Il Pellizzari scalatore. L’analisi di Pozzovivo e il nodo del fuorisella

16.09.2025
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Siamo ancora con i pensieri alla Vuelta e a quanto il giovane Giulio Pellizzari sia riuscito a farci divertire e sognare. E soprattutto a riaccendere la speranza di rivedere un italiano in lotta per un grande Giro. Ricordiamolo senza fretta… guai mettergli pressione.

Poco importa che sulla Bola del Mundo abbia pagato dazio. E’ arrivato a 6,8 chilometri dalla maglia bianca. E’ a quella distanza infatti che si è staccato da Riccitello e dagli altri. Va detto però che il rivale statunitense ha un anno in più del marchigiano: un’eternità quando si hanno 21 anni. E soprattutto uno era leader, l’altro gregario. Di lusso, ma gregario.

Noi, con l’aiuto del fine occhio di Domenico Pozzovivo, abbiamo analizzato il corridore della Red Bull-Bora in salita. Come si è comportato e sulle varie scalate. Una sorta di “foto” tecnica dello scalatore. Prima però rivediamo le salite di Pellizzari alla Vuelta.

Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali
Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali

Scalate veloci, okay

Nei primi due arrivi in salita, Limone Piemonte e Huesca La Magia, due salite molto veloci, specie quella piemontese, Pellizzari non ha avuto problemi. Lì si è andati in grandi gruppi, le velocità sono state prossime e in alcuni casi superiori ai 30 all’ora. Vale la stessa cosa verso il terzo arrivo in quota, Andorra, e il quarto, Valdezcaray.

In quello successivo, El Ferial Larra-Belagua, già più complicato, Giulio ha iniziato a mettersi in evidenza, correndo in appoggio per Jai Hindley. Su questa scalata, con pendenza media del 6,1 per cento, Pellizzari era rimasto con il gruppo dei top rider.

Le cose sono cambiate nel giorno dell’Angliru, ormai al termine della seconda settimana. Sul mostro asturiano Pellizzari a un certo punto ha perso terreno, ma con Hindley saldo al fianco di Almeida e Vingegaard si è gestito alla grandissima. Sull’Angliru Giulio si è messo di “passo” e ha sfruttato al meglio i tratti più pedalabili. Alla fine il margine ceduto a Vingegaard e Almeida era di 1’11”, quasi tutto accumulato nei durissimi tratti al 23 per cento.

Pagava qualcosa, appena 14″, anche il giorno successivo, quando si è mosso per Hindley. Lagos de Somiedo era una scalata simile alle precedenti, poco sopra il 6 per cento di pendenza media.

Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai
Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai

Terza settimana: gambe e testa

Qui ha iniziato a farsi sentire la fatica, nonostante tappe corte e qualche tratto annullato. Va ricordato che Pellizzari era al suo secondo grande Giro stagionale, affrontato per la prima volta in carriera.

Nel giorno di Castro de Herville, dove poi non si arrivò per una protesta pro Palestina, Giulio ha sofferto tantissimo sull’Alto de Prado, salita con lunghi tratti tra il 14 e il 18 per cento. Anche in questo caso però si è gestito bene, tanto che sul falsopiano prima del Gpm riusciva a ricucire il gap.

Infine il capolavoro nel giorno della vittoria. L’Alto de El Morredero è una salita irregolare, la cui pendenza media è ingannevole. Nella porzione centrale, la più dura, Pellizzari si è staccato, ha perso qualcosa, ma di nuovo è riuscito a rientrare di passo. Quando sono iniziati gli scatti, con intelligenza, ne ha piazzato uno in più quando tutti erano in pieno acido lattico. Anche lui. Questa è stata testa, parte determinante per uno scalatore.

Anche il continuo rientrare è un elemento tipico del grimpeur che in salita non molla mai e sa gestire, anzi centellinare lo sforzo grazie ad una particolare sensibilità.

Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo
Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo

Dal professor Pozzovivo

Da quel che si evince, il Pellizzari scalatore fa più fatica sulle salite estreme, cioè con pendenze oltre il 13-14 per cento, dove andare di passo diventa complicato. Perché? Qui interviene Domenico Pozzovivo, che tra l’altro con Pellizzari ha anche corso alla VF Group-Bardiani.

«Sarebbe interessante poter vedere i suoi file – dice Pozzovivo – ma da quel che vedo e ricordo Pellizzari procede sempre seduto e su certe pendenze invece è importante riuscire ad alzarsi sui pedali. Se guardiamo bene lo fa anche Vingegaard e persino un regolarista come Almeida. Pellizzari ha uno stile suo, che in sella gli garantisce un altissimo livello come abbiamo visto in questa Vuelta, ma certo deve imparare a fare più fuorisella. Questo potrebbe essere determinante per Giulio».

Il fuorisella da sempre identifica lo scalatore puro, anche se questa figura sta scomparendo o comunque va trasformandosi. Alla fine i fisici come quello di Pellizzari vanno per la maggiore, magari un filo più bassi ai fini dei grandi Giri.

«Lo stare più fuorisella – riprende Pozzovivo – gli consentirebbe di avere anche un po’ più di strappo, di cambio di ritmo più netto. Prendiamo Isaac Del Toro: i due sono molto simili in salita, entrambi alti ed entrambi procedono tanto seduti, però quando il messicano si alza sui pedali riesce a esprimere più watt. La differenza è tutta lì».

Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)
Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)

Allenamenti ad hoc

Lo stesso Pellizzari aveva accennato al suo peso in relazione a certe pendenze. Parliamo di un ragazzo alto 183 centimetri per 66 chili, nella norma ma non pochissimi per essere uno scalatore. Pertanto l’altra domanda posta a Pozzovivo è stata: come può fare Giulio per migliorare nel fuorisella e quindi sulle pendenze estreme?

«Ci sono esercizi in palestra – spiega Pozzovivo – alcuni di forza, ma si può intervenire anche sulla posizione in bici, come l’altezza del manubrio o delle leve affinché sia più comodo quando è in piedi. Ma soprattutto, e lo sottolineo, dovrebbe costringere sé stesso a stare il più possibile in questa posizione, specie quando deve fare lavori specifici o intensi. Che poi paradossalmente era il mio problema… ma al contrario! Io ci stavo quasi troppo. Ma serve anche stare fuorisella. Deve abituarsi a esprimere alti wattaggi stando in piedi».

«Riguardo al peso, il grimpeur da 50 chili ormai non esiste più ed è più complicato per questi ragazzi stare tanto in piedi, però Jay Vine, che non pesa certo 50 chili, è la dimostrazione che si può stare tanto fuorisella».

Alto del Morredero, l’urlo di Pellizzari: un giorno speciale

10.09.2025
6 min
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A un certo punto è sembrato di vederlo salire sull’Etna. La maglia bianca di Pellizzari si staccava come un lampo sul nero della montagna annerita dagli incendi dell’estate. Mancavano 3,5 chilometri quando Giulio ha attaccato davvero a fondo. E adesso che taglia la linea del traguardo, il marchigiano pesca l’urlo più forte dal suo profondo e sovrasta il baccano dell’Alto de el Morredero. Prima vittoria da professionista, arrivando da solo. Meglio di così non si poteva. Diavolo d’un marchigiano, questo è un giorno che nessuno di noi potrà mai dimenticare!

«Quando siamo arrivati alla parte meno ripida della salita – racconta Pellizzari dal pullman della Red Bull Bora Hansgrohein radio mi hanno detto di provare, ma fino ai 100 metri non ho voluto neanche pensarci di avercela fatta. Altre volte c’ero andato vicino e poi mi hanno preso, per cui ho aspettato davvero la fine prima di esultare. Cosa c’era in quell’urlo? Una grande felicità!».

Provincia di Leon, la vendemmia è iniziata, il gruppo fruscia ad alta andatura verso la salita finale
Provincia di Leon, la vendemmia è iniziata, il gruppo fruscia ad alta andatura verso la salita finale

Il giorno più bello

Diciassettesima tappa della Vuelta, questa volta le proteste in favore della Palestina non condizionano lo svolgimento della tappa. Ieri Vingegaard e i grandi del gruppo hanno espresso comprensione per il dramma di Gaza e magari questo ha persuaso i manifestanti a lasciargli portare la croce sulla montagna bruciata.

«Penso che sia stato il miglior momento della mia carriera – dice Pellizzari – una carriera corta fino ad oggi. Ho avuto un senso di sicurezza, ho sentito che oggi sarebbe potuto essere il mio giorno. Grazie a tutti i miei compagni, abbiamo preso la valle a tutto gas per cercare di sfiancare Pidcock, perché chiaramente l’obiettivo è il podio di Hindley. Ho fatto il primo scatto e mi hanno ripreso, ma sul secondo sono andato via e Jai mi ha protetto molto bene. Visto il grande lavoro fatto per puntare al suo podio, sono contento di aver potuto ricambiare gli sforzi della squadra».

Prima di attaccare, Pellizzari ha fatto la sua parte per proteggere e semmai migliorare la posizione di Hindley
Prima di attaccare, Pellizzari ha fatto la sua parte per proteggere e semmai migliorare la posizione di Hindley

Tempismo perfetto

Si sono ritrovati in superiorità numerica, Pellizzari e Hindley, dopo che il vento contrario ha svuotato le gambe dei primi della classe. Vingegaard ha provato a staccare Almeida, ma non potendo fare velocità, se lo è visto rientrare e lì è rimasto. Hindley ha provato a piegare Pidcock per il podio, ma il britannico non s’è fatto intimidire e ha rilanciato.

«Eravamo venuti a vedere la salita – spiega il diesse Patxi Vila – e sapevamo che la valle sottostante poteva essere piena di vento, per cui la squadra è stata fantastica, i ragazzi sono stati molto bravi. Dato che Giulio era il più indietro in classifica, nel finale abbiamo deciso di spostare l’obiettivo dalla classifica generale alla tappa. E ha funzionato bene. Giulio è partito alla grande e anche Jay ha fatto un lavoro impressionante. E’ stata una lotta molto tattica. L’unico che ha provato a recuperare più volte è stato Riccitello per la maglia bianca, mentre gli altri non sono sembrati irresistibili».

Hindley ha forzato la mano per attaccare il podio: ora Jai ha 36″ di ritardo da Pidcock
Hindley ha forzato la mano per attaccare il podio: ora Jai ha 36″ di ritardo da Pidcock

Un premio per Tiberi

Nel giorno in cui anche Tiberi ha provato a dare un segno di timida ripresa, per Marco Villa arriva un segnale squillante come l’azzurro delle maglie che saranno annunciate il 17 settembre, prima che la spedizione parta alla volta del mondiale di Kigali.

«Oggi è stata un’altra giornata sicuramente molto impegnativa – ha detto il corridore della Bahrain Victorious – in cui volevamo provare a giocarci le nostre carte sia in fuga sia in gruppo con Torsen Traen per la classifica generale (al momento il norvegese è 9°, ndr). Io sono riuscito ad entrare nella fuga di giornata, però avevo capito che specialmente la Visma non voleva lasciare troppo spazio. La speranza è sempre l’ultima a morire, quindi ho giocato le mie carte fino alla fine. Ho provato diverse volte ad attaccare, perché le sensazioni erano buone. Ci hanno ripreso, però ho vinto il premio di più combattivo, che mi dà morale e un po’ di soddisfazione».

Il primo attacco di Pellizzari a 3,9 km dall’arrivo. Quello decisivo ai meno 3,5
Il primo attacco di Pellizzari a 3,9 km dall’arrivo. Quello decisivo ai meno 3,5

Un cenno di Hindley

Al Giro dello scorso anno c’era voluto per due volte Pogacar a guastargli i piani. Quest’anno solo l’assolo di Fortunato e Scaroni gli ha impedito di vincere la prima corsa al Giro a San Valentino di Brentonico. Era chiaro che avesse nelle gambe la forza giusta, non era facile capire se la squadra gli avrebbe dato via libera. Finché dopo una passata in testa di Hindley, l’australiano si è voltato e gli ha fatto cenno. Era il segnale che Pellizzari aspettava da inizio Vuelta.

«Eravamo sei in tutto – racconta trafelato – e noi eravamo in due. Ho pensato che se fossi andato, nessuno sarebbe venuto a prendermi. Oggi ho provato più di una volta a distruggermi andando a tutto gas nei tratti più ripidi. Ma quando la pendenza è diventata un po’ più bassa, ho provato ed è stato perfetto per il mio peso. Che cosa posso dire: grazie a tutti quelli che hanno creduto in me fin dal primo momento».

Il verdetto della crono

Domani la cronometro potrebbe riscrivere gli equilibri della Vuelta Espana, perché i 50 secondi che dividono Vingegaard dal più specialista Almeida potrebbero assottigliarsi di molto. E come si conviene nei finale dei Grandi Giri, specialisti o meno, restano sempre a galla quelli che hanno conservato più energie.

«La crono di domani – dice Pellizzari – è la tappa che aspetto dal via di Torino. Quella del Giro avevo dovuto farla piano, qui invece mi metterò alla prova per testarmi davvero. A livello di sensazioni, credo che forse al Giro stessi meglio di adesso e anche questa è una lezione. Ho capito che per vincere non serve avere per forza la gamba della vita».

In questo giorno di distacchi col bilancino e calcoli di energie residue, la splendida sfrontatezza di Pellizzari ha rischiarato il pomeriggio dell’Alto del Morredero, che sovrasta Ponferrada, nella provincia di Leon. Un italiano con la testa alta che al Giro ha convissuto con Roglic e sta pedalando accanto a Hindley, in attesa che il prossimo anno arrivi anche Evenepoel. Uno che in apparenza non ha paura di niente. Forse non è neanche per caso che nel giorno di Del Toro al Giro di Toscana, Giulio abbia vinto alla Vuelta. Questi due ragazzini, al pari di Sinner e Alcaraz su altri campi, presto si divideranno il futuro.

Berton, nel dopo gara con i protagonisti c’è sempre lui

02.09.2025
6 min
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Ci vuole sicuramente tanta preparazione professionale e, perché no, anche quella fisica per il suo lavoro. Pochi istanti dopo la fine di una classica o di una tappa di un grande giro, Andrea Berton deve trovarsi al posto giusto al momento giusto per intercettare e inseguire le prime battute dei protagonisti. Anche poco fa a El Ferral Larra Belagua, traguardo della decima frazione de La Vuelta (vinta da Jay Vine e con Jonas Vingegaard tornato leader), ha esattamente fatto questo, ma non solo.

Il curriculum del giornalista milanese è degno del palmares di un grande corridore. La sua voce ha riempito tanti pomeriggi degli appassionati di ciclismo durante le telecronache su Eurosport Italia fino al 2014, poi ha cambiato ruolo all’interno del network della Warner Bros Discovery. Da dieci anni i compiti di Berton hanno preso un respiro molto più internazionale diventando “reporter on site” in lingua inglese al seguito delle gare. E così, vedendolo sempre nel vivo del post-azione, abbiamo voluto approfondire l’argomento, cercando di scoprire difficoltà, vantaggi o aneddoti della sua più recente esperienza lavorativa. C’è spazio anche per un piccolo grande insegnamento per chi vorrebbe fare una carriera come la sua.

Dopo tanti anni di telecronache, Andrea Berton dal 2016 è “reporter on site” per Eurosport in lingua inglese (foto Julian Verlay)
Dopo tanti anni di telecronache, Andrea Berton dal 2016 è “reporter on site” per Eurosport in lingua inglese (foto Julian Verlay)
Andrea proviamo a spiegare meglio il tuo lavoro?

Certo. Sono impegnato sia prima della partenza che dopo l’arrivo della tappa con le interviste. Al mattino tastiamo umori e sensazioni di atleti e direttori sportivi. Essenzialmente però posso dire che la parte più impegnativa è dopo l’arrivo. Eurosport da qualche tempo vuole le “instant reaction”, ovvero le impressioni a caldo dei corridori.

In cosa consiste?

Innanzitutto dobbiamo rispettare una zona riservata alle televisioni molto dopo la linea del traguardo. Ci posizioniamo dove sappiamo possono fermarsi i corridori, più o meno dove ci sono i massaggiatori che li attendono. Poi cerchiamo di andare a sentire subito i compagni del vincitore oppure quei corridori che si sono piazzati alle sue spalle. Per regolamento noi non possiamo intervistare né lui né chi porta le maglie di leader delle varie classifiche. Tutti loro prima devono passare dai microfoni del segnale internazionale, quindi ci concentriamo su altri protagonisti.

Le tue impressioni a mente fredda quali sono in quei frangenti?

Sono momenti bellissimi ed intensi per me. Magari dopo un arrivo in volata, vedi da vicino l’eccitazione di chi ha fatto il leadout al proprio capitano che ha vinto la tappa oppure la delusione di chi è stato battuto. Oppure nelle tappe di montagna puoi osservare chi ha appena compiuto un grande sforzo.

Hai qualche aneddoto da raccontare?

Ricordo ancora Dani Martinez l’anno scorso al termine dell’arrivo al Mottolino di Livigno. Restò quasi quattro minuti seduto contro una transenna a capo chino per recuperare dalla fatica. Era provatissimo. Oppure invece mi ha sempre stupito la freschezza di Pogacar dopo ogni sforzo, proprio per il suo grande livello. Per me, ripeto, o per chi fa il mio mestiere è un grande privilegio vivere questi momenti.

Piccolo inciso, Pogacar ti è sembrato stanco al Tour come è stato detto a più riprese?

In Francia quest’anno non c’ero, ma ho parlato con i miei colleghi di questo argomento. Loro mi hanno detto che non lo hanno visto così tanto provato e che avrebbe potuto vincere qualche tappa in più. Però mi limito alle loro impressioni.

Berton è rimasto impressionato dalla freschezza di Pogacar nelle interviste post-gara (foto Julian Verlay)
Berton è rimasto impressionato dalla freschezza di Pogacar nelle interviste post-gara (foto Julian Verlay)
Il rapporto con i corridori invece com’è negli attimi vicini alla corsa?

Partiamo dal presupposto che tutti i momenti degli atleti vanno rispettati. Sia prima del via quando può esserci un po’ di tensione perché “si sente la gara”, sia dopo il traguardo anche quando vai a parlare con qualcuno felice per il risultato di squadra. Ogni corridore ha il proprio carattere, quindi c’è sempre qualcuno che parla più volentieri e qualcuno meno.

Possiamo fare degli esempi?

Senza andare tanto indietro nel tempo, mi limito a queste prime tappe di Vuelta. Ciccone non è uno che abbia molta voglia di parlare, specie prima di una tappa in cui è uno dei pronosticati. Se non viene in mixed zone, il giorno successivo magari passa, si scusa e fa l’intervista. C’è invece l’altro Giulio, Pellizzari, che è molto più loquace. Lui ha sempre la battuta pronta e il sorriso, anche quando non è stata una grande giornata. Non si sottrae mai alle domande e spesso risponde stemperando la tensione. Oppure ancora c’è Edward Planckaert, il pesce-pilota di Philipsen, che ti racconta sempre tantissimo delle volate che quasi te le fa vivere.

Hai notato qualche cambiamento sotto il punto di vista del rapporto corridore-giornalista?

Di sicuro posso dire tranquillamente rispetto al passato, soprattutto quando ho iniziato a fare questo lavoro ormai trent’anni fa, che adesso il corridore ha una capacità e una disponibilità migliori di rapportarsi con i media. Adesso ti vengono a cercare per le interviste. Parlo di italiani ed stranieri. Si vede che c’è tanta professionalità. In generale, tranne qualche eccezione, trovi corridori più preparati a parlare, anche a caldo. E per questo li devo ringraziare perché facilitano il mio lavoro.

Quali sono le difficoltà principali del tuo ruolo?

Direi che la logistica è la cosa più complicata e rende la giornata lunga. Siamo sempre sia in partenza che in arrivo e di base con l’ultima intervista del dopo-gara, finisce il nostro lavoro di giornata. Talvolta è capitato di arrivare tardi al traguardo perché trovi traffico oppure un incidente o perché non ci sono molte strade alternative per arrivare. Ricordo una tappa del Tour Femmes di tre anni fa ed una di montagna al Giro d’Italia dell’anno scorso. Comunque ce l’abbiamo sempre fatta per arrivare in tempo prima dell’arrivo.

Può incidere questo sul rendimento del tuo lavoro?

Quando siamo in trasferimento, non sempre abbiamo un segnale forte sul cellulare o altri dispositivi per vedere la tappa in streaming, pertanto questo aspetto può limitarci. Vedere com’è andata la gara ti aiuta nelle interviste o considerazioni. Tuttavia talvolta capita che debba fare domande al buio proprio per quello che vi dicevo all’inizio. Essendo posizionati lontani dal traguardo e dal maxischermo, e non avendo sempre la possibilità di vedere il finale sul cellulare un po’ per la concitazione, un po’ per la differita, dobbiamo affidarci alle parole dei corridori. Per non sbagliare in quelle circostanze, specie dopo uno sprint, chiedo “com’è stato il finale?” e l’atleta ti racconta tutto.

Il lavoro di Berton inizia già al mattino poi trasferimento verso il traguardo (foto Julian Verlay)
Il lavoro di Berton inizia già al mattino poi trasferimento verso il traguardo (foto Julian Verlay)
Quanto è importante conoscere il ciclismo soprattutto nelle interviste post-arrivo?

Certamente molto. Credo che sia nostro dovere arrivare preparati e sapere tutto dei corridori, comprese le curiosità oltre ai risultati. Bisogna stare sul pezzo, essere aggiornati. Fa parte del nostro mestiere. Ma non tutti considerano che questo lavoro non lo puoi fare da solo.

A cosa ti riferisci?

E’ vero che faccio io le interviste, però se non hai un collega cameraman che ti segue e capisce in anticipo le tue mosse, allora non fai granché. Infatti a tal proposito ci tengo a ringraziare Phil Bryden con cui lavoro da tanto tempo (in apertura foto Julian Verlay). Lui è un grandissimo intenditore di ciclismo, anche più di me, e fra noi basta davvero un’occhiata per intenderci.

A proposito di preparazione, Andrea Berton possiede ancora quella chiavetta contenente tutte le info dei corridori?

Sì, certo (risponde sorridendo, ndr). Quando facevo le telecronache non esistevano i siti di adesso dove trovi tutti i risultati, così mi ero creato un database su chiavetta dove indicavo piazzamenti e curiosità. La attaccavo al computer e la consultavo in tempo reale quando serviva. Ora ho trasferito tutto su un cloud e lo vedo anche dal cellulare. Molte cose ormai le sappiamo già e ce le ricordiamo, specie se le hai viste dal vivo. Però nel nostro lavoro per essere preparati non bisogna mai smettere di studiare e avere sempre passione per ciò che fai.

Alla Vuelta con Hindley, parole e gambe da leader ritrovato

29.08.2025
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Dietro al sorriso di Jai Hindley si nasconde una gran voglia di tornare a stupire. Tutti guardano Vingegaard o si interrogano sul dualismo in casa Uae, ma zitto zitto il vincitore del Giro d’Italia 2022 si sta ritagliando un ruolo in questa Vuelta e sogna di arrampicarsi fino al podio di Madrid.

Le prime frazioni ci hanno restituito l’australiano che avevamo imparato a conoscere sulle nostre strade con il secondo posto del 2020 e l’apoteosi rosa di due anni dopo all’Arena di Verona. Sembra superato l’incidente nella tremenda sesta tappa del Giro dello scorso maggio (poi neutralizzata dalla giuria) che l’aveva costretto a un lungo recupero. Tant’è che proprio in questi giorni di Vuelta è arrivata anche l’attesa convocazione in nazionale per i mondiali in Rwanda. Ulteriore testimonianza di una gamba convincente.

E’ il 29 maggio del 2022 quando nell’Arena di Verona Hindley festeggia la vittoria del Giro con l’allora Bora-Hansgrohe
E’ il 29 maggio del 2022 quando nell’Arena di Verona Hindley festeggia la vittoria del Giro con l’allora Bora-Hansgrohe

Talento ritrovato

La Red Bull-Bora-Hansgrohe si è assicurata per gli anni a venire Remco Evenepoel, così da tamponare anche un eventuale ritiro nelle prossime due stagioni di Primoz Roglic, che ai media sloveni ha confessato il desidero di tornare agli sport invernali. Ritrovare un Hindley al top può ulteriormente rafforzare la corazzata tedesca per il 2026 e aprire più scenari.

«Ritornare a fare il capitano – comincia a raccontare il ventinovenne di Perth – è bello. Abbiamo tanti leader e tanti ottimi corridori in squadra, per cui bisogna cogliere l’occasione quando si presenta. Aspettavo la Vuelta da inizio anno perché sapevo che avrei avuto spazio. E’ stato davvero brutto essere costretti a lasciare così presto il Giro a causa di una caduta. Da quel momento ho cercato di riprendermi e concentrarmi per arrivare con la miglior forma a questo appuntamento».

La partenza da Torino ha gasato Hindley, che ama l’Italia essendo stato anche U23 in Abruzzo
La partenza da Torino ha gasato Hindley, che ama l’Italia essendo stato anche U23 in Abruzzo

La guardia italiana

A Limone Piemonte la Red Bull ha lanciato Pelizzari per provare a scardinare le certezze di Vingegaard. Il piano non è riuscito, ma ha dimostrato che il sesto posto al Giro del ventunenne marchigiano, che ieri ad Andorra ha invece conquistato la maglia bianca, è soltanto l’inizio. «Jai lo vedo tranquillo – dice Pellizzari – è sereno. Ama l’Italia per cui l’inizio di Vuelta nel nostro Paese l’ha caricato e noi crediamo molto in lui».

Accanto a lui, Aleotti e Sobrero compongono la guardia italiana del leader. Nella cronosquadre, Sobrero è stato vittima di un’altra caduta (la sua ruota anteriore ha toccato quella di Aleotti), ma i raggi in ospedale hanno scongiurato il peggio. Il risultato di squadra a Figueres, al netto dell’incidente, è stato confortante, con appena 12 secondi persi dalla Uae della strana coppia Almeida-Ayuso e appena quattro dalla Visma di Vingegaard.

Della guardia italiana di Hindley alla Vuelta fanno parte Pellizzari e Aleotti (con lui in apertura) e anche Sobrero
Della guardia italiana di Hindley alla Vuelta fanno parte Pellizzari e Aleotti (con lui in apertura) e anche Sobrero

Futuri sposi

«Abbiamo tre italiani giovani e forti», prosegue Hindley. «Giulio ha un grande talento e sono certo che sarà una delle stelle del vostro movimento ciclistico per il futuro. In più, è anche un bravissimo ragazzo, così come Matteo e Giovanni, che sono sempre molto disponibili».

Anche se poi in zona mista si nasconde dietro il più sicuro inglese, Jai capisce l’italiano, che viene talvolta utilizzato in corsa in casa Red Bull. D’altronde, la promessa sposa ed ex ciclista a livello giovanile Martina Centomo è lombarda: i due convoleranno a nozze al termine della stagione, a novembre. Ed è stata proprio la futura signora Hindley a raccontarci qualche retroscena, dopo aver terminato l’impegno con l’organizzazione per la partenza italiana della Vuelta (ha tradotto in inglese per le tv internazionali la team presentation di Torino) ed essere tornata in modalità tifosa sia alla cronosquadre sia nell’arrivo in salita in Andorra.

«Fa il timido – rivela Martina – ma a volte l’italiano lo parla e si sforza. Anzi, proprio l’altro giorno, uno dei tecnici mi ha detto che anche in radio l’ha utilizzato per segnalare un pericolo. Dicendo: occhio a sinistra».

Giro 2025, Hindley con Martina, sua futura moglie. E’ il giorno prima della caduta e del ritiro
Giro 2025, Hindley con Martina, sua futura moglie. E’ il giorno prima della caduta e del ritiro

Lei che lo vede da vicino, conferma le nostre buone impressioni: «Nonostante la sfortunata caduta di Matteo, il risultato della cronosquadre ha evidenziato che sono un team molto affiatato. Jai l’ho visto ricaricato e, dall’altro lato, anche rilassato e sicuro di sé e del lavoro che ha fatto per arrivare al meglio in questa Vuelta. In più, è contentissimo della convocazione mondiale, perché sarà leader anche lì».

L’intervento al naso

Insomma, per il podio bisognerà fare i conti con la voglia di riscatto dell’australiano che oramai è anche un po’ italiano. «In pochi lo considerano in chiave classifica finale – continua Martina – forse anche per le sfortune che ha avuto di recente, ma lo vedo finalmente tornato al top.

«Lo scorso anno è stato un calvario, perché è sempre stato ammalato tra una gara e l’altra. Non è riuscito a dar seguito al buon terzo posto della Tirreno-Adriatico (dietro a Vingegaard e Ayuso, ndr). Così, a fine stagione, si è sottoposto a un’operazione per sistemare il setto nasale deviato, visto che poi lui soffre di parecchie allergie di stagione. E devo dire che quest’anno ne ha tratto i benefici».

Il 2024 si era aperto con il terzo podio alla Tirreno dietro Vingegaard e Ayuso, poi Hindley ha dovuto operarsi al setto nasale
Il 2024 si era aperto con il terzo podio alla Tirreno dietro Vingegaard e Ayuso, poi Hindley ha dovuto operarsi al setto nasale

Resettato al 100 per cento

Hindley ha dimostrato anche una grande resilienza, quando la sfortuna si è messa di nuovo di traverso con la caduta al Giro, come conferma la compagna.

«Ricordo com’era conciato quando sono andato a trovarlo in ospedale – ricorda Martina – appena mi sono liberata dagli impegni di lavoro con Rcs al Giro. Ha avuto un sacco di aiuto dalla squadra e poi è dovuto stare una settimana a casa dei miei genitori in provincia di Varese perché non poteva muoversi. Poi ha continuato con la riabilitazione suggerita dal team, al Red Bull Athlete Performance Center in Austria, sia dal punto di vista fisico sia mentale. Era molto giù di morale dopo quanto accaduto. Vedeva i suoi sforzi vanificati da un incidente di corsa, ma si è tirato su le maniche e si è preparato al meglio per la Vuelta. Tra riabilitazione, fisioterapia e attenzione alla nutrizione, l’hanno resettato al 100 per cento e da luglio era pronto per l’allenamento in quota a Livigno».

Il 4° posto della Red Bull-Bora nella cronosquadre di Figueres, a 12″ dalla UAE Emirates, parla di una squadra molto unita
Il 4° posto della Red Bull-Bora nella cronosquadre di Figueres, a 12″ dalla UAE Emirates, parla di una squadra molto unita

Voglia di podio

Jai non si tira indietro e fissa l’obiettivo: «Il percorso della Vuelta propone diverse opportunità per attaccare e tanti begli arrivi in salita in cui posso far bene. Più che una singola tappa, la priorità è sempre un bel piazzamento nella classifica finale. Vingegaard è in grande forma e abbiamo visto come ha vinto a Limone, rientrando persino dopo una caduta: chapeau! Comunque, noi combatteremo ogni giorno e vedremo che risultato verrà fuori».

Delle due precedenti partecipazioni spagnole, il miglior risultato resta il nono posto del 2022, quando a trionfare fu il futuro compagno Remco. Vediamo se la Vuelta italiana lo riporterà sul podio di un Grande Giro. 

Il tetris di Villa tra l’Africa e la Francia: nasce l’Italia

28.08.2025
6 min
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Tornato con soddisfazione dai mondiali juniores su pista, in cui ha affiancato Salvoldi e Bragato, Marco Villa adesso fa rotta verso il doppio impegno dei mondiali e degli europei su strada. Il Rwanda e la Francia chiamano corridori resistenti e forti in salita. Ma mentre per la spedizione africana bisognerà che alla crono (ugualmente dura) pensi chi poi farà anche la strada, nella sfida europea la prova contro il tempo sarà per specialisti e sarà possibile prevedere un avvicendamento.

Tiberi ha esordito al mondiale pro’ lo scorso anno a Zurigo. Ora è alla Vuelta: secondo Villa dovrebbe pensare di più alle classiche
Tiberi ha esordito al mondiale pro’ lo scorso anno a Zurigo. Ora è alla Vuelta: secondo Villa dovrebbe pensare di più alle classiche
Si è molto ragionato, la conclusione è che il gruppo mondiale e quello europeo non saranno identici?

No, non saranno due gruppi uguali. Quando due mesi fa ebbi il primo contatto con Ciccone, mi disse che a lui il mondiale capitava bene, dopo la Vuelta, però poi aveva Emilia e Lombardia nel programma (i due sono insieme in apertura al Tour of the Alps, ndr). E l’Emilia si corre il giorno prima dell’europeo, quindi non si riesce.

Hai già in testa le due rose diverse?

Col mondiale mi ero mosso, con gli europei mi sono detto che avrei potuto aspettare anche la Vuelta. Inizialmente per il Rwanda sembrava che avremmo avuto cinque nomi ed era abbastanza facile individuarli. Dovevo tenere presente che due di loro dovevano essere cronoman e serviva anche il terzo per fare il Team Relay. Quindi solo due sarebbero stati stradisti puri, ma avrei avuto cronoman in grado di dare una mano su quel percorso. Adesso invece la prospettiva è di avere sette o anche otto nomi, quindi qualcuno che a malincuore avrei dirottato sull’europeo, ora potrei tirarlo dentro.

Quando ci sarà l’ufficialità?

Un meeting tra presidente, segretario generale, Amadio e il vicepresidente è stato fatto a Torino sabato mattina, prima della partenza della Vuelta. Qualcosa hanno già deciso e preventivato, però probabilmente si dovrà passare per il Consiglio federale. In attesa, a me è stato comunicato che c’è la volontà di aprire ad altri atleti.

Recuperare Caruso è l’auspicio di Villa: dipenderà dalla sua possibilità di tornare in condizione
Il Giro ha dato a Caruso il quinto posto e un grosso carico di soddisfazione personale
Per il tuo primo mondiale su strada l’idea è di avere un leader unico?

Con cinque corridori il discorso sarebbe stato diverso, ma l’idea rimane, perché Ciccone ha dimostrato che su certi percorsi sa vincere, sa provare a vincere. Non nascondo che farei fatica a definire Tiberi un gregario. Ad Antonio ho detto che mi piacerebbe portarlo come seconda punta. Però, secondo me, corre poco nelle prove di un giorno. Anche in funzione del fatto che i prossimi tre mondiali hanno tutti caratteristiche simili, mi piacerebbe formare un gruppo e Tiberi potrebbe essere la figura del campione che deve acquisire esperienza correndo i mondiali e altre corse di un giorno. Ad ora si concentra tanto sulle corse a tappe, ma con le sue caratteristiche potrebbe perfezionare un po’ l’attitudine alle prove singole.

Pensi di poter recuperare Caruso dopo la caduta per cui ha saltato la Vuelta?

Inutile nascondere che Caruso come regista ha trovato il pieno consenso anche da parte di Ciccone. Sono amici e si fida, in più Caruso in squadra è l’uomo spalla di Tiberi. Sarebbe l’uomo giusto per quel ruolo. Adesso vediamo quello che si può fare. Ci siamo sentiti e mi è sembrato di capire dall’entourage della squadra che ci sia margine per lavorare in questi giorni. Gli ho dato 7-8 giorni in cui capire se riesce ad allenarsi, se riesce a ritornare e fare qualche gara, nel calendario italiano, forse anche il Canada. Io mi fido perché ha grande personalità e ha dimostrato di sapersi allenare. Quando abbiamo parlato, mi disse che sarebbe venuto, ma dopo due mesi senza correre, era curioso di vedere come sarebbe rientrato a Burgos. E’ andato e ha vinto.

Quanto è brutta la frattura della mano?

Il giorno dopo è andato in bici, riusciva a tenere il manubrio in una certa posizione, ma non a fare tutto quello che può capitare in gruppo durante una gara. E così ha rinunciato. Per questo penso che possa allenarsi e magari in 10-12 giorni possa tornare a correre. L’ho trovato molto determinato, entusiasta del ruolo che gli ho dato e di questa possibilità di maglia azzurra. Per questo ci spero anche io fino alla fine.

Pellizzari, al pari di Tiberi, ha bisogno di esperienza nelle corse di un giorno: Villa lo vorrebbe a Kigali
Pellizzari, al pari di Tiberi, ha bisogno di esperienza nelle corse di un giorno: Villa lo vorrebbe a Kigali
I tre cronoman che farebbero anche la strada sono Cattaneo e Sobrero, con l’aggiunta di Tiberi?

Esatto. I primi con cui ho parlato sono questi. Sobrero inizialmente avrebbe dovuto fare il Tour, ma è andato al Polonia ed è andato forte e adesso sta facendo bene alla Vuelta. Lui e Cattaneo possono dare una mano anche su strada, perché vanno forte in salita. Tiberi l’anno scorso non sembrava tanto dell’idea di fare il Team Relay, vediamo se cambia opinione. Al momento è tutto concentrato sulla Vuelta e non voglio stressarlo più di tanto. Abbiamo la coincidenza che la cronometro è per scalatori, perché se fosse stata veloce e avessi portato un Ganna, su strada avrebbe potuto aiutare poco. Invece agli europei la crono è per specialisti e la strada per scalatori, ma siamo vicini e si possono fare due gruppi che si interscambiano, così costi e stanze in hotel restano invariati.

Se avessi qualche posto in più per il Rwanda, Pellizzari sarebbe un nome da aggiungere?

Pellizzari era già una richiesta di sacrificio che avevo chiesto alla Federazione e ad Amadio che l’avrebbe portata avanti, per un discorso parallelo a quello di Tiberi. Abbiamo tre mondiali duri e Pellizzari è un altro che in questi tre anni può crescere, ci può far comodo e può diventare un leader. Mi piacerebbe già a questo mondiale. Abbiamo parlato, era un po’ titubante.

Come mai?

Abbiamo parlato dei vaccini e del livello degli ospedali, gli ho detto che l’UCI ha dato delle garanzie precise. Era il periodo dell’incidente di Baroncini, comprensibile che esitasse. Infatti poi si è tranquillizzato e mi ha dato l’okay per esserci. Adesso aspettiamo di avere i numeri definitivi, ma almeno per il sesto già ci sto lavorando.

Cattaneo, terzo agli europei crono 2024, è uno dei candidati di Villa a strada e prova contro il tempo ai mondiali
Mattia Cattaneo, terzo agli europei crono 2024, è uno dei candidati a strada e prova contro il tempo ai mondiali
Se il blocco del mondiale non si può replicare agli europei, qual è l’orientamento?

Mi piacerebbe fare un blocco XDS-Astana. Ulissi, Scaroni, Lorenzo Fortunato, Velasco, Conci sono tutti atleti che sto tenendo d’occhio. Stiamo valutando anche con Ganna, anche perché Cattaneo e Sobrero rientrano martedì dal Rwanda e la crono c’è di mercoledì e il team relay il giovedì. Affini mi ha chiesto di non considerarlo perché gli nasce la bimba, così per la crono ho allertato Lorenzo Milesi. Tornando alla strada, mi piace come si sta muovendo Frigo, da capire se per mondiale o europei, come pure Aleotti. Quello che cambia, se andiamo al mondiale in più di sei, è che qualcuno della strada potrebbe correre anche l’europeo. Ci sono 4 giorni dal rientro e magari c’è lo spazio per recuperare.

Hai una scadenza per dare i nomi?

Non c’è un termine come per le Olimpiadi, ma certo servono i nomi per i biglietti aerei. Per cui aspettiamo le conferme sul numero effettivo e poi tirerò fuori la squadra.

Pellizzari, ecco il secondo Grande Giro: «Libertà e tappe»

20.08.2025
6 min
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Avevamo lasciato Giulio Pellizzari protagonista al Giro d’Italia. Il giovane talento della Red Bull-Bora si era messo in mostra in montagna, lottando con i migliori. Poi, per tutta la parte centrale dell’estate, era tornato in altura ad allenarsi. Il rientro alle corse è avvenuto alla Vuelta a Burgos, dove si è preso subito i riflettori.

In Spagna, oltre ad ottenere un incoraggiante quarto posto, ha di fatto lanciato la sua corsa alla Vuelta. Per la prima volta in carriera affronterà due Grandi Giri nella stessa stagione. La carne al fuoco è tanta e Giulio è pronto a raccontarcela.

Il marchigiano (classe 2003) sul podio dell’ultimo Giro come miglior giovane italiano
Il marchigiano (classe 2003) sul podio dell’ultimo Giro come miglior giovane italiano
Giulio, partiamo dalla fine. E’ la prima volta che affronti due Grandi Giri in stagione. Come ti senti?

La Vuelta all’inizio dell’anno era nei programmi. Poi avendo fatto il Giro, la stessa corsa spagnola era stata tolta, ma abbiamo insistito anche con il preparatore per reinserirla. Alla fine, per un corridore come me, servono le corse di tre settimane per continuare a crescere. Sarebbe stato più duro andare in Canada, a Plouay o in Germania, facendo tante gare o corse di un giorno solo. Quindi sono contento di essere qui e vediamo come andrà.

Hai detto subito una cosa importante: “Per continuare a crescere”. Quest’anno come sei uscito dal Giro rispetto all’anno scorso?
L’hai sostenuto meglio? Hai notato più voglia di tornare in sella? Oppure era come l’anno scorso?

Mi sarebbe piaciuto molto fare il Giro di Svizzera, perché dal Giro ero uscito bene. Poi parlando con il preparatore Artuso e con Gasparotto (all’epoca ancora in squadra, ndr), mi è stato fortemente consigliato di stare a casa. Un po’ mi è dispiaciuto perché avrei voluto sfruttare la gamba che avevo al Giro, un po’ come l’anno scorso feci allo Slovenia. Però avendo poi optato per la Vuelta, ho staccato e anche molto… Ed ora eccoci qua alla partenza.

Sei già a Torino?

Sì, siamo a Torino perché questa mattina abbiamo fatto la prova per la cronosquadre. Il team ci punta molto. Abbiamo fatto delle prove, anche con gli ingegneri.

E com’è andata?

Ho capito che sarà più dura del previsto! Finora ho fatto una sola cronosquadre, quella Tour de l’Avenir nel 2023, con Piganzoli. Anche quella fu dura, ma qui ti giri intorno e vedi compagni da 75-80 chili… Sarà tosta tenere le ruote!

Pellizzari (con a ruota Aleotti) era rientrato a San Sebastian ma si era fermato. A Burgos invece ha colto un ottimo 4° posto nella generale
Pellizzari era rientrato a San Sebastian ma si era fermato. A Burgos invece ha colto un ottimo 4° posto nella generale
Raccontaci un po’ il tuo post-Giro. All’Italiano ti abbiamo visto appena rientrato…

All’Italiano avevo appena ripreso ad allenarmi. Avevo fatto due settimane di recupero: una senza bici e una con qualche uscita quando volevo. Poi ma na mano ho aumentato le ore di sella. Proprio all’italiano ero nel pieno della “non-forma” e soffrivo, perché avevo ancora in memoria la gamba del Giro. Ci ho messo un po’ a riprenderla, ora vedremo se alla Vuelta quella gamba è tornata.

Come hai lavorato in questi mesi?

Ho fatto molta altura: una settimana in Trentino a casa della mia compagna, poi 23 giorni a Livigno. Sarei dovuto andare anche a Macugnaga con Sobrero e Ganna, ma alla fine abbiamo deciso di ritornare a casa. In generale, specie in altura, ho lavorato come sul Teide prima del Giro. Da Livigno sono andato diretto a Burgos.

Cosa significa “lavorare come prima del Giro”? Cambia qualcosa tra il primo e il secondo Grande Giro dell’anno? si riparte dallo stesso livello o da un gradino più in alto?

Il fatto che la Vuelta parte il 23 agosto e il Giro d’Italia partiva il 9 maggio incide molto. Eravamo all’inizio della stagione, avevo corso poco e quindi era molto più facile allenarsi. Ora siamo a stagione inoltrata, l’estate è quasi finita e sembra quasi più pesante (esattamente come ci ha detto Michele Bartoli qualche giorno fa, ndr). Credo che la differenza sia quella alla fine. Vedremo in corsa come starò e vi saprò dire se sarò ripartito da un gradino più alto o da uno più basso.

Qualche allenamento particolare?

Ci sono stati un paio di giorni  in cui ho sofferto particolarmente – ridacchia Giulio e il perché è presto detto – Avevamo in programma una tripletta, vale a dire tre giorni di carico. Il primo di questi giorni al mattino pioveva, quindi siamo usciti nel pomeriggio. Il secondo giorno avevamo dei lavori di intensità, quindi belli spinti. I due giorni successivi è stata dura tornare in hotel. Ero veramente finito senza il recupero del pomeriggio del primo giorno. Di buono c’è che eravamo veramente un bel gruppo. Con Sobrero e Aleotti abbiamo sofferto, ma ci siamo divertiti.

Giulio ha parlato di un gruppo coeso a Livigno. Qui, eccolo con Sobrero (foto Instagram)
Giulio ha parlato di un gruppo coeso a Livigno. Qui, eccolo con Sobrero (foto Instagram)
Che lavori di intensità erano?

Specifici di VO2 Max: un minuto e mezzo forte, uno forte e mezzo di recupero… E poi i 40”-20”. In quei giorni stavo benissimo. Mi dicevo anche: «Che gamba!». Ma poi…

E le sensazioni adesso? Di solito quelle del corridore dicono molto…

In verità a Burgos non erano eccezionali. Fortunatamente nella tappa regina sono rimasto con i primi e questo mi ha dato morale. Ma ripeto: le sensazioni non erano delle migliori. Ho dovuto soffrire più del previsto. Burgos  mi è servita per far fatica. Mi spiace aver perso il podio della generale nell’ultima tappa.

Vero, Giulio, ma hai visto chi c’era davanti a te? Tutta gente rodata, brillante che veniva a un mese di gare. Tu eri al rientro…

Sì sì, infatti quello mi ha dato morale. Mi ha dato una marcia in più per la Vuelta. Sapevo che andavo lì per far fatica, ma se guardo indietro, a prima di Burgos, avrei messo la firma per essere nei primi cinque all’ultima tappa. 

Hai notato qualche cambiamento del gruppo nei tuoi confronti? Gli altri ti marcano, ti osservano, in modo diverso?

No, come sempre direi. Ho sempre avuto tanti amici in gruppo. Mi piace ridere, scherzare e giocare anche in corsa. Non è cambiato questo rapporto con gli altri e spero che non cambi.

Per lo stesso motivo per cui ha preso parte all’italiano a crono, Pelizzari cercherà di fare al massimo anche la prova contro il tempo alla Vuelta
Per lo stesso motivo per cui ha preso parte all’italiano a crono, Pelizzari cercherà di fare al massimo anche la prova contro il tempo alla Vuelta
Alla Vuelta ci si va per la classifica?

No, per la classifica ci sarà Jai Hindley. Io e gli altri punteremo alle tappe. La squadra spinge molto perché io punti alle tappe, perché è il secondo Grande Giro dell’anno, sono giovane ed è meglio non esagerare. Di certo, però, la seconda cronometro sarà un obiettivo: la farò forte anche in ottica futura.

C’è una tappa che ti intriga di più?

Per ora “me la vivo bene”, tranquillo… Non ho studiato ancora il percorso, valuterò tappa per tappa.

Giulio dicci una cosa, ma la curiosità di misurarti con Vingegaard, Almeida e i big c’è?

Sì, certo che c’è! Il fatto di non fare classifica me lo permette. Posso provare a vincere entrando in fuga o restando con i migliori, un po’ come successo a San Valentino Brentonico quest’anno al Giro quando ero diciottesimo… peccato che quel giorno ce ne fossero due davanti. Mi piace questa situazione. Mi sembra di tornare al Giro dell’anno scorso, quando avevo libertà di fare quello che volevo. E speriamo di portare a casa una tappa.

Un Giro al microfono. Garzelli dà i suoi giudizi finali

05.06.2025
6 min
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Le fatiche del Giro sono alle spalle e Stefano Garzelli, in attesa dei prossimi impegni è tornato nel suo “buen retiro” spagnolo per godersi un po’ la famiglia. Il suo primo Giro da opinionista Rai è alle spalle e l’esperienza è stata molto positiva.

«E’ stato qualcosa di realmente diverso dal solito – dice – non è la stessa cosa che qualsiasi altro ruolo televisivo. A me piaceva raccontare la corsa pensando che mi rivolgevo a chi non è del mestiere, non segue tutta la stagione e sa tutto di ruote, mozzi, allenamenti e strategie. Ho cercato di raccontare questo evento come qualcosa di nuovo».

Primo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incerta
Primo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incerta

Giro esaltante, mai scontato

E’ stato un Giro molto particolare e riviverlo adesso, a qualche giorno di distanza permette di sottolineare e cogliere aspetti che magari sono stati un po’ coperti dal grande risalto dettato dal suo epilogo a sorpresa: «Diciamo che il primo vincitore del Giro è… il Giro. Perché è stato sempre incerto, diverso, mai monotono. Non è facile dare giudizi, sento parlare di fallimenti, ma bisogna anche guardare le singole storie e il Giro ne ha raccontate tante. Un esempio: come si fa a criticare Tiberi? La sua corsa è stata totalmente condizionata dalla caduta, dopo non era più lui perché la botta era stata forte».

E’ vero ma come si fa a non giudicare negativamente (se proprio non vogliamo usare la parola fallimento) la corsa della UAE, per quanto il secondo posto di Del Toro sia carico di prospettive? Non è che la squadra non era abituata a gestire una situazione diversa non avendo Pogacar in corsa?

Yates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappa
Yates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappa

La UAE e le gerarchie non rispettate

«Con Tadej è facile correre, praticamente non devi fare nulla… Io credo che qualche errore ci sia stato, innanzitutto nella gestione della gerarchia. Ayuso, per quel che aveva fatto a Tirreno-Adriatico e Catalunya, era il capitano. Alla tappa delle strade bianche è caduto, a quel punto perché Del Toro ha allungato? Era con Bernal e Van Aert, ma non doveva esserci perché la gerarchia imponeva che stesse col capitano. Ciò ha dato a lui la maglia ma ha tolto tranquillità al gruppo, ha mostrato crepe che alla fine sono esplose».

La vittoria di Yates ti ha sorpreso? «So che lui preparava la tappa del Colle delle Finestre da novembre, aveva un conto in sospeso. Ha corso in maniera intelligente, sempre coperto, ma la sua forza è stata soprattutto essersi gestito prima del Giro. Non è un caso che sul podio sono finiti corridori che in primavera non si sono praticamente visti, salvo la vittoria di Del Toro alla Milano-Torino. Ad eccezione di Pogacar, chi va forte a marzo poi a maggio paga dazio. Lui è stato attento, poi la squadra lo ha supportato al meglio».

Una delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primavera
Una delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primavera

Pellizzari tutelato dalla Red Bull

Sulla Visma-Lease a Bike Garzelli ha parole di miele: «Hanno saputo tenere la corsa sempre sotto controllo. Van Aert è stato portato per la tappa delle strade bianche e l’ha vinta, poi avrebbe anche potuto tirare i remi in barca, invece è rimasto in gruppo e si è messo a disposizione. Yates dal canto suo aveva provato a Champoluc, ma ha subito capito che non c’era spazio per sovvertire la classifica e ha rinviato al giorno dopo, è stata una scelta molto saggia. Al sabato è stato un capolavoro di strategia, con Van Aert in avanscoperta che poi ha fatto da fantastico pesce pilota. Tattica indovinata, niente da dire».

Nell’ultima settimana del Giro e anche dopo è stato un fiorire di giudizi su Pellizzari, parlando di quel che avrebbe potuto fare se non fosse stato al servizio di Roglic… «Torniamo al discorso di prima: in un team ci devono essere gerarchie definite e la Red Bull le ha fatte rispettare. Pellizzari il Giro non doveva neanche farlo, è stato Roglic che lo ha voluto in squadra. Lui ha fatto il suo dovere e quando lo sloveno è caduto si è messo al suo servizi perché è questo che fa un luogotenente. Mi ha ricordato il Giro del ’97, quando Pantani cadde e perse 15 minuti. Io rimasi con lui, finii quel Giro 9° ma senza quel quarto d’ora sarei stato 4°. Eppure non mi sono mai pentito, neppure per un istante, di quella scelta, perché in quel momento il mio posto era accanto a Marco».

Roglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con sé
Roglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con sé

Il Giro degli italiani

Alla Red Bull avranno ora capito che Pellizzari è un leader? «Lo sapevano già da prima – sentenzia Garzelli – anzi io dico che lo hanno preso proprio con quell’idea. Non avevano preso uno qualunque, ma un prospetto per le corse a tappe, capace di vincerle. Per questo non avrebbero voluto neanche portarlo al Giro, ma come detto Roglic la pensava diversamente, poi le cadute sua e di Hindley hanno cambiato i rapporti in squadra. Ora sanno che tiene anche le tre settimane, il Giro ha dato loro ulteriori risposte».

In generale come giudichi questo Giro in chiave italiana? «Si potrebbe pensare che, con una sola vittoria di tappa, sia stato deficitario ma non è così. Io dico che è stato buono, ma molto sfortunato viste le cadute di Ciccone e Tiberi. Però abbiamo avuto Caruso che ha fatto un capolavoro e io l’ho sottolineato subito perché a 37 anni finire in top 5 ha un valore enorme. Era giustamente l’uomo di Tiberi, poi ha saputo sfruttare la sua esperienza, ma soprattutto ha mostrato di avere una grande condizione perché senza di quella non vai avanti».

Tiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del team
Tiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del team

Caruso, un capolavoro a 37 anni

Non è che il suo risultato è passato un po’ troppo sotto silenzio? «Non credo – afferma Garzelli – noi alla Rai l’abbiamo sempre sottolineato. Poi lo so bene, anch’io fui 5° a 37 anni vincendo due tappe e farlo con gente molto più giovane di te significa molto. Ma ci sono stati anche altri italiani che mi sono piaciuti, come Affini, Garofoli pur abbastanza sfortunato, senza dimenticare Fortunato vincitore della maglia azzurra. Non dimentichiamo poi che è stato un Giro condizionato dalle cadute, almeno 5 da primissime posizioni sono stati messi fuori gioco e questo, sull’esito finale, ha contato molto, ma si sa che per vincere anche la fortuna ha un suo peso».

Pieve di Soligo, la grande festa del Cycling Stars Criterium

03.06.2025
6 min
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PIEVE DI SOLIGO – Per capire cosa sia il Cycling Stars Criterium, ieri sera bisognava essere fuori dal bus parcheggiato nella piazza di Pieve di Soligo appena prima che uscissero i corridori. Dietro il nastro che delimitava l’area riservata agli atleti era assiepato uno stuolo di bambini in attesa di vedere da vicino i campioni che, solo il giorno precedente, avevano terminato il Giro d’Italia numero 108

Emanuel, l’operatore della tv messicana, filma un bambino che aspetta Del Toro per farsi regalare gli occhiali (spoiler: non ce la farà)
Emanuel, l’operatore della tv messicana, filma un bambino che aspetta Del Toro per farsi regalare gli occhiali (spoiler: non ce la farà)

Presente anche la televisione messicana

D’altronde il ciclismo è lo sport popolare per definizione, passa per le strade dei paesi, e non di rado i campioni erano e sono ancora degli eroi provenienti dal popolo. Lo scopo di questa kermesse è esattamente questo: riportare i campioni vicino ai tifosi, specie ai più piccoli. Mentre attendiamo anche noi assieme ai bambini facciamo due chiacchiere con un operatore televisivo dai tratti centro-americani.

Sarà mica un invitato della tv messicana venuto in Italia a seguire il fenomeno Del Toro? Lo è. Si chiama Emanuel e lavora per Televisa Mexico, l’equivalente della Rai. E’ arrivato domenica a Roma e oggi è qui perché domani ha in programma un’intervista col nuovo fenomeno della UAE Emirates. Dice che vedere un connazionale in maglia rosa, che ha quasi vinto una corsa così importante come il Giro d’Italia, ha acceso l’entusiasmo di tutto il Paese, perché lì il ciclismo è uno sport seguitissimo. 

L’uscita di Del Toro dal bus messo a disposizione dalla Soudal-QuickStep
L’uscita di Del Toro dal bus messo a disposizione dalla Soudal-QuickStep

L’entusiasmo dei bambini e le parole di Del Toro

Il fermento tra i bambini inizia già quando dal bus scende Carlos Verona, vincitore della tappa di Asiago, a cui i giovani tifosi già chiedono foto e autografi. Si mantiene alto all’arrivo di Masnada e Zana, altre foto e altri autografi. Con la discesa di Fortunato c’è un mezzo boato, quando arriva Pellizzari un boato intero e quando è il momento di Del Toro un boato e mezzo, anzi due. D’altronde questi campioni hanno una decina d’anni più di loro. A ben pensarci c’è molta più differenza d’età tra Caruso e Del Toro che tra Del Toro e un bambino di quinta elementare

Quando Del Toro percorre i pochi metri che lo portano dal bus al cancelletto che immette nel percorso facciamo a spallate con la ressa di bambini per fargli qualche domanda. Abbiamo la meglio solo per il vantaggio dato dalla stazza, non certo per la maggior determinazione. Dice che l’intenzione ad inizio Giro era quello di stare davanti, ma quello che poi è successo – tutti quei giorni in rosa, il sostegno di tutto un paese – è stato un sogno.

Gli chiediamo se sul Finestre lasciar andare Yates sia stata questione di tattica o gambe. Risponde che sicuramente c’è stata molta tattica, ma non vuole e non può cambiare il passato e quindi va bene così. Lo vedremo al Tour al fianco a Pogacar o alla Vuelta? Ancora non ha nessun programma, ora pensa solo a godersi il momento e riposare. 

Tra le donne ha vinto la campionessa europea Lorena Wiebes (foto Miriam Teruzzi)
Tra le donne ha vinto la campionessa europea Lorena Wiebes Wiebes (foto Miriam Teruzzi)

Iniziano le ostilità, ma non troppo ostili

Prima della competizione riservata ai pro’ avevano già gareggiato gli ex professionisti, dove ha vinto Alessandro Ballan, e le donne, tra le quali si è imposta la campionessa europea Lorena Wiebes davanti alla campionessa italiana Elisa Longo Borghini e Soraya Paladin

I professionisti in gara sono 22 e partono attorno alle 21,20, quando la piazza è gremita. In programma ci sono 30 giri del circuito lungo un chilometro nel centro di Pieve di Soligo. Uno dopo l’altro si alternano in testa Masnada, Verona, Mosca, Zana, Fortunato, Vendrame, Caruso, Frigo, Pietrobon, un po’ tutti i volti più noti si fanno vedere in un’azione a favore di pubblico, com’è giusto che sia. 

Lorenzo Fortunato in una fase di corsa: finirà terzo (foto Miriam Teruzzi)
Lorenzo Fortunato in una fase di corsa: finirà terzo (foto Miriam Teruzzi)

La telecronaca Mei-Cassani e lo spunto del messicano

A fare la telecronaca ci sono Davide Cassani e Paolo Mei, lo speaker del Giro. Mentre i giri passano, Cassani racconta di quella volta che ha perso la Coppa Placci per una tattica sbagliatissima assieme a Chiappucci, di quella volta (quelle volte) che ha vinto il Giro dell’Emilia, del fatto che Caruso è uno dei suoi corridori preferiti, un vero uomo squadra, tanto che l’ha portato in entrambe le Olimpiadi in cui era CT. 

Anche questo è parte del bello del Cycling Stars Criterium: sentire e vedere dal vivo una voce che la maggioranza delle persone ha sentito e visto solo in televisione. A pensarci meglio, è qualcosa di molto più simile a un concerto rock che ad una gara di ciclismo.

Un gruppetto prova la fuga e Mei chiede a Cassani: «Quante possibilità hanno di arrivare all’arrivo?».

«Poche, credo quasi nessuna».

Poi: «Davide, che rapporti usano?». «54×15, 54×14, perché in questo circuito serve rilanciare nelle curve».

Quando però Del Toro, Fortunato e Pellizzari vanno in fuga all’ultimo giro, Cassani sentenzia: «Non li prendono più». E così sarà. Del Toro (e chi sennò) ha allungato nelle ultime centinaia di metri e si è andato a prendere la 10ª edizione del Cycling Stars Criterium. Secondo Pellizzari, terzo Fortunato

Un successo condiviso

Dopo le premiazioni, e dopo aver assaggiato (bis) il famoso spiedo di Pieve di Soligo, avviciniamo Enrico Bonsembiante, che ha organizzato la kermesse assieme ad Alessandro Ballan. 

«Mi sembra sia andata benissimo – dice – oltre le aspettative, nonostante il meteo ballerino che alla fine comunque ci ha graziati. Stimiamo circa 10 mila persone venute nel corso della serata ad assistere al Criterium, quindi è stato un successone. Anche per questo dobbiamo dire grazie agli oltre 100 volontari, ai nostri partner e alle tantissime associazioni locali, a tutti quelli che ci hanno dato una mano a rendere possibile tutto questo».

Il “tutto questo” di cui parla Bonsembiante è una serata in cui il ciclismo è declinato in festa, in spettacolo, in concerto rock. Qualcosa che va oltre ad una gara in bicicletta.

Quattro minuti di sorrisi e promesse correndo accanto a Pellizzari

03.06.2025
4 min
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ROMA – Il popolo che si stringe attorno a Giulio Pellizzari è composto da persone che ne apprezzano la semplicità e la grinta. Solo che rispetto allo scorso anno, si tratta di un popolo ben più numeroso. E così camminare e parlare con il marchigiano della Red Bull-Bora dopo l’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia significa essere investiti da continui richiami, complimenti e applausi. Lui sorride a tutti e intanto racconta, con quel sorriso luminoso che ha mostrato dopo ogni arrivo: anche i più duri.

Lo abbiamo già detto: al Giro non doveva neppure esserci. Poi dalle parole del coach Artuso abbiamo scoperto che le sue prestazioni erano parse già così buone al Catalunya da aver persuaso la squadra a valutare l’opzione rosa. Felice come un bimbo, Giulio si era perciò presentato al via da Tirana, orgoglioso e motivato dall’idea di aiutare Roglic. Quando poi lo sloveno è caduto e si è fermato, la squadra ha dovuto resettare le impostazioni di partenza e lui ha raccolto con motivazione lo scettro di Primoz. Il bello, il segno del riconoscimento da parte dei compagni è stato nel loro votarsi alla causa. Anche Martinez, secondo nel 2024, e come lui Aleotti, che dopo quel Giro andò a vincere il Giro di Slovenia. Pellizzari capitano non è parsa un’idea balorda. E lui, stringendo i denti, in cinque tappe si è arrampicato dal diciottesimo al sesto posto generale.

Questa intervista è stara realizzata camminando accanto a Pellizzari subito dopo il traguardo finale di Roma
Questa intervista è stara realizzata camminando accanto a Pellizzari subito dopo il traguardo finale di Roma
Quanto è stato difficile cambiare il chip in questo giro?

Credo – sorride – che quella forse è stata la cosa meno dura di questo Giro. Alla fine ho fatto quello che avevo fatto anche nelle prime due settimane, sono stato sempre davanti con Primoz. Solo che nella terza settimana non c’era lui, ma ero solo.

Nel giorno in cui lui si è fermato, tu sei arrivato terzo a San Valentino. E’ vero che eri più dispiaciuto per lui che soddisfatto della tua prova?

Abbastanza, è vero. Quando ho realizzato che non avremmo vinto il Giro con lui sono rimasto parecchio male. E’ stato un dispiacere. Però alla fine ho visto che lui era sereno e contento che continuassimo e mi sono buttato nella terza settimana come meglio ho potuto.

Hai dovuto fare i conti con un ruolo nuovo per te, con un intero squadrone che ti ha eletto leader. Come è stato?

Alla fine mi sono divertito. Sono convinto che in futuro si potrà fare e questa è la consapevolezza maggiore che mi porto a casa dal Giro d’Italia.

La maglia bianca l’ha vinta Del Toro con 5’32” di vantaggio, a Pellizzari la palma di miglior giovane italiano
La maglia bianca l’ha vinta Del Toro con 5’32” di vantaggio, a Pellizzari la palma di miglior giovane italiano

Pellizzari-Caruso: gregari diversi

Lo chiamano per nome. Lo incoraggiano. Lo sospingono. Per qualche secondo ci fanno cogliere il privilegio di essere accanto a raccogliere le sue parole. Nel Giro in cui Caruso è stato il primo degli italiani, Pellizzari ha acceso la fantasia con un attacco che ne lasciava presagire altri. Li avevamo accomunati in un singolare articolo che li dipingeva come gregari diversi – Caruso per il giovane Tiberi, Giulio per l’esperto Roglic – ed entrambi sono diventati leader delle loro squadre.

La differenza rispetto al Pellizzari dello scorso anno sta nel fatto che la doppia scalata del Monte Grappa fu il gesto di un giovane fuori classifica, lasciato andare e poi sbranato da Pogacar. Gli attacchi di quest’anno sono venuti dal gruppo dei migliori e la differenza non è certo banale.

Insieme sul traguardo di Sestriere, a 7’10” da Harper. Fra Pellizzari e Del Toro rivalità e amicizia
Insieme sul traguardo di Sestriere, a 7’10” da Harper. Fra Pellizzari e Del Toro rivalità e amicizia
Che effetto fa sentirti chiamare così?

E’ un’esperienza, un’emozione unica. E speriamo che siano sempre di più.

Dopo San Valentino pensavi fosse più facile, ammesso che sia mai stato facile?

Lo ammetto, credevo che avrei avuto altre possibilità e che sarebbe stato più facile, ma forse è stata solo l’emozione del momento. Perché la gamba di San Valentino non l’ho più avuta. Sono andato bene sul Mortirolo, ma se avessi avuto la gamba dei giorni precedenti, avrei guadagnato di più.

Ugualmente, se prima del via ti avessero detto che avresti chiuso il Giro al sesto posto, come avresti risposto?

Impossibile (ride di gusto, ndr).

Qual è stato il momento più duro?

Quando dopo la tappa di Siena, Primoz ha perso due minuti e mezzo. E’ stato il primo giorno in cui ho creduto che forse non ce l’avremmo fatta a vincerlo.

E il più bello?

Sempre dopo la tappa di Siena, quando ci siamo fermati in Autogrill a prendere delle birre e abbiamo festeggiato il giorno di riposo…