ROMA – E’ un momento che il ciclismo italiano sapeva sarebbe arrivato, ma che in pochi erano pronti a vivere davvero: Mauro Vegni va in pensione a febbraio e chiude un ciclo lunghissimo. Iniziato (e finito) con RCSSport e al timone del Giro d’Italia, la corsa che più di ogni altra ha segnato la sua vita professionale. Lo abbiamo incontrato a Roma, pochi minuti prima che salisse sul palco dell’Auditorium per presentare il percorso 2026, l’ultimo che porta la sua firma. Sullo sfondo c’era l’emozione composta di chi sa di aver lasciato un segno profondo e insieme la serenità di chi sente di aver dato tutto. «Ma ho anche ricevuto tanto», ci tiene a ribadire.
L’abbraccio sincero con Cassani. Vegni lascia dopo 31 anni di RCS e 13 come direttore del GiroL’abbraccio sincero con Cassani. Vegni lascia dopo 31 anni di RCS e 13 come direttore del Giro
Le sue parole raccontano l’orgoglio di un direttore che ha gestito trasformazioni, crisi, alcune delle quali nerissime come il blitz di Sanremo 2001, nuove partenze, nuovi stili di tappa e persino cambiamenti climatici… Il tutto in uno Sport e nella sua diffusione mediatica che si stanno evolvendo alle velocità della luce. Vegni stesso ad altre testate ha detto di aver iniziato che le medie erano di 37-38 all’ora ed ora si va a 44. E poi le esigenze dei team: tanti più mezzi, regolamenti e leggi stradali più stringenti.
Vegni ha spesso dovuto dribblare mille problemi: la neve, gli scioperi e persino il Covid, spostando la corsa rosa ad ottobre. Era il 2020Vegni ha spesso dovuto dribblare mille problemi: la neve, gli scioperi e persino il Covid, spostando la corsa rosa ad ottobre. Era il 2020
Mauro, insomma, ci siamo. L’addio dopo tantissimi anni. A proposito, quanti sono?
Sono 31 anni. Trentuno anni di questa azienda, RCS Sport, e 31 anni di Giro d’Italia (il primo come direttore è del 2012, ndr). E’ arrivato il momento di dire basta.
Che Giro lascia?
Lascio un Giro in salute. Quello che viene per me sarà sicuramente una bella corsa rosa, che lascia spazio a più soluzioni, poi come al solito sono i corridori che fanno grande una corsa o meno. Però credo che gli ingredienti ci siano tutti per assistere ad una bella corsa.
Ha detto un Giro in salute: c’è qualcosa, in tanti anni, che le è rimasto in sospeso? Qualcosa che non è riuscito a fare?
Purtroppo i desideri sono qualcosa che rimane nella testa, però devi sempre combattere con la realtà delle cose. E su quella posso dire che mi sento a posto per quello che ho fatto.
L’arrivo a Roma? Una vera perla della direzione di Vegni (speriamo permanente)L’arrivo a Roma? Una vera perla della direzione di Vegni (speriamo permanente)
Qual era uno di questi desideri?
Mi sarebbe piaciuto accorciare un po’ di più il gap che c’è tra Giro e Tour. Lo dico apertamente, mi sarebbe piaciuto ridurlo. Questo è uno dei desideri, delle cose da fare, che avrei voluto affrontare fino in fondo. Però è un discorso ampio, lungo e complesso.
Possiamo capire. Bisognerebbe tirare in ballo sponsor, politica… E invece il fiore all’occhiello? La cosa che l’ha resa più soddisfatta?
Ce ne sono tante. Forse per primo mi viene in mente il Giro del 2017, quello dei cent’anni. In quell’edizione abbiamo toccato le due isole maggiori per poi risalire al Nord. Fu un Giro complesso da realizzare, ma certamente importante. E un altro è stato andare per primi fuori continente per la Grande Partenza quando la corsa rosa scattò da Israele.
Uno possiamo suggerirglielo noi? L’arrivo di Roma: come si dice oggi è “tanta roba”…
Eh – sorride compiaciuto Vegni – è una eredità che si può lasciare. E’ tanta roba, soprattutto dopo quest’anno in cui abbiamo in qualche modo celebrato il nuovo Pontefice. Siamo stati i primi sportivi, il primo evento, a essere ricevuti come Giro d’Italia dal Papa. Non credo sia qualcosa che succeda spesso.
La vittoria di Marco Pantani a Montecampione nel 1998 è forse l’immagine simboli del legame fra il Pirata e il Giro. E lo è anche per VegniLa vittoria di Marco Pantani a Montecampione nel 1998 è forse l’immagine simboli del legame fra il Pirata e il Giro. E lo è anche per Vegni
Com’è nata quella giornata? Ci racconti…
E’ una storia lunga. Attraverso alcuni personaggi importanti vicini al ciclismo, siamo entrati in contatto con persone del Vaticano alle quali l’idea è piaciuta. L’hanno portata avanti con noi, l’hanno proposta al Papa e lui ha accettato. E così siamo riusciti a creare quella giornata in cui il Papa stesso ha benedetto la carovana del Giro.
E’ cambiato il suo lavoro in questi 31 anni? Se si volta indietro, che differenze vede?
E’ cambiato notevolmente. L’investimento di tempo, rispetto a 30 anni fa è almeno 7-8 volte superiore. Adesso tutto ciò che riguarda pratiche amministrative è veramente complicato, anche perché devi dare conto a tutti: poteri pubblici, questura, prefettura, ordine e sicurezza pubblica, squadre… E’ diventato molto complesso, credetemi.
In 31 anni di Giro d’Italia avrà visto tanti campioni dal tettuccio dell’auto di direzione corsa: se chiude gli occhi, chi le viene in mente?
Me ne vengono in mente due in particolare: Marco Pantani e Alberto Contador (con lui nella foto di apertura, ndr), però Marco era… oltre. Era qualcosa che aggregava tutti. L’altro, Contador, è perché è stato un grande campione ma anche un grande uomo: posso dirlo per il modo in cui ci relazionavamo. Entrambi hanno saputo infiammare per davvero la gente che vedevo a bordo strada.
Cosa augura alla “sua” corsa?
Che chi mi seguirà riuscirà a fare ancora meglio. Questo è il mio grande desiderio.
ROMA – Il Giro d’Italia è la grande news di questa settimana. La corsa rosa tiene banco e, in attesa dei programmi dei grandi corridori, non si può far altro che approfondire l’argomento. Magari proprio con un grandissimo ex corridore: Vincenzo Nibali.
Il percorso, i protagonisti, quella crono così lunga, l’assenza di salite “monster”. Come inciderà tutto ciò sulla corsa rosa? In particolare ci è piaciuto ascoltare lo Squalo su quella questione tattica che potrebbe svilupparsi proprio attorno alla crono qualora ci fosse al via Remco Evenepoel.
Vincenzo Nibali a Roma durante la presentazione del Giro d’ItaliaVincenzo Nibali a Roma durante la presentazione del Giro d’Italia
Le salite
Con Nibali si parte parlando proprio delle salite. Alla fine si rischia che la più dura sia il Blockhaus, tappa appenninica alla settima frazione. Per il resto le scalate non mancano, ma sembrano regolari. Salite che si affrontano sul filo o sopra i 20 all’ora.
«Per me – dice Nibali – la tappa di Alleghe, quindi l’arrivo a Piani di Pezzé, è la tappa più iconica, la tappa 5 stelle di questo Giro. Arriva nell’ultima settimana quando la stanchezza è palpabile. Quindi è durissima e l’arrivo è preceduto da tante scalate in successione tra cui la Cima Coppi, il Passo Giau. E poi c’è la tappa di Piancavallo che sarà dura. Abbiamo visto due anni fa cosa fece la doppia scalata del Grappa. Ma credo che la tappa di Alleghe sia un pochino più dura e definitiva. Poi magari in gara abbiamo visto che tante volte le cose sono cambiate, come l’anno scorso nella situazione di Simon Yates che ribaltò tutto sul Colle delle Finestre.
«L’ultima settimana invece è quella più dura, più complicata: è un crescere di tensione. Mi incuriosisce molto questa ripartenza dopo il secondo giorno di riposo con la tappa svizzera e il finale a Carì».
Remco ha già saggiato le strade della prossima crono rosa: è stato nella Tirreno 2022. Un punto a suo vantaggio?Remco ha già saggiato le strade della prossima crono rosa: è stato nella Tirreno 2022. Un punto a suo vantaggio?
La cronometro
Una sola tappa contro il tempo, ma lunga (40,2 chilometri) e piatta come un biliardo. Qui gli specialisti possono aprire davvero un bel varco e chiamare poi gli scalatori alla ribalta nelle frazioni successive. Una crono così lunga non si vedeva da un po’: quanto inciderà sulla corsa? E quanto sulla partecipazione dei big?
«Una cronometro così – va avanti Nibali – è sicuramente molto veloce perché è completamente pianeggiante. Per la mia esperienza la zona a volte è anche un po’ ventosa. Sarà interessante vedere come sarà la partenza degli uomini di classifica. Ma dopo il Blockhaus credo che partiranno comunque tutti molto vicini. «Pensando a questa crono vorrei vedere un Remco Evenepoel, sicuramente, e anche un Jonas Vingegaard. Sono i due nomi più importanti che reputo possano essere interessanti per il Giro d’Italia, specialmente Remco per fare un ritorno dopo aver abbandonato il Giro d’Italia qualche anno fa in modo non bellissimo la prima volta e dopo una caduta la seconda. Una crono tanto lunga non si vedeva da tempo ed è molto interessante. E’ la massima espressione della velocità: sono 40 chilometri completamente piatti e potrebbero essere un grande richiamo proprio per Remco».
«Io sono cresciuto in terra toscana, è un po’ casa mia. Quelle zone le conosco bene. Tante volte abbiamo affrontato lì la crono della Tirreno-Adriatico: non hanno insidie, però il vento quando soffia può incidere. A volte ha fatto bei disastri e tra un cronoman puro e uno che va bene ma non è specialista potrebbe ballare qualche minuto».
E questo davvero cambierebbe tutto. Davvero poi potremmo vedere un Giro frizzante che, con tappe non impossibili, si presterebbe bene allo spettacolo. Lo stesso Nibali ricorda come le tappe di Pila e Carì, ricche di dislivello ma corte, richiedano esplosività. E se non si è recuperato bene potrebbero essere più dure di un tappone “monster”.
Vingegaard ha avuto poco a che fare con l’Italia, ma con ottimi risultati. Esplose alla Coppi e Bartali del 2021 e vinse la Tirreno 2024. Eccolo sul PetranoVingegaard ha avuto poco a che fare con l’Italia, ma con ottimi risultati. Esplose alla Coppi e Bartali del 2021 e vinse la Tirreno 2024. Eccolo sul Petrano
Quali protagonisti?
Uno dei temi emersi dopo la presentazione di questo Giro d’Italia è quello secondo cui, non essendo così duro, consentirebbe poi di andare al Tour de France. In tanti dicono che sia stato disegnato pensando a Vingegaard. Ma vedendo il percorso, salgono, e non poco, le quotazioni di vedere Evenepoel al via in Bulgaria
Però un “vantaggio”, circa la presenza del danese, c’è: la possibilità di battere in qualche modo l’eterno rivale Tadej Pogacar. Potrebbe essere infatti Jonas il primo tra i due a mettere a segno la “sacra corona”: Giro, Tour, Vuelta.
«E’ un Giro d’Italia equilibrato – riprende Nibali – come ho detto, ma anche se non è durissimo è accattivante. E’ un Giro che lascia spazio anche a chi vuole proseguire la stagione andando al Tour. Secondo me è un Giro intelligente sotto questo punto di vista.
Vingegaard bisogna vedere se ci sarà. La sua conferma immagino sia legata anche a quella eventuale di Simon Yates, che è il vincitore uscente. Potrebbe stuzzicarlo l’idea di essere il primo a vincere tutti e tre i Grandi Giri. Questo gli darebbe grande risalto. Ha vinto la Vuelta qualche mese fa e potrebbe ripetersi. E poi non me ne vogliano, ma scontrarsi con Pogacar di questi tempi è… come dire, un po’ complicato! Mai partire battuti, però se dovessi pensare a una tattica relativa al calendario penserei seriamente al Giro. Ma poi domando io: chi ci sarà? E se venisse Del Toro? Lui avrebbe il dente avvelenato. Carapaz cosa farà: ritornerà? Perché ci sarebbero anche i protagonisti dell’anno scorso.
Valerio Conti è sparito dalle scene. Pochi sapevano della caduta di Murcia e della recentissima febbre. Ma lui non molla. E punta deciso sul Giro d'Italia
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ROMA – Atteso, sognato, spoilerato, ma finalmente eccolo il Giro d’Italia numero 109 della storia. Un Giro accattivante e certamente duro, ma che sin da subito non sembra essere affatto impossibile. E questo, stando a quel che dicono gli atleti, potrebbe essere sinonimo di maggior spettacolo… specie se ci dovessero essere alcuni attesi protagonisti, due su tutti: Tadej Pogacar e, molto più probabilmente, Jonas Vingegaard.
Tappa
Partenza-Arrivo
Distanza
1ª tappa (8/5)
Nessebar-Burgas
km 156
2ª tappa (9/5)
Burgas-Veliko Tarnovo
km 220
3ª tappa (10/5)
Plovdiv-Sofia
km 174
Primo riposo (11/5)
4ª tappa (12/5)
Catanzaro-Cosenza
km 144
5ª tappa (13/5)
Praia a Mare-Potenza
km 204
6ª tappa (14/5)
Paestum-Napoli
km 161
7ª tappa (15/5)
Formia-Blockhaus
km 246
8ª tappa (16/5)
Chieti-Fermo
km 159
9ª tappa (17/5)
Cervia-Corno alle Scale
km 184
Secondo riposo (18/5)
10ª tappa (19/5)
Viareggio-Massa (crono ind.)
km 40,2
11ª tappa (20/5)
Porcari-Chiavari
km 178
12ª tappa (21/5)
Imperia-Novi Ligure
km 177
13ª tappa (22/5)
Alessandria-Verbania
km 186
14ª tappa (23/5)
Aosta-Pila
km 133
15ª tappa (24/5)
Voghera-Milano
km 136
Terzo riposo (25/5)
16ª tappa (25/5)
Bellinzona (Svi)-Carì (Svi)
km 113
17ª tappa (26/5)
Cassano d’Adda-Andalo
km 200
18ª tappa (27/5)
Fai della Paganella-Pieve di Soligo
km 166
19ª tappa (28/5)
Feltre-Alleghe (Pian di Pezzè)
km 151
20ª tappa (29/5)
Gemona del Friuli-Piancavallo
km 199
21ª tappa (30/5)
Roma-Roma
km 131
Totale km 3.458,2
All’Auditorium Parco della Musica, dove si è scoperto il percorso del Giro, il danese non c’è. Al suo posto c’è il compagno Simon Yates, la maglia rosa uscente. Ha le “guanciotte”, l’inglese: per adesso va bene così. Lancia ancora messaggi d’amore alla corsa rosa, dice come custodisca il Trofeo Senza Fine quasi come un totem, ma non rivela nulla sui suoi piani futuri e su quelli della sua squadra.
Ma andiamo al percorso. Si parte dalla Bulgaria e più precisamente da Nessebar, e si arriverà a Roma dopo 21 tappe, 3.459 chilometri e circa 50.000 metri di dislivello. Nessebar è una cittadina di circa 15.000 abitanti, una sorta di Rimini della Bulgaria, le cui coste sono bagnate dal Mar Nero. La prima volta che ebbe a che fare con “l’Italia” fu nel 71 avanti Cristo, quando venne conquistata dai romani. A distanza di 2.100 anni, più o meno, vi ritorniamo per esportare una delle perle del Belpaese: la corsa rosa.
Tre tappe in Bulgaria, dunque, come ormai è prassi quando un Grande Giro scatta dall’estero. Un via veloce, ma con un urlo nel finale della seconda frazione: uno strappo di 3,5 chilometri al 7,5 per cento. Poi arrivo nella splendida capitale bulgara, Sofia.
Si arriva in Italia e si risale la Penisola dal Sud: Catanzaro è la prima località italiana a ospitare il Giro. Tappe mosse e veloci solo su carta. Quella di Potenza, come sempre sarà una volata che gli sprinter dovranno sudarsi.
La musica cambia radicalmente con la settima tappa, la più lunga dell’intero Giro: la Formia – Blockhaus di 246 chilometri, con l’arrivo sulla mitica montagna abruzzese. Una delle scalate più toste dell’intera corsa 2026, tanto più che la si affronta dal versante di Roccamorice, quello più “cattivo”. Il Blockhaus dà il via a una tripletta niente male, tutta appenninica, con anche i muri di Fermo e l’arrivo di Corno alle Scale.
Questa tripletta farà sì che il gruppo arrivi alla cronometro individuale Viareggio – Massa, l’unica in lista, con la classifica già abbastanza delineata. La crono, dopo il giorno di riposo, potrà dare una grossa mano agli specialisti. E’ alquanto lunga visti i tempi moderni, 40,2 chilometri, e del tutto pianeggiante. Il nostro pensiero va ai Giri dell’epoca di Miguel Indurain.
Si va verso il finale della settimana attraverso tappe perfette per velocisti e uomini da fuga, prima del terzo grande arrivo a Pila, la montagna di Aosta. E’ una salita “da Tour”, con strada relativamente larga e pendenza regolare: 17 chilometri al 7 per cento. Un arrivo non impossibile ma duro. Pila è una di quelle scalate dove chi ha gamba può fare una bella differenza. Ma soprattutto, Pila arriva dopo una frazione tostissima: di 133 chilometri e oltre 4.400 metri di dislivello. Una frazione così può fare davvero tanto male.
16ª tappa (tutta in Svizzera), Bellinzona-Carì, 113 chilometri17ª tappa, Cassano d’Adda-Andalo, 200 chilometri18ª tappa, Fai della Paganella-Pieve di Soligo, 166 chilometri19ª tappa, Feltre-Alleghe (Pian di Pezzè, Montagna Pantani), 151 chilometri20ª tappa, Gemona del Friuli-Piancavallo, 199 chilometri21ª tappa, Roma-Roma, 131 chilometri16ª tappa (tutta in Svizzera), Bellinzona-Carì, 113 chilometri17ª tappa, Cassano d’Adda-Andalo, 200 chilometri18ª tappa, Fai della Paganella-Pieve di Soligo, 166 chilometri19ª tappa, Feltre-Alleghe (Pian di Pezzè, Montagna Pantani), 151 chilometri20ª tappa, Gemona del Friuli-Piancavallo, 199 chilometri21ª tappa, Roma-Roma, 131 chilometri
Le Dolomiti e Roma
Dopo l’arrivo di Milano e il terzo, ed ultimo, giorno di riposo, l’ultima settimana si apre con la brevissima ma intensa Bellinzona – Carì: pertanto c’è un nuovo sconfinamento, in Svizzera. La salita di Carì è dura e potrebbe quasi essere la sorpresa di questa corsa: misura 11 chilometri e ha una pendenza media superiore all’8 per cento. Senza contare che arriva dopo il giorno di riposo. Questa frazione, e le due successive perfette per le fughe, porta agli ultimi due grandi tapponi.
Il primo di questi è la Feltre – Alleghe, più precisamente a Piani di Pezzè, affrontando nell’ordine Duran, Staulanza, Giau – che sarà Cima Coppi – e Falzarego prima dell’arrivo. Il Giro d’Italia n. 109 si deciderà però a Piancavallo, con la doppia scalata della montagna friulana. Una curiosità: ancora una volta c’è una salita nel segno di Marco Pantani. Il Pirata vinse infatti sia a Piancavallo nel 1998, iniziando la rimonta nei confronti di Alex Zulle, sia a Piani di Pezzè dove conquistò il Giro dilettanti.
Il gran finale? Ancora a Roma. E’ il quarto anno consecutivo. «Speriamo che possa essere qualcosa di permanente così come Parigi è per il Tour de France», ha detto l’assessore dello Sport di Roma, Alessandro Onorato.
Simon Yates ha detto che vorrebbe esserci, ma prima dovrà vedere i programmi con la sua Visma-Lease a Bike. Il percorso però gli piaceSimon Yates ha detto che vorrebbe esserci, ma prima dovrà vedere i programmi con la sua Visma-Lease a Bike. Il percorso però gli piace
Non solo scalatori?
La mix zone dell’Auditorium si trasforma in una sorta di “Processo alla tappa”. Si cerca di capire se sarà duro, per chi sarà più congeniale e magari fare qualche nome. La nostra sensazione è che sia un Giro d’Italia equilibrato. Ci sono quattro scalate che più di altre potranno essere decisive: Blockhaus, Pila, Carì e Piancavallo. Ma nel complesso la terza settimana sembra più “morbida” del solito, specie nelle tappe finali. Manca la tripletta classica e chissà che non possa essere un bene per lo spettacolo e gli attacchi.
Altra considerazione, che magari a molti non piacerà: torna una vera tappa lunga all’interno di un Grande Giro. La Formia – Blockhaus misura 246 chilometri. Era da un po’ che non si aveva più il coraggio di proporre una frazione tanto lunga. Anche VincenzoNibali l’ha sottolineato. E’ il regalo di Mauro Vegni, che ha firmato la sua ultima creatura rosa? Forse… A noi una, sottolineiamo una, frazione così lunga piace. Aiuta a fare emergere gli uomini di fondo e chi ha doti di recupero. In tutto, le frazioni oltre i 200 chilometri sono quattro.
A questa dose di “vintage” si contrappone il moderno della frazione di Aosta: 4.400 metri di dislivello in 133 chilometri sono numeri che fanno tremare le gambe a tutti, soprattutto agli sprinter.
E’ quindi un Giro esclusivo per scalatori? Un cronoman come Remco Evenepoel, per esempio, non potrebbe scavare un solco importante e poi correre sulla difensiva? Non è stato un caso se prima abbiamo pensato ad Indurain. Vedremo chi vi parteciperà e che corsa, anche tatticamente, ne verrà fuori. Il terreno per attaccare o difendersi c’è tutto. Non resta che attendere l’8 maggio.
MILANO – Il quarto appuntamento dell’evento “Come Corre la Bike Economy” promosso dalla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza e Lodi, ha portato al centro del dibattito la bicicletta e le possibilità ad essa collegate per costruire un futuro più sostenibile. Il mondo delle due ruote arriva da un quadriennio di crescita costante, e le proiezioni parlano di una progressione sempre più forte e solida. La Bike Economy è una delle economie più dinamiche al mondo, che nel 2019 ha mosso 55 miliardi di euro, mentre nel 2032 si prospetta che il mercato possa arrivare a un valore complessivo di 232 miliardi di euro.
Il cuore di questo progetto e del movimento legato alla bike economy sono le piccole e medie imprese, attori capaci di rivoluzionare il mercato del lavoro e quello tecnologico. Da sempre la bicicletta è uno strumento antico e allo stesso tempo capace di innovare e rinnovarsi. Le emozioni che ci legano al passato e alle gesta dei grandi campioni ci ricordano che la sua forma non cambia, ma la sua struttura è ormai profondamente mutata.
Il Giro d’Italia nel corso degli anni ha portato il ciclismo in luoghi iconici del nostro Paese, qui alla Reggia di Venaria nel 2024Il Giro d’Italia nel corso degli anni ha portato il ciclismo in luoghi iconici del nostro Paese, qui alla Reggia di Venaria nel 2024
Il territorio
Protagonisti di uno dei quattro momenti di confronto, che hanno visto alternarsi sul palco diversi attori della Bike Economy, sono stati Paolo Bellino, CEO e General Manager di RCS Sport & Events, Roberto Salvador, Giro-E Director e Davide Cassani, Ambassador di Suzuki Bike Day (i tre sono insieme nella foto di apertura).
E’ toccato a Paolo Bellino il delicato compito di introdurre all’interno del contesto quello che è il valore di una corsa come il Giro d’Italia (che proprio oggi presenterà il percorso del 2026). L’evento sportivo che da 108 edizioni porta l’Italia e le sue bellezze in tutto il mondo, diventando una vetrina per i territori attraversati.
«Il Giro d’Italia – racconta Bellino – è da sempre l’evento più duro al mondo che si corre nel Paese più bello. Nel corso delle edizioni del 2023 e del 2025 abbiamo avuto modo, grazie a Banca Ifis, di constatare il valore di questo evento, che nell’ultima edizione è stato di oltre due miliardi di euro. Il Giro non è solo economia, è anche emozioni e sostenibilità. In ogni città di tappa portiamo avanti dei progetti legati al riciclo e siamo arrivati a numeri superiori al 92 per cento. L’attenzione al territorio è fondamentale per noi, un aspetto importante è quello legato a cosa lasciamo nei comuni attraversati. Abbiamo visto che il passaggio di una corsa come il Giro d’Italia porta un incremento del quaranta per cento dell’utilizzo della bicicletta. Sono numeri incoraggianti, che ci spingono a continuare e proseguire con il nostro percorso».
La Corsa Rosa riversa sulle strade milioni di appassionati ogni anno La Corsa Rosa riversa sulle strade milioni di appassionati ogni anno
Elettrico e divertimento
Dal 2019, quando fece il suo esordio accanto al Giro d’Italia, il Giro-E è cresciuto a dismisura, diventando un vero evento nell’evento. Pedalare grazie al supporto di un motore sulle strade dove a poche ore di distanza si sarebbero affrontati i grandi campioni si è rivelata una mossa tanto semplice quanto azzeccata. Nel corso degli anni il Giro-E ha toccato tutta la nostra penisola, diventando uno spot per chi non ha mai avuto il coraggio di spingersi oltre la propria immaginazione.
«Il nostro evento – spiega Roberto Salvador – si è rivelato anche un solido test per le biciclette elettriche, dimostrando che grazie allo sviluppo tecnologico portato avanti in questi anni nessuna salita è impossibile. Abbiamo anche vinto quella che era la ritrosia di molti appassionati, la e-bike permette di godere della pedalata e dei paesaggi circostanti. L’utente ha modo di alzare lo sguardo e rimanere incantato dai territori nei quali pedala. Con il Giro-E siamo riusciti a portare soggetti diversi, non tutti ciclisti o appassionati, e la cosa incredibile che abbiamo notato è che chi pedala in certi luoghi torna. Lo stesso vale per gli spettatori a bordo strada o a casa, il ciclismo professionistico e le gesta dei grandi campioni sono uno spot unico capace di valorizzare e rendere iconiche certe aree del Paese».
Il Giro-E ha preso sempre più piede anche grazie agli ex-ciclisti professionisti, qui Sacha Modolo (foto Instagram)Il Giro-E ha preso sempre più piede anche grazie agli ex-ciclisti professionisti, qui Sacha Modolo (foto Instagram)
Suzuki
L’ultima parola è toccata a Davide Cassani, figura di riferimento del ciclismo italiano, ambassador di Suzuki Bike Day. Un evento nato cinque anni fa (la prima edizione è avvenuta nel 2021) e volto a promuovere l’utilizzo della bici allo scopo di valorizzare i territori attraversati.
«Siamo partiti con un ritrovo a Carpegna – racconta Cassani – tra Emilia-Romagna e Marche, con l’obiettivo di radunare chi ama pedalare e trovare un punto di contatto con il territorio. Poi, grazie al supporto di Suzuki ci siamo spostati all’Autodromo di Imola. Il senso era di unire il mondo dei motori con quello della bici. Negli anni il Suzuki Bike Day è cresciuto così tanto che abbiamo deciso di spostarci e arrivare all’Autodromo di Monza. In un territorio che ama la bici ma presenta delle difficoltà maggiori a livello di logistica. Devo ammettere però che vedere tanti appassionati (si parla di 2.500 partecipanti, ndr) ci ha fatto capire di essere sulla buona strada».
Il Suzuki Bike Day ha cambiato location nel 2025, portando il suo format sempre molto apprezzato anche in BrianzaIl Suzuki Bike Day ha cambiato location nel 2025, portando il suo format sempre molto apprezzato anche in Brianza
Momento cruciale
“La bicicletta è il termometro di un Paese”, è un tema che si è ripetuto spesso durante l’incontro avvenuto il 27 novembre scorso presso il Palazzo Giureconsulti a Milano, a due passi dalla frenesia di Piazza Duomo che si prepara ad accogliere le prossime Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026.
Mai come ora la bicicletta è sinonimo di transizione e di un futuro più attento a quelle che sono le politiche sociali ed economiche di un Paese. E mentre a Roma qualche settimana la protesta contro le ciclabili e le zone 30 nelle città, portata avanti da Fratelli d’Italia, finiva con una partecipazione misera l’Italia continua a pedalare. I passi da fare sono sotto gli occhi di tutti, le politiche portate avanti sono servite come prima spinta a far emergere un’esigenza di una mobilità diversa, dolce. Ma gli avvenimenti degli ultimi giorni, con la morte di Viola Mazzotti a Bologna, investita da un camion mentre stava percorrendo un attraversamento ciclabile, ci fanno capire che molto ancora c’è da fare.
La bicicletta spinge per emergere, tante realtà territoriali se ne sono accorte e ne stanno facendo il fulcro del proprio turismo. Ora è necessaria una strategia che possa coinvolgere tutti gli attori al fine di realizzare infrastrutture capaci di collegare in modo sicuro, continuo e intermodale i vari snodi turistici ed economici del Paese.
Il 2025 di Alessandro Verre, ciclisticamente parlando, è finito prima del previsto a causa di una caduta tanto sfortunata quanto fortunata allo stesso tempo. Durante uno degli ultimi allenamenti della stagione, al termine di una Vuelta corsa all’attacco, una buca a 300 metri da casa gli ha fatto scivolare le mani dal manubrio. Da lì la caduta, la scapola e due costole rotte. Tanto dolore e la fine anticipata delle corse, ma fortunatamente nessuna complicazione ulteriore.
«Dovevo prendere parte alla Cro Race – racconta il corridore lucano – e al Lombardia, ma ho dovuto saltare entrambi. E’ stato un periodo strano perché di colpo mi sono trovato forzatamente in “vacanza” mentre gli altri correvano. Il giorno del Lombardia (il 12 ottobre scorso, ndr) è stato quello in cui sono tornato sui rulli per muovere un po’ le gambe».
Alessandro Verre durante l’ultima Vuelta ha indossato per qualche tappa la maglia pois dedicata ai GPMAlessandro Verre durante l’ultima Vuelta ha indossato per qualche tappa la maglia pois dedicata ai GPM
Sicuramente un ottobre diverso…
Sì anche perché con una scapola e due costole rotte non avevo modo di fare le mie solite vacanze. Sono rimasto a casa, a riposo completo. Durante l’inverno è difficile che io rimanga fermo completamente, tra camminate e gite ho sempre fatto qualcosa. Quest’anno con il braccio immobilizzato non potevo fare nulla, nemmeno guidare per spostarmi da casa.
Adesso hai ripreso?
Stavo aspettando che aprisse la palestra, da una settimana e mezzo ho iniziato la preparazione ma in maniera abbastanza tranquilla. Adesso sto ancora evitando esercizi di carico come il bilanciere, per non gravare troppo sulla scapola, preferisco usare i macchinari.
Verre in azione sul Colle delle Finestre durante la 20ª tappa del Giro 2025, terminata al secondo postoVerre in azione sul Colle delle Finestre durante la 20ª tappa del Giro 2025, terminata al secondo posto
Un finale indesiderato, ma per il resto che stagione è stata?
Ho capito tante cose, in generale che la salute deve essere sempre al primo posto. E’ inutile inseguire una condizione se non si ha modo di raggiungere un buon livello. Dopo l’Australia, a inizio anno e al Giro è stato così. Inoltre ho avuto il Covid dopo il Giro di Polonia, mi ero negativizzato ma ho fatto parecchia fatica a tornare in forma.
Devo essere sincero: no. Forse si è notata maggiormente a fine stagione, quando si era capito che per il prossimo anno non si erano trovate soluzioni utili. Durante tutto l’anno il team ha sempre manifestato una certa fiducia nel poter risolvere la cosa. Io ero comunque in scadenza di contratto, di conseguenza stavo cercando una sistemazione in vista del 2026.
L’Arkea B&B Hotels ha lottato fino all’ultimo per riuscire a proseguire con l’attività (foto Getty)L’Arkea B&B Hotels ha lottato fino all’ultimo per riuscire a proseguire con l’attività (foto Getty)
Come l’hai vissuta questa ricerca?
Dopo il Giro (concluso con il secondo posto nella tappa del Sestriere, ndr) sembravano esserci tante squadre interessate. Ma poi non si è concretizzato nulla, magari anche perché è mancata continuità di prestazioni da parte mia.
Sono felice di tornare dove sono stato bene, l’ambiente lo conosco e da parte loro ho visto una gran voglia di crescere. Mi fa piacere anche entrare a far parte di una realtà in continuo sviluppo, dove potrò lavorare con gente nuova e ambiziosa. Il team sa cosa vuole e io so quel che cercano da me. Penso e credo che i risultati possono arrivare lavorando bene e uniti.
Hai mai pensato di aver lasciato la Colpack troppo presto?
Ci ho pensato, ma non credo di essere diventato professionista troppo presto. Alla fine sono andato a correre in una formazione professional che mi ha fatto crescere anno dopo anno. Nella mia prima stagione non ho praticamente fatto gare di categoria WorldTour, è stato un cammino progressivo. Senza considerare che il professionismo è un treno che passa una volta sola nella vita.
Verre torna e vestire i colori della Colpack, ora diventata MBH Bank-Ballan-Csb, che dal 2026 sarà professionalVerre torna e vestire i colori della Colpack, ora diventata MBH Bank-Ballan-Csb, che dal 2026 sarà professional
Ti sei sentito di salire al volo?
Quando è arrivata la chiamata mi hanno contattato per i risultati ottenuti, chi mi avrebbe mai garantito che sarei riuscito a replicarli? Inoltre ho avuto quattro anni per dimostrare di essermi meritato il passaggio. Ero anche l’unico italiano in una squadra straniera, a volte aver qualcuno con cui parlare e scambiare idee può essere utile.
C’è voglia di ripartire e dimostrare il tuo valore?
Assolutamente, a gennaio faremo un primo ritiro in Spagna e già ora voglio fare un bell’inverno in cui gettare delle solide basi. Non ho fretta, mi godo ancora un po’ di tranquillità prima di rimettermi in gioco.
Prima Affini sulla festa Jumbo, ora Puccio sulla serata Ineos dopo il Lussari. La malinconia di Thomas. La strada della crono. E qualche birra per ripartire
Quello che ci ha raccontato Marta Cavalli l’ha confermato Jonas Vingegaard. La sua visione del ciclismo è certamente estrema: il solo modo per partecipare è poter vincere. Ma il danese, che ha vinto la Vuelta dopo essere arrivato secondo al Tour, ha ben spiegato a L’Equipe perché sia stato importante vincere in Spagna. Non tanto per la vittoria di un Grande Giro in sé, quanto per la sensazione di aver ripreso la traiettoria spezzata dall’incidente al Giro dei Paesi Baschi 2024. E anche in questo caso, non tanto per la gravità dell’infortunio, quanto per ciò che ha significato essersi dovuto fermare per dei mesi.
«Ritrovare la condizione ha richiesto tempo – ha spiegato il leader della Visma-Lease a Bike – rimettermi in sella, ma soprattutto tornare al livello a cui ero prima della caduta. Credo di averlo ritrovato. Da quello che vedo nei miei dati, sono in grado di generare la stessa potenza di prima. Ma anche il ciclismo si evolve, quindi in un certo senso per tornare ai livelli di prima c’è voluto un anno e mezzo, in cui invece avrei potuto lavorare per progredire. Prima della caduta ero in forte crescita, stavo progredendo molto velocemente, quindi spero di essere tornato su quella traiettoria. Bisognerà vedere se migliorerò ancora e farò assolutamente tutto il possibile perché ciò accada».
Il ciclismo dei primi è un treno che va veloce, un gruppo costantemente in fuga. Essere costretto a scenderne significa aspettare il gruppo successivo, che va più piano. E per rientrare su quelli di testa c’è da fare una fatica non comune. Chi ci riesce torna a brillare, gli altri devono rassegnarsi. Per una semplice frattura dello scafoide, nel 2023 Pogacar perse il Tour de France. Non sono scuse, sono le regole del ciclismo che non aspetta.
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a cronoIl Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono
Il sogno del Giro
Che cosa ci sarà nel 2026 di Vingegaard? Il Tour resta lo snodo centrale e decisivo. Al contempo la vittoria della Vuelta ha fatto capire al danese e alla sua squadra che sia saggio monetizzare il lavoro portando a casa quel che Pogacar non ha in animo di raggiungere. Forse non è stato per caso che ai campionati europei Vingegaard abbia ammesso che gli piacerebbe cimentarsi nelle classiche e ha messo per la prima volta sul tavolo l’ipotesi del Giro d’Italia.
«Il 2025 – ha spiegato – è stato un’annata piuttosto buona. Non la migliore che abbia mai avuto, penso che il 2023 sia stato di gran lunga migliore. Ma arrivare secondo al Tour de France e vincere la Vuelta non è una brutta stagione. Il mio obiettivo era vincere in Francia, quindi da quel punto di vista non è andata bene. Alla fine potrei darmi un sette in pagella, forse un otto. Il ciclismo esiste anche oltre il Tour de France, anche se resta la gara più importante. Mi sono divertito anche nelle corse di una settimana (Vingegaard ha vinto la Volta ao Algarve ed è arrivato secondo al Delfinato, ndr). Ma non posso dimenticare di essere caduto alla Parigi-Nizza e quella commozione cerebrale mi ha messo fuori gioco e ha condizionato il seguito della primavera. Non abbiamo ancora definito il piano con la squadra, certo ho le mie idee e i miei desideri. Il Tour è così importante che sicuramente farà parte del calendario, vedremo se anche il Giro potrà essere incluso. Sarebbe fantastico. Vincere tutti e tre i Grandi Giri è il sogno di ogni ciclista. Quindi è qualcosa di molto importante, sarei molto felice di andare al Giro».
Il successo alla Bola del Mondo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corsoIl successo alla Bola del Mundo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso
Il Tour non si molla
Il Tour non si molla: impossibile immaginare che il danese decida di saltarlo finché sarà uno dei pochi pretendenti credibili. Perché dovrebbe farlo? Con Pogacar è il solo a poter scavare un baratro rispetto alla concorrenza e non è detto che lo sloveno sia sempre inattaccabile. Un’intervista di Wellens pochi giorni fa ha rivelato che il campione del mondo abbia corso l’ultima Grande Boucle con forti dolori a un ginocchio e in squadra si sia anche temuto che potesse ritirarsi. Vingegaard era lì e sarebbe ancora lì per approfittare di ogni cedimento, indotto grazie ai suoi attacchi o dettato dalle circostanze.
«Salterei il Tour – ha spiegato – solo se capissi di non poter lottare per la vittoria. Penso che il Tour sia così importante che le squadre che abbiano un pretendente alla vittoria vogliono portarlo. Questo vale per me e immagino anche per Tadej. Anche se non volessimo andarci, penso che dovremmo comunque accettarlo. Questo non significa che non mi piaccia, intendiamoci, perché il Tour è qualcosa di immenso che ha il suo fascino. E’ molto più grande della Vuelta, non posso parlare del Giro. In Francia, arrivi sul podio per firmare e ci sono trenta giornalisti che vogliono chiederti qualcosa. Alla Vuelta, scendevo dal palco e pensavo: “Ce ne sono solo due, così mi piace”. E’ questo che rende il Tour così faticoso. I media, il protocollo, i trasferimenti, ma è anche ciò che lo rende speciale. Lo capisci solo quando ci sei dentro».
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europeiNon capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei
In questo incastro maniacale di ritiri e corse, Vingegaard ammette che farebbe fatica a programmare la Liegi, che pure gli piace, perché in quel periodo solitamente si trova in altura. Allo stesso modo, pur ammettendo il fascino del mondiale di Montreal, dice che se dovesse fare la Vuelta troverebbe difficile prevedere il viaggio in Canada. Una visione a scomparti ben divisi. C’è davvero posto per il Giro d’Italia nel suo calendario?
Il Giro d’Italia è molto più di una competizione ciclistica. È l’evento sportivo italiano più apprezzato a livello internazionale. Genera un impatto positivo per l’Italia che va oltre la semplice dimensione agonistica. Questa la conclusione di un’analisi condotta da Banca Ifis, nell’ambito delle iniziative Ifis Sport. Lo studio sul Giro d’Italia 2025 è stato presentato di recente a Trento, durante l’ottava edizione de “Il Festival dello Sport”.
L’edizione 2025 del Giro d’Italia ha raggiunto risultati straordinari. L’analisi di Banca Ifis ha stimato il valore complessivo della manifestazione in 2,1 miliardi di euro. Parallelamente, è stato calcolato un impatto sociale pari a 79 milioni di euro, misurato attraverso un modello sviluppato dalla stessa Banca Ifis.
Questo valore si traduce in un moltiplicatore di 2,8: ogni euro investito nell’evento ne ha generati quasi tre in termini di beneficio sociale. Raffaele Zingone, Condirettore Generale e Chief Commercial Officer di Banca Ifis, ha sottolineato come lo sport generi valore, non solo economico, ma anche sociale e culturale. La storia ultracentenaria del Giro, infatti, valorizza in ogni edizione le bellezze e le eccellenze produttive del Paese.
Ifis sport, progetto di Banca Ifis, è la prima divisione sportiva in Italia interamente dedicata al sostegno finanziario del mondo sportivoIfis sport, progetto di Banca Ifis, è la prima divisione sportiva in Italia interamente dedicata al sostegno finanziario del mondo sportivo
Benessere e promozione dell’attività fisica
Il Giro d’Italia esercita effetti positivi anche sul benessere personale degli spettatori. Contribuisce attivamente alla promozione dell’attività fisica e al miglioramento della qualità della vita. Il valore monetario di questo impatto è stato calcolato tenendo conto del benessere percepito da oltre 1,6 milioni di spettatori e del potenziale risparmio per il sistema sanitario. Tale risparmio è dovuto alla riduzione della sedentarietà tra il pubblico.
L’edizione 2025 ha visto una crescita costante del pubblico. Gli spettatori dal vivo sono stati 2,3 milioni, con un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente.
L’”effetto Rosa” si traduce in un concreto miglioramento della percezione internazionale dell’Italia. Il Giro d’Italia si conferma un ambasciatore culturale e commerciale del sistema Italia nel mondo. La manifestazione mette in luce i valori del design, dell’innovazione e della qualità produttiva riconosciuti al Made in Italy a livello globale. È un potente strumento di soft power.
La partenza dall’Albania, a Tirana, ha riscosso un grande successo. Il 90% degli spettatori ha espresso un giudizio positivo sulla scelta. Inoltre, l’84% ha riportato un’esperienza molto positiva a livello di benessere.
Il fascino della Corsa Rosa non si limita al pubblico in presenza. Stimola il desiderio di visitare l’Italia anche in chi segue l’evento da remoto. Tra gli appassionati sportivi internazionali, l’89% ha dichiarato di aver acquistato prodotti italiani. Il 45% ha migliorato la propria opinione sull’Italia dopo aver seguito l’evento. Addirittura l’81% degli stranieri è già stato nel nostro Paese, spesso proprio grazie alla passione per il ciclismo.
Lo studio sul Giro d’Italia 2025 è stato presentato di recente a Trento, durante l’ottava edizione de “Il Festival dello Sport”Lo studio sul Giro d’Italia 2025 è stato presentato di recente a Trento, durante l’ottava edizione de “Il Festival dello Sport”
Ifis Sport: sostegno e inclusione
La misurazione del valore del Giro è l’ultimo impegno di Banca Ifis per la promozione dello sport come motore di inclusione sociale e crescita economica. Con il progetto Kaleidos, il Social Impact Lab, Banca Ifis sostiene l’ecosistema sportivo italiano, concentrandosi sui giovani e sull’inclusione. Ifis sport, lanciata a maggio 2025, è la prima divisione sportiva in Italia interamente dedicata al sostegno finanziario del mondo sportivo, offrendo soluzioni finanziarie su misura per le società.
Molti l’hanno scoperto a Champoluc, quando ha messo in fila anche i grandi protagonisti del Giro d’ItaliaDel Toro e Carapaz (l’ammazzasette Yates era ancora di là da venire…) ma Nicolas Prodhomme è molto di più. Vincitore per ben sei volte quest’anno ha dato un corposo numero di punti alla Decathlon AG2R, al punto che molti addetti ai lavori transalpini si sono sorpresi della sua mancata convocazione per i mondiali. Percorso ruandese a lui poco incline, ma la maglia transalpina per gli europei del 5 ottobre è già stata recapitata a casa…
Il corridore di L’Aigle è alla Decathlon AG2R dal 2021 ed è già confermato per il prossimo annoIl corridore di L’Aigle è alla Decathlon AG2R dal 2021 ed è già confermato per il prossimo anno
E’ il caso di andare più a fondo nella conoscenza di una delle rivelazioni di quest’anno del movimentato ciclismo francese, ancora alla ricerca del fenomeno ma popolato di molti corridori vincenti e in fin dei conti anche quelli fanno la differenza come abbiamo imparato bene negli ultimi anni. Reduce dal Giro del Lussemburgo senza particolari squilli ma comunque con un’altra Top 10 portata a casa, il ventottenne di L’Aigle si è presta volentieri a una chiacchierata tra presente e futuro.
Quest’anno hai vinto 6 volte: che cosa è cambiato rispetto al passato?
Beh, il cambiamento ha riguardato molto la fiducia in se stessi. Vincere la prima gara, la tappa finale del Tour of the Alps con Seixas ad accompagnarmi nella fuga ha significato molto. Poi chiaramente c’è stato il tappone del Giro con 5.000 metri di dislivello. Una frazione di vera montagna, vincendo lì ho capito di aver raggiunto un’altra dimensione.
Prodhomme insieme a Seixas, autori della fuga vincente nella tappa finale del Tour of the AlpsProdhomme insieme a Seixas, autori della fuga vincente nella tappa finale del Tour of the Alps
Pensi che sia stata la vittoria più importante della tua carriera?
Senza alcun dubbio. E’ l’unica del World Tour, l’unica in un grande giro, ma soprattutto è quella in cui ho trascorso più tempo da solo in testa. E’ stata la più dura e per questo la più bella, intrisa di emozioni lungo tutta quella interminabile giornata.
Sei arrivato a questi risultati a 28 anni: in questo ciclismo che premia i giovanissimi, i team danno ancora il tempo di maturare ai corridori?
Sì, io ne sono la dimostrazione. E devo dire grazie al team, alla sua gestione. E’ vero che molti giovani hanno molte più opportunità di chi ha più esperienza, non è come quando ho iniziato. Ma io ho colto la mia occasione ogni volta e non me la sono lasciata sfuggire, quindi è questo che mi permette di cambiare il mio status. E’ vero che spesso sono i giovani a raggiungere questo status più facilmente, ma alla fine quel che contano sono i risultati, più vinci e più cresci nella considerazione generale. Ci ho messo un po’, ma posso dire di avercela fatta…
Il giorno più bello nella sua carriera: la lunga fuga al Giro d’Italia culminata con il trionfo di ChampolucIl giorno più bello nella sua carriera: la lunga fuga al Giro d’Italia culminata con il trionfo di Champoluc
Hai portato tantissimi punti alla Decathlon: qual è l’atmosfera in squadra, siete soddisfatti di come sta andando quest’anno o si poteva fare di più?
E’ vero che l’anno scorso abbiamo fatto una stagione con 30 vittorie, ora siamo a 24, ma siamo in tanti ad aver contribuito. Dopo la stagione scorsa, molti pensavano che non saremmo riusciti a ripeterci. Invece stiamo ottenendo quasi lo stesso numero di vittorie del 2024, che è stato eccezionale. Quindi l’atmosfera è ottima e lo slancio è ancora buono, perché non ci sentiamo appagati, tutt’altro.
La vostra squadra vuole proteggere i nuovi nomi come Bisiaux e Seixas per farli crescere con calma: com’è il tuo rapporto con loro e dove pensi che potranno arrivare?
Abbiamo una grande differenza d’età con questi ragazzi – riconosce Prodhomme – ma Léo e Paul sono già molto maturi e professionali nel loro approccio al nostro mondo. Alla fine il rapporto con loro è stato naturale e buono, e quindi non sentiamo particolarmente questa differenza d’età. Questo è fantastico, aiuta noi e loro, ci permette di essere in sintonia fuori dalle gare e conseguentemente anche in corsa.
Il ventottenne, pur lavorando molto per il team, ha colto ben 6 vittorie quest’anno, ultima alla PolynormandeIl ventottenne, pur lavorando molto per il team, ha colto ben 6 vittorie quest’anno, ultima alla Polynormande
Ma rispetto alla tua esperienza, quanto pensi che possano vincere in futuro?
Difficile dirlo, certamente anche loro hanno bisogno di crescere. Quando sono alla partenza delle gare con loro, cerco di guidarli al meglio delle mie possibilità. Ad esempio al Tour of the Alps dove c’era Paul insieme a me, eravamo entrambi in fuga: tendeva a essere troppo generoso, non dovevamo dimostrare di essere i più forti. Credo sia positivo avere un ragazzo esperto in squadra che possa dirlo direttamente e non avere il diesse che arriva in ritardo con la TV o altro. Penso che l’esperienza diretta, il colloquio sia sempre preferibile, anche se hai le cuffie e tutto il resto. In bici, è positivo avere sempre qualcuno che faccia da capitano.
Che tipo di corridore pensi di essere?
Beh, sono più uno scalatore, non uno scalatore puro. Non mi reputo un leader, ma uno a cui piace ancora fare delle fughe. Magari mi spremo all’inverosimile per una Top 20, ma sto anche aiutando i ragazzi quando necessario e questo l’abbiamo già visto diverse volte in gara. Non mi tiro indietro quando devo aiutare a lanciare sprint in piccoli gruppi o in altre situazioni. Io dico sempre che mi piace giocare per vincere, che sia io, la squadra o un amico.
Quest’anno Prodhomme ha colto 6 vittorie e 10 Top 10, emergendo anche nelle corse a tappe (15° al Giro)Quest’anno Prodhomme ha colto 6 vittorie e 10 Top 10, emergendo anche nelle corse a tappe (15° al Giro)
L’anno prossimo, avrete Félix Gall e il nuovo arrivato Matthew Riccitello nella vostra squadra. Cambia con questo la fisionomia della squadra, si punterà maggiormente alla classifica dei grandi giri?
Per ora è difficile dirlo, il ciclomercato è ancora in corso e vedo che a fronte dell’arrivo dell’americano ci sono scalatori che lasciano il team. Bisognerà capire se avremo più scalatori che tuttofare rispetto a quest’anno, ma ogni corridore si sta concentrando un po’ di più sul proprio ambito. Per me, è sempre una squadra orientata anche allo sprint, che punterà a far bene nelle corse a tappe ma senza costruire un roster che si dedica solo a quelle.
L’ultima domanda: dopo i tuoi progressi, c’è una gara in particolare che sogni di vincere?
Mai fare questa domanda a un francese, la risposta è sempre la stessa: il Tour de France, ovviamente…
Il Giro torna nelle terre del sisma 2016 con l'8ª tappa. Ne parliamo con l'onorevole Castelli, Commissario alla ricostruzione. Quale il ruolo dello sport?
«Pellizzari si allena sempre al 100 per cento. Però è un corridore, vuole gareggiare ed è questa la sua grande passione. Vincere gare, avere successo. E sta facendo tutto il necessario per riuscirci, che si tratti di alimentazione, allenamento, recupero e così via. E’ già molto professionale nonostante la giovane età».
Parla Dan Lorang, head coach della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Al ciclismo c’è arrivato su chiamata di Ralf Denk, dopo aver allenato Jan Frodeno e Anne Haug, colossali star del triathlon, vincitori di Olimpiadi e mondiali. L’intervista serve per entrare più a fondo nei due sesti posti di Pellizzari al Giro e alla Vuelta. Piazzamenti identici, ma con genesi e logiche diverse. Al Giro l’hanno portato per la grande condizione palesata al Catalunya e senza una pianificazione partita da lontano, la Vuelta invece faceva parte dei piani sin dall’inizio.
Dan Lorang ha studiato all’Università di Monaco di Baviera ed è il capo dei preparatori alla Red Bull-Bora-HansgroheDan Lorang ha studiato all’Università di Monaco di Baviera ed è il capo dei preparatori alla Red Bull-Bora-Hansgrohe
Due avvicinamenti diversi…
Soprattutto diversi tempi di preparazione. Al Giro siamo arrivati con poche settimane di lavoro, invece durante il Tour c’è stato un lungo periodo in cui la nostra squadra non ha gareggiato e abbiamo dato ai corridori il tempo di prepararsi per la seconda parte della stagione. Così è stato anche per Giulio. Per un corridore così giovane, partecipare a due Grandi Giri in un anno è impegnativo. D’altra parte però, sapevamo che sarebbe stato possibile a patto che avesse abbastanza tempo per recuperare.
Un tempo che a ben vedere c’è stato, dato che da fine Giro – fatti salvi i tricolori – ci sono state nove settimane fino alla Vuelta Burgos…
Esatto, un intervallo molto lungo. Abbiamo lavorato bene in quota e se anche si fosse ammalato o avesse avuto qualche piccolo problema, ci sarebbe stato tutto il tempo per compensare. Questo è stato il nostro approccio per rispettare la sua età e i tempi della preparazione. Se guardiamo anche a quello che ha fatto in passato, si è visto subito che è un corridore in grado di sostenere carichi elevati, ma bisognava comunque stare attenti.
Proprio per questo, si è mai pensato di non correre la Vuelta, avendo fatto il Giro?
L’opzione di andare anche alla Vuelta è sempre stata nella nostra testa. Prima di tutto si trattava però di vedere come sarebbe uscito dal Giro. Perciò prima di iniziare la preparazione, abbiamo fatto delle analisi del sangue e di tutti i parametri per vedere come si fosse ripreso e se avesse davvero senso andare avanti col piano. Conosciamo i grandi benefici di fare due Grandi Giri e non si limitano alla prestazione immediata, ma anche alla costruzione della carriera per gli anni che verranno.
Pellizzari è uscito bene dal Giro, con il trofeo di miglior giovane italianoPellizzari è uscito bene dal Giro, con il trofeo di miglior giovane italiano
E che cosa hanno detto le analisi?
Che era fresco. Si era ripreso mentalmente ed era anche a un buon livello atletico. Bisogna riconoscere che è un corridore cui piace molto quello che fa e questo rende tutto più facile. A volte i ragazzi più giovani hanno difficoltà, ma Giulio è sempre stato al 100 per cento e a quel punto non abbiamo avuto dubbi nel mandarlo alla Vuelta.
Che tipo di risposta ottiene dal lavoro in quota?
Molto buona. Gli piace l’ambiente e la possibilità di concentrarsi solo sul lavoro, ma anche la fisiologia risponde. Il miglioramento delle prestazioni è davvero ottimo. Siamo stati in quota per preparare il Giro e poi la Vuelta e in entrambi i casi si è trattato di un’esperienza davvero positiva. Non è mai successo che fosse troppo stanco oppure che, tornato giù, abbia avuto bisogno di più tempo per adattarsi.
Giulio ha detto più volte di essersi sentito più forte al Giro che alla Vuelta. Ci sono dati che lo confermano?
Possiamo considerare la cosa in due modi. Se guardiamo solo ai numeri puri sul carico totale, sono stati due Pellizzari abbastanza simili. Invece i numeri di picco erano più alti alla Vuelta, cosa che abbiamo riscontrato anche con altri corridori. Cioè il fatto che nella seconda parte della stagione, stando ai watt il livello di prestazione era ancora più alto. Ma di sicuro, al Giro era più fresco e lo sentiva. Si sentiva pieno di energia. Per cui anche se alla Vuelta spingeva più forte ed era capace di prestazioni migliori, non si è mai sentito fresco come in primavera. Penso che sia fondamentalmente questo ciò che ha provato. Ma in termini di numeri, alla Vuelta ha fatto un passo avanti.
Al Giro per Roglic, alla Vuelta per Hindley: Pellizzari in Spagna ha espresso valori ancora miglioriAl Giro per Roglic, alla Vuelta per Hindley: Pellizzari in Spagna ha espresso valori ancora migliori
Però ha anche avuto qualche giorno di difficoltà, come mai?
Stavo per dirlo. Al Giro è stato più costante, mentre alla Vuelta c’è stata più oscillazione nelle sue prestazioni, il che è normale per un giovane corridore. Ecco perché anno dopo anno si lavora per raggiungere questa costanza. Al Giro, non ha mai avuto una giornata davvero brutta come quella che ha avuto alla Bola del Mundo, ma come ho detto non ci ha stupito.
Dopo due Grandi Giri nello stesso anno, hai scoperto qualcosa di più su Giulio Pellizzari?
Penso che il suo talento nelle corse a tappe non sia più una grande sorpresa. Anche se è molto giovane, in quelle di una settimana ma anche di tre, ha dimostrato di poter già fare bene. E’ stato bello anche vedere che sa vincere. Ci sono corridori da classifica, che possono arrivare tra i primi cinque, ma probabilmente non hanno mai vinto una gara né ci sono andati vicini. Finché sono giovani, vogliamo che i corridori mantengano l’attitudine per la vittoria. Vogliamo dargli l’opportunità di vincere anche le tappe o probabilmente anche una corsa più piccola per mantenere questa attitudine. Perché Giulio ha le capacità, ha una certa esplosività che gli permette di farlo. Quindi è sulla buona strada per crescere come corridore da classifica generale.
Questo voler tenere le porte aperte è il motivo per cui prima del Giro ha corso la Liegi?
Veniva dall’altura e, quando sei lassù, non puoi sempre fare delle sessioni davvero impegnative. Così abbiamo usato la Liegi per avere l’alta intensità e anche per fargli provare una grande classica. Con lui non ci limiteremo a programmare solo corse a tappe, è troppo giovane per questo. Partecipare a corse a tappe e corse di un giorno è utile per il suo sviluppo. Pogacar e Vingegaard sanno vincere anche le tappe e c’è bisogno di questa capacità.
Il giorno nero alla Bola del Mundo è costato a Pellizzari la maglia bianca, ma il calo non ha stupito i tecniciIl giorno nero alla Bola del Mundo è costato a Pellizzari la maglia bianca, ma il calo non ha stupito i tecnici
Due settimane dopo la Vuelta, ormai fra nove giorni, Pellizzari correrà i mondiali. Come sta lavorando per arrivarci?
E’ un mix. Normalmente diresti che devi solo recuperare in qualche modo e poi essere sulla linea di partenza. Ma se avessimo fatto così, ci sarebbe stato anche un grande rischio di ammalarsi, perché lo stress va giù e poi il corpo si ammala. Per cui, finita la Vuelta, da un lato c’è stato un mix fra dare degli stimoli, quindi un po’ di intensità e prepararsi per il viaggio. Dall’altro lato, si tratta di lavorare per essere freschi sulla linea di partenza.
Pensate che possa fare bene?
Come squadra, non ci aspettiamo grandi risultati. Indossare la maglia azzurra è un suo desiderio e noi lo vediamo come uno sviluppo per la sua futura carriera. Quest’anno ha già fatto parecchio, quindi dovrebbe godersi l’esperienza e tutto quello che verrà in più sarà un bonus.
Giulio è uno scalatore, ma lo vediamo sempre in sella, anche sulle salite più ripide. Dovrebbe lavorare di più sulle azioni fuorisella?
Non credo, perché a pensarci bene, Pogacar si gestisce esattamente allo stesso modo. E’ passato dall’uscire spesso dalla sella, al rimanerci sempre di più. So che non è così facile (sorride, ndr), ma cerchiamo di far crescere i corridori offrendo loro un’ampia gamma di possibilità, in modo che possano alzarsi dalla sella e anche salire da seduti con cadenze diverse. E’ qualcosa che possiamo implementare nell’allenamento, ma al momento non è un fattore limitante. Anzi, riuscire a produrre quella potenza rimanendo seduti in sella è piuttosto un punto di forza. Perché puoi risparmiare un po’ più di energia. Quindi non lo vedo come un problema.
Appena arrivato in squadra, Pellizzari è diventato uno dei beniamini del team per il suo carattere solareAppena arrivato in squadra, Pellizzari è diventato uno dei beniamini del team per il suo carattere solare
Ultima domanda: che cosa ti pare del nostro Pellizzari in mezzo ai suoi compagni di squadra?
Fin dal primo contatto, è parso davvero un ragazzo intelligente ben integrato nella squadra, ma capace anche di dire la sua. E’ un vero ciclista, porta con sé la tradizione e gli piace questo sport. Ha già la sua personalità. Accetta o assorbe l’esperienza che riceve dai più grandi, come Roglic o Hindley. Si guarda intorno e cerca di imparare da tutti. E penso sia quello che fanno i campioni quando sono giovani. Cercano di ottenere il più possibile dagli altri. E non si fa problemi se deve aiutare un compagno, agisce sempre a favore della squadra. Se gli assegnate un ruolo, lo svolgerà al meglio. Ecco perché ha già un’ottima reputazione in squadra. Ed ecco perché è una grande aggiunta per nostra squadra.