Scandolara: «Per imparare a mangiare sono finita in Australia»

17.10.2021
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«In Australia durante uno degli allenamenti prestagionali con il team Orica AIS – racconta Scandolara – alla mia prima esperienza in un team straniero, ci fermammo in un ristorantino dopo poco più di metà allenamento. Quel giorno avevamo in programma tra le cinque e le sei ore. Subito pensai fosse una trappola. Forse era un modo per capire se, cosa e quanto mangiassi, oppure mi avrebbero detto di allungare se avessi mangiato troppo. Scelsi di ordinare lo stesso delle compagne più esperte e aspettai di vedere come si comportassero.  Ad un tratto si avvicinò il tecnico che, invitandomi a mangiare, mi disse: “Forte è meglio di magro, so come ragionano in Italia».

Ecco cosa ci racconta Valentina Scandolara, veronese classe 1990, del suo battesimo australiano in casa Orica. Dopo l’oro al campionato europeo da junior nel 2007, Valentina ha ottenuto ottimi risultati già nei primi anni di professionismo, che le hanno permesso di correre nel 2014 e nel 2015 per uno dei team più professionali del ciclismo femminile di quegli anni, l’Orica AIS

Quest’anno ha corso con la Aromitalia-Basso-Vaiano: cartolina ricordo dai tricolori in Puglia (foto Instagram)
Quest’anno ha corso con la Aromitalia-Basso-Vaiano: cartolina ricordo dai tricolori in Puglia (foto Instagram)

Lo sconvolgimento

Quello stesso anno, in primavera, la squadra aveva programmato per Valentina una visita dal nutrizionista con l’idea di perfezionare la dieta ed ottimizzare la performance. 

«Mi ricordo che il nutrizionista col taccuino prendeva appunti sulle mie abitudini alimentari – ricorda – poi mi chiese cosa mangiassi durante l’allenamento. La mia risposta lo sconvolse tanto che chiuse il taccuino prima di poter trovare le parole per cominciare a spiegarmi i principi fondamentali della nutrizione».

Valentina è cresciuta, come la maggior parte d’altronde, seguendo l’esempio delle “grandi” ed era solita mangiare al massimo una banana o una barretta negli allenamenti più lunghi. 

«Ho imparato a mangiare in gara grazie all’Orica. La fiducia e il supporto di un team di professionisti, capace di rispondere a tutti i miei quesiti – ricorda – ha reso più facile il cambiamento e ben presto gli sforzi sono stati ripagati dai risultati. Inizialmente non pensavo fosse possibile mangiare tanto durante una gara, poi mi resi conto che il mio fisico aveva più energia anche nel finale. Stavo benissimo!».

Nel 2012 ha corso i mondiali di cross: Scandolara ha sempre fatto attività polivalenti
Nel 2012 ha corso i mondiali di cross: Scandolara ha sempre fatto attività polivalenti

Le pressioni sul peso

«Io sono sempre stata testarda – sorride – e per questo motivo non ho mai subito in modo particolare le pressioni che mi venivano fatte sulla perdita del peso. Ma so di essere stata fortunata sotto questo punto di vista. Ogni qualvolta che, specialmente nelle categorie giovanili, ero un po’ più sensibile all’opinione e ai commenti degli altri sul mio peso, trovavo subito la forza per reagire ed oppormi a diete drastiche ingiustificate. Ricordando due preziose verità che mi ripeteva di continuo mio padre: l’uomo è meglio di una macchina, perché invece che consumarsi, più lo alleni più va forte. Inoltre l’uomo, come la macchina, ha bisogno della benzina e quindi del cibo per stare in piedi».

Quale pensi sia l’errore commesso più spesso nelle diete dai ciclisti?

Mangiare meno di quanto si dovrebbe, demonizzando i carboidrati ed ignorando l’importanza della qualità delle calorie assunte e dell’origine degli alimenti. In Orica non riuscivo a capire come fosse possibile che mangiando di più, dimagrivo. Sembrava contro ogni logica.

Ai mondiali di Firenze 2013 con la Alé, il quinto posto nella cronosquadre
Ai mondiali di Firenze 2013 con la Alé, il quinto posto nella cronosquadre

Poco e spesso

Effettivamente quello che può sembrare un controsenso, si può ben spiegare a livello metabolico. In caso di una dieta ipocalorica, in cui non si mangia abbastanza, il fisico va in allarme e si innesca un principio di sopravvivenza. Il corpo cerca di limitare il dispendio energetico e di immagazzinare più energia possibile appena si mangia qualcosa. Al contrario piccoli spuntini, specialmente durante l’esercizio fisico prolungato, favoriscono sia la prestazione che il dimagrimento.

Per bruciare i grassi infatti il fisico ha bisogno di una piccola dose di carboidrati e poi dopo un allenamento in cui abbiamo mangiato adeguatamente, saremo meno affamati ed eviteremo un’abbuffata eccessiva. Durante un allenamento superiore all’ora bisognerebbe assumere 30 grammi di carboidrati a medio-alto indice glicemico. Invece per sforzi prolungati oltre le 3 ore si può arrivare addirittura a 90 g/h. Ovviamente questa è un’indicazione generica a cui deve seguire un’attenta valutazione da parte di un professionista della nutrizione che terrà conto anche dello stato di salute generale dell’atleta.

Scandolara correrà anche nel 2022, ma è anche direttore sportivo (foto Instagram)
Scandolara correrà anche nel 2022, ma è anche direttore sportivo (foto Instagram)

Il consiglio

Oggi Valentina oltre ad essere atleta è anche direttore sportivo, così le abbiamo chiesto un consiglio per una giovane ciclista. 

«Bisogna imparare a chiedere il perché delle cose. Solo i veri professionisti – dice – siano preparatori, nutrizionisti o psicologi dello sport, riusciranno a dare delle risposte plausibili nel loro campo specifico. Inoltre così facendo, si impara ad essere almeno parzialmente autonomi. Bisogna stare particolarmente attenti a non affidarsi ai sempre più frequenti “finti professionisti”, che sottovalutano le conseguenze del loro operare approssimativo e promettono risultati straordinari. Ho sentito addirittura dire che l’interruzione del ciclo mestruale è una fortuna, ma in realtà è un grave campanello di allarme. Bisogna affidarsi a professionisti qualificati ed abilitati, capaci di personalizzare la dieta a seconda delle proprie necessità fisiche».

Eccesso di magrezza: essere tirato è sempre un bene?

08.10.2021
4 min
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Chi non ha mai stimato la condizione di un atleta guardando quanto fosse magro e definito, insomma quanto fosse tirato? Purtroppo questo è lo stereotipo del ciclista forte nella cultura comune, ma non sempre è così e la realtà che si cela non è da sottovalutare.

Il problema fantasma

Nessuno ne vuole parlare, ma dagli studi emerge che i DCA (disturbi del comportamento alimentare) quali anoressia, bulimia, binge eating (volgarmente detto “il disturbo delle abbuffate”) e la vigoressia, ossia il non vedersi mai abbastanza fit, sono sempre più comuni. Chi ne soffre non ne è consapevole e per questo i casi sono tendenzialmente sotto diagnosticati o ignorati. In media il 20% delle sportive professioniste soffre di uno di questi disturbi, percentuale che potrebbe essere ancora più alta in uno sport come il ciclismo, in cui il rapporto potenza/peso è di massima rilevanza. I DCA non si limitano al femminile, sebbene le donne ne siano più soggette, si stanno diffondendo anche al maschile, basti pensare alle dichiarazioni di Froome, Chevrier e Brajkovic. Abbiamo così intervistato al riguardo Elisabetta Borgia, dottoressa in Psicologia dello sport.

Clara Koppenburg, tedesca, dal prossimo anno alla Cofidis: tiratissima
Clara Koppenburg, tedesca, dal prossimo anno alla Cofidis: tiratissima

L’influenza sulla performance

«E’ un problema che colpisce sia chi ne soffre – spiega Elisabetta Borgia – che non si riconosce e non accetta la sua immagine, sia l’avversario che, sulla base dello stereotipo, si sente inferiore perché non altrettanto magro e definito. Inoltre può essere vissuta sia in maniera virtuosa che punitiva. Si pensi ad esempio ad un corridore che vince dopo avere perso quel paio di chili. In questo caso assocerà il successo alla perdita di peso e sarà indotto a ridurre sempre più l’apporto calorico. Viceversa un commento inadeguato o un’analisi approssimata in seguito ad una performance deludente, possono innescare una connessione prestazione-peso pericolosa. Allenamenti post gara o privazione dei pasti possono altresì attribuire al cibo una funzione punitiva o ricompensativa».

Dal punto di vista fisico, tutta una serie di complicanze che compromettono la salute dell’atleta anche a lungo termine vengono totalmente ignorate. Non si tratta solamente dell’interruzione del ciclo mestruale nella donna, ma di gravi alterazioni a livello metabolico e psicologico, dell’apparato cardiovascolare, osteoarticolare, respiratorio e gastroenterico.

La magrezza non si può misurare a occhio, ma dov’è il confine fra tirato e troppo magro?
La magrezza non si può misurare a occhio, ma dov’è il confine fra tirato e troppo magro?

Chi è più predisposto?

«L’identità è fatta di come ti senti – prosegue Elisabetta Borgia – e di come ti vedono gli altri. Tra allievi e junior il cambiamento fisico e della figura di riferimento comporta una maggiore vulnerabilità. Specialmente per le personalità perfezioniste, che hanno difficoltà a regolare le emozioni ed hanno paura di una valutazione negativa dalle figure più prossime. L’allenatore diventa spesso il confessore, il cui detto è percepito come sacro senza bisogno di essere giustificato né spiegato. Per questo motivo è fondamentale che queste figure facciano particolare attenzione alle indicazioni e richieste che fanno agli atleti. Pretendere che si pesino tutte le mattine di fronte a loro è una pratica a suo modo violenta, che può facilmente creare un’ossessione nel giovane atleta».

Mara Abbott, americana ritirata nel 2016, sempre estremamente tirata
Mara Abbott, americana ritirata nel 2016, sempre estremamente tirata

I fattori scatenanti

«Aspettative sempre più alte che, quando diventano irrealizzabili – spiega la psicologa – fomentano il senso di colpa, l’ansia e la delusione. Spesso i corridori perdono il controllo della situazione così finiscono per alternare periodi di anoressia e bulimia ad altri di binge eating. Non sopportano più la pressione e si sfondano della “qualunque” a tavola. Oppure non soddisfatti dalla gara, fanno ulteriori tagli alla dieta o aumentano il carico di lavoro nel disperato tentativo di perdere quel peso a cui imputano i loro insuccessi».

Katarzyna Niewiadoma è sempre stata magrissima, prossima al limite?
Katarzyna Niewiadoma è sempre stata magrissima, prossima al limite?

Come intervenire?

«Bisogna combattere l’ignoranza – ribadisce Elisabetta Borgia – il giovane ciclista è come un pesciolino in un acquario. Perché cresca bene e in salute, bisogna curare l’acqua, ovvero quello che è l’ambiente, sensibilizzando le figure a lui più prossime. Quando i sintomi si manifestano è già tardi e l’intervento non è semplice. E’ fondamentale la collaborazione di più figure professionali specifiche, che creano un’equipe multidisciplinare lavorando sul sistema di riferimento dell’atleta, per trasmettere un messaggio univoco e poter capire cosa c’è dietro al malessere che causa il disturbo. Io punto al modello DBT le cui pratiche sono basate sul mindful eating, letteralmente mangiare con consapevolezza. Questa pratica è come un allenamento, può essere adottata da chiunque, senza che presenti effettivamente un disturbo. Ed insegna ad assaporare ed apprezzare il pasto nel momento in cui si mangia, per ripristinare il corretto rapporto col cibo».

Pedalando con il peso in testa, fra diete empiriche e falsi miti

29.09.2021
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Con questo articolo, basato sul peso e sulla sua esperienza personale, inizia la nostra collaborazione con Rossella Ratto, Dottoressa in Nutrizione, che ha interrotto da poco l’attività agonistica.

«Il sogno ha raccontato due settimane fa a bici.PRO – sarebbe lavorare con i giovani ed insegnare loro come alimentarsi a dovere. C’è troppa esasperazione sul peso dei ragazzi che corrono, l’ho vissuto sulla mia pelle. Per questo ho scelto quelle facoltà e ora vorrei diventare una linea guida per loro».

Durante il ritiro di febbraio 2016, sulla base del peso e del colpo d’occhio, mi fu detto che non ero ancora abbastanza magra. Così io che già dal 2015 mi affidavo ad un nutrizionista per raggiungere l’obiettivo olimpico, al ritorno andai subito per una visita di controllo. Il responso scientifico fu sconvolgente. Non solo ero magrissima ma addirittura dovevo fare in modo di metter su un po’ di grasso perché non ne avevo a sufficienza e un misero 8% di grasso totale per una donna era davvero estremo. Ciononostante nella cronologia di WhatsApp conservo ancora i messaggi di qualche giorno dopo, in cui mi rattristavo all’idea di aver compromesso quell’incredibile 8% di grasso, sgarrando con dello strudel, fatto in casa e con poco zucchero ovviamente.

Ai mondiali di Richmond nel 2015 si lavora per Bronzini, che rompe la bici. Arriva 4ª Longo Borghini
Ai mondiali di Richmond nel 2015 si lavora per Bronzini, che rompe la bici. Arriva 4ª Longo Borghini

Il rapporto watt/kg

In uno sport come il ciclismo, in cui gli atleti devono combattere ad ogni colpo di pedale per vincere una resistenza, sia essa la gravità o il vento, il rapporto Watt/Kg è fondamentale. Lo è sempre stato e sempre lo sarà. Ma proprio grazie alle tecnologie degli ultimi anni, per monitorare la forza impressa sui pedali e la composizione corporea degli atleti, questo rapporto ha acquisito ancora più importanza.

La percentuale di grasso

Bisogna distinguere tra grasso essenziale e di deposito e ovviamente tra uomo e donna, perché se un uomo può arrivare al 4-6% di grasso, una donna deve mantenere almeno il 10-13%, valori pari al grasso essenziale, per assicurarsi che il proprio organismo svolga le normali funzioni senza incorrere in alterazioni ormonali, che quasi inevitabilmente nella donna inducono l’interruzione del ciclo mestruale.

Come si raggiungono percentuali tanto basse di grasso? Ecco dove casca l’asino. Da anni è credenza comune che sia sufficiente aumentare il carico di allenamenti, in termini di frequenze e quantità, riducendo l’apporto calorico attraverso l’esclusione quasi completa di carboidrati e grassi. 

Oltre alla plicometria (foto di apertura) la percentuale di grasso si misura anche con l’impedenza bioelettrica
Oltre alla plicometria (foto di apertura) la percentuale di grasso si misura anche con l’impedenza bioelettrica

L’ossessione del peso

Il peso in sé non è un indice puro di grasso corporeo. Ed ora, in seguito ai miei studi in Nutrizione, inorridisco al ricordo di quelle sveglie in ritiro quando, ancora minorenne, ero sottoposta ai controlli rigidi sul peso. Se la sera mangiavo il minestrone cercavo di svegliarmi prima per andare in bagno, per evitare anche il minimo incremento di peso.  Le uniche variazioni ben accette erano infatti quelle in negativo, ad eccezione di chi ad occhio era magro e quindi poteva permettersi di mantenere il peso iniziale.

E’ senz’altro corretto pensare di controllare lo stato fisico e di salute di ogni atleta per ottimizzare la performance. Ed è ancora più prezioso sensibilizzare i giovani in campo alimentare, ma non si può imporre una dieta approssimata, univoca e sbilanciata. Ad ognuno la sua professione, perché determinate routine, come quella accennata in precedenza, possono determinare un cambiamento del rapporto col cibo e della visione della propria immagine negli atleti, specialmente se giovani e donne. 

Nel 2014 Rossella vince il Giro dell’Emilia, davanti a Pitel, Bronzini e Muccioli
Nel 2014 Rossella vince il Giro dell’Emilia, davanti a Pitel, Bronzini e Muccioli

La fase più critica

L’età di maggior insorgenza di anoressia e bulimia coincide con le categorie allievi e juniores. Un momento delicato nello sport, in quanto ci si affaccia al mondo, allontanandosi dalla famiglia per raggiungere obiettivi sempre più importanti. I ragazzi a quell’età si affidano incoscientemente ai direttori sportivi o ai preparatori. I quali, la maggior parte delle volte senza alcuna formazione in materia di nutrizione, pretendono di definire le diete dei ragazzi, valutandone la composizione corporea ad occhio.

L’ansia di magrezza estrema nel ciclismo può portare all’anoressia?
L’ansia di magrezza estrema nel ciclismo può portare all’anoressia?

Allenarsi per smaltire

In seguito agli ottimi risultati dei primi anni di professionismo, con la pressione delle gare e senza un valido riferimento alimentare, non mi vergogno ad ammettere che per me il peso era diventato un’ossessione. Non mangiavo per recuperare, ma mi allenavo per smaltire. Oggi so che questo tipo di comportamento è del tutto simile all’anoressia. Con la differenza che si compensa l’introito di cibo con l’attività fisica esagerata, convivendo col risentimento di ciò che si è mangiato. E nella convinzione che quel boccone in più sia la ragione del calo di performance in gara. Questo pensiero trovava poi conferma nei commenti di molti, tecnici e non. Che non mancavano l’occasione per paragonare, sempre ad occhio, le dimensioni fisiche tra atlete con commenti spesso troppo schietti.

Al termine delle mie due stagioni peggiori dal punto di vista della salute, a settembre 2016 cominciavo il mio percorso universitario. E ben presto questo mi ha aperto gli occhi sulla mia esperienza ciclistica. E proprio durante il tirocinio, visitando una paziente definita anoressica, ho realizzato uno dei problemi più gravi del ciclismo. In particolare quello femminile: il rapporto Watt/Kg è più importante della salute fisica e mentale dell’atleta.

Il Dombrowski ritrovato è rinato… dalla tavola

12.05.2021
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Dietro la transenna al traguardo di Sestola, ieri, Mauro Gianetti era al settimo cielo. Joe Dombrowski aveva appena vinto la tappa e il general manager della Uae Team Emirates spiegava che quando due anni fa decisero di prenderlo, erano consapevoli del suo valore, ma insieme si erano presto resi conto che ci fosse tanto da raddrizzare. Il talento rischiava di spegnersi, in un ragazzo di 29 anni che aveva bisogno di rivedere il modo di allenarsi e quello di mangiare. Perché Dombrowski è uno di quelli che con il cibo ha sempre avuto qualche problemino. «Lui è uno di quelli che non mangiava proprio niente», bisbiglia Gianetti andando verso il podio. Magrissimo da U23 quando nel 2012 vinse il Giro d’Italia U23 militando nella squadra di Lance Armstrong, sempre più magro da neoprofessionista al Team Sky. Come pretendere che avesse margini di crescita senza un rapporto sereno col cibo?

Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo
Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo

Svolta 2021

Oggi le cose sono migliorate. Tanto che quando lo scorso anno, finito il Giro, decise di rimanersene con la compagna a Milano, tra le varie informazioni chiese anche il nome di un paio di ristoranti. Un interesse che in altri tempi non avrebbe mostrato. Lo stesso dottor De Grandi, medico del team, ci parlò di una revisione nella squadra.

«Il ciclismo e le corse sono sempre più veloci – spiega Dombrowski – il livello e le attese sono alte e in questo team abbiamo un ottimo supporto con lo staff e lo chef. Meglio di quando dovevo pensarci da me. Quando sono venuto qui, arrivavo da una squadra americana. E’ difficile per noi vivere in un Paese straniero, lasciare gli Usa e la famiglia. Il team sta crescendo. Trovo molto comodo essere supportato anche nell’alimentazione. Non è facile seguirla da soli».

Le pressioni

In poche parole, la sintesi di quanto cominciammo a scrivere su queste pagine, interpellando nutrizionisti, psicologi e atleti, sulla necessità dei team di dotarsi di figure all’altezza e a proposito della fragilità emotiva di alcuni soggetti contrapposta al clima di pressione che sul tema si respirava e ancora si respira in alcuni ambienti. Dombrowski vinse il Giro d’Italia degli under 23 nel 2012 battendo l’Aru più forte. E quando Fabio tornò in ritiro, si sentì dire davanti a tutti che si era fermato al secondo posto perché credeva di essere magro, mentre l’americano lo era di più. Già, ma quali margini aveva Dombrowski?

Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone
Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone

«Il successo non è mai una linea retta – dice – ci sono alti e bassi, momenti più o meno difficili. Se guardo indietro, penso che avrei potuto aspettare un paio d’anni prima di passare. Sono arrivato al ciclismo tardi ed è un bel salto da U23 al WorldTour, per il modo di correre del gruppo. Ho avuto delle belle cose da tutti i team in cui sono stato, ognuno mi ha dato una bella esperienza, ma di sicuro da me ci si aspettava altro».

Interferenze radio

Il suo attacco nel finale valeva doppio. Per la tappa e per la maglia e chissà come sarebbe finita se i corridori non fossero stati collegati con le ammiraglie. De Marchi avvertito dai suoi di non pensare soltanto a Oliveira, rimasto indietro, ma anche di non lasciar allontanare troppo Dombrowski. L’americano spinto a gran voce, ma con indicazioni non proprio veritiere.

«Un po’ mi dispiace di non aver preso la maglia – dice – anche se è dura dire che sono dispiaciuto dopo che ho vinto la tappa. A 4-5 chilometri dall’arrivo, ho capito che andavamo per vincere e insieme sapevo che De Marchi era più vicino di me, che aveva 33 secondi. L’ho sentito tante volte alla radio. A volte ti danno distacchi diversi dalla realtà. Parlavano di 20-25 secondi a mio vantaggio, così ho voluto spingere fino alla riga, ma i secondi alla fine erano 13. Sarebbe stato bello prendere la maglia, ma non è stato possibile. Vedremo nei prossimi giorni. Oggi ci sarà una volata, domani con l’arrivo in salita potrebbe essere un’opportunità».

Mente aperta

C’è da capire se adesso il Uae Team Emirates cambierà i suoi piani oppure offrirà all’americano il supporto necessario per puntare alla maglia nei prossimi giorni, magari già domani a San Giacomo, in attesa che le grandi montagne portino davanti i capitani.

«Prima della corsa – dice – il piano era aiutare Formolo per la generale e Gaviria e Diego per le loro tappe. Ho vinto la tappa, ho preso la maglia azzurra, sono secondo in classifica. Di solito vengo fuori nella terza settimana sulle grandi montagne. Sestola non era pianificata, ma il percorso mi si addiceva. Non ho mai pensato di venire qui per la maglia rosa, sono abituato ad andare alle corse con la mente aperta. I grandi Giri sono diversi dalle corse di una settimana. Le cose possono cambiare rapidamente, per cui prendo le occasioni quando capitano. E in tre settimane ci sono tante occasioni, 21 corse nella corsa. Ieri è stato un buon giorno per me».

Disordini alimentari: Corsetti cosa ne pensa?

18.03.2021
4 min
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Roberto Corsetti, cardiologo che per anni ha lavorato come medico della Fassa Bortolo, della Liquigas e della Quick Step e oggi presta la sua opera al Centro Medico B&B di Imola, è uno di quelli che è sempre stato molto attento all’alimentazione dei propri corridori. E per sua stessa ammissione è uno di quelli che si metteva vicino al tavolo dei corridori durante i pasti. Per cui sentire che cosa abbia da dire sul complesso rapporto fra corridori e cibo risulterà alla fine interessante.

«Gli atleti professionisti – dice – ma più in generale tutto ciò che ruota attorno al professionismo hanno come unico metro il risultato. Se partiamo da questo presupposto, per ottenerlo bisogna arrivare al massimo livello di performance. I sacri testi di fisiologia dicono che i due fattori su cui si può migliorare sono la potenza e il peso. I corridori possono non accettarlo, possiamo discuterne, ma i soli due punti sono quelli».

Cimolai ha ammesso di aver sofferto di problemi alimentari e di non sopportare di sentirsi sorvegliato a tavola
Cimolai ha detto di non sopportare di sentirsi sorvegliato a tavola
Fin qui ci siamo, ma la magrezza assoluta intacca la potenza. Per cui non è affatto detto che scendere di peso sia la sola garanzia di prestazione.

Mi arrabbio, infatti, e divento nervoso se l’obiettivo della riduzione del peso viene raggiunto con l’oppressione o metodi non corretti. Penso invece che se un operatore del ciclismo trasmette in modo amichevole, gentile e competente il modo in cui ridurre il peso, le cose funzionano. Se si verificano degli eccessi, chi doveva trasmettere lo ha fatto male. Oppure il corridore può aver recepito male e allora va aiutato.

Corsetti in che posizione si colloca?

Vengo dalla scuola di grandi maestri e ho sempre cercato di trasmettere questi concetti nel modo più corretto possibile. Non credo di aver messo in difficoltà dei miei atleti per il loro peso. Né nella mia esperienza ho mai visto imposizioni o forzature. Ma se qualcuno dice che Corsetti ci tiene che l’atleta sappia che i suoi risultati dipendono dal peso, allora dico sì.

La pasta è sempre stata fonte di carboidrati, eppure tanti hanno problemi a mangiarla
La pasta è sempre stata fonte di carboidrati
Sei al corrente che per gli atleti il cibo è un tema delicato e alcuni hanno disordini alimentari? Secondo psicologi e medici che abbiamo sentito, un medico se ne accorge.

Non ne ho mai avuti, ma ho avuto atleti molto magri. Senza fare nomi, con Ferretti in un ritiro ci accorgemmo di un ragazzo troppo magro per quel periodo dell’anno. Lo portammo con noi in una stanza e gli spiegammo che era troppo.

Pare che i giovani siano quelli più esposti al rischio di caderci…

Il messaggio dall’alto, se non arriva chiaro e documentato o non viene presentato in tutte le sue valenze, in una persona fragile può creare scompensi. Di sicuro se ci sono disordini alimentari, la responsabilità va cercata in più parti.

A Corsetti è mai capitato di stare vicino al tavolo dei corridori a guardare come mangiano?

Io ritengo che un direttore sportivo o un medico che voglia stare vicino al tavolo dei corridori per aiutarli sia positivo. Può aiutare perché il pasto, spesso la cena, si svolga nel modo migliore. Se però l’atleta si sente in difetto per il cibo e vive male questa presenza, si crea l’ambiguità. Se sei accanto al tavolo e a me capitava spesso, devi saper leggere nello sguardo degli atleti se c’è qualcosa che non va. Servono colloquio e presenza, servono staff competenti e appassionati. Piuttosto a volte mi guardo alle spalle…

La magrezza eccessiva di Bongiorno, raccontata pochi giorni fa nella sua intervista
La magrezza eccessiva non è sintomo di salute
E cosa vedi?

Penso ad atleti che non hanno mai ricevuto un’educazione alimentare e hanno buttato via la carriera. Non parlo di obbligo o costrizione, di semplice educazione. Penso a chi aveva potenzialità incredibili, al punto di intimorire gli avversari più forti, che però ha preferito lasciarsi andare.

Da questo punto di vista credi che l’avvento del nutrizionista sia opportuno nei team?

Tutte le figure professionali più competenti sono utili in questo percorso formativo. Ma serve che tutti parlino la stessa lingua, altrimenti viste le tante figure che si incontrano oggi in una squadra, si rischia che agli atleti arrivino messaggi che creano confusione.

I messaggi chiari sono la chiave di volta, così come la trasparenza. La raccolta di voci e pareri continua. Ci hanno raccontato di un personaggio che a inizio stagione pretendeva dai suoi atleti lo stesso peso dell’ultima corsa: cosa c’è di documentato in questo?

La nostra inchiesta, in cui abbiamo coinvolto il dottor Corsetti, vuole consegnare ai corridori più giovani la consapevolezza che il peso e la potenza sono certo due fattori determinanti, ma la salute viene prima. Rileggere le parole di Bongiorno, quelle disarmanti di Brajkovic e tutte le altre che abbiamo raccontato nelle ultime settimane dovrebbe far capire che la magrezza ossessiva porta diritta alla fine della carriera.

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Disordini alimentari: Bongiorno, era quasi anoressia

Disordini alimentari: Bongiorno, era quasi anoressia

10.03.2021
7 min
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Nella testa di un corridore che ha deciso di essere magro a qualsiasi costo, fino a sfiorare l’anoressia, c’è un bel mucchio di pensieri contorti. Quando chiudiamo la telefonata con Manuel Bongiorno, in procinto di tornare in gruppo con la Global6 Cycling, il quadro diventa drammaticamente concreto. Manuel adesso ne è fuori e paradossalmente è stato salvato dall’essere rimasto senza squadra nel 2018. Finì a lavorare in un ristorante: terapia migliore non poteva esserci, quasi un contrappasso. E’ bello, ancorché drammatico, riscontrare nei corridori la voglia di parlarne. Quasi per liberarsi la coscienza. Ed è bella anche la voglia di metterci la faccia e dire che oggi il problema è avviato a soluzione, grazie all’avvento e alla sempre maggiore diffusione dei nutrizionisti.

Quando e perché il peso cominciò a diventare un’attenzione?

Fino al momento in cui passai professionista, non ci avevo fatto troppo caso. Era il 2013, avevo firmato con la Bardiani. Mi accorsi che tutti erano fissati su questo aspetto. Ci stavano attenti. Si guardavano addosso. Il medico della squadra, il dottor Benini, diceva di non scendere mai sotto un certo peso. Io sono alto 1,72 e pesavo sui 59-60 chili, ma decisi di scendere a 55 per il Giro dell’Emilia, in cui effettivamente arrivai quinto. Il dottore disse di non insistere, altrimenti avrei… sbiellato. Era frequente che i corridori dimagrissero per il singolo obiettivo. Tanti facevano la dieta dissociata, con la sottrazione di carboidrati nella prima fase e poi un carico notevole alla vigilia della corsa. Non dico che facesse bene, però funzionava.

Questa la maglia della Global6 Cycling con cui Bongiorno tornerà in corsa il 21 marzo a Sesto Fiorentino
Questa la maglia con cui tornerà in corsa il 21 marzo
Per cui dopo l’Emilia, tutto tornò normale?

Direi di sì. Nel 2014, che fu uno dei miei anni migliori, decisi che un buon peso poteva essere 58 chili, per avere margine da gestire tutto l’anno. Così anche nel 2015, almeno fino al Giro, dove però non andai un granché. Decisi che dovevo limare qualche chilo. Mi rivolsi a un nutrizionista, che eliminò il glutine e secondo me combinò qualcosa. Di colpo il mio metabolismo rallentò. E invece di dimagrire, cominciai a ingrassare. E lì successe qualcosa.

Che cosa?

Al di là del sentire battute sul peso, la mia testa iniziò a fare giri strani. L’85-90 per cento dei miei problemi derivò dalle credenze e dall’ignoranza, mia e di tutto l’ambiente. Se uno magrissimo mi staccava in salita, pensavo di dover dimagrire ancora. A quel tempo il preparatore della squadra era Cucinotta, ma lui non mi ha mai detto nulla del peso. Non parlava dell’alimentazione. Ora ci sono i nutrizionisti, ognuno sta nel suo ambito e ti dice cosa fare. Ma ho incontrato anche persone che volevano fare tutto loro.

Così cominciasti a dimagrire?

Dai quasi 60 chili che pesavo da neoprofessionista, scesi fino a 51,8. Col senno di poi, riguardando le analisi che raccolgo sin da quando ero junior, posso dire che mi ritrovai con valori drammatici. Con il testosterone bassissimo. E ricordo anche dove tutto cominciò.

Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Dove?

Ero sempre alla Bardiani, nel 2016, prima del Giro d’Austria. Andai a fare un test del VO2Max, in cui normalmente avevo un valore di 82. Dopo il Giro, ero sceso da 55,8 a 54 chili e in quel test venne fuori un 86. E’ chiaro che se sei più leggero, lo scambio di ossigeno sale. Ero già al limite, ma pensai che se fossi sceso ancora, il test sarebbe stato ancora migliore.

Le prestazioni?

Non erano esaltanti. Erano anche anni in cui dire a un corridore «quanto sei magro!», era fargli il più bello dei complimenti. Mi piaceva sentirmi dire che ero uno scheletro. Era anoressia, ma non lo capivo. A momenti pensavo che fosse troppo. Alla Sangemini, nel 2017, correvo poco. In allenamento facevo pianura e poi una salita al mio ritmo, in cui così leggero andavo anche bene. Ma in corsa, dopo due fiammate a 60 all’ora, andavo in crisi e non recuperavo.

Come si arriva a 51,8 chili?

Se dovevo mangiare 70 grammi di riso, toglievo i chicchi di troppo. Certe volte mangiavo meno insalata, perché le verdure danno ritenzione idrica. Per paura della bilancia al mattino, non bevevo dalla sera prima e potete capire che squilibri anche negli elettroliti. Ho letto i vostri articoli…

Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
C’è del vero?

Mi sono riconosciuto in tutti. Anche io buttavo il sacchetto del rifornimento. Quando avevo fame, aprivo una barretta, la masticavo e poi la sputavo. Ho sentito tanti corridori, anche ora, che fanno così.

Cosa facevi se ti capitava di stare a cena fuori?

Prendevo il pollo e non bevevo birra. Ero a disagio e mettevo a disagio la mia ragazza, perché magari si organizzava e all’ultimo inventavo una scusa per non andare. E’ stato così da metà 2015 fino a metà 2017. Poi quando ho smesso ho avuto un rebound e li ho ripresi tutti. A me piace mangiare. Ora quando sono a tavola, spengo anche il telefono: è un momento importante.

Che cosa è cambiato quando ti sei ritrovato senza squadra?

Non dovevo più rendere conto alla bici. In uno degli ultimi allenamenti verso Volterra, Umberto Orsini, mi fece una foto e disse che gli facevo ribrezzo per quanto ero magro. Non mi rendevo conto di nulla. E quando ci pensavo, mi dicevo che non sarei mai voluto tornare a 56 chili, massimo 53, altrimenti in salita non andavo. Ero sotto peso.

Manuel Bongiorno, Tour de Langkawi 2020
Quando rientra alla Vini Zabù, dice di aver imparato dai suoi errori del passato
Manuel Bongiorno
Rientra alla Vino Zabù e dice di aver imparato dai suoi errori
Nel 2019 hai ripreso, che cosa è cambiato?

Anche ora voglio essere più magro possibile, ma con le energie. Non guardo la bilancia, mi concentro sui tempi di percorrenza delle salite. La mattina il vizio di guardarmi allo specchio, di toccarmi la gamba per vedere se è tonica, ce l’ho ancora. Però peso 59 chili come da dilettante. Mangio sempre pulito, ma se voglio un cornetto, ora lo prendo. Chiaro, in quest’ultimo mese, con l’inizio delle corse, ci sto più attento, ma l’altro giorno dopo un allenamento di 5 ore, ho fatto una sparata e avevo ancora forza per farla.

Vedi intorno a te ragazzi con lo stesso problema di allora?

Tanti. In bici fai fatica a capirlo, ma i comportamenti nel tempo libero sono inconfondibili. Ho letto di quelli che girano con la mela in mano. Non ci avevo mai fatto caso, ma è verissimo. Ce ne sono tanti che durante i pasti si alzano e vanno più volte in bagno. Tanti che evitano i carboidrati come fossero veleno. E’ un sintomo dell’estremizzazione. Come quando il preparatore ti dice di fare tre serie e tu ne fai quattro, perché pensi che sia meglio. Ogni abuso porta dei danni. Ma il corridore non si fida, il guaio è questo.

Aru ha raccontato che in certi casi diffidi anche del collega che prova a darti un consiglio…

Evidentemente questo per lui è un nervo scoperto. L’atleta è debole e influenzabile. Provi l’allenamento del momento. Senti la lode per la magrezza. E le pugnalate più grosse sono quelle che ti entrano nella testa.

Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro». E’ quasi anoressia
Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro»
Raccontano che dopo il secondo posto al Giro Bio del 2012, Aru tornò in ritiro e si sentì dire dal tecnico che non avrebbe mai potuto vincere, “con quel culo che aveva”. Mentre Dombrowski sì che era magro… 

Le pugnalate. Magari non l’hanno detto neppure con cattiveria, oppure sì. Ma se hai in testa che il peso sia un problema, quella frase può diventare devastante. Io con tanti, che prima hanno vinto i Giri e le tappe e poi di colpo hanno smesso, ho corso anche da dilettante. Che cambiamento fisico hanno fatto a un certo punto? Sono fatiche che non si reggono, che ti svuotano.

Prima hai detto di aver lavorato con gente che voleva ricoprire più ruoli.

Credo che i problemi alimentari siano più frequenti nelle piccole squadre, dove non c’è controllo. Non avevo chi mi spiegasse come fare. A me piace fare il soldato, eseguire le disposizioni. Se avessi avuto delle tabelle come negli squadroni, sarei stato contento. Alla Ineos pare abbiano mollato. Corrono con tattiche nuove. In realtà secondo me il loro obiettivo è sempre vincere, ma dato che tutti hanno imparato a fare come loro, adesso loro cambiano gioco. Come il Barcellona di Guardiola. Dopo aver vinto tutto e portato tutti sul tiki taka, a un certo punto per vincere ancora hanno dovuto cambiare strategia, ma non mentalità.

Come mai hai scelto di esporti?

Il problema l’ho avuto. Mi sono reso conto che stavo sbagliando. L’anno in cui ho smesso mi ha aiutato, ma non significa che tutti debbano smettere per venirne fuori. Il messaggio che vorrei far passare è che questo è il nostro lavoro, dobbiamo dare il massimo col nostro corpo ma senza esagerare. E oggi abbiamo la fortuna di poterci affidare a persone competenti. Ed è un bel passo avanti.

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Disordini alimentari: anche Aru ha qualcosa da dire

05.03.2021
5 min
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I disordini alimentari fra i corridori ci sono e sono ancora molto diffusi: Aru interviene nel dibattito e lo conferma. Oggi è a casa (ieri per chi legge). Il suo programma di allenamento prevede che ogni 10 giorni, in base ai blocchi di lavoro, ce ne sia uno senza bici. E allora Fabio si dedica a Ginevra, che in sottofondo reclama il suo spazio, e trova il tempo per la chiacchierata che lui per primo aveva suscitato dopo aver letto l’intervista a Cimolai, avendo riconosciuto un personaggio di cui il friulano aveva parlato, pur senza farne il nome. Se i nomi venissero fuori, ci viene da pensare, forse le cose cambierebbero.

«Tanti atleti sono stati rovinati da certe figure che continuo a vedere in giro – dice – sono il prodotto di una vecchia mentalità italiana. Vengono a dirti che devi sempre avere fame. Che il rapporto watt/chilo è l’unica cosa che conti. E io dico: va bene tenere il peso sotto controllo, ma serve una sana alimentazione. Puoi anche pesare 55 chili, ma se non spingi, cosa te ne fai?».

Fabio Aru coglie la seconda vittoria al Giro di Val d’Aosta 2012, poi va tra i pro’
Passa pro’ nel 2012 dopo il secondo Val d’Aosta
Parli per esperienza personale?

Io ora mangio bene e nessuno mi dice che l’unica cosa da guardare sia il peso. A livello internazionale è una mentalità davvero superata. Può capitare che in gara si pesino i cibi con la bilancia, ma soprattutto per integrare nelle giuste quantità. Io mi gestivo così l’anno scorso e non è male, ma deve essere fatto con criterio e con la supervisione di un nutrizionista. Invece tanti hanno creato una vera e propria psicosi, che si aggiunge allo stress dei corridori che è notevole.

Di chi stiamo parlando?

Anche di direttori sportivi soprattutto italiani, perché nelle squadre degli altri Paesi hanno imparato che ognuno ha le sue competenze e a quelle deve attenersi. Ho letto in una vostra intervista di personaggi che fanno battute ricorrenti…

Tiratissimo al Tour del 2017. Vince una tappa, resiste sui Pirenei e paga sulle Alpi
Tiratissimo al Tour del 2017. Vince una tappa, resiste sui Pirenei e paga sulle Alpi
Se ne parlava con il dottor De Grandi, vero.

E’ un fenomeno diffuso, che mi ha sempre dato un fastidio atroce. «Guarda che culo che hai!». E ammetto di aver passato un periodo in cui mi facevo condizionare tanto da questa cosa.

Sin dagli under 23?

Tanti hanno parlato di Locatelli in relazione a questi comportamenti, ma con me non ha mai detto nulla in questo senso. Nel mio caso è legato piuttosto agli anni da pro’.

E’ anche vero che tu a Locatelli hai sempre tenuto testa. Altri ragazzi con minore personalità in quella squadra hanno avuto i loro problemi.

Questo è vero. Sono cose che esistono e tante volte sei giovane e non rispondi per paura di sembrare maleducato. E intanto quel pensiero ti condiziona. Mangi meno, vai a ricercare il limite e non ti accorgi che neanche integri quello che consumi. Diventa un pensiero fisso. Vuoi andare sempre più forte e ti fai mille paranoie, mentre questa gente continua a martellare.

Al Giro del 2018 le cose non vanno bene
Al Giro del 2018 le cose non vanno bene
Inutile pesare 55 chili se poi non spingi…

Certo, perché vedi che sei magro, ma non ti accorgi ad esempio che i valori di cortisolo e testosterone vanno a picco. E quando lo capisci, magari è tardi. E’ un tema veramente delicato. C’è tanta gente che ha smesso di correre e ne ha sofferto psicologicamente.

Ne vedi ancora intorno a te?

Mi capita spesso di inquadrarne alcuni, ma è un argomento troppo delicato per parlarci. Quando l’ho passato anche io, ho avuto bisogno di capirlo da me. Oppure serve qualcuno che ti faccia ragionare. Sai che succede se viene a parlarti un altro corridore?

Ho quasi paura di chiedertelo…

Tu sei lì che ti fai il problema per ogni cosa che mangi, convinto di aver trovato il segreto per andare più forte. Viene un collega che ti dice di non farlo e invece di ringraziarlo pensi che voglia fregarti. Che non voglia farti raggiungere il tuo obiettivo. Che voglia danneggiarti. Siamo colleghi, ma la legge è mors tua, vita mea. Il contratto devi firmarlo tu, mica lui…

Al Tour del 2020 ha ottimi valori, si ritira dopo un lutto familiare
Al Tour del 2020 ha ottimi valori, si ritira dopo un lutto familiare
E’ un quadro inquietante, lo sai?

Per questo sono contento di essere qui al Team Qhubeka-Assos e semmai di rivolgermi a un nutrizionista. E’ chiaro che se devi perdere peso, devi passare per un deficit calorico, ma devi stare attento a non perdere il muscolo. Non devi convivere con la fame. Per questo serve avere un piano alimentare e serve gente competente. E’ sbagliato se in certe cose si immischiano i direttori sportivi oppure i medici che non hanno quel tipo di specializzazione. Non è il loro lavoro.

Quello che dice Brajkovic è emblematico di certe ingerenze…

Ho corso con lui, so di cosa parla. E anche quando ho letto l’intervista di Cimolai, che parla di persone che ti guardano nel piatto, ho capito subito di chi parlava. E mi dispiace davvero tanto dover discutere di certe cose ancora nel 2021.

E’ ancora peggio se lo fa un tecnico o un medico.

Ti guardano e ti dicono: sali sulla bilancia. Guardano il peso e ti dicono che sei grasso. E io dico: fammi una plicometria, che ne sai da cosa è composto quel peso? Oppure ci sono quelli che ti chiedono quanto pesavi da under 23 e ti domandano perché adesso hai dei chili in più. Come se a 20 anni la costituzione fisica di un uomo fosse la stessa di quando ne ha 28. E’ ignoranza bella e buona. Ed è anche terrorismo psicologico. Sai cosa diceva un tale con cui ho lavorato?

Rieccoci…

Bisogna allenarsi poco, per mangiare poco ed essere magri. Senza considerare che le gare sono tiratissime e serve energia in più. Se riguardo qualche vecchia foto, ce ne sono alcune in cui sono magrissimo, ma neanche spingevo. E allora cosa te ne fai?

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22.02.2021
5 min
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Si può spostare il fuoco dai corridori all’ambiente delle squadre, parlando dei disordini alimentari? Le parole di Brajkovic sul dottore dell’Astana che avrebbe raccontato al diesse della United Heathcare della sua bulimia risuonano ancora nella testa. Così siamo andati da un altro dottore, Michele De Grandi, medico della Uae Team Emirates.

«Ci rendiamo conto che il problema esiste – inizia – fra i corridori e fra chiunque pratichi uno sport in cui il rapporto fra potenza e peso sia determinante, come appunto il ciclismo. Nei casi di atleti di altissimo livello, sono problematiche superate e gestite, altrimenti probabilmente non arriverebbero i risultati. Nei giovani invece si vede abbastanza, anche per l’influenza degli allenatori nelle prime fasi. Perché ce ne sono certi abbastanza… esagerati, che spingono in modo totalmente illogico a perdere peso, proponendo allenamenti di un certo tipo e poi arrivando alla privazione calorica. Magari è vero che l’atleta in questione dovrebbe perdere peso, ma non così».

L’intervista a Brajkovic della scorsa settimana ha fatto pensare al clima che si vive nelle squadre
Le parole di Brajkovic denunciano la poca privacy nelle squadre
Come si fa a capire, se l’atleta non viene a parlarvi?

E’ una caccia al tesoro, perché c’è la negazione e spesso la mancata presa di coscienza. L’atleta che ha questi problemi è convinto che avere un chilo in meno migliori la prestazione, senza capire che magari proprio per quello spinge 50 watt in meno. E’ un po’ come l’anoressia nelle ragazze, c’è un’immagine prestativa distorta. Il corridore non te ne parla perché non se ne rende conto o perché è convinto della sua scelta. E’ un ginepraio, perché magari parliamo di un atleta che ha avuto un calo e lo attribuisce all’eccesso di peso, anche se non c’entra.

Esiste un modo per capirlo, a parte la deduzione?

Visitandoli, vedi la struttura fisica (in apertura, foto Reverbia, ndr), l’indice di massa magra. Vedi il tipo di comportamento a tavola e nel recupero, oppure il tipo di attenzione che hanno con l’approccio calorico. Abbiamo medici e nutrizionisti, se emerge qualcosa, si riesce ad arginarlo per tempo. Magari in categorie che non hanno questi mezzi, è tutto più difficile.

Cimolai ha parlato di personaggi che nel professionismo hanno l’abitudine di fissare i corridori mentre mangiano
Cimolai ha parlato di chi sorveglia i corridori a tavola
Pensi che nelle squadre si sbagli qualcosa nel riferirsi al peso degli atleti?

Qualche battuta fuori luogo può capitare, ma di solito diventa dannosa dove c’è un substrato in cui certi argomenti possono attaccare. Mi è capitato in passato che ci fossero linee rigide che, come ogni forma di proibizionismo, non hanno portato frutti. Direttive a tappeto uguali per tutti, comportamenti rigidi che hanno ottenuto l’effetto opposto, perché i corridori sono arrivati al punto che non ne potevano più.

Di quali comportamenti parliamo?

Immaginate i corridori a tavola, magari durante una corsa a tappe. E qualcuno che si metteva dietro al tavolo a guardare cosa mangiassero con le braccia conserte e un atteggiamento ansiogeno. In un grande Giro, il momento della cena appartiene ai corridori, è un momento conviviale in cui possono sfogarsi, al limite anche parlando male dello staff. Se gli stai dietro, diventi una presenza constante che li controlla. E questa cosa dal punto di vista delle serenità è stata sicuramente deleteria.

Brajkovic ha raccontato di una sua confidenza messa in piazza: di certo nel mondo del ciclismo si parla tanto…

Secondo me in tutti gli ambiti sportivi ci sono un po’ di ignoranza di fondo e la cattiva gestione della privacy. Per questo si fa resistenza a parlare di certe cose, perché ci si sente stigmatizzati. In più il ciclismo per il suo passato ha rispetto ad altri sport la propensione per l’omertà. Si parla di questi aspetti con grande vergogna, usando perifrasi, perché vengono visti come una debolezza. C’è poca apertura.

Ma alla fine sempre di uomini si tratta e a forza di tirare la corda, poi magari si scopre che un atleta fortissimo come Dumoulin appende la bici al chiodo a 30 anni.

Fanno una vita difficile, ben più che se praticassero uno sport di squadra, in cui puoi prendere casa vicino allo stadio o al palazzo dello sport e organizzarti anche un sostegno, una routine. Questi sono ragazzi che stanno per mesi in altura, poi si spostano di continuo. Lontani dalle famiglie. E’ uno sport che richiede tanti sacrifici e c’è poco tempo per digerire problemi come questi, che vengono fuori di botto e producono cedimenti.

Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Nella sua squadra ci sono mai stati casi di disordini alimentari?

Qualcuno al limite c’è stato, ma niente di rilevante. C’è stata attenzione puntuale, nel porsi in maniera corretta nel segno della privacy. Abbiamo individuato una persona sola che parlasse con l’atleta. Se hai un problema e viene da te il dottore, allora magari lo ascolti. Se invece arrivano anche due direttori sportivi, allora magari mi sento preso un po’ in giro e mi girano le scatole. E in questi casi comunque la gestione oculata ha fatto rientrare il campanello di allarme.

Pensa che l’ambiente possa condizionare certe… cadute?

Mi è capitato con alcune squadre femminili, ragazze sotto i 20 anni, con allenatori dell’Est. Le sottoponevano ad allenamenti massacranti e la sera davano loro insalata e bistecca. Zero carboidrati. Facendo così rischi di bruciarti la stagione. Forse erano tecnici provenienti da certi tipi di retaggi passati, che consentivano di uscire dal selciato compensando in altro modo.

Così facendo rischi di bruciare ben più che la stagione…

Ci sono tecnici in Italia che guidano le squadre con delle vere vessazioni psicologiche. Evidentemente parliamo di persone che hanno il pelo sullo stomaco e si disinteressano dei ragazzi, perché se cadono nell’anoressia, sono rovinati per la vita. Magari poi trovano un talento ogni tot corridori e passano per scopritori di campioni, eticamente però la cosa lascia a desiderare. Gli eccessi sono sbagliati. L’anno scorso siamo andati a Sestriere prima del Tour, con il nostro cuoco che cucina benissimo ed era in contatto con il nutrizionista. I corridori facevano il loro lavoro e a tavola si regolavano in base all’esperienza. Lasciate stare che poi alla fine abbiamo vinto il Tour, ma di sicuro un approccio meno rigido spesso funziona più di quel proibizionismo senza eccezioni.

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19.02.2021
4 min
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L’intervista di ieri a Brajkovic non poteva cadere nel silenzio, soprattutto perché alcuni passaggi del discorso sui suoi disordini alimentari facevano pensare a una elaborazione passata attraverso vari stadi, con il ciclismo come sfondo. Impossibile andare forte a quel modo, senza un briciolo di serenità e senza cibo in corpo. Forse il caso dello sloveno è un estremo, ma se davvero il problema dei disordini alimentari è così diffuso soprattutto fra i giovani, quanti buttano via una promettente carriera, distratti da simili pensieri?

Per questo e per dare un seguito alle parole di Laura Martinelli, ci siamo rivolti a Manuella Crini, psicologa piemontese non nuova al ciclismo, e le abbiamo chiesto di rileggere per noi le parole di Brajkovic.

Che cosa ha pensato leggendo quelle parole?

E’ una bella confessione, ha tirato fuori un mondo sommerso. Si vede anche la mancanza di fiducia nel mondo del ciclismo in cui ha vissuto. Soprattutto il passaggio del medico e del direttore sportivo. Io ti porto un problema, oppure sei tu a scoprirlo e lo fai diventare di pubblico dominio? E’ sbagliato. E’ giusto che il problema coinvolga il team, ma con altri modi.

Wiggins rifiutò di correre altri Tour dopo il 2012 per non dover sottostare agli stessi sacrifici
Basta Tour per Wiggins dopo il 2012, basta con quei sacrifici
Che cosa vuole dire nel passaggio sul fare uscire quanta più energia da sé, per rendere controllabili le emozioni?

E’ uno scenario che dice tantissimo. La necessità di non far vedere le emozioni. A se stesso soprattutto. Tante volte viene confusa l’emozione con il suo correlato fisiologico e le si attribuisce un senso diverso, come la fame. Quando c’è un vuoto emotivo molto grande. Penso abbia lavorato molto per arrivare a capire queste cose di se stesso. Ma è proprio così, il cibo, il peso… sono secondari. Sono un aspetto collaterale. E’ preponderante la gestione della parte pulsionale ed emotiva.

E’ un argomento spinoso…

Spinoso e delicato e per fortuna non ci cadono tutti. La bulimia è un mondo a sé. L’anoressico vive di restrizioni, il bulimico ha momenti in cui perde davvero il controllo. Ovviamente nello sport non hai il caso del bulimico obeso, ma ad esempio li vedi chiedere ogni giorno il massimo a se stessi, in bici come in palestra. Il meccanismo di fondo è sempre lo stesso: la necessità di controllare qualcosa nella tua vita. E lo sport di sicuro accentua una predisposizione.

Brajkovic dice che in realtà che lo sport non è mai stato un problema.

Lo sport è il modo di aggirare il problema. Sai che brucerai tante calorie e di fatto andare in bici è come vomitare, quindi non mi sentirei di dire che lo sport non è mai stato un problema. Lo sport, per le sostanze che va a produrre nel nostro organismo è come una droga. Può attivare i meccanismi che danno al soggetto con questo tipo di problemi, un senso di benessere fisico e psicologico.

Che cosa significa che lo sport accentua una predisposizione?

E’ come mettere un soggetto con problemi di alcolismo in un bar. Diventare professionista comporta sicuramente delle pressioni e la pressione quando è troppa, da qualche parte la devi sfogare.

Prima ha parlato anche di anoressia.

Su cui però farei chiarezza. Non basta un periodo breve di restrizione alimentare per provocarla, ma certo nello sport è un rischio molto presente. Anche questo è un fatto di controllo, il riuscire a perdere peso. Per l’anoressico non esiste il ragionamento “mi danneggio non mangiando”. Per questo è bello l’invito di Brajkovic: mangiate per andare forte, non per perdere peso. Se ci cadi, finisci in ospedale. Il team non basta. Soprattutto se nel team sei portato a mentire perché non ti senti accolto. Ha detto cose molto profonde, che potrebbero aprire la porta ad altre interviste di questo tipo. Mi fa pensare alla depressione post partum…

Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Prego?

Stai facendo il tuo sport, la cosa più bella, come avere un bambino per la donna. Dovresti essere felice, invece hai un problema e non puoi parlarne perché vieni stigmatizzato. Bisogna lavorare sulla persona per aprire le porte che normalmente si tengono chiuse.

Alcuni corridori ci hanno detto che per fronteggiare certi problemi si ricorre a sostanze o all’alcol. Le risulta?

L’anoressico comunque ricorre ad attivatori ed eccitanti, la cocaina ad esempio facilita la perdita di peso. Poi ci sono le droghe che stimolano la fame chimica. E gli alcolici a basso contenuto calorico. La Tennents è la birra di chi ha questi problemi. Ha poche calorie e comunque 9 gradi, senza essere un superalcolico. E a margine di tutto, non dimentichiamo che a livello sociale, lo sport maschera. Il muscolo nasconde l’anoressia. Da qualche parte nei giorni scorsi avete scritto, gambe da superman e braccia come grissini…

Che cosa voleva dire prima con aprire le porte che normalmente si tengono chiuse?

Se altri atleti decidessero di fare coming out su questo aspetto, le squadre farebbero più fatica a puntare il dito. Dovrebbero puntarne troppi. E se si è riusciti a regolamentare il mondo delle modelle, magari si riesce anche a venirne a capo nello sport. Complicato però il ciclismo…

Una presa di coscienza a livello generale sarebbe davvero auspicabile, perché il dito non venga puntato soltanto sugli atleti. Insomma, il viaggio deve continuare e anche il riferimento alla cocaina ha riacceso ricordi e innescato riflessioni. In fondo, tirando tutti nella stessa direzione, si potrebbe lavorare per fare del ciclismo un ambiente più sano.

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