La notte che Ragusa s’è fermata e ha cantato per Damiano

Giada Gambino
14.06.2021
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Accompagnato dal fratello Federico, Damiano entra allo Stadio di Ragusa e, così, tutti in coro cantano: «Un capitano, Damiano un capitano». Non ci crede, si mette le mani in testa, gli spalti sono pieni di persone tutte per lui, da tutta la Sicilia, per rendere onore a chi ha suscitato tante emozioni. E’ una notte magica.

Cammina, va verso il palco, ha gli occhi lucidi, stenta ancora a crederci. Prende il microfono, ringrazia tutti, con un filo di voce piena di riconoscenza e felicità.

Oscar e Greta

I primi a raggiungere Damiano sono i familiari, compresi i piccoli Oscar e Greta, che raccontano qualche piccolo aneddoto di ciò che succedeva a casa durante il Giro d’Italia. Poi il Professore Guarrella, il presidente della squadra che ha lanciato Damiano al ciclismo. Successivamente i compagni di allenamento ragusani che gli regalano due tele con le immagini più importanti della Corsa Rosa. Anche il sindaco e gli assessori portano targhe e pergamene, riconoscendo Damiano come il più grande sportivo della storia della città.

Foto ricordo con il professor Guarrella, suo scopritore: fu lui a spedirlo in Toscana a Mastromarco
Foto ricordo con il professor Guarrella, suo scopritore: fu lui a spedirlo in Toscana a Mastromarco

La voce del Magro

La proiezione del filmato con le immagini e i video dei momenti più belli del Giro con la telecronaca di Magrini, fa venire i brividi a tutti. I racconti della moglie fanno sorridere: è stata l’unica al mondo ad essere in aereo mentre Damiano vinceva la tappa. Per tutto il volo ha dormito, una volta atterrata il cellulare le è esploso di messaggi e chiamate e, non appena capito cosa fosse successo, ha iniziato a piangere senza sosta. Il signore seduto accanto a lei la guardava senza parole, visto che sino a due minuti prima stava dormendo. Ma Ornella era in aereo per una giusta causa: poter abbracciare suo marito a Milano.

Il sole del Bahrein

Ornella continua a raccontare. Qualche giorno dopo sono andati in Bahrein su invito del Principe, sconvolto per il fatto che nel pomeriggio avessero visitato la città sotto il sole cocente, gli unici ad aver fatto una cosa del genere! Ma essendo siciliani il sole non li ha spaventati.

Rotta su Tokyo

La serata è stata commentata da Mario Tribastone, speaker di professione ragusano e Valerio Capsoni per la grande conoscenza del ciclismo e l’amicizia che lo lega al campione. 

L’ondata di affetto che ha travolto il capitano del Team Bahrain Victorius e il numero di tifosi che ha incontrato per strada durante il Giro d’Italia sicuramente non l’hanno lasciato indifferente. Probabilmente è il ciclista italiano più acclamato del momento ed è giusto così. Alcuni hanno tirato in ballo il nome di Pantani, dicendo che non si emozionavano così tanto per una vittoria in salita da quando c’era il Pirata. Perché la vittoria al Giro non è stata una qualunque, ma è stata la Vittoria. E adesso, aspettiamo con il cuore in gola Tokyo… 

Gli otto giorni di Vendrame tra le fatiche del Giro e i tricolori

09.06.2021
5 min
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Cosa faccia e di cosa abbia bisogno un corridore alla fine del Giro d’Italia lo ha spiegato molto bene Mario Cipollini, sia pure in altro contesto, nell’ultimo video in cui ha parlato di Nibali e Cassani. Non è semplice tornare a casa dopo un mese di assenza e fatiche. Riallacciare i fili con la cosiddetta normalità, gestire gli incontri, rispondere alle chiamate e insieme ricordarsi che si è atleti e vivere e lavorare perché la condizione non vada persa. Il discorso, certamente più complicato per chi ha famiglia, vale anche per chi vive da solo e deve prendersi cura della casa.

Ce lo siamo fatti spiegare da Andrea Vendrame. Appena tornato a casa, il veneto ha pubblicato su Instagram la foto di Ca’ del Poggio dove vive (immagine di apertura) e giusto ieri sera è ripartito alla volta della Route d’Occitanie. Ha trascorso però dieci giorni a casa, restando in bilico fra la normalità e la giusta tensione.

«Approfitto della condizione – dice – per fare qualcosa di buono e tenere duro fino all’italiano, poi forse ci sarà un po’ di stacco. Beninteso, ma non accadrà: se dovessero chiamarmi per andare al Tour, partirei subito».

La vittoria di tappa a Bagno di Romagna soffia ancora nel morale, ma non è percepita come un punto di arrivo. Il sogno resta l’Amstel, però adesso c’è da portare a casa ancora metà stagione.

Era partito per il Giro con l’idea di vincerne una e dopo tante fatiche, ecco Bagno di Romagna
Al Giro per vincerne una e dopo tante fatiche, ecco Bagno di Romagna
Che cosa si fa dopo il Giro d’Italia?

Si fa che sei stanco soprattutto a livello mentale. Lunedì sono rimasto a Milano e sono tornato a casa solo di sera e sono andato a dormire presto. Martedì mattina sveglia di buon’ora e sono andato in bici per due orette e mezza. Tanto per iniziare, in scioltezza. Prima però colazione al bar, caffè e pasticcino. Dopo tre settimane di guerra quotidiana, la testa è stanca ed è giusto darle un po’ di relax.

In bici con chi?

Con i ragazzi dei dintorni, mancava solo Cimolai diventato papà proprio quel giorno. E’ stato un giretto di poco conto, senza forzare. Sono rientrato e ho fatto un pranzo leggero, poi sono andato a salutare mia madre, ma prima avevo messo su la lavatrice, così la sera ho stirato.

Vuoi dire che non hai portato i panni sporchi alla mamma?

Qualcosa (sorride, ndr), ma il grosso l’ho fatto da me. Poi sono tornato a casa, ho messo a posto la bici. Ho controllato le cose di un mese. E quando si è fatta sera sono andato al supermercato perché il frigo era vuoto, ma in questi casi ogni volta che incontri qualcuno se ne va un quarto d’ora. Per cui sono rientrato in tempo per cenare.

Perfetto casalingo, ma anche corridore…

Fatto il primo giorno, mi sono sentito con Faresin e abbiamo impostato il lavoro. Mercoledì ho fatto 3 ore. Giovedì 3 ore e mezza. Venerdì 2 ore. Sabato 5 ore, una distanza ci sta sempre. Domenica 2 ore. Lunedì 3 ore e mezza. E ieri 3 ore, prima dell’aereo in serata.

Al Giro questa volta i suoi tifosi hanno trovato motivo per festeggiare
Al Giro questa volta i suoi tifosi hanno trovato motivo per festeggiare
Uscite a ritmo blando oppure lavorandoci dentro?

Carichi senza stress, diciamo così. La distanza del sabato è servita per non calare, ma di solito i miei allenamenti non sono mai semplici girate. Cerco sempre di tornare con buone medie e un discreto dislivello, sennò sono ore sprecate.

E’ vero che il Giro lascia una bella condizione?

Me ne accorgo dai wattaggi e dalle sensazioni. Ho numeri migliori rispetto a quando sono partito, i benefici ci sono. Ora sono in una zona di mantenimento fino agli italiani, ma confesso che preferisco essere venuto a correre, anche per giocarmi qualche carta. La condizione è buona, il morale è alto e non ho lo stress di fare bene. Non sono in scadenza di contratto. Si torna quattro giorni prima dei tricolori. Meglio correre che stare a casa.

In questa fase di mantenimento si deve stare ancora attenti a tavola?

Un occhio ci vuole sempre, ma dopo tante fatiche è anche il momento per concedersi qualcosa. Rispetto ai Giri in cui mangiavi sempre le stesse cose, quest’anno è andata bene. Il nostro cuoco è stato bravo. Però la testa voleva che si cambiasse. Per cui sono capitati la pizza con gli amici, il risottino e anche la bisteccaccia. Dopo un mese serrato, c’è bisogno di riabituarsi, per cui c’è scappato anche qualche calice di prosecco.

Occhio che poi ingrassi…

Bisogna sempre stare nei limiti. Meglio davvero la bistecca con un bicchiere di vino che l’aperitivo con le patatine e i tramezzini. La carne non è niente di strano, invece è bene stare alla larga dalle porcherie.

Dopo la tappa di San Martino di Castrozza sfuggita nel 2019, finalmente la vittoria
Dopo la tappa di San Martino di Castrozza sfuggita nel 2019, finalmente la vittoria
Sei riuscito a fare massaggi la settimana scorsa?

Non ho voluto, le gambe stanno bene, le fatiche sono mentali. Avevo bisogno di freschezza e mi pare di averla ritrovata. Ho anche avuto il tempo di riguardarmi le immagini della vittoria, ma ho già voltato pagina.

Ci vediamo a Imola, allora?

Sarà difficile correre il campionato italiano da solo, contro squadre ben organizzate come Bahrain e Uae. Vedremo. Verrò libero di testa, forte e spensierato, poi vedremo. Magari correrò all’attacco, ma di certo non sarò io il favorito. Nel frattempo mi sentirò con il mio direttore sportivo di riferimento, Kasputis, per inquadrare la seconda parte di stagione. E si ripartirà come al solito da un bel periodo in altura…

Almeida archivia il Giro e prepara le valigie

06.06.2021
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«Quando abbiamo chiesto ad Almeida di aiutare Remco, aveva appena preso 6 minuti nella tappa di Sestola, sarebbe stato lo stesso a parti invertite». Con queste parole nell’ultimo giorno del Giro d’Italia, Patrick Lefevere aveva spiegato il perché della scelta con la quale la Deceuninck-Quick Step ha chiesto al quarto del Giro 2020 di lavorare per il giovane belga, al debutto nella corsa rosa dopo 9 mesi senza correre. Il viaggio del portoghese attraverso le 21 tappe del Giro, inceppatosi in modo inatteso proprio sulla strada di Sestola, è stato così una lunga attesa, terminata quando Evenepoel ha mollato la presa e davanti al portoghese si è riaperta la strada della generale, fino al sesto posto di Milano. Ma Almeida come ha vissuto il Giro e che sapore gli è rimasto in bocca in quello che, salvo sorprese, sarà l’ultimo anno con la squadra belga?

A Montalcino, Almeida bloccato accanto a Evenepoel, in grossa difficoltà
A Montalcino, Almeida bloccato accanto a Evenepoel, in grossa difficoltà

«Sono stato entusiasta di tornare al Giro – ha raccontato – comunque è stato divertente. Ho imparato dall’anno scorso che l’ultima settimana fa la grande differenza ed è stato davvero importante essere riuscito a gestire le energie, anche pensando alla cronometro finale. L’anno scorso il Giro è stato una sorpresa. Ho avuto molto successo, ma anche questa volta la mia mentalità è stata quella di prenderlo giorno per giorno».

Un po’ come nel Team Ineos al Tour, Sestola ha stabilito le priorità interne, lanciando Evenepoel come leader del team. Difficile capire se per un innamoramento collettivo o perché si pensasse che il ragazzo avrebbe potuto davvero giocarsi la maglia rosa. E così, mentre Remco annaspava nella tappa di Montalcino, Almeida è stato fermato al suo fianco, senza la chance di riprendersi il terreno perso sull’Appennino modenese.

Che cosa è successo?

A Montalcino mi sentivo bene e avevo un ottimo feeling sulla bici. Avevo la possibilità di battere i migliori, ma ho dovuto seguire gli ordini che venivano dalla macchina e ho dovuto aspettare Remco. Mi sento deluso? Ho già scelto di tacere piuttosto che dire quello che penso. Ho imparato qualcosa di nuovo ogni giorno, sempre in un contesto fantastico. Ma il ciclismo è uno sport di squadra e a decidere sono i direttori sportivi.

Secondo all’Alpe di Mera, Almeida ha staccato anche Bernal
Secondo all’Alpe di Mera, Almeida ha staccato anche Bernal
Però a Cortina hai ritrovato la libertà…

Mi sentivo bene quel giorno, nonostante la pioggia e il freddo. Volevo puntare alla vittoria di tappa, ecco perché ho attaccato e sono entrato nella fuga, ma il gruppo è andato davvero forte. Alla fine, non è stata una brutta giornata. Sono arrivato sesto, ho fatto del mio meglio e la sera ero contento di aver guadagnato qualche posizione in classifica. In ogni caso il Giro era ancora lungo.

Lunghissimo, ma dopo il riposo hai fatto un’altra grande tappa…

A Sega di Ala sono arrivato secondo e non credo che avrei potuto fare di più. I ragazzi mi hanno protetto e hanno lavorato per me, hanno fatto un grandissimo forcing nella valle mentre ci avvicinavamo all’ultima salita. Poi, siccome mi sentivo bene, ho provato da solo.

Conoscevi la strada?

L’avevo provata, ma ad essere sincero non mi aspettavo di mantenere quel vantaggio o di guadagnare due posizioni in classifica generale. Essere arrivato secondo lassù e diventare ottavo assoluto mi ha dato motivazione e fiducia per le tappe successive.

Tanto che all’Alpe di Mera sei arrivato ancora una volta secondo…

I compagni sono stati incredibili e hanno fatto un lavoro perfetto. Mi sentivo bene, quindi ho attaccato presto per vedere cosa poteva succedere. Essere arrivato lassù con gli altri della generale ha dimostrato che sono capace di certi numeri. Peccato non aver vinto ed essere arrivato ancora secondo per così poco (11 secondi dopo Yates, ndr), ma ho comunque guadagnato dell’altro tempo in classifica.

Dopo l’Alpe Motta, Almeida 8° nella generale, ha puntato tutto sulla crono
Dopo l’Alpe Motta, Almeida 8° nella generale, ha puntato tutto sulla crono
Nel giorno di Caruso sei comunque andato ancora bene.

Ma quel giorno è stato davvero duro, c’erano pendenze molto severe, perciò alla fine sono stato contento del settimo posto. Ho cercato di guadagnare tutto il possibile alla vigilia della cronometro, sapendo che nei 30 chilometri di Milano sarei riuscito a guadagnare più che affrontando altre salite.

E in effetti l’ultimo giorno hai guadagnato due posizioni…

Mi sentivo ancora abbastanza bene e mi sono concentrato sul fare una buona crono. Alla fine è andata bene, soprattutto su un percorso piatto come quello. Il sesto posto assoluto è un ottimo risultato e sono felice di essere tornato tra i primi 10 dopo lo scorso anno.

Che voto dai al tuo Giro?

Nel complesso, è stato buono per me. E’ stato una gara da cui ho imparato nuovamente molto e dove ho potuto vedere i miglioramenti che ho fatto sulle grandi montagne, dove sono rimasto con i veri scalatori. Forse adesso comincio ad avere le idee più chiare sul corridore che potrei diventare.

L’indigestione di successo: dalla psicologa con Bernal

05.06.2021
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Il successo è una tavola imbandita al termine di una grande fatica. Non tutti sono in grado di gestirsi e di gestirlo. E quando se ne fa indigestione, cambia tutto. Il modo di rapportarsi alla vita. Il piacere e la capacità di affrontare i sacrifici. La stessa capacità di riconoscersi in quello che si fa. Le parole di Bernal dopo la vittoria del Giro, su come il successo abbia cambiato la sua vita dopo il Tour, ci hanno dato parecchio da pensare e ci hanno spinto a chiedere lumi a Manuella Crini, psicologa che ci ha accompagnato già lungo altre strade. Con lei infatti abbiamo affrontato il discorso dei disordini alimentari e nel chiamarla ci siamo chiesti se fra i due aspetti ci siano punti di contatto.

Il Giro sofferto, qui a Sega di Ala incitato da Dani Martinez, ha fatto riscoprire a Bernal la voglia e il gusto di lottare
Il Giro sofferto, qui a Sega di Ala incitato da Dani Martinez, ha fatto riscoprire a Bernal la voglia e il gusto di lottare

«Ho letto le parole di Bernal – dice – e mi ha dato la sensazione che ora sappia esattamente dove si trova e non voglia abbuffarsi, perché questa cosa l’ha già vissuta e gli è costata qualche dolore. Mi viene da pensare che ora ci sia una parte razionale che lo spinga a godersi il successo piano piano, perché da qualche parte in passato c’è stato il momento in cui hai visto sfumare tutto».

Parla anche di difficoltà nel trovare gli stimoli.

E’ la stanchezza che ti investe quando hai raggiunto l’obiettivo e l’adrenalina scende. Però c’è una cosa strana…

Quale?

E’ comprensibile che si arrivi stanchi alla fine di una conquista. Non è giustificabile o non comprensibile appieno il suo quasi voler mollare. Non dice: ho vinto e voglio festeggiare. Dice che la felicità, la fonte di entusiasmo sta nel ritirarsi fra le mucche, i cani e la famiglia.

Egan Bernal, Tour de France 2020 - 15ª tappa Lyon - Grand Colombier
Al Tour 2020 era arrivato scarico psicologicamente. I problemi alla schiena lo hanno spinto al ritiro dopo la 16ª tappa
Egan Bernal, Tour de France 2020 - 15ª tappa Lyon - Grand Colombier
Al Tour 2020 era arrivato scarico psicologicamente. I problemi alla schiena lo hanno spinto al ritiro dopo la 16ª tappa
In realtà fa pensare che il successo raggiunto da giovane abbia un peso psicologico devastante.

Esatto, come i cantanti che arrivano presto al successo e magari portano con sé qualche problematica di base. E quando non si sentono più all’altezza, finiscono nelle dipendenze e, in certi casi, nel suicidio. Per questo sembra che voglia starne alla larga.

Può dipendere anche dalle tante rinunce fatte per arrivare?

Altro aspetto importante. Probabilmente c’entrano le rinunce, ma anche il fatto di seguire una strada in cui hai visto altri cadere. Quanti sono i ciclisti che iniziano e che arrivano al vertice?

Bernal ha vinto il Tour a 22 anni, non è stato semplice gestire la popolarità
Bernal ha vinto il Tour a 22 anni, non è stato semplice gestire la popolarità
Sua madre racconta che quando era piccolo e la famiglia non nuotava nell’oro, Egan la rassicurava che ce l’avrebbero fatta…

Prometti a tua madre con la paura di non poter mantenere, oppure perché hai l’entusiasmo del ragazzo e hai individuato nello sport l’unica strada per spazzare via ogni problema. Può darsi che quando arriva l’agiatezza, cali la spinta. «Sarò più in grado di essere quel Bernal?».

Non sempre il fatto di sfondare perché si viene dalla povertà è un luogo comune…

Il caso di Bernal non si può affiancare al vissuto di un ragazzo europeo. L’adolescenza è un fattore molto psicologico, in Italia ormai se ne esce fra i 25 e i 30 anni. Lui è giovane sulla carta di identità, ma si può definire tranquillamente un adulto.

Nella sua città, murales e monumenti: gestire la celebrità non è semplice
Nella sua città, murales e monumenti: gestire la celebrità non è semplice
La Colombia come l’Italia del dopoguerra…

Egan viene da un mondo diverso. I nostri ragazzi alla sua età li vedi ancora bambini, fanno quasi tenerezza. Lui viene da un contesto sociale simile a quello dei nostri nonni, che a 20 anni avevano già dei figli. Mio nonno a 20 anni era in Veneto a combattere contro i fascisti. Da noi oggi invece non si riesce a fare vere rinunce, perché non si ha proprio il senso della necessità di guadagnare.

C’è un’assonanza con l’aspetto alimentare?

In qualche modo sono le stesse dinamiche. Se mangi tutto in grande quantità e ti fa male, la volta successiva hai paura anche solo di sederti a tavola, perché ricordi la brutta sensazione.

Caruso, i meccanici e la Scultura: premio alla concretezza

04.06.2021
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Damiano Caruso è così un bravo ragazzo da non rompere le scatole nemmeno ai meccanici. E certo i meccanici delle squadre più grandi ne vedono e ne hanno viste di tutti i colori. La sua Scultura è standard e questo da un lato depone a favore delle Merida con cui corre il Team Bahrain Victorious, dall’altro fa capire che quando un corridore si trova bene, non c’è poi molto da pretendere in regolazioni e sfumature.

Merida Scultura Bahrain
Questa è la Merida Scultura con cui Caruso ha corso il Giro d’Italia
Merida Scultura Bahrain
Questa è la Merida Scultura con cui Caruso ha corso il Giro d’Italia

«Damiano è un corridore normale – dice Ronny Baron – che non stressa i meccanici, ma è molto attento che la bici sia perfetta. Non vuole errori, ma una volta assodato questo, non fa richieste strane e si fida di noi. Quando al mattino scende dal pullman, arriva alla bici, la solleva, fa girare le ruote e controlla che il peso della valvola sia ben bilanciato. E’ uno dei pochi che prima di andare a cena sul camion ristorante passava da noi che ancora eravamo al lavoro, sempre col sorriso, a chiederci come stessimo».

Zoncolan con il 36×32

Quando ti va bene la bici di serie, c’è poco da raccontare, se non allungare lo sguardo ai componenti che di volta in volta durante un Giro d’Italia così eterogeneo, con tappe su sterrato e salite dalle pendenze proibitive, capita di utilizzare.

Ronny Baron è fra i meccanici più esperti del Team Bahrain Victorious
Ronny Baron è fra i meccanici più esperti del Team Bahrain Victorious

«Prima del Giro – continua Baron – i direttori sportivi avevano esaminato bene ogni tappa e visto se ci fossero state variazioni dell’ultima ora, per cui la scelta dei rapporti è abbastanza inquadrata. In tutto il Giro, Damiano ha usato una sola volta il 36×32 sullo Zoncolan. Di base, preferisce avere un plateau più piccolo davanti che dover usare il 32 dietro, in modo da far lavorare meglio la catena. Perciò, ad eccezione della tappa dello Zoncolan, davanti usava il 38. Anche nel giorno che ha vinto e sempre con pedivelle da 172,5. Queste piccole variazioni le riportiamo esattamente anche sulla bici di scorta. Deve essere identica a quella da gara, una cosa in più da guardare in un Giro in cui ha piovuto spesso e tutte le sere siamo stati costretti a lavare, asciugare e lubrificare tutte le bici».

Meglio i tubolari

Sul fronte delle ruote, Caruso ama sentire la bicicletta bella rigida, per cui usa sempre le ruote Vision Metron da 55 e solo in rare occasioni, come ad esempio nella tappa di Montalcino, ha usato quelle da 40.

Sulle strade bianche con cerchi da 40 e tubolari Continental ALX da 25
Sulle strade bianche con cerchi da 40 e tubolari Continental ALX da 25

«Quel giorno in particolare – spiega Baron – hanno usato tutti tubolari da 25, i Continental Alx, più spessi e zigrinati con cui avevamo già corso alla Strade Bianche senza forature. Proprio sul fronte delle gomme, Damiano è abbastanza netto. Ha provato i tubeless che gli piacciono, ma in corsa vuole i tubolari, soprattutto nelle tappe di salita. Per il resto, la sua bici è fedele alla Scultura di serie, misura 54 con sella Prologo Nago C3, per la quale abbiamo raggiunto davvero un ottimo livello. Pesa 6,880 chili e non scendiamo al limite perché dovendo montare il transponder di Velon, bisogna tenersi un centinaio di grammi di tolleranza. E ci si trova talmente bene, da non aver usato la doppia bici. Nelle tappe veloci avrebbe potuto usare la Reacto, ma ha preferito non lasciare la Scultura».

Crono sul Teide

Un altro fronte interessante riguarda la bici da cronometro, perché il siciliano è andato bene sia in quella di Torino che nell’ultima a Milano.

Questo il manubrio Metron 6D integrato che Caruso usa con attacco da 12 e larghezza da 42
Questo il manubrio Metron 6D integrato che Caruso usa con attacco da 12 e larghezza da 42

«Caruso ci ha lavorato – dice Baron – sin da inizio stagione. Aveva la bici da crono anche sul Teide, sia per fare i suoi carichi di lavoro, sia per abituarsi alla posizione. Tramite Fsa gli è stato fatto un body scan mentre era sul rullo, grazie al quale sono state rilevate le sue misure da cui è stato ricavato un manubrio su misura con poggia gomiti integrati. Come integrato è anche il manubrio sulla bici da strada, il Metron 6D, con attacco da 120 e larghezza da 42. Damiano non ha grandi richieste. Anche quando gli arrivano gli scarpini nuovi, li affida a noi per le tacchette. E noi sappiamo che devono essere perfetti».

Ha lavorato tanto a crono, anche sul Teide. Il manubrio è su misura
Ha lavorato tanto a crono, anche sul Teide. Il manubrio è su misura

Il giusto assetto

Magari a questo punto è anche sbagliato dire che Caruso si accontenti. Corre in una squadra di vertice che dispone di materiale eccellente. Ha raggiunto una posizione in sella che gli permette di esprimersi al meglio. E’ circondato da professionisti top di gamma che si occupano di lui. Perché perdere energie nervose inseguendo millimetri e variazioni cervellotiche quando hai la certezza di essere a posto?

Shimano, assistenza al Giro. Poche forature, cala il lavoro

03.06.2021
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C’erano una volta le forature e le auto dell’assistenza meccanica che intervenivano quando l’ammiraglia non faceva in tempo con la necessaria tempestività. Oggi quasi non si buca più, alle squadre è stata concessa ormai dovunque la seconda ammiraglia e così il lavoro dell’assistenza ufficiale, anche al Giro, cambia faccia. Durante i giorni della corsa rosa, vedendo alla partenza le auto blu di Shimano con le Bianchi ufficiali sul tetto, ci è capitato più di una volta di chiederci quali e quanti interventi facessero. Così, dando a tutti il tempo di tirare un po’ il fiato, abbiamo chiesto lumi a Massimo Rava, che del team Shimano è uno dei responsabili.

«Il report vero e proprio post Giro – dice – non è stato ancora completato, ma non serve stilare troppo elenchi per renderci conto che gli interventi come cambio ruote sono diminuiti, mentre si sta ampliando la gamma degli interventi come assistenza tecnica vera e propria. Le squadre ci chiedono come fare tante cose connesse a elettronica e freni a disco, per cui il supporto avviene anche fuori corsa. A cose normali, dovrebbero pensarci i ragazzi di Shimano Europa, ma con il Covid si può girare meno e spesso siamo intervenuti noi a copertura».

Sulle Toyota blu, le bici Bianchi: quelle ufficiali del Giro
Sulle Toyota blu, le bici Bianchi: quelle ufficiali del Giro

E qui il discorso si fa interessante, perché pensi che i meccanici dei grandi team siano ferratissimi e invece scopri che in qualche leggerezza capita a tutti di incorrere.

Di cosa stiamo parlando?

Alcuni hanno avuto problemi con i freni, perché hanno usato materiali non originali. Non facciamo il nome del team, ma una squadra ha usato pinze Shimano, con dischi e pastiglie ricevute in sponsorizzazione. Hanno avuto seri problemi dovuti al surriscaldamento e questo non solo diminuisce l’efficienza della frenata, ma compromette le guarnizione e la consistenza dell’olio. Ho parlato con i meccanici e il direttore sportivo. Magari prendere 30-40.000 euro di sponsorizzazione fa comodo, ma che almeno vi diano materiale di qualità.

Il cambio bici è sempre più raro, ma dovete essere pronti per tutto.

Abbiamo messo a punto un database su cui inseriamo le misure e le dotazioni squadra per squadra, corridore per corridore. Per cui capita che i meccanici che hanno l’uomo in classifica chiamino per sincerarsi che siamo pronti per ogni eventualità. Ma la verità è che, nonostante ciò, siamo molto meno presenti, perché la seconda ammiraglia copre bene la fuga. Ma se ci sono situazioni critiche, come un barrage, gli unici a poter ancora intervenire siamo noi.

Avete cambiato tante ruote?

Il dato ufficiale, come dicevo, non c’è ancora. Però quando negli anni scorsi seguivo il Giro con Vittoria, ricordo una media di 15 forature per tappa, con certi giorni che si arrivava anche a 60. Ora le gomme sono cambiate e sono più larghe. I cerchi sono più larghi. Si usano i tubeless e obiettivamente si buca molto meno. A Montalcino mi aspettavo l’ecatombe, al punto che avevamo delle postazioni fisse con l’autorizzazione dell’Uci a dare bici da fermi, che non sarebbe possibile. E invece niente da fare. I materiali sono migliorati tantissimo. E tranne qualche rara eccezione, sono gli stessi che si trovano in commercio.

In che modo avviene l’assistenza fuori corsa alle squadre?

Di solito basta una telefonata, altrimenti si va negli hotel.

A parte quel problema ai freni, che tipo di problematiche si riscontrano?

A volte capita che il Di2 vada in crash-mode, cioè che si blocchi per un utilizzo improprio, come un incrocio eccessivo di ingranaggi fra anteriore e posteriore. In realtà basterebbe che spiegassero ai corridori come usare il Synchro Shifting e si accorgerebbero che con la cambiata assistita non avrebbero di questi problemi. Invece preferiscono usarlo in manuale e sotto sforzo a volte il cambio si blocca.

Lo scorso anno Shimano ha assistito anche i mondiali di Imola
Lo scorso anno Shimano ha assistito anche i mondiali di Imola
Cos’altro fanno che proprio non va?

A volte abbiamo riscontrato problemi con la batteria, ma non per problemi tecnici, quanto piuttosto per il tipo di montaggio, dato che la lasciano a mollo nell’acqua. Quest’anno ha piovuto tanto e comunque le bici vengono lavate ogni giorno. La batteria magari viene montata bene nel reggisella, ma la gomma in cui viene avvolta trattiene l’acqua proprio nel punto in cui avviene l’innesto col cavo. L’acqua entra e non riesce a uscire…

Diciamo che il Giro sta diventando meno oneroso per voi?

Interveniamo meno e abbiamo meno visibilità, ma alla fine il lavoro di pulizia e sistemazione devi farlo comunque. Una volta diedi personalmente una bici ad Antonio Nibali per la rottura del manubrio e una a Froome alla Tirreno-Adriatico. Adesso sono più assistiti dai loro meccanici e il nostro lavoro si sposta non più tanto sull’assistenza in corsa, ma sull’assistenza ai team.

Tanta fatica, neanche una crisi. Il Giro di Aleotti per Sagan

03.06.2021
4 min
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Nessun piazzamento fra i primi, sicuramente tanta fatica, eppure della presenza di Giovanni Aleotti al Giro d’Italia ci siamo accorti tutti. Lo abbiamo visto tirare. Lavorare per Buchmann sulle salite e per Sagan fino alla vittoria di Foligno. E nella tappa all’Alpe di Mera, la penultima di montagna, lo abbiamo visto andare in fuga: la qual cosa per un neoprofessionista è un gran bel segnale. Non vai in fuga a tre giorni dalla fine del Giro, se non hai gambe buone e un bel recupero.

Giovanni è a casa ormai da lunedì, la fatica sta allentando la presa. «Perché poi – spiega – quando entri nel ciclo, la senti meno. Sono stato per qualche giorno tranquillo e la prossima settimana ricomincerò ad allenarmi sul serio, pensando alla prossima corsa, che saranno i campionati italiani. Ma dal Giro sono uscito bene. E considerato che neanche dovevo farlo, sono soddisfatto».

A Cortina, un bel po’ di fatica, ma Aleotti è arrivato assieme a Fabbro Sagan e Oss
A Cortina, un bel po’ di fatica, ma Aleotti è arrivato assieme a Fabbro Sagan e Oss
Sei mai stato inquieto al riguardo?

Sapevo che mi veniva offerta una grande opportunità, per cui ero impaziente di mettermi in mostra.

Come cambiano le sensazioni e la percezione della fatica, se sei abituato al massimo a corse di 10 giorni?

Tre settimane sono tante. Dopo i primi 10 giorni ero ancora brillante, era la durata massima mai fatta. Sono arrivato fresco al primo riposo, poi ovviamente si è fatto tutto più faticoso. La terza settimana è stata impegnativa, ma non ho avuto una giornata negativa. Mi sono gestito bene.

Avere chiaro il compito di lavorare per un leader agevola oppure pesa?

E’ stimolante, soprattutto se parliamo di Sagan. Noi lavoriamo e lui vince: sono cose che ti ripagano. Tutti abbiamo dato il 110 per cento, anche perché eravamo un bel gruppo. Parlavamo quasi tutti italiano, per cui mi sono trovato molto bene anche con compagni come Oss, Benedetti, Bodnar e Fabbro, con cui ho diviso la stanza.

Neanche una giornata negativa, possibile?

Magari progressivamente ho perso la freschezza dei primi 10 giorni, però stavo bene. La fuga all’Alpe di Mera l’ho presa pur sapendo che nel finale si sarebbero mossi gli uomini di classifica. Nella prima parte del Giro ho tirato per Buchmann, poi per Sagan. Nella terza settimana abbiamo avuto più spazio per giocare le nostre carte. Giornate nere no, ma forse quella per Sega di Ala è stata la più dura.

Con Sagan e Benedetti, lavorando per lo slovacco e la sua maglia ciclamino
Con Sagan e Benedetti, lavorando per lo slovacco e la sua maglia ciclamino
Come mai?

Perché è venuta dopo il secondo riposo, quindi la stanchezza iniziava a farsi sentire. Ero un po’ fiacco e ci si è messo anche il primo caldo, dopo che sulle Dolomiti avevamo corso con il freddo.

Hai sempre mangiato bene, dormito bene… come è andato il recupero con il passare delle tappe?

L’appetito non mi è mai mancato. Sono riuscito a fare tutto quello che ci dicevano, non è cambiato poi molto nelle abitudini e questo mi fa ben sperare in vista del futuro. Magari ci sono state notti in cui ho dormito di più e altre meno, ma a volte dipende anche dal fatto che cambiamo sempre hotel e magari capita la camera troppo calda oppure rumorosa…

Si dice che un grande Giro dia una super condizione…

Questo lo vedremo nei prossimi giorni. Sono uscito dal Giro con lo stesso peso, non sono dimagrito. Anzi c’è stato qualche giorno in cui ero più stanco che in altri e magari trattenevo qualche liquido di troppo.

Difficile seguire la routine per 21 tappe?

Anche quella era nuova. Sveglia, controllo del peso, poi si andava nel camion cucina per la colazione, con porridge o pasta. Dopo un’ora di saliva sul pullman, si andava alla partenza e si faceva il meeting prima di partire.

Sega di Ala è stato un giorno difficile: ma visto quanta gente?
Sega di Ala è stato un giorno difficile: ma visto quanta gente?
Come è stato correre con il pubblico sulle strade?

Bello, davvero bello. A Torino, la presentazione delle squadre è parsa surreale. Un posto stupendo, grandi scenografie e pochissima gente: vera atmosfera Covid. Ma quando siano arrivati sulle prime salite, abbiamo cominciato a vedere tanta gente. A Sega di Ala erano davvero in tanti. Ho fatto fatica, ma è stato bellissimo.

Come arriverai agli italiani: altura o cosa?

Ci pensiamo la settimana prossima, perché non ho ancora un programma. Ma posso prepararmi anche a casa. La maglia italiana si assegnerà a Imola, quasi le mie strade.

L’anno scorso su quelle strade avrebbe potuto correre anche lui i mondiali under 23, poi annullati per la pandemia. Il buon lavoro avviato dal Cycling Team Friuli sta seguendo il giusto cammino, i 22 anni sono un bel biglietto da visita per le prossime stagioni. In attesa di conoscere il suo programma, l’idea di un Giro senza giornate storte è un bel pensiero da coltivare nell’immaginare le prossime stagioni.

Di Fresco ricorda: «Quando Caruso arrivò in Toscana…»

02.06.2021
5 min
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«Se Bernal non avesse trovato Daniel Martinez – dice Di Fresco senza esitazione – Damiano avrebbe vinto il Giro. Ne sono sicuro». Il riferimento è alla tappa di Sega di Ala, in cui i due colombiani del Team Ineos sono arrivati faticosamente in cima, con la maglia rosa in salvo da un passivo ben peggiore.

Giuseppe Di Fresco è siciliano come Caruso, ma di Palermo. Ed è stato lui a portare il Damiano nazionale in Toscana quando era ancora uno junior. Anzi, la verità è che lui nemmeno sapeva chi fosse. Alla fine del 2004, aveva puntato gli occhi su un certo Provino e aveva organizzato per lui una serie di test. Fu poco prima che l’altro partisse, che il presidente della sua società, tale Guarrella, chiamò il tecnico siciliano chiedendogli da dare un’occhiata anche a un certo Caruso, figlio di un amico poliziotto.

Nel 2009 vince la seconda tappa del Giro Bio a Lonato del Garda (foto Scanferla)
Nel 2009 vince la seconda tappa del Giro Bio a Lonato del Garda (foto Scanferla)

«Si presentò che pesava 10 chili più di adesso – ricorda Di Fresco – lo portai a fare dei test da Pino Toni e vedemmo subito dei valori importanti. Poi lo portai a fare una cronoscalata, in cui si piazzò ottavo. E la sera, tornando verso casa, gli chiesi se volesse rimanere a correre con noi. Lui esitò. Disse che aveva la scuola e anche il calcio. Ma alla fine parlai anche con suo padre e si convinse. Mentre per Provino non se ne fece niente».

Viaggio in Toscana

Inizia qui la storia di Damiano Caruso nel grande gruppo, con un tecnico che da professionista aveva corso con Pantani e capiva benissimo la grinta e la voglia di arrivare che spesso passa per la testa di un ragazzino che arriva dalla Sicilia e lotta per affermarsi.

«Nella prima gara – ricorda – andò in fuga con un compagno che si chiama Cirinnà. E senza che gli dicessi niente, lo fece vincere. Ma non lavorava solo per gli altri. Quell’anno vinse la 3Tre Bresciana, facendo una tappa come quella che ha vinto al Giro. Se ne andò con uno svizzero, lo staccò e vinse la classifica. Finché, al momento di passare U23, firmò con la Unidelta di Bruno Leali».

Nella Mastromarco corre anche Jonathan Monsalve (foto Scanferla)
Nella Mastromarco corre anche Jonathan Monsalve (foto Scanferla)
Come fu che tornò con te?

Perché io l’anno dopo accettai la proposta della Mastromarco e ne divenni direttore sportivo. A quel punto lo chiamai e gli chiesi se gli sarebbe piaciuto tornare a lavorare insieme. Lui era contento, ma c’era da parlare con Leali, che a dire il vero fu correttissimo. Disse che si rendeva conto che Damiano fosse un mio corridore e lo lasciò libero.

E continuarono i progressi?

Di anno in anno, sempre meglio. Vinse il campionato italiano nel 2008 e nel 2009 una tappa al GiroBio e anche il Giro delle Pesche Nettarine, dominando la tappa regina. Non era tatticamente impeccabile, ma a volte gli riuscivano dei bei capolavori.

Ad esempio?

Ad esempio al campionato italiano. Gli chiesi di non fare il matto e di non partire subito, invece lui attaccò sulla salita dura e scollinò con un minuto di vantaggio. Non me la sentii di fermarlo e arrivò con lo stesso vantaggio, battendo Contoli e Pirazzi.

In azione nel 2009 al Gp La Torre di Fucecchio (foto Scanferla)
In azione nel 2009 al Gp La Torre di Fucecchio (foto Scanferla)
Perché dopo tanti bei risultati, nel 2010 passò professionista alla Lpr?

Perché fu l’unica squadra che parve subito interessata. E poi nel 2009 era una bella squadra, con Di Luca, Petacchi… Non si poteva prevedere quello che sarebbe successo, ma per fortuna nel contratto c’era una clausola per la quale, se non avesse fatto un numero minimo di corse, avrebbe potuto liberarsi.

Perché per fortuna?

Perché si fece avanti la Liquigas e Bordonali chiese una penale altissima. Solo che nel 2010 Damiano aveva corso poco e fu possibile liberarlo. Visto quello che si disse dopo la positività di Di Luca e altri della squadra, Damiano chiese anche di fare il passaporto biologico a sue spese, visto che la squadra non era nel ProTour, ma non gli fu permesso.

Nel 2009 ha vinto il Giro delle Pesche Nettarine e ai tricolori U23 dona la maglia a Marco Selleri (foto Scanferla)
Nel 2009 ha vinto il Giro delle Pesche Nettarine e dona la maglia a Marco Selleri (foto Scanferla)
Alla Liquigas ci fu un altro passaggio delicato, se non ricordiamo male.

Nel 2012, Damiano al Giro era in maglia bianca, ma gli venne chiesto di tirare per Basso, che però quell’anno non andava. E durante il Giro, avendo preso un nuovo procuratore, gli fu proposto di firmare per altri due anni e lui lo fece. Due settimane dopo venne avanti la Bmc, con cui sarebbe andato nel 2015. Mi chiedo spesso che cosa sarebbe cambiato.

Cosa ricordi dell’uomo Caruso?

Ha umiltà da vendere. E’ sempre stato così, ma a volte saltava di testa e succedeva sempre quando era un grande condizione. Allora magari lo mandavamo in Sicilia per una settimana e tornava rigenerato. Un anno però lo spedii giù togliendogli la bici e con biglietto di sola andata. Fu il padre dopo 5 giorni a richiamare perché lo facessimo tornare su. Ovviamente tornò e noi imparammo che con un calendario più preciso, sarebbe riuscito a correre bene e tornare a casa per rimettersi in sesto.

Era arrivano nel 2005 in Toscana per correre nel team juniores di Di Fresco
Era arrivano nel 2005 in Toscana per correre nel team juniores di Di Fresco
Quando ha deciso secondo te di diventare gregario?

Io credo – Di fresco ne è sicuro – che se avesse avuto più fiducia attorno, sul podio di un grande Giro ci sarebbe arrivato prima. Ma credo che nella sua testa la scelta sia stata soprattutto economica. Non si è mai adagiato. Ha pagato la sua casa e ha pagato la sua macchina, credo che abbia anche investito qualcosa. Me lo disse quando si cambiò la macchina e mi mandò la foto. Io gli feci la battuta sul fatto che così avrebbe sperperato tutto e lui mi spiegò di aver fatto i passi giusti. E’ sempre stato posato e intelligente e ha alle spalle una famiglia senza grilli per la testa. E questa forse è la cosa più importante.

A fine Giro, il punto con ACI sulla sicurezza. Cosa si fa?

02.06.2021
5 min
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«I numeri degli incidenti stradali non si fermano mai e invitano a riflettere sulla sicurezza delle nostre strade, in particolare a tutela dei ciclisti, dei pedoni, e della micro-mobilità in costante crescita». Non è male, soprattutto se a dirlo è un comunicato dell’Automobile Club d’Italia. Anche per quest’anno infatti l’Aci ha partecipato al Giro d’Italia con la sua campagna #rispettiamoci, lanciata nel 2019, per ribadire l’importanza di comportamenti sempre corretti alla guida, soprattutto quando l’automobilista incontra chi pedala o cammina.

I numeri, si diceva. I dati del 2019 sono ancora una volta raccapriccianti. Un decesso su quattro appartiene alla categoria dei cosiddetti utenti vulnerabili, con un forte aumento tra le vittime dei ciclisti (+15,5%) rispetto al 2018, dentro e fuori le aree urbane. I dati in elaborazione del 2020 confermano tale tendenza, nonostante la consistente riduzione della mobilità e dell’incidentalità complessiva. E se è cresciuto il numero delle biciclette circolanti, di pari passo è aumentato drammaticamente il dato sugli incidenti stradali che coinvolgono le bici (+3,3%).

Numeri spaventosi

Nel 2019 in Italia si sono verificati 172.183 incidenti con lesioni. Di questi 2.982 mortali con 3.173 morti. I feriti totali registrati sono stati 241.384. I pedoni feriti sono stati 21.430 e di questi 534 sono morti. I ciclisti feriti sono stati 16.371 e di questi 253 sono morti. I morti totali di pedoni e ciclisti sono stati 787, circa il 25% del totale, percentuale che sale al 42% se ci riferiamo ai morti solo nei centri abitati. I pedoni feriti entro l’abitato sono stati 20.449 di cui 407 i morti. I ciclisti feriti entro l’abitato sono stati 14.479 con 150 morti.

Già, ma chi lo spiega a camionisti, automobilisti e personaggi in vista che sui social e sulle strade continuano ad inneggiare alla mattanza? Abbiamo rivolto qualche domanda a Ludovico Fois, Responsabile Relazioni Esterne e Istituzionali di ACI, anche se la sensazione finale è quella della solita disgregazione tra le forze che operano sul fronte della sicurezza e del totale disinteresse da parte della politica.

Come si fa ad arginare quei numeri?

Bisogna insistere sulla cultura del rispetto reciproco, che è parte integrante delle regole della sicurezza stradale. Tutti, a seconda di come decidiamo di muoverci ogni giorno, siamo automobilisti, ciclisti, motociclisti, pedoni, condividiamo le stesse strade e lo facciamo insieme. Dobbiamo ricordarcelo sempre.

L’iniziativa proseguirà al di fuori dello spazio Giro d’Italia?

La campagna #rispettiamoci sta proseguendo da tre anni ed è partita in occasione della prima partecipazione di ACI al Giro d’Italia di ciclismo nel 2019. Siamo consapevoli che occorra una forte presa di coscienza per cambiare gli atteggiamenti e la cultura della guida, quindi un percorso di moral suasion che prosegua nel tempo anche oltre lo straordinario momento del Giro. Ed è quello che faremo. 

Presso i punti Aci è prevista cartellonistica in tal senso?

In passato abbiamo stampato e distribuito centinaia di migliaia di folder informativi, di adesivi da apporre sullo specchietto retrovisore per ricordare l’attenzione al possibile giungere di una bici e costantemente il tema è affrontato sui profili social di ACI e su tutti i nostri canali comunicativi. In questo momento, visto che la parte web e media della campagna è tutt’ora in corso, stiamo valutando con che forme proseguire per i prossimi mesi di quest’anno.

In che modo Aci può intervenire perché questi argomenti vengano introdotti nell’ambito delle scuole guida?

Bisogna partire dai giovani che affrontano i corsi per la patente di guida. Per questo ACI da anni opera per una guida sempre più sicura, partendo dai suoi Centri di Guida Sicura e proseguendo con il costante aggiornamento dei programmi e degli istruttori. Ma non solo nelle Scuole Guida aderenti al nostro network Ready to Go, stiamo lavorando per l’introduzione di uno specifico modulo formativo ad hoc, con appositi programmi di approfondimento e di pratica dedicati ai neo patentati, ben oltre dunque quanto richiesto dall’attuale norma.

La campagna fra un pubblico di ciclisti ovviamente riscuote consensi, si è pensato di esportarla nel mondo dei motori?

Assolutamente sì, ma di fatto già avviene. La scelta del Giro d’Italia è dettata dal voler raggiungere il più vasto pubblico possibile, composto certamente da tantissimi ciclisti ma anche da milioni di semplici appassionati. Entrambi questi soggetti sono anche automobilisti. Ed è anche una scelta simbolica, che vuole evocare vicinanza e assenza di steccati. Siamo tutti insieme, sulla stessa strada. Inoltre questa campagna tocca direttamente il milione di soci ACI, estremamente legati ai motori e le centinaia di migliaia di appassionati che seguendo i diversi profili social di ACI. Mi faccia però dire un’ultima cosa…

Prego.

Siamo di fronte a una straordinaria rivoluzione della mobilità, che grazie alla tecnologia, al web, ci permette di organizzare i nostri spostamenti utilizzando ogni volta il mezzo più idoneo tra l’auto (personale o condivisa), i mezzi pubblici, la bicicletta, uno scooter magari elettrico. In questa nuova mobilità siamo sempre tutti sulla stessa strada, dobbiamo solo imparare a rispettare gli altri e gli altri rispetteranno noi.