Lidl-Trek, l’anno dei punti. Con Bennati fra Giro, Tour e Vuelta

03.09.2025
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Pedersen al Giro, poi Milan al Tour e ora di nuovo Pedersen, che guida la classifica a punti della Vuelta con 9 lunghezze di vantaggio su Vernon (in apertura Mads con la sua maglia verde, accanto a Vingegaard in rosso). Per la Lidl-Trek non sarà ancora la stagione dei record, ma la prospettiva di portare a casa le tre maglie è certo interessante. E allora ci siamo chiesti quali differenze ci siano nella lotta per la classifica punti fra Giro, Tour e Vuelta. E ci è venuto in mente di chiederlo a Daniele Bennati, che ha vinto la maglia verde spagnola nel 2007, la ciclamino del Giro nel 2008. Era invece terzo nella classifica a punti al Tour del 2006, dietro McEwen e Freire, quando una caduta lo rispedì a casa a cinque tappe dalla fine. In aggiunta, Bennati fu uno dei primi corridori nel 2011 a firmare per l’allora Leopard Trek di Luca Guercilena, restandoci per due stagioni con 7 vittorie, che anni dopo sarebbe diventata l’attuale Lidl-Trek.

«Senza dubbio la maglia verde al Tour – dice il toscano – è quella più difficile da conquistare. Devo essere sincero, nel 2006 ero abbastanza vicino a McEwen. Probabilmente non l’avrei vinta, però me la sarei giocata. Caddi nella discesa del Telegraphe dopo aver scalato il Galibier e dovetti tornare a casa prima. In termini di difficoltà la maglia verde al Tour è molto più complicata rispetto al Giro e alla Vuelta, ma è inevitabile che per vincerle bisogna andare super forte in tutti e tre».

Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
A parte la caduta del 2006, nel 2007 hai vinto due tappe al Tour, ma arrivasti sesto nella classifica a punti. Come mai la verde era così ostica per te?

Ero una vera frana nei traguardi volanti, penso di non averne mai vinto uno in vita mia e di aver perso anche contro corridori che sulla carta erano molto meno veloci di me. Questo mi ha penalizzato molto al Tour, perché gli sprint intermedi sono sempre molto importanti per conquistare la maglia verde, oltre al vincere le tappe e fare tanti piazzamenti. Io vinsi due tappe e poi feci un sesto e un quarto posto. Petacchi ad esempio conquistò la maglia nel 2010, vinse due tappe, ma per cinque volte entrò nei primi tre. Quando va così, sei avvantaggiato, perché un po’ puoi disinteressarti dei traguardi volanti.

Puoi tornare sul tuo essere una frana negli sprint intermedi?

Non avevo la capacità di fare la volata a metà tappa. Forse un problema di motivazione, ma non riuscivo a dare tutto me stesso nei traguardi volanti. Per vincere la maglia verde al Tour devi avere anche la capacità di sprintare dopo 20 chilometri oppure dopo 80 e questo sicuramente Milan ce l’ha nelle sue corde. Ne ha vinti diversi e questo è sicuramente un valore aggiunto, forse perché, essendo un pistard, ha la capacità di andare fuori giri anche dopo pochi chilometri.

Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
C’è differenza nella lotta per la classifica a punti fra i percorsi dei tre Grandi Giri?

Quando ho vinto la maglia a punti della Vuelta, fino all’ultima tappa non l’avevo ancora indosso. Negli anni il regolamento è cambiato. In quel 2007, le tappe di montagna e quelle di pianura davano lo stesso punteggio. Per noi velocisti diventava ancora più complicato. Io avevo vinto tre tappe, però mi ricordo che in quella finale di Madrid la maglia verde ce l’aveva Samuel Sanchez. Anche lui aveva vinto tre tappe, quindi era più avanti di me. Riuscii a conquistare la maglia a punti battendo Petacchi su quell’ultimo arrivo.

Invece al Giro?

Nel 2008 davano gli stessi punti per le tappe pianeggianti rispetto a quelle di montagna. Ricordo che Emanuele Sella aveva vinto anche lui tre tappe e un giorno venne a dirmi: «Stai attento, Benna, perché ti rubo la maglia ciclamino!». Infatti arrivò secondo nella cronoscalata di Plan de Corones e ci ritrovammo molto vicini nella classifica a punti (51 punti, ndr). Per fortuna nelle ultime tappe feci anche qualche altro piazzamento in tappe intermedie e mi salvai. Ma il fatto di avere per tutte le tappe lo stesso punteggio faceva sì che dovessimo lottare contro quelli di classifica e chi vinceva le tappe di montagna. Magari dalla mia c’era il fatto che essendo più veloce rispetto a quelli di classifica, qualche traguardo volante andando in fuga potevo vincerlo e comunque portare a casa un po’ di punti.

Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Quindi, che si tratti del Giro, del Tour o della Vuelta, la maglia a punti non viene per caso, ma c’è da studiare il modo per conquistarla?

Esatto. Dosando il lavoro dei compagni in rapporto al percorso della tappa. Giusto la UAE Emirates fa eccezione, ma solo perché hanno Pogacar e quando c’è lui, non portano il velocista. Anche perché Tadej volendo potrebbe vincere anche la maglia a punti. Per il resto si studiano i percorsi e si mette a punto la miglior strategia per portare a casa la maglia a punti. 

La Lidl-Trek al Tour aveva soltanto Milan, data la caduta di Skjelmose. Al Giro e alla Vuelta ha Pedersen e Ciccone, dovendo aiutarli entrambi. Un super lavoro?

Se in squadra c’è l’uomo di classifica, il velocista deve accontentarsi di un paio di compagni. Ormai le squadre sono attrezzate e possono reggere insieme l’uomo di classifica e il velocista. Poi, come per Pogacar, dipende anche dal livello dell’uomo di classifica. Quando a fine carriera ho corso per Contador, non c’era maglia a punti che reggesse: si tirava per lui e basta.

Torino, la “fiesta roja” sta per cominciare

19.08.2025
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Torino capitale del ciclismo. Nessuna città prima d’ora aveva ospitato in appena 476 giorni tutti i tre Grandi Giri. E la Gran Salida della oramai imminente Vuelta di Spagna segnerà un record difficile da battere. La tappa inaugurale del Giro d’Italia 2024, terminata di fronte alla Gran Madre e vinta da Narvaez, poteva sembrare abituale visto il legame tra Rcs Sport e il capoluogo piemontese. Mentre la storica vittoria di Biniam Girmay nella terza frazione del Tour de France di poco più di un mese dopo ha regalato un’istantanea difficile da ripetere.

Nel 2024, Girmay ha vinto la terza tappa del Tour a Torino e poi altre due
Nel 2024, Girmay ha vinto la terza tappa del Tour a Torino e poi altre due

Si inizia giovedì

Dall’amore infinito rosa alla marea gialla, fino ad arrivare alla passione rossa che sta cominciando a travolgere Torino nei giorni delle ferie d’agosto. I richiami alla Vuelta cominciano a far capolino soprattutto in centro, dove sono comparse diverse biciclette rosse con la scritta Torino. Così come i lanci sui social network per la grande festa che comincerà giovedì sera con la presentazione delle squadre nella cornice di Piazzetta Reale. Se per la sfilata di Vingegaard, Almeida, Ciccone e le altre stelle al via bisognerà aspettare le 19,30, lo spettacolo si aprirà alle 17. Prima con una lezione di spinning collettiva, seguita dal dj set (17,45) che farà crescere l’aspettativa per l’uscita delle 22 squadre insieme all’esibizione del cantante spagnolo Antonio Orozco.

«Il fatto che Torino abbia fatto questa scelta – commenta l’assessore allo Sport e ai Grandi Eventi, Mimmo Carretta – insieme a Regione Piemonte e a tutte le istituzioni come la Camera di Commercio e il Governo, fa parte di una strategia che vede la bicicletta al centro. Non si tratta soltanto di un appuntamento dal punto di vista sportivo. Attraverso i grandi eventi sportivi vogliamo favorire un certo tipo di mobilità, sottolineato anche dallo sforzo che si sta facendo per ampliare le piste ciclabili e le campagne che stiamo facendo su Torino. Dietro questi tre Grandi Giri nella nostra città, c’è uno sforzo organizzativo enorme. Tra l’altro la Vuelta arriva in un periodo anomalo, ma che regalerà tanto sport. A fine mese sono in programma anche i Mondiali di twirling e il torneo internazionale di volley maschile in un palazzetto di solito abituato alle manifestazioni del ghiaccio come il Palavela».

L’anno scorso sul traguardo di Torino, Narvaez ha battuto Pogacar
L’anno scorso sul traguardo di Torino, Narvaez ha battuto Pogacar

Sabato da Venaria Reale

Tornando in sella, sabato 24 agosto tutti gli occhi saranno puntati sulla Reggia di Venaria Reale. Essa fu già teatro dello start del Giro dello scorso anno, così come della cronosquadre del 2011 vinta dalla Htc-Hirghroad di Pinotti che si vestì di rosa nel cuore di Torino. Stavolta si arriverà a Novara (183 km), ma il percorso iniziale celebrerà il capoluogo piemontese, con il km 0 posto di fronte al monumento celebrativo di Fausto Coppi, dinnanzi al Motovelodromo intitolato al Campionissimo.

«Si taglierà in lungo e largo Torino – aggiunge Carretta – partendo da Venaria. La scelta di collocare il km 0 al Motovelodromo, ovvero un luogo di rinascita e rigenerazione urbana sociale e sportiva, vuole segnare la prima tappa in modo forte e iconico. L’appetito vien mangiando e vedremo cosa ha in serbo il futuro».

Davanti al Motovelodromo di Torino campeggia il monumento a Fausto Coppi
Davanti al Motovelodromo di Torino campeggia il monumento a Fausto Coppi

Libri, musica e gara di biglie

Programma fittissimo nella rinnovatissima ultracentenaria casa del ciclismo torinese di corso Casale, con la possibilità di fermarsi a seguire la tappa sul maxi schermo allestito per l’occasione. Il sabato si aprirà con la presentazione del nuovo libro di Beppe Conti “C’era una Vuelta” e si chiuderà alle 21 con il concerto dei Cane Vecchio Sa-Und, la pazza band creata dai telecronisti di Eurosport Luca Gregorio e Riccardo Magrini.

Sarà un continuo di eventi dal raduno della tribù di appassionati di Fantacycling (con tanto di gara di biglie) ad ospiti speciali come il “padrone di casa” Fabio Felline. Il vincitore della classifica della maglia verde nel 2016 e di recente tornato in gruppo, aveva annunciato il ritiro proprio al Motovelodromo nel dicembre dello scorso anno.

Lo scorso anno Felline annunciò nel Motovelodromo di Torino il ritiro, che poi è… rientrato
Lo scorso anno Felline annunciò nel Motovelodromo di Torino il ritiro, che poi è… rientrato

Una spesa di 4,5 milioni

Non solo Torino però, la festa per tutto il Piemonte durerà fino al 26 agosto. Domenica 24, infatti, la corsa spagnola proseguirà con una tappa che potrebbe già smuovere la classifica, visti gli insidiosi 157 km che da Alba portano a Limone Piemonte. Poi ancora le frazioni di lunedì 25 con la partenza da San Maurizio Canavese e il traguardo posto a Ceres (139 km). E martedì 26 con il via da Susa prima dello sconfinamento in Francia verso Voiron (192 km).

Già da diversi anni la Regione Piemonte ha puntato fortissimo sul ciclismo. Per portare questo bel pezzo di Vuelta in Italia ha investito 4,5 milioni di euro, forte del successo di pubblico del 2024, stimato in 300 mila persone per la Corsa Rosa e 75 mila per la Grande Boucle. Ricadute che, come ha dichiarato il presidente Cirio, hanno portato a un impatto economico di oltre 34 milioni (27,5 per il Giro e 6,88 per il Tour). Di fatto, sottraendo la spesa sostenuta dalle istituzioni, si è calcolato che ogni euro investito ne ha generati circa 8.

In meno di due anni, Torino ha ospitato il via del Giro, una tappa iniziale del Tour e da sabato la Vuelta
In meno di due anni, Torino ha ospitato il via del Giro, una tappa iniziale del Tour e da sabato la Vuelta

Sport, cultura e turismo

Lo scorso anno erano stati celebrati scorci come l’Alessandrino, il Monferrato o l’Astigiano. Questa volta la Regione ha voluto valorizzare terre come il Canavese, le Valli di Lanzo, il Novarese e la parte di “Provincia Granda” del Cuneese non coinvolta nel 2024.

«Ospitare la partenza ufficiale della Vuelta di Spagna 2025 – dichiara Cirio – rappresenta per il Piemonte un’occasione straordinaria di visibilità globale. E‘ anche un riconoscimento al nostro impegno nel promuovere lo sport e il territorio. Dopo il Giro e il Tour, con questa tappa completiamo un percorso che conferma la nostra regione come polo internazionale di eccellenza ciclistica. Sarà un evento che unirà sport, cultura e turismo. Capace di valorizzare le nostre bellezze naturali, storiche ed enogastronomiche. E offrendo a milioni di telespettatori nel mondo la possibilità di scoprire il Piemonte in tutta la sua unicità». La fiesta roja è appena cominciata.

Pidcock e la Q36.5: impatto positivo. Ora serve affinare il sistema

05.08.2025
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La prima stagione di Tom Pidcock con la Q36.5 Pro Cycling proseguirà con la sua seconda grande corsa a tappe: La Vuelta. Nel frattempo il britannico è tornato a correre e vincere anche in mountain bike. Q36.5 ha voluto anche celebrare questo esordio con un kit speciale dedicato al successo delle Olimpiadi di Parigi 2024. L’arrivo di un corridore del calibro di Pidcock in una formazione professional cattura l’attenzione e diventa anche un modo per confrontarsi, con pari diritto, nel ciclismo dei grandi. 

Alle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generale
Alle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generale

Partenza col botto

Il britannico ha esordito alla grande all’Alula Tour con due successi di tappa e la vittoria della generale. Il grande exploit è stato però sugli sterrati della Strade Bianche, dove Tom Pidcock ha conquistato uno spettacolare secondo posto alle spalle di Pogacar. E’ mancato forse lo squillo in una corsa importante, con tanti piazzamenti che hanno sicuramente reso orgoglioso il team, ma che non possono aver soddisfatto al 100 per cento un corridore del suo calibro. 

«L’impatto di Tom sul team è stato più che positivo – racconta Gabriele Missaglia, diesse che lo ha affiancato per gran parte della stagione – avevamo bisogno di un corridore del suo livello. Ci siamo messi al lavoro fin dal primo ritiro, a dicembre, e abbiamo capito di aver preso un campione. Fino al Giro le nostre strade sono andate di pari passo, poi ci siamo divisi vista anche la sua pausa dalle corse. Ci troveremo nuovamente insieme a Torino per ripartire con La Vuelta».

Sugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosi
Sugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosi
L’impatto positivo sul team si è visto già dalla prima gara in Arabia…

E’ partito fortissimo, con il dominio all’AlUla Tour e il bel successo di tappa alla Vuelta Andalucia. Dopo quei primi appuntamenti ci siamo concentrati sulle gare italiane con Strade Bianche, Sanremo e Tirreno-Adriatico. Il secondo posto a Siena dietro Pogacar è stato forse il momento migliore della stagione, mentre il grande rammarico è stata la Sanremo. 

Come mai?

Perché è caduto proprio all’imbocco della Cipressa, in un momento cruciale che era stato approcciato al meglio. Quel giorno era in grande forma ed era uno dei favoriti, la sfortuna esiste e fa parte del ciclismo, ma abbiamo visto che la Sanremo è una gara adattissima a lui

Le Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissione
Le Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissione
Poi avete fatto rotta sulle Classiche delle Ardenne.

C’è stato un periodo di pausa dalle gare per arrivare pronti anche al Nord. Ci siamo concentrati solamente sulle Ardenne, non correndo Fiandre e Roubaix. Anche in questo caso Pidcock ha raccolto ottimi risultati con un terzo posto alla Freccia Vallone e due top 10 a Amstel e Liegi. 

Ancora non si sapeva nulla sull’invito al Giro, che è arrivato poco dopo…

Una volta confermata la nostra presenza alla Corsa Rosa abbiamo deciso di tirare dritto. Credo che Tom abbia onorato la gara, come tutti noi, visto che non c’è stato modo di lavorare al meglio per arrivare pronti. Ha messo insieme diversi piazzamenti di spessore con il tentativo di curare la classifica generale, cosa che in passato non aveva mai fatto volentieri. 

Pidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglio
Pidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglio
Un sedicesimo posto finale senza grandi acuti, eravate soddisfatti?

Pidcock quando mette il numero sulla schiena parte per vincere, quindi direi che una vittoria di tappa sarebbe stata una buona moneta per ripagare quanto fatto. Però con gli inviti arrivati così tardi era difficile pensare di preparare il Giro al meglio. Se devo guardare a una tappa nella quale avremmo potuto raccogliere di più, dico quella di Siena. Pidcock sulle strade bianche si esalta e quel giorno ha fatto il diavolo a quattro, peccato per la doppia foratura. Avrebbe meritato qualcosa in più. 

Si può pensare di fare classifica nei Grandi Giri?

Forse siamo arrivati a capire che c’è una buona possibilità di fare bene. Al Giro, fino alla tappa di Bormio, Pidcock era vicino alla top 10. Poi nell’ultima settimana ha dovuto tirare fuori le ultime gocce di energia. Serve capire su quali gare concentrarsi, ma è anche vero che siamo una professional e il calendario non è mai una certezza. 

Difficile fare programmi anche con un campione in squadra come Pidcock?

Conta sempre il ranking, per noi sarà fondamentale rientrare tra le prime quattro professional. Ci sarà da vedere alla fine del triennio come saremo messi e quali squadre WorldTour rimarranno. 

Per la Vuelta quali ambizioni ci sono?

Innanzitutto vedremo Tom come tornerà in corsa all’Arctic Race, poi quando lo incontrerò alla Vuelta parleremo e inquadreremo gli obiettivi. Non dimentichiamo che il mondiale in Rwanda è adatto alle sue caratteristiche…

Roma e il Giro, sarà la volta buona per nozze durature?

01.08.2025
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Il Tour de France si è chiuso da una settimana, ma ci sono alcune considerazioni che tengono alta l’attenzione anche sul Giro d’Italia, che si è chiuso esattamente due mesi fa a Roma. Già, Roma, la capitale, che con la corsa rosa ha sempre avuto un rapporto molto stretto ma certamente diverso da quello di Parigi con il Tour.

L’ultima tappa della corsa rosa è stata un viaggio fra i monumenti iconici della città, Colosseo in testa
L’ultima tappa della corsa rosa è stata un viaggio fra i monumenti iconici della città, Colosseo in testa

Roma come Parigi?

Lo scorso anno, quando Parigi era alle porte della sua terza edizione olimpica, gli organizzatori furono costretti ad emigrare dalla consueta conclusione sugli Champs Elysées e nel mondo delle due ruote si alzarono alti i peana di chi parlava di attentato alla tradizione. Perché la conclusione del Tour “è” a Parigi, c’è poco da fare. Roma non vive lo stesso rapporto con il Giro d’Italia: la Capitale è stata per ben 112 volte sede di arrivo di tappa (solo Milano le è superiore con 144), ma la corsa rosa si è conclusa sulle strade capitoline appena 7 volte, di cui le ultime tre consecutivamente.

E’ ancora presto per parlare della prossima edizione, anche se alla RCS Sport i contatti per le varie sedi di tappa sono già iniziati da tempo. Quel che è certo è che Roma tiene fortemente a continuare su questa strada e l’Assessore allo Sport del Comune di Roma, Alessandro Onorato, non ne ha mai fatto mistero: «Lo splendido epilogo del Giro d’Italia a Roma è stato un successo, anche grazie a qualcosa che solo Roma  può offrire: il passaggio in Vaticano, con tutte le emozioni profonde che ne conseguono. Cosa che non avviene tutti i giorni, considerando che siamo in un altro territorio, in un altro Stato. La bellezza della capitale, dal centro storico allo spettacolo di Ostia, è il degno traguardo di una delle competizioni sportive più importanti a livello italiano e internazionale».

Alessandro Onorato, Assessore allo Sport del Comune di Roma, fortemente propenso ad avere il Giro nella Capitale
Alessandro Onorato, Assessore allo Sport del Comune di Roma, fortemente propenso ad avere il Giro nella Capitale

Un successo contro chi era scettico

Come detto, Roma ha ospitato la conclusione del Giro, con l’incredibile scenario delle premiazioni finali con lo sfondo dei Fori Imperiali, per la terza volta consecutiva ma l’intenzione ferma del Comune di Roma è che questa serie non vada interrompendosi, anche per smentire coloro che avevano salutato con poca soddisfazione la scelta degli organizzatori di porre Roma come approdo del lungo viaggio della carovana rosa.

«Tre anni fa c’era molto scetticismo intorno a questa possibilità – sottolinea Onorato – ma noi abbiamo dimostrato che questa era una scommessa che si poteva vincere e così è stato. Abbiamo dimostrato che Roma può essere un modello organizzativo e gestionale anche nel mondo delle due ruote. Una metropoli internazionale efficiente, dove i grandi eventi sono un valore aggiunto per il territorio. Il Giro d’Italia non è una manifestazione come le altre, non può essere confinato nel solo ambito sportivo perché fa parte del tessuto sociale, della cultura, della tradizione del nostro Paese. Noi abbiamo sempre considerato il Giro d’Italia come una grande festa popolare che si tramanda di generazione in generazione».

La tappa conclusiva del Giro ha attirato tantissime persone sul percorso ad applaudire i protagonisti
La tappa conclusiva del Giro ha attirato tantissime persone sul percorso ad applaudire i protagonisti

E se arrivassero altri grandi eventi?

Sarebbe importante che, oltre al Giro, Roma rimanesse legata a doppio filo con il ciclismo anche attraverso altri eventi. Il Gran Premio Liberazione, grazie all’impegno e all’abnegazione di Claudio Terenzi e del suo staff è diventato un riferimento per la primavera che abbraccia la città per un lungo weekend, coinvolgendo quasi tutte le categorie e con un interesse intorno ad esso che sta tornando internazionale, ma se si parla di professionisti è innegabile che molti, soprattutto coloro che hanno qualche anno in più sulle spalle rimpiangono il Giro del Lazio, che era una delle grandi classiche dell’autunno e un appuntamento fra i più prestigiosi all’infuori delle classiche Monumento.

Chissà se, sulla spinta del Giro, anche la corsa autunnale tornerà. Intanto però tutti gli sforzi sono concentrati sulla corsa rosa con l’auspicio che si continui su questa strada e che magari Roma possa pian piano avvicinarsi a quel sentimento di “abitudine” che circonda Parigi e il Tour.

L’edizione del 2004 del Giro del Lazio, vinta dall’iberico Flecha su Simoni e Ullrich. L’ultima edizione è del 2014
L’edizione del 2004 del Giro del Lazio, vinta dall’iberico Flecha su Simoni e Ullrich. L’ultima edizione è del 2014

Uno scenario che nessuno può vantare

«Come nelle due edizioni precedenti, quando oltre un milione e mezzo tra residenti e turisti hanno assistito al passaggio dei campioni, anche questa volta le strade di Roma si sono riempite di persone in festa e dobbiamo replicare, anzi fare ancora meglio perché ci sono le possibilità e abbiamo a disposizione qualcosa che nessuno obiettivamente ha. E’ stata un’occasione straordinaria di promozione turistica con le immagini più suggestive trasmesse in oltre 200 Paesi e con tutta la città che si è potuta giovare, anche economicamente, della presenza di tantissima gente di tutto il mondo arrivata per applaudire Yates e gli altri protagonisti. Roma lo merita».

Si riparla di Scaroni: nell’estremo Nord in cerca di vendette

31.07.2025
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Avevamo lasciato Christian Scaroni ancora ebbro di gioia per il successo di tappa al Giro d’Italia, ciliegina sulla torta di una prima parte di stagione che ha visto il bresciano sempre protagonista e fondamentale nella rincorsa del suo team, l’XDS Astana verso la salvezza nel WorldTour. Ma che cosa è successo da allora? E’ successo che il lombardo dopo un lungo periodo di assenza dalle gare è tornato a correre in Spagna, con tre classiche a fine luglio e ha ripreso esattamente come aveva lasciato: da protagonista.

In Spagna due podi per il bresciano. Qui è terzo alla Vuelta Castilla y Leon vinta da Etxeberria
In Spagna due podi per il bresciano. Qui è terzo alla Vuelta Castilla y Leon vinta da Etxeberria

Nel parlare con lui non si può non partire dalla grande giornata di San Valentino, che a mente fredda assume un sapore ancora più dolce rispetto alla stretta attualità: «Ho l’orgoglio di aver vinto una tappa al Giro che era un po’ l’obiettivo che mi ero prefissato a inizio stagione, non ne avevo fatto mistero che il mio lavoro era puntato su quel risultato. Io però sono rimasto il ragazzo che ero prima, con la stessa fame di vincere altre corse, con le stesse ambizioni. So però che una tappa al Giro resta un punto fermo in una carriera, che porterò sempre nel cuore, anche per come è arrivata insieme a Lorenzo Fortunato.

Cos’è successo dopo? Cosa hai fatto?

Dopo il Giro d’Italia avrei dovuto proseguire col programma facendo Gippingen, Appennino e il campionato italiano. Solo che dopo l’arrivo a Roma mi sono ammalato. O meglio già nella Capitale ero malato, come tantissimi corridori. Ho fatto subito un ciclo di antibiotici per provare a tornare competitivo nelle corse di giugno, tra cui anche il campionato italiano e ho ripreso a pedalare. Solo che dopo 5 giorni ho avuto una ricaduta e di conseguenza mi sono dovuto fermare completamente.

A Roma Scaroni aveva iniziato a sentirsi poco bene ed è stato costretto a fermarsi oltre 40 giorni
A Roma Scaroni aveva iniziato a sentirsi poco bene ed è stato costretto a fermarsi oltre 40 giorni
A che cosa pensi sia dovuto questo lungo stop? Sei rimasto fermo dalle gare oltre un mese e mezzo…

Io credo che molto abbia influito l’aver affrettato i tempi per arrivare ad una condizione buona per il Giro Italia dopo il mio infortunio di marzo, questo ha condizionato anche la mia salute. Pertanto insieme alla squadra abbiamo ritenuto fosse più utile ricaricare le batterie. Già da inizio luglio ero a Livigno per allenarmi in altura, per poi rientrare in queste tre corse di Spagna che erano un banco di prova per la seconda parte di stagione.

La cosa che colpisce molto è il fatto che sei uno dei corridori più costanti tra quelli del WorldTour, nel senso che dall’inizio stagione stai ottenendo sempre grandi risultati, non ci sono buchi nel corso della tua stagione…

Sì, questa sicuramente è una cosa che mi conforta, vuol dire che alla base c’è un lavoro fatto bene sia da parte mia che della squadra nella programmazione. Sono arrivato al Giro che non ero al massimo, ero lontano dalla condizione dei primi mesi, ma sono cresciuto nell’arco delle tre settimane. La costanza sicuramente nel ciclismo di oggi è fondamentale e premia il lavoro che viene fatto lontano dalle gare.

Scaroni insieme a Fortunato. La loro fuga vittoriosa alla corsa rosa ha lasciato il segno
Scaroni insieme a Fortunato. La loro fuga vittoriosa alla corsa rosa ha lasciato il segno
Tu nelle gare spagnole ti trovi particolarmente bene…

Sì, anche se nell’arco della mia carriera il caldo l’ho sempre un po’ sofferto, ma quest’anno ho fatto un bel lavoro cercando di adattarmi meglio. E quest’anno le prime tre corse, che erano un po’ più calde, sono riuscito a gestirle abbastanza bene. Comunque, a parte le corse in Spagna, anche in Francia non sono mai andato male, ho raccolto lì tre vittorie, quindi sì, la Spagna mi porta bene, ma anche la Francia. Speriamo di farci entrare anche l’Italia…

Resti in Spagna per le prossime corse?

Intanto sabato sono alla Clasica di San Sebastian, ma da lì ripartirò quasi subito, andrò a fare l’Arctic Race, con la quale ormai ho un conto aperto da due anni, da quel maledetto secondo del 2023. Mi piacerebbe chiudere quel cerchio, anche se troverò una squadra attrezzata come la Uno-X che corre in casa e porterà i pezzi migliori che ha. E poi anche Pidcock dovrebbe esserci. Ma io voglio provarci, e poi è una corsa fredda e come tutti sanno, a me piace correre al freddo.

Alla XDS Astana il clima è ora più sereno, grazie ai punti che tutti hanno portato. Qui Christian con Ulissi
Alla XDS Astana il clima è ora più sereno, grazie ai punti che tutti hanno portato. Qui Christian con Ulissi
Com’è l’atmosfera in squadra relativamente alla permanenza nel ranking del WorldTour?

Rispetto a inizio anno la situazione è più serena. Allora avevamo addosso la pressione del risultato, sembrava una missione quasi impossibile, ma la squadra ha programmato tutto per bene, abbiamo lavorato in maniera egregia e di conseguenza stiamo vedendo che bene o male tutti stanno rendendo.  Anche al Tour con Velasco, Ballerini. Siamo in tanti ad esserci distinti, di conseguenza è un’atmosfera molto serena. Ma la stagione è ancora lunga e come ci hanno detto ai piani alti della squadra, bisogna rimanere sul pezzo fino a ottobre.

Yates come Simoni: storie del Tour 2003, guardando Jonas e Tadej

20.07.2025
7 min
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Una somma di cose alla fine ci ha portato a rispolverare una storia del 2003, quando Gilberto Simoni vinse il Giro d’Italia e poi si presentò baldanzoso al Tour de France, vincendo una tappa. Quando qualche giorno fa Simon Yates ha vinto a Le Mont Dore, subito la mente è andata al trentino. Non sono tanti quelli (tolto Pogacar e pochi altri) che hanno vinto il Giro e poi anche una tappa al Tour. Loro due per giunta hanno quel modo simile di andare in salita. Rapportone, bassa cadenza e ritmo che li stronca. E quando ci siamo accorti che la cronoscalata di venerdì è partita da Loudenvielle, abbiamo pensato che non potesse essere solo una coincidenza: proprio lì infatti Gilberto conquistò l’unica tappa al Tour della sua carriera.

In breve. Già vittorioso al Giro del 2001 quando correva con la Lampre, nel 2003 Simoni corre in maglia Saeco e si gioca il Giro con Garzelli e Popovych. Nel gruppo c’è anche l’ultimo Pantani. Gilberto è arrivato al Giro dopo aver vinto il Trentino e il Giro dell’Appennino. Arriva secondo sul Terminillo, battuto da Garzelli. Prende la maglia rosa a Faenza, dove si piazza terzo. Poi vince sullo Zoncolan e all’Alpe di Pampeago. E dopo il secondo posto di Chianale, vince ancora a Cascata del Toce, nella tappa degli ultimi scatti di Pantani. Esce dal Giro il primo giugno in grandissima condizione. Il Tour quell’anno parte il 5 luglio con un prologo a Parigi. Propone una crono di 47 chilometri il dodicesimo giorno a Cap Decouverte e l’indomani affronta i Pirenei.

Simon Yates, vincitore del Giro con l’impresa del Finestre, conquista la tappa di Le Mont-Dore
Simon Yates, vincitore del Giro con l’impresa del Finestre, conquista la tappa di Le Mont-Dore
Andasti al Tour, ma al centro dei pensieri c’era il Giro?

Sì, io ho sempre avuto in testa il Giro. Insomma, non c’era tanto spazio per andare al Tour con le programmazioni di allora. Era difficile prepararsi per due appuntamenti. Però devo dire che negli anni in cui sono andato, mi sono anche impegnato. E quell’anno, dopo aver fatto il Giro d’Italia, ero convinto di fare bene e mi ero preparato a puntino.

Ma non tutto andò come speravi, giusto?

Nella prima settimana stavo veramente benissimo, poi sono andato fuori giri nella crono. Il giorno dopo ci fu una tappaccia, veramente intensa e dura. E da lì in poi non sono più riuscito a recuperare. Ho fatto un fuori giri che non ci voleva, altrimenti non avrei vinto perché non me lo sognavo neanche, però credo che sarei riuscito a entrare nei primi cinque.

Ricordi cosa facesti in quel mese fra Giro e Tour?

Non corsi, ma andai con Miozzo (il suo tecnico, ndr) ad allenarmi sull’altopiano di Asiago. Anche allora si andava in altura, ma non era la mia preparazione preferita. Salimmo ad Asiago perché stavo veramente bene e se non avessi sbagliato quella crono, sarebbe finita diversamente. Le tappe contro il tempo in quel periodo erano lunghe e determinanti. Diedi anche l’anima per non prendere un minuto in più e invece la pagai cara.

Garzelli ha conquistato la maglia rosa sul Terminillo e la perderà a Faenza per mano di Simoni: intervista con Alessandra De Stefano
Garzelli ha conquistato la maglia rosa sul Terminillo e la perderà a Faenza per mano di Simoni: intervista con Alessandra De Stefano
Eri uscito bene dal Giro?

Quando vinci non ti sembra neanche di aver fatto fatica. Ero tranquillo, per quello non andai a cercare l’altura. Cercai solo il fresco, dovevo recuperare. Mi ricordo che le prime tappe furono veramente nervose. Mi è successo di tutto. Sono caduto a 70 all’ora in volata, ma non mi son fatto niente. La prima settimana al Tour de France è sempre un disastro, più emotivamente che fisicamente. Insomma, quello che ha finito col pagare Remco. Serve una squadra forte perché in corsa si creano delle gerarchie e per stare davanti bisogna lavorare di spalle, gridare e tener duro.

Ti sembra che il modo di correre sia cambiato?

Ricordo che Indurain lasciava fare. Quando andava via la fuga, non si interessava troppo, mentre adesso è difficile vedere una situazione del genere. Tutte le squadre sono in corsa per cercare un risultato, quindi devono far vedere che sono lì per lavorare e non per fare vacanza. Mi ricordo che per una settimana era sempre così: un’ora a 50 di media, si formavano gruppi da tutte le parti e poi li trovavi fermi in mezzo alla strada e si andava verso la volata, ma spesso qualcuno arrivava. Non mi spiego come qualche giorno fa ci fosse una fuga di 50 corridori e non siano arrivati.

Che cosa ti ricordi di quella vittoria a Loudenville? 

Per la delusione che avevo addosso, è stata una roba enorme. Ero deluso perché a Parigi avevo fatto veramente un prologo eccezionale, arrivai ventunesimo. Si girava intorno alla Tour Eiffel: arrivai e mi sentii orgoglioso di me, veramente all’altezza della sfida. Persi 13 secondi, sentii di essere nel vivo della corsa. Invece andammo sulle Alpi e provai una delusione dopo l’altra. Riconoscevo anche persone venute per me dall’Italia, ma non c’era modo di rialzarsi. Saltai il giorno dopo Morzine. Nella tappa dell’Alpe d’Huez cercai di tener duro.

Che cosa successe?

Feci la salita dietro al gruppo, a 20 metri. Rientrai in discesa e pensai che forse la bambola mi fosse passata, invece ancora prima che iniziasse l’ultima salita, ero già saltato. Ero confuso e quindi decisi di riposarmi e disinteressarmi della gara. Nel giorno di riposo finii su L’Equipe, perché mi fotografarono al mare con Bertagnolli a prendere il sole. E piano piano iniziai a crescere. Bertagnolli invece si ritirò e Martinelli venne a dirmi che se non me la fossi sentita di continuare, sarei potuto ritornare a casa. Invece gli risposi che ero arrivato alle tappe che volevo e sarei rimasto. Non volevo rinunciare all’occasione di provarci. E infatti il giorno dopo andai in fuga.

Come andò?

Ho avuto solo un pensiero, uno solo, non ne avevo altri: volevo vincere. Non mi lasciai influenzare dal tempo, dall’acqua, né dal caldo, né dalle salite. Volevo solo vincere e alla fine ci riuscii in volata, cosa che per me non era scontata. Era una tappa dura, con sei salite tutte combattute. Mi ritrovai con corridori veloci come Dufaux e Virenque. Sapevo di non essere il più veloce, ma presto anche loro si accorsero che ero io l’uomo da battere e provarono a farmi fuori. Andai all’ammiraglia e mi attaccarono. Però sono stato freddo, sono rientrato e poi ho iniziato a guidare le danze. La volata sarebbe stata una roulette russa, ma con un po’ di fortuna, riuscii a vincere la tappa.

Hai visto il Tour di Armstrong, ora c’è Pogacar: con quale spirito si va alle corse se i rivali sono tanto più forti?

Devi affrontare la realtà. Non mi sono mai illuso, però ho sempre messo in conto di dire: vediamo dove arrivo. Non sono mai partito battuto, insomma. La consapevolezza di non poterli battere arriva strada facendo, perché almeno all’inizio devi partire sapendo che puoi giocartela, no? Non sono mai partito per partecipare, io ero fatto così. Detto questo, si vede che Vingegaard corre su Pogacar, che non gliene frega niente di nessun altro. Ho visto tanti corridore fare così, potrei farvi una lista infinita. Quelli che battezzano un rivale perché sanno che va forte e aspettano che salti per rubargli il posto. Io non sono mai stato così, non ho mai fatto la corsa per aspettare che mi arrivasse qualcosa dal cielo. Insomma non era nel mio carattere.

Si arriva in casa: Simoni vince da solo a Pampeago, intorno a lui l’entusiasmo trentino
Si arriva in casa: Simoni vince da solo a Pampeago, intorno a lui l’entusiasmo trentino
Cosa ti pare di Pogacar?

Non aspetta, non è attendista. A volte sembra che non segua alcuna indicazione. Credo che a volte voglia fare le cose in grande e poi si penta per aver fatto qualcosa di troppo. Secondo me, visto il risultato, a Hautacam ha pensato che gli sarebbe bastato attaccare negli ultimi tre chilometri, anziché dai piedi della salita.

Ha il gusto di stupire?

Attacca spesso da lontano, anche se basterebbe meno. Mi piace l’imprevedibilità, come Van der Poel. Quando puntano una tappa, diventano imprevedibili, ma sono tenaci e ne fanno di tutti i colori. Insomma, la scommessa più grande è capire se vinceranno oppure no. Per il resto diciamo che Tadej è abbastanza infallibile, l’altro gli gira attorno da un po’. Ha già vinto per due volte il Tour, ma continuerà a correre allo stesso modo.

Virelli, il successo del Giro Women e le nuove date

18.07.2025
6 min
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IMOLA – L’area attorno al palco delle premiazioni che va svuotandosi di gente e attrezzatura è il segnale che il Giro d’Italia Women sta andando in archivio e la sua direttrice Giusy Virelli ha il volto rilassato e soddisfatto mentre esce dai saloni dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola.

Il classico momento di abbracci e strette di mano per la buona riuscita del lavoro è assecondato da quello degli argomenti appuntati da trattare una volta tornati in ufficio in vista della prossima edizione. Ne approfittiamo per chiedere un bilancio sulla Corsa Rosa femminile che ha regalato tante emozioni.

Quest’anno abbiamo avuto la percezione di un Giro ancora migliore di quello passato. E’ cosi?

Per noi organizzatori è stata la seconda edizione, ma innanzitutto questo è stato il trentaseiesimo Giro d’Italia femminile, perché non vanno dimenticate le edizioni precedenti e perché è un evento di grande storia e grande tradizione. Lo si è capito dalla voglia delle atlete di fare risultato. E’ stato un Giro molto bello, aperto fino all’ultimo.

Come nel 2024.

Sì, ma con delle diversità più avvincenti. E’ vero che il distacco di quest’anno all’ultima tappa era maggiore (22” contro 1”, ndr), però secondo me la frazione conclusiva di Imola risultava più aperta. Per cui siamo veramente soddisfatti e dal punto di vista sportivo è stato un bellissimo evento.

C’è qualcosa che vi ha colpito in particolare?

Certamente la tantissima gente sulle strade per applaudire le ragazze, addirittura aspettando il loro passaggio per ore. E’ stato bello vedere le città piene di pubblico e di bambini. Tanto colore rosa per le vie. Le atlete si meritano queste coreografie. Questa è la dimostrazione che il movimento femminile sta crescendo e con esso anche l’interesse da parte della gente che segue le atlete allo stesso livello dei colleghi maschi.

Niedermaier che consola Reusser in cima a Monte Nerone è stato uno dei momenti più toccanti del Giro Women
Niedermaier che consola Reusser in cima a Monte Nerone è stato uno dei momenti più toccanti del Giro Women
Possiamo dire che il bis di Longo Borghini avvalora tutto quanto?

Devo dirvi che penso sempre a quello che dice sempre Mauro Vegni (il direttore del Giro d’Italia, ndr), che è il Giro a fare grandi gli atleti. Credo che sia uguale anche al femminile, però certo, noi siamo italiani e vedere un’italiana sul primo gradino del podio come Elisa è sicuramente motivo di orgoglio per noi. E poi c’è stato un altro aspetto più profondo da considerare.

Prego, spiegaci pure.

Il Giro Women è una gara che esiste da tanto tempo, da ben prima che il ciclismo femminile diventasse qualcosa di così importante per cui ora le atlete hanno voglia di portare a casa la maglia rosa. Quindi c’è stata una componente umana che ci ha emozionato oltre il gesto tecnico. Penso alle lacrime di Reusser a fine Giro che ha faticato per arrivare alla vittoria. Oppure penso alla bellissima scena di sorellanza di Antonia Niedermaier che va a consolare la stessa Reusser appena dopo il traguardo di Monte Nerone. Talvolta si guarda sempre ai vincitori, ma dietro in realtà c’è un lato umano che vale la pena di considerare.

Tra i tanti spunti per l’anno prossimo, ci sarà la nuova collocazione del Giro nel calendario. Cosa puoi dirci?

Vedremo cosa cambierà a livello di partecipazione. Con le nuove date (dal 30 maggio al 7 giugno 2026, ndr) il Giro Women si allontana dal Tour Femmes. Quindi cambieranno le preparazioni, però è anche vero che le squadre potranno guardare questa situazione in maniera diversa. Potranno puntare a correre e fare classifica con le loro leader ad entrambe le corse, perché ci sarà un lasso tempo tale da recuperare e prepararsi. E non credo nemmeno che la vicinanza con la Vuelta (che dovrebbe restare ad inizio maggio, ndr) darà problemi alla nostra gara.

Nel 2026 il Giro Women avrà nuove date: dal 30 maggio al 7 giugno
Nel 2026 il Giro Women avrà nuove date: dal 30 maggio al 7 giugno
Le nuove date le avete chieste voi o ve le hanno imposte?

Le abbiamo chieste noi, non solo per una questione organizzativa. Siamo andati in diretta televisiva prima del Tour de France, che chiaramente per noi è stato un grande traino. Tuttavia il Giro Women nasce nelle date immediatamente a ridosso del Giro maschile, quando non esisteva ancora il Tour Femmes, per cui il calendario bisognava rivederlo. Sarà sicuramente un esperimento perché non abbiamo uno storico su cui basarci. Vedremo come andrà, andando a vedere i numeri, che sono poi la cosa fondamentale nella valutazione del successo o meno di un evento.

L’anno prossimo avremo quindi un mese e mezzo di gare contando pure il Giro NextGen?

Non abbiamo ancora le date ufficiali degli U23, però tendenzialmente l’idea è quella. Avere sei weekend di Giri d’Italia e maglie rosa, tenendo conto della sovrapposizione delle ultime due tappe del Giro maschile con le prime due del femminile.

Possiamo dire che ormai il Giro Women ha trovato una sua identità?

Assolutamente sì. Siamo convinti che il ciclismo femminile in generale abbia il suo zoccolo duro di appassionati che lo vogliano seguire a prescindere dal Tour maschile che segue dopo in televisione. Con le nuove date vogliamo sfruttare il Giro maschile, cavalcando l’onda di quella fame di appassionati che appena finita la corsa vogliono ancora ciclismo. E potranno quindi seguire le imprese delle atlete la settimana successiva.

Ufficio stampa e digital-marketing hanno offerto una grande copertura del Giro Women attraverso le varie piattaforme
Ufficio stampa e digital-marketing hanno offerto una grande copertura del Giro Women attraverso le varie piattaforme
Di conseguenza ci saranno anche nuovi orari.

Nelle ultime due edizioni dovevamo arrivare alle 14,30 per esigenze di palinsesti televisivi. Quest’anno abbiamo avuto un clima leggermente più mite rispetto all’anno scorso, però diventa tutto più impegnativo col grande caldo. Poi va considerata che la finestra televisiva che avevamo riduceva l’attenzione su di noi, perché si riduceva ad esempio la presenza dei media sul posto. Ribadisco che il Giro Women sta diventando abbastanza solido per poter stare in piedi da solo e camminare sulle proprie gambe.

Legato a quest’ultimo discorso, conta anche il lavoro crescente dell’ufficio stampa e del comparto digital-marketing.

Sì è vero, i colleghi hanno lavorato davvero bene. Hanno prodotto tantissimi contenuti, offrendo una grande copertura del Giro Women. La gente che non aveva modo di seguire la diretta televisiva ha avuto comunque la possibilità di seguire la corsa dall’inizio alla fine attraverso le nostre tante piattaforme. Abbiamo mostrato i luoghi di partenza, i volti, la fatica, il sacrificio, la felicità delle ragazze e tantissimi altri momenti che hanno descritto la gara in modo completo, sotto ogni punto di vista.

Voci da Andorra: Ciccone prenota una ripartenza alla grande

17.07.2025
4 min
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L’ultima volta che lo abbiamo incontrato, Roma intorno celebrava le maglie del Giro e Ciccone si era avvicinato per un saluto mentre insieme a sua moglie Annabruna stava cercando di raggiungere il pullman della Lidl-Trek. La corsa del team americano era stata così travolgente, che anche l’abruzzese, ritirato sul più bello per la caduta di Gorizia, aveva voluto essere presente per festeggiare con i compagni (in apertura la sua esultanza dopo aver propiziato la vittoria di Pedersen a Durazzo, ndr). Sorrideva, ma era anche mogio. Poi, sorridendo, aveva raccontato di aver trascorso gli ultimi due giorni a casa di Michele Bartoli (il suo allenatore, ndr) che lo aveva rimpinzato di buon cibo toscano per impedirgli di pensare all’occasione sfumata. Non sapeva se sarebbe andato a Parigi per assistere alla finale del Roland Garros fra il suo amico Sinner e Alcaraz (speriamo non sia andato: l’umore sarebbe peggiorato ulteriormente). Poi “Cicco” è scomparso, dietro alla rieducazione e alla ripresa della preparazione.

Quando finalmente si è riconnesso col mondo, al netto di qualche apparizione sui social per tifare il Sinner (questa volta vittorioso a Wimbledon), lo abbiamo intercettato ad Andorra. Mentre il Tour entra nel vivo, la sua estate ha la forma della ricostruzione della condizione e della fiducia, in attesa del rientro a San Sebastian e poi della Vuelta che partirà da Torino.

Dopo la caduta di Gorizia, che ha provocato la ferita al quadricipite destro, Ciccone ha dovuto lasciare il Giro
Dopo la caduta di Gorizia, che ha provocato la ferita al quadricipite destro, Ciccone ha dovuto lasciare il Giro
Torniamo per un istante al Giro: quanto è stato doloroso doverlo lasciare?

E’ stato molto difficile. In generale lasciare una corsa è sempre difficile, specialmente quando le cose stanno andando bene. Lo è stato ancora di più soprattutto per il clima più che ottimo che c’era nella squadra. E’ stata proprio una bella mazzata. Sono i casi in cui fa più male l’anima del corpo. Alla fine il corpo è abituato a prendere botte, mentre il dolore mentale è un’altra cosa. Tu sei lì che ti fermi e il Giro va avanti. Il dolore di testa non va via tanto facilmente.

Tanto più che le cose stavano andando bene, giusto?

Stavano andando super bene. Avevo passato gli esami più difficili, vale a dire le cronometro e lo sterrato. Secondo me ero in un ottimo stato di forma e dovevano ancora arrivare le tappe più adatte a me. Avrei fatto bene, questa è la mia sensazione. E poi è vero, sono stato da Bartoli nei giorni dopo la caduta: diciamo che è stata una sorta di mini vacanza. Abbiamo cercato di non concentrarci sul Giro, su quello che era andato perso, ma di risollevarci un po’ il morale. Di pensare agli obiettivi più grandi che devono arrivare. Di farci forza pensando a quanto di buono è stato fatto e prenderlo come spunto per i prossimi obiettivi.

Ciccone era arrivato al Giro come meglio non poteva e infatti era nel vivo della corsa
Ciccone era arrivato al Giro come meglio non poteva e infatti era nel vivo della corsa
Quanto tempo sei rimasto fermo?

Completamente fermo per 10 giorni, senza bici. Poi ho iniziato a muovermi, a fare qualche allenamento, ma molto tranquillo, per un’altra decina di giorni. Quindi in totale direi che sono stato fermo una ventina di giorni: 10 senza bici, 10 molto molto easy. Il dolore è sparito del tutto, però comunque c’era una lesione sul quadricipite, quindi sul muscolo principale della gamba. Ancora adesso è rimasta la cicatrice sul tessuto e stiamo continuando a lavorare per recuperare la piena efficienza, ma il dolore nel frattempo è sparito.

Stai lavorando per un obiettivo specifico? Pensi al mondiale?

Per ora obiettivi ne ho tanti, perché mi piace rientrare competitivo, quindi sto lavorando bene in quota qui ad Andorra. Preferisco non pensare a una gara precisa, voglio rientrare forte. Voglio tornare a stare bene come al Giro d’Italia e voglio lasciare il segno da qui a fine anno. Il mondiale è nei radar, ne ho parlato con Marco Villa. Ci siamo sentiti, però dobbiamo ancora definire tutto. Io da parte mia sono disponibile per fare bene, a patto che riesca ad essere competitivo. Non mi andrebbe di fare solo presenza, quello non lo non lo vorrei mai e soprattutto la nazionale non lo meriterebbe.

Lo scorso anno a Zurigo, Ciccone ha corso il primo mondiale da pro’
Lo scorso anno a Zurigo, Ciccone ha corso il primo mondiale da pro’
Quindi il programma sarebbe?

Ora sono ad Andorra con i miei compagni di squadra. Il rientro è previsto a San Sebastian, poi Vuelta Burgos e la Vuelta di Spagna. Poi c’è da capire il discorso del mondiale e le gare di fine anno fino al Lombardia.

Lo spirito è quello giusto. La seccatura di essersi fermato sulla porta del grande risultato ha lasciato una cicatrice sull’anima al pari di quella che la caduta di Gorizia ha lasciato sulla gamba. Il Lombardia dello scorso anno lo vide sul podio dietro Pogacar ed Evenepoel: quella è la sua dimensione. La sensazione che voglia riprendersela si fa parola dopo parola più forte.

Un viaggio nei pensieri di Tiberi: il Giro, la pausa e ora la Vuelta

11.07.2025
5 min
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Ripartire, far girare di nuovo le gambe e settare nella testa il prossimo obiettivo. Antonio Tiberi, in cima al Pordoi, insieme ai compagni del Team Bahrain Victorious ha iniziato a mettere nel mirino la Vuelta Espana. La corsa a tappa spagnola che partirà da Torino il 23 agosto sarà il secondo Grande Giro nella stagione del corridore laziale. 

«Staremo sul Pordoi – racconta Tiberi mentre riposa prima della sessione di allenamento in palestra – fino al 24 luglio. Faremo un bel periodo di allenamento in vista della Vuelta. Siamo saliti il 5 luglio e abbiamo già messo insieme una buona dose di bicicletta e di sessioni in palestra».

Dopo il Giro Tiberi si è concesso una vacanza per recuperare le energie fisiche e mentali (foto Instagram)
Dopo il Giro Tiberi si è concesso una vacanza per recuperare le energie fisiche e mentali (foto Instagram)

Ricaricare le batterie

Tiberi è ripartito dopo un periodo di stacco che è servito per metabolizzare la batosta del Giro, nel quale è stato tagliato fuori dalla lotta per la classifica generale nel giorno di Gorizia. Una caduta che ha rovinato i piani iniziali del ciociaro. 

«Al termine del Giro – riprende Tiberi – ho staccato completamente. Mi sono concesso qualche giorno a casa e una breve vacanza di cinque giorni all’Isola d’Elba. Serviva un periodo in cui resettare tutto per poi ripartire in vista della seconda parte di stagione. Sono anche andato a trovare i miei genitori a Roma in occasione del mio compleanno (il 24 giugno, ndr). Al termine di una prima parte di stagione senza mai fermarmi avevo bisogno di un momento così».

Dal 5 luglio è in ritiro con il team sul Pordoi e sta lavorando con la Vuelta nel mirino
Dal 5 luglio è in ritiro con il team sul Pordoi e sta lavorando con la Vuelta nel mirino
E’ stato difficile digerire la batosta morale del Giro?

Queste cose capitano, le cadute sono all’ordine del giorno nel ciclismo. Succede e non è colpa di nessuno. I giorni passati con gli amici, la mia ragazza e la famiglia sono serviti per rilassarmi e ricalibrare le forze a livello mentale. Ora che ho riposato sono pronto per l’altura e per lavorare in vista della Vuelta

Come si reagisce a un brutto momento come quello?

Dà sempre fastidio e fa male al morale perché abbiamo lavorato per tanti mesi e alla fine un imprevisto porta via tutto. Ripeto, sono cose che capitano. Chiaramente nei giorni successivi prevale il dispiacere, poi metabolizzi l’accaduto e vai avanti. Le cose si prendono anche per quel che sono. 

In questi giorni non manca il freddo pungente agli oltre 2.000 metri del Pordoi
In questi giorni non manca il freddo pungente agli oltre 2.000 metri del Pordoi
Tutti prima del Giro dicevano di averti visto con una grande consapevolezza dei tuoi mezzi, anche un episodio negativo fa parte degli step di crescita?

Resettare la mente dopo che sei stato per molti mesi concentrato su un obiettivo che per una caduta non si è riusciti a raggiungere non è semplice. Però sì, sento di aver imparato qualcosa sulla gestione anche nei momenti no. 

Quanto è stato importante arrivare a Roma?

Tanto. Si è trattato comunque di tenere duro e finire un Giro che mi ha chiesto tanto impegno mentale e fisico, soprattutto dopo la caduta. Ci sono stati giorni molto impegnativi nei quali ho lottato solamente per arrivare al traguardo. Finire quei ventuno giorni di corsa vuol dire averli messi nelle gambe e immagazzinati. 

Finire il Giro nonostante la caduta e le difficoltà per Tiberi è stato uno step sia fisico che mentale
Finire il Giro nonostante la caduta e le difficoltà per Tiberi è stato uno step sia fisico che mentale
Arrivi alla Vuelta con le stesse ambizioni che avevi al Giro?

Già lo scorso anno ero andato con l’obiettivo di fare una bella classifica. Fino al giorno del mio ritiro a causa di un colpo di calore ero andato bene. Avevo la maglia bianca ed ero quarto nella generale. Quindi sì, anche quest’anno andrò con in testa la classifica e cercherò di curarla al meglio, non nascondo di puntare al podio. Ora sono concentrato su questo nuovo obiettivo e vedremo come reagiranno il corpo e la mente.

In che senso?

Che comunque preparare due Grandi Giri in una stagione, con l’obiettivo di fare classifica, non è semplice. Il lavoro da fare è tanto e intenso sia a livello fisico che mentale. Un conto poi è affrontare certi carichi quando si arriva dalla pausa invernale e si è freschi. Un altro è farlo dopo una prima parte di stagione comunque esigente. Vero che l’ho già fatto lo scorso anno ma ancora non mi conosco al 100 per cento. Ho un’idea di quello che posso fare ma mi lascio sempre un piccolo margine. 

Ventuno giorni di corsa sono un carico che poi rimane nelle gambe e bisogna trovare il giusto equilibrio tra riposo e gara
Ventuno giorni di corsa sono un carico che poi rimane nelle gambe e bisogna trovare il giusto equilibrio tra riposo e gara
Cambierà qualcosa nella preparazione?

No, direi di no. Vero che il Giro e la Vuelta sono due gare molto diverse per le tipologie di salite che troveremo, però qui sul Pordoi abbiamo tanti scenari differenti e perfetti per prepararci al meglio. Al momento abbiamo ancora il doppio allenamento con al mattino bici e nel pomeriggio palestra, ma senza carichi eccessivi. 

Farai qualche gara prima della Vuelta?

Il Giro di Polonia. Insieme alla squadra abbiamo deciso di fare solo una gara. Mi trovo bene sia nel fare tanta altura sia quando faccio qualche corsa in più prima dell’obiettivo principale. La squadra ha scelto così e ci concentriamo al massimo per farci trovare pronti.