Froome e De Marchi, il punto dall’ammiraglia con Claudio Cozzi

29.04.2022
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In casa Israel – Premier Tech vale la pena soffermarsi un attimo a parlare di due nomi. Due nomi importanti: Alessandro De Marchi e Chris Froome. Due veterani della squadra diretta da Claudio Cozzi, uno dei diesse, e due corridori che in questo inizio di stagione hanno fatto più fatica del dovuto.

Ma se per il britannico il barometro volge al bello, per il friulano il meteo è ancora incerto, anche se qualche timido segnale positivo è arrivato dalla Liegi.

Froome e De Marchi, rispettivamente primo e terzo da sinistra, al via da Cles nella prima frazione del TOTA
Froome e De Marchi, rispettivamente primo e terzo da sinistra, al via da Cles nella prima frazione del TOTA

Niente dolori…

Partiamo dal re di quattro Tour, un Giro e due Vuelta. Dicevamo che le cose migliorano. Nei giorni del Tour of the Alps lo stesso Cozzi ci aveva detto che erano tre anni che Chris non raggiungeva certi valori in allenamento.

«Esatto – dice il direttore sportivo – tre anni che non raggiungeva certi valori, ma quello che più conta è che non sente più dolore e questo gli consente di allenarsi bene, forte come vuole lui. 

«Sta continuando a dare segnali positivi. Al Tour of the Alps è caduto però poi sembrava che stesse abbastanza bene, non ha avuto problemi fisici: nessun tipo di dolore, ginocchio, schiena o caviglia quello che lo tormentava lo scorso anno. Io sono fiducioso».

«Chris è un fighter, un combattente, nella vita e nello sport – ha aggiunto Cozzi – Ha una testa veramente forte e quindi man mano che vede che sta bene, che migliora, va in progressione. Prende fiducia. La sua testa è molto forte, adesso ha bisogno di recuperare il suo fisico dopo quel maledetto incidente. E non è facile, anche perché gli anni passano. Però, ripeto, Chris ha una testa fuori dal normale».

«E’ di una professionalità incredibile. Mi colpiscono la calma e la tranquillità che ha nel gestire ogni situazione. Lui non sente le pressioni, non sente i giudizi altrui, se i giornalisti lo criticano per lui è uguale».

Froome ha anche provato ad andare in fuga sul Rolle (2ª tappa del TOTA)
Froome ha anche provato ad andare in fuga sul Rolle (2ª tappa del TOTA)

Froome e il Giro?

Alla luce di un buon Tour of the Alps, al netto dell’ultima tappa in cui Froome è uscito fuori tempo massimo come la metà del gruppo (hanno preferito non rischiare tra pioggia, freddo e discese tecniche), è curioso conoscere quale sarà il programma di lavoro e di gare del britannico.

«Stiamo decidendo proprio in questi giorni – ha detto Cozzi – gli allenatori valutano i suoi dati e di conseguenza stileremo il suo programma. Una remota possibilità di vederlo al Giro? Difficile da dire. Stiamo disegnando la squadra del Giro in questi giorni».

Il fatto di lasciare una piccola porta aperta sulla presenza di Froome al Giro è legata principalmente alla questione dell’ormai noto bollettino medico che coinvolge tutte le squadre. Di base Chris non dovrebbe essere al via da Budapest. Tanto più che dopo il Tour of the Alps si è schierato anche al Romandia: proprio perché stava bene voleva accumulare un buon volume di lavoro.

«Abbiamo sempre qualche corridore fermo, pertanto dobbiamo tenere in considerazione tutti i nostri atleti. Anche perché poi c’è da stare vigili anche sulla questione dei punteggi (per la classifica WorldTour a squadre, ndr). Nello stesso periodo della corsa rosa ci sono il Giro di Norvegia e altre gare: dobbiamo distribuire bene la squadra».

De Marchi ha disputato una buona Liegi visto il lavoro che doveva svolgere e la condizione non certo al top
De Marchi ha disputato una buona Liegi visto il lavoro che doveva svolgere e la condizione non certo al top

“Dema” c’è…

Capitolo De Marchi. Leggendo gli ordini di arrivo si potrebbe dire che Alessandro proprio non va quest’anno. Poche gare, molte delle quali finite anzitempo con dei ritiri. Chiaramente alle spalle c’è una grossa dose di sfortuna. Anche De Marchi come Froome, è un combattente nato, ma quando la salute non gira per il verso giusto c’è poco da fare.

Anzi che almeno la Liegi, seppur indietro, l’ha portata a casa.

«De Marchi – riprende Cozzi – non è che non va, solo che ogni volta ha avuto influenza e mal di stomaco. Nella prima tappa al Tour of the Alps ha vomitato e non ci si aspettava questo. 

«Lui mi ha detto che al Giro vuole esserci, vuole stare con noi, e conoscendolo sono abbastanza fiducioso. L’ho sentito anche nel corso del Tour of the Alps, dopo il suo ritiro ed era in miglioramento (e infatti poi quasi a sorpresa è volato alla Liegi, ndr)».

Alessandro vuole il Giro, okay, ma bisogna anche essere pronti per andarci e di certo il suo cammino non è stato privo di ostacoli. Avrà la condizione giusta? Avrà il volume di lavoro necessario per affrontare tre settimane di corsa?

«Guardate – conclude Cozzi – che Alessandro si è allenato e bene. Non è che non abbia la condizione, ma come ripeto è stato male. I suoi volumi di allenamento li ha fatti. In virtù di questi problemi abbiamo eseguito degli accertamenti e virus non ne sono usciti… quindi dopo la Liegi va diretto al Giro».

Buja fucina di professionisti. E De Marchi è il pioniere

06.02.2022
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Un campanile, un piccolo centro storico arroccato su una collina, le zone residenziali in basso, un centro sportivo, il palazzo del comune e un bel gruzzolo di campioni: è Buja. Se si fa una percentuale fra corridori professionisti e abitanti di certo questo borgo vincerebbe a mani basse. Alessandro De Marchi, Jonathan e Matteo Milan, Nicola Venchiarutti, Davide Toneatti e Lorenzo Ursella, oltre ai crossisti Alice Papo e Tommaso Bergagna, sono “les enfants du pays”.

Andiamo in questo piccolo paesino della provincia di Udine. Siamo nel cuore del Friuli Venezia Giulia, tra le colline che separano la Carnia e le Prealpi Giulie. Il fiume Torre ad Est, il Tagliamento ad Ovest.

Rosa e oro

Questa estate i suoi circa 6.600 abitanti hanno vissuto una sbornia di gioia con i loro campioni: la maglia rosa di Alessandro De Marchi e la medaglia d’oro di Jonathan Milan. E proprio con il “Rosso di Buja”, Alessandro De Marchi, il pioniere, colui che ha aperto la strada, cerchiamo di capire perché da lì arrivano tanti ragazzi al professionismo.

«Io – spiega De Marchi – direi che si sta premiando il lavoro di una società che non sempre è sotto i riflettori, perché noi in Friuli siamo spesso un po’ lontani dei grandi riflettori. Ed è così un po’ in tutto. A volte è un qualcosa di negativo, a volte è un qualcosa di positivo. Essere un po’ più isolati è ormai parte della nostra identità e questo, tornando al ciclismo, si riflette soprattutto nel settore giovanile.

«Tuttavia giovanissimi ed esordienti sono sempre riusciti a resistere. E’ vero, ci sono meno corridori e meno gare, e lo specchio di tutto ciò è la categoria allievi, ma finché ci sono società che tengono duro le cose prima o poi vengono fuori».

Bujese e Jam’s

Le società che tengono duro: il nocciolo della questione forse è tutto qui. Oggi le squadre che lavorano con i ragazzi navigano in un dedalo di difficoltà, non solo economiche, ma anche burocratiche e tecniche. Pensiamo solo alle responsabilità nel portare un ragazzino in mezzo al traffico. 

«Quasi tutti – riprende Marchi – hanno cominciato nella Ciclistica Bujese. E di questa cosa ci pensavo proprio quest’anno al Giro. Guardavo il gruppo e mi dicevo: siamo in due di Buja e della Ciclistica Bujese. Oltre a me, infatti, c’era Venchiarutti».

«E poi c’è la Jam’s Bike Team. Questa squadra è nata anni dopo. All’inizio era votata solamente al ciclocross e alla mtb, poi si è aperta anche alla strada». Ed è qui, nella squadra creata da suo padre Flavio, che ha mosso i primissimi passi Jonathan Milan.

«La Ciclistica Bujese ha oltre 40 anni di attività, 44 credo. E’ davvero storica. Nacque poco dopo il terremoto del 1976 proprio per dare una possibilità in più ai ragazzi. Ha una tradizione fortissima. Molte delle persone che hanno tirato su me ci sono ancora, ma ce ne sono anche di nuove».

De Marchi, chiaramente tende per la Bujese, dove ha posto un pezzetto di cuore, però ammette che le due società, dopo gli screzi iniziali circa la nascita della Jam’s tutto sommato hanno collaborato. E, conoscendo la forte tradizione campanilistica italiana, non è affatto una cosa da poco.

«Con un paese di 6.000 abitanti o poco più – continua De Marchi – due società che fanno la stessa cosa un po’ mi lascia perplesso, ma loro iniziarono pensando al ciclocross. E tutto sommato si sono ritagliati una fetta specifica di attività.

«Se mi chiedete se sono a favore dei due team, direi che preferirei un’unione delle forze. E a volte tutto ciò è avvenuto, come per esempio nell’aiutarsi reciprocamente quando organizzano le gare. E poi in questo modo i ragazzi possono scegliere fra più attività. Ma questo è possibile perché alla base ci sono persone che si conoscono».

Alessandro De Marchi aveva 7 anni in questa foto. Ha iniziato con le gimkane promozionali
Alessandro De Marchi aveva 7 anni in questa foto. Ha iniziato con le gimkane promozionali

Come li crescono

«Negli anni che ho trascorso alla Bujese e per tutte le categorie non agonistiche (fino agli juniores, ndr) posso dire di aver svolto l’attività con serietà e con impegno, ma al tempo stesso senza stress da risultato. Non ci hanno mai messo fretta: né a me, né agli altri ragazzini e neanche alle famiglie. Anzi anche loro hanno condiviso questo stile».

Il discorso dei genitori pressanti in qualche modo viene toccato. Noi stessi chiediamo a De Marchi se da quelle parti le famiglie ancora sanno rispettare i ruoli della società civile in cui l’allenatore è l’allenatore, il maestro è il maestro… 

«I genitori che rispettano questo stile ti permettono di svolgere un’attività sana per i ragazzi. Se penso alla mia esperienza ricordo che gli allenatori volevano impegno, ma non sono mai stati pressanti».

«E forse io sono proprio l’esempio perfetto per questo discorso. Solo da juniores ho iniziato a fare qualche “risultatino”, ma fino da allievo ero entrato solo qualche volta nei primi dieci. In un’altra società non so se sarebbe andata allo stesso modo.

«Ho più ricordi delle grigliate e delle partite a pallone dopo la gara, che delle gare stesse. Si faceva la corsa, c’erano le premiazioni, si apriva il baule della macchina e si iniziava a mangiare e bere sul posto».

Effetto campioni 

Ma torniamo a quanto accennato all’inizio. Dopo la sbornia di successi di questa estate, i ragazzini di Buja hanno più voglia di fare ciclismo? C’è stato un effetto entusiasmo?

«Sicuro! È automatico che accada quando ci sono dei successi così grandi – riprende De Marchi – Le Olimpiadi e la maglia rosa sono un bel riflettore. Mi aspetto nei prossimi anni una certa risposta dal territorio. E di questo sono molto contento. Sono contento che il nostro esempio stia dando i suoi frutti.

«Io pioniere? Anche per questo sono molto vicino alla Bujese, spero che la mia visibilità sia di riflesso anche per loro».

I campioni però non bastano. La gioia di un oro olimpico è enorme, ma come un’ondata arriva e se ne va. “Per trattenere l’acqua” serve il lavoro costante sul territorio. Serve costruire una base solida e soprattutto che sia concreta.

«Come attraggono i ragazzi? Principalmente si fa promozione nelle scuole, un po’ come accadde con me. E’ lì che si va a proporre l’attività del ciclismo. Io per esempio iniziali ad una sagra di paese: era una gimkana promozionale. La Bujese metteva a disposizione le bici, i caschi e mi buttai… Tempo fa andai ad aiutarli anch’io in un evento simile».

Una veduta di Buja (foto Turismo FVG)
Una veduta di Buja (foto Turismo FVG)

Poco traffico?

Una cosa che ci colpì quando andammo a Buja proprio per delle interviste con De Marchi e Milan, tra l’altro una delle prime di bici.PRO, fu la tranquillità di questo paesino. Colline dolci da una parte, montagne un po’ più alte dall’altra e una certa scarsità di traffico. Elemento quest’ultimo affatto secondario.

«Traffico tranquillo dite? Sì e no, rispondo io – replica De Marchi – Dipende da cosa si è abituati a vedere. Se mi dite che la situazione è tollerabile dico okay, ma se mi chiedete com’è rispetto a qualche anno fa, dico che le cose sono peggiorate. Non siamo a livelli intollerabili, ma…».

«Gestire un team di giovanissimi non è così facile. Portarli ogni tanto fuori dal pistino è una bella responsabilità. Anche per questi motivi nacque la Jam’s che puntava sull’offroad, fra cross e mtb.

«La Bujese ha una piccola pista nella zona sportiva del paese. E’ un giro che corre attorno ai campi da calcio e va molto bene per la categoria dei giovanissimi, specie quelli più piccoli. In più da qualche anno collaboriamo con la Carnia Bike, società di Tolmezzo. Loro avevano molte richieste da parte di bambini, ma il loro settore erano le granfondo. Sono degli amatori. Quindi hanno chiesto aiuto a noi per iniziare i ragazzi al ciclismo».

«A Tolmezzo, che dista circa 30 chilometri da Buja, c’è un una vera e propria pista per la guida sicura. E lì gli amici della Carnia Bike hanno iniziato ad allenare i giovani. Ma è un luogo ideale anche per i più grandi e così ogni tanto ci portiamo anche i nostri ragazzi».

Il “Rosso di Buja” starebbe ore a parlare di questo argomento. Alessandro risponde davvero in modo appassionato. Quando può dà una mano, partecipa alle riunioni. Gli avevano anche proposto di fare il vicepresidente della Ciclistica Bujese: «Ma – risponde – a quanto pare se sei un professionista non puoi avere anche la tessera da vicepresidente di una società giovanile. Mah…».

De Marchi, come riesci ogni volta… a rialzarti?

16.09.2021
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Rialzarsi e ripartire ogni volta non è facile. E’ qualcosa che spetta solo ai grandi, a coloro che sono forti di carattere. Spetta a gente come Alessandro De Marchi. Dalle “rovine” del Giro d’Italia al titolo europeo nel team relay, al secondo posto di ieri al Giro di Toscana.
Il “Rosso di Buja” più volte nella sua carriera è stato costretto a ripartire dopo brutti incidenti. Ricordiamo per esempio quello del Tour 2019 e l’ultimo quello dopo la conquista della maglia rosa al Giro. In quel momento sembrava tutto rose e fiori per il Dema, invece è bastato un attimo, una caduta, e tutto è andato in frantumi. Risultato: ossa rotte e addio a Giro ed Olimpiadi.

Giro d’Italia 2021, Alessandro De Marchi è stato due giorni in rosa: il coronamento di un sogno
Giro d’Italia 2021, Alessandro de Marchi
Alessandro, ma come fai ogni volta a rialzarti?

Eh – sospira – alla base fondamentalmente c’è la passione. Senza di quella non ce la faresti. Passione e le persone giuste intorno.

Chi sono queste persone?

La famiglia, certo, ma ormai ho uno staff collaudato di due o tre figure, osteopati e fisioterapisti, che mi seguono da tempo e che mi danno una grossa mano.

Non una volta sola ti sei dovuto rialzare…

Esatto, quest’anno come nel 2019. Ormai ho un mio “protocollo” di recupero dalle botte. E so quello che serve per tornare in bici. Stavolta ho cercato di tornare subito alle corse anche se non ero al 100% perché la cosa che fa più male è stare proprio lontano dalle gare, per questo motivo sono voluto ripartire subito.

Le Olimpiadi e i mondiali soprattutto sono stati la tua spinta maggiore? I tuoi obiettivi?

In realtà tutto ciò avvenuto dopo, non avevo obiettivi così precisi. Semmai sapevo che c’era l’opportunità di poter prendere parte al team relay agli europei. Ecco, forse quello è stato l’obiettivo un po’ più concreto. L’obiettivo principale era tornare a stare bene in bicicletta.

Come hai progettato il tuo ritorno?

E’ stato fondamentale tirare giù un giusto programma di corse e credo che non andare alla Vuelta sia stata la scelta giusta. Forse sarebbe stato troppo. E’ una scelta che abbiamo preso in accordo con lo staff di tutta la squadra (La Israel Start-Up Nation, ndr).

Alessandro, sappiamo che eri uno tra i più papabili per andare a Tokyo. Come è stato vedere le Olimpiadi dalla TV?

Non è stato facile, ma per fortuna ero a correre e così non sono stato troppo impegnato con la testa. Ma è inutile pensarci. E poi è un qualcosa che non era sotto il mio controllo. A quel punto ci potevo fare ben poco.

Ieri al Toscana De Marchi è arrivato 2° dietro a Valgren (primo anche oggi alla Sabatini), ma azzeccando un bell’attacco nel finale
Ieri al Toscana De Marchi è arrivato 2° dietro a Valgren (primo anche oggi alla Sabatini), ma azzeccando un bell’attacco nel finale
Nuova maglia della squadra, poi quella rosa e adesso quella azzurra: è l’anno delle maglie?

Tra quella rosa e quella azzurra c’è differenza. Quella rosa è stato un riconoscimento, quella azzurra è più una responsabilità, un onore. In ogni caso sono dei simboli per quello che rappresentano. E per me hanno un significato particolare.

Sei ripartito, sei anche già andato forte come ieri al Giro di Toscana, ma non hai paura di poter cadere, di finire di nuovo nei guai?

Un po’ sì e cerco di non focalizzarmi troppo su questo pensiero. Così mi concentro su altro.

A proposito del Giro di Toscana che hai chiuso al secondo posto, cosa ci dici di ieri? Sei più soddisfatto o arrabbiato?

No, no… soddisfatto! Anche perché in salita non ero con i primi, sono riuscito a rientrare con Moscon. Ho azzeccato il momento nel finale e sono contento per aver preso la decisione giusta per fare quell’attacco. E’ importante infatti provarci sempre, mantenere il feeling con queste azioni a prescindere poi dal risultato finale.

Beh, riuscire a scappare via è sempre una bella sensazione…

Esatto, è importante “starci dentro” a queste cose. Come ho detto, non bisogna perdere il feeling con certe azioni e riuscire ad azzeccare il momento giusto.

Olimpiadi e classiche, in arrivo De Marchi

10.11.2020
6 min
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Alessandro De Marchi è indaffarato tra scatoloni, mobili e scartoffie. Il “Rosso di Buja” ha comprato una nuova casa e in questi giorni più che un corridore è un addetto ai traslochi. Ma come sempre, quando c’è da fare il Dema non si tira indietro. Da buon friulano, l’ormai ex corridore della CCC Sprandi, si tira su le maniche e si tuffa corpo e anima nel suo lavoro.

Come va il trasloco?

Sto tentando di finire casa. Ci siamo quasi, ma alla fine manca sempre sempre qualcosa. Poi mia moglie si è anche infortunata, gira con le stampelle, e tutto va un po’ a rilento. La nuova abitazione è sempre in zona di Buja. 

De Marchi tra gli scatoloni di casa, in pieno trasloco
De Marchi tra gli scatoloni di casa
Partiamo da questa folle stagione. Come è andata?

Non come pensavo. Almeno non sempre. Fino ad agosto anche bene direi, poi al Tour le cose si sono complicate, è arrivata della “foschia” e fino alla fine è stata così. Questa cosa del Giro che mi ha visto tagliato fuori all’ultimo mi ha colpito parecchio e di fatto la mia stagione è finita lì. Sì, ho fatto le classiche, ma senza mordente.

Come hai reagito? Se ci si ferma presto l’inverno può diventare molto lungo…

Con tutte le cose in ballo non mi annoio! La storia del Giro è stata una grossa delusione. A giugno i programmi erano di fare questa doppietta Tour-Giro e contavo molto sulla corsa rosa, tutto era in sua funzione, mi ispirava. Al Tour è sorto qualche problemino, anche qui a casa, e con la mente non c’ero, ma continuavo a pensare che mi sarei rifatto al Giro. 

Dopo la terribile caduta dello scorso anno, questo è stato un anno di “rodaggio”?

Sì, c’era parecchia emotività su questa stagione proprio perché avevo finito l’anno precedente in quel modo. Le prime gare mi avevano dato fiducia. Ero contento di quel secondo posto nel campionato nazionale a crono. Era un buon segnale, potevo non essere una delle tante pecorelle del gruppo. 

Cosa avresti fatto al Giro?

Che bella corsa è stata. Avrei puntato alle tappe. Già nella prima settimana ce n’era più di qualcuna adatta alle fughe. Senza contare quelle due in Friuli, ci tenevo molto. C’erano tappe lunghe, adatte alle fughe… insomma l’ideale per me. Al Tour non è stato così. Si è corso con un tatticismo esagerato. Bisognava essere al 101 per cento, perché al 99 sarebbe stato un bel problema.

Adesso però è già tempo di ripresa…

Dovrei ripartire la prossima settimana. Sono molto autonomo, ormai so cosa e come devo fare. Dalla Israel Start-Up Nation non abbiamo ricevuto notizie in merito ad eventuali ritiri. Ci sono delle cause di forza maggiore. Teoricamente si prospetta un inverno tranquillo a casa e tutto sommato la cosa non mi dispiace. Riprenderò con tranquillità visto che i miei obiettivi sono più in là.

E quali sono?

I grandi Giri e l’Olimpiade. Tokyo era il mio grande obiettivo 2020. Ero concentrato su questo e spero di riprendere il discorso nel 2021.

Il friulano nella crono tricolore 2020, conclusa al secondo posto
Il friulano nella crono tricolore 2020
Continuerai a lavorare con il gruppo friulano o con i nuovi tecnici della Israel?

Siamo liberi, loro hanno solo chiesto di condividere ciò che facciamo. Io continuerò con il mio gruppo di lavoro, con Andrea Fusaz e il CTF Lab e anche con due persone esterne al mondo del ciclismo che mi seguono dall’anno scorso. Sono Mauro Berruto (ex tecnico della pallavolo) e Giuseppe Vercelli (psicologo dello sport). Con loro ho gettato le basi per un lavoro individualizzato.

Come sei arrivato a queste due figure?

Nel 2014, tramite Cassani durante un camp. Mauro è venuto a presentare un libro. Da lì siamo rimasti in contatto. Poi i rapporti si sono intensificati l’anno scorso dopo la mia caduta. Mauro è l’head-coach. Ha una capacità incredibile di gestire la parte atletica, quella mentale e coordinare ogni aspetto della preparazione. Per esempio lui e Giuseppe mi hanno visto approcciare una crono. Per me c’è un iter consolidato dalla ricognizione al riscaldamento che però non mi portava in gara con il mood giusto. Qualcosa che solo chi è fuori dal ciclismo può vedere.

Invece alla Israel come ci sei arrivato?

In realtà sono stati loro i primi a contattarmi. E il ruolo a cui puntavano era l’ideale per me. Cercavano un corridore da utilizzare in più situazioni. Se prendi Chris Froome hai nelle corse a tappe i tuoi maggiori obiettivi e io chiaramente devo stargli vicino. Però loro volevano anche un uomo per le classiche, il mio profilo era quello giusto. E questa cosa mi ha fatto piacere. Io non sono mai stato una cosa o l’altra, ma ho sempre ricoperto più ruoli.

Hai già parlato con Froome?

In realtà no, perché abbiamo fatto calendari diversi. Ci siamo incrociati alla Liegi, ma entrambi eravamo presi ognuno nelle proprie cose. Ho il suo numero, ma non lo ho ancora “disturbato”. Siamo una squadra nuova. Spero ci si possa incontrare prima di entrare nel vivo, altrimenti saranno problemi.

De Marchi in ammiraglia CTF
De Marchi in ammiraglia CTF
Cambiamo discorso. I ragazzi del CTF ti adorano. Li segui molto?

In realtà non così tanto. Diciamo che quando posso cerco di essere presente. Qualche settimana fa li ho seguiti in ammiraglia in corsa. Purtroppo però non ci sono tante occasioni.

E non uscite insieme?

Se vengono alla “casetta” (il ritiro del CTF, ndr) ci proviamo. Abbiamo una chat e cerchiamo di organizzarci. In passato quando non conoscevano bene le strade uscivamo di più, adesso sono autonomi. Per assurdo Milan che abita a 300 metri da me è quello con cui esco meno. Lui è molto preciso con i suoi allenamenti e non sempre riusciamo ad “incastrarci” se non per brevi tratti. Il CTF è una bella realtà e a volte a forze di associarla a me si rischia che si parli più di De Marchi che non del team. Adesso tocca a Fabbro, Aleotti, Milan, i fratelli Bais dare il giusto merito a questo team.

Dema in versione scalatore!
Dema in versione scalatore!
Nel tempo libero cosa fai?

Tempo cosa? Avrei voglia di fare mille cose ma davvero ce n’è poco. Però devo dire mi sono avvicinato all’arrampicata. Ho iniziato a giugno e ho fatto altre sedute la settimana scorsa. Mi appoggio a delle guide alpine. Mi piace perché sei lì, in bilico, solo con te stesso. Ti devi concentrare solo su quello che stai facendo. Solo quando sono tornato a casa mi sono reso conto di aver staccato per davvero. Per questo mi piace.

Prima ti abbiamo sentito parlare del Giro in modo davvero appassionato: cosa ti ha colpito della corsa rosa?

Che si è corso in un periodo diverso dal solito. Ci ha dato paesaggi, colori e profumi insoliti. E’ stata una sorpresa. Ed era una delle cose che mi attirava: correre in Italia in un periodo nuovo. Dallo Stelvio innevato ai colori della Sicilia.