Meccanici on the road, in viaggio con Adobati e Campanella

04.12.2024
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Stanotte, spiega Adobati, hanno dormito a Reims e scherzando si sono detti che avrebbero fatto l’aperitivo con lo champagne. Stamattina intorno alle 8, i quattro camion della Lidl-Trek hanno ripreso il viaggio verso la Spagna. Il primo ritiro è nel mirino, i corridori arriveranno domenica e per allora dovranno trovare tutto pronto. Stanze, bici, abbigliamento e tutto quello che serve per lanciare la nuova stagione. I meccanici sono partiti una settimana fa per il service course di Deinze, in Belgio. Calpe non è dietro l’angolo e bisogna essere certi di aver preso tutto.

Su uno dei camion viaggia Mauro Adobati, il capo dei meccanici del team americano, e al suo fianco c’è Giuseppe Campanella (i due sono insieme nella foto di apertura), il compagno di tante corse. E proprio con Adobati abbiamo voluto fare un punto per dare l’idea del gigantesco meccanismo che si sta mettendo in moto in questi giorni. Le strade spagnole saranno a breve prese d’assalto, camion come questi stanno solcando le autostrade di tutta Europa.

Mauro Adobati, bergamasco, è il capo dei meccanici della Lidl-Trek. Immagine del primo ritiro 2023
Mauro Adobati, bergamasco, è il capo dei meccanici della Lidl-Trek. Immagine del primo ritiro 2023
Siete in giro da una settimana, che cosa portate in Spagna?

Tutto quello che serve. Una bici da strada e una bici da crono per ciascuno. Qualcuno poi avrà anche qualche bici in più, ma parliamo dei più forti. Il bike fitting dei corridori nuovi è stato fatto in Italia dopo il Lombardia, nei due o tre giorni di ritiro prima di chiudere la stagione. In Spagna però ci saranno dei controlli. Il ritiro di dicembre è orientato alla preparazione, ma anche alla prova dei manubri, delle bici, delle ruote. Per i ragazzi che c’erano l’anno scorso, la bici e i materiali non sono cambiati. Però poi si va in pista, si prova, si cerca di affinare il dettaglio. Ogni anno ci sono cambiamenti, qualcuno prova le pedivelle più corte, qualcuno i manubri più stretti. E i primo ritiro è il più adatto, oltre a permetterci di fare le varie riunioni fra meccanici e tutto il personale per la preparazione della nuova stagione.

Questa tendenza di accorciare le pedivelle si sta davvero diffondendo così tanto?

In questo ambiente si tende a prendere ispirazione dagli altri – dice Adobati sornione – diciamo così. Lo fa qualcuno che va forte e gli altri ci provano. Lo scopo è cercare di migliorare anche l’uno per cento delle prestazioni, quindi le provi tutte. Poi c’è chi si trova bene e continua e chi invece non si trova e torna indietro. In effetti la vera resa di 2 millimetri in meno sulla pedivella è difficile da capire, ma non è solo un fatto di convinzione, ci sono anche degli studi.

La mappa del viaggio: eccola qua. Un viaggio di 1.852 chilometri, le 18 ore valgono per un’auto, non per 4 camion
La mappa del viaggio: eccola qua. Un viaggio di 1.852 chilometri, le 18 ore valgono per un’auto, non per 4 camion
Siete in viaggio con il materiale degli uomini e delle donne?

Ieri siamo usciti dal magazzino con quattro camion. Due da 12 metri della squadra WorldTour. Abbiamo diviso il materiale mettendo in uno tutte le bici, sia strada che crono, dei corridori da classiche. Nell’altro camion mettiamo quelle per i più scalatori. E poi ci dividiamo anche noi meccanici, in modo che il lavoro venga distribuito. Poi c’è un camion più piccolo per il devo team e uno per la squadra donne. E noi siamo stati in Belgio a preparare, perché le due squadre WorldTour hanno gli stessi materiali, per il devo team cambia qualcosa. Per cui siamo tutti insieme in carovana, passiamo due notti fuori, perché ci vogliono due giorni e mezzo. Si potrebbe fare anche in due, ma arriveremmo morti e non ne vale la pena.

In ritiro si parlerà anche di come comporre le squadre di meccanici alle corse?

Ogni corsa ha i suoi meccanici e sono ragionamenti che si fanno anche con i manager, perché ci sono colleghi che lavorano meglio insieme. Ma il fatto è che con il crescere della squadra, certi ragionamenti si riescono a fare sempre meno facilmente. Per fortuna abbiamo un bel gruppo che si integra bene, anche se è ovvio che ci siano delle preferenze. Si fa qualche eccezione se un corridore ha il suo meccanico personale e allora in base a quello si fa il calendario e poi si cerca comunque di ruotare. Chi fa il calendario si preoccupa di far girare anche i meccanici perché l’attività e le gare siano distribuite nel modo migliore.

Tornando ai camion e al loro carico, il primo ritiro è anche l’occasione di provare materiali mai usati prima?

Soprattutto i corridori nuovi oppure quelli che già c’erano, ma hanno usato poco le ruote da 60 e quella da 37, sicuramente dovranno provarle per capire in quali tappa e quali possono utilizzarle. Poi si farà anche il punto delle pressioni, perché con il tubeless è diventata fondamentale. Pirelli ci dà delle tabelle consigliate, più che da seguire. Di conseguenza il corridore le prova e poi nell’80 per cento dei casi è lui che dà la pressione che preferisce, in base anche alle condizioni dell’asfalto. Invece una piccola parte di corridori si affida al meccanico e ai nostri consigli.

I camion Lidl-Trek parcheggiati con gli sportelloni a contatto per impedire i furti
I camion Lidl-Trek parcheggiati con gli sportelloni a contatto per impedire i furti
Hai fatto un conto di quante bici ci sono sui camion?

No, però possiamo farlo velocemente. Abbiamo 30 corridori WorldTour con due bici ciascuno, quindi sono 60. Poi ci sono i 14 corridori del devo team, con due bici ciascuno e sono 28. Infine le donne che sono 15, quindi fanno 30 bici. Fate voi la somma? Sono 118 biciclette. Però qualcuno ha anche una bici di scorta in più che deve provare e in più abbiamo qualche bici per i VIP che arrivano dall’America come ospiti. Sono tante, davvero tante.

Di solito veniamo in ritiro e troviamo anche una bici non verniciata, un prototipo che magari qualcuno sta provando: la vedremo anche quest’anno?

A livello telaistico no. Ci sarà qualcosa di nuovo sicuramente da provare però il telaio è appena uscito, quindi non ci saranno prototipi.

E tutte quelle bici quante ruote hanno, oltre a quelle già montate?

Senza contare quelle e le ruote da crono, abbiamo una cinquantina di ruote da strada, tra alte, basse e medie.

Due meccanici per camion che poi lavoreranno per tutto il ritiro?

No, arriva qualcun altro. Noi abbiamo organizzato il carico e ci facciamo il viaggio, altri arriveranno domenica in aereo, ma restano per una settimana in più. Dato che la nuova Madone ci è arrivata a metà anno, non l’abbiamo cambiata a tutti, quindi non ne avevamo tante da montare. Anche i nuovi sono tutto sommato pochi, per cui il lavoro in Belgio non è stato eccessivo. Alla fine la somma dei giorni sarà più o meno la stessa, per non caricare uno piuttosto che un altro prima ancora di cominciare. Quest’anno mi sono fermato una quarantina di giorni, ma ogni anno sono sempre meno…

Il ritiro di dicembre serve perché tutti i corridori della Lidl-Trek possano provare i materiali a loro disposizione
Il ritiro di dicembre serve perché tutti i corridori della Lidl-Trek possano provare i materiali a loro disposizione
Allo stesso modo dei corridori, anche voi meccanici avrete un calendario ben definito dopo il ritiro?

Il bello di questa squadra è che abbiamo il calendario sino a fine anno. Può esserci qualche cambio, però in linea di massima torneremo a casa con una pianificazione già fatta ed è davvero una cosa molto buona, una fra le tante di questa squadra. Ti puoi organizzare anche qualcosa al di fuori dal lavoro. E se avvisi che nei tuoi giorni liberi sei fuori, casomai ci fosse un problema chiamerebbero un altro, non te. Basta comunicare che si va in vacanza.

Chi pianifica la vostra attività?

Sul fronte della performance, c’è Josu Larrazabal. Ma la figura che sta sopra di noi e fa da tramite tra noi e Trek si chiama Glenn ed è un ragazzo abbastanza giovane però molto in gamba. Lui fa da tramite con Trek e una parte dei corridori. L’idea è che non arrivino da noi tutti insieme e per questo dallo scorso anno abbiamo iniziato a lavorare come i direttori sportivi. Abbiamo i nostri 5 corridori da seguire, ma è davvero raro che si rivolgano al meccanico che gli è stato indicato. Io lo scorso anno avevo Mollema, che mandava messaggi in continuazione. Poi Ciccone e Bagioli. Dovrebbero essercene altri due, ma non li ricordo. Forse perché preferiscono andare direttamente al magazzino, direttamente alla fonte. Se però hanno un problema quando sono a casa, allora ci chiamano e il sistema funziona.

Buon viaggio allora, ragazzi. Dove dormirete stanotte?

Il piano è di arrivare in zona Montpellier. E domani si fa l’ultima tratta fino a Calpe.

TurboPaolo, l’arte di raccontare il ciclismo con ironia

03.12.2024
6 min
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Un nuovo aspirante pro’ si aggira per il web. Non arriva dalla Zwift Academy, né da qualche development di squadre World Tour. Si chiama Paolo Sarmenghi, in arte TurboPaolo, è nato nel ’90 e arriva dai social. Ha un canale Instagram con quasi 300 mila follower, che raccoglie centinaia di brevi sketch ironici un po’ su tutto. Da qualche mese, anche a tema bici.

In questa stagione lo abbiamo visto fare i suoi primi passi nel ciclismo che conta alla Lidl-Trek, al fianco di corridori come Jonathan Milan, Simone Consonni e Juan Pedro López. Qualche giorno fa è apparso in un video di GCN Italia mentre, al fianco di Alan Marangoni, affrontava le rampe della mitica salita di Oropa. 

Qui a bici.PRO siamo da sempre attenti alla nascita di nuovi talenti, quindi l’abbiamo contattato per farci raccontare del suo modo di parlare di ciclismo senza prendersi troppo sul serio. Un modo di cui questo sport ha, secondo noi, molto bisogno. Lo raggiungiamo al telefono mentre è impegnato ad organizzare il suo tour (“t” minuscola, in questo caso) 2025 di stand-up comedy.

«Dovrebbe partire a fine febbraio – dice – abbiamo fissato cinque date in Italia e poi stiamo cercando di fare anche qualcosa per gli italiani all’estero. Avrei voluto andare anche nelle isole, Sardegna e Sicilia, ma ci siamo accorti che diventa troppo costoso. Anche perché voglio tenere i prezzi il più possibile popolari».

L’influencer ci ricorda che si può sorridere anche durante la fatica (immagine Instagram)
L’influencer ci ricorda che si può sorridere anche durante la fatica (immagine Instagram)
TurboPaolo, sul tuo profilo abbiamo visto (e apprezzato) i video che hai fatto con la Lidl-Trek. Com’è nata questa collaborazione?

L’anno scorso ho fatto dei contenuti con Lidl e sono andati bene. Quindi quest’anno abbiamo continuato, e mi hanno buttato lì lo spunto di fare qualcosa con la squadra di ciclismo. Gli ho proposto l’idea del nuovo uomo squadra e si sono fidati, anche perché il marketing della Lidl non aveva tanta familiarità con il ciclismo.

E com’è stato essere lì in mezzo, sul pullman, tra gli atleti?

I ragazzi sono stati tutti molto disponibili. Avevo paura fossero tesi anche perché quei contenuti li abbiamo girati pochi giorni prima della partenza del Giro. Invece no, forse era un modo anche per loro di staccare alla vigilia di un appuntamento importante.

Quanti giorni siete stati assieme?

Due, il primo alla presentazione della squadra, al velodromo di Torino, quando hanno fatto le foto ufficiali. Il secondo invece in hotel, dove mi hanno fatto provare la divisa della squadra e un bici. Il gioco era che anch’io mi allenassi con loro. E’ finita che mi hanno dato la maglia troppo piccola e la bici troppo grande.

Un deliberato tentativo di sabotaggio? 

Potrebbe essere. Ma devo dire che mi sono interfacciato soprattutto con Paolo Barbieri (addetto stampa della Lidl-Trek, ndr) con cui devo dire che mi sono trovato molto bene. In generale sono contento di come sono venuti quei contenuti: mi hanno pagato, ma l’avrei fatto anche gratis. Anche se forse è meglio che quelli della Lidl non lo sappiano. E’ stato tutto molto facile, mi è venuto naturale, anche perché sono appassionato di ciclismo.

Il santuario di Oropa, teatro delle gesta di molti campioni (immagine Instagram)
Il santuario di Oropa, teatro delle gesta di molti campioni (immagine Instagram)
Infatti TurboPaolo, parlaci di questa passione.

Non mi ricordo come sia nata, a dire la verità, ma ora lo seguo spesso. Mi piace tanto guardare le gare, specie negli ultimi anni, le ultime due-tre stagioni in particolare. Credo c’entrino anche i personaggi incredibili che ci sono in questo periodo. Anche mia moglie si è appassionata, soprattutto dopo la serie Netflix sul Tour. Quindi sì lo guardo, ma purtroppo non vado tanto, un po’ per il tempo e anche, diciamo la verità, per questioni di fisico.

Tra poco arriviamo anche al tuo ciclismo pedalato. Qual è la tua corsa preferita?

Direi la Milano-Sanremo. Sarò che io sono di Novara quindi la sento un po’ come la gara di casa. Poi secondo me è la più difficile mentalmente, tutte quelle ore di pianura da affrontare restando comunque concentrati per il gran finale. Mi sembra sia molto più dura di quanto si veda in tv. La tua invece qual è?

Il Giro delle Fiandre, ma le domande dovrei farle io.

Scusa.

Niente figurati. Andiamo avanti. Dopo quella con la Lidl-Trek sei arrivato alla collaborazione con GCN

Mi ha scritto Alan Marangoni, dovevamo vederci a Torino al Giro, ma non c’è stata occasione. Poi ci siamo risentiti e abbiamo partorito l’idea. Io pensavo subito a qualcosa di faraonico, tipo allenarmi per una gara grossa, come i mondiali… Parto sempre così, poi invece la realtà mi riporta a più miti consigli. Quindi abbiamo deciso di provare la salita di Oropa, e confrontare il mio tempo con quello di Pantani e Pogacar.

Subito dopa la fine della salita, TurboPaolo si rilassa sul prato di Oropa
Subito dopa la fine della salita, TurboPaolo si rilassa sul prato di Oropa
Diciamo che hai deciso di iniziare col botto. E com’è andata?

Ovviamente non volevamo provare ad avvicinare i loro tempi, anzi. La sfida era quella di non prendere più di un’ora di distacco negli ultimi 6,7 km finali, che loro hanno percorso in circa 17 minuti. All’inizio mi sentivo bene, salivo a 11-12 all’ora, mi sembrava di volare. Poi male, molto male, sempre peggio. Vedevo i numeri del Garmin calare come in un countdown: 9,8,7… Dopo il Giro ho controllato i dati e nel segmento “Hardest Oropa”, 600 metri al 10,5% di pendenza, ho tenuto la media di 5,2 km orari. Per fare un paragone il KOM ce l’ha Nans Peters, ad oltre 19 all’ora di media.

Alan e Giorgio, i due volti di GCN, ti hanno dato una mano? Nel video abbiamo visto un bel “bidon collé”…

Sì dai, mi hanno supportato alla grande. E mi hanno assicurato che quel “bidon collé” rientrava pienamente nel regolamento UCI. Ad un certo punto andavo a zig-zag e Alan mi ha chiesto, giustamente, se almeno potevo non andare in contromano. Salendo poi non avevo il cardiofrequenzimetro, prendevo la frequenza cardiaca dall’orologio, che quindi era in bella vista. Giorgio, che era in ammiraglia, quando ha visto il valore mi ha chiesto se era tarato male. Era a 180 battiti, mi ha detto che non potevo stare in Z5 per due ore. Gli ho detto che l’orologio era sbagliato, ma in realtà ho mentito. Ho fatto la salita fisso sui 200 battiti, o giù di lì.

TurboPaolo con il team di GCN ad Oropa, subito dopo l’impresa
TurboPaolo con il team di GCN ad Oropa, subito dopo l’impresa
Comunque sia la sfida alla fine è stata vinta

Ci ho impiegato un’ora ora e 2 minuti. Un quarto d’ora entro il tempo limite. Quindi da gente come Pantani e Pogacar ho preso solo 45 minuti in 6,7 km. Mi ritengo pienamente soddisfatto.

L’impressione è che il tuo stile funzioni perché esce dai normali canoni dell’agonista. Ti ritrovi in quest’idea?

Può essere. L’altro giorno parlavo con un amico, mi diceva che non esce più in bici perché non gli sembra di essere abbastanza performante, di non avere la bici adatta, eccetera. Secondo me invece dovremmo recuperare il piacere di pedalare e basta, liberandoci da queste pressioni  indotte dall’esterno.

Prossimi progetti a tema bici?

Quest’inverno vorrei continuare ad allenarmi sui rulli per avere un po’ di continuità. Poi in futuro mi piacerebbe anche fare qualcosa con il ciclismo femminile. Mi sembra ci sia più incertezza che tra gli uomini, più imprevedibilità. Mi intriga anche il fatto che, almeno così mi sembra, tra le donne non sia tutto tecnicamente così esasperato e conti ancora il fattore umano. Se poi GCN e la Lidl-Trek mi vorranno ancora, sono disponibile. Oppure anche un’altra squadra World Tour va bene, non dico di no a niente, sia chiaro.

Grazie TurboPaolo. Ultima domanda secca. Milano-Sanremo 2025: chi vince?

Direi Pogacar, anche se forse è scontato. Con il cuore invece dico Jonas Abrahamsen. Lo so, è pura utopia. Ma lo dico lo stesso. 

Pedersen è già a Sanremo. Il punto sul danese

29.11.2024
4 min
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In questi giorni si è tornato molto a parlare di Mads Pedersen . Un po’ perché lui ci ha messo del suo stuzzicando i suoi followers con dei post a diro poco ghiotti e un po’ perché in Danimarca su Ekstra Bladet, è uscita un’intervista con Mattias Reck, il coach del campione della Lidl-Trek.

Pedersen ha ripreso ad allenarsi. E anche forte. E’ partito con molta palestra, ma anche con delle uscite. Una di queste è avvenuta sulle strade della Milano-Sanremo. In Danimarca hanno detto che stavolta Mads vuole una classica monumento a tutti i costi. E forse è anche giunta l’ora.

Pedersen (classe 1995) in allenamento pochi giorni fa sulle strade della Sanremo (foto Instagram)
Pedersen (classe 1995) in allenamento pochi giorni fa sulle strade della Sanremo (foto Instagram)

Monumenti nel mirino

In questi anni il campione del mondo 2019 si è mostrato all’altezza dei migliori. Mads appartiene al ristretto club dei “mega motori”, con Van Aert, Van der Poel, Pogacar, Eevenepoel, Ganna… però se andiamo a vedere, togliendo quel mondiale, gli manca la super perla da sfoggiare in bacheca. Insomma, la classica monumento di cui dicevamo.

L’ormai (quasi) trentenne di Lejre, cittadina ad ovest di Copenaghen, ha vinto tappe al Tour, al Giro e alla Vuelta. Ha vinto semi classiche e persino piccole gare a tappe, ma ora vuole di più. Soprattutto perché sa che può ottenerlo.

Per il 2025 Mads ha messo nel mirino due gare più di altre: la Sanremo e la Roubaix. Senza però dimenticare il Fiandre. Addirittura per la Ronde ha proposto una sorta di sondaggio sulla sua pagina Instagram per individuare quale fosse il setup migliore in termini di rapporti. Si chiedeva se una monocorona da 56 denti con una scala posteriore 10-46 potesse andare bene. Tuttavia i due focus maggiori sembrano essere appunto la Sanremo e la Roubaix.

Mattias Reck è il preparatore storico di Pedersen (foto Instagram)
Mattias Reck è il preparatore storico di Pedersen (foto Instagram)

Parola al coach

Per conquistare queste classiche qualcosa va fatto. Contro quei big che abbiamo elencato non bastano “solo” i watt. Tuttavia Reck ha ribadito: «Non faremo nulla di diverso riguardo al programma di Pedersen per la primavera 2025. La sua lista di gare si adatta così bene a quelle grandi corse che copieremo e incolleremo ciò che abbiamo fatto finora in vista della Parigi-Roubaix. Pertanto Mads correrà due gare a tappe a febbraio (quest’anno ha fatto Bessèges e Provence, ndr), quindi farà un training camp a Majorca e sarà al via della Parigi-Nizza. A quel punto per lui inizieranno tutte le grandi classiche».

Questo programma però riapre i dubbi circa alcuni dettagli legati alla preparazione di Pedersen, che più volte ha ribadito la sua “allergia” ai ritiri in altura. Li ritiene inutili. Anzi di più: possono compromettere la stagione.

In carriera il danese ha ottentuo tre podi nelle classiche monumento: due al Fiandre e uno (l’ultimo, in foto) alla Roubaix
In carriera il danese ha ottentuo tre podi nelle classiche monumento: due al Fiandre e uno (l’ultimo, in foto) alla Roubaix

Altura, sì o no?

Ma in tal senso sì che qualcosa dovrebbe cambiare. Se non altro per la seconda parte di stagione, visto che per la prima parte alla fine anche i suoi colleghi “clasicomani”, come gli spagnoli definiscono i cacciatori di classiche, di altura non ne fanno. Chi ha buona memoria ricorderà che anche in relazione a Cavendish, altro uomo veloce, era emerso questo argomento.

Sempre Reck ha spiegato circa l’altura: «Ne stiamo parlando con Mads e sono sicuro che prima o poi faremo un vero camp in quota. Anche io ho dei dubbi su ciò che può realmente portargli un training camp in altura. I corridori reagiscono in modo molto diverso a quel tipo di ritiri. Però, se Mads è aperto anche mentalmente a questa opzione, allora dobbiamo farlo. Finora non abbiamo esplorato questa possibilità. Magari Pedersen potrebbe perdere un chilo di troppo: questo potrebbe aiutarlo, ma non è detto… viste le sue caratteristiche».

Tutto è in divenire, così come il Grande Giro che Pedersen farà nel 2025. Reck ha detto che la scelta della grande corse a tappe sarà fatta in accordo con il team anche in base ad esigenze di sponsor e programmi condivisi. Una cosa è certa: altura o no, Pedersen vuole una Classica Monumento e se lo scorso hanno non fosse caduto alla Dwars door Vlaanderen, dopo la vittoria alla Gand tra Fiandre e Roubaix soprattutto, forse qualcosa di più avrebbe ottenuto.

Alla merenda pensa Mosca, prezioso jolly della Lidl-Trek

22.11.2024
8 min
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ORNAVASSO – Jacopo ha preparato il caffè e adesso per viziare il giornalista spalma sul pane leggermente tostato la marmellata di albicocche di sua mamma. Per lui (Jacopo Mosca) ed Elisa Longo Borghini, sua moglie, basterà una vaschetta di cereali con un po’ di latte: nessun senso di colpa, per arrivare in tempo abbiamo saltato il pranzo. E così, dato che vi abbiamo appena raccontato di lei, del suo amore per queste zone e del suo cambio di maglia, eccoci con colui che ne ha cambiato profondamento la vita. Si sono sposati nel 2023, erano insieme da poco prima.

Dal prossimo anno, in realtà già da ora, non faranno più parte della stessa squadra. E Mosca se la ride dicendo che finalmente potrà usare le sue maglie senza il rischio che lei gliele prenda. Non quelle da allenamento, perché sono tricolori. Piuttosto il resto del corredo: le maglie intime, le mantelline e le retine per la lavatrice. Lei ammette di aver fatto tutto il Giro con la retina del marito e lui rilancia raccontando che, puntualmente quando fa freddo, esce in bici e dopo un po’ si ritrova con la schiena gelata, perché nel cassetto c’era la sotto maglia di Elisa.

«Però, vabbè – aggiunge Mosca – a parte questo, purtroppo per la squadra sarà una grande perdita. Tra di noi cambia che ci vedremo ancora meno. In realtà nei ritiri ci si vede davvero poco. Buongiorno, buonasera, un ciao quanto ti incontri nella hall. Invece sarà strano uscire in allenamento con due bici diverse e due maglie diverse, però è sicuro che continueremo a pedalare insieme. E magari ci punzecchieremo un po’ di più, perché se vinceranno i suoi futuri compagni, io dirò che non sono contento».

Consonni, Mosca e Cataldo: con l’arrivo dei nuovi, la Lidl-Trek ha cambiato potenzialità, ma non lo spirito
Consonni, Mosca e Cataldo: con l’arrivo dei nuovi, la Lidl-Trek ha cambiato potenzialità, ma non lo spirito

Senza procuratore

Jacopo non ha il procuratore, per cui durante l’anno dovrà vedersela da solo, dato che il suo contratto scade nel 2025. Dice che un procuratore ce l’ha avuto nei primi due anni da professionista e sta aspettando dal dicembre 2018 che lo chiami per dirgli quale squadra gli avrebbe trovato.

«Sinceramente non mi stresso – dice – perché giunto a questo momento della mia carriera, penso che tutti conoscano il mio valore. Quando sarà il momento, parlerò con Luca (Guercilena, ndr) e con la squadra in modo molto tranquillo e vediamo quello che verrà fuori. Penso che tante volte i procuratori fanno gli interessi dei corridori e magari ti vendono bene, però l’importante è essere venduto per quello che sei realmente. E quando sei onesto, forse alla fine duri più a lungo. Mi è piaciuta tanto la conversazione che ebbi con Luca dopo il Covid nel ritiro di San Pellegrino. Avevo firmato da metà 2019 e fino al 2020, perciò gli dissi: “Guarda, visto com’è andato il 2020 mi piacerebbe avere un altro anno di contratto”. E lui mi disse: “Non uno, meglio due”. E alla fine ne ho avuti tre. Per un corridore come me avere un rapporto diretto e così onesto può fare la differenza».

Tappa alla Madonna del Boden, luogo sacro per i ciclisti: il museo delle maglie era chiuso, ma abbiamo sbirciato dai vetri
Tappa alla Madonna del Boden, luogo sacro per i ciclisti: il museo delle maglie era chiuso, ma abbiamo sbirciato dai vetri
Che squadra è diventata questa Lidl-Trek così piena di campioni?

Sicuramente da metà 2019 a oggi è cambiata tantissimo. La spinta più grande negli anni l’ha data Mads Pedersen, però sicuramente lo scorso anno l’ingresso di Johnny, Tao Geoghegan Hart e l’esplosione di Skjelmose ci hanno messo su un altro piano. Siamo la seconda squadra per numero di vittorie, ma al contempo la mentalità, il modo di lavorare e l’ambiente che si respira sono rimasti gli stessi. È chiaro che con l’avvento di un nuovo sponsor, c’è stata anche la possibilità di avere qualche corridore in più capace di portare vittorie. Solo Milan ha vinto 12 gare e questo fa la differenza.

E per Jacopo Mosca, chiamato al lavoro pesante, tanti campioni significa fare gli straordinari?

E’ una fortuna, perché quando hai capitani che vanno forte, fai lo stesso lavoro di prima, ma vedi i risultati. Non si tratta solo di vincere, già sapere che puoi lottare per la vittoria cambia le prospettive. Se guardo a me, quando abbiamo un leader vero alle corse, il lavoro è più facile, perché ho un obiettivo ben preciso.

Dicono che alla Sanremo, che avete vinto nel 2021 con Stuyven, tu sia stato capace di tirare per tutto il giorno…

Io con la Sanremo ho un rapporto veramente particolare. Potrei dire che è la mia gara preferita, probabilmente perché sono italiano e perché fin da piccolo la guardi e te ne innamori. Sono contento che negli anni il mio ruolo sia definito ed è abbastanza assodato che posso essere una garanzia. Spero di poter fare tante altre Sanremo e tirare tutti gli anni come un mulo, perché alla fine sono contento. L’altra cosa molto bella del mio ruolo, anche se ogni tanto mi si ritorce contro, è che mi considerano un jolly, quindi mi ritrovo a fare le gare più disparate. Magari una volta mi ritrovo in Belgio e la settimana dopo al Lombardia, come è successo quest’anno. Oppure l’anno scorso ero in ritiro in altura, però mancavano corridori e sono andato a fare la Liegi, cui non avrei mai pensato.

Durante l’estate, Mosca ha organizzato una giornata di gare giovanili nella sua Osasco (foto Wild Emotions)
Durante l’estate, Mosca ha organizzato una giornata di gare giovanili nella sua Osasco (foto Wild Emotions)
C’è un segreto per essere pronti ogni volta che ti chiamano?

Il segreto è che a me piace quello che faccio. Mi piace allenarmi e fare il corridore, quindi la realtà è che poi sei pronto di conseguenza. A volte non è semplice, perché magari vai in una gara quando sai che stavi preparando un altro obiettivo. Sai che farai una gran fatica perché non hai la preparazione perfetta, ma è necessario e lo fai. Sono cose che impari con gli anni, sai qual è il tuo ruolo e cerchi di supportare i tuoi compagni al meglio possibile.

Capire questa cosa fa la differenza tra avere una carriera lunga o non trovare una direzione?

Ho fatto talmente tanta fatica a passare professionista che apprezzo veramente il fatto di essere un corridore. Forse mi sono sempre sottostimato, nel senso che anche facendo lo scemo e ridendo, non mi sentirei mai dire che vado forte. Però so quello che valgo e sono altruista di mio, per cui se c’è qualcuno da aiutare lo faccio sempre. Penso che il segreto sia capire prima possibile qual è il tuo posto. Non ti devi tarpare le ali, però è anche vero che prima lo capisci e meglio, perché a quel punto puoi venderti per quello che sei realmente.

I campioni ringraziano chi lavora per loro?

Milan è uno di quelli veramente bravi e a modo suo anche “Cicco”. Dopo il Lombardia ci siamo incrociati sul bus e ha detto parole bellissime. Penso che quel giorno abbia fatto qualcosa che si meritava da tempo. Quando sono arrivato assieme a Cataldo, abbiamo guardato il podio e ci siamo detti che era stata una bella giornata. Mentre Johnny, quando vince aspetta sempre che arrivino tutti i compagni. Nella terza tappa del Renewi Tour sono arrivato un minuto dopo e lui era lì che ci aspettava per abbracciare ognuno di noi e dirci grazie. Magari per darti uno schiaffetto, che con quelle manone ti gira la faccia (ride, ndr) E’ bello correre con loro, ma mi rendo conto che la squadra si sta evolvendo e trovare posto nelle gare importanti diventa sempre più difficile.

Un giro nei dintorni prima di tornare a casa: Jacopo ed Elisa sono sposati da poco più di un anno
Un giro nei dintorni prima di tornare a casa: Jacopo ed Elisa sono sposati da poco più di un anno
Come si vive nel piccolo mondo di Elisa Longo Borghini?

Vedo molte similitudini tra la mia famiglia e la sua, probabilmente perché abbiamo entrambi la fortuna di avere dei genitori di valore. I miei non hanno mai fatto sport, però mi hanno insegnato a essere quello che sono. Anche Osasco è una piccola comunità, molto più piccola di Ornavasso visto che sono 1.000 abitanti contro i 3.000 di qua. Lei dice di essere fuori dal mondo, ma ciclisticamente parlando il paese è molto attivo, mentre a Osasco non c’è niente. Basti pensare che nella storia io sono stato il primo professionista pinerolese. Però probabilmente questo mi ha permesso di fare la mia carriera, perché mi sono preso tante batoste senza sapere che mi avrebbero fatto crescere. Non c’erano gare, si doveva andare fuori, come succede adesso. Ho creato la mia squadretta, ma vedo che rispetto a quei tempi in cui contava solo fare esperienza, alcuni genitori hanno portato via i loro figli per andare in altre società e questo dispiace.

Qual è stato il giorno più bello di tutto il 2024?

Quando Elisa ha vinto il Giro. E poi anche la mia partecipazione all’europeo, perché non ci credevo più. Mi era andato di traverso restare fuori dal mondiale di Imola nel 2020, perché con tutte le defezioni per il Covid e il fatto che andassi fortissimo, una maglia pensavo di meritarla. Quando si trattò di andare all’europeo di Trento, caddi e mi tagliai fuori da solo. Pensai che non sarei entrato mai più in nazionale, invece quando è venuto fuori il progetto di Johnny per l’europeo, ci sono finito dentro anche io che sono suo compagno. Come probabilmente sarebbe stato per Puccio, se si fosse puntato su Viviani, perché siamo i due che tirano. E io da quel momento sono rinato.

La partecipazione di Mosca agli europei era funzionale alla corsa di Milan: i due cono compagni alla Lidl-Trek
La partecipazione di Mosca agli europei era funzionale alla corsa di Milan: i due cono compagni alla Lidl-Trek
Per la convocazione?

Ho avuto una grinta incredibile tutta l’estate. Sono andato al Renewi Tour ed ero contentissimo di farlo, nonostante fosse una gara in Belgio, dove non vedi gente che corre felice. Insomma, non spingi per farlo, invece ero felicissimo, mi sono divertito tantissimo. All’europeo, mi sono trovato a fare fin più di quello che pensavo. Ovviamente ci eravamo immaginati una gara un po’ diversa, però è logico che avendo contro Milan, gli altri ci corressero contro. E mi ricordo che inseguivo Mads Pedersen e mi sembrava di fare la gara del ritiro, dove lui è quello che scatta sempre e tutti insieme cerchiamo di seguirlo. Io ero lì che morivo, ma ogni volta che lui si girava, facevo finta di non essere a tutta. Finché a un certo punto mi fa: “Non giocare con me!”. Però è stato bello. Mi dispiace essere rimasto fuori da quel gruppo di 50, ma avevo speso davvero tutto e fatto la mia parte. Peccato che sia finita così. Bennati ci aveva detto di non fare la volata a sinistra, a meno che non avessimo una gamba infinita, invece siamo finiti proprio da quella parte…

I monti, i sapori, i colori, i sorrisi e le radici di Elisa

22.11.2024
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ORNAVASSO – L’inverno è nell’aria. Gli alberi sono spelacchiati e la pietra delle torri sembra gelida. Jacopo guida, Elisa guarda fuori. La strada per la Madonna del Boden è la stessa di un anno fa quando salirono per sposarsi e dove la seguimmo per la festa di fine 2022. Questa volta indica la montagna e racconta che domenica l’hanno girata a piedi, restando fuori per otto ore. Siamo nel rifugio piemontese della vincitrice del Giro d’Italia Women, un appuntamento preso da tempo e finalmente arrivato. Pomeriggio inoltrato, si sta fuori per le foto e poi tutti nel loro appartamento.

Il 2024 ha portato grandi vittorie e la delusione di Parigi. E alla fine, quasi a sorpresa, è arrivato il passaggio al UAE Team Adq. Quello con la Lidl-Trek sembrava un matrimonio indissolubile, invece è arrivato al capolinea. Elisa è seduta su uno sgabello del soggiorno, Jacopo versa il caffè. Sulla mensola alle nostre spalle, fanno bella mostra di sé il trofeo del Giro Women e le medaglie di bronzo dei mondiali. Un quadro con la maglia rosa ribadisce il concetto. 

Jacopo Mosca ed Elisa Longo Borghini: questi due quando sono insieme non smettono mai di sorridere!
Jacopo Mosca ed Elisa Longo Borghini: questi due quando sono insieme non smettono mai di sorridere!

Aria di casa

Quando è qui, Elisa cambia lo sguardo, pieno di una serenità potente come le montagne intorno. I trent’anni hanno portato solidità in gara e la capacità di fronteggiare i momenti difficili. E’ un fatto di esperienza ed equilibrio, che con l’arrivo di Jacopo Mosca nella sua vita è diventato un punto di forza. Il sorriso e la cocciutaggine “montagnina” – l’aggettivo che preferisce – sono le sue armi migliori.

«Tante volte sento la necessità dei miei monti – dice – della mia valle, di questa piccola comunità. Mentre vado a piedi dai miei, passo davanti alla casa della signora Rita, che ha fatto per una vita le faccende da noi e mi ha visto crescere. Le busso alla finestra e la saluto. Oppure al pomeriggio, senza dire niente, prendo e vado su da mio fratello dove ci sono i miei nipoti. C’è un senso di comunità e di protezione, oltre al legame con la mia terra. Quando sono lontana, sento la mancanza di aprire la finestra al mattino e vedere la Cava del Duomo o il Massone qua dietro.

«Sono partita abbastanza presto. A 20 anni sono andata alla Hitech e restavo in Belgio per tutta la primavera. Partire era bello, ma c’era anche la voglia di tornare. Sinceramente non credo che, facendo un altro mestiere, sarei rimasta qua. Mi piacciono le lingue straniere, volevo studiare interpretariato. Sarei sicuramente partita, però sono certa al 100 per cento che sarei sempre tornata».

Il Giro d’Italia è stato il coronamento del sogno di Elisa e forse non è per caso che sia arrivato quest’anno
Il Giro d’Italia è stato il coronamento del sogno di Elisa e forse non è per caso che sia arrivato quest’anno
Che cosa significa allora cambiare squadra, non avere un posto in cui tornare? Come sono stati i tuoi passaggi di squadra?

Sempre un po’ traumatizzanti, ma questo è il più difficile, perché la Lidl-Trek è stato il gruppo in cui sono rimasta più a lungo. E’ stato difficile non solo per questo, ma anche per il legame che avevo con il personale e con la squadra. Perché l’ho vista nascere, crescere e diventare quello che è. E’ stata dura, non posso dire il contrario.

Allora perché cambiare?

E’ stata una scelta determinata da tanti fattori e fra questi non ci sono i soldi, questo vorrei dirlo chiaramente. Quello che mi ha fatto scegliere è stata la volontà di affrontare l’ultimo grande cambiamento nella mia carriera, perché credo che fra quattro anni potrei anche dire basta. Non mi pongo limiti, però mi piacerebbe arrivare a Los Angeles. A quel punto penso che mi sentirò in pace con me stessa e penserò a qualcosa di diverso.

Sulla porta i due gnomi – Al e Bert – sono i custodi della casa (il nome si deve ad Albert, cugino di Jacopo)
Sulla porta i due gnomi – Al e Bert – sono i custodi della casa (il nome si deve ad Albert, cugino di Jacopo)
Dicevamo di belle vittorie come Fiandre e Giro d’Italia e un passo falso…

Sono partita bene e poi ho avuto un momento di calo fisiologico alla Vuelta, però sono riuscita lo stesso ad arrivare terza e non è poco. Ho resettato, sono stata in altura, ho fatto molto bene i campionati nazionali, il Giro di Svizzera e il Giro d’Italia. Poi sono andata alle Olimpiadi e ho preso una batosta. Uscivo da una corsa a tappe, a posteriori posso dire che qualche starnuto in più l’ho fatto, ma non è stata sicuramente quella la causa della mia debacle. Forse sono arrivata al limite psicofisico e lo dimostra anche la reazione tanto emotiva a fine corsa. Ci tenevo, alla maglia azzurra tengo veramente tanto. E quando mi sono trovata in quella situazione, mi sono vergognata come un cane, ve lo posso assicurare. Avrei pagato per essere completamente invisibile, tagliare il traguardo e sparire.

Poi c’è stata la caduta e addio Tour…

Dopo Parigi, mi sono auto eliminata con una scivolata in cui ho tirato giù anche Jacopo e quello forse è stato il periodo peggiore di questo 2024. In Francia sarei andata per puntare alle tappe, non come ho letto in qualche intervista, ma vabbè… Però mi sono ripresa e forse, chi lo sa, non essere andata al Tour mi ha fatto bene per il mondiale. A Zurigo avevo un’ottima condizione. Quindi in estrema sintesi, questo 2024 dimostra che sono un’atleta solida e che forse anche in una condizione non al top riesco lo stesso a portare a casa un buon risultato.

Dopo l’arrivo della prova su strada di Parigi, Elisa è affranta: le altre si fermano per tirarla su
Dopo l’arrivo della prova su strada di Parigi, Elisa è affranta: le altre si fermano per tirarla su
Come fra gli uomini, anche fra voi donne le grandi corse sono appannaggio di poche. Che rapporti ci sono fra voi?

Con Niewiadoma vado molto d’accordo, forse perché abbiamo fatto un percorso simile. Siamo divise da pochi anni e siamo sempre state rivali, eppure ci troviamo bene anche a chiacchierare. Demi Vollering è una brava ragazza, a volte in corsa non la capisco, però credo faccia parte dell’essere rivali. Ammetto che quando Niewiadoma ha vinto la Freccia, mi ha fatto tanto piacere. E quando poi ha vinto il Tour, sono stata particolarmente felice. Ho seguito tutte le tappe qui sul divano, sentendomi tra lo sciocco e l’attappirata. L’ultima mi ha proprio entusiasmato. Eravamo qua con il nostro osteopata che ci stava sistemando e a un certo punto eravamo sul bordo del divano a fare il tifo per Kasia. Non ha mollato un metro, è stata bravissima. L’ho ammirata molto perché penso che a livello mentale sia stato veramente tanto duro.

Non è stato facile neppure vincere il Giro all’ultima tappa, con Kopecky a un secondo…

Eppure ero stranamente tranquilla. Tutti mi davano per spacciata per cui nella mia testa dicevo: staremo a vedere! Avevo un solo obiettivo, sapevo che dovevo stare a ruota e batterla. Lei era il bersaglio e io la freccia. Lotte il giorno prima ha fatto un’ottima tappa sul Block Haus, ma forse per le diverse caratteristiche fisiche, quegli sforzi li recupero meglio io. Ogni tanto è bello convincersi di qualcosa che magari non è reale, ma la convinzione lo rende tale e ti fa dare di più. Quello che lei ha fatto il giorno prima, io l’ho fatto il giorno dopo.

Madonna del Boden, l’acqua è gelida: qui Elisa e Jacopo si sono sposati il 28 ottobre 2023
Madonna del Boden, l’acqua è gelida: qui Elisa e Jacopo si sono sposati il 28 ottobre 2023
E così alla fine è arrivato il Giro d’Italia…

L’ho rincorso per una vita. Negli anni mi sono successe tante di quelle cose, da chiedermi perché continuassi a farlo. Invece questa volta da ottobre è stato chiaro che sarebbe stato il mio obiettivo, per cui più di una volta in allenamento mi sono scoperta a pensare solo a quello. Sai quanto fai quelle distanze di sei ore e fai l’ultimo lavoro negli ultimi 40 secondi che fanno male le gambe? Io pensavo che quel dolore mi avrebbe fatto vincere il Giro. E’ stato anche un percorso interiore, a volte anche inconscio. E ogni volta, magari mentre facevo dietro moto con Paolo Slongo sulla Marmolada, mi sono ritrovata senza volerlo a pensare che stessi soffrendo per il Giro. Ci avevo sempre creduto, ma forse ora sono arrivata a una maturità fisica e una tranquillità mentale in cui riesco a fare effettivamente quello che vorrei. Sono più forte, forse un po’ meno insicura, però sicuramente tranquilla. 

Ha inciso il fatto di essere sposata con un corridore?

Jacopo mi ha fatto fare un salto di qualità importante. La stabilità emotiva di avere accanto qualcuno al quale non devi dare delle spiegazioni per la tua stanchezza o per i momenti in cui sei più vulnerabile perché sei stanca, fa tanto la differenza. E poi quando hai in casa una persona che fa le tue stesse cose, viene tutto più semplice. Dall’allenamento alla nutrizione. Se dobbiamo rinunciare insieme al dolce, rinunciamo e non è un dramma. Ci si fa forza a vicenda. E se la sera abbiamo fame, sappiamo entrambi di dover resistere e lo facciamo magari ridendoci sopra.

La scritta just married su una scatola della pizza: un ricordo da tenere stretto
La scritta just married su una scatola della pizza: un ricordo da tenere stretto
Tuo padre è geloso di Jacopo?

Ma no, gli vuole più bene che a me (ride, ndr). Ogni tanto mi chiama e mi dice che voleva solo sapere come sta Jacopo, ma non lo chiama per paura di rompergli le scatole. Non gli manda messaggi, perché mio padre è l’unica persona che non ha lo smartphone: lui si reputa un uomo libero.

Alle corse vediamo spesso tua madre, invece il papà è spesso in disparte. Come lo descriveresti?

Beh, lui è il mio papà (un sorriso di vero amore le illumina il viso, ndr). E’ saggio. E’ una persona molto tranquilla e anche una delle più forti che io conosca, a livello di testa e a livello di forza fisica. Secondo me appartiene a un’altra categoria. Se ai suoi tempi avesse potuto fare l’atleta, sarebbe stato molto forte. Ha avuto la fortuna di fare il preparatore atletico e lo skiman della nazionale di sci di fondo per tanti anni, quindi ha avuto la sua bella carriera. E’ stato il mio primo allenatore. Quando ho veramente tanto bisogno, parliamo e so che lui c’è sempre. Però le nostre conversazioni al telefono durano a dire tanto un minuto: lui domanda e io rispondo. «Tutto bene? Sì, tutto bene. Bom, la bici funziona? Sì, sì, la bici funziona. Bom, ti trattano bene? Sì, mi trattano bene. Bom, Jacopo è contento? Sì. Bom, ok, ciao». Finita. Insomma, è il mio papà…

La merenda di Elisa: cereali e latte. Il nutrizionista non concede sconti
La merenda di Elisa: cereali e latte. Il nutrizionista non concede sconti
La casa, la famiglia, questi posto… C’è un sapore che ti ricorda il tuo paese?

Ogni volta che arrivavo a casa da qualche trasferta, mia mamma faceva il budino con le uova di casa. Le uova e il cacao amaro, sotto ovviamente metteva il caffè con i biscotti. E’ un budino montagnino, un sapore dell’infanzia che mi piace ancora. Poi ci sono il brasato, la polenta, i formaggi di capra, i tomini, il latte della mucca di mio papà, che bevevo appena munto. Oppure l’uovo sbattuto, che da noi si chiama rusumà, con dentro il caffè e anche, si può dire, un po’ di vino! Il vino fatto dai miei, che è un vinaccio, ma sa di casa. La rusumà è un po’ che non la mangio e devo farla assaggiare a Jacopo, perché secondo me non la conosce (lui annuisce, ndr).

Pronta per ripartire?

Pronta per il primo ritiro e non vedo l’ora. Siamo stati ad Abu Dhabi e mi è piaciuto il clima della squadra. E poi so che tanto sarà per poco. Due settimane a dicembre e poi si torna per le feste di Natale. E poi da gennaio, si ricomincia a viaggiare sul serio. Però la prossima volta ti fermi a cena. Jacopo è un ottimo cuoco, ieri abbiamo fatto gli gnocchi e sono venuti davvero buonissimi. Peccato che abbiamo sbagliato la quantità e ne abbiamo fatti una tonnellata…

E se fosse Thibau Nys l’erede di Van Aert e Van der Poel?

08.11.2024
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Thibau Nys è ormai un campione a tutti gli effetti. Non è più solo il “figlio di Sven”. Il corridore della Lidl-Trek su strada e della Baloise-Trek-Lions nel ciclocross, in questo autunno, sembra aver compiuto un ulteriore salto di qualità. La vittoria al campionato europeo di Pontevedra è stata solo l’ennesima prova di questa crescita costante.

Una crescita che fa sorgere una domanda: fino a dove può arrivare Thibau Nys? Non è una domanda banale, perché tra Olanda e Belgio c’è chi inizia a definirlo il “terzo uomo”, l’erede di Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert, pensando anche al suo futuro su strada.

Niels Albert (classe 1986) è un ex crossista, due volte iridato ha smesso anzitempo nel 2014 per problemi al cuore (foto UCI)
Niels Albert (classe 1986) è un ex crossista, due volte iridato ha smesso anzitempo nel 2014 per problemi al cuore (foto UCI)

L’occhio dell’esperto

Questo confronto si è intensificato dopo che l’ex bi-campione mondiale di ciclocross, Niels Albert, ha rilasciato un’intervista a Het Laatste Nieuws. Albert si è detto impressionato dal modo in cui il giovane Nys ha gestito la gara spagnola e da come sia riuscito a fare la differenza. Ha quindi elogiato le sue doti tattiche e atletiche.


«Proprio come a Overijse – ha detto Albert – Thibau è stato economico nella sua gara. Si è gestito e ha sempre avuto tutto sotto controllo… per poi colpire magnificamente e spietatamente al momento giusto».

L’anno scorso, nelle gare di ciclocross in Belgio, abbiamo avuto modo di vedere Nys dal vivo, e senza dubbio ha un grande appeal. Tantissimi erano i tifosi. Lui, rispetto ad altri, ci è sembrato sempre molto tranquillo e disponibile, almeno fino alle fasi del riscaldamento, quando ha chiesto a un meccanico di spostare la sua bici nel retro del camper per trovare la giusta concentrazione. Poi, in pista, lo si è visto esprimere tutta la sua abilità di guida e la sua potenza.

Al Romandia Nys è persino andato in fuga: questo per dire che durante l’anno non ha corso solo di rimessa
Al Romandia Nys è persino andato in fuga: questo per dire che durante l’anno non ha corso solo di rimessa

L’importanza della strada

Ma forse quest’anno è ancora diverso. La ragione è legata all’attività su strada svolta quest’anno, che è andata crescendo rispetto alle stagioni precedenti, soprattutto per i risultati ottenuti.

Nei suoi 34 giorni di gara su strada del 2024, Nys ha vinto ben nove corse, quasi tutte nel WorldTour. L’anno precedente aveva ottenuto solo una vittoria, pur conquistando comunque buoni piazzamenti, ma aveva corso di più. Quest’anno ha gareggiato su strada dal Romandia alla Bretagne Classic, quindi da maggio a fine agosto. Ha osservato un periodo di riposo all’inizio, per staccare dalla stagione del ciclocross, e uno dopo, in vista della nuova stagione. Questa, ovviamente.

Nel 2023, invece, aveva proseguito subito dopo il ciclocross disputando alcune classiche minori nella Campagna del Nord e si era spinto fino a settembre, totalizzando 40 giorni di gara, pur con un’estate meno intensa.

Il momento in cui all’europeo di Pontevedra ha staccato lo spagnolo Orts
Il momento in cui all’europeo di Pontevedra ha staccato lo spagnolo Orts

Ancora Albert

Insomma, più strada anche per il ciclocross, a sostegno della teoria di Diego Bragato. E osservando attentamente i tempi di recupero, i tecnici ci hanno visto lungo.

Anche Albert è d’accordo con Bragato: «Vincere un campionato europeo – riprende Albert – per uno come lui è positivo, ma non è stata una grande sorpresa. A mio avviso, Thibau ha fatto i suoi progressi più grandi la scorsa estate, correndo su strada e con quella serie di nove vittorie. Tuttavia, questo non lo pone ancora al livello di Van der Poel e Van Aert. Se però dovesse migliorare ancora nel ciclocross, per lui significherebbe arrivare al traguardo con Wout e Mathieu e batterli in volata, visto quanto è esplosivo».

Nys ha battutto gente veloce come Ulissi su uno strappo (in foto), ha vinto le classifiche generali e si è ben difeso in molte tappe dure
Nys ha battutto gente veloce come Ulissi su uno strappo (in foto), ha vinto le classifiche generali e si è ben difeso in molte tappe dure

Come Wout e Mathieu

E’ chiaro, però, che la strada intrapresa da Nys è quella dei suoi due illustri colleghi: competere ad altissimi livelli sia nel ciclocross che su strada. Le capacità tecniche, e sempre più anche quelle atletiche, ci sono tutte.

Inoltre, c’è un aspetto a nostro avviso molto importante. Thibau Nys si trova in una squadra, la Lidl-Trek, che crede nella doppia disciplina. Basti vedere lo spazio che hanno concesso a Milan e Consonni, ad esempio, per la pista, o come gestiscono Lucinda Brand nel ciclocross. Questo permette a Nys di pianificare con tranquillità e chiarezza, avendo a disposizione materiali sempre all’avanguardia. Una cosa meno scontata di quanto possa sembrare… almeno a certi livelli “siderali”.

Guercilena e il suo Milan: una scommessa vinta

01.11.2024
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Che cosa significa per una squadra avere un campione come Jonathan Milan, che vince su strada e anche in pista? Giorni fa Elia Viviani spiegava che l’interesse della Ineos verso le sue medaglie su pista – quella olimpica e quella dei mondiali – gli sia sembrato inferiore rispetto a Rio e Tokyo. Quasi che la squadra sia stata contenta di lasciargli lo spazio per prepararle, ma nulla più. Lo aveva già detto in precedenza Lefevere a proposito della rinuncia di Alaphilippe ai Giochi di Tokyo: le medaglie olimpiche non danno lustro ai club. E’ questo l’orientamento nel WorldTour? Lo abbiamo chiesto a Luca Guercilena, general manager della Lidl-Trek (in apertura eccolo insieme a Milan e Fabio Cannavaro ad un evento Trek alla partenza del Tour da Firenze, foto Instagram).

«Sicuramente a noi fa piacere dal punto di vista della performance – dice il milanese – perché se il ragazzo si dà degli obiettivi e li raggiunge, sicuramente acquisisce un livello superiore ed è un vantaggio per tutti. Poi se parliamo strettamente di cosa noi come team riusciamo a utilizzare quando ci sono risultati con la nazionale, in realtà devo dire ben poco. A prescindere dal valore assoluto dell’atleta, che poi comunque si ripercuote sui bilanci della società, abbiamo il grosso limite di non poter utilizzare le sue immagini. Alla fine in nazionale si corre con i materiali della nazionale e di conseguenza il beneficio reale è quasi zero se non, tra virgolette, deleterio».

Jonathan Milan ha conquistato l’oro dell’inseguimento agli ultimi mondiali, con tanto di record del mondo
Jonathan Milan ha conquistato l’oro dell’inseguimento agli ultimi mondiali, con tanto di record del mondo
Evviva la maglia azzurra, insomma?

Ovviamente è solo un discorso in termini di immagine e sponsorizzazione. Poi è ovvio che, se parliamo dal punto di vista strettamente sportivo, avere in squadra un atleta che ha fatto il record del mondo è un grandissimo vantaggio. Anzi, devo ammettere che eravamo tutti lì a seguire la corsa, perché volevamo che Jonathan ottenesse il suo risultato. Non posso negarlo, i rapporti con i tecnici della nazionale sono ottimi. Quindi è ovvio che il piacere di vedere un record del mondo da uno dei ragazzi che corre con noi, preparato dai nostri tecnici e seguito dai tecnici della nazionale in una collaborazione che porta al risultato, fa piacere. E poi da italiano, l’azzurro è sempre speciale.

Sapevate già al momento della firma che ci sarebbero stati dei giorni in pista?

Sì, la discussione è stata molto onesta. Sapevamo che per lui la pista era e probabilmente sarà qualcosa di importante anche per la strada. Sapevamo che aveva degli impegni che l’avrebbero portato via dalla strada per essere a disposizione della pista. Quindi, sebbene in qualche momento della stagione forse avremmo avuto necessità di averlo al 100 per cento sulla strada, visto che l’accordo era stato discusso in precedenza, lo abbiamo rispettato.

Dal prossimo anno la strada sarà la priorità: secondo te, da allenatore, le sue prestazioni ne trarranno vantaggio?

Diciamo che avrà un vantaggio nella misura in cui la preparazione sarà essenzialmente mirata a determinate corse. Quindi, soprattutto psicologicamente, non avrà altri obiettivi da raggiungere e questo sicuramente gli potrà creare un vantaggio. Più psicologico che fisico, sinceramente, perché alla fine preparare un’Olimpiade o una Coppa del mondo o un campionato del mondo su pista, sono soprattutto energie mentali.

Al primo anno con la Lidl-Trek, Milan ha vinto 11 corse: un risultato che non ha stupito Guercilena
Al primo anno con la Lidl-Trek, Milan ha vinto 11 corse: un risultato che non ha stupito Guercilena
Milan ha vinto su strada e ha vinto su pista, ha gestito bene queste tensioni…

Se facciamo il paragone con il 2024, è chiaro che per quanto tu possa cominciare la stagione focalizzandoti sulle classiche, sai che l’obiettivo principale è l’Olimpiade perché ce l’ha in testa e perché prevede anche preparazioni di tipo differente. Quindi psicologicamente è comunque un carico che gli atleti devono sopportare. E peraltro, all’interno di un ciclismo abbastanza esasperato, mantenere una tensione psicologica elevata per 12 mesi è molto impegnativo.

L’idea è che lui possa crescere? Viviani parlava di due anni prima delle prossime Olimpiadi per vincere la Gand e poi al Tour, per dimostrare di essere il velocista più forte del mondo…

Non parlerei della Gand, ma delle classiche in generale, perché secondo me Jonathan è un atleta che può fare molto bene anche nelle grandi classiche. Per quello che riguarda gli sprint, non è detto che per dimostrare di essere il velocista più forte al mondo debba andare al Tour. Alla fine secondo me il livello dei velocisti al Giro d’Italia era molto elevato e lui ha dimostrato di essere uno dei più forti, se non il migliore in assoluto. Ma non vedo la pressione all’interno dei due anni, perché credo che Jonathan sia giovane e abbia margini anche dopo Los Angeles. La valutazione di un atleta la fai sulla carriera. Per cui ci sono gli obiettivi a breve termine, che sicuramente possono essere identificati con la corsa singola. Però in assoluto un atleta viene ricordato per quello che ha vinto nell’arco della carriera. Per cui come squadra valutiamo più quello che un discorso a brevissimo termine.

Ti aspettavi di trovare un Milan già così vincente?

Sì, nel senso che quando abbiamo fatto un’analisi per capire chi fosse uno degli sprinter che avrebbe potuto crescere in modo esponenziale, sicuramente l’occhio è andato su di lui. Avevamo visto il suo percorso, già prima all’interno del Cycling Team Friuli, dove comunque Bressan fa sempre un ottimo lavoro con il suo gruppo. Allo stesso tempo quando è andato in Bahrain ha dimostrato ottime capacità. E poi non nego che Villa me lo avesse già detto…

Fabio Baronti, Jonathan Milan, Marostica, Giro d'Italia U23 2020
Milan ha sempre avuto grandi mezzi in volata. Qui ha appena vinto a Rosà al Giro U23 e va al podio con Fabio Baronti
Fabio Baronti, Jonathan Milan, Marostica, Giro d'Italia U23 2020
Milan ha sempre avuto grandi mezzi in volata. Qui ha appena vinto a Rosà al Giro U23 e va al podio con Fabio Baronti
Che cosa ti aveva detto?

Me lo aveva segnalato ben prima dell’anno scorso, dicendo che era un ragazzo che stava crescendo in modo costante e che secondo lui avrebbe potuto fare il record del mondo dell’inseguimento. Questo me lo disse, credo, quattro anni fa. Non avevo la certezza, però quando vedi il percorso di un atleta – sai quanto ha lavorato e quanti sono i margini di miglioramento – le aspettative sono sicuramente alte.

Di fronte a uno così, ti viene ogni tanto la voglia di allenarlo tu in prima persona oppure c’è fiducia cieca nel suo allenatore?

Sì, assolutamente: fiducia cieca. Ormai è un po’ che sono fuori da certe dinamiche. Non dico che non sarei più in grado di allenare questa generazione di corridori, ma i sistemi di lavoro, gli indici e i software di analisi sono cambiati completamente. Avrei bisogno di un ringiovanimento cerebrale dal punto di vista della preparazione. Poi, come sempre, per chi come me ha fatto l’allenatore, il piacere di allenare un grande campione ci sarebbe sicuramente. Però bisogna anche essere consapevoli dei propri limiti.

Quindi guardi e basta?

Non nego che, come sempre, e non solo nel caso di Johnny, quando vedo qualcosa che secondo me può essere migliorato nella preparazione, ne parlo con il gruppo performance e magari cerco di fargli vedere quale potrebbe essere una fase successiva della pianificazione d’allenamento. Però poi ho pienissima fiducia nel suo e negli altri coach, anche perché hanno dimostrato essere molto capaci nel loro lavoro.

Per le donne un Tour diverso, senza crono e Alpi decisive

30.10.2024
5 min
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Il Tour Femmes con il tecnico della nazionale, finché il ruolo sarà di Paolo Sangalli. Fino al 31 dicembre infatti, il milanese sarà ancora il cittì delle elite e le juniores, poi passerà alla Lidl-Trek. Per questo negli ultimi giorni ha preparato i programmi per la prossima stagione affinché chiunque subentri abbia una linea tracciata. Che sia in quanto responsabile azzurro o perché interessato a causa del ruolo futuro, a Sangalli non è sfuggito il percorso presentato ieri a Parigi. E così, se nell’articolo precedente è stato Christian Prudhomme a illustrare il Tour degli uomini, quello delle ragazze lo vediamo con lui ( in apertura c’è Marion Rousse con il presidente Lappartient, foto ASO/Maxime DELOBEL).

Una breve premessa. Le Tour Femmes avec Zwift parte il 26 luglio da Vannes e si conclude il 3 agosto a Chatel. Chilometraggio totale di 1.165 metri e dislivello positivo di 17.240 metri, per quella che sembra una diagonale della Francia dalla Bretagna alle Alpi. Rispetto allo scorso anno sembra meno duro e soprattutto manca la crono che nel 2024 lanciò Demi Vollering verso la vittoria di tappa e la conquista provvisoria della maglia di leader. Il gran finale sulla Madeleine è sicuramente affascinante ma, numeri alla mano, meno severo del Tourmalet del 2023 e l’Alpe d’Huez di quest’anno.

Nove tappe per un totale di 1.165 chilometri, per 17.240 metri di dislivello
Nove tappe per un totale di 1.165 chilometri, per 17.240 metri di dislivello
Allora Paolo, che cosa ti sembra di questo percorso?

Quello che balza all’occhio è che non c’è neanche una cronometro. Per una gara a tappe così importante, secondo me, una cronometro poteva anche starci. Per il resto partono dalla Bretagna, da Plumenec dove avevamo fatto gli europei nel 2016 e poi faranno il Massiccio Centrale. Le tappe vere di montagna secondo me ci saranno proprio nel finale, sulle Alpi, anche se il Massiccio Centrale si rivelerà comunque impegnativo.

Belle le Alpi, ma l’arrivo sulla Madeleine è certo meno incisivo di quello 2024 sull’Alpe d’Huez…

Sì, sembra che abbiano rimodellato il Tour a livello femminile, però quello che salta all’occhio è proprio l’assenza della crono. Forse in compenso hanno allungato un po’ le tappe. La terza è di 162 chilometri, la quinta di 166 e la settima di 160. Quelle di montagna sono più corte, però è vero che sono distanze importanti, diciamo così…

Volendo fare un po’ di nomi, questo arrivo lungo e non durissimo della Madeleine potrebbe favorire una Longo Borghini contro gli scalatori puri?

Vero, anche se quest’anno al Giro ha dimostrato di competitiva anche sulle salite dure. Però probabilmente la Madeleine, che è molto lunga e non certo tanto ripida, è più per gente potente, che fa watt. Mi viene in mente la Kopecky, che se la porti su a 300 watt costanti, non la stacchi. Lei è una che se la porti in giro così, poi ti punisce. Teniamo conto che senza le Olimpiadi di mezzo, ci saranno proprio tutte. Sarà proprio un bello scontro, speriamo che rientri anche la Cavalli.

La SD WORX perde Vollering che passa alla FDJ, ma ritrova Anna Van der Breggen: è credibile che torni dopo due anni e sia già competitiva?

A me risulta che si sia sempre allenata e facesse già dei valori ottimi in allenamento, quindi credo che torni già competitiva. Vero è che è perdere due anni in questo ciclismo non è poco, però lei era ai vertici. E con la Vollering di là, ci sarà un bello scontro. La SD Worx ha perso anche Fisher Black che secondo me sarebbe stata molto utile nelle corsa tappe, però…

La presentazione del Tour Femmes è stata condotta da Marion Rousse e Christian Prudhomme
La presentazione del Tour Femmes è stata condotta da Marion Rousse e Christian Prudhomme
Secondo te Realini è troppo leggera per questo Tour 2025?

E’ sempre una salita, magari non estrema, ma è lunga. Può dipendere dal modo di prenderla e dalle tattiche delle squadre, per cui credo che adesso tutti aspettino anche il percorso del Giro per capire anche come andare al Tour.

«Il ciclismo cresce solo se divide gli utili»: la voce di Guercilena

28.10.2024
8 min
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Nel ciclismo che cerca un nuovo sistema di business, le parole pronunciate qualche giorno fa da Brent Copeland hanno prodotto la reazione di Luca Guercilena, team manager della Lidl-Trek. Il ciclismo che si spinge verso vertici prestazionali clamorosi vive di contraddizioni commerciali e strutturali da mani nei capelli. In questo quadro così… arabo, mettersi a ragionare di salary cap, budget cup o di un sistema che limiti i punteggi delle squadre può suonare da un lato necessario dall’altro probabilmente poco utile per sciogliere i tanti nodi.

Luca, proviamo a capire cosa sia oggi il ciclismo?

Uno sport legato ai controsensi. Prima di pensare di introdurre cap e limitazioni, bisognerebbe mettere mano al modello di gestione in generale. Se analizziamo quali sono gli sport che hanno un cap, vediamo che sono riconducibili a delle leghe professionistiche. Significa che le parti sono all’interno di un’unica società che produce profitto per tutti. Un sistema in cui i proventi dei diritti – televisivi, commerciali, merchandising e quant’altro – vengono suddivisi secondo dei criteri ragionati tra tutte le parti del movimento. Nel nostro caso sappiamo benissimo che non è così, quindi il discorso di introdurre dei cap per favorire o sfavorire qualcuno non porta nessun bilanciamento, ma soprattutto non porta beneficio alle casse delle squadre. Se limitiamo la prima squadra WorldTour, secondo voi l’ultima ne ha un beneficio reale in termini economici? Può solo sperare di acquisire un atleta di livello superiore a quello che potrebbe permettersi un prezzo probabilmente nemmeno calmierato.

Luca Guercilena, 51 anni, è il team manager della Lidl-Trek
Luca Guercilena, 51 anni, è il team manager della Lidl-Trek
Quindi pensi che sarebbe logico o comunque funzionale al discorso creare una sorta di lega in cui tutti partecipano con diritti e doveri proporzionali alla loro dimensione?

Assolutamente, anche perché quello che noi tanto osanniamo come sistema aperto in realtà è già un sistema chiuso. Basti pensare che se uno vuole entrare nel WorldTour, può comprarsi una licenza esistente oppure, partendo dalla categoria professional, non ci arriverà prima di sei anni. A questo punto mi chiedo perché non abbia senso fare la valutazione di un modello di business molto più simile alla Formula 1 o agli sport americani, dove la suddivisione degli introiti è gestita da un ente unico.

L’unico ente che mette le mani nelle tasche di tutto è proprio l’UCI…

Penso che lo stesso problema che viviamo noi come squadre lo vivano le federazioni. Ho letto recentemente di polemiche abbastanza accese sulle spese che le nazionali hanno sostenuto in Australia e quelle che sosterranno in Rwanda. Di conseguenza, se abbiamo costantemente questa divisione, far crescere il movimento è complicato. E far crescere non significa avere manager capaci di far innamorare gli sponsor del nostro sport, ma di creare un sistema di investimenti che abbiano un ritorno che non sia esclusivamente la visibilità.

Secondo te c’è la volontà da parte di tutti che il sistema cresca?

Mi sembra evidente che ognuno difenda il proprio orticello. Gli stessi benefici e gli svantaggi che potrebbero derivare da un sistema dei cap vengono spiegati sommariamente. Basti pensare che tutti parlano di budget cap e raramente si è parlato di budget floor, che è un’altra delle componenti fondamentali quando si parla di budget cap. Quindi una quota di ingresso che normalmente non è inferiore al 90% del budget cap. Questo vuol dire che se si fa un’ipotesi di 100 come budget cap, vuol dire che una squadra che voglia fare parte del sistema minimo debba mettere 90. Si fa così proprio per assicurare la competitività, per cui la differenza tra il massimo e il minimo sarebbe veramente ridotta. Se invece le differenze sono enormi, il sistema sarà sempre in crisi. E renderà possibile che una squadra spenda una fortuna per prendere un corridore e dopo due anni sia costretta quasi a chiudere.

La Red Bull-Bora sarà nel 2025 la squadra con il budget più alto (foto JM Red Bull-Bora)
La Red Bull-Bora sarà nel 2025 la squadra con il budget più alto (foto JM Red Bull-Bora)
Su quale ipotesi si sta ragionando?

La proposta attuale è di mettere il budget cap a 50 milioni, quindi credo che la squadra che ne abbia di più attualmente sia la Red Bull con 52. Nel corso di 5-6 anni, tenendo sempre fissa la soglia dei 50 milioni, il beneficio dell’ultima squadra WorldTour, che in questo momento ha un budget di  12 milioni, arriva a 15. Mi spiegate, quando questi arrivano a 15 milioni e quelli ne hanno ancora 50, cioè tre volte e mezzo, che equità hai creato? Non dovrebbero neanche essere nel WorldTour. Se infatti applichi il cap a 50 milioni come in tutte le altre leghe, vuol dire che devi avere almeno 25 milioni per essere nel World Tour, se no non ci stai. E’ la legge di mercato. Anche se gli organizzatori ne sono fuori…

Fuori dal sistema?

Perché a loro queste cose non vengono mai chieste? Non devono presentare un bilancio, non devono presentare niente. Basta che facciano l’iscrizione al calendario e rispettino il fatto che ti danno l’albergo o anche niente e sono a posto. Per lo stesso concetto dovresti dire che i ragazzi del Tour de France non possono spendere più di 100 milioni e con gli altri creiamo un sistema di condivisione per cui traggano benefici. L’UCI dice che sono due lavori diversi, mi sta bene. Allora però trovo illogico che facciano una commissione in cui ci sono anche loro e siano chiamati a decidere come io devo spendere i miei soldi. Io non ho potere di decidere come loro spendono le loro risorse e loro entrano nella mia economia? Se io dimostro di avere più capacità di un collega o più fortuna, perché un organizzatore deve venirmi a dire a me come devo spendere i miei soldi?

Avrebbe senso ragionare sin da subito di una regolamentazione per l’ingaggio di nuovi talenti, come nel draft del basket americano?

Certo, il concetto è che a lungo termine, se ci fosse un modello di business rivisto completamente, l’ideale sarebbe avere un sistema di drafting all’interno delle squadre continental. Dovrebbe essere un ranking individuale e di squadra e il livello superiore dovrebbe autotassarsi attraverso gli sponsor di un sistema Lega, per dare dei benefici alle squadre inferiori da cui provengono i giovani talenti. Quindi l’atleta individuale farebbe parte di un ranking e le squadre che producono talenti a quel punto devono essere rimborsate per quello che è il loro valore effettivo. Se ci fossero le clausole di uscita chiare e definite dall’UCI, se il valore dell’atleta fosse realmente vincolato al sistema di punteggio e se per questo avesse un valore reale economico, sicuramente si potrebbe già applicare adesso. Ma se tutto dipende dalle mie capacità di trovare gli sponsor, il sistema parte già con delle fondamenta molto sbagliate.

Gianni Savio e la Androni sono riusciti per primi a percepire un “premio di valorizzazione del talento”
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Nelle leghe professionistiche qual è l’impatto degli sponsor?

Al massimo nel bilancio del team rappresentano il 15%, noi invece siamo al 95%. Quindi mi chiedo perché vuoi limitare la mia capacità di creare profitto? Al momento tutto dipende esclusivamente dai soldi che io riesco a trovare all’interno del mercato e come io riesco a renderli redditizi attraverso il risultato.

Forse più che limitare i budget e la capacità di trovare risorse si potrebbe intervenire tecnicamente per evitare che una squadra abbia un accumulo di corridori con tanti punti?

La realtà dei fatti è che in questo momento tutto nasce dal fatto che abbiamo un fenomeno. Se togliessimo alla UAE Emirates il punteggio di Pogacar, alla fine tutte le classifiche e anche il numero delle vittorie sarebbero uguali, né più né meno che prima. C’è la balzana idea che la UAE stia ammazzando il ciclismo, io ho sempre ragionato in modo diverso, anche quando non avevamo un budget consistente. Noi dobbiamo dimostrare di essere capaci di fare, perché così quando arriverà il supporto economico, avremo tutte le basi per fare passi ulteriori. Credo che questo sia lo spirito con cui si debba affrontare il ciclismo attuale, perché lamentarsi degli altri che hanno più soldi è sempre comunque relativo. E poi forse occorre distinguere bene fra ciclismo professionistico e resto del movimento.

In che senso?

A mio parere la riforma andrebbe fatta a 360 gradi. Il ciclismo professionistico dovrebbe essere regolamentato attraverso un sistema molto simile alle leghe professionistiche, non possiamo essere sempre vincolati a regolamenti che poi devono andare bene per gli juniores, gli allievi e gli esordienti. Se si vuole definire uno sport professionistico, bisogna rifarsi ai parametri delle leggi del lavoro.

Richard Plugge, manager della Visma-Lease a Bike, ha più volte parlato di una Superlega per bypassare il blocco dell’UCI
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Credi sia possibile?

Quando nel 2005 è partito il ProTour, un minimo di forma strutturata era stata creata. Adesso si tratta di continuare a seguire quella linea, però come sempre tutto dipende dalle persone. Nel momento in cui ci sono le persone e ruoli di potere che hanno una visione di questo tipo, allora la cosa potrebbe anche nascere in tempi relativamente brevi. Nel momento in cui la visione è sempre vincolata al fatto che siamo lo sport del passaggio della borraccia, allora resteremo sempre al palo rispetto alla Formula 1, rispetto al tennis, rispetto all’NBA e alle altre leghe, nonostante abbiamo dei numeri di partecipazione elevatissimi.

Secondo Luca Guercilena un modello così ridisegnato rende più attrattivo il ciclismo anche per sponsor che dovessero entrare o darebbe più stabilità alle società?

Entrambe le cose. Ci sarebbe un modello che prevede un senso comune della creazione di profitto. Alla fine sarebbe un beneficio di tutti, per cui l’UCI potrebbe andare da grossi sponsor come Apple oppure Visa, proponendo di sponsorizzare il suo calendario, mettendo sul piatto l’unicità del gruppo e della sua narrativa. Ma siccome l’UCI prende i voti da tanti organismi diversi, federazioni e atleti, la sensazione è che gli interessi mantenere questa suddivisione e lotta interna tra organizzatori e squadre. Divide et impera, è sempre andata così.

Pensi che la Superlega auspicata da alcuni manager sia una soluzione possibile?

Secondo me ci sarebbero i margini di operare all’interno del frame dell’UCI, con dei regolamenti adeguati e accettabili, senza nessuna Superlega. Con un modello di business nuovo dove, ripeto, non si devono rubare i diritti agli organizzatori, ma creare nuovi sistemi perché tutti abbiamo profitto. Questo sarebbe lo sforzo reale e probabilmente tramite investitori esterni ci sarebbero anche i margini per poterlo fare. Però ripeto: se si vuole operare negli ambiti istituzionali, lo sforzo deve venire dall’istituzione. Dovrebbero capire loro per primi la portata della riforma.