CRO Race 2025, Damiano Caruso

La scelta di Caruso: prima il Giro, il resto si vedrà

20.12.2025
8 min
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E’ l’inizio dell’ultima stagione e Damiano Caruso si è seduto a tavola con l’intenzione di godersi anche l’ultima briciola, prima di alzarsi e seguire altrove il filo della vita. Le giornate nel ritiro di Altea si susseguono sempre uguali, ma la consapevolezza che sia tutto per l’ultima volta fa sì che gli sguardi siamo meno sbadati e le parole meno frettolose. Questo è almeno quel che ci è parso chiacchierando con lui con la leggerezza di quando ne hai viste tante e sai che i momenti in cui essere seri sono altri.

«Sto bene – dice – tutto in ordine. Sto anche bene in bici. Quest’inverno è andato tutto liscio, come speravo che andasse. Non ho avuto intoppi di salute o altro. Pensavo che mi avrebbe intristito essere di nuovo qui a dicembre, rivivendo per l’ultima volta quello che ho fatto per tanti anni, invece non sta succedendo. Mi dà motivazione, perché voglio farlo bene e mi sto divertendo».

Giro d'Italia 2025, Castelnuono nei Monti, Damiano Caruso con i figli Greta e Oscar
Visita parenti al Giro d’Italia: Caruso con i figli Greta e Oscar. La famiglia continua a vivere in Sicilia
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Tiberi ci ha detto che farai il Giro, ma non hai chiuso la porta al Tour…

La verità è questa. Di base c’è il Giro, ho chiesto io di farlo perché mi piace l’idea. Col Giro ho un altro feeling. Però è vero che non ho chiuso le porte per andare anche al Tour, Tiberi ha detto bene. Sulla carta, lo sapete meglio di me, è sempre facile dire certe cose. Faccio il Giro, il Tour, la Vuelta, questo e quell’altro. Poi però bisogna vedere come va la stagione, come stai, quanto sei stanco fisicamente e mentalmente. Teoricamente Giro e Tour si potrebbero fare, perché la squadra mi sta mettendo nelle condizioni giuste, però dobbiamo vedere come andranno le cose.

Come si corre l’ultimo Giro? Non è stato infrequente che tu sia partito da gregario e ti sia ritrovato a fare classifica, no?

Se questi cuccioli cadono, si ammalano… Sono fragili (sorride, ndr), sono fragili. No, l’ambizione è quella di provare a vincere una tappa. Mi voglio fare quest’ultimo regalo e se riesco a farlo al Giro sarebbe la ciliegina sulla torta. Alla classifica non ci penso nemmeno, anche se dopo il quinto posto di quest’anno, uno potrebbe pensare che non sia andata poi male. Però voglio concentrare le energie per vincere una tappa, essere in supporto a Santiago (Buitrago, ndr) perché immagino che farà lui classifica e prendermi qualche soddisfazione personale.

E la soddisfazione personale esclude quindi la classifica generale?

Se faccio la classifica, so che le possibilità di vincere una tappa sarebbero molto esigue, come pure quelle di andare al Tour, perché sarei troppo stanco. Fare classifica t’impegna, non è solo la gara per sé. E’ tutto il contesto, devi rimanere sempre concentrato, non puoi mai mollare. Devi stare attento a mille cose. Se vado per la tappa, avrò di certo un’ottima condizione. Però un giorno vado in fuga e quello dopo, magari in una tappa di pianura, non avrò bisogno di limare. E alla fine si parla di tante energie spese o risparmiate nell’arco di tre settimane.

Il 2021 è stato uno degli anni più solidi di Caruso, che a Valle Spluga vince così la sua prima tappa al Giro, che chiuderà 2° alle spalle di Bernal
Il 2021 è stato uno degli anni più solidi di Caruso, che a Valle Spluga vince così la sua prima tappa al Giro, che chiuderà 2° alle spalle di Bernal
Parlaci della tua primavera, ti va?

A differenza dell’anno scorso, quando a febbraio ero già in ritiro, questa volta ho chiesto di andare a correre, proprio per il discorso che vi dicevo prima. Mi voglio godere ogni singolo momento. Quindi inizio alla Valenciana, di lì vado al UAE Tour, poi penso la Parigi-Nizza o la Tirreno: devono ancora dirmelo, ma ho lasciato alla squadra la libertà di scegliere in base a dove servo di più. Poi faccio la Milano-Sanremo, quindi il classico blocco di altura, Romandia e Giro. Niente classiche, perché sono nel periodo del ritiro.

Niente classiche, mentre quest’anno saresti dovuto andare al mondiale. Visto che sarà duro anche il prossimo, ci hai pensato?

Anche questo dipende da come si svolgerà la stagione. Immagino che se dovessi rispettare appieno il programma, quindi fare Giro e Tour, forse non troverei le energie per essere competitivo in un mondiale a settembre. La vedo dura. Però mi ha fatto piacere che un paio di settimane fa mi abbia chiamato Amadio, il nuovo commissario tecnico.

Che cosa ti ha detto il tuo vecchio capo della Liquigas?

Mi ha detto: «Guarda Damiano che a me dell’età che hai non interessa (Caruso ha compiuto 38 anni in 12 ottobre, ndr). A me interessa che se tu mi dici che sei della partita, sarai sempre nella nostra lista». Devo ammettere che mi ha fatto parecchio piacere, non essere scartato a priori è sempre un grande motivo di orgoglio. Perciò, se il programma lo prevedrà e sarà compatibile, perché no? Anche concludere questa storia con la maglia azzurra non sarebbe male, sarebbe bellissimo.

L’ultimo mondiale corso da Caruso fu quello di Imola nel 2020: arrivò decimo, migliore degli azzurri
L’ultimo mondiale corso da Caruso fu quello di Imola nel 2020: arrivò decimo, migliore degli azzurri
Caruso, come il vino buono, migliora invecchiando?

Non è che me lo aspettassi, diciamo che ho semplicemente continuato a lavorare con dedizione e con disciplina. Magari ha inciso anche il fatto che nella prima parte della mia carriera non mi sia spremuto più di tanto e adesso questo mi dà la possibilità di essere ancora solido. Era un ciclismo differente, al giovane appena passato si chiedeva semplicemente di crescere. Ti insegnavano il mestiere, ti lasciavano i tuoi tempi. E forse è anche colpa mia.

Di quale colpa parliamo?

Forse mi sono adagiato, credendo di aver raggiunto un livello già buono, invece ero ancora lontanissimo dall’aver trovato i miei limiti. Ho viaggiato per qualche anno in una comfort zone in cui facevo fatica, ma non il salto di qualità. In quel momento pensavo che andasse bene, convinto che col tempo sarei maturato. Invece le situazioni cambiano e sono riuscito ad autoimpormi un cambio di ritmo, che alla fine ha pagato. Dal 2019-2020 a oggi, sono sempre stato a livelli più che accettabili.

Hai parlato degli anni spartiacque del Covid dopo cui i corridori maturi hanno iniziato a pagare.

La verità è che se avevi raccolto prima, continuare a fare gli stessi sacrifici dopo quel periodo è diventato più difficile. Io mi sono detto che fin tanto che mi divertivo a fare questo lavoro, avrei continuato. Nel 2024 non mi sono divertito, infatti pensavo di smettere. Ho avuto cadute, malanni e altri intoppi e ho detto basta, così non era più divertente. Infatti pensavo che il 2025 sarebbe stata l’ultima stagione.

Damiano Caruso, Giro d'Italia 2025, Colle delle Finestre, Bahrain Victorious
Giro 2025, Colle delle Finestre. Con Tiberi fuori classifica, Caruso ha preso la squadra sulle spalle, chiudendo in 5ª posizione
Damiano Caruso, Giro d'Italia 2025, Colle delle Finestre, Bahrain Victorious
Giro 2025, Colle delle Finestre. Con Tiberi fuori classifica, Caruso ha preso la squadra sulle spalle, chiudendo in 5ª posizione
Invece?

Invece le cose cambiano. Ho dimostrato in primis a me stesso che il fatto di non andare forte non avesse ragioni fisiologiche, ma semplicemente era stato la conseguenza di una serie di circostanze. Nel 2025 ho dimostrato a me stesso che, facendo tutto bene e avendo anche un po’ di fortuna, evitando cadute e acciacchi vari, sono ancora competitivo e soprattutto mi diverto. E questo ha fatto la differenza.

Il tuo amico De Marchi ha ammesso che nell’ultima stagione da pro’ ha iniziato a guardare la squadra con gli occhi da direttore sportivo. Tu potresti pensare di diventarlo?

Non dico che non ci sto pensando, però non è un assillo. Mi sento ancora corridore, posso aver pensato a come sarebbe, ma non è un pensiero che la notte non mi fa dormire. Diciamo che se tutto va in un certo modo, il prossimo anno potrei anche provare a fare il direttore sportivo. Ma devo capire una serie di cose.

Quali cose?

Se è una cosa che mi si addice, se sono adatto e se mi piace. Se sono bravo abbastanza, se ho voglia di continuare a fare questa vita sacrificata, perché anche il direttore sportivo fa tanti giorni fuori casa. Non è comunque una cosa che escludo, ma potrebbe succedere.

Trofeo Laigueglia 2011, primo anno alla Liquigas: Caruso ne ha 24. Per lui il tempo di maturare e prendere le misure
Trofeo Laigueglia 2011, Damiano Caruso, Ivan Basso, Simone Ponzi
Trofeo Laigueglia 2011, primo anno alla Liquigas: Caruso ne ha 24. Per lui il tempo di maturare e prendere le misure
Che cosa ti sembra della squadra per il 2026?

E’ molto giovane, abbiamo tanti ragazzi. Inutile sottolineare che per età vinco a mani basse. Quando sono seduto a tavola, ci sono tutti ragazzetti di 21, 22 anni, uno ne ha 19 (Jakob Omrzel, il vincitore del Giro Next Gen, ndr). Però è una squadra che ha voglia di ripartire bene, ho notato subito un ambiente propositivo. Ragazzi che vogliono crescere e mettersi in evidenza. Qualcuno cerca conferme, qualcuno vuole dimostrare che vale tanto. Chiaramente è sempre difficile quando in gara devi confrontarti con una corazzata come la UAE, ma quello non è solo un problema del Team Bahrain, ma di tutte le altre 17 squadre del WorldTour. Mi piace dire che lavoriamo tutti al massimo delle nostre capacità, con ambizione e serietà, che sono due aspetti di cui non si può fare a meno. Vedremo alla fine che cosa saremo stati in grado di portare a casa.

Natale a casa?

Certamente. Sono stato sempre a casa anche prima di venire qui, perché con i bambini che vanno a scuola, non è facile spostarsi. Allora ho preferito fare delle brevi vacanze, dei weekend, giusto per stare insieme. Non ho avuto il tempo di prendermi dieci giorni per andare alle Maldive o da qualche altra parte. Primo perché non avevo il tempo e secondo, sinceramente, non avevo neanche la voglia. Giù da noi (Caruso vive alle porte di Ragusa, ndr) abbiamo la fortuna che fino a ottobre, novembre è praticamente estate. A ottobre si andava al mare, perché c’erano 26-28 gradi e si stava benissimo. Per cui le Feste le passiamo a casa, poi ritorno qui a gennaio, faccio un’altra decina di giorni e poi iniziamo a correre.

Joao Almeida

Il primo big del Giro alza la mano. Almeida crede alla rosa

17.12.2025
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Occhiale con montatura dorata, una tranquillità quasi sudamericana cucita addosso, anche se europeo lo è fino in fondo, e una grinta che c’è, ma non si vede. Joao Almeida lo incontriamo a Benidorm, durante il media day della UAE Emirates e bastano poche frasi per capire che il 2026 può essere il suo anno. Una delle prime cose che ci dice il portoghese è che sarà lui il leader della squadra al prossimo Giro d’Italia. E’ quindi il suo il primo nome tra i big che puntano alla maglia rosa.

Almeida ormai è un atleta di vertice assoluto. Tolti due o tre fuoriclasse fuori scala, è lì, stabilmente, nel gruppo ristretto dei corridori da Grandi Giri. E soprattutto è in crescita. Una crescita lenta e costante, tipica di chi costruisce tutto con il lavoro. Non è il talento a cui arriva tutto dall’alto. Il podio alla Vuelta gli ha dato consapevolezza e fiducia. Ogni stagione ha aggiunto qualcosa. E al Giro che può giocarsi la sua grande occasione.

Joao Almeida
Joao Almeida (classe 1998) a Benidorm ha annunciato che punterà forte al Giro d’Italia
Joao Almeida
Joao Almeida (classe 1998) a Benidorm ha annunciato che punterà forte al Giro d’Italia

Verso il Giro

Almeida è uno molto concreto e soprattutto consapevole. Non si nasconde dietro frasi fatte quando parla del proprio livello rispetto a fenomeni come Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard o Remco Evenepoel. Sa dove si colloca e sa bene che il Giro d’Italia rappresenta uno snodo fondamentale della sua carriera.

«Il Giro sarà il mio grande obiettivo – racconta – sono contento di tornare. E’ una scelta che abbiamo preso con la squadra. Lo affronterò con l’idea di lottare per la corsa e provare a vincere. Poi parlare è facile, farlo è un’altra cosa. So che dovrò lavorare tantissimo e rimanere concentrato fino all’ultimo giorno».

Il suo programma stagionale è fitto ma equilibrato: Valenciana, Algarve, Parigi-Nizza, Catalunya, Giro d’Italia, Burgos e Vuelta. Una costruzione pensata appunto insieme alla squadra, che ha condiviso con lui la scelta di tornare al Giro dopo due Tour consecutivi. La corsa rosa gli ha dato tanto, è qui che si è rivelato al grande pubblico nel 2020 indossando la maglia rosa per 15 giorni. E sempre qui ha agguantato il suo primo podio in un grande Giro nel 2023.

Joao Almeida
Joao al Giro avrà una grande squadra (a partire da Vine in testa). Anche i compagni ne riconoscono la leadership
Joao Almeida
Joao al Giro avrà una grande squadra (a partire da Vine in testa). Anche i compagni ne riconoscono la leadership

Una squadra forte

Poi c’è il tema squadra, centrale come non mai. In conferenza qualcuno prova ad estorcergli una dichiarazione sul fatto che il non essere stato portato al Tour possa bruciargli. Almeida non è di questo parere. Davvero ha una grande occasione, soprattutto è leader riconosciuto anche dall’interno di una corazzata come la UAE.

Il rapporto con Pogacar, la condivisione dei programmi e il ruolo che Almeida ha saputo ritagliarsi all’interno della UAE hanno fatto crescere le sue quotazioni. Dopo il podio alla Vuelta e il lavoro da gregario al Tour, il suo status è cambiato. Insomma, Joao non è più soltanto un lusso di squadra, ma una garanzia.

La vittoria sull’Angliru, battendo Vingegaard, resta uno snodo cruciale in ottica futura. Ha aperto una breccia… anche nella mente. Non solo per il valore simbolico di quella salita, ma per il messaggio che ha mandato. E’ stata una breccia ben più ampia dei pochi secondi inflitti in cima. L’Angliru di Almeida è la dimostrazione che anche il danese, seppur con grande difficoltà, è battibile. E questo lo sanno anche i compagni.

Al Giro Almeida arriverà con una formazione di altissimo livello, come dicevamo. Al suo fianco ci saranno uomini come Adam Yates, Jay Vine e il connazionale Antonio Morgado, giusto per citarne tre. Una squadra “monster”, costruita per proteggerlo in pianura, sostenerlo in salita e offrirgli soluzioni tattiche in ogni fase della corsa. E’ una fiducia che pesa, ma che allo stesso tempo lo responsabilizza.

Almeida ha perso la Vuelta con 1’16” di distacco da Vingegaard. Il danese però aveva 34″ di abbuoni in più. Il distacco su strada è stato di 42″. Un dato incoraggiante in vista del Giro
Almeida ha perso la Vuelta con 1’16” di distacco da Vingegaard. Il danese però aveva 34″ di abbuoni in più. Il distacco su strada è stato di 42″. Un dato incoraggiante in vista del Giro

Un grande tra i grandissimi

Almeida non ha mai nascosto quanto questa sia un’epoca ciclistica complicata. «E’ un periodo molto difficile – spiega – il livello è altissimo. Quando si parla di Pogacar, Vingegaard o Evenepoel sono più realistico che sognatore. Non rinnego le ambizioni, ma non mi illudo. Attualmente, vincere il Tour contro di loro è quasi impossibile, ma sono felice di essere parte di questa generazione. Sono gli anni migliori della mia vita».

Una frase che racconta molto del suo approccio: la vittoria non è l’unico metro di giudizio. Conta anche come si corre, come si cresce, come si resta competitivi.

Il portoghese è convinto che non sempre vinca il più forte e che le corse si decidano su dettagli, gestione e lucidità. E’ per questo che punta su gare come il Giro, dove la costanza può fare la differenza. «Un Grande Giro sono tre settimane in cui non serve un’esplosività devastante, ma la capacità di non crollare mai. Un terreno che sento mio e mi consente di esprimere al massimo la mia idea di ciclismo».

Joao Almeida
Piancavallo 2020: Almeida si difende con i denti. In cima resterà in rosa per 15″
Joao Almeida
Piancavallo 2020: Almeida si difende con i denti. In cima resterà in rosa per 15″

Almeida e la salita

Nel suo percorso ci sono anche ricordi che definisce: «Belli e tristi allo stesso tempo». L’oggetto in questione è la salita di Piancavallo. La montagna friulana sarà il giudice definitivo della prossima corsa rosa. Lassù nel 2020 si trovò in mezzo agli attacchi di Hindley, Kelderman e Geoghegan Hart. «Tornare lassù per una rivincita? E’ una salita normale… ma spero di andare forte», sorride.

Almeida insiste molto sull’aspetto mentale e scientifico della preparazione che si lega molto alla sua tattica. Lui di solito è uno che sulle salite lunghe rientra (quasi) sempre. Sembra stia sempre per staccarsi e poi te lo ritrovi davanti. «Alla fine il ciclismo è scienza – ha detto al poadcast di Sigma – scienza applicata allo sport. Con i test e le sensazioni sai esattamente quanti watt puoi spingere per un certo tempo. Potrei seguire subito certi attacchi, ma non lo faccio perché so che quei corridori a quel ritmo crolleranno entro un paio di chilometri. Nella mia mente mi dico: ti riprendo. Chiaro che non posso sempre fare questo ragionamento anche contro Pogacar, Vingegaard o Evenepoel».

Stavolta però Vingegaard al Giro potrebbe esserci. Almeida lo sa. E sa anche che dovrà arrivare al massimo, magari sfruttando tappe intermedie, gestione e intelligenza di gara. Perché il Giro, più di ogni altra corsa, spesso premia chi sa aspettare il momento giusto e chi lo conosce (Joao ha già quattro partecipazioni). E tante volte ha punito la superstar di turno. Lo sanno bene Wiggins, Thomas, Evenepoel…

Sovia, Bulgaria, veduta aerea (depositphotos.com)

EDITORIALE / Il Giro e la tradizione: freno o valore aggiunto?

15.12.2025
4 min
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Se glielo proponessero, probabilmente la Vuelta farebbe uno sberleffo e si volterebbe dall’altra parte. Ad ora soltanto Pogacar ha ipotizzato che sarebbe meglio correre il Giro a settembre: alcune voci hanno condiviso, altre hanno disapprovato. E di certo fra coloro che si opporrebbero al cambio di data ci sono gli organizzatori spagnoli, che festeggiano quest’anno i 30 anni del mai abbastanza benedetto spostamento a settembre. E così, fra il governo bulgaro che si dimette e gli interrogativi su quale sia il senso di spendere milioni di euro per uno sport che da quelle parti è tutto fuorché popolare (e anche, a proposito di tradizione, sul portare la corsa ovunque ci sia qualcuno che paghi), il Giro d’Italia si attacca a Vingegaard (in apertura un”immagine depositphotos.com di Sofia, arrivo della terza tappa).

Firenze accolse così Vingegaard al Tour del 2024: sarà così anche al Giro 2026?
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La scelta di Vingegaard

Siamo onesti: è davvero credibile che il danese venga al Giro d’Italia rinunciando a ogni chance di giocarsi la maglia gialla? I motivi per cui eventualmente lo farebbe sono due. Primo, la rassegnazione: Pogacar non si batte. Secondo, i soldi. A sentire quanto dichiarò Lefevere, il Giro pagò per avere Evenepoel nel 2021 e la trattativa per riaverlo nel 2023 fu un tutt’uno con la precedente. L’allora Deceuninck-Quick Step non nuotava nell’oro e il gettone risultò utile. Siamo certi che la Visma Lease a Bike, che con Nike ha trovato nuovo ossigeno a partire dal 2026, voglia rinunciare per soldi alle sue chance di vittoria in Francia, per giocarsi una vittoria al Giro d’Italia?

Vingegaard ha tutto quello che serve per farlo e probabilmente sarà anche stufo di subire lezioni in Francia. Magari ha anche voglia di arrivare prima di Pogacar al traguardo della Tripla Corona, sapendo però che correre il Giro significa non potersi preparare per il Tour. Basterà tutto questo per portarlo in Italia oppure il richiamo del Tour sarà ancora più forte? Tutti quanti, a maggior ragione noi che il Giro andremo a raccontarlo, ci auguriamo di averlo qui.

Mauro Vegni e Paolo Bellino: il primo è andato in pensione, chi sarà il nuovo direttore del Giro d’Italia?
Mauro Vegni e Paolo Bellino: il primo è andato in pensione, chi sarà il nuovo direttore del Giro d’Italia?

Il ruolo di Vegni

E qui veniamo al nodo da sciogliere. Pare che dopo la partenza della corsa francese da Firenze nel 2024, cui partecipò da osservatore molto interessato, Mauro Vegni abbia capito la differenza di proporzioni fra la sua corsa e quella di ASO. In quella circostanza, RCS Sport fece la parte del leone, avendo vinto il bando indetto da Regione Emilia Romagna, nel gestire la logistica del Tour in Italia. Parlando successivamente con i francesi, emersero grandi complimenti per Luca Papini che fece da raccordo tra le strutture italiane e quelle francesi, occupandosi con Marco Della Vedova anche di verificare i percorsi di gara.

E mentre il Tour prosegue il suo cammino così ben organizzato anche dagli altri (difficilmente il Giro d’Italia troverebbe simili appoggi in Bulgaria!), il Giro ha ripensato la sua struttura. Vegni è andato in pensione, portando con sé l’immensa esperienza. Papini è diventato segretario generale della Lega del Ciclismo Professionistico. Voci dall’interno di RCS Sport confermano che il posto di Vegni nel ruolo di direttore del Giro d’Italia non sarà riassegnato e che starebbe nascendo una struttura attorno a Paolo Bellino, CEO di RCS Sports & Events.

Tao Geoghegan Hart, Milano, podio, Giro d'Italia 2020
Giro 2020, podio finale a Milano: Tao Geoghegan Hart in rosa. Si corse a ottobre e non fu affatto un Giro meno bello e tantomeno blasfemo
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Giro 2020, podio finale a Milano: Tao Geoghegan Hart in rosa. Si corse a ottobre e non fu affatto un Giro meno bello e tantomeno blasfemo

La nicchia del Giro

Può bastare per tenere testa al Tour e rendere il Giro d’Italia appetibile per gli sponsor e i campioni? Lo vedremo alla prova dei fatti. Saremmo tutti ben contenti di raccontare la vittoria di un italiano di belle speranze e per quello potremmo anche dimenticare di non aver visto sul palco le star internazionali più celebri. Sarebbe un bel modo per dire che ci siamo anche noi, accettando il comfort del provincialismo e trincerandoci dietro il fatto che non dipenda da noi, ma da chi non ci capisce.

E’ l’orgoglio antico e profondo della mia cara Ascoli, città di pietra dalla grande storia e dagli scorci commoventi, che non ha l’autostrada, l’alta velocità e neppure l’aeroporto. Non la cambierei per nulla al mondo, sogno ogni giorno di tornarci, intanto però i ragazzi se ne vanno per trovare aperture più moderne e altre possibilità. E’ come la difesa strenua dei sampietrini di Roma, che spaccano gomme e ammortizzatori che siamo tutti felici di ripagare nel nome della tradizione.

Il Giro è così, refrattario al cambiamento, convinto che scegliere un’altra data significhi voltare le spalle al suo secolo di storia. E nel difendersi, si accomoda nella nicchia, senza capire che probabilmente la minore disponibilità di soldi e sponsor rispetto ai cugini francesi non sia figlia di un complotto, ma delle proprie scelte strategiche.

Astana Proteam 2016 - Training Camp Calpe, Giuseppe Martinelli

Il Giro a settembre è più di una chiacchiera da bar

12.12.2025
5 min
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Vi è mai capitato che qualcuno molto più giovane di voi vi abbia proposto di fare qualcosa di diverso e per tagliare corto gli abbiate risposto di no, perché si è sempre fatto così? Quando Tadej Pogacar ha detto che secondo lui sarebbe opportuno invertire le date del Giro e della Vuelta, il ciclismo ha reagito allo stesso modo.

«Il Giro ha date tradizionali – ha detto Paolo Bellino, direttore generale e amministratore delegato di Rcs Sport& Events –  e non vogliamo che vengano cambiate. Ogni Grande Giro ha una sua storia e un suo significato, in parte determinati dalla posizione del calendario. Il Giro si è svolto 107 volte nel mese di maggio. L’unica eccezione è stata durante la pandemia di coronavirus, un periodo unico per il mondo intero, in cui abbiamo dovuto fare tutto il possibile per salvare la stagione».

Risposta prevedibile, anche se il riferimento al Giro del 2020 ci ha riportati con la memoria a una delle edizioni più belle vissute da addetti ai lavori. Sarà perché profumava di liberazione dal Covid o perché stava per andare online bici.PRO, ogni volta che con Filippo Lorenzon ci troviamo a ricordare quel Giro vissuto assieme, si finisce sempre col dire che fu bellissimo. Si riuscì persino a fare lo Stelvio, nonostante fosse cattivo tempo, mentre lo scorso anno a maggio lo Stelvio ci fu vietato dalla neve.

Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Il Giro del 2020 si corse in pieno autunno: giornate molto belle e lo Stelvio affrontato il 22 ottobre era senza neve
Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Il Giro del 2020 si corse in pieno autunno: giornate molto belle e lo Stelvio affrontato il 22 ottobre era senza neve

Le resistenze degli italiani

Così per tornare sul tema proposto da Pogacar, ci siamo rivolti a Giuseppe Martinelli. Uno che di Giri ne ha visti più di noi e, come noi, ricorda quando la Vuelta si correva ad aprile (fino al 1994) e l’UCI propose loro e agli italiani – uno a scelta – di spostarsi a settembre. Gli spagnoli accettarono e il nuovo assetto del calendario prese il via.

«Tu sai che gli italiani di partenza – dice – fanno sempre fatica a capire al volo le opportunità. Sono abbastanza tradizionalisti. Quando l’UCI chiese di fare quel cambiamento, anche io sarei stato abbastanza restio a dire sì. Però con i tempi attuali e con le stagioni che sono venute fuori, i campioni, le strategie e tutta una serie di altri fattori, adesso come adesso forse sarebbe sicuramente più facile organizzare il Giro a fine agosto, trovare grandi corridori e fare le salite. Senza contare che la primavera si è portata un pochino più avanti e negli ultimi anni maggio è stato il mese più brutto».

Rominger vinse l'ultima Vuelta di aprile: vinse di seguito dal 1992 al 1994
Rominger vinse l’ultima Vuelta di aprile: trionfò dal 1992 al 1994 (qui in azione nel 1993)
Rominger vinse l'ultima Vuelta di aprile: vinse di seguito dal 1992 al 1994 (qui in azione nel 1993)
Rominger vinse l’ultima Vuelta di aprile: trionfò dal 1992 al 1994 (qui in azione nel 1993)
Sono chiacchiere da bar, Martino, ma c’è del vero. Hai parlato dei corridori…

Vedi anche adesso Remco e non capisco come sia possibile che non pensi più al Giro che al Tour. Però il Tour è una macchina da guerra e, se non ti chiami Pogacar e vuoi fare bene in Francia, il Giro non lo puoi fare. Non c’è niente da aggiungere. Inutile dire che vieni qua, ti prepari e magari vinci, poi vai al Tour. Se vinci il Giro sei bravo, poi però vai in Francia e ti lasciano lì come una pelle di fico.

Maggio è uno dei mesi più brutti e infatti ormai si è rinunciato a fare certe salite molto alte…

Negli ultimi anni che facevo il direttore sportivo, le salite andavo a provarle più a ottobre e novembre, che a marzo e aprile. A primavera trovavi sempre la neve, mentre a ottobre e novembre trovavi bellissime giornate. Almeno fino a quando hanno presentato il Giro, lasciandoti il tempo per muoverti. Credo che la Vuelta a maggio sarebbe molto meno calda, ma avrebbero anche loro il problema della neve in alto. Per questo credo che a loro lo scambio forse non piacerebbe. Anche perché negli ultimi anni, i corridori buoni vanno in Spagna e c’è sempre battaglia. Qualcuno prepara i mondiali, c’è chi ha saltato la stagione per qualche motivo, mentre qualcuno deve rimetterla in gioco. Mi ricordo invece quando la Vuelta era ad aprile e dalla Spagna arrivavano direttamente nelle Ardenne. Chi correva in Spagna quasi mai faceva il Giro e per i pochi che ci provavano, era veramente difficile.

Oggi è anche peggio: difficilmente fai una corsa per trovarti pronto nella successiva…

Chi prepara una corsa e punta al risultato pieno, non va a cercare la condizione nelle corse prima. Adesso si va lì e si fa la gara, preparandola a casa e facendo semmai una corsa in meno. Ormai dei grandi chi fa il Romandia per preparare il Giro? Quasi nessuno, mentre prima era quasi un percorso obbligato andare al Romandia o al Giro del Trentino, che ora è Tour of the Alps. Vanno in altura e arrivano alla partenza già tirati a lucido.

Wiggins, vincitore uscente del Tour, Nibali in caccia della prima rosa. Nel 2013 si sfidarono prima al Trentino
Wiggins, vincitore uscente del Tour, Nibali in caccia della prima rosa. Nel 2013 si sfidarono prima al Trentino
Wiggins, vincitore uscente del Tour, Nibali in caccia della prima rosa. Nel 2013 si sfidarono prima al Trentino
Wiggins, vincitore uscente del Tour, Nibali in caccia della prima rosa. Nel 2013 si sfidarono prima al Trentino
Pensi che stando così le cose, Vingegaard verrebbe al Giro di maggio?

Secondo il mio punto di vista, al di là di avere un campione qui in Italia, sarebbe la normalità farlo venire al Giro. Non tutti però la pensano come noi e al contrario pensano che il Tour possa vincerlo chiunque, ma il Tour purtroppo lo vince uno, che c’è già. Se Vingegaard non viene al Giro, vuol dire che non gli importa molto di vincere le corse, senza contare che conquisterebbe la Tripla Corona prima di Pogacar, che in sé sarebbe un evento. Non so come ragionano, ma io con le mie squadre volevo vincere: che fossero corse grandi oppure le piccole. Se poi qualcuno ritiene che sia un disonore vincere il Giro d’Italia e partecipare al Tour senza essere al 100 per cento, allora non so cosa pensare.

Di certo il Giro a settembre avrebbe quelli che non hanno vinto il Tour. Mentre la Visma quasi neppure ha celebrato la vittoria di Yates: il Tour con Vingegaard ha coperto tutto.

Sicuramente passa tutto velocemente e rimane soltanto il Tour che sa far parlare. Le altre corse, a parte la Sanremo e alcune altre classiche, ormai sono corse di passaggio. Anzi qualcuna nemmeno la considerano più. Se non ci va Pogacar, il Catalunya perde tantissimo. Stesso discorso per i Paesi Baschi, che erano una signora corsa. Adesso passa in silenzio, che quasi non sai chi l’ha vinta. In più c’è il discorso dei punti. Nell’ultimo anno del triennio, hanno deviato tutti sulle corse più a portata di mano, dove magari sapevano di non fare risultato, ma di prendere punti.

Forse la vera provocazione sarebbe proporre al Tour di cambiare la data col Giro?

La vedo dura. E’ il Tour che fa il calendario, il Tour non si tocca…

Pellizzari

E Pellizzari? Meno “bimbo” e primi passi da leader

12.12.2025
6 min
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PALMA DE MAIORCA (Spagna) – «Vero, abbiamo preso Remco Evenepoel e vogliamo vincere, ma il nostro progetto guarda anche al futuro. Per questo annuncio che abbiamo prolungato i contratti di Giulio Pellizzari, Lorenzo Finn e Florian Lipowitz. Crediamo molto in loro. In particolare Giulio è un atleta fortissimo, con grandi margini e il compagno di squadra che tutti vorrebbero avere». Così ha esordito Ralph Denk nel media day indetto l’altroieri dalla Red Bull-Bora-hansgrohe di cui è team manager. La sua squadra nei corridoi del WorldTour ormai è considerata una delle corazzate. Sentir nominare due ragazzi italiani ci ha dato grande speranza.

Ma soprattutto questo annuncio e questa presa di posizione decisa del manager tedesco ci ha confermato la sensazione che si respirava vedendo Pellizzari con gli altri compagni. Vale a dire che ormai è un big. Lo si vede da come si muove e da come è considerato… e lo è ancora di più dopo le parole sempre di Denk: «Al Giro ci andiamo con due leader, Hindley e Pellizzari». Insomma, l’investitura è completa ed ufficiale adesso.

Giaccone nero lucente come va di moda in questo periodo, i maggiori sponsor in bella vista e il solito sorriso. Due sedie, una di qua e una al di là di una Specialized lasciata in mezzo allo stanzone della conferenza, e inizia la nostra intervista con il marchigiano.

Pellizzari, Finn
Le due speranze italiane forse maggiori in ottica futura: Pellizzari con Finn. I due si conoscono ancora poco (foto Maximilian Fries)
Pellizzari, Finn
Le due speranze italiane forse maggiori in ottica futura: Pellizzari con Finn. I due si conoscono ancora poco (foto Maximilian Fries)
Giulio, sei diventato uno importante, insomma…

Sì dai, alla fine abbiamo rinnovato quindi saremo insieme qualche anno in più. La cosa bella è che c’è fiducia da parte del team e di questo sono particolarmente contento. Soprattutto perché questa fiducia la sento per davvero.

Parlando con atleti e staff, ci dicono che l’atmosfera è cambiata, che è più rilassata nonostante l’arrivo di un super big quale Remco Evenepoel. Confermi?

Devo essere sincero, essendo stato male sono arrivato qui giusto un paio di giorni fa, quindi ancora non ho visto com’è l’ambiente, però posso dire senza ombra di dubbio che siamo un bel gruppo. C’è affiatamento e le cose sembrano funzionare bene.

Ti senti uno di quelli importanti adesso?

Sì, è cambiato. Sicuramente è cambiato, non mi nascondo. Però sono tranquillo. E rispetto all’anno scorso ho più amici.

Pellizzari, Hindley e Aleotti: questo piccolo gruppo della Vuelta probabilmente si ricomporrà al Giro 2026
Pellizzari, Hindley e Aleotti: questo piccolo gruppo della Vuelta probabilmente si ricomporrà al Giro 2026
Cosa significa che hai più amici?

Un anno fa ero appena arrivato ed ero un po’ intimorito dalle storie che nelle squadre WorldTour non c’è gruppo e che i rapporti sono freddi… Poi man mano ho visto che sì, le cose sono diverse, però non è proprio così freddo. Adesso ho tanti amici corridori e soprattutto gente nello staff. E questo ti fa sentire più a tuo agio.

Con chi hai legato di più tra i corridori?

Con il gruppo italiano… scontato dirlo! Poi ho legato tanto con Maxime Van Gils e tantissimo con Jordi Meeus.

E’ vera la voce che ti sarebbe piaciuto fare il Tour de France?

No, no assolutamente! Anzi, sono stato io a chiedere al team di fare il Giro d’Italia. E ne sono contentissimo. Anche l’anno scorso lo avevo chiesto ma all’inizio non mi avevano accontentato. Allora quest’anno ho pensato: gli chiedo di fare il Tour così mi fanno fare il Giro! Invece ho chiesto il Giro… ed è andata bene!

Pellizzari
Pellizzari e Hindley guideranno la Red Bull-Bora al prossimo Giro d’Italia
Pellizzari
Pellizzari e Hindley guideranno la Red Bull-Bora al prossimo Giro d’Italia
Sei stato designato ufficialmente come uno dei leader per la prossima corsa rosa…

Sì, ma senza pressioni…

Ma la storia del “senza pressioni” cambierà prima o poi! Vieni da un’ottima stagione, non ti puoi più nascondere…

Voglio dire che lo correrò da leader assieme a Jai (Hindley, ndr)… A proposito, anche lui è uno di quelli con cui ho legato molto, ma in generale direi con tutto il gruppo dell’ultima Vuelta. Con Hindley mi trovo davvero bene, quindi non vedo l’ora di dividere con lui la leadership.

Sapere di iniziare la stagione come vero leader ti dà più stimoli?

Sì, sì… sono contento. Magari un po’ scaramantico, per questo non mi sento di dire troppo. So che dovrò lavorare bene e sono pronto a farlo.

Che ne pensi del percorso della corsa rosa? Cosa ti sembra?

Ammetto che non l’ho visto particolarmente bene, però mi piace tanto la tappa del Blockhaus, soprattutto perché è lunga. In questi anni ho notato che mi trovo bene nelle tappe lunghe e con più dislivello. Vedo che magari dalla quarta alla quinta ora in poi inizio ad andare meglio, quindi arrivando sul Blockhaus dopo 250 chilometri… quella potrebbe essere una tappa adatta a me. E poi mi piace tanto anche quella dolomitica: quella col Giau.

Pellizzari
Il lavoro a crono sta proseguendo ha detto Pellizzari. Qui il body usato alla Vuelta e “incriminato” dalla galleria del vento
Pellizzari
Il lavoro a crono sta proseguendo ha detto Pellizzari. Qui il body usato alla Vuelta e “incriminato” dalla galleria del vento
La cronometro di Viareggio invece è molto lunga: come la vivi?

Vero, ma alla fine la crono è un tipo di sforzo che mi piace. In autunno sono stato in galleria del vento a San Francisco nel centro di Specialized. Ho lavorato un po’ sulla posizione per guadagnare qualche watt e soprattutto abbiamo scoperto che il body che avevo nella crono della Vuelta, quello bianco di miglior giovane, non era veloce. Anzi, a dire il vero era molto lento e questo mi ha dato morale. Insomma c’è solo da lavorarci su e non vedo l’ora di farlo perché questo settore mi piace tanto.

Hai cambiato qualcosa a livello tecnico? Qualche ritocco sulla posizione?

Ho cambiato la sella, non che avessi particolari problemi con il precedente modello ma ne abbiamo individuata una più performante. Quella dell’anno scorso era un po’ più da standard, quest’anno ne ho scelta una che è un po’ più larga dietro e ho notato che mi aiuta quando sono a tutta e devo spingere. Mi sostiene di più, soprattutto in salita… Poi devo essere sincero: l’ho usata pochissimo. Sono due mesi che non vado in bici…

Pellizzari
Un lungo off season per Giulio. Ideale per ricaricare le pile. In questa fase c’è stato spazio anche per una partita del Milan a San Siro con Piganzoli
Pellizzari
Un lungo off season per Giulio. Ideale per ricaricare le pile. In questa fase c’è stato spazio anche per una partita del Milan a San Siro (con il fratello e Piganzoli)
Due mesi! È tanto…

Sì, ma è vero. Ho fatto un mese di vacanze, poi sono stato due settimane a Livigno, dove ho fatto sci di fondo e poi, una volta sceso da lì, sono stato male quindi devo ancora ricominciare veramente.

Sei troppo sereno! Ma al tempo stesso più maturo…

Eh sì – sorride Giulio – sarà che quest’anno mi sento meno spaesato. Quando vado via con la squadra sono contento e non vedo l’ora di partire e questo fa tanto per me.

Qual è stata la lezione che ti ha dato questo 2025?

Che se uno lavora bene, si allena in modo corretto, mangia bene, riposa… i risultati arrivano. Poi magari ci può stare la fortuna di turno, ma se hai fatto il tuo prima o poi il risultato arriva. L’ho visto al Giro e alla Vuelta.

A proposito di Vuelta, quanto ti ha dato la vittoria di tappa in Spagna?

Tanto. Diciamo che era dal 2023 che non vincevo, quindi quella sensazione l’avevo persa un po’. È stato bello ma, tornando a casa, ho detto: «Voglio correre perché voglio vincere ancora».

Giro d'Italia dilettanti 1992, Marco Pantani, Cavalese-Pian di Pezzè

Giro, un altro ricordo. Cosa sapete della Montagna Pantani?

10.12.2025
7 min
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Non solo Corno alle Scale, c’è un altro arrivo del prossimo Giro d’Italia che ha acceso un ricordo a dir poco speciale. A Pian di Pezzé si concluderà infatti la 19ª tappa, il vero tappone dolomitico con salite come il Giau e il Falzarego prima della scalata finale, nominata Montagna Pantani. Sapete perché? Si è arrivati lassù una sola volta: era il 1992, a capo di un altro tappone dolomitico al Giro d’Italia dei dilettanti, quando un giovanissimo Marco Pantani attaccò da par suo e strappò la maglia di leader all’altrettanto giovane Wladimir Belli.

«Si partiva da Cavalese – ricorda il bergamasco – poi si scalavano il Sella, il Gardena, il Campolongo e da lì si scendeva ad Alleghe per fare la salita finale. Mi ricordo che ero il leader della corsa e la mattina andai da Marco e gli dissi: “Vabbè dai, hai fatto terzo nel 1990, secondo l’anno scorso, ti toccherà fare un altro podio”. Lui invece mi guardò in cagnesco e mi disse: “Belùn, preparati: oggi te la cavo!”

Belli, Casagrande, Pantani

Fine di giugno del 1992, nell’estate che annuncia le Olimpiadi di Barcellona, cui l’Italia prenderà parte con Rebellin, Gualdi e Fabio Casartelli, che di Belli è compagno di squadra alla Domus 87. Ma per il momento la Spagna è più lontana dei 1.250 chilometri che dividono Cavalese dalla capitale catalana. Il 30 giugno si parla di futuro fra i tre italiani che nelle ultime stagioni hanno dominato la corsa organizzata dalla Rinascita di Ravenna. Oltre a Belli, primo nel 1990, c’è anche Francesco Casagrande, vincitore nel 1991. E poi Pantani, terzo e secondo nei due anni precedenti.

«Però partiamo dalla cronometro a Marina di Pietrasanta – racconta Belli – in cui, come sempre, gli avevo dato una… settimana, avevo un bel vantaggio. Non andavo fortissimo quel Giro, non ero in condizione al 100 per cento, perché l’anno prima avevo firmato il contratto da professionista e la testa era già di là».

L'azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall'arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L’azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall’arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L'azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall'arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L’azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall’arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)

La maglia a Cavalese

Non è il ciclismo dei watt, al mattino si mangia la pasta in bianco col pomodoro a parte, anche se Pantani a volte la condisce con la marmellata. La sua bici è una Carrera con il telaio in acciaio, perché anche lui ha firmato il contratto e da agosto salirà a bordo della corazzata di Boifava e Quintarelli. Belli invece andrà alla Lampre di Saronni e Algeri.

«Il mio diesse Locatelli – ricorda – neanche voleva mandarmici al Giro, perché lo sapeva che non avevo il peso giusto. Ma io avevo insistito, la tappa di San Pellegrino arrivava vicino casa e invece proprio quel giorno mi resi conto di fare fatica. Poi arrivammo a Cavalese e li ci fu la prima vera selezione. La maglia se non sbaglio l’aveva ancora Marco Serpellini, però Marco prese e andò via sul Passo San Lugano e dietro rimanemmo in pochi. Lui vinse la tappa e io misi la maglia. Andò forte, ma pensavo che mi sarebbe bastato controllare quel vantaggio piuttosto importante. Ero fiducioso, insomma, molto fiducioso. Invece il giorno dopo Marco mi sfidò. E io decisi di fargli capire subito che non ci fosse trippa per gatti».

Sull’ammiraglia dell’Emilia Romagna (il Giro si correva per formazioni regionali) c’erano Orlando Maini e Davide Balboni
Sull’ammiraglia dell’Emilia Romagna (il Giro si correva per formazioni regionali) c’erano Orlando Maini e Davide Balboni

Attacco frontale

Il resto è storia. Pantani attacca sul Sella e alle sue spalle il gruppo esplode. Fa quello che avrebbe fatto più e più volte tra i professionisti, guadagnandosi il suo posto nella storia. Casagrande cede quasi subito, poi tocca a Belli. Resistono soltanto due colombiani, che non lo impensieriscono. Il Sella da solo, poi il Gardena. E quando è sul Campolongo e chiede un po’ di zuccheri all’ammiraglia, dietro si accorgono di non averne. E’ il giorno in cui Orlando Maini, che con Davide Balboni guida la squadra dell’Emilia Romagna, entra nel vialetto di una casa e chiede un pacco di zucchero a una signora, ben lieta di aiutare.

L’arrivo ai piedi di Pian di Pezzé lo vede ancora in compagnia dell’ultimo colombiano, ma bastano pochi chilometri perché anche quello salti. Pantani ha regalato una sola tappa in carriera, quella di Selva Val Gardena a Guerini. Ma al contrario di quello che avviene oggi con il cannibale iridato, il suo atteggiamento venne preso per arroganza.

«Ero dietro attaccato a un filo – ricorda Belli – e pensavo: mollerà, mollerà, mollerà, mollerà. Invece mollai io e andai in crisi anche di testa. Mi sentivo forte, per questo accettai la sfida testa a testa. Invece per la prima volta nella mia carriera presi una sberla non solamente fisica, ma soprattutto mentale. Non ero abituato a farmi staccare. In più, nell’inverno tra il 1991 e il 1992, avevo iniziato a soffrire attacchi di panico. Al tempo non sapevo cosa fossero, ma non riuscivo più a rimanere concentrato sul ciclismo. Però questo non toglie che Marco fece una cosa grandissima, ancora una volta non aspettando l’ultima salita, ma attaccando subito».

A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti

Nasce l’amicizia

Della salita di Pian di Pezzé, Belli ricorda molto poco, perché ammette di non avere una grande memoria fotografica. E perché ci arrivò così conciato per le feste da non avere la lucidità e forse nemmeno la voglia di guardarsi intorno. Pantani vince la tappa e conquista la maglia gialla, che difenderà agevolmente l’indomani nella tappa di Gaiarine, vinta da Mariano Piccoli.

«So solo che presi una valanga di minuti – ammette Belli – perché quando si molla, si molla. Dopo l’arrivo non lo incontrai, andai a fargli i complimenti alla partenza del giorno dopo. Soprattutto i primi anni, non si parlava molto. Ci eravamo conosciuti da juniores e poi abbiamo sempre avuto un rapporto di stima reciproca, pur non parlando tanto. Da professionisti invece si matura, si ha più tempo per stare insieme e si capisce che prima dei corridori ci sono le persone. Da dilettanti facemmo con la nazionale la Settimana Bergamasca del 1991, che vinse Armstrong. Eravamo in camera insieme e nacque un po’ più confidenza. Da lì in avanti rimanemmo avversari, ma alla fine c’era qualcosa di più profondo e più umano. Quando c’era da ridere e scherzare, Marco non si tirava indietro».

Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001
Fra Belli e Pantani nacque una bella amicizia negli anni tra i pro’. Qui siamo al Giro del 2001
Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001
Fra Belli e Pantani nacque una bella amicizia negli anni tra i pro’. Qui siamo al Giro del 2001

Come Pogacar, 20 anni prima

Oggi quel modo di correre è la cifra stilistica di Pogacar. Nessuno ci ha più provato per anni fatto salvo Contador e il Froome al Giro del 2018: l’atleta calcolatore da cui meno sarebbe stato logico aspettarselo.

«E’ tornata la tendenza a correre da pirati – riflette Belli, brillante opinionista di Eurosport – la tendenza è quella di partire più da lontano. Le situazioni sono cambiate, c’è più coraggio. Pogacar insegna che si può fare. Tanti ci provano e rimbalzano, ma altri ci provano e poi arrivano. Hanno capito che non si può più aspettare l’ultima salita, perché il livello è alto per tutti. E a proposito di Pantani, ricordo una scena alla partenza da Asiago al Giro del 1998. Io ero compagno di squadra di Zulle che aveva la maglia rosa e lo aveva umiliato a cronometro e staccato a Lago Laceno. Marco venne da me e come sei anni prima io gli dissi che si sarebbe potuto accontentare. Lui mi guardò e mi disse: “Belùn, preparati: oggi gliela cavo!”. A me tornarono in mente le stesse parole di Cavalese, mi venne un brivido lungo la schiena e pensai che sarebbe stata una giornata lunga. Anche quella volta sappiamo bene come andò a finire…».

Corno alle Scale

Ritorno a Corno alle Scale: la salita e il duello Cunego-Simoni

10.12.2025
5 min
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Il Giro d’Italia torna a Corno alle Scale e, come spesso accade, è l’occasione non solo per rivedere l’arrivo, in questo caso la salita, da un punto di vista tecnico, ma anche per riaprire l’album dei ricordi. E l’album dei ricordi ci riporta immediatamente al primo scontro tutto “made in Saeco” fra Damiano Cunego, poi vincitore di quel Giro d’Italia (era il 2004), e Gilberto Simoni, che quella tappa la vinse.

E il tutto lo rivediamo con Claudio Corti, che all’epoca era il team manager di quella Saeco dalle maglie rosso fiamma, piena zeppa di campioni. Una Saeco che proprio quel giorno a Corno alle Scale visse forse il momento più bello di quell’edizione della corsa rosa, come vedremo.

Corno alle Scale
Claudio Corti (classe 1955) era il general manager della Saeco che dominava in salita, ma anche in volata con Cipollini
Corno alle Scale
Claudio Corti (classe 1955) era il general manager della Saeco che dominava in salita, ma anche in volata con Cipollini
Claudio, partiamo dalla salita: che scalata è Corno alle Scale?

Non è una salita impossibile e arriva dopo una tappa abbastanza veloce, però resta impegnativa nel finale, soprattutto dopo il paese di Gaggio Montano e ancora di più dopo l’ultimo borgo (Madonna dell’Acero, ndr). Comunque si arriva oltre i 1.400 metri, è una località sciistica, e si parte dal basso. E’ una montagna vera. Per noi quel giorno fu una festa.

Perché?

Perché Gaggio Montano è il paese della Saeco. E’ lì che ci sono parte degli stabilimenti, almeno una persona per famiglia ci lavora e quindi vedere i nostri due ragazzi vincere fu una grande festa, una gioia per tutti. La tappa la volle proprio il nostro patron Sergio Zappella. Simoni era maglia rosa uscente… Cunego aveva vinto il giorno prima a Pontremoli, dunque l’entusiasmo era alle stelle.

Ma in quella tappa cosa successe? Primo Simoni, secondo Cunego: furono i primi screzi tra i due?

No, quel giorno forse no. Ripeto: c’era un clima bellissimo. Noi correvamo in casa. Cunego aveva vinto il giorno prima e Simoni conquistò tappa e maglia. Semmai, col senno di poi, ci fu un primo “segnalino” della condizione di Simoni. Gilberto infatti scattò e prese un certo vantaggio, ma non fece il vuoto. Anzi, nel finale Cunego gli rosicchiò del terreno. Era Gilberto ad essere calato o Cunego ad andare forte? Ma sul momento non demmo troppa importanza a questo dettaglio, con tutta l’euforia che c’era.

Quando cambiarono le cose?

Chiaramente nella tappa di Falzes. Ma anche quel giorno bisogna raccontare bene come andarono le cose. Sul Furcia ci si marcava con Yaroslav Popovych, ma l’ucraino non partiva, i due si guardavano. Scattò Cunego e Simoni fu addirittura contento di quell’attacco. Lui stava a ruota, faceva lavorare Popovych e andava bene così. Semmai forse si aspettava di perdere un minuto in meno a fine tappa. O anche che nelle ultime tappe Cunego calasse un po’.

Cosa che si aspettavano tutti: era un giovane al primo grande Giro…

Invece Damiano fu bravissimo e fortissimo per tutto il Giro.

Corno alle Scale
L’arrivo di Simoni a Corno alle Scale. Il trentino vinse con 15″ su Cunego e andò a prendersi la maglia rosa
Corno alle Scale
L’arrivo di Simoni a Corno alle Scale. Il trentino vinse con 15″ su Cunego e andò a prendersi la maglia rosa
Il problema dunque quando avvenne, se a Corno alle Scale e a Falzes erano ancora uniti?

Dopo la tappa di Bormio 2000. Gilberto attaccò da sotto, ma di nuovo, come a Corno alle Scale, non guadagnò molto. Nel finale, se ben ricordo ai due chilometri, lo riacciuffarono. Fu Gontchar che spingeva forte. Cunego andò poi a vincere la volata e quindi la tappa, rafforzando la sua maglia rosa. Lì Simoni si rese conto che non avrebbe vinto il Giro e chiaramente era arrabbiato per aver perso la tappa.

Per di più da un compagno di squadra…

Simoni dopo l’arrivo andò via da solo. Era arrabbiato. Per fortuna quella sera in hotel c’era il patron Zappella. Parlammo io, lui, i ragazzi… e tutto sommato la cosa rientrò. Poi chiaramente ognuno in cuor suo aveva il proprio stato d’animo. Il giorno dopo c’era ancora una tappa tosta.

Quella della Presolana…

Ormai si era deciso: bisognava correre in difesa e portare la maglia a casa. Alla fine noi in Saeco eravamo messi bene. E invece succede che attacca presto Garzelli e Simoni gli piomba sopra. I due scappano. Magari era ferito nell’orgoglio, era il campione uscente. Per fortuna per noi si mise a tirare la squadra di Gontchar.

Corno alle Scale
Cunego, Simoni e nel mezzo patron Zappella, sul podio finale di quel Giro 2004
Corno alle Scale
Cunego, Simoni e nel mezzo patron Zappella, sul podio finale di quel Giro 2004
Perché per fortuna?

Perché così facendo non ci ha posto nell’antipatica situazione di dover scegliere su chi puntare. Lasciare andare Simoni o chiudere su di lui per salvare Cunego? Non sono belle scelte. Poi non ci siamo ritrovati davvero in quella situazione anche perché il vantaggio di Cunego era ampio. Però ci terrei a dire che, tolti alcuni momenti più tesi, per noi della Saeco quello fu un bel Giro. A rivederli quei tempi! Avevamo vinto tanto, avevamo la maglia rosa dell’anno prima e quella di quell’edizione. Fu un Giro piacevole, ecco…

Oggi, Claudio, come si gestirebbe una situazione simile? Come si gestirebbero due capitani, uno dei quali così giovane? Pensiamo, per esempio, ad Almeida e Del Toro…

Quella che si verificò nel nostro caso in quel Giro è stata una particolarità. Quando si era mai visto un ragazzo giovanissimo andare così forte, crescere in quel modo e soprattutto vincere il Giro? Poi mettiamoci anche che forse l’altro non era nella super forma dell’anno prima. E c’è anche un altro elemento: quello non fu un Giro d’Italia con grandissimi nomi… Insomma, è difficile dire cosa accadrebbe oggi. Ma anche se un Del Toro o un Almeida dovessero trovarsi a contendersi la leadership, sarebbe più un’occasione dettata dal momento che una superiorità netta dell’uno sull’altro.

4 salite Giro 2026

Pozzovivo: le quattro salite più dure (e decisive) del Giro

09.12.2025
7 min
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Con Domenico Pozzovivo torniamo a parlare di Giro d’Italia e, in particolare, con lui non possiamo non tirare in ballo le salite. Le scalate della corsa rosa che si profila per il prossimo anno non sembrano impossibili, tuttavia qualche asperità più impegnativa c’è e appunto con Domenico abbiamo cercato di individuarne quattro. Le quattro salite più difficili, quelle che secondo lui segneranno la classifica.

E’ ormai appurato, e lo abbiamo già sentito dalle parole di Vincenzo Nibali: non è un Giro d’Italia durissimo. Lo stesso Squalo ci aveva parlato di una corsa equilibrata, ma proprio per questo c’è da capire dove questo equilibrio potrà rompersi, dove gli scalatori potranno infliggere distacchi ai cronomen, che dalla loro avranno la lunga tappa a cronometro di Viareggio.

Venti stagioni da pro’, tre lauree e un’immensa attitudine per la salita: Domenico Pozzovivo elenca le 4 salite più dure del prossimo Giro
Venti stagioni da pro’, tre lauree e un’immensa attitudine per la salita: Domenico Pozzovivo elenca le 4 salite più dure del prossimo Giro
Domenico, quindi, il Blockhaus è la salita più dura di questo Giro d’Italia?

Il rischio c’è, però devo dire che secondo me la scalata più dura, anche ai fini della tappa e della classifica, possa essere il Giau. Lo è sia per le sue pendenze sia per il dislivello e la quota.

Ma non è lontano dall’arrivo?

In una tappa del genere chi vuole attaccare da lontano può farlo anche dal Giau, ma deve avere dei compagni o un punto di riferimento, perché la salita successiva è il Falzarego che, da quel lato, è piuttosto facile. Se dietro si organizzano, chi prova l’azione rischia di restare “con una gamba di qua e una di là”. Una volta avrei detto che il Giau è troppo lontano dall’arrivo; in questo ciclismo dico di “ni”, perché gli attacchi da lontano sono più frequenti, specie con l’aiuto della squadra. E poi c’è un altro aspetto che riguarda il Giau

Quale?

Le sue pendenze e la sua durezza possono influire sulla salita finale di Pian di Pezzè, che ricordiamo essere molto impegnativa, però è una scalata che durerà al massimo 15 minuti.

4 salite Giro 2026
Blockhaus 2022, tra i big guardate chi c’è? E’ Pozzovivo (col casco giallo)
4 salite Giro 2026
Blockhaus 2022, tra i big guardate chi c’è? E’ Pozzovivo (col casco giallo)
Del Blockhaus invece cosa ci dici?

Resta una salita estremamente impegnativa. Rispetto alle altre volte si attacca un po’ più in quota, non proprio dal fondo, dove ci sono quei 5-6 chilometri in più interlocutori che non sono difficili ma, alla fine, contano. Tuttavia è una salita che potrebbe fare meno sfracelli di quanto si pensi.

Perché?

Perché non ci sono grandi salite prima e il rischio è che, essendo una tappa molto lunga, una tappa old style in un Giro definito moderno, i big si controllino fino alla fine. Un’altra salita, la terza nel mio ordine di durezza, che potrà incidere è quella di Carì, in Svizzera. E’ simile a Pila, ma un po’ più dura: a Pila si sale intorno al 7 per cento, a Carì le pendenze sono tra l’8 e il 9 per cento. La strada in entrambi i casi è larga e regolare, quasi da Tour de France. Però dico che alla fine Carì sarà più incisiva perché, rispetto a Pila, è molto più corta: Pila sono quasi 20 chilometri, Carì sono 8-9. Entrambe le frazioni sono corte, ma quella di Carì è più facile prima, quindi rischia di essere una scalata molto più esplosiva. Questa la segno di sicuro.

4 salite Giro 2026
Carì, si trova in Svizzera, nel Canton Ticino. Si affronterà alla 16ª tappa e aprirà la terza settimana
4 salite Giro 2026
Carì, si trova in Svizzera, nel Canton Ticino. Si affronterà alla 16ª tappa e aprirà la terza settimana
E la quarta salita?

Non può che essere Piancavallo. Va menzionata: è l’ultimo tappone e l’ultima scalata del Giro d’Italia. Non vanta numeri impossibili, ma è una salita impegnativa. La doppia scalata vuole ricordare quella del doppio Grappa di un paio d’anni fa, ma è meno dura. Di contro qui si arriva in cima. Piancavallo, se si prende forte da sotto, può fare danni: la parte più dura è quella iniziale, poi addirittura c’è una microdiscesa ai meno sei chilometri.

Quindi Domenico, facci la tua classifica di durezza…

Giau, Blockhaus, Carì e Piancavallo.

Andiamo nell’ordine di come arriveranno queste salite nel corso del Giro. Che scenari ci possiamo aspettare su ognuna?

Come accennavo, il Blockhaus rischia di essere una tappa di attesa, una frazione in cui arriva la fuga. Non mi aspetto che i big lottino per prendere la maglia già alla settima tappa: la corsa diventerebbe dura da controllare. I chilometri sono tanti e senza salite impegnative prima, Roccaraso è facile, quindi sarà una tappa per attaccanti. Del Giau ho già detto: chi vuole attaccare deve avere per forza un punto d’appoggio in vista del Falzarego. Questa nel complesso è una tappa molto dura: prima del Giau ci sono già altre salite e siamo nel pieno della terza settimana, quando la fatica si fa sentire.

Andiamo avanti. Da Carì cosa ti aspetti?

Può incidere molto sull’economia del Giro d’Italia. Salita esplosiva che arriva dopo il giorno di riposo: può creare scompiglio. E’ quasi una tappa da Vuelta. Può esserci spettacolo, possono esserci distacchi, anche perché su quelle pendenze se si attaccano presto si può fare una gran differenza. Senza contare che arriva dopo il giorno di riposo, un’incognita ulteriore.

4 salite Giro 2026
Il Giro ha affrontato il Giau l’ultima volta nel 2023, ma memorabile fu l’impresa di Bernal sotto la neve due anni prima
4 salite Giro 2026
Il Giro ha affrontato il Giau l’ultima volta nel 2023, ma memorabile fu l’impresa di Bernal sotto la neve due anni prima
L’ultima è Piancavallo…

La resa dei conti. Bisogna fare i conti con le energie rimaste. Va presa di petto, soprattutto nel secondo passaggio. Si può fare forte anche al primo, ma lì serve un punto d’appoggio, perché tra la prima e la seconda scalata ci sono 25 chilometri di pianura. Dipenderà tanto anche dal tipo di fuga che ci sarà… ammesso che ci sarà. E’ una salita che, arrivando a fine Giro, può incidere molto se affrontata forte.

Quali sono le tue salite preferite tra queste? E che ricordi hai?

Faccio fatica a scegliere, perché ce ne sono due tra le mie preferite in assoluto: Blockhaus e Giau. Vado sul ricordo più recente, legato alla mia “carriera 2.0”, quella dopo l’incidente del 2019. Sul Blockhaus nel 2022 ebbi una delle poche possibilità di giocarmi veramente la vittoria: non mi capitava più tanto spesso. Ricordo che andai forte e fui soddisfatto della mia prestazione. In più ero contento anche per Valentino Sciotti perché, in qualche modo, correvo a casa sua e la sua azienda era sponsor. Ma anche del Giau ho ricordi speciali.

4 salite Giro 2026
Nel 2020 la Sunweb di Hindley e Kelderman prese a tutta Piancavallo per mettere in crisi Almeida
4 salite Giro 2026
Nel 2020 la Sunweb di Hindley e Kelderman prese a tutta Piancavallo per mettere in crisi Almeida
Raccontaci di questa scalata dolomitica…

Giro 2012, ricordo che ci scambiammo dei “colpi di fioretto” con Michele Scarponi. La tappa arrivava a Cortina, se ricordo bene vinse Purito, io feci sesto. L’ultimo chilometro e mezzo del Giau mi misi a tirare, anche perché ero un po’ indietro in classifica: eravamo rimasti in pochi e a me andava bene così. Infatti transitai in testa. Di entrambe queste salite ho un bel ricordo. Però, se devo dirla tutta, c’è un’altra salita che bisognerebbe aggiungere.

Prego…

Secondo me, come numeri la salita più difficile di questo Giro è la Montagna Grande di Viggiano (nella quinta tappa, ndr), tra l’altro nelle mie zone d’origine e ancora di più in quelle di Alessandro Verre. Le salite menzionate prima saranno le più incisive, ma come pendenza media la Montagna Grande di Viggiano è l’unica superiore al 10 per cento di tutta la corsa rosa. E chissà che non ci faccia un salto prima del Giro… magari fisso anche un KOM!

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L’ultimo Giro firmato Vegni. «Lascio una corsa in salute»

07.12.2025
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ROMA – E’ un momento che il ciclismo italiano sapeva sarebbe arrivato, ma che in pochi erano pronti a vivere davvero: Mauro Vegni va in pensione a febbraio e chiude un ciclo lunghissimo. Iniziato (e finito) con RCS Sport e al timone del Giro d’Italia, la corsa che più di ogni altra ha segnato la sua vita professionale. Lo abbiamo incontrato a Roma, pochi minuti prima che salisse sul palco dell’Auditorium per presentare il percorso 2026, l’ultimo che porta la sua firma. Sullo sfondo c’era l’emozione composta di chi sa di aver lasciato un segno profondo e insieme la serenità di chi sente di aver dato tutto. «Ma ho anche ricevuto tanto», ci tiene a ribadire.

Vegni, addio RCS Giro
L’abbraccio sincero con Cassani. Vegni lascia dopo 31 anni di RCS e 13 come direttore del Giro
Vegni, addio RCS Giro
L’abbraccio sincero con Cassani. Vegni lascia dopo 31 anni di RCS e 13 come direttore del Giro

Le sue parole raccontano l’orgoglio di un direttore che ha gestito trasformazioni, crisi, alcune delle quali nerissime come il blitz di Sanremo 2001, nuove partenze, nuovi stili di tappa e persino cambiamenti climatici… Il tutto in uno Sport e nella sua diffusione mediatica che si stanno evolvendo alle velocità della luce. Vegni stesso ad altre testate ha detto di aver iniziato che le medie erano di 37-38 all’ora ed ora si va a 44. E poi le esigenze dei team: tanti più mezzi, regolamenti e leggi stradali più stringenti.

Vegni Giro 2021
Vegni ha spesso dovuto dribblare mille problemi: la neve, gli scioperi e persino il Covid, spostando la corsa rosa ad ottobre. Era il 2020
Vegni Giro 2021
Vegni ha spesso dovuto dribblare mille problemi: la neve, gli scioperi e persino il Covid, spostando la corsa rosa ad ottobre. Era il 2020
Mauro, insomma, ci siamo. L’addio dopo tantissimi anni. A proposito, quanti sono?

Sono 31 anni. Trentuno anni di questa azienda, RCS Sport, e 31 anni di Giro d’Italia (il primo come direttore è del 2012, ndr). E’ arrivato il momento di dire basta.

Che Giro lascia?

Lascio un Giro in salute. Quello che viene per me sarà sicuramente una bella corsa rosa, che lascia spazio a più soluzioni, poi come al solito sono i corridori che fanno grande una corsa o meno. Però credo che gli ingredienti ci siano tutti per assistere ad una bella corsa.

Ha detto un Giro in salute: c’è qualcosa, in tanti anni, che le è rimasto in sospeso? Qualcosa che non è riuscito a fare?

Purtroppo i desideri sono qualcosa che rimane nella testa, però devi sempre combattere con la realtà delle cose. E su quella posso dire che mi sento a posto per quello che ho fatto.

L’arrivo a Roma? Una vera perla della direzione di Vegni (speriamo permanente)
L’arrivo a Roma? Una vera perla della direzione di Vegni (speriamo permanente)
Qual era uno di questi desideri?

Mi sarebbe piaciuto accorciare un po’ di più il gap che c’è tra Giro e Tour. Lo dico apertamente, mi sarebbe piaciuto ridurlo. Questo è uno dei desideri, delle cose da fare, che avrei voluto affrontare fino in fondo. Però è un discorso ampio, lungo e complesso.

Possiamo capire. Bisognerebbe tirare in ballo sponsor, politica… E invece il fiore all’occhiello? La cosa che l’ha resa più soddisfatta?

Ce ne sono tante. Forse per primo mi viene in mente il Giro del 2017, quello dei cent’anni. In quell’edizione abbiamo toccato le due isole maggiori per poi risalire al Nord. Fu un Giro complesso da realizzare, ma certamente importante. E un altro è stato andare per primi fuori continente per la Grande Partenza quando la corsa rosa scattò da Israele.

Uno possiamo suggerirglielo noi? L’arrivo di Roma: come si dice oggi è “tanta roba”…

Eh – sorride compiaciuto Vegni – è una eredità che si può lasciare. E’ tanta roba, soprattutto dopo quest’anno in cui abbiamo in qualche modo celebrato il nuovo Pontefice. Siamo stati i primi sportivi, il primo evento, a essere ricevuti come Giro d’Italia dal Papa. Non credo sia qualcosa che succeda spesso.

La vittoria di Marco Pantani a Montecampione nel 1998 è forse l’immagine simboli del legame fra il Pirata e il Giro. E lo è anche per Vegni
La vittoria di Marco Pantani a Montecampione nel 1998 è forse l’immagine simboli del legame fra il Pirata e il Giro. E lo è anche per Vegni
Com’è nata quella giornata? Ci racconti…

E’ una storia lunga. Attraverso alcuni personaggi importanti vicini al ciclismo, siamo entrati in contatto con persone del Vaticano alle quali l’idea è piaciuta. L’hanno portata avanti con noi, l’hanno proposta al Papa e lui ha accettato. E così siamo riusciti a creare quella giornata in cui il Papa stesso ha benedetto la carovana del Giro.

E’ cambiato il suo lavoro in questi 31 anni? Se si volta indietro, che differenze vede?

E’ cambiato notevolmente. L’investimento di tempo, rispetto a 30 anni fa è almeno 7-8 volte superiore. Adesso tutto ciò che riguarda pratiche amministrative è veramente complicato, anche perché devi dare conto a tutti: poteri pubblici, questura, prefettura, ordine e sicurezza pubblica, squadre… E’ diventato molto complesso, credetemi.

In 31 anni di Giro d’Italia avrà visto tanti campioni dal tettuccio dell’auto di direzione corsa: se chiude gli occhi, chi le viene in mente?

Me ne vengono in mente due in particolare: Marco Pantani e Alberto Contador (con lui nella foto di apertura, ndr), però Marco era… oltre. Era qualcosa che aggregava tutti. L’altro, Contador, è perché è stato un grande campione ma anche un grande uomo: posso dirlo per il modo in cui ci relazionavamo. Entrambi hanno saputo infiammare per davvero la gente che vedevo a bordo strada.

Cosa augura alla “sua” corsa?

Che chi mi seguirà riuscirà a fare ancora meglio. Questo è il mio grande desiderio.