Omloop Nieuwsblad 2025, Edoardo Affini

Affini e la Visma, manuale d’uso per Piganzoli, Fiorelli e Mattio

09.11.2025
6 min
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L’hanno chiamata Celeste, è nata il 13 ottobre. Da quel giorno la vita di Affini e della compagna Lisa gira attorno alla primogenita, che per arrivare ha scelto il periodo di vacanze del papà. La bicicletta si affaccia di tanto in tanto, consapevole che l’attesa stia per terminare. A partire dall’8 dicembre, i corridori della Visma-Lease a Bike affronteranno il primo ritiro in Spagna e allora verrà il tempo del lavoro serio. Quando lo sentiamo nel primo pomeriggio, Edoardo è fresco reduce da una seduta di cambio del pannolino.

«E’ chiaro che è tutto diverso – sorride Affini – cambiano le priorità, cambiano le giornate, però sicuramente è bellissimo. Specialmente sono contento del fatto che me la posso godere quasi per un mese. Manca ancora un po’ perché diventi più… interattiva, mettiamola così, però mi prendo il mio tempo per starci assieme e creare un certo legame. E poi anche per la mia compagna fa una certa differenza. Se fosse nata a giugno – ride – dopo il Giro e prima del Tour, magari io avrei dormito qualche ora di più, però sarebbe stato un bel casino…».

Foto Instagram nascita di Celeste Affini (Photos by Loef)
“La più grande felicità può essere molto piccola”, così su Instagram l’annunio della nascita di Celeste (Photos by Loef)
Foto Instagram nascita di Celeste Affini (Photos by Loef)
“La più grande felicità può essere molto piccola”, così su Instagram l’annunio della nascita di Celeste (Photos by Loef)

Altri tre italiani

Tra le novità della squadra per il prossimo anno c’è che Affini non sarà più il solo italiano, ma sarà raggiunto da Piganzoli, Fiorelli e da Mattio, che in realtà ha già trascorso tre stagioni nel devo team olandese. Racconta che i capi gli hanno chiesto qualche referenza sui nuovi arrivati e che Piganzoli lo ha contattato per avere informazioni sull’ambiente che troverà. E proprio per questo lo abbiamo chiamato anche noi, perché ci incuriosisce il punto di vista di uno che corre nel team olandese dal 2021 e forse si era abituato all’idea di essere il solo… giapponese sull’isola.

«Prima di me c’era stato solo Battaglin – racconta Affini – l’anno prossimo saremo in quattro. Onestamente non mi fa un grande effetto, salvo che sarà bello parlare ogni tanto la mia lingua se saremo nella stessa corsa. Al nostro livello, può far piacere avere un connazionale, ma poi le decisioni vengono prese dalla squadra sulla base di ben altri fattori. La Visma è quella, la conosciamo bene. Quando sono arrivato nel 2021, era ancora in fase di ascesa. Poi si può dire che il 2022 e il 2023 siano stati gli anni più prolifici. Nel 2025 abbiamo vinto due Grandi Giri su tre e nel terzo siamo arrivati secondi, non mi sembra tanto male. Però è vero che gli sponsor più grossi cercano il Tour, perché hanno la risposta mediatica più grande, come la Champions League. Il Giro, la Vuelta e le classiche sono importanti, c’è poco da girarci d’attorno, ma il Tour è di più. E noi il Tour abbiamo provato a vincerlo, ma Tadej e la sua squadra ci sono stati superiori».

Fiorelli arriva alla Visma a 30 anni: avrà margine per crescere e compiti più precisi di quelli riservati a Piganzoli e Mattio
Fiorelli arriva alla Visma a 30 anni: avrà margine per crescere e compiti più precisi di quelli riservati a Piganzoli e Mattio

Maniacali per i dettagli

In questo gruppo super strutturato che ha nel Tour la stella polare e si nutre del Giro e della Vuelta – vinti con Yates e Vingegaard – come di bocconi secondari, arriveranno tre italiani, provenienti da due professional e dal devo team, che ha le stesse dotazioni, ma un respiro per forza meno ampio. Che cosa troveranno? Quale mentalità? Che cosa sente di dirgli il mantovano in procinto di iniziare la sesta stagione in giallo-nero?

«Non conosco da dentro le realtà della Polti e della Bardiani – ammette Affini – non so bene a cosa siano abituati, però credo che Fiorelli e Piganzoli faranno un salto di qualità a livello di attenzione ai dettagli e alla nutrizione, che qua sicuramente è un aspetto molto curato. Mi viene a pensare specialmente a Piganzoli, se vuole migliorarsi come uomo da classifica, magari all’inizio come spalla importante per Jonas o Simon. Allo stesso modo, tutto il livello performance viene curato veramente al massimo.

«Non so se in altre squadre ci siano le stesse cure del dettaglio, non so se sia possibile. Magari ogni team ha il proprio accento su una cosa piuttosto che su un’altra, però credo che qui troveranno un ambiente molto professionale e in grado di supportarli perché possano migliorarsi. Quanto a Mattio, è con noi da tre anni. Se ancora non ha capito di quale ambiente si tratta (ride, ndr), forse abbiamo un problema…».

Pietro Mattio, Visma Lease a Bike, WorldTour, Tour of Oman 2025
Pietro Mattio, sale nel WorldTour dopo tre stagioni in crescendo nel Development Team di Robbert De Groot
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Il tempo di crescere

La mente va al suo primo impatto, nonostante provenisse da un’altra WorldTour: la Mitchelton-Scott. Il ricordo di quelle prime settimane è ben chiaro. Aveva 24 anni come quelli che avrà il prossimo anno Piganzoli

«Quando sono passato qua – ricorda Affini – sicuramente la differenza più grossa l’ho trovata nella nutrizione. Erano gli anni in cui si stava cominciando a spingere l’acceleratore sui carboidrati. Magari l’avrei fatto anche se fossi rimasto alla Mitchelton, ma qua ho trovato un cambio radicale. Mi servì un po’ di tempo per abituarmi, poi ha funzionato tutto molto bene. Cercano di farti crescere, ma valutano caso per caso.

«Un buon esempio può essere Brennan. Ha 19 anni e ha cominciato già a far vedere certi numeri, a piazzarsi e vincere corse. Quindi lo hanno portato dove ha potuto fare risultato, ma non lo hanno buttato in un Grande Giro o portato a correre perché facesse punti. Non ha fatto 90 giorni di corsa, anche con lui c’è l’idea che cresca per step. Per cui, pensando ai nostri due più giovani, dipenderà anche da come risponderanno ai diversi carichi di allenamento, alle diverse gare. Tutto sommato immagino che su uno come Piganzoli ci fossero più attese alla Polti, dove era la bandiera, di quelle che inizialmente avrà qui da noi».

Giro d'Italia 2025, Davide Piganzoli, Isaac Del Toro
Alla Polti, Piganzoli ha corso da leader anche al Giro, scoprendo le pressioni del ruolo
Alla Polti, Piganzoli ha corso da leader anche al Giro, scoprendo le pressioni del ruolo

Un’azienda con 250 dipendenti

Il solo limite dei mega squadroni è la dimensione della grande azienda che allenta i rapporti umani e rende tutto piuttosto schematico, a questo certamente Piganzoli e Fiorelli non sono ancora abituati. Affini concorda, ma non c’è una via d’uscita. Prendete una qualunque azienda con centinaia di dipendenti, è ragionevole pensare che tutti si conoscano e siano in confidenza?

«Per la mia esperienza – dice – credo che ci sia la volontà di provare a mantenere quanto più possibile l’aspetto familiare e umano. Però è inevitabile che da un certo punto di vista sia inevitabile che le squadre vengano gestite come aziende, lo leggevo in un’intervista che avete fatto a Sobrero. I team sono sempre più grandi. Anche noi, guardando tutti quelli che ci lavorano saremo circa 250 persone se non di più, diventa difficile avere un rapporto stretto con tutti. Magari tra corridori o col tecnico di riferimento hai più contatti, quindi riesci effettivamente a creare una sorta di familiarità. Se entri a far parte del gruppo che prepara una grande corsa, condividi i ritiri e allora il rapporto si crea per forza. Però alla fine la squadra nella sua totalità viene gestita come un’azienda, questo è fuori discussione. Con certe persone ti vedi quando fai il primo ritiro dell’anno e poi al primo ritiro dell’anno dopo».

Tymewear, la misurazione del respiro…

03.08.2025
6 min
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E’ sempre più evidente quanto la tecnologia stia diventando parte integrante del ciclismo moderno. Il Tour de France ha confermato una tendenza in forte crescita: l’uso di strumenti che monitorano in modo sempre più dettagliato i parametri fisiologici degli atleti. Tra questi, ha destato molta curiosità Tymewear, un dispositivo indossabile che misura la respirazione e che è utilizzato da squadre di altissimo livello come la Visma-Lease a Bike (in apertura foto Tymewear).

Il suo impiego apre un nuovo orizzonte nella preparazione atletica e nella gestione dello sforzo in corsa, ma forse ancora di più nei meandri infiniti della preparazione. Dati come la potenza espressa, i watt, sono dati di output, cioè di quel che rende il fisico. E fu un passo in avanti rispetto al cardiofrequenzimetro che invece monitorava il corpo, come lavorava (dato input). Adesso, per assurdo, il concetto di Tymewear legato alla respirazione, sembra (rimarchiamo il sembra) fare un passo indietro, tornando ad incentrasi sul corpo umano. In realtà poi non è del tutto così, come vedremo. Di certo il tema è affascinante.

La fascia e i sensori Tymewear (foto Tymewear)
La fascia e i sensori Tymewear (foto Tymewear)

Cos’è Tymewear

Tymewear è un sistema intelligente di misurazione della respirazione pensato per raccogliere dati in tempo reale senza l’ingombro di maschere o sistemi ingombranti. Già questo fa capire che il monitoraggio della respirazione non è una cosa nuova, ma è importante. Pensiamo ad un atleta che fa i test in laboratorio…

Il dispositivo nasce da un’idea di Tymewear, appunto, una startup statunitense che si è posta l’obiettivo di portare la misurazione ventilatoria all’interno dell’allenamento quotidiano. La sua promessa è quella di offrire un parametro in più rispetto a quelli classici già disponibili, come potenza, frequenza cardiaca, temperatura corporea, consumo dei carbo…

Ma perché proprio la respirazione, ci si chiede anche sul sito di Tymewear? La ventilazione è il primo indicatore della fatica interna. A differenza della potenza, che misura solo la prestazione esterna, la respirazione racconta quanto quell’intensità costi al corpo, in termini di carico fisiologico. Tymewear rileva in modo preciso il volume di ogni atto respiratorio, consentendo di identificare soglie e stati di fatica in modo più sensibile. Il dispositivo è stato testato anche in ambiente accademico e ha già dimostrato una buona attendibilità nella misurazione ventilatoria durante lo sforzo, aprendo di fatto a nuove strategie di allenamento e di valutazione della performance.

Tymewear è utilissimo per individuare e ottimizzare le zone di lavoro
Tymewear è utilissimo per individuare e ottimizzare le zone di lavoro

Come funziona

Tymewear si presenta come una fascia elastica da indossare sotto la maglia. Al suo interno è integrato un sensore piezoelettrico che rileva l’espansione del torace a ogni respiro, traducendo questo movimento in dati numerici. Il sensore è collegato via Bluetooth a un computer da bici o ad una app, dove l’atleta può visualizzare informazioni come la frequenza respiratoria, il volume corrente e il volume/minuto. Oltre a questi, il sistema incrocia i dati di respirazione con gli altri già noti: potenza, battiti, cadenza…

Tymewear è stato pensato per l’uso continuativo: si può indossare per ore, anche in gara. E’ leggero, lavabile e compatibile con i principali sistemi di visualizzazione presenti sul mercato. Il vero valore aggiunto però non è solo il dato “live”, ma la raccolta a lungo termine: costruire uno storico della risposta respiratoria a determinati stimoli consente ai tecnici di impostare con maggiore precisione allenamenti personalizzati e strategie di recupero.

Il prodotto è ancora in evoluzione, ma il feedback ricevuto finora dagli atleti è stato molto incoraggiante. Soprattutto perché permette di “leggere” con maggiore accuratezza il bilancio tra stimolo e risposta, uno dei temi centrali nella preparazione moderna.

Edoardo Affini al Tour, il mantovano ci ha spiegato qualcosa di più su questo strumento
Edoardo Affini al Tour, il mantovano ci ha spiegato qualcosa di più su questo strumento

Parola ad Affini

Raccolta a lungo termine: questa frase si collega perfettamente con quanto ci ha detto Edoardo Affini, durante il Tour. Il campione europeo a crono ci ha raccontato come viene impiegato il dispositivo e quali informazioni fornisce realmente ai corridori.

«Tymewear – ha spiegato Affini – monitora il numero di respirazioni per minuto. O meglio, il volume di ogni respirazione. Questo parametro è collegato a tutto il resto: potenza, frequenza cardiaca… In pratica è un modo per capire quanto costa, dal punto di vista fisiologico, uno sforzo».

Ma serve davvero in gara? «Ad essere onesti non lo usiamo ancora in modo diretto come feedback. E’ più una raccolta dati. Magari gli diamo un’occhiata, ma sono soprattutto i preparatori e gli ingegneri a esaminare tutto: pendenza, watt, frequenza, cadenza… Da lì cercano di trovare spazi di miglioramento».

Per ora, dunque, Tymewear è uno strumento al servizio del team più che del singolo. Ma i margini di crescita sono ampi, perché la misurazione della respirazione rappresenta una frontiera ancora poco esplorata ma potenzialmente ricca di informazioni. Nel ciclismo l’approccio scientifico è sempre più determinante e come si lavora forte su materiali e aerodinamica, lo stesso si fa sulla gestione delle energie in corsa. Il dato della ventilazione, se interpretato correttamente, può essere la chiave per sbloccare ulteriori margini di rendimento.

Sembra che Vingegaard, super ligio ai dettami dei coach e della tecnologia, a Peyragudes si sia basato molto sui dati di Tymewear
Sembra che Vingegaard, super ligio ai dettami dei coach e della tecnologia, a Peyragudes si sia basato molto sui dati di Tymewear

A chi serve? Atleti o coach

Viene spontaneo chiedersi se questi strumenti siano utili anche a chi non fa parte del WorldTour. E’ un dispositivo solo per l’elite o può diventare uno strumento accessibile anche per gli amatori evoluti? La risposta, almeno per ora, è duplice. Tymewear si inserisce in un processo di analisi molto sofisticato, che richiede competenze specifiche per sfruttato al massimo. Ma è anche vero che, per chi lavora con coach, preparatori o usa piattaforme evolute, può rappresentare una nuova fonte di dati preziosi.

Dal punto di vista della compatibilità, Tymewear funziona con la maggior parte dei sistemi GPS più diffusi sul mercato, come Garmin, Wahoo o Hammerhead. Il dato può essere visualizzato come qualsiasi altro parametro e, una volta scaricato, elaborato tramite software di training come TrainingPeaks o GoldenCheetah.

Si dice che Jonas Vingegaard abbia fatto riferimento proprio alla respirazione Tymewear durante la cronoscalata di Peyragudes. «Personalmente – riprende Affini – lo guardo in corsa, ci butto un occhio come si suol dire, ma non è che dici: “Sto respirando due volte in più, meglio rallentare”. Quando sei a tutta e lo sforzo è massimo pensi solo a spingere. Però è vero che può aiutare a calibrare l’intensità se sei in una fase più gestibile dello sforzo».

E’ evidente che siamo ancora in una fase di test (almeno ad alti livelli), ma con prospettive molto interessanti. Per ora serve soprattutto agli staff tecnici, ma in futuro potrebbe diventare una risorsa anche per chi vuole migliorare il proprio approccio all’allenamento. Non più solo la prestazione visibile, ma anche il costo nascosto del gesto atletico.

Affini, gigante buono: i lavori forzati e la famiglia in arrivo

01.08.2025
6 min
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Le classiche. Il Giro. Il Tour. E ora Edoardo Affini si sta godendo un paio di giorni in un b&b in Olanda, per avere la sensazione di essere in vacanza, ma senza allontanarsi troppo da casa. La sua compagna Lisa sta per mettere al mondo il loro primo figlio e tutto sommato, dopo tanto viaggiare, anche passare del buon tempo in due è un ottimo modo per ricaricare le batterie. Edoardo è una brava persona, ligio al dovere, serio e insieme spiritoso di quell’umorismo di poche parole cui è difficile resistere.

«La prima parte di stagione era ben definita – dice in questo primo pomeriggio di fine luglio – ma a un certo punto è venuto fuori che probabilmente Laporte non sarebbe riuscito a rientrare per il Tour e hanno cominciato a prospettarmi l’idea di fare la doppietta. E’ stato bello impegnativo, questo è fuori discussione. Infatti sono abbastanza contento che adesso ci sia un momento di relax, perché ne avevo bisogno, sia a livello di gambe sia di testa. Mi serviva staccare, perché è stata lunga…».

A metà ottobre, Edoardo e Lisa avranno il primo figlio (foto Bram Berkien)
A metà ottobre, Edoardo e Lisa avranno il primo figlio (foto Bram Berkien)
Ci siamo sentiti una settimana dopo il Giro ed eri già in altura: quando hai saputo effettivamente che saresti andato al Tour?

Era nell’aria, ma ho detto chiaramente che avrei voluto sapere definitivamente se fossi nella rosa per il Tour prima che il Giro partisse. Poi ovviamente sarebbe dipeso da come ne fossi uscito, perché se fossi stato finito, sarei stato il primo a dire di lasciar stare. Invece quando durante la corsa e poi alla fine ci siamo confrontati, è bastato un paio di telefonate per capire che stessi bene e abbiamo deciso il da farsi tra Giro e Tour. Quindi sono andato in altura a Tignes, abbiamo pianificato tutto abbastanza bene e penso di aver reso come ci si aspettava.

Quali differenze hai trovato fra Giro e Tour?

A livello di esposizione mediatica, di gente, di… circus, la cassa di risonanza del Tour è parecchio più grande. Sarà il periodo, perché è luglio e sono tutti in vacanza. Oppure perché sono bravi a raccontarla. Sarà per quello che volete, però c’è più attenzione, da parte della stampa e degli addetti ai lavori. Se nelle corse normali ci sono testate che seguono sempre il ciclismo, al Tour ci sono anche quelle che durante l’anno il ciclismo non sanno neppure che cosa sia.

Forse per voi l’impatto è stato più pesante perché al Giro siete partiti per fare bene e lo avete vinto all’ultima tappa di montagna, mentre al Tour avevate lo sfidante principale a Pogacar?

E’ chiaro che siamo partiti in due maniere diverse. Al Giro avevamo l’idea di fare una bella classifica, però era un work in progress. Non sapevamo bene che cosa volesse dire fare una buona classifica e l’abbiamo costruita pian piano. E poi c’è stato il botto finale con Simon (Yates, ndr), che ha fatto quel tappone sul Finestre ed è andato a prendersi la rosa. Al Tour invece sapevamo dall’inizio che Tadej e Jonas se la sarebbero giocata. Erano loro due, potevi metterci in mezzo anche Remco e Roglic, però sapevi che bene o male i due più importanti erano loro.

Le classiche del Nord, poi il Giro e il Tour: per Affini il 2025 è stato finora a dir poco ricco
Le classiche del Nord, poi il Giro e il Tour: per Affini il 2025 è stato finora a dir poco ricco
Una pressione superiore?

Indubbiamente, ma anche con delle ricadute positive. Non è stato solo come stress, ma sapere di lavorare per uno che si gioca il Tour ti dà anche una certa spinta. Per questo sicuramente già in partenza c’era molta più attenzione a stare davanti e proteggere Vingegaard, tenendo gli occhi aperti.

E adesso ci spieghi per favore quale fosse il famoso piano della Visma?

E’ difficile da dire, non è che ci fosse un piano vero e proprio, però lo sapete come sono le interviste: quello che si dice è anche un gioco psicologico. Noi sicuramente abbiamo sempre cercato di fare la nostra corsa con le idee che avevamo e che discutevamo ogni giorno sul pullman. Abbiamo cercato di metterlo e metterli tutti in difficoltà il più possibile, sperando a un certo punto ci fosse un’apertura, che però alla fine non c’è mai stata. Sia Tadej sia la sua squadra sono stati molto solidi. A un certo punto, quando in certe tappe si ritrovavano l’uno contro l’altro, la squadra contava fino a un certo punto.

Lo scopo era fiaccare la UAE e portare Pogacar sempre più stanco al testa a testa?

Erano loro due che dovevano giocarsela e alla fine Jonas ci ha provato diverse volte, però non è mai riuscito a scalfirlo. Mentre al contrario, purtroppo, anche lui ha avuto un paio di giornate storte. Soprattutto la prima cronometro e poi Hautacam sono state le due tappe che hanno dato a Pogacar il suo vantaggio. Se sommate i due distacchi (1’28” persi nella crono di Caen e 2’10” persi ad Hautacam, ndr), arrivate quasi allo svantaggio di Vingegaard da Tadej.

Il Mont Ventoux ha rafforzato in Vingegaard la convinzione di poter attaccare Pogacar
Il Mont Ventoux ha rafforzato in Vingegaard la convinzione di poter attaccare Pogacar
Secondo te, Jonas ha mai avuto la sensazione di aver visto una crepa durante il Tour? Ad esempio nel giorno del Mont Ventoux, Pogacar non è parso imbattibile…

Quella è stata una giornata particolare. Mi ricordo che quando siamo tornati sul bus, ero abbastanza soddisfatto. Quel giorno Jonas ha visto che poteva attaccarlo, che poteva metterlo alle corde, se si può dire, perché alla fine alle corde non c’è mai stato. Però poteva dargli del filo da torcere e Tadej avrebbe dovuto spendere un po’ per rispondere. Quella è stata una giornata che gli ha dato un po’ di fiducia, specialmente pensando alle tappe alpine.

Anche se poi sulle Alpi non è successo molto…

Sul Col de la Loze, come squadra non si poteva fare di più. A La Plagne invece non è venuto fuori nulla di utile, ma è stato chiaro che non si siano giocati la tappa e che anzi il discorso sia stato: se non posso vincere io, non puoi vincere neanche tu. E allora ci sta bene che vinca un altro (Arensman, ndr).

La sensazione è che il piano fosse stancare Pogacar, ma forse ha stancato di più Vingegaard.

Alla fine erano tutti e due abbastanza al limite. Del resto, è stato il Tour più veloce della storia e penso che anche questo voglia dire qualcosa. Andavamo ogni giorno alla partenza e ci dicevamo: «Vabbè dai, oggi saranno tutti stanchi, non si partirà come ieri!». Invece ogni giorno si partiva più forte. Abbiamo coniugato il verbo “specorare” in ogni forma possibile: dalla prima all’ultima lettera, tutte maiuscole e in neretto (ride, ndr).

Nella crono di Caen, Affini ha centrato il terzo posto, a 33″ da Evenepoel
Nella crono di Caen, Affini ha centrato il terzo posto, a 33″ da Evenepoel
Che cosa prevede ora il tuo programma: non si fa più nulla sino a Natale?

No, no, dai, non così tanto. Non c’è ancora un programma ben definito, ma c’è da far quadrare la squadra fra chi è disponibile, chi è ammalato, chi è infortunato. Potrei fare il Renewi Tour o il Great Britain oppure entrambi. Poi magari un paio di corse di un giorno in Belgio, ma lì mi fermo. I mondiali sono troppo duri, gli europei magari sono più abbordabili, ma ho già detto al cittì Villa che non sarò disponibile. Un po’ mi dispiace, ma preferisco essere a casa con la mia compagna. Potrei essere ancora in tempo, perché il tempo finisce a metà ottobre, però metti il caso che nasca un po’ in anticipo? Certe esperienze è bello viverle di persona, non in videochiamata. Per cui in quei giorni sarò a casa. Mi sa tanto che se non ci incrociamo nelle poche corse che mancano, la prossima volta ci vedremo in Spagna nel ritiro di dicembre. A ottobre ho qualcosa di molto importante da fare.

Undici (meno uno) italiani al Tour: velocisti, gregari e attaccanti

06.07.2025
6 min
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LILLE (Francia) – Erano undici gli italiani al via del Tour de France. Tre più dell’anno scorso e tutto sommato era una gran bella notizia, specialmente per come si era messa. Anche stavolta dovevamo arrivare a otto-nove, stando alle stime. Poi invece ecco Albanese e Dainese unirsi alla “legione francese”. Ma per una bella notizia che c’è, ne arriva subito una brutta: Filippo Ganna ieri ha lasciato la corsa dopo cento chilometri o poco più. Una vera doccia fredda.

Tuttavia chi c’è è pronto a vendere cara la pelle. Non sarà facile, visto il livello mostruoso che c’è in tutti i settori, ma se questi corridori sono qui è perché a quel livello mostruoso contribuiscono anche loro. Presentiamoli dunque questi alfieri che sulle strade di Francia cercheranno di fare “casino”, di vincere, di aiutare.

I velocisti

Appartengono a questa categoria: Jonathan Milan, il suo compagno Simone Consonni e Alberto Dainese.
Milan è al debutto sulle strade del Tour e lo abbiamo visto ieri, quando purtroppo si è fatto sorprendere dai ventagli. E’ partito sereno e anche molto motivato. Alla presentazione dei team, lui e Consonni hanno parlato di un treno molto buono. Avevano provato due volte il finale di queste frazioni iniziali una volta arrivati a Lille. E hanno detto che dopo averlo visionato avevano rivisto qualcosa proprio nella disposizione del treno. Simone dovrebbe essere l’ultimo uomo, per una coppia che ormai naviga insieme da diversi anni. Entrambi sono in ottime condizioni.
Piccola curiosità: secondo Ganna, Milan è il favorito per la maglia verde.

Dainese invece è alla sua seconda Grand Boucle. Nel 2022, giovanissimo, ottenne un settimo e un terzo posto. Proprio in virtù di quei piazzamenti ci si aspettava un po’ di più dal portacolori della Tudor Pro Cycling, ma anche lui ha avuto le sue belle sfortune, come alcune brutte cadute persino in allenamento. Però se è qui è perché sta bene. Quest’anno non ha ancora vinto, magari è il momento giusto. Semmai, avendo Marius Mayrhofer in squadra, c’è da capire chi aiuterà chi. Alberto potrebbe essere l’ultimo uomo. O potrebbero anche scambiarsi i ruoli, come è già successo al Giro 2024.

Per i capitani

Di certo Mattia Cattaneo ed Edoardo Affini sanno bene che sono stati portati in Francia dalle rispettive squadre, la Soudal-Quick Step e la Visma-Lease a Bike, per aiutare i loro capitani. Difficilmente avranno carta bianca, ma il gioco ne vale la candela. Entrambi i loro leader puntano alla maglia gialla.

Cattaneo è alla corte di Remco Evenepoel. La squadra ripone una fiducia immensa in lui. E tanto più senza Mikel Landa, probabilmente Mattia sarà chiamato anche a fare qualche straordinario in salita. Remco lo ha voluto. E Cattaneo con enorme professionalità si è fatto trovare pronto.

Altro cavallone di razza è Affini che abbiamo sentito proprio ieri. E sempre ieri lo abbiamo visto subito davanti a menare come un fabbro. Lui ha un compito più specifico da svolgere: supportare la squadra in pianura. Con la sua stazza, in salita è fuori dai giochi, ma in pianura e non solo sarà fondamentale. E di pianura e di vento, specie in queste prime tappe, ce ne saranno tanti.

Terzo a entrare con pieno diritto in questa categoria è Gianni Moscon. Anche lui lavora per un leader niente male: Primoz Roglic. Magari viste le ultime apparizioni, lo sloveno potrebbe fare più fatica in ottica maglia gialla, ma il podio è del tutto alla sua portata. Gianni stesso ce lo ha detto: «Sarò chiamato a lavorare soprattutto in pianura e nelle tappe ondulate».

I casinisti

C’è poi la folta schiera dei ragazzi che andranno a caccia di tappe, da quelle ondulate a quelle in salita, se il gruppo dovesse lasciare andare una fuga. Parliamo di Vincenzo Albanese, di Simone Velasco, di Matteo Trentin e di Davide Ballerini.

Questi ultimi due li avremmo potuti inserire anche nella categoria dei velocisti. In fin dei conti spesso facevano le volate di gruppo. E Ballerini, proprio perché è veloce e tiene in salita, magari potrebbe anche pensare alla maglia verde. Ma certo dovrebbe gettarsi in volata e con Merlier, Milan e compagnia bella, non è facile per lui.

Trentin è Trentin: ha l’esperienza per provare a vincere, ma anche per aiutare il capitano Julian Alaphilippe. Il suo sarà un Tour tutto da scoprire, nonostante sia il settimo più vecchio al via e vanti nove presenze alla Grand Boucle. Guarda caso nella frazione di ieri è stato quinto, primo degli italiani. Nella foto di apertura si nota come fosse davanti a tirare nel ventaglio (al fianco di Affini). Insomma nel momento clou lui c’era.

Gli altri invece, non avendo un uomo di classifica, possono correre liberamente. Un giorno dare l’assalto e un giorno “riposarsi”. Magari è proprio questa la formula per divertirsi e andare forte.
Albanese aveva detto ai microfoni Rai che aveva cerchiato di rosso per esempio la seconda e la quarta frazione. Velasco, più scalatore, aveva visionato la tappa 10, quella del Massiccio Centrale.

Che attacchino, che aiutino o che facciano gli sprint, i dieci italiani rimasti in gara hanno ancora oltre 3.100 chilometri a disposizione per rompere un digiuno di tappe che si protrae dal 2019, quando Nibali vinse a Val Thorens.

Affini al Tour: custode di Vingegaard e in supporto di Van Aert

05.07.2025
4 min
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E’ iniziato il primo Tour de France in carriera per Edoardo Affini. Un esordio importante per il mantovano, che ormai vive stabilmente in Olanda, e un attestato di stima da parte della Visma Lease a Bike nei suoi confronti. I calabroni hanno voluto mettere un altro dei protagonisti della vittoria di Simon Yates al Giro d’Italia accanto a Jonas Vingegaard. 

L’ultima corsa a cui ha preso parte Affini è stato proprio il Giro d’Italia, da quel momento è iniziata la preparazione per la Grande Boucle. 

«E’ una cosa nuova anche per me – ci ha raccontato poco prima di mettersi in viaggio verso Lille – perché per la prima volta correrò due Grandi Giri in maniera consecutiva. L’anno scorso avevo fatto Giro e Vuelta ma l’approccio è diverso, si ha più tempo per prepararsi e si può staccare un po’. Invece quest’anno appena finito il Giro sono andato in altura a Tignes, praticamente il mio riposo è stato di due giorni».

Edoardo Affini sarà uno degli uomini al servizio di Vingegaard al Tour de France
Edoardo Affini sarà uno degli uomini al servizio di Vingegaard al Tour de France
Quando avete deciso che avresti fatto anche il Tour?

Ne abbiamo parlato seriamente con lo staff che segue la parte di performance al Giro. Ci siamo messi a parlare e abbiamo deciso cosa fare tra le due gare per arrivare pronto. 

Cosa avete deciso?

Di andare subito in altura a Tignes (in apertura foto Instagram/Visma-Lease a Bike). Praticamente il Giro è terminato domenica 2 giugno e io il sabato successivo ero già in ritiro. Per la prima settimana mi sono concentrato sul recupero attivo e sull’adattamento all’altura. Da lì in poi ho fatto allenamenti mirati, pochi giorni dopo sono arrivati anche gli altri che erano al Delfinato. 

Terminate le fatiche del Giro, Affini ha iniziato la preparazione per la Grande Boucle (foto Instagram/Visma-Lease a Bike)
Terminate le fatiche del Giro, Affini ha iniziato la preparazione per la Grande Boucle (foto Instagram/Visma-Lease a Bike)
Come stavano le gambe dopo il Giro?

Bene. Alla fine ogni giorno c’era qualcosa da fare, anche a Roma abbiamo lavorato per la volata di Kooij. Diciamo che ero stanco, ma non distrutto. Un bel segnale in realtà in vista della preparazione per il Tour. 

A proposito, hai cambiato qualcosa negli allenamenti?

Bene o male ho seguito il solito schema. Ho fatto qualche modifica sui blocchi di lavoro facendo due giorni di carico e non tre. Non serviva caricare troppo anche perché l’endurance, arrivando dal Giro era già allenata. Bastava qualche ora in meno di allenamento ma con più qualità. 

Affini correrà le due cronometro del Tour indossando la maglia di campione europeo conquistata a Zolder lo scorso settembre
Affini correrà le due cronometro del Tour indossando la maglia di campione europeo conquistata a Zolder lo scorso settembre
Non sei riuscito a correre al campionato italiano, ti è dispiaciuto?

Con il team eravamo in ritiro ufficialmente fino al 25 giugno, poi eravamo liberi di fare quello che avremmo voluto. Pensare di scendere dall’altura e andare direttamente al campionato italiano a cronometro diventava troppo complicato. Tignes e San Vito al Tagliamento distano parecchie ore di auto, non sarei arrivato nelle giuste condizioni per onorare la corsa. Mi è dispiaciuto perché avrei corso con la maglia di campione europeo. Avrei preferito testare la gamba prima di tornare in corsa, ma non c’è stato modo. Le prime due tappe serviranno per trovare il ritmo. 

Che atmosfera si respirava in ritiro?

Buona, il Delfinato è andato bene, anche Tadej (Pogacar, ndr) è andato secondo le aspettative. Direi che tutto è pronto per la sfida. Però il Tour non sarà solamente una battaglia a due, anche Remco (Evenepoel, ndr) è un cliente scomodo. In più in corsa c’è tutto il gruppo. 

Affini ha già assaporato il clima del Tour de France con la presentazione delle squadre di giovedì
Affini ha già assaporato il clima del Tour de France con la presentazione delle squadre di giovedì
Quale sarà il tuo ruolo?

In linea di massima sostenere e tenere coperto Vingegaard il più possibile. Se ci sarà da tirare sarò uno dei primi a entrare in azione. Poi dovremo capire cosa fare se Van Aert vorrà provare a vincere qualche tappa. In tal caso penso di essere io il primo al suo fianco. 

Che effetto fa essere al Tour?

E’ una grande emozione. Partecipare era uno dei miei obiettivi da corridore e sono felice di esserci. Sono curioso, è la corsa più grande al mondo con un impatto mediatico incredibile. Tutti sanno cos’è il Tour de France. Si andrà forte, ma anche al Giro non si è mai andati piano, da questo punto di vista non mi aspetto enormi differenze. 

Yates c’era, ma nessuno l’ha visto. Affini spiega il capolavoro Visma

07.06.2025
5 min
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Affini ammette di non essere uno che dorme tanto, ma che un paio di giorni di letargo dopo il Giro gli sono serviti. Adesso si tratta di preparare un’altra valigia, perché i corridori non si fermano mai, ma prima un ritorno sulla corsa conquistata da Yates ci sta tutto. Quello che ci interessa capire con il mantovano della Visma-Lease a Bike è cosa abbia rappresentato la conquista della maglia rosa per la squadra che nel 2023 aveva vinto Giro, Tour e Vuelta e l’anno successivo si è trovata a fare i conti con infortuni, sfortune e piazzamenti troppo piccoli per le attese generate nell’anno delle meraviglie.

«Diciamo che il 2023 è stato qualcosa di probabilmente irripetibile – dice Affini – poi il 2024, venendo da una stagione del genere, è stato un’annata più complicata, ma non da buttare via completamente. Alla fine, se guardi, non eravamo scomparsi dagli ordini d’arrivo, però è chiaro che una differenza c’è stata. Quest’anno siamo ripartiti abbastanza bene, anche se siamo mancati nelle classiche Monumento al Nord. Siamo stati presenti, ma è mancato il risultato pesante. Per cui venire al Giro e riuscire a portare a casa tre tappe e la maglia rosa credo che sia stata una bella botta di fiducia».

Si prepara la valigia per l’altura, senza conoscere ancora il programma del ritorno alle gare, ma con un’ipotesi Tour che segnerebbe il suo debutto e il giusto riconoscimento per un atleta che più forte e concreto non si può. Affini dice che gli piacerebbe fare il campionato italiano a crono, perché potrebbe correrlo con la maglia di campione europeo, ma altro non è stato ufficializzato e si dovrà attendere la metà di giugno per avere i piani dell’estate.

Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sei stato uno di quelli che ha incitato Yates perché ci credesse: lo avevi in testa da prima oppure è stato una scoperta giorno dopo giorno?

Ho corso con la allora Mitchelton-Scott in cui c’era anche Simon. Lo conoscevo già, anche se quando è arrivato da noi, era chiaro che fosse stato preso più come rinforzo per Jonas (Vingegaard, ndr). Però allo stesso tempo gli avevano dato carta bianca per giocarsi le proprie carte in certi appuntamenti. E’ partito con l’idea del Giro già dall’inverno e quando siamo arrivati a Tirana c’era l’idea di fare una bella classifica. Volevamo fare tutto il possibile per metterlo nelle condizioni di ottenere un risultato. Poi strada facendo, è cresciuta sempre di più la fiducia che potesse arrivare qualcosa di grande. Per cui direi che abbiamo sempre visto Simon come un uomo per fare classifica e lo abbiamo protetto come meglio potevamo.

Ha raccontato di essere rimasto da solo soltanto nelle crono, mentre per il resto del tempo lo avete tenuto al sicuro…

Il mio compito era di tenerlo il più coperto e il più a lungo possibile, fintanto che in certe tappe il mio fisico me lo consentiva. Invece nei finali veloci, era sempre (tra virgolette) un casino, nel senso che eravamo divisi. Avendo Olav Kooij, Van Aert e io eravamo più concentrati su di lui, almeno nei finali di corsa quando cominciava l’avvicinamento alla volata, quindi negli ultimi 5-6-10 chilometri. In quei casi, il resto della squadra si stringeva attorno a Simon.

Tu hai vissuto il Nord con Van Aert e probabilmente ne hai condiviso le delusioni. Come è stato vederlo vincere la tappa di Siena?

Forse ne ho già parlato con qualcun altro, non mi ricordo bene con chi, ma sostanzialmente non è che in primavera Wout non ci fosse. Era sempre lì, solo che s’è trovato davanti degli altri corridori che in quel momento gli erano superiori. Però a guardare bene, la sua continuità è stata un segnale importante. Poi è chiaro che soprattutto in Belgio la stampa si aspetta tanto e a volte esagera. Però ci sono anche gli altri, non solo lui. Vederlo vincere una tappa, soprattutto quella di Siena che per lui è da sempre un posto importante, è stato un bel momento. Ha fatto un grande lavoro in tutte le tappe, ma vederlo vincere è stato bello per tutti noi. Eravamo tutti contenti, tutta la squadra quella sera ha festeggiato.

Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Si racconta che dopo la sconfitta del 2023, lo scorso anno Pogacar fosse davvero super determinato. Si percepisce una rivalità fra Visma e UAE?

Forse andrebbe chiesto ai diretti interessati, quindi Jonas e Tadej. Però noi, come squadra, sappiamo quali sono i corridori che effettivamente devi considerare rivali al 100 per cento. E’ normale che quando hai gli stessi obiettivi, diventi automaticamente il rivale numero uno. Allo stesso modo, quando hai due corridoi come Vingegaard e Pogacar, la rivalità diventa più forte. Ovviamente ce ne sono anche altri, il Giro ad esempio ha mostrato Del Toro e Ayuso, ma avere dei riferimenti come loro è una spinta reciproca. Ogni squadra cerca di migliorarsi, magari nel trovare quello 0,5 per cento per andare un po’ più forte. E questo riguarda i corridori, ma anche lo staff. Alla fine, se il livello è alto, lo scontro è elevato, come nel calcio.

Eppure, pur conoscendovi, è parso che nella tappa di Sestriere la UAE Emirates abbia sottovalutato Yates: a Martinelli è parso incredibile…

Per quello forse è stato bravo Simon con la sua esperienza, a gestirsi in quella maniera. Come ha detto anche lui, non ha preso un filo di vento e nessuno quasi lo ha visto. Il nostro scopo sin dall’inizio era portarlo avanti nel Giro senza che facesse troppa fatica. Praticamente c’è sempre stato, ma era come se non ci fosse e così ha gestito al meglio le sue energie.

Kooij sale sul diretto Affini-Van Aert e si prende Roma

01.06.2025
5 min
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ROMA – Olav Kooij sta per entrare in mix zone. Sono passati forse venti minuti dalla sua vittoria, ma ecco che Wout Van Aert lo richiama. «Vieni, andiamo alla premiazione di Simon (Yates chiaramente, ndr)». E così è andata a finire che tra brindisi, premiazioni, antidoping, priorità delle tv, e svariate pacche sulle spalle, l’olandese della Visma-Lease a Bike si è presentato ai microfoni quando ormai le ombre avevano coperto persino i punti più alti del Foro Romano.

Il re di Roma è lui. E’ lui che ha vinto lo sprint finale su un circuito meno scontato del previsto. Un anello nel cuore della Capitale che a tratti riprendeva gli ondulati del GP Liberazione e arrivava sulla collinetta che domina il Circo Massimo.

Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale
Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale

Turbocompressore Affini

Si poteva pensare che i calabroni, oggi a dire il vero con il rosa al posto del giallo, potessero essere appagati dai due successi di tappa e soprattutto dalla rocambolesca maglia rosa conquistata ieri. E invece eccoli spianati sulle loro Cervélo. Il treno finale, un diretto, era composto da Edoardo Affini, Wout Van Aert e appunto Kooij.

La velocità era altissima. La fuga volava e dietro si limava come fosse una classica. Altro che gambe stanche. O almeno, se così era, i corridori non lo hanno dato a vedere. La Alpecin-Deceuninck ha svolto un ottimo lavoro per Kaden Groves, ammaliato dal circuito tecnico e duro e dall’arrivo in salita: 300 metri al cinque per cento.

Ma quando poi entrano in gioco i mega motori c’è poco da fare. Sentite qui il racconto di Affini degli ultimi 1.500 metri: «C’era tanta tensione ed è stato un po’ un gioco di tempistiche nella parte finale. Anche le altre squadre volevano stare davanti e soprattutto avevano sacrificato degli uomini per chiudere sulla fuga, che stava andando veramente forte. Quindi un po’ tutti erano senza uomini e per questo non bisognava sbagliare i tempi della volata. A quel punto siamo andati in crescendo di velocità, pensavamo partisse il tutto ma si sono spostati e la velocità è calata».

Quelli sono attimi di incertezza in cui c’è un grande rimescolamento di carte. E proprio lì Affini mette a segno il capolavoro per il suo team e per Kooij.

«Ci sono state di nuovo un paio di accelerazioni – spiega Affini – ma sono riuscito a stare in posizione senza sprecare troppo. Poi a un chilometro e mezzo ho visto che era il momento di andare e mi sono detto: “Adesso. O la va o la spacca”. Per radio Wout mi ha fatto sapere che erano in buona posizione. Mi ha detto: “Siamo qui”. Io ho capito che erano alla mia ruota ed è stata un’indicazione importante per fare un’accelerata forte. Quando sai che i tuoi compagni ti seguono hai ancora più motivazione, più certezza. Sai che non stai facendo una tirata a vuoto».

L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)
L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)

Vittoria Kooij

A quel punto Kooij doveva “solo” spingere la sua bici fino al traguardo. «Edoardo – dice Kooij – è stato un grande a spingere in quel modo e a sua volta anche Wout ha potuto affondare fortissimo. Toccava a me e non potevo che spingere forte sui pedali… L’unica paura che avevo non era per lo sprint in sé ma di riuscire a restare sui pedali dopo tre settimane durissime».

«Non è facile concludere uno sprint perfetto, ma oggi credo proprio che ci siamo riusciti con tutta la squadra. Prima di Affini e Van Aert che, ripeto, mi hanno posizionato in modo perfetto, anche gli altri avevano svolto egregiamente il loro compito. Pertanto sono contento di averli ripagati così».

Prima di andare oltre, Olav ha dedicato anche un pensiero a Robert Gesink, una colonna portante di questo team. «Oggi abbiamo pedalato con un’emozione speciale ulteriore, per la perdita della moglie del nostro ex compagno di squadra Gesink».

La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità
La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità

Festa maglia rosa

«Olav – racconta Affini – è sicuramente un grande velocista, direi uno dei migliori al mondo. E che finale per noi, con Simon in maglia rosa. È stato bellissimo finire il Giro d’Italia così, con Olav primo a Roma. Era una tappa che avevamo cerchiato in rosso. E credetemi, oggi non è stata affatto una passerella, come si suol dire. Siamo andati forti tutto il giorno. A parte ovviamente la prima parte con un po’ di foto, un po’ di festeggiamenti».

Anche Kooij fa eco a quanto detto da Affini e ha voglia di staccarsi dalla sua vittoria. In fin dei conti è comprensibile: hanno vinto il Giro d’Italia. «Questo finale di settimana è stato incredibile, davvero. L’azione di ieri con Simon è stata, è stata… non so neanche come dire: pazzesca! E poi vincere qui a Roma. La vittoria di Simon mi ha dato ancora più carica. Abbiamo vissuto 24 ore incredibili».

Proprio su Roma, si è soffermato l’olandese. In qualche modo è riuscito a godersi lo spettacolo di questo arrivo nella storia. «E’ stato bellissimo, abbiamo pedalato con un panorama stupendo. Conoscevo già il Colosseo… Un circuito bello, ma anche duro. Ora festeggeremo con una bella cena romana!».

E dopo 41′ spunta Affini, ritratto della felicità, che racconta

01.06.2025
4 min
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SESTRIERE – Quando ormai tutti, ma proprio tutti i 159 corridori rimasti in gara sono sfilati verso le ammiraglie, ecco che spunta Edoardo Affini. Il gigante della Visma-Lease a Bike ha un sorriso grosso così.

Edoardo è transitato 41’08” dopo il bravissimo Chris Harper e ha perso ulteriore tempo perché si è infilato direttamente nella mixed zone per stritolare con un abbraccio dei suoi Simon Yates. Hanno vinto il Giro d’Italia ed è giusto così.

Lo hanno vinto con una grande azione di squadra. Il ruolo di Wout Van Aert se non decisivo è stato determinante. Che locomotiva, Wout… Alla fine i campioni trovano sempre un modo per farsi vedere, mettersi in mostra e soprattutto per essere nel vivo della corsa. Ma nel vivo della corsa e di questo Giro c’è stato anche Edoardo Affini. Era dal successo sul Lussari di Primoz Roglic che non conquistava un Grande Giro, ma quella era tutta un’altra storia. Era decisamente più attesa quella maglia rosa. E la festa può dunque iniziare.

Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Edoardo, sei emozionato, ve lo aspettavate?

Aspettavate “ni”, nel senso che io onestamente ci credevo. Se chiedete anche ai massaggiatori, ai ragazzi dello staff, quando parlavamo con i direttori dicevo sempre che Simon doveva crederci, perché continuavo a vederlo bene. Era bello pimpante, forse da un certo punto di vista ci credevamo quasi più noi che lui.

Incredibile, ma ormai anche tu hai una certa esperienza in fatto di grandi capitani…

Anche ieri sera gli ho detto: «Dai Simon, credici. Insisti». E come me anche gli altri. Abbiamo provato a dargli la spinta giusta e poi oggi ecco quel che è successo! Quando in radio ho sentito che cominciava a guadagnare ho detto: «Dai, dai… ma che roba sta succedendo?». Che poi ha vinto il Giro d’Italia sulla salita dove l’aveva perso. Ma lui è tornato per vincerlo. Penso che sia una storia incredibile, una gran bella storia.

Era in programma di mandare in fuga Van Aert? Avevate progettato questa azione?

Sì, ma non in modo forzato, diciamo. Mi spiego: non è che dovesse fare proprio quello che ha fatto, però si è creato un gruppo grosso di attaccanti, volevamo metterci un uomo e Wout è riuscito ad entrarci. Poi chiaramente, per come si è messa la corsa, è venuto fuori un piano perfetto.

Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Edoardo, come hai vissuto questi chilometri finali?

Li ho sofferti! Perché dopo tre settimane e con queste salite sono abbastanza finito, ma è chiaro che avere quelle notizie dava motivazione.

Cosa ti chiedevano gli altri vicino a te?

Ah – ride – volevano sapere come stava andando. «Ma è finita?». «Come sono messi?». «Cosa è successo?». Io davo un po’ di indicazioni, ma fino a un certo punto, perché poi la distanza cominciava ad essere troppa, quindi anche la radio non si sentiva più bene. Arrivare quassù e vedere tutto quanto… una gioia!

I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
Hai avuto modo di vedere Simon, di fargli i complimenti?

Sì, sì, sono andato nella mixed zone. Stava facendo le interviste, ma me ne sono altamente “sbattuto le balle” (concediamogli questa licenza, ndr) e sono piombato su di lui. Per una cosa del genere non c’è intervista che tenga. Ci siamo abbracciati subito.

E’ una grande soddisfazione anche per chi come te lavora per questi capitani, giusto?

Assolutamente. In queste tre settimane io ho fatto un po’ il suo bodyguard, per le tappe ovviamente più veloci. Per quelle più dure stavo lì finché riuscivo. Poi ero di supporto, ovviamente, anche ad altri corridori della squadra. Però che dire, con Simon abbiamo fatto un ritiro insieme a Tenerife, ad inizio anno siamo stati in camera assieme… Penso che si sia creato un bel legame. E poi, ragazzi, dopo una vittoria del genere… E’ tanta roba.

Caschi e marginal gains: Affini e la scelta tra Giro Aries ed Eclipse

25.05.2025
5 min
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Nel ciclismo dei dettagli, dei marginal gains, la scelta del casco non è affatto banale. Ormai ogni team può decidere tra più modelli, non solo per strada e cronometro, ma anche per la stessa specialità. Ed è proprio questo il tema che abbiamo approfondito con Edoardo Affini, portacolori del Team Visma-Lease a Bike.

Durante il Giro d’Italia, il passista mantovano ci ha spiegato come sta utilizzando tra i suoi caschi Giro: l’Aries Spherical e l’Eclipse Spherical, due modelli da strada che a un primo sguardo possono sembrare simili, ma che in realtà hanno differenze ben precise.

Entriamo nel dettaglio con Affini. Intanto se volete “ripassare” le caratteristiche tecniche dei due caschi, cliccate qui per il Giro Eclipse Spherical. E qui per il Giro Aries Spherical.

Il casco Giro Aries Spherical di Edoardo Affini
Il casco Giro Aries Spherical di Edoardo Affini
Edoardo, avete questi due caschi da strada a disposizione, Eclipse e Aries. Come nasce la scelta dell’uno o dell’altro?

E’ una scelta che parte dai numeri. Se guardiamo test e dati scientifici, l’Eclipse è quello più aerodinamico, adatto a tappe veloci e alle volate. L’Aries invece è più pensato per tappe di montagna, per scalatori, diciamo così. La differenza principale è l’areazione: l’Eclipse è più chiuso (14 feritoie, ndr), l’Aries è più aperto (24 feritoie, ndr), quindi garantisce più ventilazione. La differenza di peso invece non è così sostanziale (5 grammi, ndr).

E’ anche una scelta estetica? C’è chi, su dettagli tecnici, si affida anche all’occhio…

No, nel mio caso no. Scelgo in base alla funzionalità. Nella prima parte del Giro li ho alternati. Quando puntiamo alle volate con Olav Kooij, tendo a usare quello più aerodinamico, l’Eclipse. In giornate con più dislivello o se fa caldo, metto l’Aries per avere più ventilazione.

Si sente molto la differenza di reazione?

Onestamente no. Anche l’Eclipse, rispetto ad altri caschi aerodinamici che ho usato, ha comunque una buona ventilazione. Quindi sì, c’è una differenza, ma non è estrema.

E qui ancora Affini, ma stavolta con indosso l’Eclipse Spherical, più aero rispetto all’Aries ma 5 grammi più pesante
E qui ancora Affini, ma stavolta con indosso l’Eclipse Spherical, più aero rispetto all’Aries ma 5 grammi più pesante
E la calzata?

Praticamente identica. Forse l’Aries dà la sensazione di essere appena più stretto, ma davvero di poco. Però, credetemi, durante la corsa si è concentrati su altro. Alla fine tra i due modelli ci sono differenze, ma sono da laboratorio, il corpo umano non le avverte. Dico numeri a caso: magari guadagni tre watt per il casco, due per la calza, quattro per la gomma della ruota… Alla fine metti insieme 10 watt e ottieni quel piccolo vantaggio, che può farti fare la differenza tra il vincere o perdere uno sprint, una crono. Ma è tutto molto marginale.

Torniamo alla calzata. Riguardo alle regolazioni e alla chiusura, i due caschi sono identici?

Sì, usano lo stesso sistema: regolazione posteriore con rotella, diverse posizioni per la fascia che circonda la testa. Puoi regolare in altezza la calotta, spostarla in su o in giù in base a dove magari dà fastidio, al tipo di occhiale che hai. Questo è molto utile. In più il sistema Mips aumenta la sicurezza.

Se guardi indietro negli anni, qual è stato il casco più comodo che hai usato?

Onestamente con questi mi trovo molto bene. Una cosa importante è sicuramente il peso: se hai un casco aerodinamico ma troppo pesante, a qualcuno può dare fastidio sul collo, soprattutto in tappe da sei ore. E durante un grande Giro. Oggi si corre sempre a tutta, si è tutti estremizzati sull’aerodinamica. A fine giornata, quando ti togli il casco, magari senti dolori qua e là… e vai dal fisioterapista!

In un grande Giro come questo, i dettagli alla lunga fanno la differenza?

E’ tutto molto soggettivo. C’è chi ha più massa e avverte di meno certi dettagli e chi è più esile e magari li soffre di più. Come dicevo, la differenza di peso tra i due caschi non è enorme. Però la calzata è importante: poter personalizzare le regolazioni è fondamentale ai fini della comodità e in tre settimane di gara questa è importante.

In corsa ti capita di cambiare la regolazione tra fasi intense e fasi più tranquille?

No, di solito regolo tutto prima della partenza e poi non tocco più nulla. Anche perché il casco deve essere sempre ben fissato, altrimenti perde la sua funzione.

Hai parlato di peso. Uscendo dal confronto tra Aries ed Eclipse, cosa puoi dire rispetto ai caschi da crono? Si sente di più?

Tenete presente che il nostro casco da crono è visivamente grande, ha un certo ingombro. Però è molto più leggero e comodo di quanto sembri. A vederlo da fuori sembra pesantissimo e scomodo, ma una volta indossato e una volta trovata la tua posizione, è comodissimo. Non solo, ma la visuale è eccezionale: campo visivo ampissimo, quasi a 220 gradi, senza ostruzioni.