Pogacar, il Lombardia e il peso della borraccia

16.10.2024
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Durante la diretta del Lombardia la scena di Pogacar che parla col massaggiatore sulla Colma di Sormano è stata mostrata a tutte le velocità possibili. Si è cercato di capire se lo sloveno avesse bisogno di qualcosa e non della borraccia. Ma soprattutto si è ammirata la sua scioltezza nel parlare, quasi stesse passeggiando. E proprio per questo e perché quel massaggiatore è una nostra vecchia conoscenza, ci è venuto in mente di chiamarlo.

Paco Lluna ha 55 anni e vive a Valencia. Fra le curiosità di questo 2024 accanto a Pogacar, c’è che anche lui a distanza di 26 anni è riuscito nella doppietta Giro-Tour, dato che nel 1998 lavorava nella Mercatone Uno. E siccome di ciclismo ne sa tanto, siamo partiti da quell’episodio e poi siamo andati avanti.

Che cosa vi siete detti in quel momento?

Io ero in quel punto perché abbiamo un piano delle borracce fatto da Gorka, il nutrizionista. Immaginando che Tadej sarebbe partito da lontano e sarebbe passato in fuga, invece di avere solo la borraccia dell’acqua, aveva anche quella di Isocarbo, in modo da poterlo accontentare qualunque cosa volesse. Però io ero a sei chilometri dalla vetta. Quando lui mi vede, io gli chiedo: «Acqua o Iso?». E lui mi risponde: «C’è qualcuno in cima?». E quando gli ho risposto di sì, mi ha detto: «Allora la prendo dopo».

Lucidissimo, insomma…

Quando hai le gambe, fai ugualmente fatica, però sei lucido. Adesso guardano i dati e li analizzano, ma perché devi portare 200 grammi in più con una borraccia sulla bici? Meglio prenderla in cima, quando la salita è finita.

Avevi scelto tu il punto in cui posizionarti?

No, i punti li prepara il direttore sportivo, in base alle strade e alla possibilità di tagliare per andare in altri posti. Si è pensato che in quel punto avrebbero avuto bisogno di acqua per rinfrescarsi. Ma siccome lui stava bene, ha preferito lasciare a me la borraccia. Ha valutato che non gli servisse altro per fare quei 6 chilometri, come al Giro dell’Emilia.

Nei giri da solo sul San Luca, Pogacar non ha mai portato borraccia in salita: beveva in discesa e pianura
Nei giri da solo sul San Luca, Pogacar non ha mai portato borraccia in salita: beveva in discesa e pianura
Cosa ha fatto all’Emilia?

Io ero su, non all’arrivo, ma nello strappo subito dopo dove in tutti i giri ha preso la borraccia. In salita non ce l’aveva mai. Beveva in discesa e nel pezzo di pianura e buttava la borraccia prima di ricominciare a salire. Tadej ha fatto tutte le salite del San Luca senza la borraccia, neanche vuota. Si fanno mille storie su watt e numeri, senza pensare che a volte si porta troppo peso per niente.

Questi sono dettagli che cura con Gorka?

Gorka gli dà le direttive. Ma Tadej sa se deve mangiare oppure no. Se gli manca il gel oppure no. Quando diamo le borracce, attacchiamo anche il gel che è previsto dal nutrizionista. Ci sono tanti tipi di gel, non diamo sempre lo stesso. Ma al Lombardia ha pensato che conosceva quei 6 chilometri di salita, perché li aveva fatti qualche giorno prima in allenamento. Quindi poteva arrivare in cima senza niente e prendere sopra quello di cui avesse avuto bisogno.

Il bello è che ha parlato come stiamo parlando adesso noi due…

Forse abbiamo alzato un po’ la voce per il rumore intorno, io di certo ho urlato per farmi capire. Perché c’è rumore delle moto, dell’elicottero, delle macchine. E meno male che era un posto senza tantissima gente, perché se c’è anche la gente, ciao…

Ti è capitato altre volte di trovarlo così lucido in altre corse?

Da neoprofessionista, la prima volta che ha fatto la Vuelta e aveva 19 anni. Nell’ultima tappa che vinse, fece un numero del genere. Mi ricordo che in quei momenti voleva la Coca Cola in corsa e allora quando potevo gli davo la lattina aperta. Lui la prendeva, ne beveva subito un po’ e poi buttava la lattina. Adesso rispetto ad allora è arrivato a un’altra maturità e a un altro livello come atleta. Lì era ancora un bambino e anche quando ha vinto il primo Tour era ancora un bambino. La gente dice che non è normale, ma guardate quello che faceva quando era ancora così piccolo.

Sul San Luca, passando davanti alla curva di Pantani: i due condividono un carisma simile
Sul San Luca, passando davanti alla curva di Pantani: i due condividono un carisma simile
Tu che hai conosciuto anche l’altro, cosa vedi in comune?

Come atleta magari niente, ma la gente sta diventando pazza di lui come era pazza di Marco. Lo dicevo a Johnny Carera, il suo manager: «Delle volte mi sembra di aver già vissuto tutto questo, sai?». La gente non va a vedere il ciclismo, ma va a vedere Tadej. In quei tempi la gente non andava a vedere il ciclismo, ma andava a vedere Marco. Ho una foto del Giro dell’Emilia che ho tenuto per me. C’è Tadej con dietro i cartelli per Marco. Quella foto lì mi emoziona, come quando ho mandato a Tadej una foto della Tirreno in cui sul Carpegna passava davanti alla statua di Marco. Ma come corridore no. Pogacar è più completo, ma come Marco è benvoluto da tutti.

Spiega meglio per favore.

Lo vedi che si allena a Monaco con tanti corridori diversi, non solo con compagni di squadra, ma anche con altri che se ne sono andati. L’altro giorno Tim Wellens ha pubblicato nel nostro gruppo whatsapp un video in cui Evenepoel gli faceva i complimenti per il mondiale. Anche Marco era benvoluto nel gruppo. Se parli con i corridori di quell’epoca, anche quelli della Mapei gli volevano bene, nonostante tutto quello che noi avevamo contro loro e loro avevano contro noi. Anche Tafi oggi parla benissimo di lui. Hanno un carisma simile, che anche gli avversari riconoscono. In questo forse un po’ si somigliano davvero…

EDITORIALE / Sinner, le regole saltate e i santi in paradiso

26.08.2024
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E’ colpa di Sinner oppure no? Aver licenziato preparatore e fisioterapista ha un senso oppure no? E’ giusto che l’altoatesino (foto FITP in apertura) continui a giocare con la spada di Damocle di una squalifica sulla testa? E perché per coprire la sua situazione ed evitare di finire nello stesso meccanismo che ha… ammazzato sportivamente fior di ciclisti, si sia scelto di non applicare le regole?

Lo ha spiegato bene Angelo Francini, decenni di vita federale sulle spalle, in un post su Facebook. E’ spiegato tutto con una chiarezza così lampante, che basterebbe per convocare la Federtennis e anche il CONI per chiedergliene ragione.

Fabio Pigozzi è il presidente di NADO Italia (foto La Repubblica)
Fabio Pigozzi è il presidente di NADO Italia (foto La Repubblica)

Le regole violate

Nel 2007 – spiega Francini – lo Stato italiano ha istituito il NADO ITALIA, in ambito Coni. Un organo competente a giudicare in via esclusiva tutti casi di doping dei tesserati dello sport italiano. Dal 2016 Nado Italia è diventato un organismo indipendente”. Essendo legge dello Stato, tutti gli Statuti federali impongono la sua indicazione come unico organismo antidoping. Pertanto anche la FITP, la Federtennis, lo ha inserito all’articolo 50 del proprio Statuto, senza alcun riferimento alla ITIA.

Di cosa si tratta? Si tratta della International Tennis Integrity Agency. Un soggetto apparso nel 2021 nel mondo tennistico internazionale, che però non può avere alcuna giurisdizione per i casi di doping ricadenti sui tesserati alla stessa Federtennis. Di quelli si deve occupare Nado Italia attraverso la Procura Nazionale e il Tribunale Nazionale Antidoping. L’unico organismo superiore cui ci si può rivolgere in caso di controversia è il TAS di Losanna. Invece per Sinner ci si è rivolti ad essa.

Per quale motivo non è stata effettuata l’obbligatoria segnalazione (in quanto prevista dalla Statuto della Federtennis) del caso Sinner a NADO ITALIA da parte del CONI e della FITP, che sicuramente erano stati informati dalla Federtennis internazionale? Per quale motivo i vertici di Coni e FITP hanno violato apertamente una norma dello Stato? Sono queste gravi irregolarità a sporcare il caso Sinner. Lui può essere anche in buona fede, come lo erano Agostini e Contador. Solo che mentre i due ciclisti furono lasciati soli, su Sinner è stato gettato un mantello di protezione ormai scoperto.

Stefano Agostini, classe 1989, venne squalificato per due anni nel 2013 per la stessa positività di Sinner
Stefano Agostini, classe 1989, venne squalificato per due anni nel 2013 per la stessa positività di Sinner

La rabbia di Agostini

Chi è Agostini? Stefano Agostini, giusto. Abbiamo rivissuto il dramma del veneto, talento brillante del ciclismo italiano che nel 2013 incappò nella positività al Clostebol, lo stesso prodotto di Sinner. In realtà (soprattutto) il dramma l’ha rivissuto lui, mentre tanti altri se ne sono accorti leggendo un suo post su Facebook e dando il via a una litania di sensazionalismo di facciata. Perché non fecero lo stesso baccano quando Stefano fu licenziato dalla Liquigas, con tanto di contributo fattivo del medico sociale?

In nessun modo la squadra e la Federazione provarono a sostenere che fosse innocente. Ci provò da solo, dicendo che quella pomata gliel’avesse data sua madre per lenire le scottature del sole. Pensarono alle solite scuse, come il massaggio e la feritina, e lo squalificarono per due anni. Se fosse stato colpevole, magari sarebbe anche tornato. Invece preferì lasciar perdere e cambiò vita.

Giro d’Italia 1999, Marco Pantani lascia il Giro senza positività né santi in paradiso
Giro d’Italia 1999, Marco Pantani lascia il Giro senza positività né santi in paradiso

Figli e figliastri

Certo ci rendiamo conto che sia molto più necessario difendere il campione che ha sulle spalle il tennis nazionale. L’eroe di Torino e della Davis. Il numero uno al mondo. La gallina dalle uova d’oro. Il prodotto di una Federazione da record che si è risollevata quasi dall’indigenza. L’ispirazione per i bambini. Il figlio che ogni madre vorrebbe avere.

Ce ne rendiamo conto e lo gridammo forte anche nel 1999 quando un campione di altrettanta potenza, sportiva e mediatica, fu condannato a morte senza che ci fosse stata una positività: né analisi né controanalisi. Inutile quasi che facciamo il nome, non ce ne voglia Stefano Agostini. Si chiamava Marco Pantani e fu gettato in pasto agli squali. Con tutto il rispetto, Sinner non ha nulla più di Marco, se non migliori avvocati e gente ai piani alti disposta a metterci la faccia.

EDITORIALE / Tadej è un fenomeno, ma lasciate in pace Pantani

15.07.2024
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GRUISSAN (Francia) – Tadej Pogacar si avvia a conquistare la doppietta Giro-Tour che in anni più recenti ha respinto campioni come Contador e Froome, in una sorta di rincorsa che ricorda quella di Cavendish al record di Merckx. Si legge stamattina che ieri lo sloveno e anche Vingegaard abbiano battuto e di parecchio il record di Pantani su Plateau de Beille e di certo altri record cadranno. I record sono fatti per essere battuti. Però allo stesso modo in cui si è stati molto cauti nel dire che Cavendish non sia stato grande quanto Merckx, si potrebbe fare la stessa considerazione nell’affiancare Pogacar a Pantani e a quelli che prima di lui fecero l’agognata doppietta: Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche, Indurain, Pantani.

Pogacar merita a pieno titolo di esser iscritto a questo club così esclusivo, come è probabile che la sua carriera alla fine sarà superiore a quella di molti di loro. Eppure voler a tutti i costi dipingere il prodigio con colori anche superiori a quelli che sfoggia suona un po’ pretestuoso. Tadej è un fenomeno, Vingegaard è un fenomeno, ma hanno attorno soltanto se stessi, in un duello che si protrae senza contraddittorio. Altri ottennero il loro primato nuotando in un mare pieno di squali. E’ sbagliato perseguire la sostituzione.

A Plateau de Beille, la prima vittoria di Pantani al Tour del 1998
A Plateau de Beille, la prima vittoria di Pantani al Tour del 1998

Il record di Plateau de Beille

Pogacar ha scalato Plateau de Beille in 39’42” alla media di 23,800, iniziando la salita a tutto gas. Pantani impiegò 43’28”. Un risultato stupefacente, certo, che però non tiene conto del fatto che Marco fu fermato da Roberto Conti (leggete l’articolo pubblicato pochi giorni fa) per aspettare Ullrich, il suo avversario in maglia gialla, che aveva bucato. Per cui il tempo di scalata di Pantani è composto dai minuti necessari perché Ullrich si fermasse, aspettasse l’arrivo dell’ammiraglia, cambiasse bici e risalisse il gruppo che intanto non si era fermato. Già questo basterebbe.

Non è una questione di asfalti più veloci (le strade erano belle anche nel 1998), ma se volessimo guardare, potremmo parlare delle bici e ci sarebbe tanto da dire. La Bianchi con cui il romagnolo vinse il Giro e dopo il Tour era in alluminio, non aveva ruote ad alto profilo e in termini di aerodinamica non era certo al livello delle bici di adesso. Impossibile fare confronti.

Pantani non sapeva cosa fosse un powermeter e questo magari per colpa sua, refrattario com’era all’impiego di ogni tecnologia legata alla preparazione. Quando all’inizio del 1999 cercarono di imporgli l’uso del cardiofrequenzimetro, faceva di tutto per dimenticarlo a casa o in hotel. Non andava ad allenarsi in altura, gli bastava il Carpegna. E come spuntino dopo l’allenamento, mandava giù uno zabaione. Colpa sua anche quella: c’era già chi studiava la nutrizione come un fronte sensibile, ma di certo nel 1998 non c’erano le consapevolezze di oggi.

La sfida con Tonkov al Giro del 1998 tenne Pantani sulla corda sino alla fine. Non fu abbastanza fenomeno o il russo era un osso duro?
La sfida con Tonkov tenne Pantani sulla corda sino alla fine. Non fu abbastanza fenomeno o il russo era un osso duro?

Fra Giro e Tour

Fu colpa sua anche il fatto che dopo il Giro non avesse alcuna intenzione di andare al Tour, per cui trascorse la sua bella decina di giorni in spiaggia e chissà cos’altro. Fu la morte di Luciano Pezzi a spingerlo verso la corsa francese. Nessuna ferrea pianificazione: quella apparteneva semmai a Ullrich e Riis, che sul Tour affrontato nel segno della scienza avevano costruito la loro storia. Nessuna altura per Marco e certamente per lui le fatiche del Giro furono superiori rispetto a quelle incontrate da Pogacar lo scorso mese di maggio.

Pantani dovette fronteggiare prima Zulle e poi Tonkov: due ossi molto duri. Il primo lo mise in croce all’inizio fino alla crono di Trieste. Il secondo lo sfidò fino a rischiare l’infarto nel giorno di Montecampione e poi nella crono finale di Lugano. Si avanzarono delle ipotesi assai brutte al riguardo: la fortuna di Pogacar è che nessuno dice contro di lui quello che un tempo era abituale dire su chi andava così forte. In questo il ciclismo è cambiato di molto, per fortuna: oggi si ha il diritto di vincere senza insinuazioni.

Il livello del Tour 2024 è vicino a quello del Tour 1998: i due rivali sono entrambi fortissimi
Il livello del Tour 2024 è vicino a quello del Tour 1998: i due rivali sono entrambi fortissimi

Quali avversari

Nel Giro del 1998, che non ebbe giorni di riposo, Pantani chiuse la prima settimana 6° a 1’02” da Zulle. La seconda la chiuse 2° in classifica a 22” da Zulle. Concluse il Giro con 1’33” di vantaggio su Tonkov.

Nel Giro 2024, Pogacar ha concluso la prima settimana con 2’40” su Martinez. La seconda con 6’41” su Thomas. E ha concluso il Giro con 9’56” su Martinez.

La differenza fra i due è che Tadej è indubbiamente un fenomeno: Pantani non ha mai vinto la Liegi e nemmeno il Lombardia. Ma in quel ciclismo che faceva della specializzazione il suo punto di forza, Marco si ritrovò al Giro contro avversari che sapevano come si vincesse un Grande Giro. Fra gli avversari di Pogacar al Giro, tolti Thomas e Quintana ormai sul viale del tramonto, nessuno aveva mai vinto un grande Giro.

Il Tour del 1998, con un solo giorno di riposo, è invece molto più simile a quello attualmente in corso, con due fenomeni in testa, capaci di dominare il gruppo con superiorità disarmante. L’attacco di Ullrich all’indomani della sconfitta delle Deux Alpes somiglia tanto a quello condotto ieri da Vingegaard. Due fenomeni e dietro il vuoto. Si è tutti fenomeni, in attesa di uno più grande: la storia insegna questo. E allo stesso modo in cui i corridori degli anni Novanta fecero sentire piccini quelli del ventennio precedente, i fenomeni di oggi mettono in ombra quelli che li hanno preceduti.

All’indomani della batosta di Les Deux Alpes, Ullrich attaccò a testa bassa
All’indomani della batosta di Les Deux Alpes, Ullrich attaccò a testa bassa

E’ tutto relativo

Evviva Pogacar, campione assoluto. Evviva però anche Pantani, che ci fece sognare e per farlo dovette sfidare i giganti. Il resto sono chiacchiere da bar che ormai non attecchiscono più neppure sui social. So bene anche io che la Volvo elettrica con cui stiamo… correndo il Tour ha un’accelerazione migliore di certe auto da corsa del Novecento, ma non mi sognerei mai di dire di essere più veloce di Josè Manuel Fangio.

E comunque, giusto per non togliere interesse, il Tour è tutt’altro che finito. Mancano le Alpi e la crono finale. E sta iniziando a fare veramente caldo.

Plateau de Beille in vista. Il ricordo di Conti di quell’estate 1998

12.07.2024
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«Marco mi diede gli occhiali, poi la bandana… e lo fece ai piedi della salita. Pensai: “Mamma mia questo vuol partire subito”. E io ero già a tutta». Roberto Conti ci porta subito dentro questa intervista che di fatto è un racconto. Domenica prossima il Tour de France torna ad affrontare la scalata di Plateau de Beille. Una salita che per noi italiani evoca un ricordo molto dolce: la vittoria di Marco Pantani nel 1998. Da qui la planata verso la mitica doppietta che oggi sta cercando di fare Tadej Pogacar.

Quel giorno ci fu l’inversione di rotta della Grande Boucle dominata fin lì da Jan Ullrich. Il gigante tedesco si presentò all’inizio dei Pirenei con 5’04” di vantaggio sul Pirata. Il quale era persino contento! Un’impresa folle lo attendeva. Un’impresa che però forse solo Marco pensava potesse tramutarsi in realtà.

Nella prima tappa di “mezzi Pirenei”, cioè con qualche salita nel finale, ma ideale per le fughe, Pantani scattò sul finire dell’ultima scalata e guadagnò una ventina di secondi sul tedesco. Il giorno dopo ci fu appunto la Luchon – Plateau de Beille. E con essa la foratura di Ullrich proprio all’imbocco della salita che quasi mandò i piani all’aria. Lo scatto del Pirata ma senza fare il vuoto all’inizio. E infine le sue braccia al cielo.

Qualche anno dopo, sempre insieme Roberto Conti (a sinistra) con Pantani e Fontanelli…
Qualche anno dopo, sempre insieme Roberto Conti (a sinistra) con Pantani
Roberto, cosa ricordi di quel giorno, di quella mattina al via?

Ricordo che alla partenza un compagno di Ullrich, Udo Bolts, venne da me e mi chiese: “Robi, ma siete qui per le tappe o per vincere il Tour?”. Io gli risposi per le tappe aggiungendo anche che quel giorno avremmo vinto. E lui ancora: “E allora perché ieri avete attaccato se c’era la fuga fuori?”. Io rimasi un po’ così e lui: “Robi non fregarmi!”. Ma in quel momento era la verità. Puntavamo alle tappe. Mentre Marco era veramente convinto di vincere quel Tour.

E voi?

Proprio vincere no, ma salire sul podio sì. Tra l’altro era qualcosa che già aveva fatto. In quel Tour, ma si potrebbe dire in quegli anni, c’erano delle crono lunghe e sappiamo come andava Ullirch contro il tempo. Oggettivamente sarebbe stato difficile. Quasi impossibile.

Come andò quella mattina? Cosa vi diceste nella riunione?

Fu tutto molto regolare. Se fosse andata via la fuga l’avremmo dovuta tenere vicino il più possibile. Al Tour se vanno via fughe che prendono 10′ poi si fa fatica a chiudere, anche se ti chiami Pogacar o Pantani. E così facemmo: tenemmo la fuga sempre a tiro e poi Marco fece il resto verso Plateau de Beille, la salita finale.

L’arrivo del Pirata. Riprese l’ultimo fuggitivo (Roland Meier) ai -7 km. Da lì, una cavalcata solitaria. Ullirch arrivò a 1’40”
L’arrivo del Pirata. Riprese l’ultimo fuggitivo (Roland Meier) ai -7 km. Da lì, una cavalcata solitaria. Ullirch arrivò a 1’40”
Come approcciaste la salita? Chi tirò?

Adesso non ricordo proprio bene tutto, sono passati tanti anni… purtroppo, ma ricordo che quel giorno tirai poco. Non ne avevo! Ricordo bene però che pochi metri dopo l’inizio della salita Marco stava per partire e io lo fermai. Gli dissi: “No, no… Marco, aspetta”. E lui: “Ma perché non posso?”. Gli dissi che Ullrich aveva forato e che sarebbe stato meglio aspettare. Poi sarebbe sorta una guerra di antipatie, di giochi, di polemiche. Tra l’altro sarebbe potuto succedere a lui la stessa cosa. “Quando rientra attacchi”, gli dissi.

E Marco?

Non disse niente. Si mise lì buono… E poi dopo il rientro di Ullrich, partì. Mancavano ben più di dieci chilometri.

Tu e i tuoi compagni cosa sapevate durante la scalata di quello che stava combinando Marco?

Sapevo che stava guadagnando sulla fuga e su Ullrich. Ed eravamo felici per la vittoria di tappa che stava per arrivare. Ma quel che ci stupì non fu tanto la scalata, quanto quello che ci disse Marco la sera in hotel: “Ragazzi, siamo qui per vincere il Tour”. Noi gli dicemmo in coro: “Magari”. Il Tour è il Tour e come detto c’era ancora una crono lunga e lui aveva pur sempre 3’01” di ritardo da Ullrich.

Lo vedesti subito dopo l’arrivo?

No, no… in hotel. Marco tra premiazioni e interviste arrivò parecchio dopo. In quei casi si andava nella camera del suo massaggiatore. Gli si facevano i complimenti e a cena scattavano i racconti. Dopo cena telefonata a casa e poi di nuovo nel giardino o nella hall a parlare della corsa, dei progetti, delle cose che non avevano funzionato o semplicemente a scherzare. E anche quella volta andò così.

La salita di Plateau de Beille misura 16 km per una pendenza media del 7,8% e una massima del 10%. Dislivello di 1.235 m
La salita di Plateau de Beille misura 16 km per una pendenza media del 7,8% e una massima del 10%. Dislivello di 1.235 m
I corridori scaleranno Plateau de Beille dopodomani: che salita troveranno?

Una tipica salita pirenaica. Ricordo che andava su con dei lunghi e ampi drittoni con qualche tornante di tanto in tanto. Era una salita che non lasciava molto respiro, sempre attorno all’8-9 per cento con qualche rampa un po’ più dura ogni tanto. E poi ricordo che non finiva mai!

Prima abbiamo parlato del vostro approccio della salita e invece Pantani come si comportò?

In corsa non parlava tanto. Era piuttosto taciturno. E fu così anche quel giorno. Gli portavi da bere, da mangiare e lui se ne stava lì. Quando stava bene era così: taciturno, era concentrato. Pensate che quando forò Ullirch noi, anche lui, eravamo tutti in fila indiana e Marco non se ne accorse tanto era sulle sue.

Roberto, dopo l’impresa di Plateau de Beille lui vi disse che voleva vincere il Tour, ma voi avevate la sensazione che il Tour avesse davvero preso un’altra piega?

Come detto, per vincere no. In classifica Marco era dietro… Ma sapendo dei suoi attacchi, dei suoi attacchi da lontano dentro di me pensavo: “Vuoi vedere che questo qui tira fuori il coniglio dal cilindro?”.

EDITORIALE / La grandezza del Tour, Pantani e le piccole cose

01.07.2024
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PIACENZA – La terza tappa del Tour è partita da poco. Anche se non è tempo di fare bilanci della presenza della corsa in Italia, qualcosa si può cominciare a dire. C’è voluto il Tour per ricordarci di Gino Bartali, Gastone Nencini e Marco Pantani. E oggi che la Grande Boucle ricorderà Coppi, dovremo dirgli nuovamente grazie. A volte in questi casi torna in mente quel solito fare battute (tutto italiano e pessimista) secondo cui le cose andrebbero diversamente in questo Paese se a governarlo fossero degli stranieri. E al netto dei problemi logistici, in qualche caso propiziati proprio dall’incapacità italiana di stare nelle regole, si è visto che la capacità dei francesi di valorizzare quello che propongono è davvero magistrale.

Il pubblico di San Luca è stato oceanico: il Tour ha fatto suo per un giorno un simbolo del nostro ciclismo
Il pubblico di San Luca è stato oceanico: il Tour ha fatto suo per un giorno un simbolo del nostro ciclismo

La bravura di Prudhomme

Il Tour sta alle altre corse come una squadra WorldTour sta a una grande professional. Si può fare e in effetti si fa un buon lavoro in entrambi i casi, ma è innegabile che avere soldi da spendere e spenderli per far crescere il prodotto scavi un solco piuttosto profondo rispetto a chi eventualmente pensasse più ad accumularli che a reinvestirli.

Il Tour sa raccontarsi. Propone i suoi eroi e le loro storie. Li rappresenta e li porta sulle strade in cui passerà la corsa, per prepararle il terreno. La presenza di Prudhomme in giro per l’Italia da mesi dà la misura di quanto ci tengano a conoscere e a farti sentire importante. Ti accolgono, dal Villaggio alla sala stampa. Sorridono. Sono affabili e insieme inflessibili. E ti dimostrano di fare le cose con un senso. Volete un esempio? Eccolo.

Ieri mattina al Villaggio di Cesenatico, il fotografo Stefano Sirotti ha ricevuto un premio per la presenza della sua agenzia al Tour. Al momento di consegnarglielo, Prudhomme gli ha spiattellato in faccia un indovinello.

«Ti ricordi – gli ha chiesto – in che giorno ti consegnammo il premio per i vent’anni?».

«Era il Tour del 2015», ha risposto Sirotti.

«Ma era anche il giorno dopo la prima vittoria di Bardet a Saint Jeanne de Maurienne – gli ha risposto Prudhomme – e oggi è il giorno dopo un’altra vittoria di Romain».

Se anziché limitarsi alla stretta di mano, il direttore generale del Tour de France ha avuto l’attenzione di raccogliere o farsi raccogliere simili informazioni, vuol dire che ha a cuore le persone cui si rivolge. E questo fa la differenza.

Durante la consegna del premio, Prudhomme ha spiazzato Sirotti con il suo aneddoto
Durante la consegna del premio, Prudhomme ha spiazzato Sirotti con il suo aneddoto

I soldi e la memoria

Eppure, da vecchi pantaniani ormai anestetizzati dalle troppe cerimonie, non riusciamo a trovare il bello di aver ricordato Marco ieri a Cesenatico. Intendiamoci, il “Panta” lo merita ogni santo giorno che Dio ci darà da vivere. Ma perché farlo solo oggi e solo perché tre regioni italiane hanno messo i loro milioni sul piatto? Va bene, l’hanno raccontata e vestita alla grande, ma perché non lo hanno fatto prima?

Ieri nelle cronache televisive si è sentito un discreto arrampicarsi sugli specchi quando Tonina Pantani ha detto (diretta come al solito) che Marco non è stato trattato bene.

Si è voluto far notare che oggi la dirigenza del Tour sia un’altra, che non c’è più il vecchio Leblanc che a un certo punto dopo il 2000 decise di non invitare più Marco alla corsa francese che aveva vinto. Niente di strano: gli preferì la solidità (anche finanziaria) di Armstrong e dei suoi sponsor, nel cui nome fu persino coperta una positività al doping del texano.

E allora perché, se la mano che guida è un’altra, nel momento in cui Armstrong è stato visto nella giusta luce, nessuno ha sentito la necessità di rivolgere un pensiero a Marco Pantani da Cesenatico, rileggendo la storia prima che qualcuno pagasse per farlo? Le occasioni non sarebbero mancate.

La memoria di Pantani resiste alle offese e alle dimenticanze dello sport
La memoria di Pantani resiste alle offese e alle dimenticanze dello sport

Sono gli affari, lo sappiamo. E il Tour sa condurli meglio degli altri, al punto che è ormai cosa fatta anche la partenza della Vuelta 2025 – corsa di proprietà del Tour – dal Piemonte. Perciò ci prendiamo il bello dell’Italia che i francesi stanno mostrando con tanta maestria. Restiamo ammirati dalla dedizione, la gentilezza e la preparazione di Prudhomme e i suoi uomini. Ma non ce la sentiamo di abbracciarli oltre un certo limite. Non lo stanno facendo solo per noi. Se i soldi nel piatto li avesse messi la Spagna, avrebbero parlato (e anche giustamente) con identica competenza e passione di Fuente, Ocaña, Bahamontes e del povero Java Jimenez.

Pogacar re di Oropa, sotto gli occhi del Pirata

05.05.2024
6 min
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OROPA – Marco c’era. C’è stato anche un grande Pogacar, sia chiaro, ma quando hai vissuto certe storie, quelle emozioni diventano la lente attraverso cui leggi le altre. E Marco da Oropa non se ne è mai andato, solo che oggi, a 25 anni da quella volta, la sensazione è che ci fosse più gente e che nessuno di loro voglia ancora dimenticarlo.

Detto questo, Tadej Pogacar ha fatto quello che tutti si aspettavano facesse: lui per primo. Voleva vincere anche ieri e lo vedi che gli scoccia ammettere di aver commesso qualche errore. L’idea forse era davvero portarsi a casa un Giro rosa dalla prima all’ultima tappa, ma di certo la svista di Torino ha dato allo sloveno la cattiveria giusta per non commettere la minima sbavatura. Anche quando è finito per terra a causa di un cambio bici mal orchestrato.

«Ho preso una buca in quel tratto sulle pietre – spiega – non era certo una buona strada. Stavo arrivando la curva e io avevo pensato di fermarmi prima. Invece dalla macchina mi hanno detto di farlo dopo la curva. Normalmente sarebbe stato meglio, ma stavo già pedalando sulla ruota anteriore con zero pressione, ero sul carbonio. Così sono arrivato alla curva e sono caduto. Ma niente di pazzesco, solo un po’ più di adrenalina. Ero abbastanza fiducioso. C’era tutto il tempo per rientrare con la squadra e lo abbiamo fatto. I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. Siamo tornati davanti, abbiamo impostato il ritmo che ci stava meglio ed è stato perfetto».

Attacco ai meno 4,3

Marco c’era, anche in quella curva con il muraglione e gli archi da cui la bandiera gigantesca calava sulla terra come un mantello incantato. E poco prima di quel punto, in un tratto dove la strada era più severa, approfittando dell’ultima tirata di Majka, Pogacar ha aperto il gas e ha preso il largo. I tifosi del Pirata lo hanno incoraggiato e lui è sparito dietro la curva con cui il cammino di Oropa si infila nel bosco. Luogo mistico questo Santuario, meta di pellegrinaggi a piedi e ora anche in bicicletta. Un luogo davvero magico.

«Già ieri – spiega Pogacar – il piano era vincere, però nell’ultima parte c’è mancato qualcosa. Oggi per noi era una tappa più adatta e la squadra è stata fantastica. Sono davvero felice di aver vinto, significa molto, come qualsiasi altra vittoria di tappa in cui prendi la maglia di leader. Durante la salita, l’atmosfera era incredibile, quindi è stato davvero un piacere percorrere gli ultimi due chilometri da solo. Il supporto dei fan è stato incredibile».

La curva Pantani ha accolto e incitato Pogacar all’attacco
La curva Pantani ha accolto e incitato Pogacar all’attacco

Attacco programmato

Sull’arrivo, sorridendo, Majka diceva di aver pagato un po’ i 20 chilometri di ieri a tirare su un tratto di strada a lui poco adatto, quindi che questa volta ha potuto fare meno del solito. Però era contento. Si è infilato il fischietto al collo ed è sceso verso Biella, dove a 14 chilometri dall’arrivo hanno fermato i pullman. Anche il quartier tappa è giù a valle e forse per questo attorno allo sloveno siamo stranamente in pochi.

«Non dite che ho fatto la salita senza spendere – va avanti a raccontare – posso confermare che ero abbastanza al massimo. Semplicemente ho tenuto il mio ritmo e quando Rafal ha iniziato a prepararsi per l’attacco, ero già abbastanza al limite. C’era un piano, l’ho detto, ma nel ciclismo non puoi dire che quello fosse il punto prestabilito, non è matematica. Bisogna sempre improvvisare e avere feeling. Con Majka passo molto tempo in allenamento e in corsa, ci conosciamo. Sa come fare.

«E io sapevo che dovevo attaccare con violenza per creare il gap sugli avversari e poi continuare con un ritmo normale verso la vetta. E’ stato un grande sforzo oggi. Vincere era uno dei sogni, il mio obiettivo. Ora ho anche la maglia rosa, che è il mio sogno da tanto tempo. E sono super orgoglioso e super felice. Non molti corridori hanno raggiunto questo obiettivo nella loro carriera, sono contento».

Nulla da festeggiare

Pantani quel Giro non lo finì, lo fermarono prima. E in gruppo nei giorni che portarono a quel momento, erano tutti pronti a lamentarsi per il suo dominio schiacciante. A quel tempo chi vinceva troppo era antipatico, fortunatamente i tempi cambiano. Marco quella sera qui ad Oropa era scuro in viso, stranamente nervoso, Pogacar invece sorride, pur consapevole di avere davanti 19 tappe.

«Se anche perdessi la maglia rosa per qualche giorno – dice – non ne farei un dramma. Quando vinci una classica, penso alla Strade Bianche o la Liegi, sai che dopo l’arrivo è tutto finito. Qui invece siamo ancora agli inizi. Sto ancora pensando alle prossime 19 tappe, non è finito niente e il grande obiettivo è vincere il Giro. Non possiamo andare a festeggiare adesso, liberarci e andare fuori di testa. Domani ci sarà un’altra gara, quindi è ancora tempo di fare sul serio».

Il dubbio delle crono

L’approccio è quello giusto, anche se come diceva scherzando Majka qualche giorno fa, la cosa più difficile è tenerlo a bada quando fiuta un traguardo.

«Penso che la tappa di Rapolano con gli sterrati – dice analizzando la settimana che inizia – più che un momento in cui fare la differenza, dovrebbe essere una tappa in cui non perdere tempo. Il giorno dopo ci sarà la prima cronometro e lì davvero vedremo quali sono i valori in campo. Geraint Thomas è uno specialista e sarà interessante vedere come si muoverà. Nella mia carriera non ho fatto cronometro così lunghe, di solito nei grandi Giri ne facciamo un paio, ma più corte (la crono di Perugia è lunga 40,6 chilometri, quella di Desenzano ne misura 31,2, ndr). Quindi troverò altri avversari con cui confrontarmi. Ma preferisco concentrarmi su me stesso, provando a ottenere il masssimo giorno per giorno. Quella di Perugia sarà una bella crono. Ho fatto la recon e non vedo l’ora che arrivi quel giorno. Tutto qui. Cosa dite se vado a riposarmi un po’? Per oggi ho già fatto abbastanza interviste…».

Il Giro torna a Oropa: 10 anni fa Battaglin, ultimo italiano

03.04.2024
5 min
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Nel 2014, alla sua quarta stagione da pro’, Enrico Battaglin conquistò la vittoria nella 14ª tappa del Giro d’Italia. Dove? Nel magnifico scenario di Oropa. Un luogo magico per il ciclismo, che fa tornare alla mente ricordi come quello del salto di catena di Marco Pantani poi rintuzzato con la classe che solo il romagnolo aveva. Quest’anno alla seconda tappa della corsa rosa si arriverà ancora una volta lassù ed Enrico Battaglin è stato l’ultimo italiano a vincerci. 

Prima di riavvolgere il nastro, Enrico dicci cosa fai oggi?

Ho provato a cercare squadra a fine 2022 e non sono riuscito a trovare un contratto. A gennaio 2023 ho iniziato a lavorare in una ditta vicino a casa mia perché ne avevo bisogno. Faccio un lavoro normale che non c’entra con l’ambito ciclistico. 

Battaglin a fine 2022 ha appeso la bici al chiodo
Battaglin a fine 2022 ha appeso la bici al chiodo
E’ una decisione maturata da una necessità o c’è altro? 

Era un momento particolare, perché durante il 2022 avevo un accordo non scritto, però comunque a settembre non avevo ancora firmato. Dovevo fare un buon finale di stagione e alla fine non si è concretizzato il rinnovo. Era difficile trovare squadra in quel momento, mi sarebbe piaciuto terminare nel 2024. Volevo correre ancora e me lo sentivo di essere in grado di fare altri due anni. Guardando le corse di oggi, vedo che il livello è sempre più alto quindi diciamo che sarebbe stata sempre più difficile. Però comunque avrei potuto finire un po’ più dignitosamente. Invece ho finito un po’ in modo malinconico e mi resta ancora l’amaro in bocca.

Non hai avuto tu l’ultima parola sul tuo ritiro…

E’ un mondo un po’ difficile. Nel momento della gloria sei su, poi nel momento delle difficoltà non c’è nessuno che ti vuole dare la mano.

Come è cambiata la tua vita?

Lavoro dal lunedì al venerdì, 9-18. E’ tutta un’altra vita, però riesco anche un po’a godermi mio figlio. Dopo una vita di sacrifici sicuramente una vita normale è più facile, più difficile per altri aspetti, ma più agevole per molti altri. 

Hai valutato l’idea di rimanere nell’ambito del ciclismo oppure è una cosa che hai messo da parte?

Mi piacerebbe rientrare nei prossimi anni. Ho fatto il primo livello e vorrei fare il secondo e terzo da allenatore. Però non ci sono tanti corsi adesso in Italia. La voglia è magari di iniziare i prossimi anni in una categoria di giovani che può essere allievi o juniores e poi magari chissà anche qualcosa in più, però non nell’immediato. 

Tre vittorie per Battaglin al Giro, questa è la prima (2013) a Serra S. Bruno davanti a Felline e Visconti
Tre vittorie per Battaglin al Giro, questa è la prima (2013) a Serra S. Bruno davanti a Felline e Visconti
Il ciclismo lo segui?

Sì, abbastanza. I momenti più salienti, perché a volte mi sembra un po’ noioso. Anche se adesso comunque le corse esplodono molto prima, quindi su certe gare è meglio collegarsi per tempo e vedere qualcosa di speciale. 

Allora saprai che quest’anno la seconda tappa del Giro d’Italia arriva proprio in cima ad Oropa dove tu vincesti 10 anni fa e ad oggi sei l’ultimo italiano ad averlo fatto. Cosa ricordi di quel giorno?

Ero in fuga e ho avuto la possibilità di affrontare la salita in un modo completamente diverso da quella che affronterà il gruppo quest’anno essendo il secondo giorno. Mi ricordo che era stata una giornata un po’ particolare, perché il giorno prima aveva vinto il mio compagno Marco Canola quindi in squadra c’era molto entusiasmo. Siamo andati in fuga e alla fine è venuta fuori una vittoria anche se era un percorso non proprio adatto a me. Mi sono gestito bene in salita, perché alla fine mi ero staccato però poi sono rientrato e nel finale e sono riuscito a fare il mio sprint.

Che tipo di salita è?

Non è sicuramente la salita più dura che ho fatto in vita mia, ma è dura. Con il livello di adesso sicuramente anche se è il secondo giorno farà già molti danni.

Hai notato qualcosa di diverso nel vincere ad Oropa?

Era sicuramente scenografica perché arrivare in cima con il santuario sullo sfondo è molto bello. Questa salita si lega molto al nome di Pantani per quello che ha fatto.

A Oropa 15 anni prima di Battaglin, la straordinaria rimonta che infiammò il Giro 1999
A Oropa 15 anni prima di Battaglin, la straordinaria rimonta che infiammò il Giro 1999
Venendo a quello che sarà, secondo te Pogacar potrà indossare già lì la sua prima maglia rosa?

Dov’è che non può non prendere la maglia rosa… Secondo me con quello che riesce a fare, non avrà problemi. Ho visto che ha vinto nettamente in Catalogna, è già in una forma mostruosa, lo abbiamo visto alla Strade Bianche. Quindi presumo che secondo me proveranno già a prenderla quel giorno. La prima parte è abbastanza tranquilla quindi sicuramente proveranno a controllarla poi magari se prenderà la maglia nei giorni successivi la lascerà. 

Per il parallelismo che c’è tra Tadej e Pantani, secondo te non si lascerà scappare l’occasione?

Sì, assolutamente. Anche se secondo me non si devono fare paragoni. Pogacar è un corridore completamente diverso. Un corridore che vince il Fiandre non può essere paragonato a Pantani. E’ più un corridore che può essere paragonato ai Coppi e Bartali che facevano i capitani dalla Sanremo alla Roubaix ai Grandi Giri. C’era un capitano che vinceva in tutte le gare a cui partecipavano e adesso lui è così.

Come ci hai detto il ciclismo nonostante hai appeso la bici al chiodo lo segui ancora. Pensi che andrai a vedere dal vivo i tuoi ex colleghi?

C’è una tappa che arriva vicino a casa mia a Bassano del Grappa, ma non lo so…Ci rifletto e vedrò. 

EDITORIALE / Vent’anni senza Pantani e la lezione dimenticata

05.02.2024
5 min
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Fra dieci giorni, sarà un mercoledì, ricorreranno vent’anni dalla morte di Pantani. Il tempo vola, ma dalla fine di Marco i giorni sono stati lenti e feroci come l’aratro che spacca le zolle e lascia dietro solchi profondi. Chi l’ha conosciuto ci fa i conti ogni giorno, altri ci salgono sopra all’occorrenza.

Pogacar e Pantani

Sembra che se ne vergognino. Quando senti che Pogacar non sa troppo bene chi fosse, da una parte ti viene di dargli ragione: non è italiano ed è nato due mesi dopo il trionfo di Pantani a Parigi. Se però sei il numero uno al mondo e ti accingi a tentare la doppia impresa che per l’ultima volta riuscì all’italiano di cui ignori la storia, allora forse qualcuno della tua squadra te la potrebbe raccontare. Non sarebbe un danno, anzi. E coglieresti tutti alla sprovvista dimostrando di averne studiato il calendario e le tattiche.

Vent’anni fa a Cesenatico i funerali di Marco Pantani : un pugno nello stomaco e un dolore che non passa
Vent’anni fa a Cesenatico i funerali di Marco Pantani : un pugno nello stomaco e un dolore che non passa

Invece in questo tenerlo volutamente ai margini, c’è qualcosa di anomalo, quasi che il passato in cui sono stati coinvolti tutti o quasi i dirigenti delle attuali squadre WorldTour sia un imbarazzo che è meglio non rievocare. Freud disse che i figli per diventare grandi devono uccidere (metaforicamente) i padri, questo però il ciclismo non l’ha fatto. Ha preferito dimenticare o tentare di farlo, mantenendo i padri al loro posto e lasciando che i figli facessero i conti con il loro passato.

Percentuali da leggere

La storia di Pantani potrebbe offrirci tanti spunti. Il suo sacrificio avvenne quando era così in alto, che la caduta fu terrificante. Ma chi c’era e lo conobbe quando era ancora Marco, ricorda le sue perplessità su un ambiente che, ieri come oggi, guardava all’atleta e non all’uomo. In quegli anni le criticità erano di un tipo, oggi sono diverse ma non per questo meno urgenti. Ieri la selezione fra i giovani si faceva con la predisposizione al compromesso, oggi si basa sulla loro resistenza nervosa.

Il mondiale juniores è ormai una vetrina per gli acquisti, oggetto di attenzione di team e agenti
Il mondiale juniores è ormai una vetrina per gli acquisti, oggetto di attenzione di team e agenti

Li allevano perché siano potenti e scaltri. Li selezionano in base ai watt del motore. Fanno leva sull’esuberanza e la superficialità dei 18 anni. Li prelevano dalla culla e li inseriscono nella catena di montaggio. Li trasferiscono in case in affitto, cercando la convenienza fiscale. E se alla fine alcuni riescono, la loro sagoma sarà abbastanza grande da fare ombra a quelli che nel frattempo non ce l’hanno fatta e sono tornati indietro sconfitti e svuotati. Quando saranno passati abbastanza anni da poter elaborare una statistica, capiremo a cosa abbia portato questa rincorsa ai giovani migliori.

Il peso delle attese

Chissà cosa pensano gli psicologi quando hanno a che fare con i ragazzini dell’ondata più recente. Quale preparazione hanno i direttori sportivi e gli allenatori di adolescenti che, a scapito di strutture fisiche già formate, hanno una maturità ancora in divenire? E in che modo vengono gestite le loro fragilità, che immancabilmente salteranno fuori di fronte all’insuccesso o al periodo difficile? Se ne parla o si nascondono sotto il tappeto?

Pellizzari potrebbe saltare nel WorldTour dal 2025, quando avrà tre anni da pro’ nelle gambe e ne avrà compiuti 21(photors.it)
Pellizzari potrebbe saltare nel WorldTour dal 2025, quando avrà tre anni da pro’ nelle gambe e ne avrà compiuti 21(photors.it)

La Gazzetta dello Sport ha scritto che Pellizzari sarebbe indirizzato verso la nuova Bora-Hansgrohe. Un cammino coerente, dopo tre anni nei professionisti, ma non è così per tutti. Ieri Viezzi ha vinto il mondiale di ciclocross: una disciplina ormai sotto la lente per la capacità di lanciare ottimi atleti. Quanta gente avrà addosso il friulano già durante questa seconda stagione da junior? Oppure c’è Federica Venturelli, chiamata a dare il massimo su strada, nel cross, all’Università e su pista, al punto che malgrado i 19 anni il suo nome circoli anche in proiezione olimpica. E’ davvero facile come sembra rendere conto a tutti gli impegni?

Felicità e stress

Rastelli ha smesso di correre, parlando di stress. Prima di lui lo aveva fatto Gabriele Benedetti e un anno fa è stata la volta di Mattia Petrucci, neoprofessionista, che parlò di felicità perduta. Si è fermato Raccani, promesso sposo alla Soudal-Quick Step e poi passato alla Eolo-Kometa. Altri, diventati professionisti troppo presto o non ancora pronti, sono stati respinti e sono tornati nelle continental. Si potrà obiettare che a fronte dei più deboli che mollano, ce ne sono tanti altri che resistono: gli esponenti di una razza selezionata. Può darsi che sia così, siamo tutti convinti che sia giusto?

Simone Raccani si è ritirato dopo appena otto mesi tra i professionisti
Simone Raccani si è ritirato dopo appena otto mesi tra i professionisti

Bandane e libri

Fra dieci giorni, sarà un mercoledì, ricorreranno vent’anni dalla morte di Pantani. Abbiamo scelto di parlarne ora per approfondire un tema e non finire nell’onda di quelli che per l’occasione tireranno fuori la bandana e la foto ricordo. Chi scrive sa bene chi fosse Marco. Nelle vetrine sono già spuntati scritti e copertine che lo vendono una volta di più. Ma quale parte del suo messaggio è stata colta, capita e messa a frutto? In che modo i corridori di quegli anni, oggi direttori sportivi, si oppongono al commercio dei ragazzini?

Alla fine, in attesa che Pogacar tenti la doppietta di Pantani e allontani ancora di più (qualora ci riesca) la memoria dell’italiano di Cesenatico, poco è davvero cambiato. Sono diverse le bici, sono cambiati calendari, preparazione e alimentazione. Si fanno ritiri in altura e si descrive ogni cosa attraverso numeri e parametri. Ma alla base ci sono sempre giovani uomini e giovani donne, ciascuno con la sua storia da raccontare, schiacciati dai budget faraonici degli squadroni. Queste strutture così potenti e corazzate sono avvitate sulla loro carne ancora tenera. Basta averlo ben presente e poi scegliere di andare avanti.

EDITORIALE / Pogacar al Giro, l’occasione per diventare grandi

01.01.2024
4 min
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Era una sera di fine anno anche quella volta nel 1993, quindi 30 anni fa, quando durante una cena fra amici, uno se ne venne fuori chiedendo se ci fosse qualcuno in grado di battere Indurain al Giro d’Italia. Miguel era venuto nelle ultime due edizioni e le aveva schiacciate, piegando Bugno, Chiappucci e Chioccioli dall’alto di una statura atletica superiore. Aveva già vinto anche tre Tour, chi volevi che potesse impensierirlo?

Il Giro d’Italia 2024 sarà quello del debutto per Tadej Pogacar
Il Giro d’Italia 2024 sarà quello del debutto per Tadej Pogacar

La previsione più facile

Eppure quella sera, per conoscenza o partigianeria, venne quasi naturale sbilanciarsi e assicurare che se non altro Pantani avrebbe potuto dargli del filo da torcere. Il 1993 per Marco era stato l’anno del debutto e neppure troppo fortunato, ma ricordando quel che gli avevamo visto fare nel 1992, la previsione ci parve persino naturale. Come ha detto Zanatta pochi giorni fa, quelli col talento vero inventano cose fuori dal comune facendole sembrare normali: Marco era esattamente così.

La storia insegna che al Giro d’Italia del 1994 Indurain si trovò tra i piedi Pantani e anche Berzin, che si portò a casa la maglia rosa grazie alla sua forza a cronometro. Tuttavia l’unico che in salita mise in croce il grande Indurain fu proprio il piccolo romagnolo della Carrera, che iniziò a scrivere allora la sua leggenda. Aveva tutto per sfondare, ma soprattutto ebbe la fortuna di trovarsi davanti un avversario grande, grosso e imbattibile e la forza per buttarlo giù, sia pure a vantaggio del russo in maglia Gewiss.

Il Giro del 1994 sembrava nuovamente preda di Indurain, ma due ragazzini (Pantani e Berzin) si misero di traverso…
Il Giro del 1994 sembrava nuovamente preda di Indurain, ma due ragazzini (Pantani e Berzin) si misero di traverso…

Il coraggio di provare

L’altra sera, ricordando quella cena fra amici, abbiamo immaginato che l’arrivo di Pogacar al Giro d’Italia sia l’occasione perfetta perché un italiano (giovane) più promettente di altri provi a misurare il suo coraggio. Non a battere Tadej, sarebbe chiedere troppo, ma almeno a progettare di farlo. Perciò ci siamo chiesti se ci sia sulle nostre strade qualcuno che abbia dimostrato quel tipo di irriverenza. Già, chi c’è?

Non si tratta di estrarre a sorte, ma di capire quale dei ragazzi tanto attesi avrà gli attributi per provarci anche a costo di saltare. Anche a costo di disubbidire agli ordini. Fu proprio l’irriverenza a fare di Pantani, portato al Giro come spalla di Chiappucci, un eroe al cospetto del gigante spagnolo.

E allora i nomi venuti fuori da questa sorta di toto-Giro sono quelli di Tiberi e Aleotti. Piccolo, se avrà ritrovato la strada a volte smarrita. Ciccone, che non fa mistero di volerci provare. Oppure Piganzoli, Pellizzari e Garofoli, giovanissimi che hanno alle spalle ottimi risultati internazionali. Ci siamo concentrati soltanto su loro che sono giovani, altrimenti al mazzo delle carte migliori si potrebbero aggiungere Caruso e magari anche Formolo e Cattaneo, ma ci saranno?

La grande forza a cronometro di Tiberi è una buona base su cui lavorare
La grande forza a cronometro di Tiberi è una buona base su cui lavorare

Davide contro Golia

La venuta di Pogacar al Giro è la migliore notizia che il ciclismo italiano potesse ricevere. Uno così, dando per scontato che potrebbe vincere la corsa senza neppure troppi patemi, sembra fatto apposta per nobilitare il coraggio degli sfidanti. E allora da oggi in poi, ci piacerebbe immaginare che nelle loro teste sia scattata la molla. Pogacar è imbattibile, va bene. Ma siamo sicuri che non si possa mettergli i bastoni fra le ruote?

E’ la storia di Pantani, ma anche quella di Chiappucci che al Tour trovò il modo di far tremare il grande Greg Lemond. E’ la narrazione biblica della sfida fra Davide e Golia, un pensiero positivo da coltivare, prima di accettare la resa. Non vogliamo più vedere giovani corridori italiani arresi. Speriamo tanto che questo 2024, come già accadde 30 anni fa, sia l’inizio di una nuova epoca. E con questo auspicio, dettato forse da ingenuità e speranza, auguriamo di cuore buon anno a tutti.