Marco Haller, crono Caen Tour 2025, cronoman

Il logoramento del cronoman? Pinotti: «Più di testa che di gambe»

15.10.2025
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La stagione volge al termine e si iniziano a tracciare i primi bilanci. E nel “pianeta cronometro” il dominatore, senza se e senza ma, è stato Remco Evenepoel. Il belga ha conquistato il suo terzo mondiale consecutivo contro il tempo, esattamente come Michael Rogers, primo cronoman a conquistare tre titoli iridati di specialità consecutivi.

Al risuonare di questo nome, ci è venuta in mente una frase che ci disse nel 2022, commentando la delusione di Ganna dopo i mondiali di Wollongong del 2022, che chiuse al secondo posto dopo le due vittorie del 2020 e 2021.
E lui: «E’ proprio la testa il problema. Per preparare un grande evento come una crono ci vuole tanta energia mentale, anche e soprattutto nella fase di allenamento, perché è molto specifico. Non è facile. L’abbiamo visto. Io sono stato il primo, poi è arrivato Fabian Cancellara e poi Tony Martin. Eravamo tutti intorno a quel podio e io ho fatto fatica al quarto mondiale.
«Non avevo più la concentrazione o la grinta per spingermi così tanto nella fase di allenamento, come quando lottavo per vincere. Preparando il quarto, mi accorsi subito che non avevo la fame per fare fatica. Quasi vomitavo dopo ogni ripetuta».

Pinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridati
Pinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridati

Senza dover fare processi a nessuno, abbiamo ripreso questo discorso con Marco Pinotti. Stavolta il tecnico della Jayco-AlUla lo abbiamo sentito come ex cronoman per commentare questo concetto, in base alle sue esperienze. Davvero il tempo all’apice del cronoman è di 3-4 anni?

Insomma Marco, davvero la cronometro è una specialità così usurante?

Non si può dare una risposta univoca: dipende da come uno li distribuisce, questi anni, e da cosa fa nel mezzo. Secondo me non è detto che uno perda questa verve, anzi, magari può anche aumentare. Certo è che la cronometro impone una capacità di soffrire per un tempo continuo e prolungato che va anche allenata. E qui sta il bello.

Il bello per il cronoman…

Probabilmente quando un atleta fa fatica a soffrire a cronometro, fa fatica a soffrire anche nelle altre gare. Non è una cosa specifica del cronoman. Forse in una prova contro il tempo questi problemi si accentuano.

Da un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo felice
Da un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo felice
Perché?

Perché bisogna andare a toccare un livello di profondità, di sforzo e di sofferenza molto elevato. Uno sforzo che dopo un certo punto uno non ce la fa più. E’ quello che succede magari agli inseguitori che fanno i quattro chilometri da soli o a squadre. Sono discipline dure. Però, attenzione: non è solo questione della cronometro in quanto tale, perché se ci pensiamo bene magari il suo sforzo è paragonabile a quello di uno scalatore nella salita finale. Non è una cosa tanto differente come tipo di sforzo… almeno a livello fisico.

Però la gara è il termine di un percorso. Rogers parlava anche di allenamenti al limite del vomito. C’erano esercizi particolarmente stressanti che facevi?

Alcuni allenamenti specifici li facevo in pista, per una questione di sicurezza e di fattibilità in quanto a numeri e dati. Però ci sono allenamenti che venivano più facili in salita. Quando invece devi lavorare in pianura e raggiungere certi livelli, è vero che ci vogliono più convinzione e più grinta. Queste due capacità per me sono fondamentali.

Perché?

Perché se ti vengono a mancare, va bene un giorno o due, ma se è di più forse è il momento di cambiare mestiere o di prendersi una pausa.

Evenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per lui
Evenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per lui
Quali sono i lavori del cronoman che più lo svuotano?

Quando devi lavorare a velocità di gara in pianura, o nei lavori intermittenti. Esercizi che non sono specifici per lo sforzo, ma per aumentare l’efficienza sulla bici da crono. Perché ci sono lavori intermittenti che fai anche su strada, però con la bici da cronometro sono ancora più duri.

Come mai sono più duri?

Perché sei sul mezzo che ti deve dare il risultato e soprattutto perché sei in posizione. Sei schiacciato. La bici da cronometro è la bici “scomoda” per eccellenza. Già questo ti porta via altre psicoenergie, mettiamola così. Se devo fare cinque ore in bici è una cosa, se ne faccio tre a cronometro ad una certa intensità è un’altra.

Quando capisci che la concentrazione non è al top?

In gara lo capisci subito. Lo capisci già la mattina prima di partire, secondo me. Magari quelli sono anche i momenti in cui uno cade, sono i momenti in cui non riesci più a stare rilassato e focalizzato nello stesso momento.

Per durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecniche
Per durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecniche
Ti è mai capitato di avere un rifiuto della preparazione e di dire: «Basta, questo esercizio non lo voglio fare più»?

Sinceramente no. Può capitarti un periodo in cui fai più fatica ad allenarti, perché magari hai altre cose per la testa. A me è successo quando studiavo, per esempio. Ero ancora dilettante. Senti quella mancanza d’aria, ti senti assillato dagli impegni.

E come te la cavasti?

Mi sarei dovuto prendere una pausa. Adesso ho capito che era inutile provare a far tutto.

Uscendo dalla parte mentale, esiste invece un tempo fisiologico di massima espressione della performance per il cronoman?

Per me sì, ed è di 10 anni. Se ti gestisci bene, e intendo a 360 gradi, puoi essere al top per dieci anni.

Trinca Colonel, la vittoria de l’Ardèche fa parte del cammino

17.09.2025
6 min
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Tappa e maglia… anche quella azzurra per Monica Trinca Colonel dopo la vittoria nella frazione finale del Tour de l’Ardèche. L’atleta della Liv-AlUla-Jayco si conferma così una delle migliori del panorama nazionale. Forse colei che più è cresciuta durante la stagione e che addirittura potrebbe candidarsi ad essere l’erede di Elisa Longo Borghini, un anticipo di questa staffetta si è vista al campionato italiano.

L’Ardèche, come accennavamo, ha decretato il suo biglietto per il Rwanda, ma quel che più conta è il processo che questa ragazza sta facendo. E’ un’atleta di pura sostanza, pochi fronzoli, di cui si parla anche poco ma sulla quale si può fare affidamento. Un processo di crescita di cui abbiamo parlato con Marco Pinotti, uno dei coach della squadra australiana.

«Ero giusto in magazzino – attacca Pinotti – per preparare la bici da crono di Monica per i mondiali. Ero con i meccanici rientrati ieri dall’Ardèche. Abbiamo ragionato sul percorso dei mondiali, abbiamo fatto il “pace strategy” in base agli ultimi dati di potenza. E abbiamo cercato di definire le possibilità dei rapporti da scegliere per la prova a cronometro iridata».

Marco Pinotti, ex corridore, è oggi l’head coach della Jayco-AlUla
Marco Pinotti, ex corridore, è oggi l’head coach della Jayco-AlUla
E come vi siete orientati?

Anche se la crono non è il primo obiettivo di Trinca Colonel, è una prova importante e cerchiamo di fare il miglior risultato. Monica userà una monocorona da 60 denti, però le abbiamo lasciato l’opzione del 58, perché le informazioni che non ho sono relative alla qualità dell’asfalto, che può essere più o meno scorrevole. Abbiamo così lasciato due opzioni: la principale appunto il 60 e l’altra il 58. Dietro chiaramente avrà l’11-34. Però la scelta finale la farà là, in accordo con i tecnici della nazionale.

Marco cerchiamo invece di inquadrare bene tecnicamente questa ragazza. Che atleta è?

E’ un’atleta forte e resistente, tecnicamente molto valida. Sa guidare bene la bici, ha un alto consumo di ossigeno ed è resistente nel lungo periodo. Soprattutto in questi due anni ha costruito una resistenza alla fatica che le ha permesso di ottenere risultati importanti. Non ha picchi di potenza enormi, come le prime al mondo, ma una forte resistenza alla fatica. Nei contesti di sforzo prolungato o nelle gare dure riesce ad emergere.

La Liegi di quest’anno è stato il quadro perfetto di quanto hai appena detto. Magari si staccava ma poi rientrava…

Esatto, e lo stesso ha fatto alla Strade Bianche e in qualche altra corsa.

Quanto è cresciuta? E perché in modo così sensibile?

Perché fino a due anni fa lavorava in un negozio di ottica! La sua storia è una bella lezione per tanti. Adesso si cerca talento precoce, ma questo è un esempio che con un po’ di fortuna e tanta bravura anche a 25 anni si può debuttare ad alti livelli e fare bene. Il suo è un percorso alternativo rispetto a tanti altri.

Monica Trinca Colonel vince l’ultima tappa dell’Ardeche e conquista anche la generale. Sono i suoi primi successi da pro’ (foto Getty Images)
Monica Trinca Colonel vince l’ultima tappa dell’Ardeche e conquista anche la generale. Sono i suoi primi successi da pro’ (foto Getty Images)
Quindi ci sono margini?

Secondo me sì. Primo perché è un’atleta a tempo pieno da meno di 24 mesi. Secondo perché dallo scorso anno a quest’anno è cresciuta come valori di potenza nella prima parte di stagione. Poi tra Giro Women e Tour Femmes abbiamo avuto qualche problema. Siamo arrivati al Giro con l’idea di fare una bella corsa, ma invece ha avuto uno stop fisico che un po’ mi aspettavo… in questo suo processo di crescita generale. Ma non proprio in quei giorni. Abbiamo provato a mandarla al Tour Femmes come esperienza, per capire se potesse essere anche psicologico, invece lì abbiamo capito che i guai del Giro erano proprio fisici. Anche lì aveva gli stessi sintomi: dopo due o tre giorni di stanchezza, abbiamo deciso di fermarci.

E poi cosa avete fatto?

Abbiamo optato per uno stop netto e siamo ripartiti dalla base praticamente. Abbiamo ricostruito la seconda parte di stagione a partire dall’Ardèche, che è stato il suo rientro post Tour Femmes. Con Marco Velo si era parlato di portarla al mondiale, ma io ho detto: «Vediamo prima come va l’Ardèche», perché c’era il rischio che Monica fosse ancora stanca. I carichi erano monitorati, ma il peso psicologico si faceva sentire.

Cosa intendi?

Fino all’anno scorso correva senza grandi responsabilità. Qualsiasi risultato era un passo avanti. Quest’anno invece ha affrontato gare con il ruolo di capitana, con un confronto rispetto all’anno precedente e ha dovuto affrontare un processo diverso. All’Ardèche i numeri sono migliorati ancora rispetto a inizio stagione.

Trinca Colonel (classe 1999) quest’anno ha fatto davvero un grande exploit. Ha il contratto con la Liv anche per il 2026
Trinca Colonel (classe 1999) quest’anno ha fatto davvero un grande exploit. Ha il contratto con la Liv anche per il 2026
Tu come la vedi? Più scalatrice, donna da corse a tappe, cronoman…?

Cronoman lo è in parte, stiamo lavorando sulla posizione. Ha fondo e può andare bene nelle corse a tappe, anche se non è la scalatrice più forte. Può dire la sua nelle corse dure di un giorno come la Liegi o i campionati nazionali. E’ un’atleta di fondo che fa della continuità la sua forza.

Prima hai accennato anche all’aspetto mentale. Monica è ancora nella fase del “tutto nuovo” oppure iniziano le responsabilità? Insomma è consapevole?

Secondo me sì. Monica è una ragazza intelligente e consapevole. Sa riconoscere quando non è al meglio e affronta le difficoltà con maturità. Le responsabilità aumentano, ma deve imparare a gestirle. E’ bello che mantenga entusiasmo e che non senta troppa pressione. Ci tiene molto alle compagne e al lavoro di squadra.

Le avete affiancato qualcuna più esperta?

Mavi Garcia, che è molto esperta. Monica ha dimostrato di saper correre anche da capitana e magari al Mondiale potrà stare vicino a Longo Borghini.

L’atleta lombarda sarà in maglia azzurra ai prossimi mondiali. Farà sia la crono che la strada
L’atleta lombarda sarà in maglia azzurra ai prossimi mondiali. Farà sia la crono che la strada
E’ cresciuta come potenza rispetto all’anno scorso?

Sì, di almeno un 4 per cento su tutta la curva, rispetto al suo miglior livello dello scorso anno. Sono percentuali molto importanti a questo livello.

Avete ritoccato la posizione in bici?

L’anno scorso no. Ma quest’anno tra Giro e Tour abbiamo fatto indagini anche a livello meccanico e abbiamo trovato che aveva l’ileopsoas contratto. Una soluzione immediata è stata ridurre le pedivelle da 170 a 165 millimetri. Le usava a crono e ora anche su strada. In questo modo la gamba lavora meno chiusa.

E lei come ha reagito?

Essendo resiliente non ha sentito particolari differenze, ma ha capito che poteva aiutarla. Rivedremo la posizione con calma in inverno, per ora corre così. La risposta è stata positiva.

C’è qualcosa che vuoi aggiungere al quadro tecnico di Monica Trinca Colonel?

Bisogna essere cauti con le aspettative. Monica è un’atleta che può raccogliere ottimi risultati, ma non è scontato che la crescita sia continua. Ci saranno alti e bassi, come quest’anno tra Giro e Tour. Certi processi richiedono più tempo di quello che immaginiamo. Ha davanti ancora tanti anni, ma bisogna darle tempo, senza metterle pressione. Lei stessa non si monta la testa.

Cronoscalate in vista: setup e pacing. L’analisi di Pinotti

18.06.2025
6 min
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Il ritorno delle cronoscalate, lo sforzo massimo. Si dice che chi primeggi in questa disciplina sia il più forte in assoluto. Il Tour de France propone una cronoscalata e anche il Tour de Suisse ne propone una, anche se nel Paese dei Quattro Cantoni questa disciplina è già più in voga: anche l’anno scorso era presente. Tuttavia, essendo quella del Tour la “prova regina”, la tappa elvetica assume un significato ancora più importante.

I tecnici, fra cui Marco Pinotti, coach di riferimento per la Jayco-AlUla, possono trarne indicazioni preziose. Ecco allora un viaggio tecnico con l’ingegner Pinotti per approfondire queste due cronoscalate che stanno per arrivare.

Marco Pinotti ex corridore, ingegnere e coach della Jayco-AlUla, è stato uno dei cronoman migliori degli anni 2000
Marco Pinotti ex corridore, ingegnere e coach della Jayco-AlUla, è stato uno dei cronoman migliori degli anni 2000
Marco, quanto è importante quest’anno la crono elvetica in ottica Tour de France, considerando che sono molto simili?

Quella di Emmetten, in Svizzera è un filo più dura, è una cronoscalata pura. Come dislivello siamo lì, ma forse è un po’ più corta, perché quella di Peyragudes, in Francia, ha una prima parte più semplice. Lì la salita vera inizia dopo 3,85 chilometri: non è pianura, c’è un po’ di su e giù, ma è una sezione veloce. In Svizzera invece si sale quasi subito e la strada diventa anche stretta.

Almeida, parlando del Tour de Suisse, ha detto che userà la bici da strada con il casco da crono.

Anche noi pensiamo alla bici da strada, ma il casco da crono non lo userei. Non credo abbia una grande influenza in termini aerodinamici, perché conta di più la dissipazione del calore. Se farà caldo, meglio il casco tradizionale.

Che dati si acquisiscono, soprattutto in ottica Tour de France? Parliamo non solo del singolo atleta, ma anche di squadra, pacing, materiali…

Si raccolgono dati preziosi sulla capacità del corridore di mantenere un certo piano di potenza. Le condizioni saranno simili, ma non identiche: la crono del Tour arriverà dopo 12 tappe, quella svizzera dopo una settimana. E poi nel frattempo può succedere di tutto. Però è un test: raccogli dei dati sui quali poi perfezioni il pacing per la volta successiva. Se sai che il corridore può mantenere un certo wattaggio per X minuti, quello diventa il punto di partenza per il Tour.

Come si scelgono i materiali per una cronoscalata?

La prima cosa è stimare la velocità media. Poi: quanto dura la crono? E con quella durata, quanta potenza può esprimere il corridore? A quel punto metti insieme potenza e durata, valuti la velocità stimata con una bici e con l’altra. Crei una matrice di dati e scegli quella che ritieni più efficiente.

Chiaro…

Nel caso della cronoscalata svizzera la scelta è piuttosto scontata: la velocità media non sarà alta. In quella francese, con una prima parte più veloce, si possono valutare soluzioni diverse.

Anche il cambio bici?

Abbiamo valutato anche quello. Con il nostro corridore (presumbilmente Ben O’Connor leder della Jayco-AlUla, ndr) siamo andati sul posto, abbiamo fatto prove con una bici e con l’altra e alla fine abbiamo definito un setup. In Svizzera quel setup non ci sarà (come dicevo sono simili ma non uguali), però testeremo il pacing. Ho fatto delle stime e vedremo se sono troppo ottimistiche o pessimistiche. Poi bisogna considerare anche la quota: al Tour si superano i 1.500 metri e qualche watt in meno “balla”.

Esiste uno split di velocità media oltre il quale conviene passare alla bici da crono?

Sì, esiste. Sopra i 25 all’ora si può andare con la bici da crono, perché l’aerodinamica fa la differenza. Sotto i 20 è meglio la bici da strada. Tra i 20 e i 25 c’è una zona grigia da interpretare. La discriminante è la velocità media e la capacità del corridore di spingere con una bici o con l’altra.

Immaginiamo quindi che conti anche la capacità del corridore di usare la bici da crono in salita ed esprimere gli stessi watt…

Con la bici da crono sei molto più schiacciato. L’inclinazione del busto è diversa rispetto alla bici da strada. In salita, su strada, hai i gomiti più rilassati, dritti o semi dritti, e respiri in modo più naturale. Uno potrebbe preferire la bici da crono, ma poi bisogna pensare che su quella strada il corridore si allena ogni giorno con la bici normale. La scelta dipende anche da quanto tempo puoi dedicare ad abituarti a pedalare in salita con la bici da crono.

Quindi qualcuno potrebbe aver passato più tempo del solito sulla bici da crono anche in salita?

Sì, ma attenzione. C’è una crono veloce anche all’inizio del Tour, quindi devi mantenere una posizione efficiente per quella prova. Come dicevo, nella crono del Tour i primi 3,8 chilometri sono veloci, ma nella parte in salita si viaggerà tra i 22 e i 24 all’ora, in assenza di vento. Quindi siamo in quella “zona grigia”.

Ultimamente si vedono rapporti enormi, come il 68 anteriore. In una cronoscalata si può usare la bici da crono con rapporti tradizionali?

Sì, certo. Entrambe le crono in questione non hanno pendenze estreme. Anche se quella del Tour, nell’ultimo chilometro, presenta un tratto al 18 per cento. Con un 42 o 40×34 ci si sta dentro benissimo. Anche perché quello al 18 per cento è lo sprint finale. Al massimo si può pensare a una monocorona per alleggerire la bici: magari una 48-50 davanti, tanto dietro ormai ci sono i 34-36.

La soluzione del monocorona sembra essere molto gettonata. Ricordiamo (in foto) il plateau da 52 denti che Vingegaard utilizzò nella tappa di mezza montagna alla Tirreno 2024
La soluzione del monocorona sembra essere molto gettonata. Ricordiamo (in foto) il plateau da 52 denti che Vingegaard utilizzò nella tappa di mezza montagna alla Tirreno 2024
Marco, ti piacevano le cronoscalate?

Sì, ne ho fatte tante. Ne ricordo una a Oropa in cui andai bene. Una a Nevegal nel 2010, sempre al Giro. Un’altra da neoprofessionista, alla Settimana Bergamasca sul Selvino.

E quando uno è cronoman, lo è anche nelle cronoscalate?

Come pacing sì, assolutamente. Io ad esempio, in quelle del Giro, sono arrivato due volte nei primi dieci, ma non ero uno dei migliori dieci scalatori. Lo scalatore ha bisogno del cambio di ritmo, dell’avversario… cose che in una cronoscalata non servono. Anche se poi oggi è diverso, si corre col power meter, sono tutti più consapevoli di quello che devono fare, però resta (anche) un gioco mentale. La capacità di stare al limite per tanto tempo è una qualità da cronoman. Lo scalatore spesso ha bisogno di un riferimento davanti.

Riguardo ai setup: sulle posizioni si ritocca qualcosa?

Visto che le pendenze medie delle due salite sono attorno all’8 per cento, non farei modifiche eccessive. Si può pensare di accorciare l’attacco manubrio se si usa la bici da strada, per respirare meglio. Se invece si usa quella da crono, qualche modifica è più probabile: magari si può alzare la base d’appoggio delle protesi anche di due centimetri, sempre per migliorare la respirazione.

Due anni da recuperare, ma Paternoster sta arrivando

15.05.2025
6 min
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Dopo le classiche, l’obiettivo di Letizia Paternoster è diventato il Tour de France Femmes. Riuscire a vincere una tappa sarebbe il modo di entrare fra le grandi e tenere il ritmo delle coetanee che, a vario titolo, hanno compiuto i loro passi verso l’alto. Basterebbe partire dal podio di Doha 2016, quando quel fantastico gruppo di ragazze fra il 1998 e il 1999 si affacciò (vincendo) sul mondo. Al centro Elisa Balsamo con la maglia iridata e a sostenerla proprio Letizia, Chiara Consonni e Martina Fidanza.

Sono passati nove anni, chilometri e tanta vita. C’è stato il Covid e ci sono stati gli incidenti. In tanti casi rimanere in equilibrio fra la realtà, le attese e i propri guai è già di per sé un’impresa, per cui essere riusciti a risollevarsi è segno di talento e determinazione. Così Letizia Paternoster sta risalendo le posizioni del gruppo. Si è smarcata dalla riduttiva etichetta di velocista. E’ tornata competitiva in pista. Ha imparato a non mettersi addosso pressioni troppo pesanti. E ora addenta le corse con altra consapevolezza, facendo i conti con la sua immagine pubblica che a molti basta e avanza per dare giudizi senza conoscere. La maledizione dei social colpisce spesso chi sui social è più forte.

Passaggio in Spagna

Fra le classiche e il Tour, con la condizione che le restava nelle gambe, la trentina si è trovata a passare per la Vuelta. E senza fare miracoli, ha portato a casa un secondo posto di tappa e ha vestito per un giorno la maglia rossa di leader. Poco al confronto di una leonessa come Marianne Vos, ma abbastanza per capire di aver trovato la chiave. E la stessa Vos, rileggendone la storia, a un certo della sua carriera di predestinata, ebbe un crollo che la costrinse a mettere un lungo punto.

«Ho iniziato la stagione con tanta pressione addosso – racconta – e questo al Nord mi ha fatto vivere dei brutti momenti. Il guaio è che me la mettevo da sola. L’anno scorso ero andata tanto forte e mi sono resa conto che non funziona affrontare certe corse solo con le attese e senza la mente libera. La Vuelta è servita per ritrovare testa e gambe e affrontare quel che verrà con un’altra consapevolezza».

Quattordicesima al Fiandre (qui con Niewiadoma), dopo il nono posto del 2024, pagando pegno alla tensione
Quattordicesima al Fiandre (qui con Niewiadoma), dopo il nono posto del 2024, pagando pegno alla tensione
Però è venuta la maglia di leader e soprattutto alle spalle Marianne Vos, una vera leggenda…

Ricordo che ero piccolina la prima volta che puntai la sveglia per vedere il mondiale del 2010 in Australia, avevo 11 anni. Lo ricordo perché era il primo mondiale di Rossella Callovi, che è una mia amica ed è trentina come me. E ricordo la vittoria di Giorgia Bronzini sulla Vos, che già quattro anni prima, a 19 anni, aveva vinto il mondiale di Salisburgo. Marianne Vos è un riferimento, un modello da seguire.

Che cosa ti ha detto la Vuelta?

Che ho ritrovato testa e gamba. Ci sono arrivata motivata, con la testa leggera e ho capito le mie possibilità. Mi sono scrollata di dosso il fatto di essere una velocista, anche se l’ho sempre saputo e me l’hanno sempre detto. Sono più leggera delle ragazze di 70 chili specializzate negli sprint, vado meglio sui percorsi ondulati, con arrivi sugli strappi. Infatti la seconda tappa della Vuelta aveva l’arrivo dopo l’ultimo chilometro che tirava tutto in salita.

Però le salite lunghe restano indigeste…

Non è tanto il dislivello, infatti, il mio problema è la durata delle salite, la lunghezza. Se le salite sono corte, ripide e non tanto lunghe, se sono in forma posso dire la mia. Per questo ad esempio, non so cosa pensare di mondiali ed europei. Un po’ perché non ho visto i percorsi e un po’ perché non voglio guardare troppo avanti.

Chi ti ha sempre detto che non sei una velocista?

Quasi tutti i tecnici con cui ho lavorato (sorride, ndr). Penso a Josu Larrazabal, il capo dei tecnici alla Lidl-Trek. Non faceva che ripetermelo e l’ultima volta che ci siamo visti in ritiro, perché eravamo nello stesso hotel, me lo ha ricordato.

Al Trofeo Binda, Paternoster ha tenuto bene sulla salita di Orino ed è stata quinta allo sprint vinto da Balsamo
Al Trofeo Binda, Paternoster ha tenuto bene sulla salita di Orino ed è stata quinta allo sprint vinto da Balsamo
Si può dire che la parte più difficile in questa fase della carriera sia capire che atleta sei?

Assolutamente. Sto acquisendo adesso la piena consapevolezza, dopo aver perso quasi due anni per problemi di salute. Quello che avrei dovuto fare a 22 anni, io lo sto facendo adesso. Ho riscoperto la Letizia giusta. E grazie a Marco Pinotti e alla squadra, alla LIV-Jayco-AlUla, ho capito quali saranno le corse cui posso puntare.

Il Tour e non il Giro proprio per questo?

Esatto e sono super entusiasta. Non vedo l’ora di iniziare la preparazione per il Tour. Le prime 5 tappe hanno arrivi di questo tipo, che ricordano molto le classiche. La squadra pensa che sia la soluzione migliore per me, quindi andrò dritta in Francia. Il Tour non l’ho mai fatto, l’ho sempre solo guardato, quindi mi gasa tantissimo. Però insieme ho un dispiacere enorme nel non fare il Giro d’Italia. Appena hanno annunciato le tappe, ho visto quella che passa proprio da Cles e arriva a Trento e farla sarebbe stato un sogno. Però per il resto, devo ammettere che il Tour si addice molto di più alle mie caratteristiche.

Farai altura, sai già come ci arriverai?

Questa settimana è stata di respiro dopo le classiche e la Vuelta. Nella prima parte di stagione non ho mai staccato, se non in questi giorni. Prossima corsa sarà il Tour of Britain ai primi di giugno, quindi fra due settimane e mezzo. Poi vado in altura. Scendo per il campionato italiano con le Fiamme Azzurre. Ritorno in altura. E poi, il tempo di riadattarmi al livello del mare e vado dritta al Tour de France.

Linguaccia alla cattiva sorte e ripartenza: il Tour sarà per Paternoster un importante momento di verifica
Linguaccia alla cattiva sorte e ripartenza: il Tour sarà per Paternoster un importante momento di verifica
Sei passata definitivamente a lavorare con Pinotti, dopo il periodo a metà fra lui e Broccardo. E’ cambiato qualcosa?

Marco mi ha sempre detto che ho tantissimo margine. E quindi gradualmente stiamo aumentando il lavoro e facendo tutto nel modo giusto. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Sto crescendo e sta crescendo il carico di lavoro, per arrivare al mio vero valore. Ciclisticamente Dario è stato un padre, siamo in ottimi rapporti, resta un riferimento.

Quindi riassumendo, pochi viaggi mentali, pressioni al minimo e testa libera?

Esatto. E così arriverà tutto. Devo solo continuare in questo modo. Essere positiva con la testa, stare su e lavorare nel modo giusto. E poi la ruota girerà. Ne sono certa.

Sanremo Women. Tattiche a confronto per sprinter e scalatrici

19.03.2025
6 min
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Cresce l’attesa per la prima edizione della Milano-Sanremo Women, che porta con sé tante domande e aspettative. Sarà una corsa per velociste, che terranno tutto chiuso aspettando la volata, o favorirà le scalatrici, che dovranno sfruttare le poche salite? Queste le principali incertezze che aleggeranno sulla corsa, ma anche sulle strategie delle squadre e degli atleti, pronti ad affrontare la storica Classicissima (in apertura, Arianna Fidanza e due compagne della Laboral Kutxa sull’iconico scollinamento della Cipressa).

In questo articolo, abbiamo avuto modo di ascoltare le opinioni di due tecnici di alto livello, Marco Pinotti della Jayco-AlUla, e Paolo Slongo della UAE-ADQ, che ci offrono un’analisi approfondita su come si prepareranno alla corsa e le prospettive per le rispettive atlete. L’approccio e la visione di due tecnici, alle prese con un evento che si preannuncia già ricco di emozioni e con due atlete agli antipodi: Longo Borghini, scalatrice (e non solo) per Slongo. Letizia Paternoster, donna veloce, per Pinotti.

Il profilo della Sanremo Women: 156 km. Sia Pinotti che Slongo si aspettavano qualche chilometro in più
Il profilo della Sanremo Women: 156 km. Sia Pinotti che Slongo si aspettavano qualche chilometro in più

Parola a Slongo

Il tecnico della UAE ADQ va dritto al sodo. Spiega che la scalatrice ha un passo tale da creare fatica a tutte le avversarie e quindi ha interesse a tenere un ritmo forte per tutta la gara, specie sulle salite. Un’altra opzione è che, se non questa situazione non dovesse verificarsi, bisognerà creare delle circostanze che rendano la corsa dura. I Capi rispetto agli uomini saranno più incisivi…

Quindi per la scalatrice sarà corsa dura sin dai Capi?

Direi di sì, ma non solo lì. Come abbiamo detto più volte ormai le ragazze sono tutte ad un buon livello, ma di certo i Capi faranno più selezione rispetto alla gara degli uomini. Tuttavia, secondo me, le favorite saranno in condizione e quindi, che siano scalatrici o velociste, a loro i Capi non creeranno grossi problemi. Creerà più problemi sicuramente la Cipressa o al limite il Poggio, se fatti in una certa maniera.

Hai detto Cipressa, un punto chiave: è possibile andare via lì per le donne?

Da sole è un po’ difficile, però se si crea un gruppetto di 4 o 5 ragazze con Vollering, Kopecky, Longo Borghini… sicuramente c’è la possibilità. Anche perché, oltre ad essere le più forti, rappresentano più squadre e quelle che poi possono controllare sono pochissime. Quindi, a differenza degli uomini, un attacco di leader da lontano è più facile. O più verosimile. Negli uomini diventa davvero complicato farlo sulla Cipressa, perché le squadre possono controllare anche per gli altri capitani.

Longo Borghini al Binda. Prove di accelerazioni brutali in salita. Lei di sicuro preferirà la corsa dura
Longo Borghini al Binda. Prove di accelerazioni brutali in salita. Lei di sicuro preferirà la corsa dura
Paolo hai tirato in ballo gli uomini: da un punto di vista tattico qual è la cosa più simile tra la Sanremo maschile e quella femminile?

Direi in generale la bellezza della Sanremo, che fino alla fine non sai mai chi può vincere. E’ una corsa talmente facile, ma allo stesso tempo diventa difficilissima da interpretare: questo aspetto penso sia uguale per uomini e donne.

E la differenza?

La differenza è che se le leader, specie le scalatrici o comunque quelle che sanno andare forte in salita, decideranno di attaccare da lontano, si potrebbe fare una corsa già selettiva con le leader che restano davanti. Una cosa è certa: tra le donne la corsa dura che ovviamente va meglio per le scalatrici, può fare più selezione. Certo, portarsi in volata una Kopecky, che su quelle salite va benissimo, è sempre una cosa rischiosa. Quindi, secondo me le altre avversarie, tra cui anche Elisa, dovranno comunque provare o pensare a qualcosa anche sulle salite precedenti al Poggio.

Sempre al Binda, Parternoster cerca invece di difendersi in salita. Letizia preferirà una corsa più lineare
Sempre al Binda, Parternoster cerca invece di difendersi in salita. Letizia preferirà una corsa più lineare

Parola a Pinotti

In relazione alla corsa di Letizia Paternoster, Pinotti analizza le dinamiche che porterebbero alla volata e la volata stessa, che vedrà comunque un gruppo ristretto. Come nelle classiche, la velocista che voglia arrivare in finale dovrà aver lavorato tanto sulla resistenza. I Capi arrivano dopo 110-115 chilometri e tanto dipenderà dalla situazione di gara in quel momento.

«La Sanremo – dice Pinotti – non è una corsa lunghissima come ci si poteva aspettare, ma per le donne le prime salite arrivano dopo oltre tre ore di gara e potranno già dire qualcosina».

Quando dici che la sprinter deve aumentare la resistenza intendi quei lavori di 3′-5′?

Quelli, ma anche la resistenza in generale, quella che si fa a gennaio. E’ chiaro che certi lavori, certe rifiniture si fanno con l’avvicinarsi dell’evento. E poi quei minuti vanno bene per i Capi e il Poggio, ma la Cipressa per le donne dorerà almeno 12′.

Fra i Capi quale sarà quello più duro per una sprinter come Letizia?

Il Berta, sicuramente, è il più selettivo. Gli altri due non troppo.

L’ostacolo principale per Letizia, secondo te, sarà la Cipressa o il Poggio?

Secondo me, sarà la Cipressa, non tanto per le pendenze, ma perché è più lunga. Su questa salita la posizione conta meno. Il Poggio è più facile, anche per le donne, e la pendenza è meno impegnativa. La velocità però conta molto e ci si può staccare di più. Il problema del Poggio è che arriva dopo 145 chilometri, quindi dopo parecchie ore e il posizionamento conta moltissimo.

Letizia Paternoster ha un grande spunto veloce. Per Pinotti il suo ostacolo maggiore sarà la Cipressa
Letizia Paternoster ha un grande spunto veloce. Per Pinotti il suo ostacolo maggiore sarà la Cipressa
Ecco il posizionamento: quanto è importante, specie per una velocista che deve risparmiare il più possibile, e quanto conta il ruolo della squadra?

Il posizionamento è fondamentale. Bisogna stare davanti, ma questo è importante anche nelle salite minori come il Berta. Sulle salite più dure, la squadra aiuta a prendere la posizione e a stare coperti, soprattutto per evitare danni durante le salite e per fronteggiare eventuali problemi meccanici. Dopo la Cipressa e il Poggio, se ci sono atlete con buone gambe, la squadra dovrà intervenire per ridurre i distacchi (gli attacchi delle big che paventava Slongo, ndr). Per il resto Paternoster è molto brava a anche a districarsi nel gruppo e sa stare coperta… merito della pista.

C’è la concreta possibilità di una volata con parecchie velociste?

Sì, una volata tra velociste è possibile, ma a questo punto diventa una questione di gambe più che di velocità pura. Se arriva giù dalla salita un gruppo più folto, una velocista potrebbe avere un vantaggio maggiore: una Wiebes, tanto per dire, potrebbe arrivarci e sarebbe dura da battere. Ma se l’arrivo avviene in un gruppo selezionato, anche se ci fossero le velociste più forti queste potrebbero avere più difficoltà.

Chiaro…

Lo abbiamo visto anche al Binda. Alla fine dopo una gara di oltre 2.300 metri di dislivello ha vinto la Balsamo, che è una velocista. Letizia è arrivata quinta (e la Longo decima, ndr). Tra le donne oggi il livello è elevato anche tra le sprinter. Vero che le salite erano diverse e nessuna superava un certo minutaggio, ma non sarà facile eliminarle alla Sanremo Women.

La discesa del Poggio può fare la differenza?

Sì, la discesa può essere cruciale, anche se non ci si pensa troppo. La differenza tecnica tra le atlete potrebbe essere maggiore rispetto agli uomini, con alcune che potrebbero avere più difficoltà nelle curve. Ciò potrebbe causare dei buchi. Bastano 10″ e si può andare all’arrivo.

Sarà interessante vedere quanto i capi incideranno nella Sanremo Women
Sarà interessante vedere quanto i capi incideranno nella Sanremo Women

Quanta curiosità

In conclusione, la Milano-Sanremo Women si preannuncia una corsa incerta e ricca di potenziali sorprese. Le risposte dei due tecnici, Pinotti e Slongo, mostrano come le strategie siano legate tanto alla preparazione fisica e alle caratteristiche tecniche, quanto alla capacità di affrontare i momenti più cruciali della corsa. Insomma, all’intersecarsi di varie tattiche.

E’ tutto da scoprire: il dilemma e lo spettacolo al tempo stesso sono tutti qua. Scalatrici contro velociste e non solo. Andamenti tattici. Poggio o Cipressa? Via Roma o i Capi? Questa prima edizione della Classicissima donne segnerà una traccia importante anche per i prossimi anni. La Sanremo Women si prepara a regalare grandi emozioni.

De Pretto: prima di ripartire, un pensiero per la Zalf

26.12.2024
5 min
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Alla cena in cui si è chiusa la lunga storia della Zalf Fior, Davide De Pretto si è ritrovato in mezzo a volti invecchiati che non conosceva e nomi di cui invece aveva certamente sentito parlare. Fu proprio Luciano Rui, nel raccontarci quella serata, ad accorgersi della differenza generazionale fra il vicentino di 22 anni e i suoi ragazzi del 1970 e anche prima. Eppure erano tutti lì, ciascuno con il suo pezzetto da ricordare e che ha ricomposto per l’ultima volta i 43 anni di una storia fuori dal comune.

«La Zalf ha aiutato molto la mia crescita – ci ha raccontato Davide nel ritiro di Altea, in Spagna – quando sono arrivato dalla Beltrami, che ero un po’ deluso dalla stagione. Invece sono entrato nella nuova squadra, ho visto un gruppo molto unito e sono subito riuscito ad emergere. Mi dispiace che abbia chiuso perché penso sia stata importante per ogni corridore che ha indossato la sua maglia. Però nel ciclismo di adesso, tutto corre veloce. Le devo team estere sono le squadre più importanti, quindi quelle italiane fanno anche fatica a recuperare i corridori forti per fare risultato. E’ stata una scelta forse inevitabile, dovuta».

De Pretto è stato per 3 anni alla Zalf FIor. Qui secondo al Belvedere 2023 dietro Staune-Mittet (photors.it)
De Pretto è stato per 3 anni alla Zalf FIor. Qui secondo al Belvedere 2023 dietro Staune-Mittet (photors.it)
Si dice che le squadre under 23 italiane non preparino effettivamente i corridori, tu sei arrivato qui senza le basi oppure te la sei cavata?

Diciamo che sono stato fortunato in una squadra come questa, perché avevo fatto dei risultati importanti come al Belvedere e alla Liegi. Però diciamo che mi mancavano le corse a tappe e non ero pronto come i corridori delle devo, che fanno già corse di un certo livello. Forse questo è stato anche il miglioramento che ho avuto quest’anno, facendo delle corse a tappe dove sono migliorato molto. E’ sempre un terno al lotto. Può essere che magari sei tanto preparato, quindi passi e non lo dimostri, oppure sei poco preparato, passi e fai valere le tue qualità.

Ti sei stupito della tua velocità di adattamento e dei risultati di quest’anno?

Sì, sono stupito perché dalla prima gara in Spagna e anche nel ritiro di gennaio ero andato bene, mentre ricordavo l’esperienza che avevo fatto con la Beltrami da under 23, in cui il professionismo mi sembrava un mondo irraggiungibile. Essere arrivato davanti in una gara, sia pure di seconda fascia, mi ha dato qualcosa in più anche per tutta la stagione.

Aver vinto al Tour of Austria ha fatto scattare qualcosa?

Era tanto che la inseguivo. Ho iniziato la stagione subito bene, sempre con qualche podio e qualche piazzamento nei cinque. Mi è mancata alla Coppi e Bartali, ma ero sempre piazzato. Fatalità, è arrivata al Tour of Austria che proprio non me l’aspettavo. Era uno sprint di gruppo, mi sono trovato davanti, ho fatto lo sprint e sono riuscito a vincere. Da lì mi sono sbloccato nei professionisti e mi ha dato la motivazione per continuare la stagione e adesso per affrontarne anche un’altra altrettanto positiva.

Prima vittoria al primo anno sul traguardo di Bad Tatzmannsdorf al Giro d’Austria (foto Tour of Austria)
Prima vittoria al primo anno sul traguardo di Bad Tatzmannsdorf al Giro d’Austria (foto Tour of Austria)
Quanto è impegnativo essere corridore e riuscire a mantenere tutti gli impegni cui siete chiamati?

È difficile, perché adesso il ciclismo è composto da tanti elementi collegati fra loro. Quindi se non segui tutto quello che ti dicono, non riesci a rendere come dovresti. Non riesci a raggiungere il 100 per cento nei periodi in cui è necessario esserlo. Ed è così impegnativo per ogni mese.

L’appetito vien mangiando per cui si punta in alto?

Certamente. Mi aspetto di migliorare ancora di più rispetto a quest’anno, perché penso di essere cresciuto man mano che passava la stagione. Ho chiuso il 2024 con buoni risultati e in buona forma, quindi sono riuscito a riposare bene e sono ripartito con più voglia di prima. Mi aspetto di fare una stagione importante.

Hai qualcosa da migliorare prima che inizino davvero le corse?

Ne parlavo con Pinotti, il mio preparatore. Quest’anno ho fatto tanti piazzamenti, ma mi è mancato sempre qualcosa allo sprint per riuscire a vincere le volate ristrette. Per cui adesso stiamo lavorando inserendo un po’ più di palestra per migliorare l’esplosività e trasformare i piazzamenti in vittorie.

Davide De Pretto è nato il 19 aprile 2022 a Thiene. E’ passato pro’ nel 2024
Davide De Pretto è nato il 19 aprile 2022 a Thiene. E’ passato pro’ nel 2024
Rileggendo la tua storia recente col senno di poi, mollare il ciclocross era una necessità inevitabile?

Per come è adesso, sì. Ero arrivato a un bivio. Potevo trasferirmi in Belgio e proseguire in una squadra belga, facendo tutto lassù dalla A alla Z. Oppure potevo scegliere la strada, che secondo me è quella che ti dà più da mangiare, a meno che non sei uno fra i primi dieci al mondo nel cross. Per cui penso sia stata la scelta migliore.

Il 2025 del giovane De Pretto comincerà il 15 gennaio con il secondo training camp del Team Jayco-AlUla. Da lì, passate le due settimane in cui gli allenamenti diventeranno importanti, il veneto punterà sulle prime corse proprio in Spagna. E così, dopo le vacanze in Kenya di novembre a suo dire troppo brevi fra safari e spiaggia, il primo training camp e il Natale alle spalle, con il nuovo anno si inizierà a fa salire i giri del motore. E a inseguire nuovamente la vittoria, che darà il senso di tanto tenere duro.

Jayco-AlUla: Pinotti e il nuovo asset dei coach

19.12.2024
4 min
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Nei giorni di Calpe abbiamo visto un bel viavai in casa Jayco-AlUla. Marco Pinotti, uno dei preparatori più esperti in assoluto e del team, ci parla del riassetto che sta vivendo appunto la sua squadra. Sono infatti partiti due allenatori, Alex Camier e Daniel Healy, e ne sono arrivati altri due: Fabio Baronti e Christian Schrot (in apertura foto @GreenEDGECycling).

Ma i cambiamenti non si sono limitati ai nomi. Sono cambiate anche alcune mansioni, sono state riviste alcune logistiche ed è arrivato un nuovo team di sviluppo, la Hagens Berman di Axel Merckx. Non c’è più una gerarchia verticale, ma come ha detto Pinotti: «Una struttura orizzontale».

Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Marco, partiamo da te. Stai assumendo un ruolo sempre più importante per quel che riguarda i preparatori e il reparto della performance, è così?

In realtà cerco di diminuire le parti di allenamento e preparazione perché sono sempre più coinvolto nei materiali. Però con gli atleti con cui ho iniziato a lavorare continuo. Faccio fatica a prenderne di nuovi. Tra uomini e donne il carico è più o meno uguale a quello degli altri anni.

E quanti ne hai in tutto?

Sei. Quattro uomini e due donne.

Abbiamo visto un bel movimento sul fronte dello staff legato alla performance: adesso quanti siete voi coach?

Sei in tutto. Anzi, sei e mezzo! Visto che uno, Andrew Smith, è anche un diesse e allena un paio di atleti. Quindi ci siamo io, Fabio Baronti, Christian Schrot, che sono i due nuovi arrivati, Peter Leo, Joshua James Hunt e Briant Stephens.

Due profili nuovi e che avevano a che fare con i giovani. Perché?

Non è stata una ricerca di coach giovani o che avessero a che fare con i giovani in senso stretto. Christian Schrot era responsabile della squadra juniores della Red Bull-Bora, l’Auto Eder, mentre Fabio Baronti veniva da un team di sviluppo, il CTF. Cercavamo dei coach con competenze che potessero andare bene per lavorare anche con i giovani e con i professionisti. Baronti, ad esempio, mi è stato segnalato. Ci siamo incontrati al Giro d’Italia, ho avuto una buona impressione e l’ho proposto al team. Poi da qui ad entrare a fare parte della squadra un po’ ci è voluto. Entrambi sono stati scelti per le loro “skills”, qualità e competenze.

Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
C’è una gerarchia tra voi coach?

Non più. Abbiamo una struttura orizzontale. Ogni coach è responsabile di un progetto specifico. Però, per molte cose fanno riferimento a me, perché sono qui da più tempo. Non c’è un head coach vero e proprio. Abbiamo cambiato nel corso della passata stagione. Abbiamo visto che stava funzionando bene e per ora manteniamo questo assetto. Poi magari, se le cose non andranno bene, rivedremo il tutto.

E come sono divise le responsabilità?

Ognuno ha un campo di responsabilità. Io, ad esempio, mi occupo dei materiali e dei progetti legati alla cronometro. Un’altro è più improntato sulle classiche. Un altro coach si occupa della logistica dei training camp, un altro dello sviluppo dei giovani. Ogni coach è anche responsabile di uno o più camp.

Un bel cambio insomma…

Sì, abbiamo assegnato responsabilità più definite. Prima il coach allenava e basta. Ora c’è una programmazione più strutturata: i camp sono decisi con un anno di anticipo e le date sono chiare per tutti. Quando sono arrivato, i corridori avevano molta libertà. Ad esempio, Simon Yates non partecipava ai camp di gennaio e in altri andava per conto suo. Idem Groenewegen. Per un Tour ad un certo punto avevamo tre gruppi in altrettanti camp. Ora cerchiamo di avere tutti insieme, con alcune eccezioni come gli australiani che gareggiano a dicembre-gennaio. Ma non è stato il solo cambiamento.

Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Cioè?

Abbiamo standardizzato i test. Adesso abbiamo lo stesso protocollo di test per la squadra WorldTour e per la devo, sia maschile che femminile. Non facciamo lo stesso test a uno scalatore e a un velocista, ma tra corridori dello stesso tipo il protocollo è identico. Questo permette confronti tra atleti e tra squadre.

I test sono su strada o in laboratorio?

Sono su strada e includono sia test incrementali che profili di potenza. Abbiamo test per lo sprint e test specifici per le caratteristiche dei corridori. Più ci avviciniamo alla stagione, più i test diventano settoriali. Per esempio: ora tutti hanno fatto il classico incrementale, utile per stabilire le zone di allenamento, ma a gennaio e man mano che si avvicinano le gare ognuno farà il test per le sue caratteristiche.

Riguardo al devo team, come gestite il fronte della preparazione: sorvegliate o intervenite di persona?

Abbiamo una reportistica programmata tra le due squadre, ma loro hanno un loro coach, Jen Van Beylen, che da danni era nella Hagens Berman. Nel nostro calendario gare però ci sono posti assegnati per i corridori della development anche in alcune corse WorldTour. In base alle esigenze ci diranno loro chi possono mandarci.

Baronti: dal CTF a coach Jayco: «Inizia un nuovo percorso»

13.12.2024
5 min
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I giorni del primo ritiro stagionale in casa Jayco-AlUla scorrono velocemente sotto al sole caldo della Spagna. Lo staff e i corridori lavorano guardando al futuro e intanto gettano le basi per far sì che tutto scorra liscio. Tra le novità del team australiano c’è sicuramente l’arrivo di Fabio Baronti, che ricoprirà il ruolo di coach insieme a Pinotti e altri colleghi. Il veneto, trapiantato in Friuli e arrivato nel ciclismo grazie al CTF di Roberto Bressan, vive queste ore con gioia e una voglia matta di fare. Caratteristica tipica di chi arriva in un contesto nuovo e non vede l’ora di dimostrare che tanta fiducia è meritata. 

«Mi sono ambientato – ci racconta Fabio Baronti in un giovedì di “pausa” – siamo arrivati cinque giorni fa, l’8 dicembre. Abbiamo fatto un meeting per conoscerci e impostare il lavoro, poi il 10 dicembre sono arrivati i ragazzi. Lunedì prossimo, il 16, torneremo a casa per ritornare in Spagna a gennaio. Tra noi membri dello staff si è optato per fare un meeting conoscitivo a Bergamo qualche settimana fa. C’erano tutti i coach compresi i due nuovi, ovvero io e un altro ragazzo».

Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024
Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024

Un’altra vita

Quella che sta per iniziare Fabio Baronti è un’altra vita, sicuramente dal punto di vista sportivo tante cose cambieranno. Entrare a far parte dello staff di un team WorldTour in giovane età non è un caso, in certi ambiti i meriti sono addirittura doppi. La Jayco-AlUla ha cambiato qualche corridore durante l’inverno, forse una delle realtà che ha cambiato di più. 

«Sono arrivati dieci nuovi atleti rispetto all’anno scorso. Ma per me è come se fossero 30 – dice con voce simpatica Baronti – anzi 29 visto che conoscevo già Ale (Alessandro De Marchi, ndr). Alcuni li conosco già perché li ho trovati da avversari con il CTF tra gli under 23. In queste prime uscite li abbiamo seguiti da vicino, per noi coach è importante vederli pedalare e prendere informazioni».

Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Che effetto fa entrare nel WorldTour?

Bello, è parte del percorso di crescita personale e lavorativa. Al CTF ho trovato una famiglia vera, nella quale sono entrato e ho avuto modo di apprezzare le persone e il clima. Qui alla Jayco-AlUla tutto è più professionale e ognuno ha il suo ruolo. Si vive in maniera più precisa e analitica. Il gruppo dello staff è enorme, tra squadra maschile e femminile siamo in 156. 

I colleghi, come sono?

Lo zoccolo duro è sempre lo stesso, nel quale la figura di riferimento un po’ generale è Pinotti. Sono arrivato in un ambiente dove tutti sono pronti, preparati ma anche aperti al confronto. Già da subito ho percepito di poter dare qualcosa.

Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Che cosa?

Non sono qui per adattarmi a un metodo di lavoro, ma per metterci del mio. Lavorerò sia con il team maschile che femminile, curando il training camp per il Giro d’Italia insieme a Pinotti. Essere accanto a una figura come la sua è uno stimolo importante, credo sia anche un bella dimostrazione di fiducia. Più avanti io e lui faremo dei test sull’aerodinamica. 

Come sei arrivato da loro?

Ho parlato con Pinotti a maggio, durante il Giro d’Italia. Durante tutta la stagione siamo rimasti in contatto, mi ha detto che la squadra aveva intenzione di cambiare e rinnovarsi nel reparto performance. Il fatto che venissi da un team giovanile secondo me ha giocato un ruolo chiave. 

Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Lavorerai anche con i ragazzi del devo team, la Hagens Berman?

Non direttamente, se qualche ragazzo avrà modo di venire con noi o di essere sottoposto a dei test saremo noi a farlo. Ma loro avranno un coach. 

In che modo lavorerai?

Avrò un piccolo gruppo di tre o quattro atleti con i quali lavorerò direttamente. Ma poi ognuno di noi coach sarà a disposizione degli altri e curerà delle parti della stagione. Avere a che fare con corridori esperti, alcuni anche più grandi di me (Fabio Baronti ha 29 anni, ndr) mi permette di avere un rapporto diverso, di confronto. Al CTF dovevo insegnare ai ragazzi come essere ciclisti a 360 gradi, qui mi occupo solo della parte performance. 

Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi, qui con Van Der Meulen dopo la vittoria di tappa alla Ronde de l’Isard (foto Direct Velo/Florian Frison)
Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi (foto Direct Velo/Florian Frison)
Un rapporto più diretto?

Sicuramente avere corridori esperti mi permette di ricevere feedback più profondi e capire come muovermi. Insomma, si ottimizza il lavoro. Non sarò più in ammiraglia, magari in futuro prenderò il patentino UCI. Anche se credo che arrivati a un certo livello sia meglio dividere i compiti.

Non resta che farti un grande in bocca al lupo per questa nuova avventura.

Grazie! Ci vediamo in giro.

Paternoster 3.0: sguardo fisso sulla Sanremo

13.12.2024
4 min
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ALTEA (Spagna) – Bisogna prepararsi per una Paternoster 3.0. Dopo aver parlato con la trentina nel ritiro del Team Jayco-AlUla, la sensazione è quella di una determinazione nuova, che poggia su una preparazione più strutturata e sostanziosa. La presenza di Marco Pinotti sarà più incisiva e l’apporto dell’ingegnere bergamasco, che già nel 2024 aveva portato una ventata di aria nuova fino alla prima vittoria, promette di essere la base per una svolta decisiva.

Letizia sorride, come al termine di un percorso faticoso che l’ha messa alla prova in modo importante. E ora che i nodi sembrano finalmente sciolti, il futuro e le corse sembrano un luogo protetto in cui essere se stessa senza dover per forza indossare i panni del personaggio che si è cucita addosso negli anni.

«Qua mi vogliono tutti bene – annota – e ci tengono tanto a me. Veramente si curano di me come persona e anche le compagne attorno mi fanno sentire apprezzata ogni giorno. E’ come se mi trasmettessero tutta la bella energia che hanno e questo conta tanto anche in gara».

Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Lo abbiamo già visto in primavera al Nord. Una Letizia molto più guerriera di quella cui eravamo abituati…

Per me non è stata una scoperta assoluta. Conosco le potenzialità che posso avere su strada, perché le avevo mostrate appena passata. Ovviamente era solamente questione di ritrovare quella che ero. Allora avevo solo 19 anni. Ora che sono cresciuta, fra la maturazione fisica e l’esperienza, posso sicuramente puntare un po’ più in alto. Perciò ci ho creduto, ma quello che abbiamo visto nella scorsa stagione è stata una sorpresa anche per me. Non mi aspettavo di essere migliorata così tanto. Per questo sono carica, non vedo l’ora di affrontare le corse. Ci credo veramente tanto. Perché l’ho già fatto e ora credo anche di poterlo fare ancora meglio.

Perché?

Perché l’anno scorso sono arrivata senza un’aspettativa e una preparazione adeguata al 100 per cento. Poi si sa, nel ciclismo tutto può succedere, però voglio pensare che se faccio tutto nel modo giusto, può accadere qualcosa di veramente magico.

Giro delle Fiandre 2024, Letizia Paternoster chiude al nono posto, cedendo solo nel finale
Giro delle Fiandre 2024, Letizia Paternoster chiude al nono posto, cedendo solo nel finale
Lo scorso anno hai cominciato a lavorare con Pinotti, la collaborazione continua?

Marco è super, cura i dettagli al 100 per cento. E’ un ingegnere e si vede nel modo in cui fa le cose. Quando parla, so che quello che dice è reale. Non dice una parola in più né una in meno. Guarda ogni allenamento in tempo reale: io torno e prima di ripartire il giorno dopo ho già i suoi feedback. Mi dice che magari in un certo tratto potevo fare qualche pedalata di più, vede particolari incredibili. E allo stesso tempo riesce a trasmettermi calma e serenità e questo con me fa tanto.

Ha aumentato le quantità di lavoro? Lo scorso anno proprio Marco ci disse che per l’attività che dovevi fare, ti allenavi ancora poco…

Effettivamente lui sta sempre avanti, sempre al passo con gli studi. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione sotto tutti gli aspetti. E’ vero che ho aumentato tutto da quando lavoro con lui ed effettivamente i risultati sono tangibili.

Paternoster e una cartolina per Natale: la squadra rimarrà in Spagna fino alla vigilia delle Feste
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E’ vero che proprio Marco ti ha suggerito di fare un pensiero alla Sanremo?

E’ un grande obiettivo. Appena hanno confermato che si farà, mi ha chiamato e mi ha detto: «Lo sai che si farà la Milano-Sanremo?». Gli ho chiesto che cosa ne pensasse e lui mi ha detto che bisognava farci un bel circoletto attorno. In pochi minuti è andato a studiarsi le prime cose, per cui di sicuro ci si prova. Si sa che poi il livello della competizione sarà altissimo. E’ una corsa che può piacere alla Longo Borghini, a Lotte Kopecky, la Wiebes e anche alla Vollering. C’è un bel gruppo di ragazze che possono veramente fare bene, però perché non pensarci?

E perché non pensare anche di riprendersi il posto che avevi da junior?

Esattamente, è proprio quello che voglio fare.

Da dove nasce questo sorriso?

E’ dicembre e non sono mai partita a dicembre con un livello così alto, ne parlavo proprio prima con Marco. Siamo felici, stiamo lavorando nella direzione giusta. Ho fatto una off-season adeguata e quindi stiamo costruendo il mio percorso. Davvero non vedo l’ora di cominciare.