Lo Stelvio compie 200 anni. La montagna resa famosa per la prima volta nel 1953 da Fausto Coppi (foto di apertura Publifoto/LaPresse) sarà al centro di un calendario di iniziative dalle quali si coglie immediatamente la sua importanza. Se infatti la strada fu scavata a tempo di record per la sua utilità commerciale, oggi il passo più alto d’Italia è un polo sportivo e turistico di primissimo piano fra la Valtellina, l’Alto Adige e l’Engadina, in Svizzera.
Tutto fatto in 63 mesi
All’inizio dell’Ottocento il collegamento fra la Val Venosta e la Valtellina, fra l’Austria e Milano, era assicurato da un sentiero, che non poteva più bastare. Il progetto per una strada larga tre metri fu commissionato nel 1812, ma con le Guerre Napoleoniche che infuriavano, non si trovarono tempo né risorse. Fu Federico II d’Asburgo a riprenderlo in mano nel 1818, affidando l’incarico a Carlo Donegani, l’ingegnere di Sondrio che aveva già progettato lo Spluga. I lavori furono terminati in 63 mesi. La strada venne inaugurata infatti nel 1825. Fu così che nacque il Passo dello Stelvio, a 2.758 metri sul livello del mare, lunghezza complessiva di 46,5 chilometri, 88 tornanti e 7 gallerie.
La strada fu teatro degli scontri tra italiani e austriaci nella Prima Guerra Mondiale, mentre la prima volta che lo Stelvio comparve nel Giro d’Italia fu, come si diceva, nel 1953. Coppi se ne servì come trampolino per ribaltare la classifica generale e strappare la maglia rosa dalle spalle dello svizzero Koblet.
Il Giro per 13 volte
Il Giro d’Italia dei professionisti ha affrontato lo Stelvio per 13 volte: 8 dal versante valtellinese, 5 da quello altoatesino. Il valico è stato per quattro volte arrivo di tappa, con vittorie di Battistini, Fuente, Galdos e per ultimo De Gendt nel 2012. La vittoria di Galdos fu particolare perché quell’anno, nel 1975, il Giro d’Italia si concluse proprio lassù. Lo spagnolo fece di tutto per staccare Bertoglio, ma non ci riuscì. A lui andò la tappa, il bresciano si portò a casa la maglia rosa che quest’anno festeggia i suoi 50 anni.
«Quel giorno rimarrà indelebile – ci raccontò quando nel 2005 andammo a trovarlo per i 30 anni dalla vittoria – me ne rendo conto sempre di più. Sono nella storia e ci rimarrò per sempre. Non tutti erano convinti che ce l’avrei fatta a difendermi da Galdos, ma io ci credevo. E ho anche il rammarico di non aver fatto la volata per vincere. Avevo la gamba giusta, ma ho voluto rispettarlo lasciandogli il successo».
Coppi, Vona e Pantani
Proprio in onore di Fausto Coppi che lo tenne a battesimo, il passo è la Cima Coppi del Giro ogni volta che vi viene inserito: essendo un titolo che spetta alla cima più alta della corsa, non potrebbe essere altrimenti dato che in Italia non si trovano valichi più alti. Lo Stelvio è stato a lungo anche il passo più alto d’Europa, finché i francesi non fecero un giochino. Si inventarono un anello stradale attorno alla piramide rocciosa de La Bonette che da 2.715 passò a 2.802 strappando allo Stelvio il suo primato. Fra gli atleti che hanno conquistato la Cima Coppi, ricordiamo Gaul, Bernaudeau, Cataldo, Nibali e nel 1994 anche il ciociaro Franco Vona.
«Io non sono che un piccolo granello al confronto dello Stelvio – dichiarò Vona – e per me fu una gioia immensa, quasi come vincere una tappa. Il ciclismo è legato a episodi romantici come quel mio passaggio, tanto che mi capita più spesso di essere ricordato per quel passaggio che per le due tappe che avevo vinto a Corvara e prima ancora a Innsbruck (rispettivamente nei Giri del 1992 e del 1988, ndr). Quel giorno fu indimenticabile, anche per l’esplosione di Pantani. Mi riprese sul Mortirolo e quando mi passò pensai che fosse davvero forte. Io ero sfinito, lui sembrava fosse appena partito. Avevo fatto tante fughe nella mia carriera, ma nessuno mi aveva mai ripreso e staccato a quel modo».
Il 5 giugno del 1994, lo Stelvio diede l’ispirazione al giovanissimo Marco Pantani, che infatti planò su Bormio e iniziò la fantastica cavalcata sul Mortirolo e il Santa Cristina.
Il dramma di Basso
Al ricordo esaltante e pieno di malinconia di quel 1994, corrisponde quello di Ivan Basso che nel 2005 sullo Stelvio avrebbe potuto costruire la prima vittoria al Giro, invece ne fu respinto. Lui che in Valtellina aveva trascorso tutte le estati nella casa di origine di sua madre.
«Uno dei miei primi ricordi da ciclista – racconta infatti Basso – è la scalata dello Stelvio con mio padre quando avevo otto anni. Era una giornata luminosa e pedalavo sulla mia Moser blu e argento. Lo Stelvio è duro per qualsiasi ciclista, ma per un bambino è un’impresa speciale, mi sentivo come se stessi scalando la montagna più alta del mondo. Mi ha sempre ispirato grande rispetto. Su una salita così c’è una sola regola: non andare mai fuori giri, soprattutto in gara. Negli ultimi 5 chilometri sei oltre 2.000 metri e c’è così poco ossigeno che ti manca il fiato.
«Salire può essere un’esperienza intensa ed emozionante. Ho scalato lo Stelvio lottando per la maglia rosa, ma stavo male e persi 42 minuti, vidi svanire il Giro. Ogni pedalata contro quella pendenza feroce fu una vera tortura».
Il Giro del 2025
Lo Stelvio è da sempre il metro di paragone per ciclisti da tutto il mondo. Nel surreale e splendido Giro del 2020, corso a ottobre per il Covid, per primo sulla cima transitò l’australiano Dennis, nella tappa che si sarebbe poi conclusa ai lagni di Cancano. Si sarebbe dovuti salire lassù anche nel 2024, ma la famosa nevicata che bloccò la carovana a Livigno sconsigliò l’idea.
Ai piedi di quella strada che nell’estate compirà 200 anni, il Giro farà tappa anche quest’anno. La corsa non andrà lassù: il rischio neve resta un deterrente troppo grande. Si arriverà a Bormio, con la 17ª tappa che scalerà il Tonale e il Mortirolo. Lo Stelvio ci guarderà dall’alto. E quella sera, cenando nella sua vasta ombra, brinderemo a lui con un calice di buon rosso valtellinese, prima di ripartire l’indomani da Morbegno alla volta di Cesano Maderno.