EDITORIALE / Il cuore di Bernal e le macchine perfette

10.02.2025
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In questo ciclismo che va a mille all’ora, proviamo per un istante a immaginare la fatica che ha dovuto fare Egan Bernal per rientrare nel gruppo dei primi, di quelli che vincono. Mentre Pogacar, Vingegaard, Roglic e tutti gli altri – pur alle prese con svariati acciacchi – costruivano le loro armature da supereroi, il colombiano della Ineos Grenadiers rimetteva insieme le parti sbriciolate del suo corpo. Ha provato a più riprese a rimetterci il naso, ma si è reso conto ogni volta che il livello degli altri fosse troppo più elevato della sua andatura claudicante. Come quando rientri e davanti attaccano ancora.

Gennaio 2022, Bernal comincia così la stagione dopo la vittoria del Giro (foto La Sabana)
Gennaio 2022, Bernal comincia così la stagione dopo la vittoria del Giro (foto La Sabana)

Velocità diverse

E’ un ciclismo che non perdona nulla, in cui uno scafoide rotto ad aprile ti fa crollare tre mesi dopo sulle Alpi del Tour. Come si poteva pensare che Bernal potesse già essere competitivo contro simili macchine da guerra?

Egan ha vinto il Tour nel 2019. Ha pagato il conto alla schiena nel 2020. Ha vinto il Giro nel 2021 e poi ha avuto il terribile incidente in cui al di là di ogni discorso sulle sue prestazioni future, ha rischiato di morire o di rimanere tetraplegico. Si è ricostruito. Ha avuto svariati interventi. E mentre era dedito a tutto questo, non ha avuto il tempo per applicare pienamente a se stesso tutte le migliorie tecniche, di preparazione e di alimentazione su cui gli altri hanno investito le loro risorse. Si è sempre pensato che anche il miglior Bernal non avrebbe avuto i watt per contrastare Pogacar: è possibile, ma certo il confronto non è mai stato alla pari. Solo lo scorso anno per brevi tratti ha mostrato lampi di ritrovata fiducia.

La prova in linea di Bucaramanga era lunga 237 chilometri, Bernal ha vinto a 39,921 di media con 2’16” sul secondo
La prova in linea di Bucaramanga era lunga 237 chilometri, Bernal ha vinto a 39,921 di media con 2’16” sul secondo

Vincere le gare

Ora Egan è tornato alla vittoria. I due campionati colombiani (a cronometro e su strada) probabilmente valgono meno di due gare WorldTour in Europa, ma tre anni e otto mesi dopo l’ultima vittoria, gli hanno dato la conferma di saper ancora staccare tutti.

«Era da molto tempo che non gareggiavo – ha detto scendendo dal podio – dal Tour de France e sarà una grande responsabilità indossare questa maglia in Europa. La vittoria mi dà molta fiducia. Quest’anno con i miei allenatori vogliamo rompere lo schema di venire alle gare per soffrire e soffrire. Il corpo mi sta rispondendo come prima e la mentalità è sempre quella di essere uno dei migliori: quello che voglio è vincere le gare. Ho già vinto Grandi Giri e so che per essere felice della mia carriera, mi manca solo la Vuelta».

Sul podio con Bernal, il secondo Camargo e il terzo Castillo. Quarto Einer Rubio della Movistar
Sul podio con Bernal, il secondo Camargo e il terzo Castillo. Quarto Einer Rubio della Movistar

Fra sogni e realtà

In patria gli consigliano di puntare più su corse adatte al suo livello, senza andare a stuzzicare Pogacar e Vingegaard al Tour. Pare che il programma della Ineos lo veda schierato al Giro e alla Vuelta, nell’ultimo anno di Geraint Thomas che reclamerà certamente una leadership e con Carlos Rodriguez che sarà l’uomo per il Tour.

La Vuelta sarà anche la seconda Grande di Pogacar e Vingegaard. E se davvero la maglia roja è l’unica che manca al colombiano per dirsi felice della sua carriera, la sfida di agosto sarà infuocata come una corrida. In questo ciclismo che va a mille all’ora, non ci sono più corse facili o meno estreme. Sarà così al Giro e anche alla Vuelta. E come tutte le volte che un campione ferito torna a sfidare i giganti – tolti dal mazzo per ovvie ragioni gli italiani che attendiamo con messianica fiducia – le nostre preferenze vanno inevitabilmente su di lui. Forse non è più nemmeno un ciclismo che autorizzi a pensare che i sogni possano realizzarsi, ma non è per questo che smetteremo di sperarci. Il ciclismo ha mille strade, facciamo fatica a convincerci del fatto che la scienza abbia creato delle macchine perfette.

In Colombia si rivede Bernal, fra ricordi, progetti e… Pogacar

18.10.2024
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Cosa ci facesse Egan Bernal in mezzo a 2.000 bambini nel Parque Norte di Medellin è presto detto. Il vincitore del Giro 2021, assieme a Rigoberto Uran, ha partecipato come ospite a un evento chiamato Gran Fondito e organizzato per la seconda volta da Mariana Pajon. Lei è un’atleta di 34 anni da 56 medaglie d’oro in carriera, 9 argenti e 10 bronzi nella BMX. E’ anche l’unica colombiana vincitrice di tre medaglie olimpiche: due d’oro (Londra e Rio) e una d’argento (Tokyo). Bambini dai 2 ai 14 anni, accompagnati da 6.000 persone che hanno trasformato i dintorni in un ribollire di voci, entusiasmi e colori. Lo scopo, come dichiarato dagli organizzatori, era incoraggiare lo sport fin dalla prima infanzia, aiutando i bambini a sviluppare le loro capacità motorie, migliorare l’equilibrio ed esplorare il loro ambiente in modo indipendente.

«Sono molto contenta – ha detto Mariana Pajon, in apertura con Uran e Bernal nella foto dell’organizzazione – di questa seconda edizione di Gran Fondito. Dico sempre ai genitori di portare i loro figli a divertirsi, di incoraggiarli, di sostenerli in modo che ottengano il meglio da loro, ma senza ulteriore pressione. Quello che vorrei è che tutti sognassero in grande. Pochi diventano atleti professionisti, ma finché hai sogni e fiducia in te stesso, puoi ottenere ciò che desideri. E se anche non ci riusciranno, lungo quel percorso diventeranno grandi persone, con i valori che lo sport avrà trasmesso loro».

Il ricordo di Bernal

Bernal ha assistito allo spettacolo rapito dai tanti bambini, con il suo solito sorriso. In Colombia questo è il periodo delle gran fondo. E come Medellin ha chiamato a raccolta i più piccoli, il 3 novembre ospiterà anche il classico Giro de Rigo, prova del ritiro di Uran, che per questo lo ha chiamato Edicion La Despedida. Mentre il 17 novembre a Bogotà, per la prima volta la Capitale sarà chiusa per un evento ciclistico di massa

«Questo evento è unico – ha detto Bernal in questa intervista – penso che Mariana stia facendo una cosa molto importante. L’ho detto più volte, penso che da una gara come questa un giorno uscirà il prossimo campione del Tour de France o il prossimo campione olimpico. Sono molto emozionato, mi commuove vedere tutti questi bambini super eccitati. Feci la mia prima gara a cinque anni e ovviamente era molto più piccola di questa. Ricordo la sensazione che ho provato il giorno prima e poi l’indomani, quando ho tagliato il traguardo. Quando sono andato alla cerimonia di premiazione e quando mi sono sentito come un supercampione, perché avevo vinto. Fu l’inizio di una carriera più grande, ma iniziata a cinque anni, in una gara simile a questa».

Una grande festa e un bel raduno di campioni (foto Gran Fondito)
Una grande festa e un bel raduno di campioni (foto Gran Fondito)

Un ritorno faticoso

Il discorso è passato in un attimo dalle sue vittorie di bambino e dal sottofondo chiassoso di Medellin alla sua situazione di atleta. Bernal si è fermato dopo il Tour de France per fare un altro intervento, nel 2024 che lo ha visto sul podio del Catalunya e del Gran Camino, con prestazioni molto migliori rispetto al 2023.

«Ovviamente – ha detto – si vuole sempre vincere, almeno io sono super competitivo. Ogni volta che arrivo sul podio e anche più indietro, mi ritrovo a pensare: perché non ho vinto? Si vuole sempre di più, ma al momento bisogna pensare al prossimo anno e cercare di migliorare e continuare a provare, a lottare e non arrendersi mai. Penso che la mia carriera sportiva, anche prima di vincere il Tour de France e il Giro d’Italia, sia stata piena di alti e bassi. Ogni gara che sono riuscito a vincere è stata molto faticosa. E anche se quest’anno sono salito su diversi podi, in gare anche molto importanti, il giorno in cui vincerò di nuovo, sperando che sia presto, dovrò sudarmela per tre volte».

Bernal ha concluso il Tour in 29ª posizione, dopo una serie di buone prove nell’avvicinamento
Bernal ha concluso il Tour in 29ª posizione, dopo una serie di buone prove nell’avvicinamento

I sogni di Egan

Il Tour lo ha visto lottare, soffrire, resistere e staccarsi. E’ chiaro che qualcosa ancora manchi e non è dato di sapere se mai tornerà.

«La stagione è finita – ha spiegato Bernal – quindi stiamo già pensando al prossimo anno, ma bisogna aspettare. Mi piacerebbe poter dire che farò questa o quella gara, ma dipenderà prima di tutto dalla squadra e anche dal percorso delle gare. Si decide di fare il Giro, il Tour o la Vuelta, a seconda del percorso, delle tappe. Ma quelle non escono prima di dicembre o gennaio, per cui c’è da aspettare. Però intanto mi preparo per la Gran Fondo di Bogotà che faremo il 17 novembre. Sarà la prima grande fondo nella Capitale e sarà molto importante, un fatto storico. Per la prima volta la città sarà chiusa alle auto e bisogna dire grazie al sindaco».

L’edizione di quest’anno ha visto al via 2.000 bambini (foto Gran Fondito)
L’edizione di quest’anno ha visto al via 2.000 bambini (foto Gran Fondito)

La forza di Pogacar

L’ultima annotazione Bernal l’ha fatta su Pogacar, dato che l’appuntamento di Medellin si è svolto all’indomani del Lombardia

«Sui social scrivono che è noioso vederlo dominare così tanto – ha detto – io invece penso che il corridore più forte debba sempre vincere. E se il corridore più forte vince ogni gara è perché se lo merita. A volte si guarda solo il risultato e Tadej obiettivamente vince tutte le gare, ma bisogna vedere il lavoro che c’è dietro. Forse prima o poi anche io vincerò di nuovo una gara e i tifosi mi vedranno quando salirò sul podio. Ma non potranno mai rendersi conto di tutto il lavoro che ho fatto negli ultimi anni per arrivare a quella posizione. Quindi sicuramente Tadej è lì perché se lo merita, perché ha lavorato duramente. Nessuna gara è facile: lui le fa sembrare facili, ma vuol dire si è allenato molto duramente e ha un grande talento. Questo è il senso dello sport, il più forte vince».

Puccio: «Carlos Rodriguez capitano e occhio a Bernal»

28.06.2024
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Dopo aver ascoltato Edoardo Affini, ecco un altro grande regista che fa le carte alla sua squadra impegnata al Tour de France: Salvatore Puccio. In questo periodo il tenente di lungo corso della Ineos Grenadiers è in una fase di stacco ma presto lo rivedremo all’opera.

«Correrò in Repubblica Ceca – ha detto Puccio – a luglio e poi vedremo: se farò la Vuelta ci sarà un certo programma, altrimenti farò altre corse. La Vuelta mi piacerebbe, ma è anche vero che tutto sommato cambiare un po’ non mi dispiacerebbe. Si esce dalla routine!».

Il clima è quello ideale per analizzare dunque cosa potranno combinare i suoi compagni da domani al 21 luglio, quando la Grande Boucle si concluderà a Nizza.

Salvatore Puccio (classe 1989) corre in questo gruppo ininterrottamente dal 2011
Salvatore Puccio (classe 1989) corre in questo gruppo ininterrottamente dal 2011
Salvatore anche la tua Ineos Grenadiers si presenta con una formazione da urlo…

Negli ultimissimi anni più di prima si è tornati a puntare molto sul Tour, che resta una grade vetrina. Guardate solo in questi giorni cosa hanno fatto a Firenze… non si può negare che sia la corsa più grande e pertanto la squadra ha portato i migliori atleti, quelli più in forma. C’è gente che ha impostato la propria stagione tutta sul Tour. Partiamo con due capitani importanti.

Due capitani?

Carlos Rodriguez ed Egan Bernal. Rodriguez sta vivendo una delle sue stagioni migliori, ha fatto un bel salto di qualità, ha vinto diverse tappe e la generale del Romandia. E poi Egan quest’anno ha fatto uno step importante per quel che riguarda il suo recupero. Gli manca un ultimo piccolo gradino, ma è tornato ad alti livelli. E forse non tutti se lo aspettavano. Quindi io immagino che loro due saranno i capitani. Carlos Rodriguez leader assoluto e Bernal jolly a seguire.

E Thomas e Pidcock?

Da quel che so io Geraint è al Tour soprattutto in funzione di supporto, anche se è un grandissimo. Mentre Pidcock forse punterà più sulle tappe.

Pidcock è un capitolo grande e non scevro da qualche punto di domanda: tu dici le tappe, ma poi c’è chi dice abbia lavorato per la generale.

Potrebbe anche provare a fare classifica all’inizio e poi dopo il primo giorno di riposo fare una valutazione. Però, ripeto, per quel che riguarda l’uomo per la classifica quello è Rodriguez. Alla fine ha chiuso quinto l’anno scorso e con una brutta caduta alle spalle.

Secondo Puccio Bernal è in netta ripresa. Eccolo impegnato al Giro di Svizzera
Secondo Puccio Bernal è in netta ripresa. Eccolo impegnato al Giro di Svizzera
Ma come è Pidcock in squadra? E’ un compagnone, è un fumantino… Non è facile da decifrare da fuori.

E’ un talento ed è un giovane. Ecco, diciamo che è ancora giovane, in alcune cose si deve assestare, ma i talenti sono così, che poi è il bello del ciclismo. E’ un po’ come poteva essere il primo Sagan, fuori dalle righe, estroso… Però posso dire che in squadra quando siamo tra di noi è disponibile, tranquillo. Un bravissimo ragazzo.

E il fatto che faccia la spola con la mtb anche in piena stagione. Sembra come se fosse solo…

Ma no e poi si è visto anche con Van der Poel e con Van Aert: anche loro facevano la doppia attività. Tom fa la tripla visto che d’inverno fa anche il ciclocross. Poi gli dà comunque qualcosa in più sul piano tecnico. I loro cambi di ritmo sono superiori.

Salvatore, con questi ragazzi che sono al Tour quanto hai corso quest’anno?

Beh, con Thomas e Bernal ero allo Svizzera. Ed è proprio lì che ho rivisto un bell’Egan. Ha fatto un salto incredibile. Era davanti, o a 10”-15” da Yates e dagli UAE Emirates e posso assicurarvi che andavano fortissimo. Lo dicevo prima: lui è un talento e gli si è riaccesa la luce.

A proposito di UAE e degli altri team, chi sono gli uomini da battere?

Penso proprio loro. Guardate che squadra che hanno. Pogacar, Yates, Ayuso, Sivakov, Almeida… i gregari sono all’altezza del capitano quasi. Per attaccarli dovranno trovare un loro momento di difficoltà e penso che li attaccheranno tutti.

Pidcock avrà un ruolo che potrebbe cambiare in corso di Tour. Gli altri uomini della Ineos? Kwiatkowski (a sinistra), De Plus e Turner
Pidcock avrà un ruolo che potrebbe cambiare in corso di Tour. Gli altri uomini della Ineos? Kwiatkowski (a sinistra), De Plus e Turner
Dici? Perché in questi ultimi anni spesso si è visto più difendere le proprie posizioni che guardare avanti…

Ma se questi qui non li attacchi poi fanno la loro gara, praticamente da soli, e fanno male. Quando si mette a tirare gente di quel calibro e Pogacar accelera, significa regalargli la vittoria senza faticare. Siamo al Tour e anche le altre squadre hanno i capitani e gli uomini giusti per tentare qualcosa. I margini per attaccarli, magari con delle alleanze, ci sono. Anche se magari Vingegaard è un’incognita.

Cosa ci dici di lui? Come lo vedi?

Come lo vedo. Torna discorso di prima sui talenti. Lui lo è. Gli basta poco per tornare in forma… anche se è vero che ha ripreso ad allenarsi molto tardi. Per me già dopo la prima settimana capiremo molto di lui. O anche dopo oggi. Questa prima tappa è molto dura e lui non corre da parecchio. Come dicono tutti, la UAE Emirates ci proverà subito.

Salvatore, di solito sei tu il road capitan: chi sarà stavolta?

Castrovejo. Uomo esperto, che sa fare grandi prestazioni. Lui è un uomo squadra e poi, chiaramente, essendo spagnolo ha un certo feeling con chi parla la sua lingua.

Il Tour della rinascita. Bernal vuole tornare… Bernal

26.06.2024
5 min
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Per certi versi passa inosservato e potrebbe questo essere anche un vantaggio. A Firenze, tra i partecipanti al Tour de France ci sarà anche Egan Bernal e già questo è un risultato eccezionale se si ricorda quanto gli è accaduto nel gennaio 2022. Parliamo di uno che il Tour l’ha vinto, nel 2019, di uno che sembrava destinato a collezionare grandi giri come caramelle, di uno che era accreditato, in quel maledetto mese, della fama di più grande avversario di Tadej Pogacar, quando ancora Vingegaard era solo un giovane di belle speranze.

C’è voluto tanto tempo per Bernal per tornare a essere Bernal. Forse oggi, per la prima volta, si può dire che il colombiano stia tornando se stesso, solo che sono passati oltre due anni che in questo ciclismo sono un secolo, un lasso di tempo nel quale moltissimo è cambiato e allora il colombiano resta un oggetto quasi sconosciuto, imponderabile.

Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato
Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato

Giovanni Ellena, diesse della Polti Kometa conosce bene Bernal, al quale è legato da una sincera amicizia e prima di parlare delle sue possibilità nella Grande Boucle ci tiene a sottolineare un aspetto che non deve mai essere dimenticato: «Il fatto che Egan sia qui è un miracolo. Quando ha avuto l’incidente era dato quasi per morto, la stessa ripresa come essere umano prima che come ciclista sembrava un miraggio. Invece oggi è qui e questa, a prescindere da come il Tour finirà, è una grande vittoria».

Tu gli sei stato vicino anche nei momenti immediatamente successivi al gravissimo incidente?

La sera stessa chiamai la madre che mi disse con molta schiettezza che c’era da far passare la notte per capire se all’indomani Egan ci sarebbe stato ancora. Eravamo a questo punto. A inizio stagione, tornando in aereo da O Gran Camino ci siamo ritrovati fianco a fianco e abbiamo parlato, ci siamo raccontati le nostre peripezie (anche Ellena è caduto durante un’escursione in montagna e ha rischiato di non camminare più, ndr). Entrambi abbiamo non so quante viti che tengono insieme il nostro corpo, ma per lui è diverso. Parliamo di uno sportivo, un ciclista, pensate che cosa significa gareggiare nelle sue condizioni…

Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Eppure sembra davvero che stia tornando lui, si è visto anche al Giro della Svizzera chiuso al quarto posto.

E’ a buon punto, io dico che è quasi come prima, solo che adesso ci sono fenomeni in giro e non solo loro a ben guardare. La concorrenza è spaventosa. Ma lui è tornato a un livello importante, in Svizzera l’ho visto andare davvero forte, ha trovato anche una notevole costanza di rendimento, finendo ogni corsa a tappe sempre nelle prime posizioni.

L’impressione guardandolo è che siamo di fronte a un corridore che si sta ancora scoprendo e che per questo corre molto coperto, senza prendere iniziative com’era solito fare…

Non è che corra in maniera passiva, è che deve capire ancora dove può arrivare. Ora pensa di più prima di attaccare. Io credo che tutto quel che ha passato l’abbia fatto maturare, ma dal punto di vista psicologico e mentale deve ancora fare un piccolo scatto per tornare completamente quello di prima. Al Tour correrà insieme a due altri capitani, si spartiranno i compiti e questo sarà un aiuto, potrà capire durante la corsa che cosa potrà fare. E’ però consapevole che, in mezzo ai più forti, a quelli che lottano per i quartieri alti della classifica ci può stare.

Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Credi che potrà un giorno tornare a competere ad armi pari con Pogacar e Vingegaard?

E’ una domanda alla quale potrà rispondere solo il tempo. Noi (mi ci metto in mezzo come suo amico ed estimatore) possiamo solo sperarlo. Il fatto è che il ciclismo corre, oggi è già differente rispetto al gennaio 2022. Io però confido nella sua capacità di adattamento: al Tour ad esempio ci sarà una tappa dove si andrà oltre i 2.000 metri, io penso che quello sia il suo pane e se sarà in forma metterà alla frusta gli altri. Tenendo sempre presente che in giro troverà veri fenomeni.

Lui se ne rende conto, di questo cambiamento?

Sì, ma non è uno che si adatta. Voglio dire che non è tornato in bici, si è sacrificato settimane, mesi, anni per essere uno che porta le borracce. Ha grandi ambizioni, vuole emergere e se è lì sa di poterlo fare. Non è uno che si adagia sulla mediocrità. E’ un leader, esattamente come quando vinceva Giro e Tour quindi mi aspetto che sia lì davanti.

Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Pensi che essere stato scelto per la gara olimpica del 3 agosto, insieme a Daniel Martinez, gli abbia dato motivazione in più?

Non credo, non ne ha bisogno. E’ sempre onorato se può vestire la maglia della nazionale e anche su un percorso certamente non proprio adatto alle sue caratteristiche farà il massimo per essere degno di quella maglia della nazionale, ma non ha bisogno di incentivi particolari. Bernal li ha già dentro di sé, sono sicuro che freme per la partenza da Firenze, per cominciare la lunga lotta…

Bernal, aggancio quasi completo. Gamba e morale in crescita

24.04.2024
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LIEGI (Belgio) – Le parole di Pidcock dopo la corsa sono la sintesi perfetta di quello che tutti abbiamo pensato vedendo Bernal scattare sulla Cote de la Roche aux Faucons: «E’ bello vederlo correre di nuovo in questo modo. Ha dovuto soffrire più di quanto io possa immaginare».

Il colombiano sta tornando. Ha ammesso di avere valori persino superiori a quelli che aveva prima dell’incidente, ma il ciclismo nel frattempo è andato avanti e la sua rincorsa non è terminata. Diciamo però che è ormai nella scia delle ammiraglie e il gruppo dei migliori, di cui fa parte per palmares e attitudini, è ormai in vista. Bernal ha 27 anni, ha vinto un Tour, un Giro e ogni genere di corse a tappe. L’incidente del 2022 poteva costargli la vita e invece lui la vita se la sta riprendendo, un gradino dopo l’altro.

Il colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla Redoute
Il colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla Redoute

Lo abbiamo incontrato alla vigilia della Liegi-Bastogne-Liegi, il sorriso radioso come sempre e forse di più. L’attesa iniziava a montare e si capiva, per averlo visto bello pimpante già nelle prove sulla Redoute, che avrebbe fatto una bella corsa. Il risultato finale non rende merito alla sua corsa. Il ventunesimo posto è stato figlio dell’aiuto dato a Pidcock, arrivato decimo, dopo la vittoria all’Amstel Gold Race. Alla fine però era contento lo stesso. Ha ammesso che avrebbe voluto seguire Pogacar e non ce l’ha fatta. Però almeno stavolta l’ha visto da molto vicino.

Egan, sei felice?

Sì, molto felice.

C’è stato un giorno quest’anno in cui hai sentito che sta tornando il vero Egan?

Forse al Gran Camino, i primi giorni. Sentivo che avevo ancora la forza per godermi la corsa. In quel momento ho pensato che forse quest’anno sarei riuscito a fare un passo in più.

Le prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccare
Le prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccare
Che cosa manca, secondo te?

Uh, non so… Penso solo a continuare quello che ho fatto fino ad ora. Ho finito la scorsa stagione pensando che non sarei più riuscito a tornare al livello per stare davanti. Quest’anno invece sono più avanti dell’anno scorso, quindi penso che sto andando per un buon cammino. Sono fiducioso e per quest’anno spero di fare il mio meglio, pensando che il prossimo anno sarò nuovamente al mio livello migliore.

Come si spiega che tu abbia numeri migliori del 2021 eppure sia costretto a rincorrere?

Al di là del mio ritorno alla piena efficienza, significa che gli altri stanno continuando a migliorare, che tutto va molto veloce. Per cui devo restare concentrato su me stesso e lavorare per raggiungere il miglior Egan e poi mettere nel mirino i più forti del gruppo.

Pensavi che il recupero durasse di meno, oppure sta andando veloce? Che impressione hai?

Dipende, ci sono i giorni che sembra che va veloce e altri giorni che sembra che va piano. Vogliamo sempre di più, però la caduta che ho avuto… Già il solo fatto di poter fare una vita normale, è già un miracolo. Stare qua e pensare di poter essere ancora vincente, lo è ancora di più. Ho tanta voglia di tornare a essere il migliore, ma non posso dimenticare che ormai ho già vinto la corsa più importante.

Dopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e Tour
Dopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e Tour
Ti manca più in salita o a crono?

Un po’ dappertutto (sorride, ndr). Con il ciclismo di adesso, mi manca anche la discesa. Ormai si va a tutta in qualsiasi momento, quindi bisogna stare molto attenti in ogni momento.

Rimani qua fino al Tour o torni in Colombia?

No, torno in Colombia. Dopo la Liegi, faccio il Romandia e poi torno a casa. Mi preparo per il Tour, passando prima per il Delfinato. Quest’anno niente Giro, anche se presto ci tornerò.

Bernal, altro passo verso la vetta: testa dura e piedi per terra

26.03.2024
5 min
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«In questo momento so che non sono al mio miglior livello o alla migliore versione di me». Bernal parla piano, con il tono gentile di sempre, ma lo guardi e pensi che non sia più il bimbo pieno di sogni che conoscemmo al suo arrivo in Italia.

Il terzo posto alla Volta Catalunya è una buona notizia, ma Egan per primo è consapevole che le distanze siano ancora siderali. Nessuno sa come sarebbe finito uno scontro alla pari fra il Bernal del 2020 e il miglior Pogacar (i due sono stati vincitori consecutivi al Tour de l’Avenir) e poi Vingegaard. Di fatto non è mai stato possibile assistervi e probabilmente non lo sarà mai.

Il podio del Catalunya è il primo di una gara WorldTour dalla vittoria del Giro 2021
Il podio del Catalunya è il primo di una gara WorldTour dalla vittoria del Giro 2021

La strada giusta

L’incidente ha segnato profondamente il corpo e l’anima del colombiano, che ha due anni più di Pogacar. E mentre gli altri lavorano per progredire e guadagnano terreno in ogni specialità, Egan lavora per colmare il gap fra la condizione attuale e il ricordo del miglior se stesso. Loro attaccano, lui insegue. Comunque la si voglia guardare, il gap è immenso come i 5 minuti che in Spagna lo hanno diviso da Pogacar e i quasi 2 da Landa. Eppure in quel germoglio di classifica c’è la speranza di essere vicini a ritrovare un campione di classe cristallina.

«A un certo punto – prosegue – avevo perso anche la motivazione per continuare. Non è stato facile né fisicamente né mentalmente, dopo essere stato al massimo, arrivare a non finire le gare. E’ stato difficile. Prima di venire in Catalogna volevo il podio, ma lo vedevo lontano. Ora che l’ho conquistato, mi dico: “Cavolo, ci sono, sono molto felice. Inizia la stagione e finalmente siamo sulla strada giusta”. Il primo podio del WorldTour dalla mia rinascita, ma bisogna essere onesti. C’è ancora molto da fare per essere l’Egan Bernal di prima, quindi torno a casa per continuare a lavorare».

Ultima tappa di Barcellona: Bernal in salita con Pogacar, che poi vincerà in volata
Ultima tappa di Barcellona: Bernal in salita con Pogacar, che poi vincerà in volata

Il primo podio

I passi avanti sono evidenti, i risultati positivi in successione fanno pensare che il trend sia finalmente quello giusto. Bernal era partito tutto sommato bene anche lo scorso anno alla Vuelta San Juan, poi aveva dovuto fermarsi per un mese a causa del riacutizzarsi di un problema al ginocchio e il rientro al Catalunya non era stato così positivo. Nel 2023 non è mai riuscito a entrare fra i primi cinque di una corsa, nel 2024 sono già venuti il podio ai campionati nazionali e quelli del Gran Camino.

«Se mi avessero detto che quest’anno sarei potuto salire sul podio in una gara WorldTour – dice – non ci avrei creduto. In corsa ho ritrovato le stesse sensazioni che avevo l’anno scorso, cioè soffro. Ma è diverso tra soffrire davanti e soffrire dietro. Ormai posso dire che sono stato a tutti i livelli. Nel ciclismo ci sono i livelli e i livelli dei livelli (ride, ndr) e io li ho sperimentati tutti. Ad ogni livello c’è una diversa sofferenza, ma quella dello scorso anno era particolare. Quest’anno i primi passi mi sembrano buoni. Posso attaccare, posso restare in un gruppo di 10 corridori con Vingegaard o Pogacar. Un gruppo dei 10 migliori e io dentro cercando di seguirli. Lo vedo che sono ancora superiori, ma l’anno scorso sarebbe stato impossibile solo pensare di farlo».

Tanti tifosi per Bernal al Catalunya: la sua risalita emoziona il pubblico
Tanti tifosi per Bernal al Catalunya: la sua risalita emoziona il pubblico

Seguire l’istinto

Sapendo di poter contare su una migliore solidità fisica, Bernal ha vissuto il Catalunya come una sfida quotidiana: il podio è stato la conseguenza dei piazzamenti di giornata. Nella sesta tappa, forse la più dura con oltre 4.000 metri di dislivello e l’arrivo a Queralt, Egan ha attaccato. E’ rimasto allo scoperto per 59 chilometri e alla fine si è arreso soltanto a Pogacar, che lo ha staccato di 57 secondi.

«Ho cercato di avere la mente aperta – spiega – restando molto attento a ciò che accadeva intorno. In certe tappe, dopo tanta fatica, può succedere di tutto. Per cui, antenne dritte e seguire l’istinto. Alla fine la stanchezza era tanta, ma tappe con salite così lunghe per me sono meglio di quelle esplosive della Parigi-Nizza. Dopo la corsa francese ho fatto un bel blocco di lavoro, per cui sono arrivato in Spagna senza sapere come sarei stato. Ovviamente sapevo che la UAE Emirates sarebbe stata un gradino sopra, ma la curiosità era vedere ciò che sarei stato capace di fare. E averlo fatto con la fiducia della squadra mi rende molto orgoglioso».

Dopo il Catalunya, Bernal ha iniziato a preparare il Romandia: prossimo passo verso il Tour
Dopo il Catalunya, Bernal ha iniziato a preparare il Romandia: prossimo passo verso il Tour

I piedi per terra

Il piano adesso è tornare a casa e lavorare ancora. Allungare le distanze, alzare il ritmo per farsi trovare ancora più pronto fra un mese esatto al via del Tour de Romandie, sua prossima corsa.

«Aver chiuso al secondo posto la tappa regina – spiega – mi ha reso felice e mi motiva a lavorare. Non me lo aspettavo, significa che avevo le gambe per farlo. Sapevo che Tadej è ad un altro livello, quindi quando ha attaccato non ho nemmeno provato ad andare con lui. Ho gestito il mio sforzo, mi sentivo bene e sono andato a prendere Landa e poi insieme abbiamo lavorato davvero bene. Mikel mi ha aiutato tantissimo, quindi devo ringraziare anche lui. Penso che il Catalunya sia sicuramente un altro passo avanti, ma devo tenere i piedi per terra. C’è ancora molto lavoro da fare, ma sono felice e molto orgoglioso di me stesso e anche orgoglioso di tutta la mia famiglia e delle persone che sono state con me».

Perché recuperare da un infortunio oggi è più difficile?

06.03.2024
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La bella notizia di Bernal che torna a pedalare (quasi) come un tempo e che in questo inizio di stagione sale sul primo podio dopo quello del Giro 2021. Marta Cavalli che ha impiegato più di un anno per ritrovarsi dopo l’infortunio del Tour 2022. Froome che al contrario chiuse la carriera nella caduta al Delfinato del 2019. Evenepoel che bruciò le tappe per rientrare dopo il volo del Lombardia e al Giro dell’anno successivo pagò un conto molto salato. Alaphilippe che non trova ancora la bussola dopo la caduta alla Liegi del 2022 e Bramati che in una delle prime interviste di inizio 2023 disse che il francese avrebbe avuto bisogno di un anno di recupero prima di tornare se stesso. Tanti piccoli indizi che fanno sorgere un grosso dubbio: come mai da un paio di anni a questa parte rientrare in gara dopo questi infortuni, pur molto gravi, è diventato così complicato?

Egan Bernal torna a camminare dopo l’incidente del 2022: il recupero dell’efficienza è stato più lungo
Egan Bernal torna a camminare dopo l’incidente del 2022: il recupero dell’efficienza è stato più lungo

Il politrauma

Quando Bernal si rialzò dall’incidente che poteva costargli la vita, Fabrizio Borra che di atleti rotti ne ha visti e rimessi in piedi parecchi, disse che il tempo di guarigione dalle fratture fosse nei tempi. Il difficile sarebbe stato semmai il ritorno all’efficienza. E il ritorno all’efficienza, questa la sensazione, è rallentato e in certi casi compromesso dal ciclismo super veloce nato dopo il Covid.

«Se parliamo di atleti che si sono rotti vertebre, costole, la clavicola, una parte del bacino e la tibia, abbiamo a che fare con un politrauma. E questo amplifica tantissimo i tempi di recupero, di riassetto anche osteomuscolare, di bilanciamento muscolare. Ci sono un sacco di variabili che entrano in gioco e rallentano tutto».

Liegi 2022, Alaphilippe cade in una scarpata: per la sua carriera uno stop da cui ancora non si è ripreso
Liegi 2022, Alaphilippe cade in una scarpata: per la sua carriera uno stop da cui ancora non si è ripreso

Le corse di allenamento

Chi parla è Carlo Guardascione dello staff medico del Team Jayco-AlUla. Lo abbiamo chiamato per avere la sua opinione di medico sulla fatica di certi recuperi e le sue parole sono risultate illuminanti.

«Recuperare da un infortunio – dice – è più difficile di prima, perché adesso il livello nelle gare è più alto. Una volta chi rientrava poteva partecipare alle prime corse per allenarsi e quel tipo di sollecitazione gli consentiva di riprendere gradualmente il passo. Ma negli ultimi anni, quante volte siete riusciti a vedere corridori che vanno alle corse per fare un certo tipo di lavoro? Ormai se non vai in corsa al 100 per cento, sei morto. Non tieni le ruote. Bernal ha impiegato due anni per riprendere il filo e forse ancora non l’ha fatto del tutto, ma lui era praticamente morto. Froome, che ha 10 anni di più, con quella caduta ha chiuso la carriera».

Il rientro di Pantani dopo l’infortunio avvenne in corse in cui Marco riuscì a ritrovare il ritmo
Il rientro di Pantani dopo l’incidente avvenne in corse in cui Marco riuscì a ritrovare il ritmo

I tempi biologici

Il ritmo di gara è alto, ma la fisiologia non si riscrive con il progresso. E se un atleta ha bisogno di recuperare da un infortunio serio e per farlo non può sfruttare il lavoro in gara, tutto si complica e i tempi si allungano.

«L’organismo – spiega ancora Guardascione – ha sicuramente bisogno di tempi biologici, su cui ci si può inventare poco. Si può giostrare con terapie più moderne, con dei supporti fisioterapici più moderni. Facciamo un esempio banale: da qualche anno c’è la Tecar, che 15 anni fa neppure si sapeva cosa fosse. Da qualche anno ci sono le onde d’urto, che qualche anno fa non sapevamo cosa fossero. Però la natura vuole che i tempi biologici vengano rispettati. Si può anticipare di quel 10-15-20 per cento, ma secondo me non si può fare il paragone tra 15 anni fa e quello che succedeva una volta a livello di performance. Prima i corridori si potevano permettere le corse di preparazione, mentre oggi se si va in corsa senza essere in forma, si finisce fra le ammiraglie».

L’infortunio di Froome avvenne a giugno 2019, Chris rientrò al UAE Tour 2020 prima del Covid
L’infortunio di Froome avvenne a giugno 2019, Chris rientrò al UAE Tour 2020 prima del Covid

Attesa e contratti

E qui il discorso andrebbe esteso ai team manager, soprattutto a quelli che dopo un po’ sono stufi di aspettare e reclamano risultati nel nome del lauto ingaggio che versano all’atleta infortunato.

«Non ci si può aspettare che si facciano miracoli – dice Guardascione – e se ci sono manager che mettono fretta senza sapere che da certi infortuni ci si riprende dopo parecchio tempo, vuol dire che sono sciocchi, oppure fanno finta di niente oppure ancora vogliono lucrare sul contratto».

Il tema è delicato. Gli atleti sono macchine pressoché perfette, combinazione miracolosa di equilibri delicatissimi. Un evento traumatico, un infortunio importante cancella anni di costruzione e costringe a ripartire da zero, dal ricostruire un’efficienza fisica che non si può dare per scontata. Ecco il motivo per cui in questo 2024 sarà interessante vedere all’opera Bernal e Alahilippe, aspettando con fede che anche Marta Cavalli si riprenda dall’ultima caduta e torni a prendersi ciò che è veramente suo.

Al tavolo con Bernal, fra il ciclismo e il senso della vita

17.02.2024
5 min
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ZIPAQUIRA (Colombia) – La vita entra in un’altra dimensione quando ci si siede a parlare con Egan Bernal. «Non so davvero come faccio a essere ancora qui. Potrei essere morto». Uno lo sa che cosa conti davvero. «Mia madre ha dovuto cambiarmi i pannolini nonostante avessi 24 anni e mio fratello mi ha dato da mangiare». Tutto questo accadeva solo due anni fa e ora eccolo qui. Vivo per raccontarlo.

Ecco perché adesso guarda alla vita da un’altra angolazione, «perché la vita va oltre una corsa ciclistica». Essere in punto di morte ti fa vedere le cose in modo diverso. Dai importanza a ciò che conta davvero. Questo è l’Egan Bernal di adesso, con tutta l’ambizione di essere nuovamente quello di prima. Perché vuole ciò che gli manca: una Vuelta a España, ma festeggiando ogni giorno la sua più grande vittoria: continuare ad essere vivo.

«Ora apprezzo di più i piccoli momenti della vita. Prima andava bene, ma non me ne rendevo conto. Ora cerco di ricordare: “Ehi, sto bene, non ho dolore, posso lavarmi la bocca”. Sono dettagli, ma non te ne rendi conto finché non ti succede qualcosa. E’ valorizzare le piccole cose. Sono sempre stato molto vicino alla mia famiglia, ma dopo l’incidente ancora di più. Il fatto di essere qui, a casa mia, con gli animali, con i cani, con il toro, la capra, le anatre, le galline, ho una fattoria e questo lo apprezzo molto. Quando mi sveglio, mi sento una persona fortunata perché sono vivo e ho la possibilità di lottare. E’ quello che ho sempre chiesto a Dio. Non dicevo: “Rendimi di nuovo il migliore al mondo”, ma “dammi la forza di provarci”. Per favore, “porta via questo dolore e al resto penserò io”. E questo mi fa sentire una persona molto fortunata».

Nell’ultima tappa del Tour Colombia, Bernal ha attaccato arrivando a vestire la maglia di leader virtuale
Nell’ultima tappa del Tour Colombia, Bernal ha attaccato arrivando a vestire la maglia di leader virtuale

Piccoli segnali

Tutto il resto, dice Egan, lo deve a una madre che è «la mia eroina», che ha avuto un cancro. Senza di lei «non sarei stato in grado di gestire le cose a quel modo». Non sarei riuscito ad essere un ciclista e tutto il resto. «Ho ereditato da lei la forza di lottare e andare avanti. Non di vincere o essere il migliore. Il fatto di lottare».

Con i colori della nazionale, Egan ha corso il Giro della Colombia, ha gareggiato nelle strade su cui si allena, anche quelle su cui si è quasi ammazzato. Ed è arrivato nella sua Zipaquira in un bagno di folle appassionate. Nell’ultima tappa ha messo sotto scacco l’intero gruppo con un attacco grazie al quale è diventato il leader virtuale della corsa. Piccoli scorci che invitano all’ottimismo. «Anche se non devo più dimostrare niente a nessuno», dice dopo i primi colpi di pedale della stagione.

Bernal era fra le stelle del Tour Colombia: qui nella conferenza stampa con gli altri campioni
Bernal era fra le stelle del Tour Colombia: qui nella conferenza stampa con gli altri campioni

Un super programma

E’ il punto di partenza di una stagione in cui Bernal vuole ritrovare le sue sensazioni. «Ora qui in Colombia mi sono sentito di nuovo bene con me stesso. Sento che, poco a poco, l’Egan Bernal di prima dell’incidente sta tornando e questo mi emoziona molto. Sono passati più di due anni, un periodo molto, molto duro, in cui ho fatto tanti sacrifici. Si può dire che molti altri corridori sicuramente si sarebbero ritirati o avrebbero iniziato a fare altro, mentre nella mia testa c’è sempre stata la voglia di non mollare».

Sono la Colombia e la sua gente il punto di partenza verso il ritorno del Bernal attaccante e affamato, quello dallo sguardo killer in cerca di trionfi. Non vuole privarsi di nulla di tutto ciò nel 2024, in cui ripeterà un programma simile alla scorsa stagione. Dalla Colombia a O Gran Camiño della prossima settimana, alla Strade Bianche, la Volta a Catalunya, i Paesi Baschi, il Tour de Romandie, il Tour de France e la Vuelta a España. Senza ancora sapere fino a che punto potrà arrivare. Perché «il mio ruolo dipenderà da come andrò quest’anno». Sarà la strada a dirlo.

I campioni di Colombia sono ispirazione per la loro gente: Bernal lo è per aver superato il terribile incidente
I campioni di Colombia sono ispirazione per la loro gente: Bernal lo è per aver superato il terribile incidente

La corsa della vita

Bernal ha già dimostrato che non si sentirà sminuito se dovrà fare il gregario, come l’anno scorso al Tour de France per Carlos Rodríguez. Farà quello che gli verrà chiesto. L’Egan Bernal di oggi è ancora assetato di trionfi, ma è anche molto consapevole del dono più grande di cui fa tesoro: essere vivo. «Non voglio sembri che abbia perso la motivazione, niente del genere. So cosa significa vincere un grande Giro e me ne resta solo uno, che è la Vuelta. So che è alla mia portata se continuo ad avere la mentalità di essere uno dei migliori».

Ma non è qualcosa che renderà amara la sua esistenza. Prima forse sì, non più dopo aver affrontato la morte faccia a faccia. «Smettiamo di apprezzare il fatto di stare bene a causa della fame di volere di più. Smettiamo di goderci le cose. Quello che mi è piaciuto di più dopo l’incidente è che la gente mi saluta e si congratula con me: non per il Tour, ma per la mia guarigione. C’è gente che mi ricorda che mi manca la Vuelta e io rispondo di no, che ho già vinto le tre gare più importanti: il Tour, il Giro e la corsa della vita. Potrei ritirarmi in pace. Sapere le persone si sentono ispirate da ciò che ho fatto non ha prezzo».

Il Tour Colombia dalla macchina fotografica di Ilario Biondi

15.02.2024
6 min
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«Per me andare in Colombia è stato come fare un tuffo nel passato. C’ero stato nel 1995 per i mondiali di Duitama, mondiali ai quali sono legatissimo. Per Pantani, per i campioni che emersero in quella gara, per il calore incredibile della gente. Ma era tutto diverso. Era la Colombia di Escobar. Ci dissero di stare attenti, che c’erano rischi e tensioni. Invece fu esattamente il contrario. Ci fu un’accoglienza unica. Quel calore non è cambiato». A raccontare tutto questo è Ilario Biondi, fotografo dell’agenzia Sprint Cycling, inviato all’ultimo Tour Colombia.

Da oltre 40 anni, Biondi fotografa il ciclismo in tutto il mondo. Dalle pellicole in bianco a nero alle più moderne camere digitali. Da Moser a Pogacar, dal più piccolo dei gregari al campione affermato… persino juniores e dilettanti sono finiti nel suo obiettivo. Ilario ci racconta quindi il suo Tour Colombia visto e vissuto dalla macchina fotografica.

Che tifo

Sei tappe nel cuore della Nazione andina. Sei tappe che hanno toccato le località simbolo del ciclismo e dei corridori colombiani. Duitama, appunto. Zipaquirà, casa di Bernal. Tunja quella di Quintana… La corsa mancava dal 2020, poi il Covid ci ha messo lo zampino. Ma senza più la gara in Argentina, San Juan, ecco che il Tour Colombia è divenuto il grande appuntamento del ciclismo sudamericano.

«Ho ritrovato un amore sconfinato per il ciclismo – racconta Biondi – specie nella zona di Boyaca. Lì, in tanti, ma veramente in tanti, vanno in bici… Magari alcune non sono super bici perché la situazione economica non è facile per tutti, ma la quantità di ciclisti che ho visto è qualcosa che mi ha colpito. Così come mi ha colpito il tifo: mi sento di dire che è ai livelli del calcio per calore ed intensità. E quanta gente a bordo strada: spesso sembrava di essere ad un tappone del Giro d’Italia o del Tour de France».

L’abbraccio della folla è sempre stato potente verso tutti, ma chiaramente gli idoli di casa erano i più osannati. E per questa gente, che certo non naviga nell’oro, dedicare delle ore al ciclismo, magari incide nella loro economia spicciola più che altrove. Ma si sa, alla passione non si comanda.

«Se dovessi stilare una classifica di popolarità – dice Biondi – il più acclamato mi è sembrato Nairo Quintana, poi Rigoberto Uran ed Egan Bernal. Anche Esteban Chaves aveva il suo bel seguito. Ma il fatto che Nairo fosse così sostenuto, nonostante la sua recente vicenda e non abbia corso nell’ultimo anno, non me lo aspettavo proprio. E’ considerato un Dio».

Caos e colori

Un bel caos dunque. E tanti colori. Sveglia all’alba per dirigersi alla corsa. Start verso le 10 e arrivi per le 13,30-14. Il tutto con un’organizzazione mossa e spinta da un grande entusiasmo.

«Per andare alle tappe – prosegue Biondi – c’era un bel traffico. La sveglia spesso era alle 6,30 e tra il fuso orario e anche la quota, visto che eravamo quasi sempre sul filo dei 2.500-2.600 metri, non era così facile. Non si riposava benissimo a 2.500 metri e qualche mal di testa da montagna non è mancato a noi europei. Un giorno ci siamo ritrovati a 3.100 metri e ammetto che muoversi a quelle quote con l’attrezzatura fotografica sulle spalle si faceva sentire».

Le stesse quote però secondo il fotografo romano incidevano anche sulle foto vere e proprie. Aspetti tecnici che solo un occhio esperto può cogliere a fondo.

«In effetti c’era un’altra luce e questo è fondamentale per i colori. Immagino dipendesse dall’alta quota. L’aria era più pulita e rarefatta, il cielo era limpido, di un azzurro intensissimo. Tutto ciò accendeva i colori. Ed emergevano forti: il giallo, il blu, il rosso della bandiera colombiana. Colori davvero brillanti».

«Non essendo un fotografo colombiano non cercavo per forza, o solo, la cronaca della corsa. Cercavo quelle cose caratterizzanti, che raccontassero di più. La faccia particolare, la frutta a bordo strada, gli indios».

Carapaz brillante

Ma con 40 e passa anni di esperienza e tante, tante corse vissute da dentro, Biondi ha affinato anche un certo occhio tecnico-sportivo. Il fotografo, che spesso è in corsa sulla moto, a volte conosce i corridori meglio dei giornalisti. Tra loro si stabilisce un rapporto di fiducia, che verosimilmente parte dalla condivisione della strada o di un temporale strada facendo. 

«In generale – spiega Biondi – ho visto bene i corridori colombiani, sia perché era la loro corsa, sia perché molti sono più avanti nella preparazione (specie quelli locali che non sono negli squadroni del WorldTour e sfruttano questa vetrina mondiale per mettersi in mostra, ndr). E infatti ha vinto Rodrigo Contreras della Nu Colombia».

«Tra i big ho visto bene Carapaz. Tra l’altro il suo attacco sull’Alto del Vino è stato anche un bel momento da dietro la macchina fotografica: questo scatto tra due ali di folla. Un grande tifo e gran baccano».

«Ho visto un buon Bernal. Egan ha provato ad attaccare, specie quando si passava nelle sue terre. Una sua vittoria sarebbe stata una bella storia: il ritorno dopo l’incidente. Così come lo è stata quella di Mark Cavendish. L’ex iridato che torna al successo dopo l’addio è stata una bella vetrina per il Tour Colombia stesso».