Fabbro prende le misure, con grinta e un po’ d’astuzia

22.04.2021
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Se vi capita di parlare di Fabbro con Roberto Bressan, team manager del Cycling Team Friuli in cui Matteo si è fatto grande, parlando del suo ex pupillo userà parole che è meglio non ripetere, ma descrivono con precisione il cocktail di grinta, cattiveria e lucidità che albergano in quel metro e 67 di nervi e muscoli. Così quando l’anno scorso sull’Etna anche i meno attenti si accorsero delle trenate del biondino della Bora-Hansgrohe, in Friuli bastò uno scambio di occhiate per avere la conferma che il ragazzo aveva imboccato finalmente la strada giusta.

Grandi miglioramenti anche nella cronometro
Grandi miglioramenti anche nella cronometro individuale

Svolta a fine anno?

Il 2021 è una stagione cruciale. Tutto il buono lasciato vedere nel 2020 è da confermare e questo avrà la doppia utilità di far crescere Matteo di un altro step e allo stesso tempo gli permetterà di guardarsi intorno. Il contratto con la Bora-Hansgrohe è in scadenza, una bella schiera di squadre WorldTour è alla sua porta e forse nella sua testolina bionda si sta facendo largo il pensiero che a 26 anni potrebbe essere arrivato il momento di giocare le proprie carte e non essere impiegato ogni volta come gregario di capitani ancora sulla porta di grandi vittorie. Eppure parlandone con il diretto interessato, non una parola viene fuori al riguardo. E al contrario, il Fabbro con cui parliamo al Tour of the Alps, è molto ligio ai compiti che gli vengono ogni volta assegnati.

«L’anno scorso – dice – si è visto un nuovo Matteo Fabbro e sono molto contento di questo. Al prossimo Giro ci arrivo quest’anno con la consapevolezza che posso fare delle belle cose e, perché no, anche puntare a qualcosa in più. Aver messo in mostra delle belle qualità mi ha dato tanto morale e questo conta tanto, conta per tutti».

Una nuova sicurezza e la solita grinta in corsa dopo gli ottimi exploit del 2020
Sicurezza e la solita grinta in corsa dopo gli ottimi exploit del 2020

Uomo squadra

Nel ciclismo italiano che va alla spasmodica ricerca di uno scalatore capace di restare coi migliori, il suo nome potrebbe essere spendibile, ma l’impressione è che nella squadra tedesca sia ormai difficile che possa togliersi di dosso l’etichetta del gregario. Importante, ma pur sempre al servizio degli altri.

«Sul Giro ho certamente le mie fantasie – sorride – ma so bene che sarò lì per Buchmann e non mi farò pregare quando lui avrà bisogno. Se però devo indicare delle tappe che mi piacciono, dico quelle friulane, che mi stuzzicano. Non ho mai fatto lo Zoncolan dal versante di Ovaro e quando ci passò il Giro avevo 8 anni. Sarà diverso, perché è una salita più pedalabile, ma l’ultimo pezzo è tremendo».

Sul traguardo di Prati di Tivo alla Tirreno, con la gamba ancora imballata per l’altura
Sul traguardo di Prati di Tivo, imballato per l’altura

Altri attacchi

Per fare questo, per farsi cioè trovare pronto alla partenza del Giro, il suo percorso di avvicinamento è stato metodico e redditizio, fatto di lavoro, grinta e convinzione, almeno a vederne le prove sin dai primi giorni di corsa al Tour of the Alps.

«Sono stato tre settimane in altura prima della Tirreno – dice – e sono tornato ugualmente dall’alta quota alla vigilia del Tour of the Alps. Vediamo come sarà la condizione e come alla fine avrò reagito all’altura, ma penso che per il Giro stia filando tutto liscio. Considerato che l’ultima corsa l’ho fatta alla Tirreno, nei primi giorni mi è mancato un po’ il famoso ritmo gara. Quando vieni giù da certe quote, si ha la sensazione di essere un po’ fiacchi, ma alla fine siamo qua per correre. L’ho presa così, come test e per ritrovare il ritmo. E per vedere come sarà la condizione, senza troppo stress: Per questo ho provato più volte la gamba e più volte ancora ci riproveremo».

Bis di Moscon, Fabbro cresce e la Doyenne strizza l’occhio

21.04.2021
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Sivakov entra zoppicando attraverso la porta di ferro oltre la quale tutta la carovana del Tour of the Alps sta facendo il tampone. Sono passati praticamente tutti, rimanevano soltanto lui e Moscon. Gianni è appena uscito con il sorriso del vincitore e si è fermato subito fuori per fare due parole sulla Doyenne, la Liegi-Bastogne-Liegi. Il russo ha fatto appena in tempo a congratularsi, poi vedendolo scendere dalla bici si è capito il dolore. La caduta nella discesa di Frinig lo ha colpito duramente, anche se sarebbe potuta andare peggio. C’è ora da chiedersi se un buon massaggio e una notte di sonno lo rimetteranno nelle condizioni per giocarsi domani la tappa più impegnativa. Quando entra nel locale, ci concentriamo sul vincitore.

In fuga insieme, De Marchi e Fabbro: friulani entrambi di scuola CT Friuli
In fuga insieme, De Marchi e Fabbro: entrambi della scuola CT Friuli

«A Innsbruck ho ritrovato il feeling con la vittoria – dice Gianni – sarebbe sembrato impossibile fino a qualche mese fa. E’ bello accorgersi di come tutto giri bene quando si innesca il meccanismo vincente. E’ il momento di cogliere il massimo, restando con i piedi per terra. A forza di rincorrere il salto di qualità si è visto come è andato a finire negli ultimi anni. Se hai qualità, vengono fuori da sole. Basta assecondarle».

Un fatto di istinto

Anche questa volta sul traguardo si è fermato ad aspettare i compagni, al termine di una tappa che ha scavato solchi profondi nella classifica e nelle gambe.

«Era una tappa che si prestava alle fughe da lontano – dice – con la certezza che soltanto dei buoni corridori avrebbero potuto prendere il largo. La salita dura in partenza non permetteva altre soluzioni. Si poteva attaccare subito o restare coperti e provarci in finale. Poi è chiaro che in gara segui l’istinto. Abbiamo fatto la prima salita a ritmo molto alto, mi sono inserito nella fuga ed è andata bene. Quando poi ho sentito che il gruppo rinveniva, ho visto sull’ultima salita l’occasione per fare la differenza e ho iniziato il forcing».

Freddezza Fabbro

Alla sua ruota si è portato Fabbro e la sensazione è stata che avendo carta bianca, il friulano avrebbe potuto tentare l’allungo o di dargli il cambio. Quando lo abbiamo raggiunto dopo il traguardo, sorridente e di ottimo umore, Matteo ha spiegato che in quel momento la tentazione era proprio quella di andare via.

«Esatto – ha sorriso – mi è venuto in mente di partire secco, poi ho pensato che da dietro stava risalendo Grosschartner, che mancavano tanti chilometri e che comunque Moscon era più veloce. Per cui siamo contenti di come sia andata e c’è mancato poco che Felix riuscisse a passare Gianni. La condizione è in crescita e abbiamo davanti giorni per riprovarci».

Sull’ultima salita l’affondo decisivo di Moscon, Fabbro a ruota
Sull’ultima salita l’affondo decisivo di Moscon, Fabbro a ruota

Professor Pozzovivo

Questo posto è una miniera di incontri, passano tutti i corridori. Tra Pozzovivo e Puccio si svolge un simpatico siparietto, parlando di tamponi, in cui il puntiglioso lucano mette gustamente a posto le cose. «Non esistono falsi positivi – sta dicendo – se il tampone è stato positivo, anche se per poco, vuol dire che il virus c’è. Semmai ci può essere un falso negativo. Si sentono sempre queste cose, ogni tanto ho l’esigenza di fare qualche precisazione».

Domenico è di quelli che sabato voleranno in Belgio. E proprio al riguardo, osservando Moscon e la sua gamba stellare, viene il pensiero che potrebbe essere lui l’italiano per la Doyenne.

Seconda vittoria in tre giorni per Moscon: feeling ritrovato. Domenica la Doyenne, la Liegi
Seconda vittoria in tre giorni per Moscon: feeling ritrovato

Suggestione Liegi

«Sicuramente la Liegi è una corsa bellissima – dice Gianni – ma si è visto all’Amstel che la Ineos Grenadiers avrà uno squadrone. Quindi per ora penso a finire questo blocco di lavoro, poi andrò alla Doyenne come minimo per essere di aiuto alla squadra. In corse come quella, partono in 180 e tutti vorrebbero vincere, ma solo uno ci riesce. Adesso pensiamo a domani. Avremo salite lunghe con pendenze importanti. Tanti vorranno andare in fuga e si andrà subito a tutta. E noi dovremo capire come sta Pavel, prima di poter impostare qualsiasi tattica».

E Sivakov infatti passa proprio in questo momento. Solleva a stento la gamba, sale sulla bici e conferma con le parole le smorfie del volto. Stasera il brindisi sarà più sobrio di quello di Innsbruck. La montagna invita alla discrezione e la caduta di un compagno così importante porta sempre un velo di incertezza. La Doyenne in fondo alla settimana strizza però l’occhio…

Scusate, Fabbro ha qualcosa da dirci…

13.03.2021
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Quel po’ d’Italia che brilla all’ombra del Gran Sasso porta il nome di Matteo Fabbro. Ce lo aveva detto il suo mentore tra i dilettanti, Roberto Bressan, manager del Cycling Team Friuli: «Vedrete quest’anno che combinerà quel ragazzo. Vedrete come andrà in salita…».

Sulla prima vera scalata della stagione, il friulano ha risposto presente. E’ stato autore di una buona prestazione, restando con il gruppo dei migliori. E precedendo gente come Van Aert, Fuglsang, Bernal, Thomas, Bardet…

A Prati di Tivo Fabbro è arrivato 7° a 42″ da Pogacar
A Prati di Tivo Fabbro è arrivato 7° a 42″ da Pogacar

Che faticaccia

Come da prassi, qualche decina di metri dopo la linea del traguardo i massaggiatori  aspettano i corridori. Fabbro cerca il suo e quando lo trova punta la bici in modo deciso verso di lui. Il massaggiatore gli passa immediatamente un asciugamano da mettere intorno al collo. Matteo gronda di sudore. Ma il fiatone quasi non c’è già più. Primo italiano sull’arrivo di Prati di Tivo.

«Speriamo porti bene – dice – vedremo i prossimi giorni. La Tirreno è ancora lunga e spero di riuscire a mantenere il risultato fatto oggi. Ma che fatica, è stata una dura giornata. Hanno iniziato ad attaccare ad una salita dalla fine (il passo delle Capannelle, ndr) ed io ho sofferto perché era molto pedalabile. E poi correvo in supporto a Konrad e quando mi ha dato il via libera ho dato tutto, ho fatto il meglio che potevo».

La fiducia cresce

Fabbro è uno scalatore puro, almeno se si considera il suo peso, ben al di sotto dei 60 chili. E ci sta che soffra su un certo tipo di salite. Quando si hanno questi numeri quasi, quasi è meglio la pianura che una salita troppo dolce.

La scalata finale era impegnativa sì, ma lo era soprattutto nella prima parte, poi diventava un po’ più pedalabile. Tanto che quando gli chiediamo con che rapporto l’avesse affrontata Matteo fa una smorfia con la bocca, come a dire: “non lo so”. «Però – aggiunge – so che nel finale salivo di 53». E per questo essere tra i grandi conta ancora di più. E’ importante per acquisire sicurezza e fiducia nei propri mezzi. E’ importante per la testa…

«E’ fondamentale direi – conferma Fabbro con tono sicuro – dentro di te c’è una spinta. E’ un qualcosa di unico. Vedo che cresco anno dopo anno. Sono contentissimo».

E quando gli diciamo che sta prendendo le misure ai grandi, con il suo occhietto furbo annuisce e sorride…

Una manciata di caramelle gommose prima di andare al bus
Una manciata di caramelle gommose prima di andare al bus

Fabbro capitano al Giro?

Intanto il vento non manca. Il sole inizia a calare dietro al Gran Sasso innevato e infatti il freddo si fa sentire. Fabbro indossa un giacchino più pesante e chiede al massaggiatore due cose. La prima, è dove sono i bus. E la seconda, sono i mitici orsetti Haribo: ne prende manciata e li manda giù.

«Nel finale di oggi c’era una bella lista di campioni. Chi ho visto bene? Tutti! I primi due sicuramente sono andati molto forte. Da parte mia cercherò di fare il meglio possibile fino alla fine della Tirreno».

Proprio Fabbro ci aveva detto che al Giro avrebbe corso in appoggio ai suoi capitani, tra cui Konrad. Ma andando più forte di loro potranno cambiare le cose in vista della corsa rosa? Potrà avere gradi più importanti? Insomma, prestazioni del genere sono segnali che di certo alla Bora Hansgrohe non passeranno inosservati.

«Non sono sicuro, ma mai dire mai…».

A questo punto Fabbro se ne va verso il bus, 13 chilometri più a valle. Sotto, sotto ci spera.

Sylvester Szmyd, Vincenzo Nibali, Ivan Basso, Giro d'Italia 2010

Su Aleotti e Fabbro, l’occhio di Silvestro

27.12.2020
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Come immagine del profilo su WhatsApp, Sylwester Szmyd ha Gatto Silvestro che da sempre è il suo soprannome. Quando il gruppo ti affibbia un nomignolo così, significa che ti ha accettato e ti vuol bene. Per questo anche dopo aver smesso, Silvestro si tiene stretto quel gatto e i ricordi connessi. Nella foto di apertura è sul Montegrappa al Giro del 2010, con Nibali e Basso, prima che Vincenzo vinca la sua prima tappa nella corsa rosa.

Il nome del polacco era saltato fuori qualche giorno fa parlando con Giovanni Aleotti, ultimo acquisto della Bora-Hansgrohe. Il bolognese, appena tornato dal primo ritiro in Germania, ci aveva raccontato di essere finito per la preparazione proprio… tra le mani di Silvestro. Così, con il pretesto di scambiarci gli auguri di Natale e rinverdire qualche ricordo, siamo idealmente volati fino a casa sua in Polonia.

«Qui il Natale è doppio – dice Szmyd – non come in Italia, che si festeggia soltanto il 25. Il giorno di Santo Stefano è la stessa storia. Siamo a casa con tutti i familiari, le strade sono piene di gente. Qualcuno con la mascherina, qualcuno no. Ci sarà coprifuoco soltanto la notte del 31 dicembre, fino alle 6 del mattino. E per il resto… Buon Natale anche a voi!».

Giovanni Aleotti, Mortirolo, Giro d'Italia U23 2020 (foto Fulgenzi)
Giovanni Aleotti, un calo inaspettato sul Mortirolo al Giro U23 del 2020 (foto Fulgenzi)
Giovanni Aleotti, Mortirolo, Giro d'Italia U23 2020 (foto Fulgenzi)
Per Aleotti, sul Mortirolo, un calo inatteso (foto Fulgenzi)

Sylwester “Silvestro” Szmyd, professionista dal 2001 al 2016 con varie squadre tra cui la Mercatone Uno dell’ultimo Pantani e la Liquigas di Basso e Nibali, fa parte dello staff del team tedesco dal 2018. Inizialmente era il vice di Patxi Vila per quanto riguardava Peter Sagan. Poi gli sono stati affidati anche altri corridori e, avendo fatto il corso Uci da tecnico quando ancora correva, ha assunto anche il ruolo di direttore sportivo. Quando infine il basco ha lasciato la squadra, Silvestro ha preso in mano Sagan e si è impossessato della seconda ammiraglia, dato che nelle gare WorldTour a bordo della prima viaggiano i due tecnici più importanti.

«Seguirli in corsa – dice – è la cosa migliore, non serve che guardi i file di allenamento. Li vedo prima della gara, li sento durante, li vedo dopo. So come stanno e come andranno. Magari non posso essere presente a tutte le corse, per il rischio di non occuparmi bene di quelli che sono a casa, però di certo esserci è un valore aggiunto».

Il dossier Aleotti

Di Aleotti ha studiato prima il dossier composto da ordini di arrivo e file di allenamenti e corse. Silvestro ha considerato il secondo posto al Tour de l’Avenir del 2019 e ha osservato i dati dell’ultima tappa al Giro d’Italia U23 del 2020, in cui Giovanni non è proprio riuscito a sbloccarsi, perdendo il podio. Poi lo ha incontrato e finalmente è riuscito a dirgli quale idea si sia fatto.

«Nessuna idea – sorride Silvestro – ho deciso di non decidere. E’ difficile capire di che tipo di corridore si tratti. Dai numeri e da quello che ho capito, sarebbe sbagliato chiuderlo nel discorso dei grandi Giri. Ho pensato a Nibali che, a un certo punto, dalla Fassa Bortolo arrivò alla Liquigas».

Che cosa c’entra Vincenzo?

Credevamo tutti che fosse un corridore da classiche e per quello si allenava. Nel 2010 venne sul Teide con Basso, Kreuziger, Pellizotti e il sottoscritto. Noi eravamo su per Giro e Tour, Vincenzo per le Ardenne. In Belgio non andò bene e tornò a casa sua, al mare. Finché gli chiesero di venire al Giro, con pochissimo preavviso. Lui non voleva, ma cedette. E alla fine, se non fosse stato nella Liquigas, avrebbe potuto vincerlo. E il bello è che alla vigilia ci scherzavamo. Dove vai nelle corse a tappe, tu che sei uno da classiche? Invece quell’anno arrivò terzo al Giro e vinse la Vuelta. Aleotti è lo stesso. Nel senso che è presto dire per cosa sia fatto.

Matteo Fabbro, Rafal Majka, Giro d'Italia 2020
Ottimo Giro per Matteo Fabbro, atteso ora alla conferma
Matteo Fabbro, Rafal Majka, Giro d'Italia 2020
Ottimo Giro 2020 per Matteo Fabbro
Quindi cosa farete con lui?

Lavoreremo per il Giro d’Italia, sempre che la squadra decida di portarlo. Ovviamente non andrà a fare il leader e dopo il primo anno vedremo quali risposte ci avrà dato. Non voglio farmi ora un’idea, non voglio limitarlo. Cercherò di lavorare con lui in base alle gare che andrà a fare, perché migliori. Abbiamo tempo per scoprirlo.

Nei giorni scorsi abbiamo parlato della scelta di mettere subito Cunego sui Giri

Perfetto, sono stato accanto a Damiano dal 2004 al 2008. Se non si fosse pensato di indirizzarlo sui Giri, magari avrebbe vinto chissà quante Liegi.

Il dossier Fabbro

Sul friulano c’è da mediare fra gli slanci di stima infinita da parte dei suoi tecnici al CT Friuli, con Bressan e Boscolo in testa, e i riscontri dopo il primo Giro d’Italia da vero protagonista al terzo anno di professionismo e finalmente nel giusto ambiente.

«Matteo – dice Silvestro – è uno di quelli che mi dà le maggiori soddisfazioni. Aveva un solo anno di contratto, si è fidato totalmente ed è venuto fuori. Credo non dovesse neanche fare il Giro, invece il Covid ha fatto cambiare i piani e lui ha sfruttato benissimo l’occasione. Si fida, lavora bene, è onesto. E’ un ragazzo serio, a me piace.

Dove potrà arrivare?

E’ presto anche per lui. Non va male a crono, ma per ora direi che al Giro d’Italia non potrebbe essere il leader. Questo almeno penso io. Farà bene quello che gli dicono, magari lo vedo fare la classifica alla Tirreno o al Romandia.

Escludi sviluppi?

Per i livelli più alti bisogna aspettarlo, perché il 2020 è stato il primo anno così bene. E’ migliorato in salita, sta con i migliori scalatori. Ma gli direi che invece di fare 8° in classifica, punterei piuttosto a vincere tre tappe. L’importante è che vada di nuovo forte al Giro e si valorizzi al massimo.

Vogliamo dire qualcosa su Sagan?

Meglio aprire un altro capitolo, ci sono cose da dire…

Matteo Fabbro

Adesso Fabbro sa che può sognare

18.12.2020
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Chi mangia pane e ciclismo Matteo Fabbro lo conosceva già da un po’. Friulano Doc, occhi furbissimi, scalatore “quanto basta”.

La maggior parte invece lo ha conosciuto il 5 ottobre 2020, più o meno verso le 16! Quando il Giro d’Italia si stava arrampicando sull’Etna. Il corridore della Bora-Hansgrohe ha dato appuntamento lì ai tifosi e forse, anche al destino. Scrivere che sulle rampe del vulcano Matteo “menava come un fabbro” è un po’ scontato e allora scriviamo che menava e basta. Gli scappava la bici da sotto il sedere e quando spingeva, il gruppo si assottigliava. E questo ha inciso anche sulle sue convinzioni, come vedremo.

Lo raggiungiamo in ritiro in Liguria. E’ in Riviera per allenarsi “al caldo” con gli ex compagni del Cycling Team Friuli, al quale è rimasto molto legato, come del resto quasi tutti i suoi colleghi passati per le mani di Roberto Bressan.

Matteo, ma che 2020 hai fatto! Quanto sei cresciuto?

E’ stata una buona stagione. Sono soddisfatto. Non sapevo neanche io cosa aspettarmi. Sì, non ho vinto però ho fatto delle belle prestazioni. Un Matteo diverso rispetto a quello di due anni fa.

Matteo Fabbro
Matteo Fabbro in salita verso l’Etna al Giro
Matteo Fabbro
Matteo Fabbro in salita verso l’Etna al Giro
Bressan ci ha raccontato che hai avuto diverse proposte per passare professionista, ma lui ti diceva di aspettare perché eri da WorldTour. E’ andata così?

Con Roberto c’è stata subito una bella amicizia. E’ stato uno dei pochi a credere in me. E’ vero, ho avuto diverse proposte da squadre Professional e lui mi diceva di non firmare e di aspettare una WT, che prima o poi sarebbe arrivata. Ci ha visto lungo. Anche più di me…

Ma tu sei sempre stato sereno di questa scelta? Oppure hai pensato che sarebbe stato meglio fare di testa tua?

Fino a quando non ho avuto gli infortuni (negli ultimi anni da dilettante ho rotto due volte la clavicola in un mese) ero tranquillo, aveva ragione lui, Roberto. Ma dopo… Ho pensato che forse sarei dovuto salire su uno di quei treni. Ho atteso ancora. Sono andato al Val d’Aosta, ho vinto e subito mi è venuta a cercare la Katusha Alpecin e a quel punto ho firmato. Ero un quarto anno U23. Un bel lieto fine.

Qual è un tuo pregio e un tuo difetto?

Il difetto è che tante volte non ascolto, faccio di testa mia, ma questo è al tempo stesso un pregio. Quando le cose non andavano bene, non ho dato retta a tutte le voci che avevo vicino.

Hai vinto da dilettante gare anche non durissime. Ti senti uno scalatore puro?

Diciamo di sì, se non altro per la mia statura e il mio peso, però in passato ho visto che me la cavo anche in alcuni sprint, quelli ristretti. E mi difendo a crono. Credo che queste due attitudini siano merito della pista.

Potrai fare mai classifica in un grande Giro?

Fino a questa stagione non ci pensavo, forse ci speravo. Posso provarci in futuro, non so se vincerò ma è possibile far bene visto come è andato il Giro quest’anno e visto che in pratica ho sempre lavorato per i miei capitani.

Hai già il calendario 2021?

Non è definito, ma so che partirò dall’Argentina e che poi punterò sul Giro.

Wilco Keldermann, il nuovo acquisto, lo conosci? Sarà lui il capitano del Giro?

Wilco l’ho conosciuto nel primo ritiro fatto in Germania la settimana scorsa: un bravo ragazzo, un grande atleta. Non so il suo programma, ma al Giro che ci sarà lui o un altro sono pronto a tirare per il capitano.

Matteo Fabbro
Matteo Fabbro e Giovanni Aleotti
Matteo Fabbro
Matteo Fabbro e Giovanni Aleotti
E se ti dicessero che sei tu il leader? Sarebbe uno stimolo o una pressione?

Se fosse così cercherei di farmi trovare pronto e sarebbe di certo uno stimolo, non sento la pressione.

Cosa hai provato a stare davanti in salita al Giro?

Eh, stare con i primi mi ha fatto un certo effetto, per me era tutto nuovo. Incredibile. La tappa che ha vinto Peter (Sagan, ndr) è stato il giorno in cui siamo andati più forte, in cui si sono registrati i wattaggi più alti di tutto il Giro. Su quei muri ha fatto una qualcosa d’incredibile. E’ andato in fuga da lontano e ha resistito al ritorno del gruppo.

Con te in Liguria c’è anche Giovanni Aleotti. Anche lui viene dal CTF e anche lui è arrivato alla Bora, se dovessi dargli tre consigli secchi, cosa gli diresti?

Giovannino! Prima dei consigli dico che lui se la saprà cavare al meglio, ne sono certo. Non è uno sprovveduto. Cosa gli direi e cosa gli ho già detto in parte: di ascoltare quelli più vecchi. Di avere pazienza, anche se è in un mondo che non aspetta. E di godersi questo momento, perché il primo anno tra i pro’ non torna più. Io non avevo un corridore di riferimento quando sono passato. La squadra non mi ha messo pressione, forse ero io che la vivevo male.

Rispetto a quando sei passato tu, Aleotti è più avanti o più indietro di te?

Posto che siamo diversi come corridori, dico che lui è più avanti sia a livello fisico che di risultati. Un secondo posto al Tour de l’Avenir significa che hai un qualcosa in più.

Giovanni Aleotti, Trofeo San Vendemiano 2020 (foto Riccardo Scanferla)

Aleotti, sguardi dal primo ritiro Bora

14.12.2020
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Quando giusto una settimana fa, Giovanni Aleotti ha varcato le porte dell’albergo in Baviera in cui si stava radunando la Bora-Hansgrohe, ha provato un sussulto. Era appena entrato nel paese dei balocchi. Durante il viaggio in auto, Matteo Fabbro lo aveva riempito di consigli e indicazioni, ma probabilmente l’emiliano non era preparato per la grandezza in cui di colpo si è trovato immerso. Per il più giovane dei quattro italiani dello squadrone tedesco, campione italiano degli under 23 (in apertura a San Vendemiano nella foto Scanferla), è iniziato così il 7 dicembre il viaggio nel professionismo, previsto inizialmente con la maglia arancio della CCC.

Peter Sagan, Specialized, 2020
Specialized è partner di fiducia della Bora-Hansgrohe. Qui, Peter Sagan
Peter Sagan, Specialized, 2020
Per Sagan un’altra stagione nel segno di Specialized
Che ritiro è stato?

Per loro che ne hanno già fatti tanti, il solito ritiro per il materiale, le misure, gli sponsor, le foto. Cose normali, insomma. Per me è stato ritrovarmi in una dimensione gigantesca a cercare di capire tutto, riconoscere tutti. Come il primo giorno di scuola. Solo che invece di ragionare sulle facce della singola classe, c’era tutto il liceo. Bellissimo.

Impatto positivo?

Con tutti, corridori, staff. Davvero.

Che effetto ti ha fatto incontrare Sagan?

Lo avevo già visto in corsa alla Milano-Torino, in agosto. Lui quarto, io più indietro (58°, ndr). Ma sapere di vestire la stessa maglia fa un certo effetto. Quando lui ha cominciato a vincere le corse importanti, io cominciavo a pensare che il ciclismo potesse essere un bel posto in cui cercare fortuna. Per cui l’ho sempre considerato il mio mito. Considerato che ha appena 30 anni, capisco quanta strada abbia fatto e quanto sia forte. Spero di poter imparare molto da lui.

Daniel Oss, Bora Hansgrohe 2020
Quattro gli italiani del team: Oss (nella foto), Benedetti, Fabbro e Aleotti
Daniel Oss, Bora Hansgrohe 2020
Daniel Oss uno dei quattro italiani della Bora
Siete andati in bici?

No, al massimo qualche pedalata sui rulli con Specialized e Retul per mettere a punto la posizione. E per fortuna che Fabbro aveva già la bici di allenamento e abbiamo dovuto portare giù soltanto la mia, altrimenti fra valigie e rulli non so se ci stavamo.

Valigie e rulli?

Due valigie a testa piene di abbigliamento. Materiale tecnico e un rullo Wahoo dello sponsor, che spero serva soltanto quando piove e non come nella scorsa primavera.

Davvero il paese dei balocchi…

Quando ti danno la bici nuova è sempre bello, ti viene voglia di tornare a casa e usarla. Abbiamo fatto il posizionamento senza cambiare troppo e in questi ultimi due giorni l’ho usata in allenamento. Prima volta con i freni a disco e devo dire che su strada bagnata la frenata è perfetta come su asciutto. Vengo da una Pinarello F12, ma devo dire che ho nuovamente in mano una gran bici.

Retul, posizionamento, Bora Hansgrohe 2020
Il sistema Retul, acquisito da Specialized, per il posizionamento in sella
Retul, posizionamento, Bora Hansgrohe 2020
Il posizionamento con sistema Retul
L’inglese è la lingua ufficiale?

Devo dire che aver fatto il Liceo Linguistico adesso torna davvero utile.

A quale preparatore sei stato assegnato?

Sono con Sylvester Szmyd. Me lo ricordo al Giro d’Italia insieme a Basso. Mi sto trovando molto bene con lui già da quando ho ripreso a novembre. Abbiamo tutti la testa alla prossima stagione.

Giovanni Aleotti, Gran Piemonte 2020
Per Aleotti, sforzi veri al Gran Piemonte dopo la ripresa a Extra Giro
Giovanni Aleotti, Gran Piemonte 2020
Al Gran Piemonte, dopo la ripartenza a Extra Giro
Intanto oggi si parte di nuovo, giusto?

Visto che non si farà il classico ritiro di dicembre e che a casa è un freddo cane, parto con Fabbro e Scaroni. Andiamo a Sestri Levante fino al 22 dicembre. Scaroni conosce il posto e ha prenotato. Così Fabbro continuerà a darmi i suoi consigli e piano piano mi abituerò alla nuova bici, in attesa del ritiro di gennaio.

Matteo Fabbro_Giro d'Italia

Fabbro non guarda più indietro

07.10.2020
3 min
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Quando hanno visto Matteo Fabbro tirare sull’Etna, tanti hanno tradito stupore. Il friulano della Bora-Hansgrohe si è mosso con tale freschezza e autorità, da pensare che se avesse potuto, sarebbe andato a riprendere Visconti e Caicedo. Ma la squadra lo ha frenato. C’era da aiutare Majka. Fabbro prima si è impuntato. Poi ha capito.

Il giorno dopo, alla partenza da Catania, Matteo ha gli occhi azzurri che lampeggiano di soddisfazione. Spesso (quasi sempre) non c’è memoria di chi tira e a ben vedere bici.PRO è nato anche per questo. Che cosa è cambiato nella storia di Fabbro? E dove è stato nascosto per tutto questo tempo? Lui sorride.

Matteo Fabbro, crono Palermo, Giro d'Italia 2020
Matteo Fabbro, crono Palermo, Giro d’Italia 2020
Matteo Fabbro, Etna, Giro d'Italia 2020
Matteo Fabbro, Etna, Giro d’Italia 2020

«Aspettavo momenti come questo – dice Fabbro – da qualche anno, da quando sono passato pro’. Prima ho avuto un po’ di sfortuna. L’anno scorso ho dovuto togliere l’appendice e ho saltato il Giro. Chissà, magari questi numeri si vedevano prima. Poi ho avuto un po’ di sfortuna, qua e là. Diciamo che non è mai facile poi tornare a un buon livello, non nell’immediato».

Il passaggio dalla Katusha alla Bora ha inciso nel cambiamento?

Ho avuto nuovi stimoli. Ho lavorato in maniera forse più seria, più consapevole e piano piano sono arrivati i risultati. So che l’appunto era che fossi passato troppo presto, ma ci tengo a dire che rifarei tutto.

Quali differenze hai trovato nel nuovo ambiente?

Fondamentalmente il gruppo qui è molto solido, molto forte. Eppure si ride, si scherza fino a un attimo prima di partire. Poi si entra in modalità gara e siamo uniti anche lì. Si va veramente d’accordo. In allenamento ci si ammazza l’uno con l’altro, poi finisce a ridere.

Matteo Fabbro, Tirreno-Adriatico 2020, Loreto
Matteo Fabbro, Tirreno-Adriatico 2020, Loreto
Già in luce alla Tirreno-Adriatico: qui terzo nella tappa di Loreto, in cima allo strappo
Sull’Etna a un certo punto ti hanno fermato. Avresti avuto gambe per tirare dritto?

Come gambe, come sensazioni stavo bene. Io sapevo di essere qui sin dall’inizio per aiutare Majka e sono tutt’ora al suo servizio. Sono contento di riuscire a dargli una mano in questa maniera. E spero di riuscirci anche per tutto il Giro, nelle prossime due settimane.

Il non riuscire a dimostrare il tuo valore era duro davanti agli altri o per te stesso?

Era più per me stesso, perché non mi riconoscevo neppure io. Sono stati due anni molto difficili e sono contento finalmente di riuscire a dimostrare quello che valgo.

Da Canyon a Specialized, cambiato qualcosa?

Più o meno le stesse misure, piccoli aggiustamenti di poco conto. Qui al Giro ho provato la nuova sella di Specialized, la Power Mirror. Mi hanno chiesto se volevo provarla e mi sono trovato bene. E’ un po’ più morbida, forse un po’ più corta, ma soprattutto più morbida.

Fabbro gregario di Majka, va bene, ma c’è una tappa che ti piacerebbe?

A San Daniele, quella di casa. Il traguardo dove ho vinto l’ultima corsa da under 23 con la casacca del Team Friuli. Quella avrà senz’altro un sapore particolare, però se non ci fosse l’occasione sarò ancora per Majka.

Giovanni Aleotti, tricolore 2020, Zola Predosa

Aleotti, tricolore con la valigia

16.09.2020
2 min
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Giovanni Aleotti, emiliano di 21 anni, lo stesso che lo scorso anno arrivò secondo al Tour de l’Avenir, il 13 settembre è diventato campione italiano degli Under 23. E anche se il prossimo anno la sua maglia tricolore non sarà in gruppo perché Giovanni correrà nel WorldTour con quella della Bora-Hansgrohe, il fatto che a vincerla sia stata lui ha messo tutti d’accordo. A parte forse gli sconfitti, ma quella è un’altra storia.

Il mondo a un certo punto si è fermato…

Il mondo si è fermato per il lockdown sono saltati tutti i piani che avevamo per questa stagione e ci siamo trovati a riprogrammare tutto dall’inizio, inizialmente senza obiettivi. Non avevamo certezze, abbiamo solo cercato di mantenere una buona condizione.

Come è andata la ripresa post Covid di Aleotti?

Sono contento di essere ripartito subito con il piede giusto. Non sapevo se il lavoro fatto fosse sufficiente o meno, quindi ripartire subito bene con te vittorie e un podio mi ha dato molta motivazione.


Qualcuno pensava fosse meglio che passassi subito.

Credo con il senno di poi che la scelta di restare un anno ancora tra gli Under 23 sia stata la migliore, anche visti tutti i problemi causati dalla pandemia. E inoltre credo che per fare il salto bisogna essere pronti, quindi un altro anno non mi ha fatto male, anzi

Giovanni Aleotti, tricolore 2020, Zola Predosa
La vittoria al tricolore di Zola Predosa è stata il suo sigillo sul 2020
Giovanni Aleotti, tricolore 2020, Zola Predosa
La vittoria al campionato italiano di Zola Predosa è stata il suo sigillo sul 2020
Cosa ha imparato Giovanni Aleotti al Ct Friuli?

Ho imparato ad essere un atleta e a vedere il ciclismo come una professione. Ho imparato da loro a lavorare in modo serio, a pormi degli obiettivi e a fare il possibile per raggiungerli, quindi cercare di fare vita da atleti e sacrifici e a lavorare duro che è un po’ il motto della squadra.

Campione italiano, bel modo di lasciare il segno nell’anno in cui puntavi sul Tour de l’Avenir, che è stato cancellato…

Dopo il Giro d’Italia under 23 sapevo di stare bene e per questo con la squadra abbiamo deciso di fare corsa dura da subito. Questo successo mi ripaga di tanti sacrifici e di attese e rinvii subiti in stagione. Ho dovuto rinunciare a tanti appuntamenti, è un peccato che ad Imola non si corra il mondiale Under 23, ma già questo titolo è un grande traguardo per me e per tutta la squadra.

Contento di andare alla Bora?

Troverò Matteo Fabbro, che conosco e mi ha dato delle indicazioni, io cerco sempre un po’ di fidarmi delle persone che ho attorno e credo che sia una scelta… credo di essere circondato dalle persone migliori e quindi sono sicuro della scelta che ho fatto insieme a loro.