Manubri stretti sopra e larghi sotto, cambia la biomeccanica?

12.01.2024
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Molti li categorizzano come i manubri da gravel riportati al settore strada, altri li vedono come la soluzione più adatta per sfruttare tutta l’aerodinamica dell’avantreno della bici ed un posizionamento delle leve adeguato.

Affrontiamo l’argomento con Giuseppe Archetti, meccanico dalla grande esperienza che dal 2024 è in forza al Team Lidl-Trek.

Si lavora con i nuovi materiali e con le nuove regole: da quest’anno Archetti è alla Lidl-Trek
Si lavora con i nuovi materiali e con le nuove regole: da quest’anno Archetti è alla Lidl-Trek
Anno nuovo e ti ritroviamo con una nuova casacca!

Dico sempre che la vita ed il percorso lavorativo sono un’evoluzione continua, non bisogna mai fermarsi. Bisogna trovare nuovi stimoli e comunque c’è sempre da imparare.

Un lavoro impegnativo quello del meccanico dove conta anche il fattore umano?

Sicuramente si, come per ogni cosa. In questo caso devo ringraziare il Team Manager Luca Guercilena e i due colleghi Mauro Adobati e Giuseppe Campanella. Con entrambi condivido anche gli impegni della nazionale, anche se Campanella, in ambito azzurro, si occupa maggiormente della compagine femminile.

Il team è una vera azienda (foto Steel Media, Lidl-Trek)
Il team è una vera azienda (foto Steel Media, Lidl-Trek)
E’ cambiato tutto, bici, materiali e componenti. Come ti stai trovando?

Come dicevo in precedenza, c’è sempre da imparare. Qui è tutto nuovo e tecnicamente è difficile trovare di meglio, siamo all’apice della tecnologia e della ricerca. Anche per questo motivo devo prendere le giuste misure con i materiali. Ci vorrà ancora qualche giorno, ma la strada è quella giusta ed è anche motivante. E’ pur vero che i training camp che anticipano la stagione hanno l’obiettivo di formare noi meccanici e i membri dello staff in genere.

Hai già utilizzato in passato gli equipaggiamenti che trovi ora in Lidl-Trek?

Solo Sram, era l’epoca del Team Cannondale, una vita fa. Tutto quello che trovo e vedo ora è nuovo, per nulla accostabile a quello che ho usato in passato. Bici, trasmissioni e componenti: tra questi anche i manubri.

La posizione con le mani alte, porta a chiudere le spalle (con i nuovi manubri)
La posizione con le mani alte, porta a chiudere le spalle (con i nuovi manubri)
Parliamo proprio della nuova concezione dei manubri, stretti sopra e più larghi sotto, cosa ne pensi?

Ci confrontiamo sempre di più con i numeri, con i dati e con i riscontri che arrivano da vari fronti. I test eseguiti nella galleria del vento dimostrano che riducendo l’impatto frontale delle spalle, si guadagnano watt. Tuttavia è necessario farlo nel modo corretto per non compromettere la prestazione del corridore. In realtà forse è meglio dire che si risparmiano dei watt. Anche noi dobbiamo entrare nell’ottica che l’estremizzazione delle performances è reale, è tangibile. Lo è per i materiali, lo è per tutto quello che riguarda gli atleti.

Roba da ingegneri?

E’ così, perché sempre più spesso noi che montiamo e assembliamo le bici dei ragazzi, ci confrontiamo con gli ingegneri delle diverse aziende che supportano la squadra. Vi dirò, a mio parere è un passaggio giusto e corretto, perché le biciclette sono un concentrato di tecnologia.

Il vecchio riferimento dei manubri larghi come le spalle esiste ancora?

No, tutto è stravolto. Quell’epoca, per lo meno in ambito professionistico, non esiste più. Oggi come oggi le soluzioni che vediamo sono figlie di valutazioni e calcoli, test su test, prove su prove. Team come il Lidl-Trek è al pari di una grande azienda e non lascia nulla al caso. Non esiste più il modo empirico di valutazione.

Ad ognuno il suo stile e modo di impugnare le leve
Ad ognuno il suo stile e modo di impugnare le leve
Invece per quanto riguarda la posizione delle leve?

Soprattutto nella stagione scorsa, a mio parere si era andati oltre ed è arrivato il momento delle regole. Il rischio di andare verso una scarsa sicurezza nelle fasi di guida, era più che reale. Ho visto diversi corridori soffrire perché avevano chiesto le leve troppo chiuse, atleti di team diversi, con materiali diversi.

Cosa dice la regola UCI che norma questa parte della bici?

Le leve non devono avere una chiusura superiore ai 10°, rispetto all’asse del manubrio. Non è facile da spiegare, ma di fatto è un punto di partenza che ha l’obiettivo di contenere le estremizzazioni e rendere i componenti sfruttabili al pieno delle potenzialità, senza mettere in discussione la sicurezza.

Manubri con il flare e leve curvate o leve che seguono la svasatura del manubrio. Cambia la biomeccanica del corridore?

La biomeccanica è cambiata, perché è cambiato il modo di stare in sella. Ma se consideriamo il setting del corridore, quello esula dal design del manubrio. E’ una concezione di lavoro e di espressione atletica che non può essere confrontata con il passato.

Ci sono dei riscontri da parte degli atleti che ti hanno colpito in modo particolare?

Quando ci si confronta con i corridori giovani, delle ultime generazioni, anche noi meccanici con i capelli bianchi dobbiamo entrare nell’ottica che questi arrivano con delle informazioni e un’educazione diversa da corridori più avanti con l’età. Ma il futuro è dei giovani.

Manubri stretti e power meter?

Esattamente.

C’è differenza tra un manubrio usato da un velocista e uno usato da chi è più scalatore?

Di base il velocista chiede l’integrato a prescindere, lo scalatore, o comunque chi fa classifica nei grandi Giri preferisce la piega e l’attacco manubrio separati. Ma anche in questo caso le variabili da considerare sono diverse, così come i materiali a disposizione. In Lidl-Trek i corridori hanno una vasta scelta. La tendenza, riferita alle preferenze dei corridori è quella di avere l’integrato su tutte le bici. E’ leggero, molto rigido e ormai anche l’ergonomia è ottimale, ma anche i numeri e i dati hanno la loro importanza.

La Parigi-Roubaix vissuta dai meccanici dei team

15.04.2022
7 min
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La Parigi-Roubaix chiude ufficialmente la campagna del pavé. E’ la classica delle pietre per eccellenza e insieme al Fiandre è una delle corse più amate. Per giocarsi la vittoria non contano solo le gambe, ma una serie di fattori che includono anche la preparazione tecnica della bicicletta.

Abbiamo chiesto a quattro meccanici storici del World Tour di descriverci le soluzioni in grado di fare la differenza, con qualche richiamo al passato. La parola a Matteo Cornacchione del Team Ineos-Grenadiers, Giuseppe Archetti del Team UAE EMIRATES, Mauro Adobati del Team Trek-Segafredo e Fausto Oppici in forza al Team Bikexchange-Jayco.

Le ruote alte, uno dei leitmotiv tecnici moderni anche per il pavé (foto GreenEdge Cycling)
Le ruote alte, uno dei leitmotiv tecnici moderni anche per il pavé (foto GreenEdge Cycling)

La Roubaix di Cornacchione (Ineos)

«Le analogie con il passato, in fatto di tecnica, sono davvero poche. E’ cambiato tutto. Di sicuro vedremo una Roubaix corsa con la combinazione ruote ad alto profilo e tubeless, scelta che ormai è fatta dal 90% dei corridori e non è solo una questione di sponsor. Molti atleti che hanno avuto il modo di lavorare con questi pneumatici si trovano bene. Ricordo circa 20 anni fa, era il 2004 per la precisione, c‘erano ancora le ruote basse e fatte a mano, con i cerchi in alluminio, una cosa che ora non esiste più. In quell’epoca, io ero meccanico alla Fassa Bortolo, Petito fu uno dei primi ad usare le Bora in carbonio con il profilo da 50. Erano gommate con i tubolari da 28, ma un alto profilo in quella corsa non si era mai visto.

«Oggi le ruote da 50/60 millimetri sono la normalità. Tornando al tubeless: a mio parere è una scelta tecnica che può fare la differenza, perché è vantaggioso contro le forature e anche per una migliore gestione della foratura stessa quando l’ammiraglia è lontana. A meno che non ci sia un danno importante allo pneumatico, un tubeless si sgonfia in un lasso di tempo dilatato, permette di proseguire la marcia e offre delle tolleranze eccellenti alle pressioni più basse. Ovviamente c’è tutto il pacchetto delle biciclette con i freni a disco in caso di maltempo e fango, l’edizione del 2021 ne è un esempio».

Matteo Cornacchione all’opera nel camion officina
Matteo Cornacchione all’opera nel camion officina

«Un altro particolare che mi piace considerare – prosegue Cornacchione – è il manubrio. Molti corridori preferiscono usare quello tutto in carbonio, rigido e leggero, lo stesso che utilizzano nel corso della stagione. Una volta si toglieva il carbonio oppure quello in alluminio superleggero e si usava il manubrio in lega più robusto. Rispetto al passato stanno scomparendo anche le modifiche ai nastri manubrio, perché buona parte di quelli che usiamo oggi prevedono un inserto in gel e comunque sono parecchio smorzanti. Ma come i guanti che indossano gli atleti, che sono tutt’altra cosa se messi a confronto con quelli di 20 anni fa.

«E poi il fattore più importante, ovvero la ricognizione del giovedì e in parte quella corta del sabato. Lì verranno definiti gli pneumatici, sezioni e pressioni di gonfiaggio e gli ultimi dettagli. In quell’occasione anche noi meccanici dovremo essere bravi a capire le esigenze del corridore. Gli atleti dovranno essere in grado di adottare il giusto compromesso, limitando il cambio delle biciclette a metà percorso. I materiali contano parecchio e possono fare la differenza».

Gli ultimi controlli prima delle ricognizioni (@Team UAE-EMIRATES)
Gli ultimi controlli prima delle ricognizioni (@Team UAE-EMIRATES)

La Roubaix di Archetti (UAE)

«Una volta una corsa come la Roubaix la vedevi e la vivevi di più come meccanico. Il lavoro che comportava una corsa come questa era enorme. Il mondo della bicicletta e della tecnica legata al mezzo meccanico è cambiato completamente. Ora si lavora con una tecnologia che al pari della F1 e rispetto al passato, neppure troppo lontano, tutto è stato stravolto. La meccanica e il modo di operare di noi meccanici sono tutt’altra cosa. Ci sono i freni a disco, con tutte le variabili che comportano.

«Per le vecchie Roubaix, la doppia leva del freno, quella posizionata sulla parte orizzontale del manubrio, era una sorta di obbligo. Oggi non esiste più. C’erano le ruote basse e fatte a mano da noi meccanici. Erano quelle con 32 raggi, si arrivava fino a 36 e incroci in quarta, per conferire una grande capacità di smorzare le vibrazioni e di essere affidabili anche in caso di rottura di uno o due raggi. Ricordo perfettamente il secondo posto di Dario Pieri, proprio con delle ruote a 36 raggi.

«Fare le ruote, essere in grado di raggiare e di fare le tensioni dei raggi era una delle prime cose che ti veniva chiesta quando facevi il provino per fare il meccanico. Si usavano i tubolari da 25, 26, qualcuno provava i 28 e sembravano enormi. Oggi si usano le ruote ad alto profilo in carbonio con i tubeless anche da 32 millimetri di sezione.

«Sono del parere che oggi, proprio la tecnologia tubeless per le gomme da strada, ha raggiunto un livello ottimale. Vedremo una Roubaix corsa con i tubeless da oltre il 90% dei corridori e proprio questo equipaggiamento sarà in grado di fare la differenza. I ricorsi storici mi portano a menzionare anche le sospensioni montate sulle bici e qualche forma strana del telaio. In un certo senso quella via è stata abbandonata. Si è tornati su disegni tradizionali, lavorando sulla tipologia di carbonio e penso che il processo di evoluzione non sia terminato, anzi».

Mauro Adobati all’opera (foto Trek-Segafredo)
Mauro Adobati all’opera (foto Trek-Segafredo)

La Roubaix di Adobati (Trek)

«Le biciclette per la Roubaix e la scelta dell’equipaggiamento tecnico in genere, possono fare una grande differenza. Poi è necessario considerare anche la fornitura che i vari team hanno disponibile. Qualcuno come noi ha la bici specifica per questi terreni, altri utilizzeranno la bicicletta standard opportunamente equipaggiata. Ecco che la preparazione, le scelte e l’insieme dei dettagli, giocano un ruolo fondamentale. Chi avrà la possibilità di sfruttare biciclette con delle geometrie più morbide, con degli angoli anteriori aperti e dei passaggi ruota maggiorati, lo farà e in caso di maltempo avrà qualche vantaggio. Ma anche se la corsa verrà condotta a velocità esasperata fin da subito.

«Le bici specifiche per il pavé si usavano anche in passato, quando si usavano ancora l’acciaio e l’alluminio. Carri posteriori allungati e passo totale maggiore, rispetto ad una bicicletta standard, forcella aperta in avanti. I concetti delle geometrie sono rimasti più o meno quelli, ma i materiali e buona parte della componentistica sono cambiati completamente.

«Guardandola in chiave moderna, di sicuro la scelta degli pneumatici tubeless potrà fare la differenza. Con tutta probabilità i nostri corridori useranno delle gomme con sezione da 30 millimetri e ruote con profilo da 37. Ad oggi hanno ancora la possibilità di scegliere tra tubeless e tubolare. La maggioranza degli atleti adotterà il medesimo setting che utilizza per le altre gare, con variazioni minime, spesso legate alla sicurezza e votate al mantenere l’equilibrio ottimale sul pavé. Da appassionato della tecnica della bicicletta, mi colpisce positivamente l’apertura alle innovazioni di oggi, in un mondo rimasto chiuso per troppo tempo».

Fausto Oppici a destra, Giuseppe Archetti a sinistra, con i colori della nazionale
Fausto Oppici a destra, Giuseppe Archetti a sinistra, con i colori della nazionale

La Roubaix di Oppici (BikeExchange)

«Molto è cambiato, nelle biciclette e nella componentistica. Personalmente partirei dalle gomme, considerando che anche solo qualche anno fa, era impensabile arrivare alle dimensioni attuali di 30/32 millimetri per corse come la Roubaix, quando lo standard era 25 ed era già visto come abbondante. C’era la convinzione che gli pneumatici grandi fossero meno scorrevoli e controproducenti. Ora invece è tutto l’opposto.

«Ci sono i tubeless e la crescita di questa categoria di prodotti. I corridori oggi li chiedono, al di là della fornitura legata agli sponsor. I tubeless offrono dei vantaggi anche nella sfruttabilità delle ruote in carbonio e ad alto profilo. Le ruote fatte a mano e saldate non esistono più. Tra ruote e tubeless ci sono da considerare la soggettività dell’atleta, la sua predisposizione e anche il suo storico. I nostri potranno scegliere tra tubolari e tubeless con ruote hookless, scelta che viene fatta dopo le ricognizioni.

«E poi la bicicletta, che corrisponde allo stesso modello usato per le gare normali. Ci sono aziende che forniscono biciclette specifiche, fattore che una volta era un must e che oggi è meno ricercato. Ovviamente ci sono i freni a disco, che coinvolgono tutta la bicicletta e non solo l’impianto frenante, perché entra in gioco proprio la possibilità di sfruttare le gomme e le ruote in modo differente. Proprio le bici con i dischi hanno anche permesso di aumentare la luce tra telaio, forcella e pneumatici, con enormi vantaggi in caso di fango».

Manubri più stretti: corridori alla ricerca dell’aerodinamica

04.02.2022
5 min
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Non troppi giorni fa con Davide Guntri, di Deda Elementi, avevamo parlato dei manubri dei velocisti. Da quell’articolo era emerso come le pieghe, anche un po’ inaspettatamente, si stessero stringendo. I manubri stretti stavano dilagando in gruppo… e non solo per i velocisti.


Stavolta, sempre con Guntri, vogliamo approfondire il discorso che riguarda questa tendenza. Capirne le motivazioni che spingono atleti, neanche tanto piccoli, a ricercare questa specifica.

Auyuso con la curva Superzero: drop da 75 millimetri, reach da 130, come l’Alanera che sta aspettando
Auyuso con la curva Superzero: drop da 75 millimetri, reach da 130, come l’Alanera che sta aspettando



Primi pezzi alla UAE

Un discorso che è ancora molto in fase embrionale. Anche per i produttori stessi.


«Per questioni logistiche – dice Guntri – non siamo riusciti ancora a fornire le nuove Alanera da 40 centimetri. Ricordo che da noi tale misura è presa sull’esterno, quindi si tratta di un 38 centro-centro. I pezzi per ora sono molto pochi e sono per la UAE Team Emirates. Sono dei prodotti nuovissimi.

«Giuseppe Archetti (meccanico del team, ndr) per adesso ha montato il manubrio stretto a Juan Ayuso e Pascal Ackermann. Non si tratta dell’Alanera, il nostro manubrio integrato, ma della piega Superzero».

«Il Superzero è un manubrio la cui curva ha lo stesso disegno dell’Alanera. Anche il reach e il drop sono gli stessi. Ciò che cambia è la parte alta. L’Alanera è più aero, la Superzero più tradizionale. Ma quello che davvero importava a noi in questo caso non era tanto il disegno, specie nella parte alta della piega, quanto appunto la larghezza. Stanno provando questa taglia per vedere come ci si trovano».

La Superzero dello spagnolo è larga 40 “centimetri Deda”, vale a dire 38 nella misura centro-centro standard
La Superzero dello spagnolo è larga 40 “centimetri Deda”, vale a dire 38 nella misura centro-centro standard



Feedback positivi

E in effetti è quello che interessa anche a noi. Perché ci si stringe così tanto? La scorsa volta avevamo parlato di vantaggi aerodinamici, ma anche di svantaggi nella guida della bici.


«In effetti non è un qualcosa di facilmente concepibile – ammette Guntri – I professionisti sono alla ricerca di prodotti sempre più aerodinamici, e può anche starci, ma in quanto a respirazione e guida non so quanto possano avvantaggiarsene.

«Io non lo vedo un prodotto alla portata degli amatori. E’ troppo specifico per chi fa della bici il proprio mestiere. Loro che sono dei professionisti possono anche utilizzarlo alla grande, sono molto preparati e possono trarne dei vantaggi. Ackermann e Ayuso per esempio hanno rilasciato dei feedback positivi. Entrambi hanno detto che si trovano molto bene. Respirano normalmente e la guida non ne risente».

Nel disegno c’è una Mtb, ma il concetto non cambia: col manubrio stretto si è più aero, ma cassa toracica e rachide sono più schiacciati
Nel disegno c’è una Mtb, ma il concetto non cambia: col manubrio stretto si è più aero, ma cassa toracica e rachide sono più schiacciati



Leve, pieghe e aerodinamica

«Se si va a vedere – continua Guntri – frontalmente ormai sembra che i corridori siano sulle bici da cronometro. Quando impugnano la piega sulle leve la posizione non è così tanto diversa».



A questo punto, chiediamo a Guntri quanto la regola che ha bloccato la posizione con gli avambracci sulla piega, stile crono appunto, abbia inciso sulla svolta verso i manubri più stretti.
«Ah – risponde con passione il tecnico di Deda – Non ha inciso tanto, ha inciso tantissimo! Non potendo più schiacciarsi in avanti, i corridori hanno cercato di stringersi il più possibile per essere aerodinamici. Posso solo dirvi che atleti alti 190 centimetri mi hanno già richiesto la nostra piega da 40 (esterno-esterno)».



«Non solo, ma adesso di pari passo al manubrio più stretto ci sono le leve ruotate verso l’interno, questo sempre per potersi distendere, per essere aerodinamici, e per avere di fatto un appoggio in più con il polso».


«Il primo ad utilizzare questa soluzione è stato Romain Bardet. Quando vidi quelle leve così ruotate sull’Alanera la sera stessa lo chiamai. Lui mi spiegò il perché. Mi disse del discorso dei polsi. Così anch’io, come faccio sempre, eseguii il mio test personale. Lo feci con la bici di McNulty (per una questione di misure supponiamo, ndr) ed in effetti si ha un appoggio ulteriore».

Il manubrio super stretto di Ewan (al centro). Da notare la differenza con quello di Bonifazio (a sinistra) e Laas (a destra)
Il manubrio super stretto di Ewan (al centro). Da notare la differenza con quello di Bonifazio (a sinistra)


Produzione ad hoc

«Noi abbiamo creduto fortemente nel lavoro con la UAE Team Emirates. E’ la nostra squadra faro e non solo per le due vittorie al Tour con Pogacar, ma anche per lo sviluppo dei prodotti, per l’esperienza di Archetti. Posso garantire che è uno sforzo enorme anche per noi seguirli con prodotti sempre più specifici.
«Da quando c’è il biomeccanico all’interno dei team molte cose sono cambiate. Non so se sia un bene o un male, non spetta a me dirlo, però posso dire di gente che va dal biomeccanico una volta ogni 15 giorni. E mi chiedo: quali adattamenti possono maturare in un periodo così breve? A noi però nel frattempo chiedono nuovi prodotti, nuovi pezzi. Li produciamo e poi magari dopo 3-4 mesi li abbandonano».



Per ora la tendenza è quella dei manubri ristretti. È un qualcosa che riguarda non solo i corridori che utilizzano i prodotti Deda, ma anche gli altri. Il manubrio moderno è stretto e possibilmente con profili aerodinamici, meglio ancora se integrato così da essere anche molto rigido.
«In UAE Team Emirates, al momento – conclude Guntri – mi hanno chiesto l’Alanera da 40 centimeti 12-13 corridori, vale a dire poco meno della metà della rosa».



E intanto, Caleb Ewan (anche nella foto di apertura) procede spedito con la sua “mini piega”. Il velocista della Lotto-Soudal sta correndo con un manubrio da 38 centimetri, che nelle misure Deda significa 36 centimetri centro-centro. E leve ruotate all’interno…

Team nuovo, sella nuova: la scelta di Ackermann

14.01.2022
4 min
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Quando un professionista approda in un nuovo team, i fattori “del cambio” da considerare sono molti e diversi tra loro. Ci sono i nuovi compagni di squadra, c’è il nuovo staff e le “abitudini” che devono essere “immagazzinate e fatte proprie”. C’è l’aspetto operativo e i vari programmi che vengono stilati in accordo con lo stesso team, con il quale si costruisce la stagione agonistica, obiettivi e di conseguenza gli allenamenti. E poi ci sono i nuovi materiali, dalla bici ai singoli componenti, che siano la sella o il manubrio: ovvero gli strumenti di lavoro dell’atleta.

Giuseppe Archetti, meccanico storico della nazionale e della UAE
Giuseppe Archetti, meccanico storico della nazionale e della UAE

Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, meccanico di grande esperienza nell’UAE Team Emirates e ci siamo focalizzati su un importante ingresso, quello del tedesco Pascal Ackermann e di come il corridore sceglie la sella, che nel caso del team di Gianetti è fornita da Prologo.

Cosa succede quando arriva un nuovo corridore ed è necessario metterlo in sella?

All’atleta viene fornita una serie di prodotti e al tempo stesso i biomeccanici del team lo affiancano e lo assecondano nelle sue scelte. Si parte comunque da una panoramica e da una serie di valutazioni dei materiali che utilizzava in precedenza.

Archetti con Ackermann. Il corridore si è mostrato competente nelle scelte e valutazione dei nuovi materiali (foto Team UAE)
Ackermann si è mostrato competente nelle valutazione dei materiali (foto Team UAE)
Quindi si utilizza una sorta di storico dell’atleta?

In un certo senso è così. Noi abbiamo dei biomeccanici con il compito di valutare la posizione adeguata che l’atleta deve utilizzare quando è sulla bicicletta. Questo passaggio comprende anche la scelta della sella giusta. Il passaggio tiene conto anche di una sorta di confronto con i vecchi materiali utilizzati dal corridore, nel caso sia un nuovo arrivo, come nel caso di Pascal.

Nel caso specifico di Ackermann, su quale modello di sella è ricaduta la scelta?

Noi utilizziamo Prologo e il modello che è stato scelto è la Dimension 143. Ci sono state alcune prove ed hanno interessato vari modelli. La scelta finale è stata quella. Inoltre posso dire che già al secondo raduno abbiamo ricevuto degli ottimi riscontri e feedback dal corridore in merito alla scelta. Non solo, perché in base alle scelte fatte, lo stesso atleta fornisce dei feedback del prodotto che vengono riportati a Prologo e devo dire che l’azienda è piuttosto attenta a questo aspetto.

Per Ackermann una Prologo Dimension 143 (foto Prologo)
Per Ackermann una Prologo Dimension 143 (foto Prologo)
Voi come meccanici e i biomeccanici del team, utilizzate gli strumenti di valutazione Prologo?

Ci sono alcuni fattori che vengono fatti collimare. I biomeccanici utilizzano dei loro riferimenti, che però trovano una sorta di riscontro con le strumentazioni e i prodotti Prologo. Non di rado c’è anche un confronto diretto con l’azienda.

Tornando invece ad Ackermann, quanto tempo ha impiegato il tedesco a trovare la sella giusta? Più in generale, quanto tempo è necessario, mediamente, per far si che un corridore trovi il prodotto ideale alle sue esigenze?

Dipende, perché la sella è componente molto soggettivo e davvero particolare. Ci sono corridori che si prendono più tempo e spendono molte ore prima di arrivare ad una decisione, altri invece scelgono la prima sella che provano e la tengono per il proseguo della stagione. Ackermann è stato veloce, considerando che non aveva utilizzato Prologo nelle stagioni precedenti, a conferma di una buona sensibilità e capacità tecnica. In una fase di assestamento, come nel caso di Pascal, il merito è anche dei biomeccanici che hanno indirizzato il corridore nel modo giusto e dell’azienda che fornisce i materiali, con un ampio range di scelta.

Altezza sella e arretramento, i valori che usa Ackermann sono “standard”, oppure sono piuttosto “spinti”?

Prendere ad esempio un solo corridore è complicato, perché rispetto a 20 anni addietro, le posizioni utilizzate oggi sono tutte estreme. Ma è giusto dire che tutto è cambiato, corridori, materiali e modo di pedalare.

Quante selle vengono fornite ad un atleta nel corso di una stagione?

Ogni corridore ha 7 bici e si parte da questa fornitura. Nel momento in cui si è optato per una sella e un modello preciso, la base è il montaggio della bicicletta. L’atleta riceve “lo strumento di lavoro” completo nelle sue parti. Tutto quello che è dato in seguito è frutto della gestione del materiale da parte del team, oppure dell’azienda che fornisce dei nuovi materiali da provare e da sviluppare.

Posizioni avanzate: si spinge di più. Ma va sempre bene?

03.08.2021
5 min
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Le posizioni dei professionisti (ma anche di coloro che gareggiano nelle categorie inferiori) sono sempre più avanzate: perché? Spostandosi più avanti si spinge di più, è vero, ma siamo sicuri che non ci siano controindicazioni? C’è un limite oltre il quale si creano danni muscolari? Ne abbiamo parlato con Andrea Fusaz, preparatore ma anche esperto biomeccanico del CTF lab. E anche con Giuseppe Archetti, meccanico della Uae.

Tutti avanti

Il tecnico friulano è tra i più preparati in materia. Conosce i corridori sia da un punto di vista atletico che “meccanico”, per così dire.

«Le posizioni sono più avanzate perché sostanzialmente si hanno due vantaggi: si è più aerodinamici e migliora l’efficienza meccanica. Portandomi avanti con la sella rispetto al movimento centrale porto il ginocchio a restare “più basso” rispetto al corpo. Immaginiamo il corridore come fosse in una “foto” frontale. Se sta 10 centimetri indietro rispetto al movimento centrale sarà sì più allungato, ma il suo ginocchio gli arriverà “in gola”. Stando più in avanti, il ginocchio rimarrà più basso rispetto al tronco. E questo consente una migliore efficienza muscolare e meccanica, un miglior utilizzo della catena muscolare posteriore e una migliore ossigenazione sanguigna delle gambe visto che gli angoli sono meno chiusi.

«E infatti se si nota bene sono tornati gli attacchi più lunghi. Tutti sono buttati in avanti. Una volta si diceva che con la pedivella in orizzontale in avanti, la perpendicolare del ginocchio doveva passare sull’asse del pedale stesso. In realtà poi non era così. Perché quelle erano posizioni che venivano prese da fermi. Con i nuovi strumenti si è visto come, spingendo poi si vada all’indietro. E si perdeva la massima forza che si poteva esprimere». 

Le nuove tendenze

Fusaz parla del loro metodo di fare test, il Retul. Un metodo dinamico, cioè con il corridore che pedala. E per di più anche a wattaggi differenti: 3, 4 e 5 watt/chilo. A volte anche con una diversa altezza della ruota anteriore per simulare la pendenza, la salita. L’obiettivo è quello di riuscire a sfruttare la forza di gravità nell’arco della pedalata.

Ma siamo sicuri però che la nuova letteratura non abbia dei contro? Per esempio se si pedala troppo in avanti si spinge di più, ma si consuma anche di più. E posizioni estreme potrebbero creare degli stress muscolari che magari in un grande Giro, alla lunga, si pagano.

«Premesso – riprende Fusaz – che le posizioni sono anche personali può starci che in una corsa di un giorno questa possa essere più spinta, ma non credo che i pro’ cambino posizione tanto facilmente. Poi il corridore che preferisce una posizione più comoda anche se è meno redditizia ancora lo devo conoscere».

I limiti Uci

Ma troppo avanti non si può stare. A crono, per esempio, l’Uci impone un arretramento (proiezione punta sella-movimento centrale) minimo di 5 centimetri. Questo sfavorisce soprattutto i corridori meno alti.

«E questo è il motivo – riprende Fusaz – per cui oggi sono molto in voga le selle corte. Riesci a spostarti più avanti. Si è passati dai classici 27 centimetri ai 24. In questo modo si resta nelle regole. Poi è anche vero che se misurassero tutte le bici prima di una gara su strada credo che non tutte sarebbero in regola, come invece avviene per le gare in pista».

A crono tutti pedalano molto avanzati. Da notare il ginocchio di Roglic (gamba sinistra) più avanti del pedale
A crono tutti pedalano molto avanzati. Da notare il ginocchio di Roglic (gamba sinistra) più avanti del pedale

Parla Archetti

Infine non potevamo ascoltare il parere del meccanico, colui che “fa i fatti” in termini di posizioni e quote delle bici. Abbiamo coinvolto Giuseppe Archetti della Uae, proprio perché abbiamo visto un “suo” corridore, McNulty, pedalare con un reggisella dritto, stile Mtb.

«Oggi le richieste che mi vengono fatte dai corridori (e dai biomeccanici) vanno in tal senso: cioè tutti in avanti. Tuttavia io sono del parere che siano tutte un po’ estreme. Stando per 5-6 ore così avanzati, braccia, schiena e collo si affaticano molto. Un vecchio meccanico mi disse: più stai avanti e più sei su una sedia, più stai dietro e più sei su una poltrona. Dove stai più comodo? Io non credo che queste posizioni incidano sullo sforzo che si può fare in volata o al momento di un attacco, ma sono idee mie… che non sono un biomeccanico».

Infine Archetti fa un chiarimento: su strada la differenza punta sella-movimento centrale può anche essere inferiore ai 5 centimetri.

«C’è chi mi arriva a 2,8-3 centimetri, ma solo i meno alti. Anche perché con le inclinazioni dei nuovi telai non è così facile andarci. Mentre a crono, puoi anche andare sotto la soglia dei 5 centimetri, ma a quel punto la distanza sulla perpendicolare del movimento centrale e la punta delle appendici non è più di 80 centimetri, ma scende a 75».

Si va in Giappone, come verranno gestiti i materiali?

03.07.2021
5 min
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Ha davvero un bel da fare Giuseppe Archetti in questi giorni prima di partire per il Giappone e le Olimpiadi di Tokyo. Il capo dei meccanici della nazionale azzurra in rotta sul Giappone deve coordinare una bella mole lavoro, tra bici che partono e che arrivano, chi corre da una parte e chi dall’altra. E poi scatole, borse, borsoni…

Ed è proprio il “mastro nazionale” a dirci come ci si prepara ad un’Olimpiade tanto più che si svolge dall’altra parte della Terra. «E io seguo solo la strada!», esclama Archetti quasi a dire “per fortuna”.

ll materiale dello Squalo arriverà direttamente dal Tour
ll materiale dello Squalo arriverà direttamente dal Tour
Giuseppe, segui cinque atleti (Nibali, Ciccone, Caruso, Bettiol e Moscon) quante bici portate?

Per ora la lista prevede 20 bici complete, cioè già montate, più 4 paia di ruote ciascuno. Parecchie, ma necessario visto che c’è chi usa i freni a disco e chi quelli tradizionali, chi ha Sram e chi Shimano. E’ chiaro che così il volume del materiale lievita. Per esempio, Trek ha due corridori, Nibali e Ciccone, e magari loro potrebbero portare un paio di ruote in meno a testa. Ma cambia poco.

Quattro bici!

Una è per correre, una sale sull’ammiraglia e una è al box 1. In più si vocifera che possa essere allestito anche un box 2. Vorremmo farci trovare pronti ad ogni evenienza visto che è un evento quadriennale della cui importanza non c’è bisogno di dire altro.

Invece per quel che riguarda gli altri pezzi e i componenti come pedali, manubri…?

Quando arrivano le bici, chiediamo ai team una fornitura completa dei pezzi, ma in questo caso che c’è un viaggio molto lungo e il bagaglio volerà con noi, stiamo molto attenti soprattutto alla “minuteria”. Forcellini del cambio, collarini reggisella, nastri manubrio… cose per un pronto intervento. Se per esempio in volo, nella stiva, si piega un forcellino posso cambiarlo prontamente. In più bisogna considerare che quasi tutti i club hanno previsto un punto di appoggio in Giappone nella zona di Tokyo per le necessità più importanti.

Non solo bici, Archetti deve pensare anche alla “minuteria” (e a suoi attrezzi)
Non solo bici, Archetti deve pensare anche alla “minuteria” (e a suoi attrezzi)
E poi con Sram, Shimano, e per altre Nazioni anche Campagnolo, ci sarà un bel caos…

Esatto. In Nazionale con me ci sarà anche un secondo meccanico, Mauro Adobati (della Trek-Segafredo, ndr). Per esempio lui partirà con una scorta di pezzi Sram. Mentre per quel che riguarda Shimano si potrà fare riferimento sul “punto base” del club.

Magari Shimano avrà previsto anche un qualcosa di più riguardo all’assistenza visto che “gioca” in casa…

Sì, è possibile.

Tu sei il responsabile del materiale, o meglio, sei il coordinatore: come lo raduni? Hai un “inventario”?

Abbiamo un elenco del materiale che ci dà le squadre. Per fortuna al ritorno dai vari eventi in passato non è mai mancato nulla.

Gli azzurri utilizzeranno borse rigide Scicon Aerocomfort 3.0 Tsa Corsa
Gli azzurri utilizzeranno borse rigide Scicon Aerocomfort 3.0 Tsa Corsa
Alla fine con quante borse, scatole partite?

In tutto abbiamo 30 colli grandi. Le bici saranno messe in 20-22 borse Scicon. Oltre alle casse rigide che vedremo di organizzare nel magazzino della Fci nelle quali andranno anche i nostri attrezzi. Si tratta di casse rigide con lucchetto e ruote. E a proposito di ruote queste andranno in appositi cartoni.

Quando si parlava delle bici da portare hai detto “per ora” e prima “20-22 borse”: perché non un numero preciso?

Perché ancora non è ben chiaro il discorso legato a Ganna (il suo materiale potrebbe viaggiare con il reparto pista, ndr) con la crono. Dovremmo sciogliere questo nodo all’inizio della prossima settimana con Marco Velo. Marco fa da coordinatore tra me e Cassani, è un responsabile della logistica.

Dai corridori ti è arrivata qualche richiesta particolare?

No, semmai siamo stati noi che abbiamo chiesto delle cose a loro, soprattutto per quel che riguarda i rapporti. Adobati che è al Tour seguirà le indicazioni di Nibali e Ciccone (a casa, ndr) e io degli altri ragazzi. Diego Ulissi che ha partecipato al test event ha suggerito un 39×29… se non piove.

Ulissi, vincitore del test event 2019, ha fornito indicazioni tecniche utili ad atleti e meccanici
Ulissi, vincitore del test event 2019, ha fornito indicazioni tecniche utili ad atleti e meccanici
Perché se non piove?

Perché, se ho ben capito, si riferiva alla pendenza su alcune rampe che la ruota posteriore slitti e ad eventuali ripartenze da fermi. In quel caso verrebbe montato un pignone più grande dietro e uno più piccolo davanti.

Come radunerai il materiale?

Eh – sospira Archetti – per me è la sesta Olimpiade ma con il fatto che si corre in tutto il mondo è sempre tutto più complicato. Quando si andò a Pechino fu più facile perché riuscimmo a far partire un container giorni prima e noi viaggiammo “leggeri”. Io raccoglierò il materiale per Tokyo da tre punti: dal Tour, dal Giro di Sardegna e dal magazzino di Bergamo. Al materiale del Tour ci pensa Adobati. Le borse Scicon di cui vi dicevo gliele farò avere prima dell’ultima crono dalla mia squadra (la Uae, ndr). Io a Roma prenderò in carico il materiale del Giro di Sardegna e poi andrò al magazzino di Bergamo.

Ultima domanda, secondo te a Tokyo vedremo delle novità tecniche?

Non credo. Mancano poco più di 20 giorni e certe cose andrebbero provate anche in gara prima di un evento tanto importante. Ohi, poi ci sta che Shimano, che è giapponese, magari presenti quel giorno il 12 velocità. Ma io sinceramente non rischierei.

Archetti, il Giro da casa e il ruolo del meccanico

12.05.2021
6 min
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«Simoni mi faceva impazzire – racconta Giuseppe Archetti, meccanico tra i più esperti del gruppo – “Quello lì” quando si metteva in mente una cosa… ciao! E la dovevi fare…

«La sua bici sulla quale feci più interventi fu quella per lo Zoncolan nel 2003. Certe cose ormai non le ricordo più con precisione, ma di sicuro montò il 38 davanti e mi sembra il 30 al posteriore. Aveva un telaio particolarmente leggero, solo per le salite. Credo che la sua sia stata la prima bici in assoluto dei pro’ a raggiungere il famoso limite dei 6,8 chili, 6,810 per la precisione. E sapete cosa mi disse? Ma quei 10 grammi li possiamo togliere?».

Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera
Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera

Meno “magie”

Archetti dopo molti anni non è al Giro d’Italia. Il motivo? Scelte tra lui, la Fci e la Uae, la sua squadra, che lo vogliono anche tra gli “azzurri” in partenza per Tokyo. Mastro Archetti infatti è anche il meccanico della nazionale. Quello è l’obiettivo principale e per il quale si sta preparando. Anche lui deve essere in forma per la trasferta a Cinque Cerchi. Con lui cerchiamo di capire se il suo lavoro cambia in vista delle tappe più dure, come ci ha raccontato per Simoni sullo Zoncolan.

Una volta, ma non un secolo fa, 10-15 anni fa, specialmente prima delle tappe più dure e a cronometro, il meccanico poteva essere l’arma in più per il corridore. Era quasi un inventore, forse un artista, di certo un vero artigiano.

«Oggi la figura del meccanico è molto cambiata – spiega Archetti con filo di nostalgia – C’è una tale quantità di materiali e di direttive, di regole da rispettare, che siamo molto più vincolati». Sono finiti i tempi in cui si limavano le viti, si tagliavano i reggisella, si foravano le pieghe manubrio. «Oggi tutto questo è impossibile. Almeno per noi in Uae è così, ma sono certo che vale anche per altri team. Ci sono norme sulla sicurezza e assicurative che certe cose non le puoi fare. 

«Anche per le tappe di montagna il lavoro è lo stesso di una qualsiasi altra tappa, soprattutto se si ha l’uomo di classifica. Si prepara tutto prima di partire. Il giorno che precede il tappone si decidono giusto i rapporti ed eventualmente le ruote da utilizzare. Ormai si fanno i sopralluoghi, si sa tutto prima di partire. A volte è capitato che ci sia andato anche il meccanico a farli, ma ormai lui è più un esecutore di ciò che gli dicono il preparatore e il corridore. Non dico che siamo dei manovali, ma quasi. Una volta per avere una particolare cassetta posteriore per Ivan Basso impazzimmo con Campagnolo, ma riuscimmo a dargliela. Adesso dobbiamo montare ciò che ci danno».

Il peso conta sempre

Movimenti limitati, dunque. Strettamente legati anche alle imposizioni del marketing, però il lavoro del meccanico conta ancora. Specie quando si parla di peso che con i freni a disco è tornato leggermente a salire.

«I 6,8 chili sono la normalità per tutti. O almeno così era prima dei freni a disco. A noi della Uae, Colnago dà la possibilità di utilizzare i freni tradizionali per le tappe di salita proprio per limare quei pochi etti di differenza. Le bici le carichiamo sul camion già prima di partire per il Giro e alla vigilia di quella tappa le tiriamo fuori. Sono già tutte a misura».

Una volta si alzava leggermente la sella, per favorire il riporto della gamba in salita, questione di millimetri che servivano quasi più per la testa che per i muscoli, però si faceva.

«No, nessuno cambia più nulla. Oggi il 99% dei corridori parte con delle misure e le mantiene, anche perché avendo molte bici hanno meno “fisse mentali”. Una volta ne avevano una sola. Pensate che venivano alle corse con la bici con cui si allenavano! Poi ne hanno avute due, una a casa e una alle corse. Adesso ne hanno molte e quindi passano da una specialissima ad un’altra senza troppi problemi. Non utilizzando sempre la stessa avvertono meno eventuali differenze. Differenze che poi con i moderni strumenti per la misurazione praticamente non esistono. L’unica cosa a cui sono ancora sensibili è la sella nuova. Essendo più “dura”, flette meno e può capitare di abbassare il reggisella, ma di un millimetro».

rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33
Rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33

Ruote e rapporti

Ma se non ci si può più inventare nulla e si deve utilizzare il materiale originale che viene fornito, si può scegliere cosa utilizzare. E quando ci sono tappe molto dure o salite estreme il primo intervento chiaramente riguarda i rapporti.

«Oggi in tanti usano il 34 e il 36, la tendenza è quella. Aumenta l’utilizzo del 32 al posteriore. Vedo che però a volte me lo riportano pulito, segno che poi non lo usano. Vale il discorso che più la catena lavora dritta e più si riducono gli attriti. Dicono…

«Mentre sulle ruote noi in Uae abbiamo una regola semplicissima: alto profilo per le tappe di pianura e medio profilo per quelle di montagna. Quindi 45-60 millimetri per chi utilizza i tubeless e 50 i tubolari. Mentre diventano 33 millimetri per i tubeless e 35 per i tubolari. Il set con i tubolari è un po’ più leggero ma la scelta è totalmente soggettiva, spetta al corridore».

La regola di Archetti in questo caso è vera per quel che riguarda la soggettività delle scelte, ma neanche così netta. Come abbiamo visto nelle foto in precedenza solo ieri, verso Sestola, in Uae c’erano almeno quattro setup diversi. E pur essendo salita qualcuno ha usato i freni a disco e l’alto profilo.

«Anche per lo sterrato ormai non si cambia più molto – conclude il meccanico – La bici è quella. Cambiano le coperture. Noi in Uae usiamo orami sempre il 25 o 26 millimetri, magari qualcuno monterà il 28 salendo verso Campo Felice».

Soprattutto quando si parla di tecnica bisogna essere realisti e bisogna prendere atto che nel mondo del ciclismo che si evolve a velocità mai viste prima, anche il ruolo del meccanico sta cambiando. Le “invenzioni” particolari sono sempre meno. Ma come abbiamo visto con i corridori della Uae, per esempio, sono le scelte del tanto materiale a disposizione a fare la differenza e a rendere in qualche modo ancora “naif” l’intervento del meccanico.

UAE tour 2020

I lavori forzati dei meccanici (e delle bici) allo UAE Tour

09.02.2021
5 min
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Si avvicina la partenza dell’UAE Tour che si terrà dal 21 al 27 febbraio. Certamente non è una manifestazione come le altre, ma presenta alcune peculiarità organizzative. Una su tutte è quella di non avere le proprie ammiraglie, ma bisogna usare quelle fornite dall’organizzazione. Ci siamo fatti raccontare da quattro meccanici come si organizzano e cosa cambia rispetto alle altre gare.

Portabici diversi

Partiamo in rigoroso ordine alfabetico con Mauro Adobati, meccanico del Team Trek Segafredo.
«Per l’UAE Tour bisogna impacchettare tutto il materiale che usiamo di solito e lo spediamo – ci spiega Adobati – la grande differenza rispetto alle altre gare in Europa è che i portabici sulle ammiraglie portano massimo cinque biciclette, mentre sulle nostre ne teniamo otto».

Il numero ridotto di biciclette su ogni ammiraglia costringe a fare qualche scelta: «Delle cinque biciclette solo due sono con le ruote già montate ed ovviamente mettiamo quelle dei corridori di punta. Sulla seconda macchina mettiamo le altre bici, e facciamo in modo che le due complete di ruote siano una taglia grande e una piccola, così siamo coperti anche dietro».

Adobati ci ha detto nelle edizioni precedenti è capitato che si fossero fatti spedire anche i loro portabici, ma che ora è un’operazione che si fa soltanto per le gare in America.

Le ammiraglie all'ultimo UAE Tour  2020 con cinque biciclette
Le ammiraglie all’ultimo UAE Tour con cinque biciclette
Le ammiraglie all'ultimo UAE Tour  2020 con cinque biciclette
Le ammiraglie all’ultimo UAE Tour con cinque biciclette

Temperature e sabbia

Abbiamo chiesto se con le temperature elevate si usino delle pressioni delle gomme differenti.
«In realtà in questo periodo le temperature negli Emirati Arabi sono come le nostre di fine maggio – precisa il meccanico della Trek Segafredo – quindi non ci sono differenze nelle pressioni dei pneumatici».

Ma c’è un elemento che nel deserto può dare fastidio agli ingranaggi e richiedere un surplus di lavoro.

«La sabbia del deserto da fastidio, perché si attacca alla catena e penetra negli ingranaggi. Per lo UAE Tour usiamo un olio apposta per la polvere, che nasce per la mountain bike e ha una formulazione più fluida. E poi la sera bisogna lavare molto bene tutte le biciclette. Quando torniamo a casa cambiamo tutte le catene».

L’esperienza di Archetti

Problemi simili anche per chi potremo dire “gioca in casa”, vale a dire Giuseppe Archetti meccanico dello UAE Team Emirates.

«Per quanto riguarda il materiale – dice – non ci sono grandi problemi, mettiamo tutto dentro delle casse e le biciclette vengono spedite con le borse Scicon di cui siamo equipaggiati. Quello che cambia è che le ammiraglie possono portare solo cinque biciclette, invece delle otto nostre, e visto che corrono in sette mettiamo sulla prima ammiraglia quelle dei corridori che si giocano la vittoria».

Olio più fluido

Anche per Archetti a livello di pressioni delle gomme non cambia nulla rispetto alle altre corse, però la sabbia rimane un problema.
«Quando tira vento ti accorgi che la sabbia entra ovunque – continua – la sera dobbiamo curare di più i movimenti centrali, i mozzi delle ruote e lavare molto bene le catene. Usiamo un olio della WalBike che è più fluido rispetto al solito, così evitiamo che si attacchi ancora di più sulla catena».

Archetti ci ha poi raccontato dell’esperienza dell’ultimo ritiro della squadra proprio negli Emirati Arabi: «Dopo l’ultimo ritiro di 16 giorni abbiamo dovuto cambiare tutte le catene, non perché fossero consumate dal logorio, ma perché la sabbia si era infilata negli ingranaggi».

Il vento con la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici
Il vento e la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche
Il vento con la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici
Il vento e la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici

Qualche limitazione c’è

Alberto Chiesa è uno dei meccanici del Team BikeExchange.
«A livello organizzativo non cambia molto – dice – nel senso che imballiamo il materiale e lo spediamo. L’unica cosa cui bisogna stare un po’ attenti e che non puoi portare proprio tutto, ma devi cercare di limitare qualcosa. Dovendo trasportare tutto in aereo, bisogna contenere gli spazi e i costi».

Per quanto riguarda le gomme: «Non cambia nulla, le temperature sono sui 25/26 gradi, al massimo c’è qualche foratura in più causata dalla sabbia».
Anche per Alberto Chiesa la sabbia è un elemento a cui bisogna stare attenti.
«Usiamo un olio più secco che non attira la polvere – ci spiega – non deve essere siliconico o teflonato, così la sabbia non si attacca. In questo modo non abbiamo mai avuto grossi problemi».

Cambio bici più difficile

Infine, abbiamo sentito Matteo Cornacchione della Ineos Grenadiers.
«A noi meccanici non cambia molto – esordisce il meccanico romagnolo – io porto con me la mia valigetta con i miei attrezzi. Quello che cambia è che come ammiraglie ci vengono dati dei Suv ed è un po’ più difficile prendere le biciclette nel caso di un cambio veloce».

Anche per la squadra di Ganna c’è un grande lavoro di imballaggio dei materiali e delle biciclette. «Nelle borse delle biciclette oltre al telaio e alle ruote – dice – mettiamo sacchetti pieni di borracce, così ci fanno anche da protezione contro eventuali urti. Ogni borsa peserà sui 30 chilogrammi. In totale portiamo 23 biciclette più 5/6 telai di scorta».

Fernando Gaviria all'UAE Tour 2020
Fernando Gaviria riparte dopo una foratura
Fernando Gaviria all'UAE Tour 2020
Fernando Gaviria riparte dopo una foratura

Anche i rulli

A differenza di altre squadre i meccanici della Ineos Grenadiers devono fare un piccolo sforzo in più.
«I nostri preparatori vogliono che portiamo anche i rulli – continua Cornacchione – così nella cronometro i ragazzi si possono scaldare allo stesso modo delle altre gare».

E poi c’è il fattore sabbia.
«Con il vento dà fastidio – ci dice – noi mettiamo tutte le bici dentro un furgone fino alla partenza, così sono perfette. A fine giornata ti rendi conto che c’è sabbia ovunque. Per essere sicuri laviamo anche quelle di scorta. Quando si ritorna si aprono tutti i movimenti centrali e gli sterzi e si lavano per bene»