Del Toro e una giornata no: cosa rimane nella testa e nelle gambe?

28.05.2025
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SAN VALENTINO – Isaac Del Toro arriva davanti ai giornalisti a pochi minuti dalla fine della sedicesima tappa del suo primo Giro d’Italia. Il messicano del UAE Team Emirates ha mantenuto la maglia rosa nonostante gli attacchi di Richard Carapaz e Simon Yates. Ha tremato ma non è andato a picco. Nonostante la giovane età ha tenuto botta ai colpi dell’ecuadoregno e del britannico. Il secondo gli ha riservato tante piccole punture di spillo, come a voler risvegliare da un sogno il giovane rampollo vestito di rosa. Una sberla secca e decisa quella di Carapaz, che ha fatto male e potrebbe aver lasciato segni ben più profondi. 

Scendendo verso il podio Jose Matxin, sport manager del UAE Team Emirates, non ha perso il sorriso. Se da un lato Ayuso ha definitivamente mollato il colpo a 42 chilometri dal traguardo dall’altra parte Del Toro ha avuto la lucidità di non farsi prendere dal panico. La maglia rosa è rimasta in casa della squadra che lo scorso anno la indossò per venti delle ventuno tappe. Chissà con quali dubbi e certezze Isaac Del Toro si è rimboccato le coperte ieri notte

Del Toro ha detto di aver voluto marcare da vicino Simon Yates, secondo in classifica generale
Del Toro ha detto di aver voluto marcare da vicino Simon Yates, secondo in classifica generale

Le gambe

La terza settimana del Giro d’Italia si apre con diverse considerazioni di cui tenere conto. Una di queste è il crollo delle certezze di Isaac Del Toro che fino a domenica scorsa sembrava in completo controllo. Se guardiamo agli abbuoni portati a casa il messicano risulta secondo solamente a Mads Pedersen, segno che non si sia risparmiato in ogni sprint o allungo a disposizione. 

«È stata una giornata davvero difficile per tutti – racconta Del Toro ancora vestito di rosa e con un cappello di lana appoggiato sulla testa – tutti erano al limite. I corridori in classifica generale hanno vissuto una giornata impegnativa. Ci sono state tante cadute (l’ennesima per Roglic costretto poi al ritiro, ndr). Non posso che essere orgoglioso della mia squadra, senza di loro non sarei di certo in questa posizione. Sicuramente non avevo le gambe migliori della mia vita ma ho fatto il massimo, sono arrivato al traguardo senza un filo di energia in corpo. Voglio far sapere a tutti loro che sto facendo del mio meglio e il mio obiettivo è di dare il 100 per cento per mantenere questa maglia».

L’unico attacco frontale e deciso è stato quello di Carapaz, capace di guadagnare 1′ e 36″ su Del Toro
L’unico attacco frontale e deciso è stato quello di Carapaz, capace di guadagnare 1′ e 36″ su Del Toro

Fiducia

Quali sono le certezze che danno a Del Toro la fiducia nei propri mezzi? Difficile dirlo. Sicuramente rispetto alle tappe precedenti è bene pensare a ogni singola energia spesa, il carburante non è infinito.

«Non sono uno di quei corridori – spiega mentre gli si legge in faccia la fretta di andare via – che crede nella fiducia. Piuttosto mi piace avere “certezze” su quel che sono in grado di fare ogni volta che c’è un attacco. Voglio credere nella mia capacità di rispondere a ogni attacco ma vedremo come comportarci in gara e se sarà una mossa intelligente. Oggi (ieri per chi legge, ndr) non ho seguito Carapaz perché ho voluto marcare da vicino il secondo in classifica generale, Yates. Nella lotta alla generale credo sia una questione riservata ai primi quattro (Gee, Carapaz, Yates e Del Toro stesso, ndr)».

Scampato il pericolo e il panico Del Toro ha riacquistato presto serenità e sorriso, la maglia rosa stamattina è ancora sulle sue spalle
Scampato il pericolo e il panico Del Toro ha riacquistato presto serenità e sorriso, la maglia rosa stamattina è ancora sulle sue spalle

Ogni secondo conta

Il Giro d’Italia si può vincere per secondi, e a guardare la classifica si nota come il distacco tra Del Toro e Simon Yates sia frutto proprio degli abbuoni. Senza questi le posizioni sarebbero invertite e le forze equiparabili. 

La strada ci ha raccontato, fino a questo momento, di un padrone del Giro forte ma non inattaccabile. Per gli avversari vedere che il trono scricchiola può essere un incentivo per continuare a dare colpi sperando di far cadere il Re e di indossare la corona. 

Solo in casa UAE Emirates è dato sapere il motivo legato alla giornata “no” di Del Toro. Il problema è che la strada porta a fare presto i conti con la realtà e oggi verso Bormio le difficoltà sono tante. Yates e Carapaz sono pronti con arco e frecce per prendere d’assalto il padrone del Giro, come abili Robin Hood nei confronti del tesoro custodito dallo Sceriffo di Nottingham. Toccherà ai soldati fare da guardie al ricco bottino, consapevoli che la strada non fa prigionieri.

Scaroni mette la ciliegina sulla torta e ringrazia Fortunato

27.05.2025
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SAN VALENTINO – Christian Scaroni alza le braccia al cielo nel segno della sua prima vittoria in un Grande Giro e lo fa nella corsa di casa, al suo fianco c’è Lorenzo Fortunato: il Folletto dello Zoncolan che oggi ha consolidato la maglia blu dei GPM. La prima vittoria italiana a questo Giro d’Italia coincide con l’impresa dei due corridori della XDS Astana. Scaroni ha gli occhi che fuggono a destra e sinistra, un po’ per inseguire le voci che gli fanno le domande durante l’intervista e un po’ per ricordare. Il bresciano riavvolge il nastro fino a stamattina quando a Piazzola sul Brenta si è affacciato dal pullman e ha visto delle nuvole grigie.

«Siamo partiti con la pioggia – racconta mentre il rosso del cordino della medaglia gli fascia il collo – in giornate come queste sono in grado di esprimermi al 110 per cento. Amo la pioggia, forse in discesa faccio ancora un po’ fatica (dice con una risata, ndr). L’obiettivo di tappa era consolidare la maglia blu di Fortunato. Poi sulla penultima salita, Santa Barbara, ci siamo messi a fare un buon forcing e il gruppetto si è assottigliato sempre più. Ai piedi dell’ultima scalata Fortunato e io ci siamo resi conto di essere i più forti, così abbiamo parlato, mi ha detto che la tappa sarebbe stata mia perché lui aveva già preso tanti punti sugli altri GPM».

Christian Scaroni brinda al suo primo successo al Giro d’Italia con un grazie di cuore a Fortunato
Christian Scaroni brinda al suo primo successo al Giro d’Italia con un grazie di cuore a Fortunato

Ultimi mille metri

E altrettanti pensieri. La scalata fino ai prati verdi di San Lorenzo illuminati di bronzo dal sole che volge al tramonto è stata lunga. Una salita per chi ha pazienza e i due corridori della XDS Astana sono stati bravi a gestire la loro superiorità. Quando anche Jefferson Cepeda ha mollato il colpo si è trattato di spingere fino alla fine volando sulle ali dell’entusiasmo. 

«L’ultimo chilometro a ruota di Fortunato – continua Scaroni – è stato lungo, avevo le gambe distrutte. Lui è stato un uomo di parola e mi ha aspettato sincerandosi di avermi sempre al suo fianco. Non potrò far altro che ringraziarlo per il resto della mia vita. Lui e anche la squadra. Gli altri componenti della fuga non ci hanno fatto troppa paura, l’unico capace di impensierirci era Pello Bilbao e quando ha allungato nell’ultima discesa ci siamo subito messi alla sua ruota. Per il resto abbiamo gestito lo sforzo. Una volta rimasti in tre con il Movistar (Cepeda per l’appunto, ndr) ci siamo detti di attaccare e metterlo in mezzo».

Nella fuga del mattino era presente anche Masnada, un lavoro importante il suo al servizio di Fortunato
Nella fuga del mattino era presente anche Masnada, un lavoro importante il suo al servizio di Fortunato
Arrivavi da un inizio di stagione positivo e tutto ad un tratto la caduta alle Strade Bianche ha frenato tutto, quanto è stato complicato ripartire?

Credo che sia stato il momento più difficile. Quando si vola in alto e poi si cade (metaforicamente e fisicamente, ndr) ci si fa male. Ero in un periodo dove le cose mi riuscivano bene e arrivavo da vittorie, tantissimi piazzamenti e prestazioni convincenti. Ritrovarsi all’improvviso a casa, seduto sul divano e senza poter fare nulla, è stato complicato. Ho cominciato la preparazione per il Giro in maniera graduale, sapevo che non sarebbe stata una corsa facile per me. Passata la prima settimana ho iniziato a sentirmi meglio, lo switch è arrivato nella tappa di Vicenza (venerdì scorso, ndr).

In un ciclismo in cui nei Grandi Giri è difficile che una fuga arrivi al traguardo quanto è complicato per un corridore da corse di un giorno come te cogliere dei risultati? 

Per me il punto di domanda principale era sul come mi sarei approcciato a questo Giro d’Italia. A causa dell’infortunio non sono riuscito ad andare in altura ed è stata la prima volta nella mia carriera in cui ho preparato un Grande Giro senza quel passaggio. Sapevo avrei potuto fare fatica nel recuperare gli sforzi tra un giorno e l’altro viste le mie caratteristiche. Sinceramente questa tappa non l’avevo cerchiata, non pensavo potesse arrivare la fuga e invece con il passare dei chilometri ci abbiamo creduto sempre più. Meglio oggi che un altro giorno (dice con una risata, ndr). 

12 chilometri all’arrivo: Scaroni allunga su Cepeda e poco dopo Fortunato ritorna sulla sua ruota
12 chilometri all’arrivo: Scaroni allunga su Cepeda e poco dopo Fortunato ritorna sulla sua ruota
In una lotta per i punti sempre più accesa questa doppietta ha un peso importante, quale pensi sia stata la svolta per il team quest’anno?

Il gruppo. Ci conosciamo bene e anche i ragazzi nuovi sono entrati alla grande. Avere tra noi corridori esperti come Ulissi, Bettiol o Teunissen è un elemento aggiunto che dona valore. Questo ha permesso ad atleti di buon livello, come me, di fare quel gradino in più e di correre con maggiore intelligenza e ottimizzare i risultati. 

Quale step senti di averlo fatto? 

Fin da inizio anno sento di aver cambiato marcia e ora riesco a competere con i migliori. Manca ancora un gradino per entrare nella scala dei campioni ma bisogna farlo con i giusti tempi, passo dopo passo. Sto vivendo tutto come un esame e si deve cercare di passarli tutti per confermarsi. Sicuramente queste tre vittorie da inizio anno mi hanno dato grande consapevolezza nei miei mezzi. Oggi può essere stata la ciliegina sulla torta.

Se ti guardi indietro e ripensi al periodo difficile della Gazprom cosa provi?

Sono passati tre anni, anche quello è stato un periodo difficile della mia carriera. Sicuramente sopravvivere a quel momento delicato è stato importante e ha fatto uscire una parte del mio carattere che era un po’ nascosta. A distanza di tutto questo tempo mi viene da pensare al percorso positivo che ho fatto e sono contentissimo di aver raggiunto questa vittoria che che tutti i corridori sognano fin da bambini.

Attacco di Pellizzari, primo assaggio. Il Giro è ricominciato

27.05.2025
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SAN VALENTINO – Pellizzari arriva, si ferma, beve, indossa la mantellina, poi resta in silenzio. Nel giorno in cui Roglic è stato costretto al ritiro dai dubbi precedenti e da un’altra caduta, il marchigiano della Red Bull-Bora-Hansgrohe ha attaccato sulla salita finale, mancavano 11 chilometri all’arrivo. Del Toro staccato, come aspettava di fare da almeno due anni. Le mani al centro, sempre seduto, il rapporto lungo girato rapidamente. In questi mesi nella nuova squadra, la sua posizione è diventata più composta ed efficace. Si è fatto riprendere da Carapaz che arrivava da dietro come una furia, poi lo ha staccato nuovamente. Terzo al traguardo, nono in classifica generale e ancora resta in silenzio.

Piazzola sul Brenta, Pellizzari al via: Giulio è un po’ veneto per via di suo padre e il pubblico qui lo adora
Piazzola sul Brenta, Pellizzari al via: Giulio è un po’ veneto per via di suo padre e il pubblico qui lo adora

Fresco e allegro

Potresti immaginare che gli passi per la testa chissà cosa, invece di colpo si scuote, si rivolge a Umberto Martini che è lì col suo microfono RAI e gli dice: «Allora, si comincia?». Ride quando l’altro gli dice che stava aspettando che si riprendesse, ma la verità è che Giulio sta bene. E’ fresco e risponde con il tono di chi sapeva già tutto.

«Ve l’avevo detto – sorride – che arrivava il mio momento e oggi è arrivato. Lo abbiamo detto ieri, è arrivato oggi. Quindi a volte basta essere solo un po’ un po’ fiduciosi. E questa storia dei team WorldTour stranieri non è assolutamente vera, perché se uno ha le gambe ti lasciano andare senza problemi».

Lo staff si prende cura di lui come del cucciolo di casa. Gli danno da bere. Gli passano la mantellina e poi il fasciacollo. Il berretto. Lo aiutano a indossare tutto e intanto scambiano il cinque e il sorriso. Il ritiro di Roglic è stato un duro colpo per la squadra venuta in Italia per vincerne il Giro, ma forse la scoperta di Pellizzari può rendere il boccone meno amaro. Se non fosse stato per Primoz, Pellizzari al Giro non sarebbe neppure venuto. E forse è un segno che nel giorno del suo ritiro, il testimone sia stato raccolto proprio da lui. Come quando nel 1997 Pantani si ritirò per la caduta del Chiunzi e il testimone passò a Garzelli, che imparò a vincere e chiuse quel Giro al nono posto. La stessa posizione di Pellizzari, che può fare ancora molto per migliorarla.

Con Del Toro, bestia nera negli U23, nella tappa di Asiago, che Pellizzari ha corso accanto a Roglic
Con Del Toro, bestia nera negli U23, nella tappa di Asiago, che Pellizzari ha corso accanto a Roglic
Quando si è capito che Primoz si stava fermando, ti è arrivato il via libera della squadra?

Sì, è stato tutto uno scoprire. Abbiamo aspettato di vedere come stava Primoz, perché era giusto che continuassimo a credere in lui. Poi quando lui si è fermato, mi hanno detto: «Giulio, fai la tua gara!». Primoz invece non ha detto nulla, ma credo fosse normale. Non era un bel momento, abbiamo solo saputo che si stava fermando. Purtroppo in una rotonda è caduto di nuovo, quindi forse era il segno che era meglio che andasse a casa e che recuperasse. Sappiamo tutti il corridore che è e non c’era bisogno di mostrarlo qua con tutta questa sfortuna.

Sapevi di stare così bene?

Sì, lo sapevo e sono semplicemente andato a tutta. Sono partito dal basso perché avevo in testa la vittoria, ma sapevo anche che la fuga aveva ancora tanto margine. Alla fine sono arrivato a 55 secondi, non è bastato. E allora ci riprovo, proviamo a vincere una tappa. So che andando in fuga dall’inizio è sempre un po’ rischioso, ma avendo le gambe posso permettermi di rischiare sull’ultima salita. Oggi ci sono andato vicino, ma non finisce qui.

Il secondo attacco per togliere di ruota Carapaz e conquistare il terzo posto
Il secondo attacco per togliere di ruota Carapaz e conquistare il terzo posto
Carapaz ti ha ripreso e andava fortissimo, però tu sei riuscito a staccarlo nel finale. Significa che hai una grande condizione?

Un po’ quello e un po’ diciamo che forse negli ultimi giorni avevamo accumulato tanta rabbia. Domenica stavo davvero bene, ma sono restato vicino a Primoz ed era giusto così. Oggi volevo solo dimostrare che stavo bene. Sulla penultima salita ho preso tanto morale e quindi alla fine mi sono divertito.

Da quanto tempo non aprivi così forte il gas per un risultato personale?

Diciamo che alla fine questo è il sesto mese di Red Bull, quindi da sei mesi. Ma ora ci saranno altri 10 anni per aprire il gas.

C’è qualcosa che in questi giorni sei riuscito a rubare da Roglic, correndo al suo fianco?

Ho cercato di rubargli tutti i segreti del pre e del dopo tappa. In gara lui corre sempre molto bene, sempre davanti. A volte è un po’ un po’ sfortunato, però il suo modo di correre mi affascina e cerco di imparare il massimo.

Si può dire che oggi hai dimostrato di essere il più forte in salita?

Magari in qualche tappa mi sono risparmiato, quindi oggi ho riscosso per tutti i fuorigiri non fatti.

Appena arrivato, le cure del suo massaggiatore e poi le parole con gli inviati presenti
Appena arrivato, le cure del suo massaggiatore e poi le parole con gli inviati presenti

La dedica speciale

Ci sono giorni nella vita di un inviato che restano nella memoria e diventano metri di paragone. Non ha vinto e non sappiamo se lo farà nelle prossime tappe. Ma ha messo sull’asfalto la sua bellissima sfrontatezza e gli crediamo quando dice che si è divertito. Ora è coperto di tutto punto, risponde a due domande in inglese e poi si avvia verso la discesa per raggiungere il pullman, con l’immancabile fischietto al collo.

Stasera saremo a cena a casa di Stefano Casagranda, ex pro’, organizzatore della Coppa d’Oro e padre della sua compagna Andrea. Gli racconteremo di averlo visto scattare e siamo certi che la battuta arriverà affettuosa e spietata come sempre. Come siamo certi che scendendo Giulio abbia avuto nel petto la dedica che avrebbe voluto fare. E conoscendolo siamo altrettanto certi che non perderà l’occasione per riprovarci. Che abbia vinto o no, questo è un giorno che in tanti ricorderemo a lungo.

Tiberi, l’obiettivo è sopravvivere o cercare un giorno da leone?

27.05.2025
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CITTADELLA – E se fosse necessario rischiare tutto per far saltare il banco, tu lo faresti? Tiberi guarda fisso. Cerca le parole che abbiano il senso giusto. Se il ciclismo italiano del Giro poggia sulle sue spalle, occorre anche che le risposte siano sensate. Antonio non ha l’indole del kamikaze, preferisce calcolare e poi semmai andare. Sono le 10,30 del mattino del giorno di riposo. La tappa di Asiago ha fatto brindare al pericolo scampato, ma domani (oggi per chi legge) non ci saranno possibilità di appello. Nei 203 chilometri da Piazzola sul Brenta a San Valentino (Brentonico), con 4.737 metri di dislivello, qualsiasi passo falso rischia di chiudere la porta su una situazione già di per sé complicata.

«Forse la mia indole- dice – è un pochino diversa da quella che era ad esempio di Nibali. Nel senso che io sono più regolarista rispetto a quello che era il modo di correre di Vincenzo. Però anche questo è qualcosa che va interpretato. Cerco sempre di studiare in base alle situazioni che si verificano nelle fasi di gara. E se si dovesse presentare un’occasione nella quale mi sento di stare particolarmente bene, magari in una fase critica della gara dove vedo qualche avversario in crisi, sicuramente non escluderei di attaccare».

Tiberi e Caruso con il ds Pellizotti: l’anima italiana della Bahrain Victorious è molto evidente
Tiberi e Caruso con il ds Pellizotti: l’anima italiana della Bahrain Victorious è molto evidente
Si può dire che ieri l’avete ripresa per i capelli?

Sì, possiamo metterla sicuramente così. Anzi, dopo la tappa ero tanto contento di come ero riuscito a passare la giornata. Dentro di me pensavo di aver superato una delle più dure del Giro. Magari non è stata una delle tappe più impegnativa che abbiamo da affrontare, però venivo dalla caduta del giorno prima e avevo dolori e fastidio a pedalare. Sapevo che sarebbe stata sicuramente una giornata dura e sono contento di come sono riuscito a sopravvivere.

Ma adesso arrivano le tappe dure davvero, come la mettiamo?

Mancano delle tappe veramente tanto complicate. Secondo me, la più dura sarà quella con arrivo a Champoluc (19ª tappa, ndr), che farà le differenze già grandi in classifica. So che dovrò darmi da fare, ne ho parlato anche con Damiano (Caruso, ndr). Mi ha detto che la cosa più importante sarà arrivare a Roma senza avere dei rimpianti e poter dire di aver fatto tutto il possibile.

Il suo andare così forte è un vantaggio per te?

Noto ogni giorno quanto la sua performance stia migliorando, è veramente in forma (il siciliano ha appena annunciato il prolungamento di un anno con la Bahrain Victorious, ndr), Anche ieri ero accanto a lui sull’ultima salita quando ci sono stati diversi attacchi e ho notato come rispondeva subito. Sta veramente bene. Quindi per adesso stiamo correndo entrambi da leader della squadra e poi ovviamente nelle fasi cruciali sarà lui a sacrificarsi per me.

Nella tappa di Asiago, la squadra ha riportato in gruppo Tiberi staccato sul Muro di Ca’ del Poggio
Nella tappa di Asiago, la squadra ha riportato in gruppo Tiberi staccato sul Muro di Ca’ del Poggio
Torniamo al discorso di partenza: ti ci vedi ad attaccare un giorno a testa bassa o rimarrai in attesa della selezione del gruppo?

Ci sono alcune tappe in cui secondo me si avrà una selezione, tra virgolette, abbastanza naturale. Non dico che si andrà di passo e i corridori si staccheranno da sé. Però comunque correndo come ieri, con la Ineos che farà il forcing e qualche altro attacco ad esempio proprio nella tappa di Champoluc, ci sarà una selezione più importante. Però non escludo neanche che se mi riprendo dalle botte e vedo che sto bene, se ci sarà un’occasione nelle ultime tappe importanti, sicuramente non mi tirerò indietro e proverò qualcosa anche io.

Hai capito in che modo sta correndo la UAE Emirates?

E’ difficile da interpretare. Ci abbiamo pensato ed è evidente che abbiano due uomini di punta veramente forti. Anche loro, quasi come noi, stanno correndo con due punte. Ayuso, che da quello che mi sembra di aver capito, è il capitano. Ieri hanno fatto vedere che quando Del Toro ha seguito l’attacco di Bernal, dietro tutta la squadra ha lavorato per lo spagnolo. E anche lui in primis l’ho visto in discesa prendere il comando per chiudere. Da quello che si può capire da fuori, la maglia rosa è di Del Toro, ma il leader resta Ayuso e la squadra lavora per lui, casomai Del Toro avesse qualche cedimento.

Prima tappa dopo il riposo (oggi) con quattro salite dure: cosa c’è da aspettarsi da Bernal e Carapaz?

Da quello che ho potuto vedere domenica, in alcuni momenti sembrava che si fossero messi d’accordo, nel senso di voler testare le condizioni degli avversari. Li ho visti entrambi molto molto brillanti in salita, hanno un’ottima gamba perché per fare ripetutamente quei cambi di ritmo, bisogna stare davvero bene. Nelle prossime tappe dure si inventeranno qualcos’altro per provare a riaprire la corsa.

Antonio Tiberi, 23 anni, è attualmente 7° in classifica a 3’02” da Del Toro, appena 1’36” dal podio
Antonio Tiberi, 23 anni, è attualmente 7° in classifica a 3’02” da Del Toro, appena 1’36” dal podio
Sei venuto al Giro con tante attese dei tifosi italiani e con il ritiro Ciccone, sei rimasto da solo. E’ qualcosa che pesa? Leggi i giudizi oppure vai avanti per la tua strada?

Sinceramente non leggo giudizi o critiche. Al contrario, quello che percepisco è che quando sono in gara lungo la strada ci sono tante persone che mi tifano e mi incoraggiano. E questo per me è la cosa più importante, perché mi dà la forza, il morale è la grinta per dare il massimo e cercare di fare il meglio di me stesso.

Del Toro e la UAE: verso la terza settimana senza paura

26.05.2025
5 min
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Isaac Del Toro è al suo secondo giorno di riposo in maglia rosa. Rispetto a una settimana fa non c’è Juan Ayuso, al suo posto c’è Fabio Baldato. Isaac è seduto nel mezzo tra lui e Matxin. E’ chiaro che adesso il leader è lui. E tutto sommato, visto il distacco e visto come sta correndo, è giusto così. Perché far esporre anche lo spagnolo in questo caso?

Come sempre in casa UAE Emirates tutto appare tranquillo e sotto controllo, e le parole di Fabio Baldato sono una sentenza: «Quando si va forte in salita e si resta in cinquanta i nostri ci sono tutti». E’ sulla base di questa prova di forza, serenità e coesione che inizia la settimana decisiva per la maglia rosa. E che a Roma la porti Del Toro o Ayuso, sembra proprio impossibile sfilarla allo squadrone emiratino.

Da sinistra: Baldato, Del Toro e Matxin durante la videoconferenza di questo pomeriggio
Da sinistra: Baldato, Del Toro e Matxin durante la videoconferenza di questo pomeriggio

Parla Isaac

Tutti si interrogano sulla sua tenuta nella terza settimana. Ma il più tranquillo in tal senso sembra Matxin, il quale ricorda che Isaac ha già fatto la Vuelta lo scorso anno e, superati i problemi iniziali, poi nella terza settimana è andato bene. Certo, fare classifica è un’altra cosa, ma il messicano sembra esserci.

«Per me – dice Del Toro – quando questo inverno si è profilato il Giro d’Italia ho capito che era una grande opportunità e quindi mi sono subito preparato per essere in forma per questa importante gara. Per le grandi e lunghe salite io credo di essere pronto. Questa terza settimana sarà difficile per tutti. Ma abbiamo anche il miglior team per questo».

«Mi sento abbastanza bene, penso che sia una delle migliori forme della mia vita. Non so cosa aspettarmi da questa terza settimana, ma devo credere che posso farlo. Voglio essere intelligente, e cercare di fare il meglio con il team per gestire al meglio la classifica generale».

Del Toro è parso consapevole di quello che lo aspetta. Il messicano sa che in qualche modo è di fronte a qualcosa più grande di lui, ma non si lascia intimorire. Al tempo stesso è consapevole dei suoi mezzi. E avere una squadra così forte attorno lo tranquillizza in qualche modo.

«Isaac – interviene Matxin – è un ragazzo giovane, che va rispettato. Non gli va messa troppa pressione. Ma al tempo stesso è un ragazzo che sa vincere e anche alla Milano-Torino lo ha dimostrato. Sa mantenere i programmi, è ambizioso, sa farsi trovare pronto. Sin qui ha dimostrato di essere il corridore più forte del Giro. Lo difenderemo e lo aiuteremo. Siamo coerenti».

Una foto che dice molto: guardate le facce degli avversari e guardate la scioltezza di Del Toro, che intanto indossa la mantellina
Una foto che dice molto: guardate le facce degli avversari e guardate la scioltezza di Del Toro, che intanto indossa la mantellina

Senza paura

L’argomento “terza settimana” con un ragazzo di 21 anni in maglia rosa è stuzzicante. Di fatto, se questo Giro d’Italia è ancora aperto è proprio per questa incognita: tenuta con il passare delle tappe, salite lunghe, capacità di recupero.

«Sto facendo grandi passi nella mia carriera – continua la maglia rosa – devo crederci velocemente e sempre velocemente devo capire cosa sta succedendo nella mia vita. Stare qui è il sogno di tutti, ma voglio andare passo per passo. E anche se è un passo corto, voglio farlo nella direzione corretta. Sto imparando dai miei compagni, perché hanno molta più esperienza. Voglio seguirli, mi hanno aiutato molto».

Qualcuno gli fa notare che forse è meno novellino di quanto sembri. Alla fine in corsa si muove benissimo, sarà istinto, sarà che ha imparato in fretta (o che ha così tanta gamba che tutto gli riesce facile), ma ogni volta che qualche squadra si è mossa lui è stato un falco a piombare sugli attaccanti.

«Mi muovo bene? Ho bisogno di imparare – riprende Del Toro – sono nuovo per queste cose. L’altro giorno sapevo che avrebbero provato. Voglio sempre essere attento e nella posizione migliore per difendermi. Voglio vedere sempre cosa succede. Seguo l’istinto, ma anche la radio e voglio usare l’intelligenza». Testualmente aveva detto cabeza fría.

Diteci voi se sono parole di un novellino!

Baldato ha sottolineato la forza della UAE Emirates. Quando la corsa si fa dura loro ci sono sempre
Baldato ha sottolineato la forza della UAE Emirates. Quando la corsa si fa dura loro ci sono sempre

Squadrone UAE

Senza dubbio la UAE Emirates ha dimostrato di essere la più forte. Parla la classifica, parlano le tappe e come vengono gestite. Quando Baldato diceva che se il gruppo resta di 50 corridori e i suoi ci sono tutti, diceva la verità. E davvero non è poco ai fini del controllo della corsa.

E questo vale anche per la gestione di Ayuso, sia pensando a quanto successo verso Asiago, sia in ottica terza settimana. Sulle montagne venete lo spagnolo non è parso super brillante. Come è gestito?

«Ma no – dice Baldato – quello che ho detto vale anche per Ayuso. Ieri Juan ha seguito chi ha attaccato. Abbiamo corso compatti, abbiamo cercato di stare uniti, di stare davanti. C’erano 27 corridori sull’ultima salita e l’idea era di proteggere il leader e di stare tutti insieme. Questa è la nostra mentalità.

«Roglic? Adesso i rivali più pericolosi sono Carapaz, che è davvero forte e attacca in ogni momento. Simon Yates, che è un ragazzo esperto. E poi penso anche ai due ragazzi della Bahrain-Victorious: Tiberi e Caruso. Damiano è davvero forte, lo so bene. E’ sempre pronto a sfruttare le situazioni. Ma come ho detto prima, è importante per noi rimanere il più possibile vicino al nostro leader, Isaac».

Quando poi arriva la fatidica domanda sui ruoli e su chi sarà definitivamente il leader della UAE Emirates, terminano i 15 minuti di videoconferenza. Però alla fine in questa occasione sono stati più chiari di altre volte: si sono sbilanciati a favore di Del Toro.

Noi l’abbiamo già detto: ormai sarà la strada a parlare. Possiamo aggiungere che Del Toro, quando ci sono state le domande in spagnolo, ha apertamente detto che lui adesso è in una posizione favorevole: «Gli altri ovviamente proveranno ad attaccarmi, ma io mi trovo in una posizione in cui devo difendermi».

EDITORIALE / Il Giro d’Italia specchio del ciclismo italiano?

26.05.2025
6 min
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CITTADELLA – Terzo e ultimo giorno di riposo del Giro d’Italia. La tappa di Gorizia ha creato sconquasso nella classifica generale e ad averne la peggio sono stati certamente Roglic, ma soprattutto il ciclismo italiano. Ciccone è stato costretto al ritiro e anche Tiberi, il primo a cadere, ha dovuto mandare giù un altro distacco non richiesto. Ieri sul traguardo di Asiago, abbiamo dovuto ragionare un po’ prima di rispondere a Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, quando ha detto che non ricorda di aver mai visto un Giro così bello. Ma è bello davvero e il nostro essere frenati deriva unicamente dall’assenza di italiani nei piani alti della classifica?

Il podio del Giro d’Italia è ancora alla portata di Tiberi? Sulle spalle del laziale il peso delle attese tricolori
Il podio del Giro d’Italia è ancora alla portata di Tiberi? Sulle spalle del laziale il peso delle attese tricolori

Un Giro che piace?

Il Giro d’Italia è sempre bello, ma è innegabile che ci siano delle sostanziali differenze rispetto a quanto vissuto lo scorso anno. Nel 2024 le volate di Milan, la crono di Ganna e le prestazioni piene di verve e speranza di Pellizzari e Piganzoli lasciarono un diverso sapore in bocca al pubblico italiano. E poi Pogacar davanti a tutti era l’alibi ideale perché ci si accontentasse di qualsiasi cosa passasse sulla tavola. Questa volta l’alibi non c’è, la lotta sarebbe (stata) aperta e in testa alla classifica ci sono dei ragazzi giovani e privi di albi d’oro clamorosi, se non quelli messi insieme nelle corse U23. Ma non ci sono corridori italiani.

Nei giorni scorsi Patrick Lefevere, intervistato da Tina Ruggeri, ha fatto un’istantanea spietata ma come sempre molto lucida del ciclismo italiano. «Io vengo dal 1992 in Italia – ha detto – e quando vedo che adesso non è possibile neanche fare una squadra World Tour, è sicuramente un peccato. Meno male che c’è Reverberi che fa sempre la sua squadra e poi c’è la Polti con Ivan Basso. Per il resto c’è da piangere».

Reverberi e Pellizzari in una foto del 2024: talenti come Giulio faranno sempre più fatica a restare in Italia (foto Mazzullo)
Reverberi e Pellizzari in una foto del 2024: talenti come Giulio faranno sempre più fatica a restare in Italia (foto Mazzullo)

Il figlio del corridore

Non fa mai piacere che uno straniero si permetta giudizi così pesanti sulle cose di casa nostra, ma bisogna essere onesti e riconoscere che le parole del vecchio belga non siano finite lontane dal bersaglio. Risulta anche comprensibile che Patrick non si renda conto delle difficoltà del ciclismo in Italia, forte invece della sua centralità in Belgio, dove gli sponsor si fanno un vanto del sostenerlo

I numeri cozzano contro l’ottimismo della FCI e sui valori della società italiana. Il figlio del calciatore gioca a calcio. Il figlio del tennista gioca a tennis. Invece il figlio del corridore gioca a calcio. E questo non accade perché i corridori non amino più lo sport in cui sono diventati uomini, ma perché andare in bicicletta in Italia è sempre più pericoloso e non se ne vede una via d’uscita. E siamo abbastanza sicuri, per averne avuta conferma da alcuni di loro, che la rinuncia sia dolorosa.

A ciò si aggiunga che le società sul territorio calino in rapporto con il calo delle… vocazioni e l’alto livello sia sempre più spostato verso Paesi non italiani. Se negli anni passati si trovava eroico lasciare le regioni del Sud per trasferirsi al Nord (le storie di Nibali e Visconti valgano come esempio), oggi è un dato acquisito che per fare carriera nel WorldTour si debba lasciare l’Italia. Lo si racconta in modo meno eroico, ma l’impatto sui ragazzi non è da meno.

Dopo due anni e mezzo alla Visma, Belletta è tornato in Italia. Non sempre l’estero è garanzia di successo (foto Tomasz Smietana)
Dopo due anni e mezzo alla Visma, Belletta è tornato in Italia. Non sempre l’estero è garanzia di successo (foto Tomasz Smietana)

Le parole di Pella

In un’intervista rilasciata oggi a Luca Gialanella, il presidente della Lega Ciclismo Roberto Pella snocciola la sua ricetta per far ripartire il ciclismo italiano e lo fa con argomenti da autentico presidente federale. Con l’onorevole abbiamo avuto un’interessante conversazione circa un mese fa. Ci ha spiegato con grande motivazione la voglia di andare avanti col suo passo, lungo la direzione che ha scelto e utilizzando i miglior mezzi a sua disposizione. Pella è un uomo del fare. Ha rivendicato giustamente gli sforzi per equiparare i premi delle donne a quegli degli uomini nella Coppa Italia delle Regioni. E ha ribadito di essere una risorsa per il ciclismo italiano e non capisce l’eventualità che la Federazione soffra la sua presenza e non ne sfrutti le possibilità.

«Se non seminiamo sui giovani – ha detto alla Gazzetta dello Sport – rischiamo di non avere più campioni in futuro. E’ arrivato il momento di sostenere il professionismo, così come spingere il movimento femminile. Dobbiamo aiutare le squadre italiane a trovare gli sponsor per farle restare in vita. Anche questo fa parte della missione della Lega. Il terreno del ciclismo italiano è stato arido per troppo tempo, ma va concimato e annaffiato».

Roberto Pella, presidente della Lega Ciclismo Professionistico, ha portato il ciclismo e i suoi campioni alla Camera
Roberto Pella, presidente della Lega Ciclismo Professionistico, ha portato il ciclismo e i suoi campioni alla Camera

La svolta necessaria

Pella siede in Parlamento e in Parlamento ha portato il ciclismo. Ha accesso alle stanze e i tavoli in cui vengono prese le decisioni che contano. E’ un uomo molto attento alle relazioni, ma anche concreto e capace di portare risorse dove servono. Si è sempre detto che il solo modo per cui i grandi sponsor italiani tornino a investire nel ciclismo sia offrirgli il modo di rendere l’investimento meno oneroso di quanto sia ora, come peraltro accade in altri Paesi europei. Se questo è davvero possibile, assieme alla creazione di spazi e norme a tutela dei ciclisti, allora forse c’è speranza di un’inversione di tendenza. Altrimenti, se non si allarga la base in modo che la selezione del talento avvenga su numeri più corposi, sarà difficile rivivere il fiorire di campioni che negli anni 90 ci permise di essere protagonisti del calendario.

Nell’attesa che le promesse diventino realtà e che la politica dello sport dimostri di avere le risposte per le domande più urgenti, ci accingiamo a ripartire per la prossima tappa del Giro sperando che Tiberi trovi la grinta e le gambe per avvicinarsi al podio. E che Pellizzari abbia la possibilità di rimettere fuori il naso, confermando i miglioramenti che tutti abbiamo già toccato con mano, viste le condizioni difficili di Roglic. Pare anche che a Piganzoli, testato da una grande squadra WorldTour, siano stati riconosciuti mezzi non comuni. Loro tre e alcuni altri ragazzi fra il 2002 e il 2003 sono il nostro futuro più immediato: occorre avere pazienza. Il Giro resta bello, potersi pavoneggiare per una vittoria italiana lo renderebbe sicuramente migliore.

Garofoli, la testa e le gambe più forti del dolore

26.05.2025
4 min
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ASIAGO – Una baraonda nella stradina stretta dell’arrivo, nella selva di telecamere, microfoni, obiettivi, massaggiatori e addetti stampa. Nel mezzo di tutto questo, Gianmarco Garofoli sta fermo in mezzo senza dire una parola, nessuno accanto a lui. Settimo al traguardo, a 26 secondi da Verona. La tappa lo ha visto in fuga e poi rispondere per primo allo spagnolo, purtroppo senza riuscire ad agganciarlo. Neppure quando poi è arrivato Zana e in due non sono riusciti a fare tanto di più.

Suo padre Gianluca, prima dell’arrivo era in mezzo a noi con un tablet in mano e il telefono incandescente. Anche questa volta ha seguito suo figlio, ma domani tornerà a casa e si riaffaccerà per la tappa di Bormio. I due si somigliano in modo pazzesco e quando gli abbiamo chiesto come vedesse Gianmarco nella fuga, si è lasciato scappare una battuta col fondo amaro. «Ha tre costole rotte dalla tappa di Napoli, non so come faccia ad andare avanti. Gli ho comprato una fascia, abbiamo stretto, ma non si può dire che stia bene».

Gli diamo il tempo per riprendere fiato e riconnettere i pensieri. Fissa un punto davanti, il sudore gli imperla il viso. Quando ci avviciniamo, ci guarda e il sorriso è un po’ amaro e un po’ stupito per quello che ha fatto. Tutto intorno, nulla accenna a placarsi. Gente che spinge, che va e che viene. A un certo punto al giovane marchigiano della Soudal-Quick Step di avvicina James Knox, arrivato a 1’59”. Gli poggia una mano sulla nuca, gli fa i complimenti e gli chiede come si senta. Lui farfuglia qualcosa e l’altro si allontana.

Su Garofoli è rientrato anche Zana, ma neppure insieme sono riusciti ad agganciare Verona
Su Garofoli è rientrato anche Zana, ma neppure insieme sono riusciti ad agganciare Verona
Tre costole rotte?

Eh, tre costole rotte. Si fanno sentire. Sono stato in fuga da inizio giornata. La prima volta eravamo in una trentina, poi quando ci ha ripreso il gruppo maglia rosa, ci abbiamo riprovato. Io ho dato tutto fino alla fine, ma questa è stata una tappa durissima. Le costole fanno male, le gambe ancora di più. Questo è dolore vero, mamma mia, sono stanco.

L’anno scorso alla Vuelta venisti fuori nella terza settimana: si può pensare che andrà così anche qui?

Sì, ci sono le premesse. Guardate, devo essere sincero. Ieri sera non riuscivo a dormire, non ho dormito perché mi facevano malissimo le costole. Così questa mattina ho pensato più volte di non partire. Poi mi sono detto di provare e vedere come andasse: se oggi vado forte, continuo. E oggi ho avuto la risposta che la condizione c’è. Mi tocca continuare (accenna un sorriso, ndr).

Il piano prevedeva che andassi in fuga?

Dovevo provare per capire se andare avanti, perché nelle ultime tre tappe ho avuto veramente molto, molto dolore. Tutto sommato, il Monte Grappa è stato la parte più facile. La salita più dura secondo me è stata quella di Enego, che era di 16 chilometri. L’ho attaccata dall’inizio, ho provato a seguire Verona, ma mi ha tenuto sempre lì e non mi ha fatto rientrare. E’ stata durissima, me la ricordavo quella salita, perché ci avevo vinto da allievo.

Garofoli settimo all’arrivio a 26″ da Verona. E’ al primo anno con la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)
Garofoli settimo all’arrivio a 26″ da Verona. E’ al primo anno con la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)
In tutto questo, le vibrazioni della strada si sono fatte sentire nel costato?

Fanno tanto male, ragazzi, non sono incrinate, sono proprio rotte. Servono tanta testa e tante palle per andare avanti.

Il tempo per l’ultima battuta e poi un massaggiatore viene a sfilargli di sotto la bicicletta, sorteggiata per il controllo meccanico. A questo punto Garofoli, non sapendo cosa fare, si siede per terra. E’ qui che lo raggiungiamo per girare il breve video pubblicato ieri sera su Instagram. Il tempo di fare un passo indietro e si avvicina la sua ragazza. E proprio qui, lontano da obiettivi e domande, Gianmarco crolla in un pianto liberatorio che dà l’idea delle tensioni cui è stato sottoposto dalla notte prima, del dolore che lo aveva quasi convinto a desistere e dell’immenso orgoglio che l’ha portato qui a raccontare la sua impresa (in apertura, foto Soudal-Quick Step). Sono corridori di bicicletta, hanno testa e carattere. E’ bello vivere certi momenti accanto a loro.

Primi attacchi alla maglia rosa: Carapaz e Bernal fanno sul serio

25.05.2025
5 min
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ASIAGO – Le cadute fanno male soprattutto il giorno dopo. Quando Roglic ha tagliato il traguardo aveva l’espressione svuotata, come di chi ha provato a difendersi, ma non ha trovato le risorse per opporsi ai colpi: non era dove doveva essere. Pellizzari e Martinez lo hanno scortato, dando la sensazione di perderlo se per caso una pedalata fosse stata più energica. Anche Tiberi inizialmente è parso bloccato e solo scaldandosi è riuscito a improntare una difesa convincente. E così sulle prime montagne vere del Giro, prima il Monte Grappa e poi la salita di Dori in direzione di Asiago, solo pochi scalatori hanno provato a mettere in difficoltà la maglia rosa. Bernal prima di tutti, con l’aiuto di Arensman. Poi Carapaz. E solo alla fine ha messo fuori il naso anche Simon Yates. Piccoli colpi di assaggio, nulla di irresistibile, anche perché le pendenze dell’ultima scalata erano tutt’altro che proibitive. Eppure è bastato per mostrare un Del Toro super concentrato, pronto e tonico, come chi ha la vittoria cucita addosso e sente la forza sprizzargli dalle gambe. Reggerà così per tutta la settimana?

Roglic ha tagliato il traguardo 1’59” dopo Verona, 1’30” dopo la maglia rosa. Ora è 10° a 3’53”
Roglic ha tagliato il traguardo 1’59” dopo Verona, 1’30” dopo la maglia rosa. Ora è 10° a 3’53”

Il ritorno di Bernal

Ecco cosa hanno detto alcuni dei protagonisti. A cominciare dal pimpante Bernal, all’attacco sul Grappa, che forse per domani avrebbe preferito un altro tappone e non il giorno di riposo.

«Non ero al top stamattina – ha detto il colombiano – sapevo che non sarebbe stata la mia giornata. E’ stato un bene che la prima parte fosse pianeggiante perché mi ha permesso di cambiare umore. Nella prima parte della salita del Monte Grappa abbiamo adottato un approccio un po’ più conservativo, ma poi nella seconda abbiamo deciso di cambiare. Come abbiamo già detto un paio di volte, non abbiamo nulla da perdere, ma molto da guadagnare. E’ stata una giornata divertente e durissima. Il mio attacco? Ho solo cercato di dare il massimo, Arensman è stato bravissimo e Carapaz è il miglior alleato con cui affrontare la salita. Non so cosa sia successo a Roglic. L’ultima salita non era ripidissima, ma era il tipo di strada su cui si può perdere un sacco di tempo una volta staccati. Abbiamo fatto bene a provarci. Siamo il Team Ineos e dobbiamo sempre provare qualcosa. Sto bene, dopo tre anni vado in bici senza dolore e ora finalmente posso diventare l’ago della bilancia. Sono felice di essere tornato. Questa corsa mi darà qualcosa in più. Può essere un grande passo avanti».

Tiberi ha reagito bene al mal di schiena e ha avuto le gambe e la grinta per tenere i migliori, ma la maglia rosa non l’ha perso di vista
Tiberi ha reagito bene al mal di schiena e ha avuto le gambe e la grinta per tenere i migliori, ma la maglia rosa non l’ha perso di vista

Il sollievo di Tiberi

Tiberi, che ieri ha innescato la caduta sul pavé di Gorizia, ha risposto bene alle accelerazioni, avendo accanto un Damiano Caruso che, a dispetto degli anni, mostra ogni giorno di più il fondo e l’autorità per rispondere in prima persona agli attacchi dei campioni.

«Sono contento di come sono riuscito a gestirla – ha detto Tiberi – ma all’inizio non riuscivo a spingere, per questo ho attaccato Ca’ del Poggio abbastanza indietro e ho preso il buco. A quel punto la squadra si è fermata per riportarmi sotto e hanno fatto un lavoro veramente spettacolare. Sono serviti tanto, anche mentalmente e il supporto che mi hanno dato è stato veramente importante. Poi per fortuna anche il fisico ha iniziato a reagire bene. Scaldandomi e iniziando a spingere ho iniziato infatti a sentire un po’ meno dolore, anche se comunque il mal alla schiena c’è ancora. E’ stata comunque una tappa importante. Sono contento di come sono riuscito a reagire e quindi moralmente anche è stato importante non aver subito appunto un’altra sconfitta».

Il confabulare fra Yates, Majka e Del Toro in rosa dopo l’arrivo: la UAE Emirates è parsa in controllo
Il confabulare fra Yates, Majka e Del Toro in rosa dopo l’arrivo: la UAE Emirates è parsa in controllo

La leggerezza di Del Toro

Su tutti loro, la leggerezza e l’autorità di Del Toro fanno pensare che il messicano avrà pure davanti a sé dei punti di domanda, ma per ora fronteggia bene ogni tipo di imprevisto. Ha risposto in prima persona agli attacchi di tutti. Anche a quello di Derek Gee, che quando si è voltato e se lo è visto addosso tutto rosa, ha avuto un sussulto.

«Nella mia posizione – ha detto il messicano – mi sento nervoso perché sono come un tifoso che corre in mezzo ai suoi idoli. Ora devo seguire gli attacchi e di sicuro so che arriveranno. Devo solo aspettare quando e capire se sarò in grado di seguirli tutti. Sono super attivi e competitivi, sapevo che oggi avrebbero iniziato a scattare. Non posso dire con certezza che qualcuno riuscirà ad andarmi via. Per questo a un certo punto ci siamo messi davanti noi e abbiamo aspettato che cominciassero gli attacchi, perché sapevamo che sarebbe successo. Ho cercato di capire quando. Ma sono certo che tanti vogliano vincere e ci proveranno ancora. Per oggi sono riuscito a seguire tutti e a gestire più o meno la situazione. Si riparte fra due giorni e cercheremo di capire anche quale sarà il nostro assetto come squadra».

Ad Asiago l’impresa di Verona, per la famiglia e per Ciccone

25.05.2025
5 min
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ASIAGO – Le figlie Berta e Nina lo guardano e probabilmente non capiscono quello che il padre Carlos sta dicendo in inglese ai giornalisti. Il Giro d’Italia ha incoronato Carlos Verona, di professione gregario e innamorato dell’Africa: al Giro per aiutare Pedersen e Ciccone, che forse non avrebbe neppure immaginato di ritrovarsi in questa corsa a parlare di sé. Lui è emozionato da morire e basta fargli una domanda perché la voce si rompa. Lo sguardo che rivolge verso sua moglie Esther, anche lei sul filo delle lacrime, è una delle immagini più belle di questo dopo tappa. Che cosa significa aver vinto qui, oggi, davanti alla tua famiglia?

«Tutto. Ho incontrato mia moglie quando ero junior – racconta – eravamo nella nazionale spagnola e abbiamo iniziato la nostra carriera insieme. Poi siamo cresciuti come famiglia. Accanto a lei sono cresciuto come persona e ora cresco anche come ciclista. Essere qui con loro è stato molto emozionante. Mi manca solo il mio piccolo Leo, abbiamo tre figli e lui non poteva essere qui. Ma questa vittoria è anche per lui e per la nostra grande squadra. La fatica più grande nel fare il corridore è trovare l’equilibrio tra lo sport e la famiglia. E’ molto impegnativo. Puoi dedicargli tutto il tempo e le energie che vuoi, ma loro sono sempre lì a tenermi con i piedi per terra. A ricordami di godere le piccole cose della vita, a pensare ad altro che allo sport. Averli qui è stato molto emozionante».

Carlos Verona, classe 1992, è nato a San Lorenzo de El Escorial. Pro’ dal 2013, è alto 1,86 e pesa 68 kg
Carlos Verona, classe 1992, è nato a San Lorenzo de El Escorial. Pro’ dal 2013, è alto 1,86 e pesa 68 kg

Dalla delusione al successo

Dice tutto d’un fiato, nel giorno in cui è entrato nella fuga e ha trovato le forze per staccare tutti e cercare l’azione solitaria sull’ultima salita che conduceva all’altopiano di Asiago. Alle sue spalle i primi della classifica saggiavano per la prima volta la resistenza di Del Toro.

«Sono lo stesso che ieri era a terra per la caduta di Ciccone – dice, cercando di spiegare l’emozione – quando ho tagliato il traguardo ero super deluso, ma poi ho dovuto mantenere la calma per rimanere concentrato. E oggi ho vinto ed è molto bello, perché mi ha permesso di creare emozioni e di intrattenere la gente. Spero che la gente si sia divertita a guardare questa vittoria. Mi piace molto cercare di lavorare sodo per la squadra. Fare tutto quello che posso per la mia famiglia. E per dare un senso al duro lavoro che io e la squadra abbiamo fatto durante questa stagione. Qui oggi si è vista soltanto la tappa, ma sono certo che anche Cicco avrebbe potuto giocarsi la vittoria. Siamo stati insieme negli ultimi due mesi con un atteggiamento così positivo, facendo tanti sacrifici. E sono contento, nonostante tutto, che oggi sia andato tutto per il meglio».

Al via della tappa da Castel di Sangro a Tagliacozzo, la foto con le maglie e il team quasi al completo: mancava già Kragh Andersen
Al via della tappa da Castel di Sangro a Tagliacozzo, la foto con le maglie e il team quasi al completo: mancava già Kragh Andersen

Un motore decente

Non vinceva dal Delfinato del 2022 e si era trattato della prima vittoria in carriera. Per fare il bis ha scelto il Giro d’Italia e probabilmente ha dovuto cambiare il chip in corsa. Come quando ti tolgono la briglia e ti lasciano libero di correre come vorresti e non come ti dicono di fare.

«In realtà nella prima parte della tappa – dice – stavo cercando di prendere la fuga e non ci sono riuscito e ho pensato che fosse una buona lezione, perché non ero preparato a lottare. Poi ci sono entrato e mi sono detto che alla peggio sarebbe stato un buon allenamento. Ho visto che continuavamo a guadagnare e allora mi sono detto di lasciarci una possibilità. Ho pensato di resistere più a lungo possibile e poi avremmo visto, anche perché il Monte Grappa è stato un passaggio difficile. Quando ci siamo ritrovati in 15, ho pensato che mi sarebbe piaciuto vincere. Mi sentivo forte, ma ero in fuga con corridori che non conoscevo e non potevo rischiare di arrivare con loro allo sprint. Ho un motore decente, non sono molto bravo quando devo fare molti attacchi, tattiche o sprint, ma riesco a mantenere un buon ritmo per molto tempo. Ed è quello che ho fatto. Ho dato il massimo e sono molto contento di esserci riuscito. Ma ho cominciato a credere alla vittoria negli ultimi 50 metri, prima ho sempre avuto paura che da dietro tornassero i primi della classifica».

Attacco a 44 km dall’arrivo e Verona resta solo. Alle sue spalle Garofoli e Zana
Attacco a 44 km dall’arrivo e Verona resta solo. Alle sue spalle Garofoli e Zana

Lo shock per Ciccone

Per la Lidl-Trek, che Verona definisce il luogo in cui si può essere se stessi e dare il proprio meglio, si tratta della sesta vittoria in questo Giro d’Italia, dopo la quarta di Pedersen e la crono di Hoole. Aspettando la corsa, il dottor Daniele ci ha spiegato che l’ematoma avrebbe comunque impedito a Ciccone di proseguire e che si fosse accorto da subito della gravità della situazione. Un brutto colpo per i tifosi italiani che confidavano nella terza settimana dell’abruzzese, figurarsi per la squadra pronta per aiutarlo.

«Quando abbiamo saputo che sarebbe andato a casa – dice Verona – siamo rimasti scioccati. Aspettavamo tutti la prossima settimana. Anche nel mio caso personale, non vedevo l’ora di dare un senso a tutto il lavoro della settimana scorsa. Il giorno dello sterrato mi sono svegliato super preoccupato non per me, ma per la paura di perdere Mads o Cicco (Pedersen o Ciccone, ndr), perché sono loro due che danno un senso al mio lavoro. E’ stato un durissimo colpo, ma alla fine la vita è così. Bisogna essere resilienti e guardare al futuro. Penso che tutto accada per una ragione. Si vede che non doveva essere il Giro di Ciccone, ma di sicuro lo attende qualcosa di buono. E questa vittoria è per onorare lui e tutto ciò che ha fatto».