rinunciato a vincere?
Dopo l’arrivo, Pogacar è andato da Arensman e si è congratulato: ha davvero rinunciato a vincere?

Meno obiettivi e… divertenti

La stanchezza c’era e l’abbiamo toccata ogni giorno con mano. Se Pogacar avesse tenuto fede agli annunci di inizio stagione, sarebbe dovuto andare alla Vuelta e a quel punto i giorni di gara sarebbero saliti per la prima volta sopra quota 60. La scelta di ridisegnare il finale di stagione risponde alla volontà di mantenere una prospettiva di carriera. Stesso motivo per cui ad esempio lo scorso anno, di fronte alla possibilità di aggiungere la Vuelta alle vittorie del Giro e del Tour, si optò per il passo indietro.

C’è stato un periodo in cui si pensava che certi campioni potessero correre a ruota libera tutto l’anno. Poi, uno dopo l’altro, si sono accorti loro per primi che per restare in alto c’è bisogno di selezionare gli impegni. Van der Poel, ad esempio, lo scorso anno si è fermato a 42 giorni di gara. Pogacar è stato sinora l’eccezione alla regola, ma forse le fatiche del Tour gli hanno fatto capire che il livello medio è cresciuto ancora. Le squadre dei suoi avversari si sono rinforzate con fior di campioni che hanno lui come bersaglio e questo di certo induce parecchio stress. Il programma di Tadej prevede la trasferta canadese con il Grand Prix Cycliste de Quebec e Montréal. Poi Tadej difenderà il mondiale in Rwanda e potrebbe anche correre ai campionati europei in Francia. Nei prossimi anni lo sloveno tornerà al Tour, difficilmente la squadra glielo risparmierà. Ma la sensazione è che quel senso di fatica sia più legato al dover portare a casa risultati che ormai per lui significano poco. E quando Pogacar non si diverte, se ne accorgono davvero tutti.

Il Pologne è di McNulty. Gianetti: «Una vittoria per Baroncini»

10.08.2025
6 min
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WIELICZKA (Polonia) – Le miniere di sale che fanno da cornice alla crono conclusiva del Tour de Pologne cristallizzano la vittoria di McNulty nella generale, il solito dominio UAE ed una bella giornata per gli italiani che salgono sul podio di tappa e finale.

Il baffuto statunitense rovina una possibile tripletta tricolore sul traguardo di Wieliczka. Prima del suo arrivo, davanti a tutti a comandare i 12,5 chilometri della prova contro il tempo ci sono nell’ordine Milesi, Sobrero e Tiberi. Ci vuole quindi una grande prestazione di McNulty per batterli e per sfilare contemporaneamente la maglia gialla a Langellotti.

Langellotti nella crono conclusiva non riesce a salvare la maglia gialla: 21° al traguardo, 5° nella generale
Langellotti nella crono conclusiva non riesce a salvare la maglia gialla: 21° al traguardo, 5° nella generale

Il pensiero a “Baro”

Il successo di McNulty – il numero 72 stagionale per la UAE Emirates-XRG – ha un sapore decisamente speciale ed un destinatario ben preciso: Filippo Baroncini. Proprio negli istanti in cui si stava chiudendo la lunga cerimonia protocollare delle premiazioni della gara, partiva il volo per l’Italia con a bordo il ragazzo di Massa Lombarda. Per l’occasione era arrivato in Polonia anche Mauro Gianetti, general manager della squadra.

«Questa vittoria – ci dice in mixed zone – la dedichiamo col cuore a Filippo. Per tutta la settimana tutti i nostri corridori non facevano altro che chiedere informazioni su di lui. I ragazzi qua in Polonia li ho visti molto pensierosi. La nostra squadra vive di grandi emozioni e in questi giorni c’era un tono più basso del solito per un sentimento triste. Tutti ci tenevano a conquistare la corsa per lui.

«I compagni che lo hanno visto subito per terra dopo l’incidente – continua Gianetti – ci sono rimasti molto male naturalmente. Per chi invece non c’era e sapeva che era in ospedale intubato non era una bella cosa. Non abbiamo grande voglia di esultare, però credo che il vero successo straordinario sia il trasporto di Filippo in Italia in queste ore a Milano dove verrà preso in consegna dall’ospedale Niguarda per l’operazione e per tutte le cure del caso».

Gianetti è arrivato al Polonia per vedere Baroncini prima del volo per l’Italia per l’operazione
Gianetti è arrivato al Polonia per vedere Baroncini prima del volo per l’Italia per l’operazione

Passione per la vita

L’incidente occorso a Baroncini ha scosso tutti e tutti si sono fatti sentire per fare sentire la propria vicinanza ad un ragazzo tanto talentuoso quanto sfortunato.

«Filippo sta bene – riprende Gianetti – ha tutti i parametri vitali a posto. Sarà una questione di tempo, di pazienza e di passione per la vita. Tornerà più forte di prima. Sono venuto perché lo volevo vedere, stare vicino a lui e alla famiglia. E’ stata un’impressione impattante.

«Quando entri in quei reparti di cure intensive – prosegue – e vedi uno dei tuoi ragazzi in quelle condizioni è una brutta sensazione. Devo dire che il reparto dell’ospedale di Walbrzych è stato veramente eccezionale. Hanno preso veramente a cuore la situazione di Filippo e lo hanno seguito ogni secondo. Hanno fatto bellissime cose, stabilizzandolo. Grazie a questi interventi lui sta bene e può essere fiducioso».

McNulty per Gianetti può diventare in futuro un capitano nelle grandi corse a tappe
McNulty per Gianetti può diventare in futuro un capitano nelle grandi corse a tappe

UAE pronta per la Vuelta

All’orizzonte per la UAE c’è la campagna spagnola che partirà dal Piemonte. Come sempre il team di Gianetti andrà per vincere e arrotondare il proprio bottino.

«La Vuelta – spiega il general manager – è una delle gare più importanti per noi di tutto l’anno. Almeida si è dovuto ritirare dal Tour per una caduta e sta preparando a puntino la corsa spagnola. Vuol provare ad essere protagonista e dovrà combattere con corridori di altissimo livello a partire da Vingegaard. Avremo il rientro in una grande corsa a tappe di Ayuso, che purtroppo ha dovuto abbandonare il Giro prematuramente. Si sta preparando molto bene anche lui e può essere una valida alternativa per la generale.

«Rispetto al 2024 di questo periodo – Gianetti risponde ad un dato statistico – siamo in vantaggio di una decina scarsa di vittorie in più. Sarebbe bello raggiungere il record delle 85 (che appartiene alla HTC High Road nel 2009, ndr), ma credo che le 100 siano un po’ esagerate (sorride, ndr). Cerchiamo di prendere giorno per giorno e non guardare troppo lontano».

Il podio della crono della settima e ultima tappa del Pologne: McNulty fra Milesi e Sobrero
Il podio della crono della settima e ultima tappa del Pologne: McNulty fra Milesi e Sobrero

A proposito di McNulty

Brandon McNulty è il primo americano, nonché extra europeo ad entrare nell’albo d’oro del Tour de Pologne. Con la crono e la generale ha conquistato i primi due successi stagionali che diventano venti da quando è pro’. Gianetti ci saluta spendendo grandi parole su di lui.

«E’ un ragazzo – conclude – che ha fatto una grande crescita e sempre dietro le quinte. Quest’anno ha fatto un Giro d’Italia straordinario a disposizione di Ayuso prima e Del Toro poi finendo nella top 10. Non si tira mai indietro, sa sacrificarsi. Qui ha avuto occasione per fare classifica e non ha sbagliato. Ieri gli è sfuggita la vittoria a Bukowina perché è stato bravissimo Langellotti. Oggi ha fatto una grande crono vincendo anche la generale. Brandon ha ancora del margine, può ancora migliorare. Con questo successo in una gara così importante come il Pologne, sono sicuro che prenderà una grossa iniezione di fiducia per il suo futuro e lo vedremo protagonista in un grande giro».

Italiani in alto

Li abbiamo seguiti tutta la settimana e alla fine gli italiani hanno saputo essere protagonisti. Dopo il traguardo mentre Milesi era sulla hot seat, abbiamo seguito le fasi conclusive della crono con Sobrero e Tiberi sia per i piazzamenti parziali che generali. Sul podio di giornata ci vanno Milesi e Sobrero (rispettivamente a 12” e 15” da McNulty) e su quello finale salgono Tiberi e Sobrero (rispettivamente a 29” e 37” dallo statunitense).

«Sono abbonato al secondo posto – scherza Milesi in mixed zone – anche se credo che sia la prima volta che batto Sobrero a crono e quindi va bene così. Battute a parte, sono felice delle prestazioni che ho avuto in questi giorni. Negli ultimi due giorni purtroppo non mi sono sentito tanto bene, ma credo che anche senza problemi McNulty avrebbe vinto lo stesso. Da domani saprò il resto del calendario della stagione».

«Oggi – racconta soddisfatto Sobrerocon questo doppio podio chiudo un cerchio col Tour de Pologne del 2022 come vi dicevo ieri. Al di là del risultato, ho il morale alto per partire “da casa” dalla Vuelta.

«Sono partito a tutta – confida Tiberi con un sorriso – per arrivare a tutta. Non mi sono risparmiato in questa gara, però sono stato attento a non “limare” troppo per non rischiare di cadere o compromettere l’avvicinamento alla Vuelta. Sarebbe stato bello avere tre italiani nei primi tre di tappa, però dobbiamo essere contenti tutti per esserci saliti in due sui due podi».

Pogacar vince, Almeida la scampa e Gianetti omaggia Hinault

11.07.2025
6 min
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«Possiamo anche aspettare», così aveva detto Mauro Gianetti questa mattina al via dalla splendida Saint-Malo. E tutto sommato la vittoria numero 101 del suo Tadej Pogacar è arrivata, per dirla in gergo calcistico, di rimessa… per certi versi. Controllo, azione nel punto giusto, volata, braccia al cielo. Minima spesa, massima resa.

La corsa fila via veloce. Una classica fuga: cinque atleti, ma dietro non lasciano troppo spazio. I velocisti si staccano dopo aver racimolato gli ultimi punti rimasti al traguardo volante. E bravo il nostro Jonathan Milan a fare la formichina. E’ così che si porta quella maglia a Parigi, anche se oggi l’ha persa e indovinate chi l’ha presa? Però da domani iniziano delle frazioni veloci e ci auguriamo che il friulano possa riprendersi lo scettro.

Sul Mur de Bretagne grande controllo. Remco guida. Tadej ha un occhio avanti e uno dietro e Vingegaard francobolla la ruota dello sloveno

Pogacar anche sul Mur

Per la sesta volta il Tour de France arriva su questo strappo già iconico. Vincere quassù è quasi una semiclassica. E se si presenta l’occasione, perché non sfruttarla?

Ancora oggi, un po’ come ieri verso Vire, a mettere i bastoni tra le ruote ai progetti difensivi della UAE Team Emirates è stata la Visma-Lease a Bike. Forse oggi davvero la UAE non era troppo interessata alla tappa, o meglio, a non lasciare andare via fughe troppo numerose. Forse Pogacar avrebbe lasciato ancora la maglia a Mathieu Van der Poel. E invece eccola rimbalzargli addosso.

La squadra di Jonas Vingegaard ha ridotto forte il gap a quel punto. Tim Wellens (sempre più un gigante) e Jhonatan Narvaez lo hanno portato davanti nello strappo finale. A quel punto Pogacar non ha speso una goccia di energia in più del necessario per evitare che altri si prendessero tappa e abbuoni. Ha fatto tirare Remco Evenepoel… pensate un po’.

Almeida, che dolore

Ma in tutto questo c’è un neo per la UAE Team Emirates e Tadej Pogacar: la caduta di Joao Almeida. Una caduta, tra l’altro, non troppo chiara. Una delle bici a bordo strada era senza copertone e, al momento dell’innesco del capitombolo, frontalmente si nota una fuoriuscita di aria e liquido. Bisogna capire se la copertura è stallonata per l’impatto o se al contrario questa stessa ha innescato il tutto.

Fatto sta che a pagarne le spese sono stati uomini di classifica importanti. Parliamo di Santiago Buitrago e soprattutto di Joao Almeida, che sembrava aver riportato la frattura del polso.

E non a caso sull’arrivo, appena saputo il tutto, Pogacar non era affatto contento. Era piuttosto preoccupato per Almeida e perché il rischio di perdere un gregario tanto importante non è cosa da poco. Si è visto in questi giorni quanto il portoghese abbia fatto la differenza.

«Per me la giornata è andata alla perfezione – ha detto Pogacar – esattamente come avevamo programmato. La squadra ha fatto un lavoro fantastico. Abbiamo dovuto dedicare molta energia al raffreddamento del corpo, perché faceva molto caldo. E’ stata una tappa veloce e dura. I ragazzi mi hanno lasciato ai piedi della salita. E normalmente, anche Joao sarebbe stato lì, ma è caduto e spero che stia bene. Che dire: sono di nuovo in giallo. Spero che ora avremo due giornate un po’ più facili».

Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard
Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard

I valore dei gregari

Con il ruzzolone e i ritiri di oggi si torna a parlare di cadute. Mattia Cattaneo si è ritirato, sembrerebbe a causa dei postumi della caduta subita nella quarta tappa. Il primo gregario di Remco ha tenuto duro per un paio di giorni, ma oggi è stato costretto ad alzare bandiera bianca.

«Sì – ha detto Evenepoel – Mattia è la mia guardia del corpo abituale e si è ritirato. Era uno dei ragazzi con cui avevo ancora degli impegni. Mi mancherà sicuramente, ma tutto sommato, il suo stop è stata la decisione giusta. Aveva mal di testa e non si sentiva bene, quindi è meglio così. Queste sono le corse».

E anche Pogacar si è espresso su Almeida. «Giornata perfetta? Se Joao sta bene, allora è una giornata perfetta. Se non sta bene, questa vittoria è per lui».

Insomma anche i grandissimi si preoccupano senza i loro uomini più fidati. Badate che questa tappa potrebbe avere un peso specifico nell’economia del Tour de France. Se Almeida non dovesse farcela la Visma avrebbe un vantaggio non da poco. Mentre Remco è davvero solo.

Si arrivava a casa dell’immenso Hinault: quanti omaggi lungo la strada per l’ultimo vincitore francese del Tour
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L’analisi di Gianetti

Avevamo aperto l’articolo con le parole di Mauro Gianetti, CEO della UAE Team Emirates, e con le sue parole lo chiudiamo.

«La prima cosa – ci dice Gianetti – è che Joao sta bene, diciamo così. Ha delle abrasioni, ha un’infrazione a una costola, ma i raggi X hanno escluso fratture. Certo, ha preso una bella botta e sbattere sull’asfalto a 60 all’ora non è mai bello. Ma poteva andare peggio. Pertanto, se la notte andrà bene, domattina dovrebbe partire regolarmente».

Poi si passa alla tattica. Pogacar sembrava quasi disinteressato al successo e, tutto sommato, se ci fosse stato Mathieu Van der Poel a vincere non gli sarebbe dispiaciuto. Forse…

«Disinteressati direi di no – riprende Gianetti – abbiamo provato a giocarci la tappa. Certo, l’importante era non finire la squadra per controllare la corsa. Fortunatamente all’inizio anche Van der Poel e la Alpecin-Deceuninck ci credevano e abbiamo collaborato. Ma occhio però, perché anche se Mathieu e Tadej sono amici, non gli avrebbe lasciato la tappa. Anche perché Vingegaard e Remco erano in agguato. Insomma, Tadej non si sarebbe tirato indietro. Domani e dopodomani ci saranno due giornate semplici, in cui magari si riesce a non spendere troppo».

«E poi – fa una pausa Mauro – alla fine vincere sul Mur-de-Bretagne è qualcosa di iconico. Avete visto quanta gente c’era? Senza contare che siamo a casa del grandissimo Bernard Hinault, e anche questo conta. E’ un omaggio a questo gigante».

«Alleanza trasversale con la Alpecin? Se ieri Van der Poel avesse preso la maglia con 2 minuti magari ci avrebbe aiutato di più, però così non è stato. E alla fine neanche puoi fare troppi calcoli. Oggi se non avessimo vinto noi, l’avrebbe fatto Vingegaard. E sinceramente, meglio stare davanti che dietro».

Gianetti si gode i suoi ragazzi. Parla di un gruppo coeso, di un bell’ambiente: «Li vedo uniti. Sono amici prima ancora che corridori. Tutti hanno ben chiaro l’obiettivo. Penso proprio ad Almeida, che l’altro giorno avrebbe anche potuto vincere, ma si è messo a disposizione. Ha giocato per Pogacar».