Dopo l’ottimo inizio di stagione, fra gli iscritti provvisori della Sanremo risulta ancora Matteo Trentin, anche se il corridore del UAE Team Emirates è ancora a casa sua a Monaco, senza allenarsi, cercando di riprendersi dal brutto colpo alla testa subìto alla Parigi-Nizza (in apertura la crono durante la quale ha avuto i primi sintomi), in seguito al quale non ha preso il via nella quinta tappa.
Il ciclismo si è dato una regola per i casi di commozione cerebrale, per cui Trentin è stato ritirato dalla corsa. Non immediatamente. Ha difatti finito la seconda tappa. Ha corso il giorno dopo. Mentre in quello dopo ancora, nella crono del quarto giorno, ha iniziato ad avvertire dei fastidi per i quali è stato fermato e non è partito nella quinta tappa.
La commozione cerebrale sottopone il cervello a un urto violento (foto Wikipedia)La commozione cerebrale sottopone il cervello a un urto violento (foto Wikipedia)
Ne abbiamo parlato con Adriano Rotunno, medico della squadra, classe 1968, nato in provincia di Latina e cresciuto in Sudafrica.
«Qualsiasi trauma alla testa – dice – può avere conseguenze, lievi o gravi. Naturalmente, se c’è un danno al casco, c’è un rischio maggiore di commozione cerebrale, quindi è fondamentale che esaminiamo immediatamente a fondo il corridore (e il casco) per prendere una decisione rapida su una possibile diagnosi di commozione cerebrale. In altri sport è differente».
Come mai?
Il calcio o il rugby sono diversi. Il gioco può essere interrotto e i giocatori mandati a fare un esame neurologico approfondito in caso di trauma cranico. Giocheranno semmai la partita successiva. Il ciclismo è uno sport in continuo movimento e ad alta velocità. Quindi un esame neurologico “approfondito” dopo un trauma cranico è molto difficile da eseguire e le decisioni devono essere prese rapidamente, soprattutto in caso di corsa a tappe. Altrimenti la gara va avanti e il corridore resta fuori. E qui sta il problema…
Adriano Rotunno è un medico nato in Italia e cresciuto in Sudafrica (foto UAE Team Emirates)Adriano Rotunno è un medico nato in Italia e cresciuto in Sudafrica (foto UAE Team Emirates)
Ci spieghi meglio, per favore…
C’è la pressione per tornare in bici e riprendere la gara. Viene da parte del corridore stesso, del team, degli sponsor. Come abbiamo visto in passato, l’esame neurologico rapido fatto a bordo strada, anche se eseguito bene, è spesso inadeguato visti i vincoli di tempo. Mette tutte le parti in una posizione difficile. Così con Trentin, il medico di gara ha eseguito un rapido esame neurologico, che Matteo ha oggettivamente superato, ed è stato ritenuto idoneo a continuare la gara.
Non avrebbe dovuto?
E’ stato bravo a finire la tappa, ma come sappiamo, i sintomi della commozione cerebrale possono essere ritardati e svilupparsi ore o giorni dopo l’incidente. Questo è quello che è successo nel suo caso e quindi, per evitare ulteriori colpi al cervello, è stato immediatamente ritirato dalla gara per consentirgli di guarire. Il nostro protocollo in caso di qualsiasi trauma cranico prevede che se c’è un sospetto clinico di commozione cerebrale, questo viene riconosciuto e il corridore viene ritirato immediatamente. E nei giorni successivi si svolgeranno ulteriori osservazioni ed esami neurologici.
Il colpo subito da Matteo è stato particolarmente violento rispetto alle cadute più frequenti?
Con il danno al casco, la possibilità che non fosse commozione cerebrale era davvero bassa, per questo il corridore è rigorosamente monitorato.
Trentin è caduto nella 2ª tappa della Parigi-Nizza, battendo il capo, ma è ripartito (foto Tv)
Ha corso anche la tappa successiva, vinta da Pedersen, chiudendo oltre gli 11 minuti
Trentin è caduto nella 2ª tappa della Parigi-Nizza, battendo il capo, ma è ripartito (foto Tv)
Trentin ha corso anche la tappa successiva, vinta da Pedersen, chiudendo oltre gli 11 minuti
Cosa fa la squadra in un caso del genere?
Una volta fatta la diagnosi di commozione cerebrale, il corridore viene ritirato e lo teniamo con il medico di squadra per un periodo di visita e osservazione neurologica. Una volta ritenuto idoneo a viaggiare, lo rimandiamo a casa per il recupero e ripetiamo gli esami/osservazioni per la commozione cerebrale, seguiti da un rigoroso ritorno all’allenamento graduale, se i sintomi lo consentono. Questa fase può richiedere giorni o mesi, in alcuni casi.
Prima di ripartire l’atleta deve sottoporsi ad altri esami clinici?
Assolutamente. Vengono effettuati esami medici e neurologici completi. Teniamo presente che dopo una caduta ci sono altre complicazioni al cervello e al corpo, quindi dobbiamo esaminare e gestire l’atleta in modo completo prima che riprenda ad allenarsi.
«Ci voleva sì, altroché – dice Trentin tutto d’un fiato – ci voleva alla grande. Sono contento. Sono andato forte forte!».
L’aeroporto è incasinato, la coda per il check-in dei bagagli va a rilento e intanto Matteo racconta la vittoria. Lo prendiamo un po’ in giro: ti ricordi in che modo ci eravamo salutati a Kuurne?
Una volata con tanta rabbia dopo le delusioni di Het Nieuwsblad e KuurneUna volata con tanta rabbia dopo le delusioni di Het Nieuwsblad e Kuurne
Ci pensa e non ricorda. Era appoggiato alla transenna dopo il nono posto alle spalle di Jakobsen e ridendo all’indirizzo dell’addetto stampa cinese dell’UAE Team Emirates, aveva detto: «Non torno stasera, ho vinto Le Samyn, perché Zhao non vuole andare a casa». L’altro aveva riso, ma adesso che Le Samyn l’ha vinto davvero quella frase strappa il sorriso.
«In realtà – ghigna – intendevo dire che mi avevano fatto rimanere su fuori programma, ma mi sta bene anche così».
Giornalisti e volate
Ci girava intorno da parecchio. Allo stesso modo in cui il Trofeo Matteotti del 2021 era venuto dopo due anni di digiuno, la vittoria di ieri sul traguardo di Dour interrompe una maledetta serie di piazzamenti e volate perse d’un soffio. Matteo è di buon umore.
Merlier, come Jakobsen e gli altri velocisti, sono rimasti tagliati fuori dal forcing dei primiMerlier, come Jakobsen e gli altri velocisti, sono rimasti tagliati fuori dal forcing dei primi
«Questa cosa delle volate – dice – me l’avete attaccata voi giornalisti».
«Ti abbiamo aiutato a metterla a fuoco – gli rispondiamo – perciò adesso che l’hai superata, devi pagarci da bere».
«Lettura interessante – un istante di silenzio, una risata – ma comunque sono contento matto. Sono andato davvero forte. Abbiamo fatto la corsa dura da subito, perché dopo Kuurne nessuno voleva portarsi Jakobsen in volata. Al Matteotti ero contento perché fu quasi una liberazione, qui sono contento perché riuscirò ad arrivare rilassato ai prossimi impegni».
Jakobsen? No, grazie
L’olandese della Quick Step-Alpha Vinyl è arrivato nel gruppone a 4 secondi dal trentino e alla volata ci ha rinunciato, visto che c’era in palio il nono posto. A ben vedere, la stessa azione Trentin l’aveva provata proprio a Kuurne, ma si era trovato in cattiva compagnia di gente poco propensa a tirare e il gruppo dietro spianato in caccia.
Questa volta il forcing di Trentin ha portato via il gruppo giusto. Erano 25, sono arrivati in 8Questa volta il forcing di Trentin ha portato via il gruppo giusto. Erano 25, sono arrivati in 8
«Pavé e strade strette – racconta – non è stato tanto un fatto di muri. Siamo partiti subito forte, ma non si staccava nessuno. Quando però abbiamo accelerato davvero, dietro si sono disuniti. Non so chi tirasse nel gruppo, forse la Quick Step, perché davanti erano in due e non hanno mai collaborato. Quando siamo partiti, nel gruppo in fuga eravamo in 25, poi piano piano hanno iniziato a staccarsi e alla fine siamo arrivati in otto con 4 secondi di vantaggio».
Destinazione Sanremo
Il futuro è un’ipotesi, canta Enrico Ruggeri, ed è bene che tale rimanga. Da ieri sera Matteo è a casa, ma partendo si lamentava che il distributore automatico di snack fosse fuori uso e che sarebbe arrivato a Monaco così tardi da saltare la cena.
Prima del podio, finalmente per Trentin il momento di sorridere con Hofstetter e De BondtPrima del podio finalmente per Trentin il momento di sorridere
«Poco male – ammette – ora un po’ di riposo, poi la Parigi-Nizza e la Sanremo. Non sto neanche a parlarne per scaramanzia. Arrivo sempre lì, l’anno scorso c’è scappato un dodicesimo posto. Per questo tornerò a pensarci dopo la Parigi-Nizza. Il rammarico di questa vittoria è non aver avuto il tempo per festeggiare con la squadra. Hanno fatto la premiazione più lunga del mondo e quando sono tornato al pullman, alcuni erano già andati via».
Le premiazioni in effetti sono andate parecchio per le lunghe. Jean Luc Vandenbroucke – ex professionista, direttore sportivo, commentatore televisivo, organizzatore della corsa e zio dell’indimenticato Frank – ha posato con lui in sella a una biciclettona da passeggio (foto in apertura).
Un commiato ben più lieve di quello di Kuurne, quando la rassegnazione aveva preso il sopravvento sul suo proverbiale spirito. La Sanremo è una presenza costante nei sogni di ogni corridore italiano e negli allenamenti di ogni residente a Monaco, ma per coglierla ci sarà bisogno che tutti i tasselli vadano al loro posto. Per sapere come andrà a finire basterà aspettare le prossime tre settimane.
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Una volta c’erano i velocisti, che si mettevano di traverso quando la strada iniziava a salire. E se un giovane coraggioso, ingenuo o semplicemente incauto si permetteva di attaccare troppo presto, iniziava il volo delle borracce. Poi questa abitudine è scomparsa, il ciclismo è cambiato, gli sceriffi hanno dismesso certe abitudini e poi si sono estinti, ma ci sono ancora momenti e corse in cui i padroni del gruppo fanno la voce grossa. Sulle stradelle sconnesse del Nord, ad esempio, se ne vedono di cotte e di crude.
Il gruppo vola con i manubri distanti pochi millimetri uno dall’altro. L’arte del limare si impara soprattutto lassù e può capitare di assistere a manovre verso le quali normalmente si punterebbe il dito.
Van Aert ha chiuso Trentin verso il marciapiede: una manovra non così rara da vedereVan Aert ha chiuso Trentin verso il marciapiede: una manovra non così rara da vedere
Le prendi e le dai
Vi siete accorti della chiusura di Van Aert ai danni di Trentin sul Muur alla Het Nieuwsblad? Matteo ha ammesso che forse il belga lo ha stretto di proposito per impedirgli di prendere la discesa in testa, ma si è guardato bene dal lamentarsi. Certe cose al Nord sono normali.
«Se vai in Belgio a fare quelle corse – conferma Michele Bartoli, il più fiammingo degli italiani degli anni 90 – di certe cose non ti puoi scandalizzare. Quando si dice “mors tua, vita mea”, lassù è proprio così, semplicemente perché non ci sono altre possibilità. Le prendi e stai zitto. E poi magari impari anche a darle».
Perché correre sempre in testa? Perché dietro si rischia di restare a piedi…Perché correre sempre in testa? Perché dietro si rischia di restare a piedi…
Non è tutto lecito
E’ tutto così normale che Michele non aveva neppure considerato irregolare la manovra di Van Aert. Ma con la stessa franchezza ha anche messo l’accento sul fatto che non tutto sia lecito.
«Io ero uno che si lamentava spesso in corsa – sorride – ma al Nord non l’ho mai fatto. Eppure sapete quante volte sono finito contro una transenna? Non si contano. Prima dei muri è normale che ci siano degli scarti bruschi. Sai che se perdi 3-4 posizioni all’inizio della salita, in cima magari ne hai perse venti e la corsa è andata. Perciò ai giovani che vanno lassù consiglio di prenderle e imparare a renderle, sempre nei limiti della sicurezza. Non è che tutto sia permesso, ma i percorsi sono così».
Il volo di Alaphilippe al Fiandre del 2020. Quella volta la manovra di Van Aert non fu limpidissimaIl volo di Alaphilippe al Fiandre del 2020. Quella volta la manovra di Van Aert non fu limpidissima
La scuola del Nord
Quel confine è così labile, che diventa difficile anche stigmatizzarne il superamento. Allo stesso modo in cui la stretta di sabato ai danni di Trentin non ha avuto grosse conseguenze, se non quella di rallentarne lo slancio, non si può dimenticare la manovra, uguamente di Van Aert, ai danni di Van del Poel e Alaphilippe nel Fiandre del 2020. Il belga puntò la moto e poi scartò di colpo. L’olandese riuscì a schivarla, il campione del mondo francese rovinò a terra e si ruppe un polso. Tutte le invettive si concentrarono sul motociclista, la manovra venne ritenuta funzionale alla corsa.
Il Nord è la scuola di ciclismo più dura che ci sia ed è un peccato che ai tanti ragazzi che militano nelle nostre professional essa sia preclusa, sia perché non ci sono gli inviti, sia perché spesso non vengono neanche richiesti. Per questo, al pari di Pozzato nei giorni scorsi, facciamo anche noi il tifo per Cassani. E intanto spingiamo idealmente le continental e le professional di casa nostra affinché investano sui ragazzi che indossano la loro maglia. Le salite sono tutte uguali, le stradine del Nord se non le impari da ragazzo, rischi di non impararle più.
Italiani protagonisti a Kuurne. Meno di ieri, anche per il percorso meno impegnativo, ma protagonisti e portatori di due diverse filosofie in corsa. Da una parte gli attaccanti, con Colbrelli e soprattutto Trentin, nono all’arrivo. Dall’altra Nizzolo, quinto, il cui impegno ha contribuito a rintuzzare il tentativo del Matteo nazionale. Se come ha raccontato anche Jakobsen, non si fossero mosse le tre squadre dei velocisti – Quick Step, Lotto Soudal e Israel – la fuga di Trentin sarebbe salita a un minuto e non l’avrebbero più ripresa.
Quella manovra sul Muur
Trentin ieri era furibondo. In qualche modo nel finale ha avuto la sensazione di essere rimasto da solo. E poi c’è stata quella manovra di Van Aert sul Muur che l’ha chiuso alle transenne, impedendogli di infilarsi per attaccare la discesa in testa.
Trentin ha provato ad attaccare, ma la fuga è stata rintuzzataTrentin ha provato ad attaccare, ma la fuga è stata rintuzzata
«Se avessimo collaborato – dice secco, poggiato alla transenna – arrivavamo, punto. C’erano dei bei corridori davanti. Ma a un certo punto ho visto che il Bahrain aveva uno e non tirava. La Quick Step aveva uno e non tirava. E già lì ho cominciato a pensare: cosa faccio, mi porto Asgreen a spasso? Magari anche no. Ho provato due o tre volte a tirare via un gruppettino, ma non so come mai, a me venivano sempre addosso. Poi Laporte ha provato ed è andato via due volte e l’hanno guardato andar via. Quei tre sono stati forti, perché li abbiamo presi sotto la riga».
Soddisfatto a metà
In un video girato ieri alla partenza della Omloop Het Nieuwsblad, Matteo diceva che magari sarebbe arrivato il momento di vincere a sua volta dopo i centri dei suoi compagni. Perciò il bilancio di questo primo viaggio non può soddisfarlo appieno.
«Bilancio medio – dice infatti – oggi tutto sommato sono contento, perché per come è andata la gara, sono stato sempre dove dovevo essere. Se quel gruppo fosse arrivato, magari le possibilità erano di più. Nel momento in cui ci hanno preso, in volata sono venuto su da dietro, a destra e sinistra, transenne mica transenne. Potevo arrivare due posizioni più avanti, ma anche sette più indietro. Una volta che ci hanno preso, per la vittoria era andata. Però sono contento di come ho corso, di come ho reagito e impostato la volata. Sono riuscito a districarmi bene e questo è simbolo anche di una gran bella condizione. Se fossi stato finito, non ci sarei riuscito».
Dopo l’arrivo, Trentin ha salvato la giornata, ma non il risultatoDopo l’arrivo, Trentin ha salvato la giornata, ma non il risultato
Il terzo sprint
Nizzolo è già sul bus e ha fatto la doccia, sfogliando la margherita per capire se essere soddisfatto o meno della prestazione.
«Era la terza volata dall’inizio dell’anno con la nuova squadra – dice – ho fatto due podi e un quinto posto, per cui le cose stanno andando bene. Anche oggi abbiamo corso nel modo giusto. Abbiamo reagito quando si doveva e sono abbastanza sicuro che se non ci fossimo mossi, i primi avrebbero guadagnato un bel minuto e non li avremmo più ripresi, perché erano gente tosta».
Divertente giochino prima del via: i corridori si presentavano fra loro. Ecco NizzoloDivertente giochino prima del via: i corridori si presentavano fra loro. Ecco Nizzolo
Rimonta pazzesca
Quando un velocista cambia squadra, non deve preoccuparsi solo di sé, sarebbe troppo facile. Deve anche creare l’accordo in squadra, comporre il treno o aiutare a farlo. E a sentirlo parlare, Nizzolo appare soddisfatto anche di questo aspetto.
«Sono contento della squadra – dice – anche se nel finale ci siamo un po’ disuniti. Ci siamo fatti un po’ prendere la mano, diciamo così. Ho iniziato la volata da dietro, se riguardate il video all’ultima curva sono attorno alla 35ª posizione. E quella rimonta mi ha svuotato le gambe. Al momento di aprire il gas per fare la volata, non ne avevo più. Le forze per ora sono quelle, ma i ragazzi hanno un bello spirito. Perciò adesso si tira un po’ il fiato. Poi Tirreno, Sanremo e si torna al Nord».
La Sanremo è il frutto proibito dei velocisti italiani e poi c’è quel podio dietro Van Aert alla Gand (secondo Nizzolo, terzo Trentin) che va assolutamente cancellato. C’è da scommettere che i due si troveranno presto nuovamente in corsa su schieramenti contrapposti. Entrambi classe 1989, entrambi abituati a prendersi le misure da una vita. Fra vittorie e grandi piazzamenti, la primavera dei nostri è iniziata in modo interessante.
Van Aert ha fatto quello che tutti noi speravamo facesse. Ha preso la vittoria nella Omloop Het Nieuwsblad, l’ha messa per un attimo da parte con i sorrisi e i brindisi e ha detto la sua sulla guerra in Ucraina.
«Voglio dire una cosa – ha esclamato dietro il podio – le corse in bicicletta adesso sono una questione secondaria a fronte di cose più importanti che stanno succedendo a questo mondo. E’ una follia anche solo pensare che una guerra sia ancora possibile e per giunta così vicina. Per quel che vale, vorrei esprimere il mio sostegno a tutti coloro che sono coinvolti dalla guerra in Ucraina».
Bacio con moglie e figlio per Van Aert, rientrato da poco a casa dopo 2 settimane in alturaBacio con moglie e figlio per Van Aert, rientrato da poco a casa dopo 2 settimane in altura
Maledetto vento
Che corsa ragazzi! Davanti tutti i pezzi grossi del gruppo, mentre Gaviria correva in ospedale con la clavicola rotta. Il racconto di Van Aert intanto spiega tutto, mentre il pubblico in visibilio se lo mangiava con gli occhi. Grato per quell’azione a 13 chilometri dall’arrivo.
«C’era molto vento contro – ha proseguito il vincitore – e di conseguenza la corsa è rimasta chiusa per molto tempo. In realtà volevo forzare la situazione un po’ prima, ma c’era poco. Però sul Berendries ci siamo mossi. Tiesj Benoot e il resto della squadra hanno fatto un lavoro fantastico. Sono molto contento di questa vittoria».
Per Van Aert vittoria nella gara del debutto, con 22″ su ColbrelliPer Van Aert vittoria nella gara del debutto, con 22″ su Colbrelli
Obiettivo Roubaix
«Non pensavo di andare tanto bene così presto – ha aggiunto – ma ero ben preparato. Ho una buona condizione ed è difficile adesso dire se potrò mantenerla fino a Roubaix. In termini di intensità, c’è ancora qualcosa da aggiungere. Sono stato bravo, ma il Fiandre e la Roubaix sono ancora più importanti, quindi spero di migliorare un po’. Conto di fare quest’ultimo passo alla Parigi-Nizza aiutando Roglic, che va là per vincerla».
Per Colbrelli grande accoglienza nel velodromo di Gand alla presentazionePer Colbrelli grande accoglienza nel velodromo di Gand alla presentazione
Testa e gambe
Che Colbrelli non nuotasse nell’oro si era visto. Però stava lì, con quelli davanti. Muoveva le spalle sui muri, ma non mollava e per questo per un po’ abbiamo sperato di raccontarne un’altra. E ci sarebbe anche riuscito Sonny, se ai piedi del Bosberg Van Aert non avesse deciso di averne abbastanza. Il gigante belga ha avuto nello stesso giorno più testa e più gambe. La prima nel dare via libera a Tiesj Benoot, costringendo gli altri (fra loro proprio Colbrelli, Trentin e Pasqualon) a spendere quel po’ che gli era rimasto. Le seconde nell’attacco sull’ultimo muro.
La corsa finalmente riaperta al pubblico, ma poche mascherine e tanta birraLa corsa finalmente riaperta al pubblico, ma poche mascherine e tanta birra
Trentin e il Muur
Quando c’è pubblico, le Fiandre sono un posto fantastico. Terra di giganti che pigiano sui pedali e tifosi nelle cui vene scorre lo stesso sangue schiumoso ricavato dal luppolo. Dopo gli ultimi due anni con poca gente sulle strade (perché ai belgi puoi vietarlo, ma non sarai mai sicuro che casualmente non si trovino al passare sulle strade della corsa), rivedere il Grammont con le giostre, la gente e la birra è stato persino un’immagine commovente. E proprio in quel budello di pietre brune come il cuoio, che in passato ha visto le azioni di Bartoli e Ballan, Boonen e Cancellara, Trentin ha sfidato Van Aert e per un po’ l’ha preoccupato.
Spalla a spalla sul Grammont, Trentin e Van Aert hanno infiammato la corsaSpalla a spalla sul Grammont, Trentin e Van Aert hanno infiammato la corsa
Vittoria studiata
Wout l’aveva preparata. Ieri è andato a dare un’occhiata a Haaghoek e Leberg e ha incontrato e superato Alexander Kristoff sul Berendries. E’ arrivato fino al Muur di Geraardsbergen.
«E’ stato utile fare questa ricognizione – diceva stamattina alla partenza il diesse Maarten Wynants – per testare di nuovo il materiale e verificare le sensazioni sulle pietre. La maggior parte dei ragazzi è stata sul Teide per tre settimane e ha pedalato su strade perfette…».
Su una moto di Eurosport, Bradley Wiggins ha raccontato il suo punto sulla corsaSu una moto di Eurosport, Bradley Wiggins ha raccontato il suo punto sulla corsa
Fatica Colbrelli
E di prima corsa si trattava anche per Colbrelli, sceso anche lui domenica scorsa dal Teide, come ci aveva raccontato proprio da lassù. Quelli forti non hanno bisogno di tanto rodaggio, ma è singolare che ai primi due posti della Omloop Het Nieuwsblad si siano piazzati due corridori già brillanti appena scesi dall’altura.
«Brillante, insomma… – sorride il bresciano – ho sofferto, vi dico la verità. Stavo abbastanza però… è andata! Un bel secondo posto in una classica di inizio stagione. Speriamo di far meglio nelle prossime gare. Ci ho sperato fino alla fine, ma non posso dir nulla. Ho visto che Van Aert partiva, ma mi sono detto: “Resto qui, perché già sono un po’ al limite”. Avevo ancora due compagni e mi sono detto: proviamo a chiudere il gap. Sapevo che era molto difficile. Oggi Van Aert aveva un’altra marcia e si è visto».
Per Colbrelli un secondo posto che fa sperare, arrivato nella gara del debuttoPer Colbrelli un secondo posto che fa sperare, arrivato nella gara del debutto
Rimpianto Pasqualon
Chi invece davanti all’attacco di Van Aert non si è voltato dall’altra parte è stato Andrea Pasqualon. Un cerotto sullo stinco destro, la barba impolverata e la tosse che impedisce al respiro di andarsene.
«Quando mi sono accorto che partiva sul Bosberg – dice – ho provato io a seguirlo. Ma quando a quello lì gli dai 10 metri, non lo pigli più. Si sapeva che ha una marcia in più, lo ha dimostrato ed è andato fortissimo. Del resto è un campione! Io… Ho provato sul Bosberg. Ho provato a rientrargli sotto, ma la gamba era quella che era. Purtroppo una settimana fa sono caduto e ho sofferto tanto. Anche nel finale non ero brillante, ero pieno di crampi e si è visto bene anche in volata che non ero proprio io.
Pasqualon è stato il solo a rispondere a Van Aert sul BosbergPasqualon è stato il solo a rispondere a Van Aert sul Bosberg
«Sotto questo cerotto, ho due buchi profondi, che fanno male e non mi fanno recuperare di notte. In queste corse serve ogni minima energia, però sono contento del risultato. In fin dei conti non sono andato male. E domani recupero perché voglio puntare a fare bene a Le Samyn, che mi si addice. Domani niente Kuurne, cercherò di ritrovare le forze».
Matteo Trentin è nel vivo della stagione. Lui più di altri, perché i suoi grandi obiettivi sono concentrati nella primavera e in particolare nella prima parte. Il corridore del UAE Team Emirates è uno degli italiani sui quali sono investite più responsabilità e attese da parte dei tifosi e… non solo, chiaramente.
Ormai è un veterano del circus, aggettivo che gli possiamo affibbiare non tanto per l’età (ha 32 anni), ma per l’esperienza e il carisma di cui gode in gruppo.
Matteo Trentin (classe 1989) è alla sua 12ª stagione da pro’Matteo Trentin (classe 1989) è alla sua 12ª stagione da pro’
Matteo sei nel clou della tua prima parte di stagione, come vivi questo periodo di avvicinamento a questi grandi obiettivi?
Ormai ci sono abituato e a livello di testa non mi agito più. Invece da un punto di vista fisico devo dire che la gamba per ora risponde abbastanza bene. Anche oggi (ieri per chi legge: Matteo è in gara alla Ruda del Sol, ndr) è andata bene, nonostante il percorso non fosse proprio per me. Diciamo solo che ci manca una “vittorietta” per il morale e per dire a me stesso che sono sulla buona strada.
I tre “monumenti” in vista per te sono Sanremo, Fiandre e Roubaix. Qual è quello che senti di più?
Quello che vivo più da vicino è la Sanremo. Sarà che abitando a Montercarlo quasi tutti i giorni si percorre il finale della Classicissima. Ormai quelle strade è come fossero le strade di casa. Poi certo, un Fiandre… è un Fiandre. La Ronde, specie con il pubblico, è una gran cosa. Ci sono davvero poche gare così. Le sensazioni che puoi avere quando passi sul Kwaremont pieno di gente sono da fuori di testa. E noi non ci siamo abituati. Non siamo in uno stadio in cui il pubblico urla tutto il tempo. Tutto ciò non succede spesso nel ciclismo.
La Sanremo la senti di più: come vivi l’approccio, la vigilia?
Tranquillissimo. Ormai la situazione è collaudata. Il mercoledì, quasi per tradizione, andiamo (a Montecarlo vivono molti pro’ che spesso escono insieme, ndr) a provare il finale… come se servisse a qualcosa! Sono circa quattro ore di uscita. Andiamo fin oltre la Cipressa e torniamo indietro. Il giovedì si parte per Milano, il venerdì la sgambata e il sabato la corsa.
Trentin all’attacco in fondo alla discesa del Poggio nella Sanremo del 2019Trentin all’attacco in fondo alla discesa del Poggio nella Sanremo del 2019
Qual è “il tuo momento” della Sanremo?
Ah, bella domanda! Cambia sempre. Oggi la Cipressa è più “usata” per fare la corsa dura dalle squadre che hanno questo interesse. Ma poi dal Poggio in avanti ogni momento può essere quello buono. Soprattutto dal falsopiano: può andare via un gruppetto, un corridore che azzarda. Si può aspettare la volata o partire in fondo alla discesa… E oggi è sempre più difficile perché tutti vanno forte e le possibilità sono le stesse per molti più corridori.
Passiamo ad aspetti un po’ più tecnici, Matteo. Siamo a metà febbraio e hai già otto giorni di corsa. Non sono pochi…
In passato ne ho avuti anche di più. Quando c’era il Down Under arrivavo a fine febbraio che ne avevo anche 20. Però è anche vero che col passare degli anni si va sempre più forte e per trovare la condizione bisogna fare il giusto, altrimenti si rischia di fare troppo. Le corse vanno dosate.
Sul piano della preparazione hai cambiato qualcosa?
Io cerco sempre di fare qualcosa di diverso. L’anno scorso ho lavorato molto sugli intervalli brevi, quest’anno ho fatto delle ripetute più lunghe. Tra novembre e i primi di dicembre ho fatto parecchia mountain bike e poi mi sono fatto i miei bei dieci giorni di sci di fondo. E devo dire quest’anno è andata molto meglio dell’anno scorso perché la neve era migliore. Essendo nevicato meno, era più compatta e ho potuto svolgere un lavoro molto produttivo. Successivamente in ritiro e in quel periodo ho fatto molto volume e man mano che sono arrivate le prime gare ho fatto lavori più “corti”. Da adesso in poi solo gare, niente altura, è così che voglio trovare il massimo della condizione.
Il tifo sul Kwaremont al Giro delle Fiandre: un’emozione anche per i corridoriIl tifo sul Kwaremont al Giro delle Fiandre: un’emozione anche per i corridori
Quali farai?
Adesso sto correndo alla Ruta del Sol, poi farò l’apertura in Belgio e arriverò alla Sanremo dalla Parigi-Nizza, quindi di nuovo Belgio.
E la palestra? In tanti hanno aumentato molto il lavoro “a secco”…
Io quella l’ho sempre fatta. Diciamo che sono tornato ai livelli pre-Covid, con un lavoro ben strutturato, cosa che stando a casa non si poteva fare. Ho lavorato sia sulle gambe e che sulla parte alta.
Invece sul piano tecnico, hai fatto dei cambiamenti?
No, sono cambiate solo le gomme. Siamo passati da Vittoria a Pirelli. Siamo ancora in una fase di test e di prove. Io per ora sto utilizzando dei tubeless da 25 millimetri e devo dire che le sensazioni sono buone. Non saprei dire cosa nello specifico, ma parlo del feeling di guida in generale.
Il trentino non è mai stato troppo fortunato alla Roubaix, anche l’anno scorso l’ha corsa con i postumi della caduta al mondiale (foto Instagram)Il trentino non è mai stato troppo fortunato alla Roubaix, anche l’anno scorso l’ha corsa con i postumi della caduta al mondiale (foto Instagram)
Facciamo un passo indietro, Matteo, non ci hai parlato della Roubaix: come mai?
Perché tra tutte le classiche la Roubaix è quella che mi è sempre rimasta un po’ indigesta. Anche per questo è quella sulla quale sono meno focalizzato. Penso più all’Amstel Gold Race e sì che l’ho fatta solo tre volte. La prima neanche dovevo farla e ho bucato a mezzo giro dalla fine. Una volta mi hanno ripreso a quattro chilometri dall’arrivo, forse anche tre.
Questa non ce l’aspettavamo. E’ anche vero che l’Amstel è particolare: è stata vinta da pseudo-velocisti, ma anche da corridori più “scalatori”…
Mi si addice abbastanza, non è una Liegi e neanche una Roubaix, ma devi saper limare, stare davanti, andare forte in salita, ma al tempo stesso essere veloce.
Classiche e Matteo Trentin: senti il “peso”, la responsabilità di essere uno dei pochissimi italiani a poter fare bene?
No, non ci penso. Penso solo a fare bene. E poi alla fine della fiera parlano i risultati.
In queste sfide c’è un compagno che hai o che vorresti avere sempre al tuo fianco?
Essendo il UAE Team Emirates un grande team, con un programma ampio c’è sempre una grande rotazione di atleti. Questo discorso riguarda più i velocisti con il loro treno. Noi dobbiamo essere bravi ad adattarci alle situazioni e ad integrarci.
La “ricetta magica non esiste” e le indicazioni di base, la biomeccanica e i fattori soggettivi devono collimare. Quali sono i criteri da considerare quando si sceglie una sella? Cosa dobbiamo tenere bene a mente quando pedaliamo per evitare problematiche alle zone sensibili del nostro corpo?
Abbiamo domandato a due atleti che si allenano per 30 ore (e oltre) alla settimana e autorevoli anche nelle valutazioni tecniche: Matteo Trentin (UAE Team Emirates) ed Hermann Pernsteiner (Team Bahrain Victorious), molto differenti anche nella struttura fisica. Trentin ha una struttura muscolare importante e potente, il corridore austriaco è il tipico scalatore, più esile e leggero. Entrambi, pur militando in squadre diverse, utilizzano selle Prologo.
Matteo Trentin in azione sul pavé, il corridore trentino è dotato di una struttura muscolare importante
Hermann Pernsteiner, al contrario di Trentin ha un fisico minuto, tipico degli scalatori
Trentin in azione sul pavé, il corridore trentino ha una struttura muscolare importante
Hermann Pernsteiner, al contrario di Trentin ha un fisico minuto, tipico degli scalatori
Può risultare banale, ma consideriamo l’ampia scelta dei prodotti sul mercato. Quali sono i criteri con i quali viene scelta la sella?
TRENTIN: «Senza dubbi, il primo fattore da considerare è la comodità, questa deve essere sopra a tutto. Il mercato attuale offre tante possibilità e molta scelta, anche per le differenti categorie di prodotti, ma il comfort deve essere in cima alle valutazioni. Un altro aspetto è il design del prodotto. Non è corretto scegliere una sella solo perché ci gratifica esteticamente. Non è detto che una sella super performante sia ottimale e adatta alle proprie esigenze».
PERNSTEINER: «Per la scelta della sella adeguata alle mie esigenze, utilizzo dei criteri personali. Non ho una struttura fisica imponente, ho il bacino stretto e appoggi ischiatici ridotti. Diciamo che ho il tipico fisico da scalatore e sono leggero. Preferisco una sella non eccessivamente morbida, anzi piuttosto dura. Associo questo fattore alla stabilità che riesco ad ottenere dalla sella. Inoltre non amo le selle eccessivamente larghe».
Il posizionamento della sella comporta una serie di operazioni, necessarie al benessere e alla ricerca della performance (foto Magneticdays)Il posizionamento della sella comporta una serie di operazioni (foto Magneticdays)
Conta maggiormente una valutazione biomeccanica, oppure la soggettività?
TRENTIN: «Entrambe le cose, ma l’ultima parola e una sorta di verdetto finale deve essere legato alla soggettività. E’ giusto avere dei riferimenti ed è altrettanto importante avere unaposizione in bici corretta, tanto comoda, quanto proficua. Quando si parla di sella, si entra in un argomento molto delicato, dove la soggettività ha un grande peso e valore nelle scelte finali».
PERNSTEINER: «La mia esperienza mi ha insegnato che la soggettività ricopre un ruolo fondamentale nella scelta di un componente importante come la sella. E’ ovvio che sono necessari dei riferimenti e oggi la tecnologia di valutazione ci aiuta in questo. Però l’ultima parola è sempre quella delle sensazioni e dei feedback personali. Se non si è comodi su una sella è necessario cambiare».
Per Trentin non esiste la “soluzione che va bene per tutti”: la sella deve essere adatta alle esigenze personaliPer Trentin la sella deve essere adatta alle esigenze personali
Quanto tempo è necessario per abituarsi alla sella?
TRENTIN: «Se la sella è buona, adatta alle proprie caratteristiche ed esigenze, il feeling è immediato e sono sufficienti un paio di uscite tranquille per trovarlo. Se è necessario adattarsi, se la sella porta a fare movimenti strani e continui, allora non va bene ed è meglio provare qualcos’altro. Partendo sempre dal presupposto, come detto in precedenza, che anche una buona messa in sella è un aspetto fondamentale. Da non tralasciare».
PERNSTEINER: «Sono convinto che per abituarsi ad una sella ci vogliono almeno due o tre settimane. Bisogna prendere il proprio tempo per avere il giusto feeling e valutare in modo soggettivo i diversi fattori che entrano in gioco».
L’austriaco del Team Bahrain predilige selle strette e piuttosto dure, in grado di offrire feeling e stabilità (foto ChalyLopez Team Bahrain)L’austriaco predilige selle strette e dure, per feeling e stabilità (foto ChalyLopez Team Bahrain)
Quali sono i campanelli di allarme che permettono di capire che non è la sella adatta alle proprie esigenze?
TRENTIN: «Quando il componente non è adatto si generano pressioni varie, fin dalle prime pedalate. E questo fa drizzare subito le orecchie. Da lì, se insistiamo si può generare una serie di fattori negativi concatenati tra loro. Inoltre mi preme dire che pedalare non deve essere una sofferenzaeuna buona seduta contribuisce al piacere di stare in bici. Avere una buona messa in sella aiuta a spingere e ad esprimersi nel modo più corretto».
PERNSTEINER: «Quello che ho notato, a livello personale è che una sella non adatta a me influisce in modo negativo sull’espressione della potenza: a un certo punto mi viene a mancare. Lo noto dalle sensazioni e anche grazie all’ausilio del power meter. Poi ci sono fattori legati alla difficoltà di pedalare, dolori generalizzati e problemi di fitting, che si riflettono su scompensi fisici».
Il setting del mezzo è una delle operazioni più delicate d’inizio stagione: coinvolge atleti, biomeccanici e meccanici (foto Team Bahrain/Prologo)Il setting del mezzo è un’operazione delicata: coinvolge atleti, biomeccanici e meccanici (foto Team Bahrain/Prologo)
Nell’arco della stagione, ma anche tra l’inverno e il momento delle gare, cambi la posizione della sella?
TRENTIN: «Sì, posso fare piccoli aggiustamenti, più che altro dovuti all’usura della sella ed è importante capire quando è il momento di cambiarla».
PERNSTEINER: «Non cambio mai posizione. Magari piccoli aggiustamenti, questione di qualche millimetro e preferisco tenere la sella leggermente scaricata sulla parte frontale, a prescindere dalla stagione».
Con o senza foro?
TRENTIN: «Personalmente preferisco il foro. E’ un cardine dal quale non voglio prescindere».
PERNSTEINER: «Non utilizzo le selle con il foro e con il canale di scarico. Le ho provate, ma le trovo più flessibili, inoltre quando è capitato di provarle mi sposto parecchio pedalando e non mi trovo a mio agio».
Con o senza, trovi delle differenze sostanziali?
TRENTIN: «Uso le selle con il buco di scarico ormai da tanti annie la sua presenza, mi aiuta a scaricare molto la pressione perineale. Per me è un vantaggio, che si riflette in modo positivo quando bisogna stare in bici per tante ore. Considerando che noi ci alleniamo per 30 ore alla settimana, la sella non è un semplice dettaglio» .
PERNSTEINER: «Credo che ci siano aspetti personali, ma essendo leggero e non avendo problematiche di pressioni, la sella senza il canale mi offre delle sensazioni migliori».
Una Prologo Scratch M5 per Trentin, quindi una sella corta
Il modello Zero C3 con gli inserti CPC, la sella scelta da Pernsteiner
Una Prologo Scratch M5 per Trentin, quindi una sella corta
Il modello Zero C3 con gli inserti CPC, la sella scelta da Pernsteiner
Quale modello utilizzi?
TRENTIN: «Prologo, che è sponsor del team. Io utilizzo la Scratch M5 Pas, quindi una sella corta. Il feeling è stato immediato fin dalla prima volta che l’ho utilizzata e da quel momento sono rimasto su questo modello, senza variazioni anche nel corso della stagione».
PERNSTEINER: «Uso la Prologo Zero C3 CPC. Mi trovo bene con lo shape di questo prodotto e con gli inserti CPC che offrono un maggiore grip, rispetto ad una sella tradizionale. Trovo dei benefici in diverse situazioni, ad esempio quando piove e passiamo molte ore sotto la pioggia. Il CPC aumenta la mia stabilità. Posso dire inoltre che nel corso di una stagione cerco di non cambiare la sella che ho sulla bici delle gare e su quella da allenamento ne cambio un paio, ma sempre dello stesso modello».
Le indicazioni fornite dai pro offrono degli spunti utili per la scelta del prodotto più consono alle proprie esigenze (foto Prologo)Le indicazioni fornite dai pro offrono degli spunti utili per la scelta del prodotto più consono alle proprie esigenze (foto Prologo)
Hai detto che la sella è un argomento delicato. Un tuo consiglio utile che possono sfruttare gli appassionati di bici e gli amatori in genere?
TRENTIN: «La scelta della sella giusta non prevede la formula perfetta e una ricetta magica che va bene per tutti. Non esiste un solo prodotto che è perfetto per tutti i ciclisti. Il comfort quando ci sediamo diventa anche sinonimo di benessere. Quando stiamo comodi pedaliamo più forte e più a lungo, quando siamo scomodi la performance non è ottimale».
PERNSTEINER: «Una sella deve essere confortevole prima di tutto e il comfort diventa anche un fattore soggettivo. Quello che è perfetto per me, può non esserlo per qualcun altro. Bisogna essere in grado anche di fare delle piccole valutazioni sulle proprie esigenze e caratteristiche. Comunque una sella non deve dare problemi e deve garantire sempre una buona fluidità in tutti i movimenti».
Masticare la sconfitta non gli era mai piaciuto, sin da piccolino, eppure in alcuni momenti gli era toccato farlo e l’aveva trovato insopportabile. Poi Alessandro Covi è passato professionista e ha pensato che su di lui si fosse abbattuta una maledizione. Dalle sconfitte si impara, aiutano a crescere, ma alla fine lasciano sempre un segno. Ma ieri nella Vuelta Murcia, nella città di Valverde che ha atteso invano il suo beniamino (la Movistar ha partecipato in formazione rimaneggiata per un caso Covid al suo interno, impedendo ad Alejandro di partecipare per l’ultima volta alla corsa di casa) la maledizione è stata spazzata via.
Covi e Trentin hanno parlato molto in gara e alla fine l’intesa è stata perfettaCovi e Trentin hanno parlato molto in gara e alla fine l’intesa è stata perfetta
La sfiga non esiste
Primo, per un solo secondo sull’amico Trentin. Che alle spalle lo ha protetto vincendo la volata del gruppo. Fu un secondo anche quello che lo divise da Mauro Schmid l’anno scorso a Montalcino, nel giorno che più degli altri gli parve amaro.
«La sfiga non esiste – disse lo scorso inverno, commentandolo – qualche errore l’avrò fatto. Quel giorno a Montalcino mi venne il panico. Era bello essere lì a giocarsi la tappa, ma non ero convinto di me stesso e non conoscevo lui. Occasioni di giocarmi corse importanti con una volata a due non ne avevo avute tante, quindi di sicuro l’abitudine e la freddezza l’avevo persa. Sul momento mi è scocciato, ora se ci penso mi dico che poteva cambiarmi la carriera. Il secondo non se lo fila nessuno…».
Fra i vari movimenti di giornata, anche l’attacco di Brandon McNultyFra i vari movimenti di giornata, anche l’attacco di Brandon McNulty
Primo e secondo
Ieri non ha aspettato la volata, ma eseguito alla grande gli ordini di scuderia. Attaccare nell’ultimo chilometro, dopo aver mandato prima in avanscoperta McNulty. E poi semmai Trentin avrebbe vinto la volata.
«Sono contentissimo della vittoria – ha detto a caldo – e della gara che abbiamo fatto. Abbiamo seguito tutti i piani. Abbiamo attaccato con Brandon, poi in caso di volata c’era Matteo. Io dovevo anticipare lo sprint, così abbiamo fatto e così è arrivata la vittoria. Credo che abbiamo corso benissimo, abbiamo preso la responsabilità della gara sin da subito. Abbiamo tirato noi e alla fine abbiamo colto il miglior risultato possibile. Primo e secondo è un ottimo risultato direi…».
Anche Trentin è entrato in un’azione, poi si è messo a guardia del finaleAnche Trentin è entrato in un’azione, poi si è messo a guardia del finale
La consapevolezza
Se Montalcino poteva cambiargli la carriera, chissà che la corsa di Murcia non possa dare una spallata a quella sorte, rimettendo in pari la bilancia.
«Anche da under 23 – ha già detto più volte – capitava che ne vincessi una e poi le altre arrivassero in fila. Nel 2018 non mi riusciva di sbloccarmi, poi feci centro in Spagna e in Italia ne vinsi tre di fila, fra cui la Coppa Cicogna. Vincere porta più consapevolezza, piazzarsi tanto significava comunque la possibilità di giocarmi le corse. Ci ho messo sempre il massimo impegno, poi con l’esperienza e la maturazione fisica le cose stanno venendo meglio da sé».
Sul podio, oltre a Covi e Trentin, il francese Louvel dell’ArkeaSul podio, oltre a Covi e Trentin, il francese Louvel dell’Arkea
Più leggero
Ora Alessandro dice di sentirsi più leggero e che la vittoria ieri proprio non se la aspettava.
«Non credevo di avere già la condizione per vincere – sorride – ma come mi hanno detto tutti, la vittoria arriva quando meno te la aspetti. Bene così, la condizione verrà con le corse, ma siccome non è detto che sarà garanzia di vittoria, prendiamoci questa è guardiamo avanti. E anche la teoria delle quattro corse di seguito, tutto sommato… Stiamo cauti! Oggi corro ad Almeria, poi Andalucia, l’apertura al Nord e Laigueglia. Ci voleva proprio…».
Alle sue spalle Trentin ha dimostrato ancora una volta di essere un eccellente uomo squadra. Uno che avrebbe avuto bisogno come il pane di una vittoria, ma ha saputo attenersi agli ordini del team, guardando le spalle al più giovane compagno. Se c’è giustizia nel mondo delle corse, presto gesti come questo saranno ripagati e per il grande trentino arriverà l’acuto che merita. Lui la volata l’ha vinta a mani basse…
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Attraverso le strade del Gran Premio Liberazione sono passati tre quarti di secolo di grande ciclismo. Sul circuito romano (un particolare nella foto di apertura di Simone Lombi) si sono visti molti dei big che poi hanno scritto pagine storiche delle due ruote, ma non è assolutamente detto che tutti siano usciti vincitori dalla gara capitolina. E’ questo il bello, la sua incertezza che ne ha sempre fatto uno degli eventi più attesi. Ogni anno la gara ha dato vita a una storia, ha messo in mostra personaggi, alcuni magari hanno ballato una sola estate mentre alle loro spalle c’era chi ha fatto del ciclismo la sua vita.
Prendete ad esempio l’edizione del 1988. Forse una delle più ricche di stelle prima della rivoluzione ciclistica che dal 1996 avrebbe portato i pro’ alle Olimpiadi. Il Liberazione è in in quell’anno olimpico che porta a Seoul la prova generale della sfida a cinque cerchi. L’anno precedente la nazionale russa aveva proiettato verso il successo Dimitri Konyshevdavanti al tedesco ovest (il muro non era ancora caduto…) Bernd Groene e il russo, oggi dirigente della Gazprom e vincitore di tante gare da pro ritiene ancora quella una delle vittorie più belle in carriera. Questa volta la sfida si ripete, ma il teutonico (che poi vincerà l’argento a Seoul e avrà una breve carriera da professionista alla Telekom) la spunta e Konyshev finisce terzo, preceduto pure da un certo Mario Cipollini…
Nel 2009 Modolo batte Matthews in volata (foto Primavera Ciclistica) Nel 2009 Modolo batte Matthews in volata (foto Primavera Ciclistica)
La grande avventura di Bugno
Qualche anno prima, nel 1985, un ragazzino monzese di nascita svizzera aveva fatto saltare il banco e sconvolto le tattiche delle squadre più affermate. Si chiamava Gianni Bugno, aveva viaggiato la notte in treno per arrivare in tempo, con la bicicletta vicino per non farsela rubare. La sua squadra aveva deciso di rinunciare alla corsa, non lui.
S’infilò in una fuga ripresa pochi chilometri prima dell’arrivo, ma seppe giocarsi la vittoria in una volata di una trentina di corridori. Quella fu la prima di una serie incredibile di successi, tra cui due titoli mondiali. Tra le squadre che rimasero beffate c’era quella di Luigi Orlandi, battuto allo sprint e per il quale aveva lavorato anche Claudio Terenzi, che 35 anni dopo sarebbe diventato l’organizzatore del GP Liberazione.
La bellissima vittoria di Bugno nell’85, dopo una notte in treno (foto Ansa)La bellissima vittoria di Bugno nell’85, dopo una notte in treno (foto Ansa)
Doppietta britannica
Se torniamo ancora più indietro, alla seconda parte degli anni Settanta, scopriamo che per qualche anno i corridori italiani furono quasi delle comparse. Non bastasse la presenza delle grandi nazionali dilettantistiche del blocco comunista, arrivarono anche Paesi che non avevano tradizione a dominare la scena, come la doppietta britannica realizzata da William Nickson nel 1976 e Bob Downs l’anno successivo. Allora il ciclismo britannico era un lontano parente di quello che abbiamo conosciuto in questo secolo, quello dei Wiggins e dei Froome, dei Thomas e dei Pidcock. Furono due vittorie che sorpresero tutti perché al tempo il ciclismo non era certo lo sport più seguito nel Paese di Sua Maestà.
Qualche anno dopo le cose sarebbero cambiate. Nel 1992 ad esempio il podio fu tutto italiano, popolato da corridori che curiosamente avrebbero trovato però spazi diversi da quelli del professionismo, durato poche stagioni. Terzo fu Simone Biasci, grande speranza del tempo che dopo 7 vittorie da pro’ è diventato dirigente sportivo, secondo fu Mauro Bettin, approdato alla mtb dove ha raccolto grandi successi ed è diventato apprezzato manager, mentre a vincere fu Andrea Solagna, che troverà la sua strada nelle gran fondo.
Nel 2012, la spunta Barbin che batte Fedi (foto Primavera Ciclistica)Nel 2012, la spunta Barbin che batte Fedi (foto Primavera Ciclistica)
Albo d’oro di grandi sconfitti
Se uno guarda l’albo d’oro della corsa romana, scopre che molti campioni sono passati per il Liberazione incamerando sconfitte che poi sono servite per crescere. Francesco Moser fu terzo nel 1972, stesso piazzamento lo aveva ottenuto Pierino Gavazzi due anni prima, Michael Matthews, australiano della BikeExchange ha collezionato addirittura due piazze d’onore, nel 2009 e 2010, anno nel quale avrebbe poi vinto il mondiale U23. L’attuale campione europeo Sonny Colbrelli fu terzo nel 2011, Alberto Bettiol trionfatore al Fiandre fu sempre terzo nel 2013. Due piazze d’onore anche per Simone Consonni (2014 e 2015), uno dei quattro olimpionici di Tokyo 2020 nell’inseguimento a squadre. Si sarebbe quasi portati a pensare che perdere il Liberazione porti bene…
Presentata nei giorni scorsi, ecco i ragionamenti dietro alla nazionale di Bennati per gli europei di Monaco. Non tireremo un metro. Si corre per vincere
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