Giaimi, 6 anni di contratto: strada, pista, Parigi e i mondiali 2029

05.01.2024
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Seduto da solo a tavola nel giorno in cui la stampa ha preso d’assalto il ritiro del UAE Team Emirates, Luca Giami osservava curioso e forse anche frastornato il movimento attorno a sé. Per questo ci siamo seduti con lui iniziando una chiacchierata che ci ha permesso di aprire la porta sulla sua situazione, più unica che rara, di un lunghissimo contratto di sei anni. Il primo a esserne sorpreso è parso proprio lui. Infine, lo abbiamo risentito anche ieri, durante il ritiro con la nazionale a Montichiari. E Giaimi ha fatto con noi il punto della sua situazione.

«Sicuramente – sorride Giaimi, in apertura in azione agli ultimi europei juniores – un contratto così lungo comporta meno stress legato alla scadenza, ma sento un po’ la pressione di dimostrare che me lo sono meritato. Addirittura me lo avevano offerto di 8 anni, ma ho scelto di firmare per 6. Sono contento e spero nei primi due anni di fare più esperienza possibile per arrivare pronto ai quattro successivi nel WorldTour. Abbiamo iniziato un bel percorso con diversi obiettivi e per arrivare a costruire il corridore che voglio essere: questa è una delle tipiche frasi di Matxin».

Il suo inverno è un continuo viaggiare. Prima il ritiro di Noto con la pista, poi quello spagnolo con la UAE Emirates GenZ (questo il nome del devo team). Due giorni a casa e subito a Montichiari fino a Natale. Tre giorni a casa e di lì nuovamente a Montichiari preparando gli europei che inizieranno mercoledì prossimo.

Luca Giaimi, classe 2005, è con la UAE Emirates da quest’anno con un contratto di 6 stagioni (foto Fizza)
Luca Giaimi, classe 2005, è con la UAE Emirates da quest’anno con un contratto di 6 stagioni (foto Fizza)
Cosa ti intriga di più in questo momento, la pista o la strada?

Non vedo l’ora di iniziare la stagione su strada a Le Samyn con la squadra WorldTour. L’ho sempre sognato. Probabilmente sarà dura, ho un po’ di soggezione, però non vedo l’ora. Immaginavo una situazione come questa, ma credevo che avrei iniziato con il devo team e semmai più avanti avrei provato con i pro’. Invece farò l’esatto contrario.

Come è andato il ritiro?

Purtroppo ho avuto un grosso problema con l’inglese, fortunatamente nel team si parlucchia italiano. Alla fine però riuscivo a capire cosa dicevano e a volte anche ad esprimermi. Non vedo l’ora di tornare in gruppo per imparare ancora. Per il resto, l’esperienza di un ritiro con la squadra WorldTour è nettamente diversa da qualsiasi altra a livello di allenamenti, preparazione e gruppo. La UAE Emirates ricorda molto una squadra italiana a livello di socialità. Al contempo trasmette la serenità e la familiarità dei grandi team.

Hai raccontato di aver dovuto modificare la posizione in bici per il cambiamento delle regole sulle leve dei freni…

Vero, la mia posizione è cambiata abbastanza, perché sul fronte delle leve interne io ero uno di quelli più estremi. Col biomeccanico abbiamo scelto di cambiare il manubrio, mettendone uno molto più stretto. Da 37 nella parte alta e 42 nella parte bassa, come uno da gravel. Hanno fatto così anche altri corridori della WorldTour, con la parte bassa dell’impugnatura più larga rispetto alla parte alta. E’ l’ideale. Quando sei con le mani in alto, spingi in presa più areodinamica e riesci a guadagnare parecchio. Invece nelle fasi di spinta massimale, come nelle volate, hai una presa migliore e guadagni in guidabilità anche in discesa. Facendo così, sono riuscito a mettere le leve in asse rispetto al manubrio. Inoltre ho avuto qualche correzione della posizione, visti la nuova sella e il fondello.

Vista la limitazione UCI nella rotazione delle leve, Giami usa un manbubrio largo 37 sopra, 42 sotto (foto Fizza)
Vista la limitazione UCI nella rotazione delle leve, Giami usa un manubrio largo 37 sopra, 42 sotto (foto Fizza)
In cosa è cambiata?

Mi sono abbassato e col manubrio più stretto, specialmente nelle volate, quando sono in posizione massimale di spinta e quando la velocità è alta, riesco ad essere anche più aerodinamico. Dato che mi hanno abbassato leggermente la sella, riesco a sfruttare meglio la muscolatura posteriore delle gambe e questo è sicuramente un vantaggio.

Il tuo preparatore è Giacomo Notari, cosa te ne pare?

Giacomo segue tutti noi del devo team. E’ un’ottima persona e fin dal primo giorno mi ha seguito al meglio anche per la pista. Inoltre ho scoperto che, oltre a fare gli allenamenti in bici, si intende molto anche di palestra e mi ha organizzato delle sedute specifiche per la pista. Col fatto che si allena parecchio in bici e anche in palestra, unisce le competenze teoriche e quelle sul campo. Sono uscito dal ritiro con una gran bella condizione, che mi è stata molto utile in pista. Infatti mi sono subito buttato con i più grandi e avere una buona gamba ha contribuito a non prendere troppe bastonate. Ora sto cercando di affinare la tecnica e allo stesso tempo di migliorare la condizione fisica in vista degli europei.

Avrai degli obiettivi precisi?

Sarà difficile, però era giusto iniziare il prima possibile, per arrivare pronti agli altri obiettivi che avrò in stagione. Vado agli europei per fare esperienza, ma soprattutto per avere dei punti di riferimento. Capire a che livello sono e da lì costruire le basi per i futuri lavori su pista, che rimarrà nel mio orizzonte ancora a lungo. Uno dei motivi per cui il mio contratto si prolunga così tanto, è che nel 2029 i mondiali su pista si terranno ad Abu Dhabi nel velodromo che stanno costruendo.

Quinto nella crono agli europei juniores di Emmen, Giaimi utilizzava già materiale della UAE Emirates
Quinto nella crono agli europei juniores di Emmen, Giaimi utilizzava già materiale della UAE Emirates
Prima hai parlato di Matxin, i rapporti con la dirigenza della WorldTour ci sono?

La nostra squadra è impostata diversamente dalle altre devo team. Non vogliono definirla team di sviluppo, ci hanno detto che siamo il reparto giovani della WorldTour. Anche il nome è UAE Team Emirates GenZ. Io inizierò il calendario con la WorldTour e lo stesso faranno i miei compagni durante la stagione, ad Almeria o alla Valenciana e Skelderpijs. Poi nella seconda metà di stagione non ci saranno stagisti, ma toccherà a noi fare esperienza.

Quali altre corse farai?

Dopo Le Samyn, andrò in Croazia a fare Porec e l’Istrian Spring Trophy. Poi dovrei tornare in pista per una Coppa del mondo, in modo da avere i punti per un’eventuale partecipazione olimpica. Ad aprile il Giro del Belvedere, il Palio del Recioto e il Trofeo Piva. A giugno il Giro Next Gen e a fine stagione corse con i professionisti, come il Giro della Toscana, la Coppa Sabatini, il Memorial Pantani, la Parigi-Tours e il Gran Piemonte, che magari per la WorldTour non sono corse grandissime, ma per noi sono davvero belle. E poi non so se ci saranno europei o mondiali su strada, perché quelli dipendono dalle convocazioni…

Bè, che dire, un grande calendario…

Di grossa qualità, anche se forse non quantità eccessiva. Tra un appuntamento e l’altro abbiamo anche periodi di stop e di preparazione. Ad esempio, tolto il Val d’Aosta, fra luglio e agosto abbiamo quasi un mese completo per allenarci in vista del finale di stagione. Capito perché non vedo l’ora di cominciare?

Storia di Del Toro, scoperta di Matxin: fino al 2026 con la UAE

02.01.2024
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LA NUCIA (Spagna) – Matxin ne sa una più del diavolo. Per cui quando gli altri sono convinti di aver trovato un talento su cui scommettere, lui c’era già arrivato. La sua rete di conoscenze è tale che raramente gli sfugge qualche nome, anche se ovviamente il mondo del ciclismo è ampio e le eccezioni possono sempre capitare. Il caso di Isaac Del Toro è lampante (foto Fizza in apertura). Quando il messicano ha vinto il Tour de l’Avenir, il suo telefono è impazzito per i messaggi di gente che non aveva mai sentito. Era sfuggito però che il ragazzino di Ensenada, tesserato con la AR Monex equipaggiata con bici Giant, corresse già su una Colnago del UAE Team Emirates.

E’ il 2 giugno e Del Toro arriva quarto al Trofeo De Gasperi. Ha già la bici Colnago (foto Instagram)
E’ il 2 giugno e Del Toro arriva quarto al Trofeo De Gasperi. Ha già la bici Colnago (foto Instagram)

La frattura del femore

Matxin e con lui Gianetti lo avevano adocchiato da più di un anno, quando ancora gareggiava nella mountain bike, e lo avevano assistito anche nel 2022 quando la frattura del femore poteva compromettere tutto.

«Se il giorno prima della caduta – racconta – mi avessero chiesto cosa sarebbe successo se un giorno mi fossi rotto il femore, avrei detto che sarebbe stata la fine. Mi stavo allenando con la squadra, quando sono scivolato sulla ghiaia e sono finito contro il guardrail di metallo. Nessuna frattura esposta, ma un male cane. All’inizio è stato frustrante, poi vedendo che miglioravo, ho capito che sarei tornato a fare quel che più mi piaceva.

«Quando ho cominciato a correre in Europa nel 2023, mi sembrava tutto molto complicato. Mi allenavo, ma non mi sentivo bene. Nell’ultima mezz’ora, 20 minuti di gara, era come se si spegnesse l’interruttore. Certi giorni arrivavo al traguardo depresso, perché sapevo di stare bene, ma non portavo a casa niente. Invece piano piano sono riuscito a crescere, avendo sempre avuto accanto persone che mi tenevano su di morale…».

Dopo la cronosquadre al Tour de l’Avenir, il passivo di Del Toro era già pesante (foto Edgar Mendoza)
Dopo la cronosquadre al Tour de l’Avenir, il passivo di Del Toro era già pesante (foto Edgar Mendoza)

Studi interrotti

Del Toro è un ragazzo simpatico, che racconta la sua storia con lo stupore di trovarsi nel ritiro della squadra numero uno al mondo. La sua vicenda l’avevamo accennata, quando lo vedemmo arrivare terzo al Giro della Valle d’Aosta. Era solo l’anticamera di quel che sarebbe successo di lì a poco sulle strade francesi e che ha portato Gianetti a gettare la maschera, facendolo firmare fino al 2026.

Lui racconta che suo padre andava in bici e i due figli provarono tutti gli sport, finché fu deciso che sarebbe stato ciclismo e per questo di lì a poco Isaac lasciò la scuola. Uno di quei casi su cui si può discutere a lungo: puntare tutto sullo sport quando non ci sono elementi per dire che finirà bene.

«Finché un giorno – dice – fu annunciata una convocazione per atleti che avessero voluto trasferirsi in Europa. Si trattava di correre su strada e furono fatti dei test. Oggi sono al quarto anno fuori dal Messico, ma devo dire che il primo approccio fu davvero duro per il diverso livello delle corse. In più si trattava di convivere nel modo giusto con un gruppo di corridori come me, quasi fossimo l’equipaggio di un sottomarino».

Del Toro (classe 2003) conquista il Col del Loze: inizia la rimonta al Tour de l’Avenir
Del Toro (classe 2003) conquista il Col del Loze: inizia la rimonta al Tour de l’Avenir

Capolavoro sull’Iseran

Dopo l’incidente e le difficoltà tecniche dei primi tempi, quello che arriva al Tour de l’Avenir è un Del Toro diverso. Il Val d’Aosta gli ha dato fiducia nei suoi mezzi. Il lavoro con un diesse come Piotr Ugrumov ha portato grande concretezza. Ha smesso di cadere tanto e si è scoperto forte in salita e anche in discesa. Eppure nella cronosquadre il Messico si piazza 23° su 27 squadre al via. Il distacco di Isaac è di 2 minuti. Eppure non c’è niente di ancora scritto.

Del Toro vince infatti l’arrivo durissimo al Col de la Loze, davanti a Riccitello, Piganzoli e Pellizzari. Il giorno dopo si fanno una crono al mattino e il Moncenisio al pomeriggio: perde in entrambi i casi e il suo ritardo al tramonto è di 56 secondi dall’americano. Ma il capolavoro è alle porte. Sfruttando l’Iseran dell’ultima tappa, infatti, nel giorno della vittoria di Pellizzari, Del Toro annienta Riccitello (magra figura per uno che ha corso un bel Giro d’Italia dei pro’) e conquista la classifica finale. 

«Ho sempre cercato di restare calmo – dice – concentrandomi solo su ciò che stava accadendo e che mi riguardava direttamente. Pensavo a restare fresco per essere lucido, spingere ogni giorno e tenere il gruppo sotto pressione nei momenti difficili. Andavo forte in modo che tutti fossero costretti a farlo. Non mi ero mai sentito così sicuro in bicicletta, ma ero anche preoccupato perché non sapevo se e quando quel famoso interruttore sarebbe scattato. Invece sono arrivato sino in fondo e ho vinto. E’ stata una grande liberazione, perché finalmente c’è stata la svolta che aspettavo».

Prime pedalate della nuova stagione in Messico, prima di venire in ritiro con la UAE in Europa (foto Instagram)
Prime pedalate della nuova stagione in Messico, prima di venire in ritiro con la UAE in Europa (foto Instagram)

Serve una squadra

Il telefono ha cominciato a squillare e la casella dei messaggi ad essere intasata. «Ho iniziato a ricevere messaggi e chiamate – sorride Del Toro divertito – da persone che non conoscevo, era davvero un caos. Onestamente non riuscivo nemmeno ad allenarmi. E così ho capito che avrei dovuto prendere una decisione.

«Ho iniziato a parlare con le varie squadre, ma non è stato facile. Vengo da un altro Paese, da un’altra cultura, da un altro continente e l’ultima cosa che voglio è sentirmi a disagio a così tanti chilometri dalla mia casa. Ho 20 anni e ho molto da imparare, per questo per ora ho deciso di firmare qui. Mi hanno dato l’attenzione di cui avevo bisogno e sono molto felice, perché credo di aver preso la decisione giusta. E’ fantastico poter mangiare ogni giorno allo stesso tavolo con tutti questi campioni».

Del Toro è nato a Ensenada (Messico) il 27 novembre 2003. Ha il contratto con UAE fino al 2026. E’ alto 1,81 (foto Fizza)
Del Toro è nato a Ensenada (Messico) il 27 novembre 2003. Ha il contratto con UAE fino al 2026. E’ alto 1,81 (foto Fizza)

Gli occhi del bambino

Però, nel fiume di parole che dice e che memorizziamo in attesa di raccontarle, l’ultimo colpo d’occhio su Del Toro parla di un ragazzino che per inseguire il sogno ha lasciato tutto ciò di cui avrebbe magari avuto bisogno per crescere in modo completo.

«Passiamo 11 mesi all’anno via da casa – dice – e lo facciamo con grande piacere, ma è comunque complicato. Sono fuori dal mio Paese e dalla mia città, non vivo con la mia famiglia, ma con persone fantastiche che diventano come fratelli. Però non è la stessa cosa. Sono sempre stata una persona molto concentrata e non ho mai pensato di fare nulla che non sia parte del ciclismo. Mi alleno, recupero e mi preparo per il giorno dopo. Il fatto di essere qui e di farlo in modo più professionale dà un senso ai tanti sacrifici e al fatto di aver dovuto colmare la differenza che c’è fra essere un giovane corridore in Europa ed esserlo invece in Messico. Ci sono differenze, ci sono ancora grandi differenze…».

Ulissi, 46 vittorie e una vita con gli stessi colori

26.12.2023
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LA NUCIA (Spagna) – Nel giorno in cui Pogacar annunciava il suo piano e Matxin lo descriveva, Ulissi osservava la scena con il pizzico di ironia tipica dei livornesi (in apertura, foto Fizza/UAE Emirates). Far parte della squadra numero uno al mondo è coinvolgente, aver concorso al primato con vittorie e punti è motivo di orgoglio, resta da capire come sia ritrovarsi ai margini delle grandi manovre.

Forse quello che aiuta Ulissi è il realismo che lo ha sempre accompagnato e lo ha tenuto lontano da scelte affrettate, come quella di cambiare squadra all’indomani di un bel risultato, attratto dalle proposte che spesso si fanno sotto come sirene. Un corridore come lui, che ha vinto per due anni di seguito il mondiale juniores, oggi sarebbe stato al centro di un mercato serrato. Quel che traspare conoscendolo è che il suo centro sia la famiglia (abbiamo parlato giusto ieri del terzo figlio in arrivo) e che il ciclismo sia il modo di conquistarsi un posto migliore nel mondo. Il suo punto di vista è venuto fuori parlando di Matteo Trentin, che ha la stessa età.

«Devi capire in che squadra sei – dice – devi anche capire che gli anni passano e in che squadra sei. Diventa sempre più difficile, però anche la scelta di Matteo la posso capire. Negli ultimi anni ha dimostrato di essere ancora un corridore molto forte e ritrovarsi in una squadra di giovani, potendo anche levarsi delle belle soddisfazioni, è una bella motivazione».

Diego Ulissi, classe, 1989, è pro’ dal 2010. Un metro e 75 per 63 chili, ha vinto 46 corse
Diego Ulissi, classe, 1989, è pro’ dal 2010. Un metro e 75 per 63 chili, ha vinto 46 corse
Tu sei rimasto sempre nella stessa squadra, come mai?

Semplicemente perché alla UAE Emirates ho trovato il mio ambiente ideale. Ho sempre fatto bene, non mi hanno fatto mancare niente e mi hanno sempre premiato. Sono rimasto sempre volentieri. Nel mio percorso ho trovato persone veramente speciali a cui sarò sempre grato. Prima Saronni, poi Gianetti e Matxin. 

Prima era Lampre, poi è diventata UAE Emirates.

Quando c’è stato il passaggio, chiaramente ho dovuto prendere delle decisioni. Però ci conoscevamo e con Matxin avevo già lavorato quando era direttore sportivo alla Lampre. Insomma, non ho avuto alcun dubbio e la scelta mi ha premiato.

Ci sono state offerte che ti hanno fatto vacillare?

Certo che ci sono state, soprattutto quando ero più giovane. Però non ho mai vacillato, anche se venivano dalle squadre più forti che c’erano in quel momento. Però in questo ambiente ci stavo benissimo e a quel punto il mio sogno è diventato arrivare a fine carriera con gli stessi colori. Mi sono messo nelle condizioni di riuscirci. Ho sempre fatto tutto bene, sono venute vittorie e punti e la squadra me lo ha riconosciuto.

Nei primi anni da pro’, Ulissi ha avuto la fortuna di avere accanto un tecnico come Maini
Nei primi anni da pro’, Ulissi ha avuto la fortuna di avere accanto un tecnico come Maini
Nel frattempo la squadra si è riempita di giovanissimi: l’età media è molto bassa.

E’ vero. Majka, Laengen ed io siamo del 1989 e siamo i più vecchi. Però è un valore, è importante mettere la mia esperienza al servizio di questi giovani. Ci parlo molto durante gli allenamenti e nei momenti di riposo. Sono anche io a loro disposizione.

I corridori più maturi dicevano che più passa il tempo, più ci si deve allenare. E’ ancora vero?

Per fortuna un po’ è cambiato, perché con i nuovi allenamenti non c’è più l’esigenza di fare tante ore: si punta sulla qualità, ma è normale che devi stare più attento. Dallo stretching alla palestra, facendo tutti i lavori che ti mantengono vivo. Piuttosto è vero che non conviene fermarsi troppo a lungo a fine stagione, perché ritrovare il ritmo diventa più difficile. Ai primi anni da professionista, stavo anche un mese e mezzo senza bici, adesso non stacco mai per più di tre settimane. E ho la fortuna che non ingrasso più di tanto.

Quest’anno nel tuo calendario non ci sarà il Giro d’Italia.

Farò un calendario differente rispetto alle scorse stagioni. Nessun grande Giro, perché mi concentrerò sulle classiche Monumento a partire dalla Sanremo, poi la campagna delle Ardenne. E farò altre gare, alla ricerca di punteggi che dal prossimo anno tornano decisivi.

Con Pugacar al Giro, il programma di Ulissi è cambiato, spostandosi sulle grandi classiche
Con Pugacar al Giro, il programma di Ulissi è cambiato, spostandosi sulle grandi classiche
Quindi l’assenza dal Giro non dipende dalla presenza di Pogacar?

Il discorso non è questo, anche perché negli ultimi anni c’era Almeida e ho lavorato bene per lui. Matxin ha pensato a questo programma, dicendo che posso fare risultato e non avrebbe senso portarmi alle corse per tirare. Per me va benissimo, non ho alcun problema.

Quanto conta il discorso dei punti? 

Tantissimo, è molto importante, sia per le squadre di alta classifica sia per quelle di bassa. E’ un aspetto che nel corso degli anni è cambiato. Prima si puntava molto di più a determinate gare. Chi preparava i grandi Giri, chi le classiche e cercava di arrivare all’obiettivo al 100 per cento. Adesso invece devi cercare una condizione più continua, per essere ad alto livello tutto l’anno

Avete festeggiato la vittoria del ranking?

Abbiamo cominciato nel ritiro di Abu Dhabi e abbiamo proseguito qua. Abbiamo ripercorso la stagione. Siamo i primi al mondo ed è una grande soddisfazione per noi e per i nostri capi.

Nel 2023 per Ulissi è venuta la vittoria di tappa al Tour of Oman, sul traguardo di Yitti Hills. Ha chiuso il 2023 con 719 punti UCI
Nel 2023 per Ulissi è venuta la vittoria di tappa al Tour of Oman, sul traguardo di Yitti Hills. Ha chiuso il 2023 con 719 punti UCI
Per come lo conosci, che cosa c’è da aspettarsi da Pogacar al Giro?

Tadej è un corridore sempre alla ricerca di nuove sfide e di nuovi stimoli. Negli ultimi anni correre in Italia gli è sempre piaciuto. L’ambiente italiano gli va a genio, ha vinto due volte la Tirreno, è stato protagonista alla Sanremo, ha vinto per tre volte il Lombardia. Penso che per come è disegnato il Giro d’Italia, proverà certamente a vincerlo.

E poi il Tour?

Intanto il Giro, poi si vede. Insomma, come si dice? L’appetito vien mangiando…

L’anno delle meraviglie: il 2024 di Pogacar letto con Matxin

22.12.2023
4 min
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LA NUCIA (Spagna) – Per rafforzare la scelta di Pogacar e inquadrarla nella strategia del UAE Team Emirates, nello stesso pomeriggio in cui lo sloveno ha spiegato la partecipazione al Giro, Joxean Fernandez detto Matxin ci ha messo la faccia

«E’ la prima volta che Tadej affronterà due grandi Giri nella stessa stagione – dice lo Sports Manager della squadra, in apertura sulla destra con Gianetti e Agostini – ha 25 anni e siamo dell’opinione che sia pronto per questa sfida. So bene di aver detto in passato che sia molto difficile o quasi impossibile vincere il Giro e il Tour nello stesso anno, ma abbiamo ridisegnato la stagione, decidendo di non partecipare alle corse sul pavé. Tadej è il miglior corridore che abbia visto nella mia carriera, ma l’unico modo per arrivare in forma al Giro e tenerla per il Tour è non correre troppo nei primi mesi dell’anno. Al Giro arriveremo con una decina di giorni di gara e in ognuna di queste correremo per vincere».

La UAE Emirates è stata già suddivisa fra Giro e Tour: programmazione a lunga scadenza
La UAE Emirates è stata già suddivisa fra Giro e Tour: programmazione a lunga scadenza

Il gruppo del Giro

La stagione di Pogacar inizierà alla Strade Bianche. Da lì si sposterà alla Sanremo, ignorando Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico. Ci saranno poi il Catalunya e la Liegi. E’ stato già definito anche il gruppo dei corridori che scorteranno Pogacar, prima al Giro e dopo al Tour. Correranno con lui al Giro Grosschartner, Majka e Vine, con Novak e Bjerg, più Molano e Rui Oliveira, che si dedicheranno alle volate.

«Non faremo neppure il Fiandre – spiega Matxin – nonostante sia la sua corsa preferita. Lo ha deciso Tadej per primo ed è stato frutto del ragionamento dell’ultimo anno. Abbiamo considerato tutti gli aspetti, cercando di individuare il programma più equilibrato. E’ la prima volta da anni che ci sono più di quattro settimane fra le due corse e per questo penso che sia l’occasione perfetta. Per cui abbiamo valutato di non fare ritiri in altura nell’avvicinamento al Giro, ma di farne uno prima del Tour. Tadej dovrà arrivare al Giro senza aver già stressato il suo corpo. Solo avremo la freschezza necessaria per arrivare fino alle Olimpiadi».

Nonostante quest’anno abbia vinto il Fiandre, Pogacar ha rinunciato alla difesa del titolo
Nonostante quest’anno abbia vinto il Fiandre, Pogacar ha rinunciato alla difesa del titolo

Fino al Lombardia

Quel che sorprende è la ricchezza degli obiettivi. Probabilmente chiunque dopo Sanremo, Liegi, Giro, Tour e Olimpiadi, penserebbe alle vacanze. Invece Pogacar tirerà il fiato per quel che potrà, poi rientrerà alle gare in Canada e da lì farà rotta verso i mondiali di Zurigo (che almeno sulla carta si adattano alle sue caratteristiche) e il Lombardia. Quello che ancora fa pensare è che lo scorso anno la sconfitta del Tour fu attribuita alle troppe corse di primavera: in che modo il Giro prima del Tour non costituisce un eccesso di impegno?

«E’ complicato vincere due grandi Giri nello stesso anno – dice ancora Matxin – ma non impossibile. Tadej è uno dei corridori per cui questo è meno complicato. Credo che con il suo carattere e la sua personalità possa farcela. Lui è quello speciale. Se non fosse così non avrebbe già detto che per lui Giro e Tour hanno lo stesso valore». 

Il Giro avrà due crono lunghe, due banchi di prova importanti per Pogacar
Il Giro avrà due crono lunghe, due banchi di prova importanti per Pogacar

Giro senza italiani

Quando gli facciamo notare che per la prima volta dalla sua fondazione, il UAE Team Emirates non avrà corridori italiani al via del Giro d’Italia, Matxin fa uno switch dallo spagnolo all’italiano e spiega perché Covi e Ulissi non saranno al Giro d’Italia.

«I corridori che verranno al Giro – spiega lo spagnolo – sanno di dover tirare per Tadej. E penso che abbia più senso che a farlo siano corridori che abbiamo preso per questo, piuttosto che altri più vincenti che altrove possono puntare a vincere altre corse. A Ulissi e Covi offriremo la possibilità di lottare per fare risultato in altre corse del calendario, per valorizzarli al meglio delle loro possibilità».

Infine, prima di andarsene, Matxin sciorina anche la formazione del Tour de France, in cui attorno a Pogacar correranno João Almeida, Adam Yates, Juan Ayuso, Pavel Sivakov, Marc Soler, Nils Politt e Tim Wellens. A questo punto, scoperta la strategia di Pogacar, il sogno di ogni tifoso sarebbe che Vingegaard raccogliesse la sfida. Non sarebbe strepitoso avere il danese al via del Giro?

Da Sivakov a Christen, la UAE del presente e del futuro

19.09.2023
5 min
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La Vuelta è appena finita, la stagione ancora no, ma con Joxean Fernandez Matxin, general manager
e direttore sportivo della UAE Emirates, già guardiamo al 2024.
La sua squadra sta continuando quell’evoluzione che il team principal Mauro Gianetti ci aveva detto un paio di anni orsono: migliorare per diventare i numeri uno.

Per George Bennett, Pascal Ackermann, Matteo Trentin… che salutano ci sono Pavel Sivakov (in apertura alla Coppa Sabatini col futuro compagno Hirschi), Filippo Baroncini, Antonio Morgado, Nils Politt e Igor Arrieta che arrivano. E il mercato non è chiuso.

Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates
Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates
Joxean, la UAE Emirates continua a crescere. Come andate verso il 2024?

Quel che vogliamo è essere protagonisti al livello mondiale con più corridori e in più gare. E’ per questo che avevamo Adam Yates negli Stati Uniti e poi in Canada, Ayuso e Almeida alla Vuelta, Pogacar e Hirschi in Italia…  Per noi è importante il bilancio tecnico/sportivo. E c’è spazio per tutti. Poi è chiaro che quando c’è Pogacar, la squadra è per lui. Così come è chiaro che usciamo da una Vuelta e una stagione in cui i Jumbo-Visma hanno fatto primo, secondo e terzo e vinto tutti e tre i grandi Giri. Loro hanno due dei tre corridori più forti al mondo del momento, l’altro è il nostro.

Partiamo da Sivakov, tra gli atleti della vostra campagna acquisti molto in vista in questo momento visto come si è comportato tra Giro di Toscana e Memorial Pantani. Che prevedete per lui?

Come detto, ci sarà spazio anche per lui. Avrà le sue corse. Ma all’occorrenza sarà per la squadra. Abbiamo tanti e tutti capitani.

Esatto: ormai per essere una squadra forte servono tutti “capitani”. E’ anche per puntare alla classifica UCI?

Quello è un nostro focus. Certo, la Jumbo-Visma in questa Vuelta ha fatto un record assoluto di punti presi in un solo grande Giro. Credo che ne abbia presi 3.000. Noi siamo stati la seconda squadra con mille punti: pensate che differenza. Prima di questa corsa avevamo 2.600 punti di vantaggio, ora siamo lì.

Passiamo agli altri ragazzi. Morgado e Arrieta, sono molto giovani…

Perché in questo nostro progetto noi guardiamo anche alla crescita. Loro saranno i capitani del futuro. Servono corridori pronti come i Sivakov e i Politt, ma anche atleti di prospettiva. Ma quando dico futuro, dico un futuro vicinissimo. Parlando dei due atleti, tecnicamente sono due profili diversi. 

Il “vecchio” Pogacar con lo svizzero Jan Christen (classe 2004) stagista della UAE Emirates alla Coppa Sabatini
Il “vecchio” Pogacar con lo svizzero Jan Christen (classe 2004) stagista della UAE Emirates alla Coppa Sabatini
Spiegaci meglio…

Arrieta è uno scalatore spagnolo, non dico come Ayuso, ma non è molto lontano da quel livello. Sono convinto che il prossimo anno farà un grande salto di qualità. Morgado ha una classe mondiale, che può andare bene su più terreni. Ma penso anche allo svizzero Jan Christen. Va in mtb, ha vinto un europeo, può vincere una volata quasi di gruppo e andare forte in salita, fa pista… Capite quando parlo di futuro? Gli abbiamo fatto un contratto fino al 2028. Quando scegliamo un ragazzo è perché ci crediamo.

E Baroncini?

Anche lui avrà il suo spazio e in più occasioni. Filippo potrà essere un corridore molto, molto importante per le classiche. In lui crediamo molto e anche per lui vedo un grande salto di qualità il prossimo anno. Sentirà la nostra fiducia.

Quindi atleti giovani, profili di spicco e dei “capitani” che si mettono a disposizione: la Jumbo-Visma ha fatto alzare l’asticella?

Sì, ma credo che anche noi abbiamo fatto migliorare loro e li abbiamo fatti essere più competitivi. Penso a un grande campione come Roglic per esempio. Dopo il Giro non lo hanno portato al Tour ma lo hanno fatto recuperare in vista della Vuelta. Non era possibile dopo un Giro tanto duro averlo al livello necessario per il Tour.

Quindi anche loro si sono dovuti fare i calcoli…

Il discorso del livello di competitività è reciproco. Riporto la classifica UCI, noi e la Jumbo siamo sul filo dei 27.000 punti, la terza, la Ineos-Grenadiers, ne ha 16.000. Un gap enorme, quasi il doppio.

“Tutti capitani”: corridori fortissimi e vincenti in ruolo di gregari per UAE e Jumbo. Anche per il 2024 sarà così
“Tutti capitani”: corridori fortissimi e vincenti in ruolo di gregari per UAE e Jumbo. Anche per il 2024 sarà così
Torniamo al volto 2024 della UAE. Con il saluto di atleti come Ackermann e Trentin ci si sposta sempre più sulle corse a tappe?

No, attenzione, Trentin: non era solo per le gare di un giorno, Matteo era al Tour. E lo scorso anno non lo ha fatto solo perché aveva il Covid. E’ uno dei corridori più forti e intelligenti del gruppo, non volevamo perderlo, ma gli hanno fatto una proposta di tre anni e alla sua età ci sta che l’abbia colta. Per quanto riguarda lo sbilanciamento sui grandi Giri, a ottobre saremo in Belgio tutti per il velocista Ackermann (nonostante vada via, ndr). Vogliamo essere competitivi in tutti i tipi di gara.

Domanda che in parte si lega ai programmi UAE 2024. Tra i big, Pogacar è l’unico che in stagione non ha ancora mai fatto il secondo grande Giro. Come mai? E avverrà il prossimo anno?

Partiamo dal fatto che se i Jumbo-Visma hanno vinto i tre grandi Giri, noi abbiamo conquistato la maglia bianca in tutte e tre queste gare. Significa che i nostri atleti sono giovani, non hanno 30 anni e il futuro è dalla nostra parte… Non farei dunque dei paragoni. Certo che Tadej può fare due grandi Giri nello stesso anno, ma prima ancora del risultato noi curiamo la carriera sportiva degli atleti. 

Vai avanti…

Almeida, per esempio, è un corridore molto importante, ma in questo momento a 24 anni, non ci sembrava giusto di fargli fare il Tour dopo il Giro. Intanto pensiamo al bilancio sportivo, al recupero, al rispetto della crescita dell’atleta e guardiamola in prospettiva. Come ho già detto prima, quando noi portiamo avanti un progetto con un corridore ci crediamo fino in fondo. Gli diamo fiducia con contratti anche di 6-7 anni.

Pogacar, stavolta la resa è totale. Cosa è successo?

19.07.2023
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COURCHEVEL – «Non lo so – dice Pogacar appena tagliato l’arrivo – è come se abbia cercato di mangiare il più possibile, ma niente andasse nelle mie gambe. Come se tutto rimanesse nel mio stomaco e dopo tre ore e mezza mi sia letteralmente svuotato. Ero davvero vuoto ai piedi della salita. Pensavo che avrei perso dell’altro terreno, ma ho continuato a lottare con Marc (Soler, ndr) fino al traguardo. Sono grato ai miei compagni di squadra e agli amici. Non sono andato male per la caduta, non fa così male. Oppure forse ha influenzato il mio corpo, non lo so. Penso che stavo meglio nella quinta tappa che oggi. E’ stato uno dei miei giorni peggiori sulla bici. Spero di riprendermi e di fare qualcosa di buono sabato prossimo. La squadra è stata fortissima, sarebbe comunque grandioso essere in due sul podio».

Il passivo dello sloveno è stato di 7’37” da Gall, 5’45” da Vingegaard
Il passivo dello sloveno è stato di 7’37” da Gall, 5’45” da Vingegaard

«Sono morto»

L’altiporto di Courchevel è un ribollire di giornalisti che spingono e inservienti che li allontanano. La fila dei tifosi sta riguadagnando la funivia verso valle, i corridori raggiungono il piazzale dei pullman.

C’è stato un momento a 14,5 chilometri dall’arrivo in cui Pogacar ha parlato con l’ammiraglia: «Devo mollare – ha detto – sono morto!». Il direttore sportivo ha capito e ha chiesto a Soler di restare con lui. A quel punto la resa è stata chiara per tutti.

«Abbiamo superato mille difficoltà – ha scritto qualche giorno fa il suo manager su Instagram – ballato con i coccodrilli per avere la speranza di correre il Tour. Adesso alla fine della seconda settimana sei andato oltre, stai lottando tappa dopo tappa per un nuovo grande traguardo. Le persone giudicano tutto in base ai risultati, ma dietro c’è molto di più».

La terza settimana ha calato la sua legge. Non è il tempo delle analisi, perché l’umore di Tadej è già abbastanza compromesso. Essere ancora qui a lottare dopo due mesi senza corse è già tanto, ma è chiaro che prima o poi si dovranno analizzare tutte le situazioni. E’ stato fatto davvero tutto il meglio? 

La crisi è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo, quando Tadej non ha più retto il passo del gruppo maglia gialla
La crisi è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo, quando Tadej non ha più retto il passo del gruppo maglia gialla

Poteva correre prima?

La crono ha scavato in profondità nella psiche del campione. Se già lo scorso anno ci chiedemmo come avrebbe reagito Pogacar alla prima sconfitta, questa volta c’è da capire per quanto tempo se la porterà addosso. Va bene che Tadej sembra impermeabile a tutto, ma un uomo dello staff UAE Emirates stamattina ha raccontato che per la prima volta da quando lo conosce, ieri sera lo ha visto rassegnato.

Perché Pogacar non ha corso fra la Liegi e il Tour? Volendo considerare il tempo più ampio per la guarigione dello scafoide, due mesi sono un intervallo assolutamente enorme. Non sarebbe stato opportuno portarlo a correre, permettendogli di costruire una condizione meno effimera di quella messa insieme andando a Sierra Nevada con la compagna e poi con la squadra a Sestriere? Prepararsi per vincere un Tour richiede che non ci siano passaggi a vuoto, che non si tralasci nulla. Pogacar è un capitale dello sport mondiale, un beniamino del pubblico per il suo modo generoso di correre, ma la costruzione di un Tour è ben altra cosa.

Vingegaard ha scavato ancora di più il solco. E all’arrivo ha risposto con grande calma ad alcune domande scomode
Vingegaard ha scavato ancora di più il solco. E all’arrivo ha risposto con grande calma ad alcune domande scomode

E’ mancato qualcosa?

Il crollo di oggi forse è stato causato dal contraccolpo nervoso dopo la crono. E’ vero che la prova di Tadej è stata eccellente, ma ciò non toglie che negli ultimi 4 chilometri la sua pedalata sia stata di un’agilità meno produttiva del solito, come scontando una stanchezza inattesa.

Dal momento dell’incidente, sarebbe servito probabilmente un piano più severo fino al Tour. Correndo anche il Giro di Slovenia, ad esempio, pur subendo distacchi ogni giorno. Non si può arrivare al Tour, sapendo che l’ultima corsa a tappe di stagione sia stata la Parigi-Nizza fatta a marzo. E’ vero che l’attitudine alla fatica non si perde, ma la sensazione è che mentre Vingegaard lavorava sodo e i suoi tecnici accanto a lui, nel clan della UAE Emirates qualcosa non abbia funzionato alla perfezione. E se nel momento massimo della sfida, sai che ti manca qualcosa, ti viene più facile rialzarti che gettare l’anima sulla strada.

Matxin ha reso merito a Vingegaard e raccontato la serata difficile di Pogacar
Matxin ha reso merito a Vingegaard e raccontato la serata difficile di Pogacar

Il momento del bisogno

Al pullman della squadra c’è Matxin che ci mette la faccia e forse ha ragione lui a dire che basterebbe riconoscere merito al rivale e voltare pagina. 

«Quando uno va più forte – dice lo spagnolo – devi riconoscerlo. Nessuno ha detto che Tadej sia sul tetto del mondo del ciclismo. Ci sono altri corridori che si allenano, fanno sacrifici e che hanno anche loro due gambe. Vingegaard è stato più forte in questo Tour, non servono altre spiegazioni. Non ha sbagliato nulla, è stato su un altro livello.

«Tadej è un ragazzo realista. Dopo il passivo di ieri ed essendosi accorto di non stare tanto bene, sapeva che non sarebbe riuscito a spaccare le ossa a tutti. Ieri sono andato in camera sua a dargli un abbraccio e un bacio. Volevo sapesse che nei momenti difficili ha Matxin al suo fianco, pronto per difenderlo. Sono momenti in cui dobbiamo sapere quali sono le persone su cui contare. Negli altri momenti, tutti sono capaci di stargli accanto e chiedergli la foto».

Come corre adesso la UAE Emirates? Risponde Matxin

02.07.2023
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La corazzata Jumbo-Visma e il campione uscente Jonas Vingegaard fanno paura, ma Joxean Fernandez Matxin (sports manager del UAE Team Emirates) è sicuro che i suoi uomini daranno filo da torcere ai gialloneri e lo dice senza peli sulla lingua. Ieri Pogacar e Vingegaard (foto di apertura) si sono appena punzecchiati. Nella breve visita nel ritiro di Sestriere del team avevamo visto all’opera Rafal Majka, Marc Soler e i nuovi innesti targati 2023 Adam Yates e Felix Grosschartner.

Ora che Adam Yates ha conquistato tappa e maglia al Tour, l’abbiamo stuzzicato a più ampio raggio, dal podio del mese scorso di João Almeida al Giro d’Italia e su quanto di buono mostrato dall’astro nascente Juan Ayuso al Giro di Svizzera.

Matxin è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates: i tre giovani di casa li ha visti crescere
Matxin è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates: i tre giovani di casa li ha visti crescere
Come valuti la prima metà del 2023 del team?

Abbiamo visto tante cose interessanti, soprattutto da tre corridori che seguo da diversi anni e che godono della mia piena fiducia. Almeida lo conosco da quando è junior, così come Tadej, mentre Ayuso dalla categoria allievi. Sono ragazzi che ho visto crescere mentalmente e fisicamente. Almeida ha dato un segnale importante al Giro.

Lo rivedremo alla Vuelta?

Sì, l’idea è quella, così come Ayuso che avrà la corsa spagnola come focus della stagione. E’ un corridore in grande crescita e su cui puntiamo molto. 

Dunque, nessun problema di abbondanza?

No, perché tra tutti e tre, ovvero Tadej, João e Juan, c’è un rapporto fantastico. Li avete anche già visti insieme, soprattutto gli ultimi due, ad esempio alla Vuelta dello scorso anno. Ma anche Almeida e Pogacar, o Pogacar e Ayuso che hanno lavorato insieme a Sierra Nevada e fatto dei bei giorni di allenamento tranquilli da soli. Con le persone intelligenti è facile lavorare, senza problemi, e loro lo sono.

Ci racconti dell’avvicinamento anomalo di Tadej al Tour 2023?

Abbiamo fatto un programma iniziale un po’ diverso rispetto a quello che avevamo in mente, anche se le tempistiche erano simili. Già da gennaio abbiamo tolto l’altura che facevamo per il Uae Tour e, pur sapendo che questa era una corsa importante per la nostra squadra, l’abbiamo tolta per dare a gente come Ayuso e Yates la possibilità di farsi vedere. Soprattutto a quest’ultimo dovevamo dare un bello spazio, dopo averlo voluto fortemente in squadra.

Sarà lui l’ultimo uomo di Pogacar in salita?

E’ un corridore che può fare benissimo anche il leader. Insomma, un secondo capitano. Si è integrato bene, l’avete visto anche voi al Delfinato, non così lontano da Vingegaard, pur non essendo ancora nella miglior condizione.

Ha ancora voglia di imparare il britannico?

Tutti impariamo, anche io a 52 anni continuo ad apprendere qualcosa dai miei corridori, sia a livello professionale sia personale.

Secondo Matxin, Yates può essere anche un capitano aggiunto. Intanto è partito con tappa e maglia
Secondo Matxin, Yates può essere anche un capitano aggiunto. Intanto è partito con tappa e maglia
Tadej ti stupisce ancora?

Bè, tutti gli obiettivi che ti prefissi, con lui li riempi. E’ completo sotto tutti gli aspetti ed è capace di vincere in volata, a cronometro, in uno strappo, in una salita lunga, in pavé. E’ la perfezione fatta ciclista.

E umanamente?

E’ un ragazzo normale. Dirlo di lui può sembrare strano, però è così. Come Ayuso, con cui sono stato qualche giorno fa in Svizzera: sono corridori che vanno forte qualunque cosa facciano, perché fanno bene il loro lavoro. 

Avete segnato in rosso qualche tappa in particolare della terza settimana dopo i sopralluoghi?

Certo, ma ovviamente non vi dico quale (ride, ndr).

C’è qualche possibilità di vedere Tadej anche alla Vuelta?

Per ora, l’unico focus è il Tour, anche perché è stato un anno particolare. Ha fatto una prima parte di stagione fino alla Liegi, che era comunque l’ultima corsa di quel periodo anche senza la caduta, incredibile. Senza intoppi, avrebbe fatto o il Delfinato o il Giro di Slovenia in vista del Tour. Invece abbiamo cambiato il programma e deciso di puntare direttamente sui campionati nazionali (con il doppio successo, ndr) per dargli più recupero. Dovevamo fare i passi giusti.

La caduta della Liegi ha riscritto i piani di Pogacar, che ha ultimato la preparazione a Sestriere (foto Matteo Secci)
La caduta della Liegi ha riscritto i piani di Pogacar, che ha ultimato la preparazione a Sestriere (foto Matteo Secci)
Come sta adesso?

Bene, la sua condizione è in crescendo e abbiamo deciso, dopo Sierra Nevada, di spostarci al Sestriere anche per evitare di fare troppi viaggi. In Spagna, ha usato il tutore in bici da crono per non appoggiarla e non mettere pressione sulla mano, adesso lo usa e lo toglie, ha ancora l’abbronzatura del tutore, però la progressione è giusta, poi vedremo in corsa. 

La squadra è carica?

Abbiamo messo in chiaro già da diversi giorni prima dell’annuncio ufficiale chi avrebbe corso il Tour e chi sarebbero state le riserve. Abbiamo fatto un primo briefing a Sierra Nevada e poi un altro a Sestriere a cui hanno partecipato tutti i direttori sportivi. Abbiamo studiato le tappe che ci aspettano, la tattica con piano A, B e così via, ma anche i rivali che ci troveremo di fronte.

Sarà un Tour scoppiettante come lo scorso anno col duello Pogacar-Vingegaard a farla da padrone?

Credo sinceramente che abbiamo avversari importanti. Non possiamo nasconderci e si può dire che la rivalità sportiva con Vingegaard è molto forte e la sua condizione è importante. Però, non bisogna dimenticarsi che Tadej ha vinto parecchio (14 corse su 20 con le due nuove maglie di campione nazionale sloveno dello scorso weekend, ndr), lasciando pure vincere qualche compagno in alcune occasioni. Ci sarà da divertirsi.

Matxin presenta Christen: 18 anni, con il contratto fino al 2027

04.04.2023
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Joxean Matxin Fernandez è uno che ci ha sempre visto lungo. E quando ha notato quel giovane svizzero capace di emergere su qualsiasi bici montasse, ha deciso che fosse il caso d’investirci sopra. Jan Christen non è un corridore qualsiasi: ha appena 18 anni eppure ha già vinto titoli nazionali su strada, su pista, in mtb, nel ciclocross (dov’è stato anche campione del mondo junior). Ne ha parlato con il UAE TEam Emirates e così l’elvetico è già stato messo sotto contratto fino addirittura al 2027.

Una scelta inconsueta anche per il particolare ciclismo di adesso, alla perenne ricerca di talenti precoci. Su Christen i responsabili della squadra avevano messo gli occhi già da tempo, praticamente da quand’era ragazzino tanto da averlo fatto correre nel Pogi Team, struttura sportiva patrocinata da Tadej Pogacar. Tuttavia Mauro Gianetti, il CEO del team, all’atto dell’annuncio del suo ingaggio ha pensato bene di gettare acqua sul fuoco.

Jan Christen è nato ad Aargau (SUI) il 26 giugno 2004. Quest’anno è già stato 2° allo Umag Trophy
Jan Christen è nato ad Aargau (SUI) il 26 giugno 2004. Quest’anno è già stato 2° allo Umag Trophy

La Uae lo segue da sempre

«E’ un grande talento – ha detto Gianetti – e crediamo che abbia il giusto atteggiamento e le qualità necessarie per essere un valido membro del nostro team. Per prima cosa, si concentrerà per completare i suoi studi scolastici e nel contempo progredire gradualmente come ciclista. Non abbiamo fissato un momento per compiere il passo verso la squadra professionistica, non c’è fretta. Jan è ancora molto giovane e gli daremo tutto il supporto necessario, non mettendo alcuna pressione sulle sue spalle».

L’elvetico infatti è tesserato per Hagens Berman Axeon, una delle squadre più acclamate a livello U23, una scelta voluta anche da Matxin che lo segue con grandissima attenzione.

«Per me è uno dei migliori al mondo per la sua età – spiega – ha un enorme potenziale. E’ uno che va forte dappertutto, che può vincere in salita ma che è anche veloce, anche se non tanto da poter emergere negli sprint di gruppo. Forse questa è l’unica sua mancanza».

Matxin con Tadej Pogacar, che ha seguito direttamente gli inizi di Christen (foto Fizza)
Matxin con Tadej Pogacar, che ha seguito direttamente gli inizi di Christen (foto Fizza)
Che cosa ti ha colpito di lui?

E’ uno della nuova generazione, di quelli che non si fanno problemi a salire su qualsiasi tipo di bici. Trovatemi uno capace di vincere su strada, su pista, in mountain bike, nel ciclocross… Non c’è. E proprio per questo non voglio sentir dire quale può essere la sua specialità ideale. La verità è che è una domanda senza risposta, solo il tempo sa quale sarà.

Stupisce il fatto che su di lui sia stato fatto un investimento così a lunga scadenza…

Su ogni corridore bisogna fare un ragionamento diverso, non ci sono ricette univoche. Quando ho parlato con lui gli ho ricordato il caso di Ayuso, che è stato fatto crescere con calma, facendo i suoi dovuti passaggi nella categoria under 23 attraverso prove come Giro d’Italia e Tour de l’Avenir che sono stati passaggi fondamentali. Venire subito da noi non sarebbe servito alla sua causa, lavorare in un team continental gli servirà per crescere.

La sua più grande vittoria, il titolo mondiale juniores di ciclocross nel 2022
La sua più grande vittoria, il titolo mondiale juniores di ciclocross nel 2022
Il suo curriculum su strada non porta vittorie…

Attenzione a non commettere questo errore: alla sua età i risultati non dicono nulla. L’importante è migliorare costantemente le proprie prestazioni e non perdere il focus con la vittoria. Voglio che un concetto sia ben chiaro: alla sua età bisogna procedere con calma. Correre fra i pro’ ti fa sì fare esperienza, ma rischia anche di bruciarti. Affronti gente più esperta, che non conosci e non sai come va. Magari in una corsa vai anche bene, finisci 4° che sarebbe un risultato enorme, ma a cosa serve? Nessuno se ne accorge, nel ciclismo professionistico conta solo chi vince. Gareggiare fra i pari età, crescere, vincere serve molto di più.

Per questo avete scelto il team Hagens Berman Axeon?

Con Axel Merckx lavoriamo insieme da anni, siamo sempre in contatto, ho attraverso di lui un monitoraggio diretto sul ragazzo. Ho subito pensato a lui come all’interlocutore perfetto per questa scelta.

Il calendario lo decidete insieme?

Axel sa bene che cosa ci attendiamo dal ragazzo, ma poi le decisioni le prende lui in base alle esigenze del team. Non dimenticando che Jan ha anche impegni con la nazionale, quindi il suo calendario è calibrato in base alla sua età e alle sue esigenze. Nutriamo la massima fiducia in quello che fa il suo team.

Christen ha vinto il titolo nazionale anche nella mtb, battendo una concorrenza di altissimo livello (foto ZVG)
Christen ha vinto il titolo nazionale anche nella mtb, battendo una concorrenza di altissimo livello (foto ZVG)
Christen è ancora abbastanza sconosciuto dalle nostre parti. Ce lo puoi presentare?

E’ nato ad Aargau 18 anni fa, un corridore mentalmente vincente, che non ha paura e che su questa attività vuole investire tanto della sua vita. Ma non pensa solo al ciclismo: studia ingegneria e riesce a conciliare molto bene l’attività sportiva con lo studio, al quale tiene giustamente molto. E’ multilingue, ha anche una discreta competenza tecnica su tutto quel che riguarda la bicicletta.

Fisicamente?

E’ alto 1,82 per 62 chili di peso, un fisico asciutto che lo porta a emergere su vari tipi di terreno. Non mi stupisce che vada bene in ogni disciplina che fa.

Lo svizzero è sotto contratto con l’Hagens Berman Axeon per il 2023, poi dovrebbe passare alla Uae
Lo svizzero è sotto contratto con l’Hagens Berman Axeon per il 2023, poi dovrebbe passare alla Uae
Lo si può paragonare a qualcuno?

Chi mi conosce sa che non do mai risposte a questa domanda. Ogni corridore è qualcosa di unico, fare comparazioni sarebbe solo a suo danno perché l’altro sarebbe un corridore fatto e formato, che ha già vinto. E allora si potrebbe dire: «Ecco, quello ha vinto tanto e lui no». E poi io guardo alla storia: trovatemi un corridore multidisciplinare come lui. Ve l’ho detto: non c’è…

Corridore da corse a tappe o in linea?

Io dico che sicuramente è strutturato per essere un corridore da prove di più giorni perché sta acquisendo una grande resistenza e recupero, ma anche nelle classiche d’un giorno può dire la sua. E’ supercompleto, ma a me piace definirlo come un universo tutto da esplorare.

Matxin lancia la rincorsa UAE al tetto del mondo

30.12.2022
6 min
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Non si muove niente senza la benedizione di Matxin. Il UAE Team Emirates è una squadra molto strutturata. Gianetti è l’ammiraglio. Agostini opera fra logistica, marketing e comunicazione. Ma se c’è da parlare di corridori, non c’è nessuno come il basco di Basauri.

“Macho” è stato per anni capo di se stesso, nella veste di talent scout e conoscitore del ciclismo. Ha compiuto 52 anni il 20 dicembre e nella sua carriera ha portato fior di corridori in fior di squadre. Non faceva il procuratore: i team manager sapevano che, parlando con lui, al centro c’era l’atleta e non l’interesse di qualcuno che fosse interessato a venderlo. Gianetti lo ha tolto dal mercato e ha dato al team un valore aggiunto pazzesco. Nel frattempo Matxin ha continuato a tessere la rete dei contatti e nella sua scuderia si contano alcuni dei talenti più forti e meno conosciuti al mondo.

Lo abbiamo incontrato nel media day del UAE Team Emirates, quando è stato evidente che lo squadrone si sia rinforzato per reggere l’urto della Jumbo Visma.

L’arrivo di Adam Yates risponde alla necessità di rinforzare il comparto degli scalatori
L’arrivo di Adam Yates risponde alla necessità di rinforzare il comparto degli scalatori
Avete fatto le cose in grande…

Cresciamo, ci rinforziamo. Prendiamo il corridore più forte per bilanciare la squadra. Non è che prendiamo quattro corridori forti senza sapere dove metterli. Li prendiamo per metterli dove crediamo di averne bisogno. Cerchiamo di farli crescere a livello individuale, come ha dimostrato Pogacar. Con tutto il rispetto per i rivali, vogliamo diventare la squadra numero uno al mondo.

Ti ha sorpreso più che Tadej non abbia vinto il Tour o che Ayuso sia arrivato sul podio della Vuelta?

Sinceramente mi ha sorpreso più che Tadej non abbia vinto il Tour, nel senso che non mi aspettavo una sua giornata no, perché non ne aveva mai avute. Però può succedere. Come il primo anno che abbiamo vinto il Tour, quando lui ebbe una giornata super e Roglic una completamente negativa. Può accadere. Ovviamente quando viene a nostro vantaggio, sembra tutto più bello, quando accade al contrario fa male (ride, ndr). Ma il ciclismo non è matematica. Abbiamo un corridore che fa cose normali, non straordinarie. Tadej non fa cose straordinarie: fa cose normali straordinariamente bene.

Due uomini di punta per la Vuelta: Ayuso da scoprire e Almeida leader: lo schema di Matxin era questo
Due uomini di punta per la Vuelta: Ayuso da scoprire e Almeida leader: lo schema di Matxin era questo
Invece Juan?

Rispetto ad Ayuso… Sapete l’amicizia che c’è e i passi che gli lo ha fatto fare. Lui ha sempre ascoltato i consigli, ci ha sempre creduto. Sapevo che poteva essere molto avanti, ma nel professionismo tante volte non sai dove puoi arrivare: non per il tuo livello, ma perché fai fatica a capire quello dei rivali. Per quello c’è da rispettarli sempre. Poi ovviamente ci sono le tante variabili. E’ successo che è caduto e magari poteva non fare il podio. Per questo siamo partiti con Almeida leader e con Ayuso dietro, coprendolo e non mettendogli pressione. Volevamo vedere quello che avrebbe fatto, giorno per giorno, soprattutto dopo la decima/dodicesima tappa. Il suo limite di tappe era il Giro U23, che dura 10 giorni. Non si può chiedere a un ragazzo di 19 anni nient’altro che non sia fare il meglio di se stesso.

Hai parlato di Almeida: come valuti il suo percorso?

Joao lo conosco da quando era junior e ho vissuto la sua progressione. Mi ricordo quando è andato alla Trevigiani, perché aveva bisogno di una squadra come quella, in cui ha fatto un passo di qualità vincendo due corse. Poi abbiamo capito che aveva bisogno di andare con Axel Merckx alla Hagens Berman Axeon. Quindi l’ho aiutato a passare alla Quick Step e poi qui alla UAE. Il problema è che se pure un corridore sta crescendo in modo perfetto, quando prende per 15 giorni la maglia rosa, sembra condannato a vincerla l’anno dopo. Invece Joao sta facendo i passi giusti, molto giusti. Sono veramente contento, però in questi anni ha avuto anche sfortuna.

Almeida continua a crescere: secondo Matxin nel 2023 farà un altro passo in avanti
Almeida continua a crescere: secondo Matxin nel 2023 farà un altro passo in avanti
Quando?

Senza il Covid al Giro d’Italia 2022, sono convinto che faceva almeno terzo. Non so se di più, ma un terzo lo faceva (il portoghese si è fermato dopo la 14ª tappa quando era in quarta posizione, ndr). Poi ha preparato la Vuelta, ma è rientrato tardi per fare un buon recupero. Ha corso a Burgos, è andato in altura e nella prima settimana di corsa ha sofferto tanto. E’ andato migliorando e ha chiuso quinto. Ha avuto due momenti precisi – il Covid al Giro e la Vuelta in cui è partito con il piede sinistro – ma per il resto sono contento di come si è mosso. E’ andato al Catalogna e ha dimostrato che poteva battere i migliori al mondo, è andato nelle corse più importanti ed è stato ad altissimo livello. Sono convinto che il prossimo anno Almeida farà un altro passo in avanti.

Secondo te quei 15 giorni in maglia rosa sono diventati un peso?

No, non li ha sofferti. Era e sarà ancora il nostro leader al Giro d’Italia, senza dubbi. Ma ha vissuto quello che nel 2023 succederà probabilmente, con tutto il mio rispetto, a Juanpe Lopez. Dopo i suoi 10 giorni in maglia rosa e il decimo posto finale, se l’anno prossimo arriverà dodicesimo, sembrerà che non abbia fatto niente. Ma non è una questione matematica.

Matxin e Agostini: lo spagnolo dà qualche suggerimento sulla curvatura del portabici
Matxin e Agostini: lo spagnolo dà qualche suggerimento sulla curvatura del portabici
Cioè?

Almeida sta facendo i suoi passi in modo progressivo. Nessuno si aspettava che fosse vincente quest’anno o l’anno scorso quando è arrivato sesto, oppure due anni fa quando ha preso per 15 giorni la maglia rosa. Però va sempre in crescendo e per questo sono veramente contento. E’ professionale e rispettoso. Al UAE Tour ha tirato per Tadej come una ventola e lo stesso è arrivato quinto. Se non avesse tirato tanto il giorno in cui Tadej ha vinto, avrebbe fatto secondo o terzo al massimo. Questo significa che ha un cuore grande. E’ facilissimo lavorare con ragazzi intelligenti e svegli come Tadej e Joao. C’è un’atmosfera bellissima, la vedete anche qua. Fra loro c’è rispetto, sono intelligenti, sanno che insieme possono essere più forti che da soli. Per questo sono soddisfatto.

Nel frattempo intorno sta crescendo la squadra…

Credo che debba essere tutto bilanciato, per lo stesso motivo per cui non prendiamo corridori a caso. Se dobbiamo chiedere a ognuno il 120 per cento, dobbiamo dargli il 120 per cento. Anzi, tante volte è importante darlo prima, per poi chiederlo. Per questo anche come squadra cerchiamo di dare sempre il massimo. Possiamo farlo dando il miglior staff, il miglior materiale, i migliori alberghi, i migliori preparatori, il recupero. Dobbiamo scegliere solo quello che sia il top. Non dobbiamo solo trovare il miglior corridore del mondo, dobbiamo essere la miglior squadra al mondo per trovare il migliore al mondo. 

«Tadej – dice Matxin – non fa cose straordinarie, fa cose normali in modo straordinario»
«Tadej – dice Matxin – non fa cose straordinarie, fa cose normali in modo straordinario»
Si studiano anche gli avversari?

Sì, tanto. Due anni fa chi vinceva sempre la classifica a squadre era la Quick Step, ora su chi scommettereste? Come per i giovani. Mi chiedono tutti se il Tour sarà nuovamente una lotta fra Tadej e Vingegaard, ma voi siete convinti che non ci sarà qualcun altro? Si aspettavano Remco Evenepoel e Ayuso e adesso bisogna credere che non salterà fuori nessuno? Arriverà, ve lo garantisco. Per questo dobbiamo guardare non solo al fianco, ma al più esterno possibile. Perché nessuno va indietro, stanno arrivando da tutti i lati. Questa non è solo una competizione a livello sportivo, è la gara per diventare la migliore squadra del mondo a 360 gradi.