In questo ciclismo che va a mille all’ora, proviamo per un istante a immaginare la fatica che ha dovuto fare Egan Bernal per rientrare nel gruppo dei primi, di quelli che vincono. Mentre Pogacar, Vingegaard, Roglic e tutti gli altri – pur alle prese con svariati acciacchi – costruivano le loro armature da supereroi, il colombiano della Ineos Grenadiers rimetteva insieme le parti sbriciolate del suo corpo. Ha provato a più riprese a rimetterci il naso, ma si è reso conto ogni volta che il livello degli altri fosse troppo più elevato della sua andatura claudicante. Come quando rientri e davanti attaccano ancora.
Velocità diverse
E’ un ciclismo che non perdona nulla, in cui uno scafoide rotto ad aprile ti fa crollare tre mesi dopo sulle Alpi del Tour. Come si poteva pensare che Bernal potesse già essere competitivo contro simili macchine da guerra?
Egan ha vinto il Tour nel 2019. Ha pagato il conto alla schiena nel 2020. Ha vinto il Giro nel 2021 e poi ha avuto il terribile incidente in cui al di là di ogni discorso sulle sue prestazioni future, ha rischiato di morire o di rimanere tetraplegico. Si è ricostruito. Ha avuto svariati interventi. E mentre era dedito a tutto questo, non ha avuto il tempo per applicare pienamente a se stesso tutte le migliorie tecniche, di preparazione e di alimentazione su cui gli altri hanno investito le loro risorse. Si è sempre pensato che anche il miglior Bernal non avrebbe avuto i watt per contrastare Pogacar: è possibile, ma certo il confronto non è mai stato alla pari. Solo lo scorso anno per brevi tratti ha mostrato lampi di ritrovata fiducia.
Vincere le gare
Ora Egan è tornato alla vittoria. I due campionati colombiani (a cronometro e su strada) probabilmente valgono meno di due gare WorldTour in Europa, ma tre anni e otto mesi dopo l’ultima vittoria, gli hanno dato la conferma di saper ancora staccare tutti.
«Era da molto tempo che non gareggiavo – ha detto scendendo dal podio – dal Tour de France e sarà una grande responsabilità indossare questa maglia in Europa. La vittoria mi dà molta fiducia. Quest’anno con i miei allenatori vogliamo rompere lo schema di venire alle gare per soffrire e soffrire. Il corpo mi sta rispondendo come prima e la mentalità è sempre quella di essere uno dei migliori: quello che voglio è vincere le gare. Ho già vinto Grandi Giri e so che per essere felice della mia carriera, mi manca solo la Vuelta».
Fra sogni e realtà
In patria gli consigliano di puntare più su corse adatte al suo livello, senza andare a stuzzicare Pogacar e Vingegaard al Tour. Pare che il programma della Ineos lo veda schierato al Giro e alla Vuelta, nell’ultimo anno di Geraint Thomas che reclamerà certamente una leadership e con Carlos Rodriguez che sarà l’uomo per il Tour.
La Vuelta sarà anche la seconda Grande di Pogacar e Vingegaard. E se davvero la maglia roja è l’unica che manca al colombiano per dirsi felice della sua carriera, la sfida di agosto sarà infuocata come una corrida. In questo ciclismo che va a mille all’ora, non ci sono più corse facili o meno estreme. Sarà così al Giro e anche alla Vuelta. E come tutte le volte che un campione ferito torna a sfidare i giganti – tolti dal mazzo per ovvie ragioni gli italiani che attendiamo con messianica fiducia – le nostre preferenze vanno inevitabilmente su di lui. Forse non è più nemmeno un ciclismo che autorizzi a pensare che i sogni possano realizzarsi, ma non è per questo che smetteremo di sperarci. Il ciclismo ha mille strade, facciamo fatica a convincerci del fatto che la scienza abbia creato delle macchine perfette.