Lo squillo di Tiberi al Lussemburgo: un segnale meraviglioso

25.09.2024
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Antonio Tiberi raggiungerà domani la nazionale a Zurigo. Il cittì Daniele Bennati lo aspetta a braccia aperte, tanto più dopo l’ottima prestazione allo Skoda Tour de Luxembourg. Una prestazione che dopo questo suo racconto ci è parsa ancora più corposa di quanto sia stata vista da fuori.

Il laziale della Bahrain-Victorious usciva dalla batosta della Vuelta quando era stato costretto ad alzare bandiera bianca per un colpo di calore. Un po’ di recupero e poi eccolo, “cattivissimo” in Lussemburgo appunto.

Nona tappa della Vuelta: un colpo di caldo mette Tiberi ko. Da lì il ritiro… e la rinascita
Nona tappa della Vuelta: un colpo di caldo mette Tiberi ko. Da lì il ritiro e la rinascita
Antonio, partiamo dalla Vuelta. Immaginiamo sia stata una bella botta morale. Come l’hai superata?

Stavo andando bene fino alla nona tappa. Risultati e sensazioni erano buone. Ero messo abbastanza bene in classifica, tant’è che avevo anche la maglia bianca, fino al giorno della fatidica tappa, dove un colpo di calore mi ha costretto al ritiro. Però non mi sono scoraggiato più di tanto.

Come hai fatto?

Ho cercato di recuperare un po’ e poi di prepararmi subito, e ancora meglio, per il finale di stagione. E la prima occasione è stata in Lussemburgo. Puntavo ad arrivarci con un’ottima condizione per fare bene. Era una gara che un già conoscevo e mi piaceva.

Com’hai gestito tecnicamente quei giorni tra Vuelta e il Lussemburgo?

Non ho staccato troppo e ho cercato di tenere alta la condizione. I primi due giorni dopo il ritiro in Spagna ho mollato un pochino, ma dopo ho subito aumentato la pressione con allenamenti intensi, tant’è che sono andato in Toscana con il mio preparatore Michele Bartoli. Con lui ho fatto diversi giorni dietro scooter, parecchi lavori in salita… anche sul Monte Serra.

Nelle settimane post Vuelta, il laziale in qualche modo ha simulato la corsa spagnola con tanto dietro motore. Qui eccolo con il papà
Nelle settimane post Vuelta, il laziale in qualche modo ha simulato la corsa spagnola con tanto dietro motore. Qui eccolo con il papà
Conoscendo Bartoli, ci avete dato sotto… 

Ricordo che a fine allenamento sono stato parecchie ore sul letto per riprendermi! E anche a casa mia ho continuato a fare dietro moto con mio papà che mi aspettava con la Vespa. Quindi le settimane dopo la Vuelta sono state ideali per tenere alta l’intensità.

E poi è iniziato questo Lussemburgo. Sei stato sul pezzo: su cinque tappe di gara non sei mai uscito dai primi dieci…

I percorsi erano abbastanza nervosi. Di pianura ce n’era veramente poca e gli arrivi erano abbastanza tecnici. Bisognava stare davanti per cercare di non perdere secondi. La battaglia era anche per gli abbuoni. Insomma ero sempre pronto ad eventuali attacchi.

In tutto ciò la crono è diventata decisiva?

Sì, la crono ha ordinato la classifica. Ci puntavo particolarmente ed è andata più che bene: secondo a 7” da Ayuso. Con questa tappa ho recuperato un po’ di secondi ai diretti avversari e nell’ultima frazione mi sono giocato il tutto per tutto. Mi sono detto: “Proviamo a ribaltare un po’ la situazione e vediamo cosa succede”.

Sempre più leader, come al Giro e alla Vuelta, anche allo Skoda Tour la Bahrain ha lavorato compatta per Tiberi
Sempre più leader, come al Giro e alla Vuelta, anche allo Skoda Tour la Bahrain ha lavorato compatta per Tiberi
Da quelle parti non c’è nessuna grande salita e tu sei uomo da grandi Giri: come hai interpretato appunto queste singole tappe nervose? Alla fine se andiamo a rivedere i leader sono stati Pedersen e Van der Poel che solitamente non sono i tuoi avversari…

Siamo partiti con l’idea di non farci mai cogliere impreparati. Da quando partivo a quando arrivavo sapevo che per quelle quattro ore dovevo essere concentrato al massimo, con il coltello fra i denti e pronto a tutto. In percorsi così ci si può sempre aspettare un attacco da chiunque. Basta che qualcuno arrivi con 30” che poi è difficile riprenderlo. Quindi anche con la squadra siamo stati sempre nel vivo della gara e qualche volta abbiamo provato noi a fare l’azione piuttosto che subirla. Poi quando la gamba è buona tutto è anche più facile. Molto importante per me è stata la prima tappa, dove ho fatto sesto.

Perché?

L’arrivo era su uno strappo impegnativo e bisognava essere pimpanti sin da subito. A volte mi capita di soffrire un po’ nelle prime tappe, stavolta invece stavo bene.

E da lì l’imprinting dell’intero Lussemburgo è cambiato?

Un pochino sì, anche se ero partito ben mentalizzato. Dopo la prima tappa ho detto: «Okay, voglio provare a fare top 10 in tutte le frazioni». Volevo questo obiettivo, ma non pensavo di vincere l’intera gara visti i percorsi e la presenza di corridori come Van der Poel o Hirschi, più scattisti e più potenti di me.

Ecco, come è stato possibile secondo te batterli sul loro terreno?

Come detto, percorsi così sono adatti agli attacchi e nell’ultima tappa ho sfruttato un po’ la stanchezza generale, specie dopo la cronometro. Quel finale lo avevamo già fatto. C’era uno strappo impegnativo, dove c’era anche lo sprint intermedio, seguito da un tratto più lungo che saliva con costanza. Immaginavo che ci sarebbe stata battaglia per quel traguardo volante e che dopo magari si sarebbero calmati. E così è stato.

L’azione decisiva nell’ultima tappa del Lussemburgo. Tiberi scappa con a ruota Gaudu e Simmons che avevano attaccato prima di uno strappo
L’azione decisiva nell’ultima tappa del Lussemburgo. Tiberi scappa con a ruota Gaudu e Simmons che avevano attaccato prima di uno strappo
Che lucidità, Antonio. Vai avanti…

Prima quel segmento c’era un tratto tecnico in discesa. Lì Gaudu e altri hanno attaccato: sono stato proprio io a chiudere. Mi sono girato e ho visto il gruppo tutto in fila e con qualche buco. In quel tratto di salita più regolare e lungo e ho pensato: “Adesso o mai più”. Anche in radio mi dicevano: “Vai a tutta, quando arrivi in cima ti giri e vedi chi c’è”. A quel punto ho switchato in modalità crono. Ho fatto ancora un paio di scatti e poi mi sono messo di passo. Eravamo rimasti in quattro e neanche ho chiesto i cambi. Anche perché non me li avrebbero dati: ero quello messo meglio in classifica. In più non volevo perdere tempo a discutere.

Antonio, il percorso di Zurigo è simile e più duro di quelli in Lussemburgo, per Bennati sei un leader: come ci arrivi al mondiale?

Quest’annata mi ha dato più sicurezza e più certezze nei miei mezzi. E’ il primo Mondiale da professionista e di certo sarà un momento speciale per me. Sono consapevole del fatto che la condizione è buona e il percorso può essere adatto a me. Cercherò di fare il massimo e magari d’inventarmi anche qualcosa… un po’ come ho fatto al Lussemburgo, per cercare di stupire o di battere magari anche quello che si pensa sia imbattibile.

Tiberi e Vergallito, lampi d’Italia nella Vuelta che decolla

24.08.2024
5 min
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Non sarà come quando al Giro del 2010 la fuga dell’Aquila costrinse la Liquigas ai lavori forzati per riprendere e staccare Arroyo, se non altro perché il margine di allora sfiorava i 13 minuti. In ogni caso la fuga con cui tre giorni fa Ben O’Connor ha conquistato la maglia rossa della Vuelta vincendo a Yunquera ha messo i principali favoriti della Vuelta nella condizione forzata di inseguire. Non a caso, dopo la vittoria di Roglic sul traguardo di oggi a Cazorla, i giornali spagnoli hanno titolato sull’inizio della rimonta.

«E’ stata una tappa difficile – ha detto Primoz, che la maglia l’aveva presa a Pico Villuercas – ho rinunciato ad attaccare da lontano, ma alla fine c’era l’opportunità di puntare alla vittoria di tappa e l’ho fatto. La salita finale mi andava bene e avevo buone gambe. Sono felice di essermi ripreso parte del mio tempo, ma sto vivendo la Vuelta un giorno alla volta. Domani potrei perdere nuovamente terreno. Sento ancora l’infortunio alla schiena dovuto al Tour».

Almeida ha scalato la salita finale accanto a Stefan Kung, segno che qualcosa davvero non andasse
Almeida ha scalato la salita finale accanto a Stefan Kung, segno che qualcosa davvero non andasse

La scelta della UAE

Nel giorno in cui Roglic e Mas hanno iniziato a risalire la china, con Tiberi giusto alle spalle, chi ha perso terreno in modo significativo e inatteso è stato Joao Almeida, che da più parti era stato indicato a ragione come il favorito della Vuelta. Il portoghese ha tagliato il traguardo a 4’53” dal vincitore, fiaccato a quanto si dice dalla positività al Covid.

Chissà se è vero quanto ha detto il tecnico della nazionale spagnola sul fatto che Ayuso in realtà stia benissimo e sarebbe stato lasciato a casa per il comportamento del Tour. Sia quel che sia, anche oggi nella scalata a Cazorla si è capito che la UAE Emirates senza Pogacar (o la promessa della sua imminente presenza) non è lo squadrone che abbiamo ammirato al Giro, allo Svizzera e al Tour de France. Con Yates mai realmente della partita e l’Almeida claudicante di oggi, se il risultato finale sarà che Ayuso rimarrà nel team, allora il team avrà ottenuto una qualche forma di risultato. In caso contrario, finirà come per il marito che per punire la moglie ha scelto di infierire sulla propria virtù.

L’errore di O’Connor

Il finale di tappa era perfetto per lo sloveno: l’unico a non averlo capito è stato il leader Ben O’Connor. Forte di un margine a dir poco importante, l’australiano ha creduto di avere un livello paragonabile a quello di Roglic. E anziché amministrare con sapienza il proprio margine, si è messo in testa di rispondere a Primoz, che al terzo affondo se lo è tolto di ruota e lo ha lasciato sprofondare nel fiato corto.

«La fase di apertura della tappa era già molto dura – ha cercato di spiegare O’Connor – sono sempre stato davanti, ma ovviamente sono un po’ deluso per come è finita. Non mi aspettavo di perdere così tanto, ma penso che le salite di domani intorno a Sierra Nevada saranno meno moleste per me. Spero di avere una giornata migliore e di tenere la maglia».

A suo agio anche sulle pendenze arcigne di Cazorla, il passivo di Tiberi è di 17″
Tiberi si è trovato a suo agio anche sulle pendenze arcighe di Cazorla: il suo passivo è di 17″

Tiberi sornione

Antonio sta lì e per ora segue. Lo senti parlare e riconosci una sicurezza superiore a quella del Giro dove tutto era scoperta. Sarà perché ha già corso per due volte la Vuelta negli anni alla Trek-Segafredo o perché dopo la maglia bianca del Giro, l’asticella s’è alzata per davvero. Oggi sul traguardo, Tiberi è stato il primo dopo Roglic, Mas e Landa, pagando appena 17 secondi, figli più delle caratteristiche di ripidezza della salita che di un’effettiva difficoltà.

«Oggi è stata un’altra tappa dura dall’inizio – spiega il corridore della Bahrain Victorious – con un ritmo davvero elevato, almeno fino a quando non è partita la fuga. Poi si è continuato ad andare forte per tutto il giorno. L’ultima salita l’abbiamo presa forte dall’inizio ed era molto ripida. Ho cercato di fare del mio meglio per tenere il ritmo e alla fine ho dato davvero tutto. Ho seguito i migliori e sono arrivato quarto. E’ molto bello per me su questo tipo di salita, perché non è adatta a me. Ma se oggi sono riuscito a guadagnare qualcosa, allora vuol dire che sto bene e cercherò di continuare così».

Vergallito è rimasto in fuga per 95 chilometri, cedendo solo a pochi passi dal traguardo
Vergallito è rimasto in fuga per 95 chilometri, cedendo solo a pochi passi dal traguardo

E intanto Vergallito…

A proposito di italiani, registrata la tenace difesa di Tiberi, non si può dimenticare la lunga fuga di Luca Vergallito, rimasto allo scoperto per quasi 100 chilometri con Tejada, Lazkano, Schmid, Oomen, Izagirre e Le Berre. E poi, mano a mano che i chilometri passavano, il milanese della Alpecin-Deceuninck si è ritrovato testa a testa con Tejada e Lazkano. E se lo spagnolo alla fine ha ceduto le armi, solo Tejada ha fatto meglio di lui, piazzandosi al settimo posto a 24 secondi da Roglic. Per Vergallito è venuto il dodicesimo posto a 36 secondi dal vincitore. Secondo miglior italiano di giornata nel primo Grande Giro della carriera.

«Durante la fuga ci sono stati momenti in cui speravamo di farcela e altri dove invece vedevo al fine segnata. Ai meno 20 però ho capito che arrivare sarebbe stato quasi impossibile. Anche la prossima potrebbe essere una tappa adatta, ma oggi ho speso tanto e non credo potrò essere al cento per cento. Qui c’è un livello altissimo, sono nell’elite del ciclismo, ci metto tutto me».

La Vuelta è ancora lunga, ma il motore della corsa sta decisamente prendendo giri. Domani l’arrivo di Granada metterà ancora di più alla prova gli uomini di classifica e a quel punto capiremo se O’Connor potrà durare ancora a lungo o se il suo regno ha i giorni contati.

Come il gatto col topo, Roglic dà la zampata e riprende la maglia

20.08.2024
5 min
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In cima al Pico Villuercas fa davvero tanto caldo. E forse proprio la fornace spagnola ha trasformato il primo arrivo in salita della Vuelta in un calvario. Gli improvvisi passi a vuoto di grossi nomi come Yates, Kuss, Rodriguez e Carapaz fanno pensare che non sia stata soltanto la salita, che pure è stata di tutto rispetto. Quattordici chilometri e mezzo, con una strappata dal decimo al tredicesimo con pendenze fra 11,8 e 14,6 per cento. Un drittone cementato per trattori, la scorciatoia per evitare i chilometri di troppo della strada principale. E su in cima, anche se il tratto finale spianava scendendo a un più mite 7,6 per cento, il vecchio Roglic ha spiegato le regole del ciclismo al giovane Van Eetvelt. Come il gatto col topo. Il belga aveva praticamente vinto ed era così contento da aver alzato il braccio, nel momento stesso in cui lo sloveno ha dato il colpo di reni, superandolo.

«Quando sei fra i giovani – dice Van Eetvelt – impari che devi continuare a sprintare fin oltre il traguardo. Non ero del tutto sicuro di aver vinto, non ho sentito Roglic arrivare e pensavo di avercela fatta. Non è stato così. Ho un duplice sentimento. Da una parte sono molto soddisfatto della forma che mi permette di giocarmi la vittoria di tappa. Gli ultimi mesi non sono stati facili perché ho combattuto con un infortunio al ginocchio e quindi sono contento. Allo stesso tempo mi sento anche stupido, ma ci saranno ancora opportunità».

Nonostante le grandi pendenze che non ama, Tiberi ha chiuso al quarto posto dietro i migliori
Nonostante le grandi pendenze che non ama, Tiberi ha chiuso al quarto posto dietro i migliori

Tiberi in bianco

A margine dell’incresciosa ingenuità, Van Eetvelt si è detto dispiaciuto di non aver conquistato la maglia bianca, che sarebbe stata un privilegio. Quella infatti se l’è presa in virtù della crono e del piazzamento odierno il nostro Antonio Tiberi, già miglior giovane del Giro d’Italia.

«Sono davvero felice e orgoglioso della tappa di oggi – dice l’azzurro del Team Bahrain Victorious – e dal momento che non ci aspettavamo di fare così bene, per tutto il giorno abbiamo lavorato con la squadra per restare al riparo e al fresco, anche ricorrendo a ghiaccio e acqua. Abbiamo fatto un ottimo lavoro, anche se è stata una tappa super dura per il ritmo imposto dalla Red Bull e per il caldo. Era una salita super ripida, non di quelle che preferisco, ma sono andato più forte che ho potuto. E forse mi sono sorpreso un po’ anche io, dato che normalmente nella prima settimana di un Grande Giro ho sempre bisogno di più tempo per prendere il ritmo. Qui alla Vuelta è un po’ diverso. Mi sento bene davvero da subito, quindi spero di continuare così. Sono super felice di aver indossato la maglia bianca, mi dà un sacco di morale per continuare in questo modo».

Sua maestà della Vuelta

Sua maestà della Vuelta, per averne già vinte tre, s’è ripreso la maglia rossa. Roglic dice che non prevedeva di vincere la tappa e che forse non era neppure nei suoi piani, ma per tutto il giorno è parso eccezionalmente tranquillo e in controllo. Seppure Enric Mas abbia dato a lungo la sensazione di essere ottimamente a suo agio, lo sloveno ha colpito con la ferocia di un cecchino. E dopo il cambiamento di squadra, il ritiro dai Paesi Baschi dopo la caduta in cui tuttavia non subì danni e quello dal Tour con ben più conseguenze, finalmente ha trovato il modo per sorridere.

«Vincere di tappa non era l’obiettivo principale oggi – dice – ma quando vedi i compagni di squadra lavorare così duramente con il caldo, sono felice di essere riuscito a portarla a termine. Di certo non ho chiesto io di fare quel lavoro sulla testa. Se me lo avessero chiesto, avrei detto che non era necessario. E stata una salita dura, molto ripida. Dopo il mio ritiro dal Tour, sto ancora recuperando. Dopo tante ore in bici ho sentito la schiena dare problemi. Speriamo che nei prossimi giorni la situazione non peggiori. Ho continuato a viverla giorno dopo giorno. Perciò adesso cerco di godermi questa vittoria di tappa, perché alla mia età non si sa mai quando sarà l’ultima».

Terzo al traguardo, Almeida ha rintuzzato tutti gli attacchi tranne l’ultimo
Terzo al traguardo, Almeida ha rintuzzato tutti gli attacchi tranne l’ultimo

Almeida sornione

Il vincitore uscente Sepp Kuss si è detto soddisfatto per il passivo di soli 28 secondi alle spalle del suo ex capitano, che aspettava vincente quassù. Dice di non aver avuto le migliori sensazioni, perché il caldo è stato duro e all’inizio dell’ultima salita il gruppo era ancora numeroso e c’era parecchio nervosismo. Chi invece s’è salvato molto bene (al contrario del compagno Adam Yates) è il solito Almeida, che si stacca sugli scatti e poi rientra da par suo.

«E’ stata una giornata molto, molto calda – dice il portoghese – sin dalla partenza. Penso che probabilmente abbia battuto qualche record di temperatura. Il team ha fatto un ottimo lavoro con le borracce e il ghiaccio per tenerci freschi e mantenere alta l’idratazione. E quando siamo arrivati all’ultima salita, eravamo in posizione perfetta, ma ci siamo accorti che era davvero dura. Io mi sono ritrovato con gambe abbastanza buone e in qualche modo sono arrivato terzo al traguardo. E’ stata una giornata positiva per me, per cui continuiamo a far girare la palla e speriamo di riuscire a fare meglio. Spero che Adam (Yates, arrivato a 1’29”, ndr) stia meglio già da domani, in modo che abbia presto risultati e sensazioni migliori».

Kuss immaginava la vittoria di Roglic, ma forse non di perdere 28 secondi
Kuss immaginava la vittoria di Roglic, ma forse non di perdere 28 secondi

Van Aert ha lasciato la maglia rossa all’ex compagno Roglic, raggiungendo il traguardo con 16’44” di ritardo, felice tutto sommato che la gloria sia andata all’amico che ha il suo bel conto aperto con la sfortuna. Domani si arriverà veloci a Sevilla, ma l’indomani si tornerà a salire. La Vuelta è cominciata. E anche se patron Guillen dice che il caldo non sarà determinante, quello che si è visto oggi a 1.526 metri di quota qualche preoccupazione addosso in effetti l’ha messa.

Dal Pordoi, Tiberi in marcia verso la Vuelta col podio nel mirino

02.08.2024
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E’ già, quasi, tempo di Vuelta (17 agosto – 8 settembre). La corsa spagnola è il secondo grande obiettivo di stagione per molti atleti, tra cui Antonio Tiberi. Lo avevamo lasciato sotto l’Arco di Costantino con la sua lucente maglia bianca al tramonto romano, arrivo del Giro d’Italia.

Dopo un passaggio “a vuoto” e rapido al Delfinato e dopo il dovuto riposo, il laziale ha ripreso ad allenarsi. E bene. Della sua Vuelta che verrà parliamo con Franco Pellizotti, direttore sportivo della Bahrain-Victorious, team di Antonio appunto.

Pellizotti, diesse della Bahrain-Victorious, sarà alla Vuelta al fianco di Tiberi
Pellizotti, diesse della Bahrain-Victorious, sarà alla Vuelta al fianco di Tiberi
Franco, si riparte. O meglio: Tiberi riparte…

Siamo già ripartiti in previsione Vuelta. Come si sa, la preparazione per un grande Giro bisogna prenderla larga. Dopo il Giro, Antonio ha avuto il passaggio al Delfinato, ma è stato giusto un tocca e scappa, e poi si è riposato. Adesso farà Burgos e Vuelta.

Ora è in altura?

Sì è al Pordoi da metà luglio con altri ragazzi della squadra che saranno impegnati in Spagna. Hanno quasi finito, in quanto andranno appunto alla Vuelta Burgos. Il Pordoi lo avevo proposto io.

Come mai?

A me fare l’altura piaceva molto e mi piaceva cambiare anche, provare posti nuovi. Sono giunto alla conclusione che il Teide in primavera e il Pordoi in estate siano il top. Dipende sempre dal programma che si fa. Ad esempio se esci dal Tour e devi fare la Vuelta, o comunque devi fare l’altura per recuperare, forse è meglio Livigno. Lì si riesce a staccare di più mentalmente, ci sono più distrazioni (c’è anche più possibilità di fare pianura, ndr). Mentre luoghi come Pordoi e Teide ti fanno concentrare. E’ un po’ come quando il prete va in clausura! Per allenarsi secondo me il Pordoi non ha eguali.

Festa Tiberi. Eccolo in maglia a bianca a Roma a fine Giro
Festa Tiberi. Eccolo in maglia a bianca a Roma a fine Giro
Perché?

Hai tutti i passi a disposizione, puoi fare 2, 6, 7 ore con i dislivelli che vuoi. Il pomeriggio quando devi rilassarti un po’, basta una sdraio al sole e guardi la bellezza che c’è intorno. Un giorno per esempio si sale sul Sasso Pordoi a 3.000 metri , nel giorno di riposo puoi andare a Canazei. E poi c’è un aspetto tecnico importante.

Quale?

A Livigno prendi tutte le salite da 1.800 metri in su, mentre sulle Dolomiti puoi scendere parecchio e arrivare anche in alto. Ma scendere significa che puoi fare meglio i lavori specifici.

Dicevamo, che Tiberi riparte da Burgos. Come ci arriverà?

Sarà una tappa di avvicinamento alla Vuelta. Non credo che a Burgos sarà super performante. Ma anche se dovesse essere all’80 per cento potrà fare bene: lui è forte. In più prima di salire sul Pordoi ha avuto qualche problemino fisico che gli ha fatto saltare 3-4 giorni di allenamento. E quindi abbiamo rivisto qualcosina, nulla che vada a precludere una buona Vuelta, anzi… la squadra sarà incentrata su di lui. Adesso deve crederci anche Antonio e sono convinto che mentalmente ci sia.

Tiberi (dietro al centro) in altura con i compagni in un selfie di Zambanini (foto Instagram)
Tiberi (dietro al centro) in altura con i compagni in un selfie di Zambanini (foto Instagram)
E’ la prima volta che Tiberi fa due grandi Giri: lo vedi più curioso o preoccupato?

Preoccupato no, poi lui è un ragazzo talmente tranquillo che è difficile vederlo turbato. Semmai curioso… Anche nella testa Antonio è motivato, dopo l’ottimo quinto posto del Giro, resta un po’ con il rammarico per il problema tecnico di Oropa. Questo è un aspetto in più, gli dà fiducia e morale. Antonio quando sale in bici comunque ha fame di farsi vedere. 

Dunque si va alla Vuelta per…

Con un obiettivo preciso: quello di poter agguantare un podio. Ripeto, la squadra sarà incentrata su di lui. E’ una formazione con dei passisti, per poterlo scortare nelle tappe di, tra virgolette, pianura perché alla Vuelta a pianura ce ne sarà poca. Ma ci potrebbero essere un paio di tappe con rischio vento e quindi abbiamo cercato di portare ragazzi che possano aiutarlo anche su questo terreno. Poi ci sono degli scalatori e infine c’è Damiano (Caruso, ndr) che sarà il nostro capitano in corsa e lo seguirà e guiderà in questa Vuelta.

Tiberi leader dunque. Al Giro se l’è cavata bene in tal senso…

Esatto, anche alla Vuelta partirà con i gradi di capitano, in più come si è visto in passato la corsa spagnola è più alla portata per un giovane che vuol fare classifica. Però questa sarà un po’ una stagione test per lui. Mi spiego. Per la prima volta farà un secondo grande Giro in stagione. Lo abbiamo preso a metà stagione lo scorso anno, lo abbiamo seguito. Abbiamo imparato a capire i suoi pregi, i suoi difetti e quest’anno stiamo cercando di costruire con lui il suo e il nostro futuro. Quindi vediamo anche come andrà…

Tiberi ha corso il Giro con grande personalità. Un leader naturale
Tiberi ha corso il Giro con grande personalità. Un leader naturale
Con le giuste pressioni insomma. Cambiando discorso: avete fatto qualche ricognizione delle tappe della Vuelta?

Con Antonio no, però abbiamo due direttori che hanno fatto due terzi della Vuelta. Quindi siamo ben preparati.

Cosa dice invece Tiberi? Ti ha un po’ parlato del sogno del podio?

Vi racconto questa. Il nostro manager ha avuto una bella idea: quella di assegnare ad ogni corridore che faceva parte della long list della Vuelta, un paio di tappe adatte a loro da studiare. Così poi da riproporle in conference call tutti insieme. Come una riunione tattica al mattino sul bus, quando mostriamo la gara. Dovevano mettere giù questa presentazione in un Powerpoint. Antonio ci ha sorpreso perché le sue frazioni le ha preparate molto bene. Parlava proprio da leader. Spiegava dove dovevano tenerlo coperto, dove i suoi compagni in certe tappe avrebbero dovuto recuperare un le energie per le tappe successive… L’ho visto molto, molto concentrato.

Motivazione consapevolezza non mancano insomma…

Sì, sì… è una bella scommessa per lui. Ha già dimostrato al Giro d’Italia di essere un ottimo corridore. Ha dimostrato le doti che ha, ma come si dice tra il dire e il fare c’è sempre il mare. E per questo dopo il buon Giro io credo che adesso sia più convinto e al tempo stesso più tranquillo. Adesso ha la certezza di dove può arrivare. In più di Vuelta ne ha già fatte due, conosce certe dinamiche di corsa, sa cosa aspettarsi e anche questo è un fattore che conta.

Zambanini continua a crescere, così come le sue ambizioni

05.07.2024
5 min
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La voce di Edoardo Zambanini oltrepassa il microfono del telefono con un tono raggiante e simpatico. Il classe 2001 della Bahrain Victorious sta andando a Livigno per trascorrere tre giorni un po’ diversi, ma sempre con la bici al suo fianco. La prima parte di stagione è alle spalle, terminata con il Giro di Slovenia e poi con il terzo posto al campionato italiano. Ora Zambanini prepara le fatiche della seconda metà dell’anno.

«Sto andando a Livigno – racconta – perché ci sono su la mia ragazza e alcuni compagni di squadra. Niente altura, quella arriverà settimana prossima quando con il team andremo in ritiro. Avevo voglia di cambiare zone di allenamento. Ho ripreso lunedì dopo una breve pausa arrivata al termine del campionato italiano. Ho staccato per una settimana e sono andato al mare, vicino a San Marino. Ho sfruttato la vicinanza per andare a godermi il Tour in Italia, ho visto l’arrivo di Rimini e la partenza da Cesenatico».

La stagione di Zambanini è iniziata a gennaio, con l’AlUla Tour
La stagione di Zambanini è iniziata a gennaio, con l’AlUla Tour

Lenta ripresa

Le vacanze per Zambanini sono finite: brevi ma comunque rigeneranti. Una settimana al caldo con l’unico pensiero di rilassarsi e godersi il meritato riposo dopo una prima parte di stagione intensa. 

«Lunedì ho ripreso gli allenamenti – continua – con calma. Ho fatto un’uscita leggera, di un paio d’ore, con il passare dei giorni ho aumentato l’impegno in sella, ma senza esagerare. Domani (oggi per chi legge, ndr) ho in programma una mezza distanza, ma nulla di troppo intenso. 

«Il 2024 – riprende – è stato un anno più fortunato rispetto a quello passato, almeno dal punto di vista della salute. Non ho avuto intoppi e mi sono allenato parecchio bene, con grande continuità. Nei primi mesi non avevo in programma nessuna altura, anche perché non ero nella selezione per il Giro d’Italia. La squadra voleva farmi fare altre corse, l’idea era quella di andare alle Vuelta».

Al Tour of Antalya ha corso con libertà concludendo terzo nella generale
Al Tour of Antalya ha corso con libertà concludendo terzo nella generale
Cos’è cambiato?

Che sono andato forte fin dalla prima parte di stagione, al Saudi Tour ho dato una mano ai velocisti. Da lì sono andato all’Antalya dove ho avuto spazio per me e ho raccolto un buon terzo posto nella generale. Poi ho messo insieme tante esperienze importanti, con un calendario interamente WorldTour: Strade Bianche, Catalunya, Baschi, Freccia Vallone e Romandia. 

Avevi già 36 giorni di corsa nelle gambe e ancora il Giro d’Italia da affrontare.

Ho corso parecchio, ma mi ha fatto bene, praticamente mi alternavo tra corse e casa. Una settimana da una parte e una dall’altra. Poi rispetto al 2023 ho avuto un grande cambiamento: il preparatore. Da Fusaz sono passato a lavorare con Michele Bartoli

Come mai?

La squadra ha deciso così. Da subito abbiamo avuto un bel feeling, ha un metodo di allenamento che mi piace. Gran parte del merito per questa prima parte di stagione corsa a buoni livelli va a lui.

Il risultato di maggior prestigio è stato il secondo posto di tappa dietro Hermans al Giro dei Paesi Baschi
Il risultato di maggior prestigio è stato il secondo posto di tappa dietro Hermans al Giro dei Paesi Baschi
Tanto che arrivata la convocazione per il Giro, accanto a Tiberi, che esperienza è stata?

Al Giro mi sono divertito tutti i giorni. Ho fatto la fatica giusta ma il tempo è volato, sono 21 tappe che porto tutte nel cuore. Mi sono messo a disposizione di Tiberi, vero, ma anche di Bauhaus finché c’è stato. Ogni giorno avevo qualcosa da fare e sono felice di com’è andato. Il mio compito era di rimanere accanto a Tiberi fino all’ultima salita, da lì andavo su con il mio passo.

Cosa hai imparato in quelle tre settimane?

Che lo spirito di squadra fa tanto. Noi avevamo un team davvero unito, sia tra noi corridori che con lo staff. Eravamo tanti italiani e questo ha contribuito al divertimento. Al Giro del 2023 non mi ero divertito così tanto, forse perché arrivavo con un’altra condizione. 

Zambanini ha corso il Giro accanto a Tiberi, con il quale dal 2024 condivide il preparatore: Bartoli
Zambanini ha corso il Giro accanto a Tiberi, con il quale dal 2024 condivide il preparatore: Bartoli
Fatiche concluse con un bel terzo posto al campionato italiano.

Prima sono andato al Giro di Slovenia, dove stavo molto bene e ho lavorato per Pello Bilbao che stava preparando il Tour de France. In classifica mi sono piazzato dodicesimo, ma la gamba era buona. Infatti al campionato italiano ho avuto più spazio e ho raggiunto il terzo posto finale, mi sono giocato le mie carte.

Dimostrando che quando hai spazio sai cosa fare. 

Sì, devo dire che quando mi è stata data libertà d’azione ho sempre fatto bene, in generale. Ricordo al primo anno, nel 2022 al Giro di Ungheria ero arrivato quarto nella generale, così come al Gran Piemonte. 

La prima parte di stagione si è conclusa con un ottimo terzo posto al campionato italiano, segno che la gamba c’è
La prima parte di stagione si è conclusa con un ottimo terzo posto al campionato italiano, segno che la gamba c’è
E’ ora di prendersi ancora più libertà?

Ne ho parlato con la squadra e ho chiesto proprio questa cosa. Nella seconda metà di stagione mi piacerebbe avere più chance. La Bahrain mi ha fatto crescere bene, se avrò questa condizione da qui a fine anno potrò giocarmi le mie carte. 

Anche perché sei in scadenza…

Questa cosa non mi preoccupa, con la squadra parlo costantemente e lo faremo ancora da qui a fine anno. Non resta che rimboccarsi le maniche, fare questi 20 giorni d’altura e fiondarmi nel finale di stagione. Ripartirò dal Giro di Polonia, poi Gran Bretagna, Plouay, Canada, Tre Valli Varesine, Gran Piemonte e Lombardia. 

In bocca al lupo.

Crepi! A presto!

Il ciclismo alla Camera e noi facciamo due domande a Tiberi

18.06.2024
5 min
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ROMA – La Galleria dei Presidenti è piena di facce del ciclismo. In un angolo brillano i sorrisi leggermente imbarazzati di Tiberi e Pellizzari e c’è anche Pozzato, che si è ripreso alla grande dai suoi acciacchi. Quando arriva il Presidente della Camera, gli uscieri spingono chiunque si trovi nel corridoio per liberargli il passaggio. Fontana è un veronese di 44 anni e ha accettato l’invito di Roberto Pella, a sua volta deputato, che ha voluto così celebrare il suo incarico di Presidente della Lega ciclismo.

E Fontana racconta di quando nel 1994 si ritrovò in ospedale per grossi problemi di salute e, non potendosi muovere, seguì ogni passaggio di quel Giro. Fu dimesso il giorno in cui Marco Pantani vinse la sua prima tappa, quella di Merano, alla vigilia del capolavoro di Aprica.

Il Presidente della Lega, onorevole Roberto Pella, regala a Fontana la maglia rosa autografata di Pogacar
Il Presidente della Lega, onorevole Roberto Pella, regala a Fontana la maglia rosa autografata di Pogacar

«Non l’ho mai conosciuto – dice – ma mi legò a lui un sentimento che era qualcosa di superiore. Perché le sue sfide e la sua vittoria per me furono la rinascita dopo un periodo molto duro. Il ciclismo fa vedere come gli atleti si impegnino, il loro sforzo nel superare tutte le difficoltà. Sei solo contro te stesso prima che contro il tuo avversario. La bellezza sta nel vedere questo sforzo e anche questo combattimento. Superare le montagne, avere il coraggio di affrontarle. Essere soli, spesso e volentieri, anche quando ci sono momenti di crisi e cercare sempre di riprendersi giorno dopo giorno. Il ciclismo è anche una palestra di vita».

I perché del Delfinato

Tiberi lo ascolta e pensa (e poi dirà) di essere venuto per la prima volta a Montecitorio in visita con la scuola. Esserci tornato ora da invitato per il quinto posto al Giro d’Italia è un onore cui non avrebbe mai pensato. Il corridore della Bahrain Victorious ha riconosciuto la sua maglia bianca, messa in fila assieme alle altre che arredano la mattinata in Parlamento. Dopo il ritiro dal Delfinato, la sua estate parla soprattutto di recupero, prima di tornare in altura a preparare la Vuelta. Chissà perché l’hanno voluto portare alla corsa francese, dopo un Giro per lui così impegnativo.

Più testa che gambe

«E a dire la verità – sorride nell’impeccabile abito nero – mentalmente è stato quasi come se non ci sia mai andato. Non è stato tanto un problema fisico, quanto piuttosto di testa. Non è che tutto quanto inizi e finisca con la prima e l’ultima tappa del Giro. Ci sono stati due mesi di preparazione. Prima l’altura e poi dall’altura diretto al Tour of the Alps. Da lì alla Liegi e poi focus al 100 per cento sul Giro. Quindi quei 21 giorni e quando poi stacchi per una settimana e spegni completamente testa e fisico, dover ripartire è dura.

«Pensavo di andare al Delfinato con una condizione buona, che mi avrebbe permesso di ottenere qualche risultato, fare qualche punto per la squadra e magari anche qualcosa per me stesso. Quando però abbiamo visto che ero lì più che altro a soffrire mentalmente e stare in gara mi pesava tanto, la squadra ha optato per la scelta migliore. Quella di mandarmi a casa a riposare. Caricare energie per iniziare di nuovo la preparazione per la Vuelta, come quella per il Giro».

All’uscita da Montecitorio, per Tiberi anche qualche rapida intervista
All’uscita da Montecitorio, per Tiberi anche qualche rapida intervista
Il Giro è stato più faticoso per le gambe o per la testa?

Dato che era la prima grande corsa a tappe da capitano, è stato una nuova esperienza anche mentalmente. E’ stato il giusto compromesso, nel senso che non l’ho trovato troppo duro. D’altra parte non è stato neppure troppo semplice, più che altro per la parte mentale. Mi è stato tanto di aiuto il fatto di essere in Italia. Di avere tante tappe con conoscenti o amici lungo la strada, che mi hanno dato energia. Per cui percepivo meno lo sforzo o comunque, correndo su strade che conoscevo, sono riuscito a metterci più grinta. Fisicamente invece, avendo fatto un’ottima preparazione e avendo già due Vuelta nelle gambe, non ne sono uscito sfinito come alla fine della prima volta in Spagna.

E dopo il quinto posto del Giro, con quale spirito si va alla Vuelta?

Sicuramente con l’ambizione di far bene. Cercherò di fare la preparazione il meglio possibile, sperando che non ci sia nessun imprevisto. Vedremo come saranno le sensazioni all’inizio. La mia ambizione è andare lì per cercare di fare classifica. Per cui a luglio andrò in altura ad Andorra con qualche compagno, quindi farò la Vuelta Burgos e dopo una settimana daremo l’assalto alla Vuelta.

E’ giusto fare una corsa a tappe dopo il grande Giro?

10.06.2024
5 min
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Il grande Giro e poi la corsa a tappe a seguire: va sempre bene? Si dice che dopo le tre settimane si abbia una grande gamba e allora perché non sfruttarla? 

In questi giorni abbiamo visto diversi corridori che dopo il Giro d’Italia hanno preso parte al Delfinato o al Giro di Svizzera o stanno per partire allo Slovenia: Tiberi, Fortunato, Piganzoli, Quintana, Caruso, Conci (questi ultimi due si notano nella foto di apertura)…

Cosa comporta questa scelta di calendario? E cosa accade nel fisico? C’è una frase di qualche giorno fa di Lorenzo Fortunato che torna con prepotenza: «Adesso si fa più lavoro al training camp in altura che al Giro. E quindi quando vai in corsa, vai a raccogliere i frutti del lavoro. Non si usano più i Grandi Giri per allenarsi. A me è capitato di fare il Giro d’Italia e poi andavo allo Slovenia oppure alla Adriatica Ionica Race, dove il livello era un pochino più basso e mi salvavo. Ma per come si va adesso, il Grande Giro deve essere l’ultimo atto di un cammino iniziato prima proprio per questo». 

Michele Bartoli, preparatore di molti professionisti e della Bahrain-Victorious, è pronto a rispondere alle nostre questioni.

Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)
Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)
Michele, il grande Giro, il Giro d’Italia ovviamente in questo caso, e poi una corsa a tappe: si può sfruttare la condizione che lasciano le tre settimane?

Io cambio un po’ le vecchie teorie, per me non è più così. Oggi si è talmente al limite sia mentalmente che fisicamente che qualcosa salta. Se dopo il grande Giro c’è la concentrazione e la voglia di mangiare ancora bene, di riposare il giusto… allora bene, ma è molto, molto complicato. Prima era vero il contrario: era complicato andare piano!

Perché? Cosa è cambiato adesso?

Il modo di correre, si pesano i grammi del cibo, si deve assumere un tot preciso di carboidrati, lo stress in gara e soprattutto ci si arriva già al top col peso senza quel chiletto in più, la condizione è subito alta dopo il grande lavoro a monte (la teoria di Fortunato, ndr). Si deve pensare davvero a tante cose e quando arrivi al termine del tuo Giro ti viene voglia di mollare. Ed è normale, è comprensibile.

Lo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classifica
Lo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classifica
Diversi corridori del Giro sono andati al Delfinato e altri allo Svizzera: passano 6 giorni tra Giro e Delfinato, 13 fra Giro e Svizzera e 16 fra Giro e Slovenia. Incide questa differenza?

Sì e secondo me peggiora con passare dei giorni. Se ci si deve togliere il dente, meglio farlo subito. Poi chiaramente, dipende sempre dalla mentalità dell’atleta. Ma non è facile dopo il Giro mantenere la concentrazione. Tenere duro altri sei giorni magari ancora è fattibile, ma per lo Svizzera diventa più dura. Sì, si ha un po’ più di recupero. Puoi rifare qualche piccolo allenamento, ma ormai l’obiettivo grande è passato.

Abbiamo capito che la componente mentale è centrale, ma da un punto di vista prettamente fisiologico, muscolare?

Difficile scindere le due cose. Quando poi assaggi il riposo, la tranquillità, dopo che sei stanco il gioco si fa duro. Meglio fermarsi, mettere un punto e poi riprendere dopo aver recuperato. Chiaramente parlo per Delfinato e Svizzera e di chi deve andare lì per fare bene. Ma se vieni dal Giro e sai che poi staccherai queste corse non ti danno nulla o ti danno poco. Poi, attenzione, non dico che il grande Giro non ti lasci la buona condizione, però oggi mentalmente pesa di più. Oggi non è fattibile o è molto più difficile.

E se fosse per una corsa di un giorno?

Cambia tutto. Il Tour per l’Olimpiade (o la Vuelta per il mondiale) sono il top. Lì la concentrazione è massima e se ne trae il massimo beneficio. Il Giro è l’unico dei grandi Giri che poi non ha questo tipo di obiettivi a seguire.

Nonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal Delfinato
Nonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal Delfinato
Che poi, a meno che non si è Pogacar, se non si punta decisi alla classifica, un grande Giro lo puoi gestire in vista della gara di un giorno. Pensiamo a Van der Poel l’anno scorso con il Tour…

Esatto, quella è la preparazione migliore. Non hai lo stress della classifica, puoi mollare di tanto in tanto, puoi gestire gli sforzi, mangi bene, fai ritmo, fai i massaggi tutti i giorni.

E invece, tornando alla corsa a tappe che segue il grande Giro: c’è differenza se lo fa un giovane o un esperto? Per esempio abbiamo visto Tiberi al Delfinato e Caruso allo Svizzera…

Per me è peggio per il giovane, anche perché oltre ad una situazione di recupero, a cui magari è più abituato l’esperto, ritorna il discorso delle motivazioni. Ad un atleta come Caruso cosa può dare un piazzamento al Delfinato o allo Svizzera della situazione? Per Tiberi già è un discorso diverso è giovane e nonostante non sia andato bene non condanno la sua scelta di provarci.

Chiaro…

Penso a Fortunato per esempio. Ha fatto un buon Giro, ma al Delfinato nonostante sia stato bravo a mettersi in mostra che fatica ha fatto? Si staccava da 20-25 corridori mentre al Giro era tra i migliori. Però per lui un Delfinato ha più senso che per un Caruso. Per lui un quinto posto diventa importante anche ai fini di un contratto, di visibilità, d’importanza.

Insieme a Pellizotti nel (fantastico) Giro d’Italia di Tiberi

05.06.2024
5 min
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Franco Pellizotti ha smaltito le fatiche del Giro. Anche lui, che lo ha vissuto in ammiraglia, ha avuto la necessità di fermarsi un attimo prima di ripartire. Che poi a casa non è che si riposi, scherzando, prima di iniziare l’intervista ci ha detto che il “lavoro” accumulato tra le mura di casa nelle tre settimane di Giro è tanto. 

«Il Giro d’Italia – dice Pellizotti – è andato come ci eravamo prospettati a inizio maggio, quindi eravamo tutti sereni nel tornare a casa. L’obiettivo era stato raggiunto, e questo aiuta a non trascinarsi dietro il lavoro e qualche domanda. Stamattina (martedì, ndr) siamo usciti dal performance meeting settimanale, nel quale facciamo il punto delle gare e non solo. Ne avevamo fatto già uno il martedì dopo la fine del Giro per parlare della corsa rosa».

Il giorno di Oropa, Tiberi ha dimostrato di avere una grande solidità mentale
Il giorno di Oropa, Tiberi ha dimostrato di avere una grande solidità mentale
Cosa era emerso, rispetto alle prestazioni di Tiberi?

E’ stato un Giro molto positivo, in tutti i sensi. Dal punto di vista fisico Antonio ha avuto un’ottima crescita, a partire dalla Tirreno-Adriatico. Al Catalunya già pedalava bene, poi nel ritiro in altura ha lavorato e al Tour of the Alps era in ottima condizione. Il Giro è stato il coronamento di un lavoro positivo e che ha dato tanti frutti. 

Tre settimane in cui ha retto anche mentalmente…

Quello è stato il punto per cui ci ha sorpresi maggiormente. Era il suo primo Grande Giro da leader, non era facile stare concentrato e attento per tre settimane. Ha sopportato il peso della gara molto bene. 

Ve lo aspettavate?

Sì e no. Eravamo consapevoli delle sue qualità atletiche, per questo era il leader della squadra insieme a Caruso. Dal punto di vista mentale non dico che ci ha sorpresi, ma quasi. Ci ha colpiti per come è andato e come ha gestito la corsa. Soprattutto per come ha gestito la giornata di Oropa.

Un’altra risposta positiva è arrivata dalle cronometro, dove Tiberi ha tenuto dietro tanti uomini di classifica
Un’altra risposta positiva è arrivata dalle cronometro, dove Tiberi ha tenuto dietro tanti uomini di classifica
Perdere due minuti per una doppia foratura a inizio Giro può abbattere chiunque..

Lui invece non si è mai demoralizzato. Quello è stato il primo segnale positivo che ci è arrivato da Tiberi. E’ facile dire che con quei due minuti in più avrebbe potuto lottare per il podio, ma il ciclismo non è matematica. Sicuramente quella giornata negativa gli ha tirato fuori ancora più grinta. 

Aveva già fatto una Vuelta con voi, l’anno scorso.

Sì, ma non era partito con il ruolo di leader. Volevamo vedere come avrebbe gestito le tre settimane di gara, era più un test. Dal quale, devo essere sincero, siamo usciti con ottime risposte. Un ragazzo così giovane che nella terza settimana va più forte che nella prima ci ha rassicurati, tanto da puntare su di lui per il Giro di quest’anno. 

Tu ci credevi, nell’intervista prima del Giro avevi detto che avrebbe potuto curare la classifica, credevi potesse fare così bene?

Prima del Giro dire che Tiberi sarebbe potuto entrare nella top 5 sembrava una blasfemia. Invece noi ci credevamo, come eravamo sicuri che avrebbe potuto lottare per la maglia bianca

Il giovane della Bahrain Victorious è stato l’unico ad aver il coraggio di attaccare Pogacar
Il giovane della Bahrain Victorious è stato l’unico ad aver il coraggio di attaccare Pogacar
Ha reagito bene alle responsabilità.

A lui non pesa avere le incombenze da capitano, anzi ne trae maggior grinta. E’ un ragazzo giovane che sa cosa vuole. 

Cosa deve migliorare ancora?

Nella comunicazione in corsa, ma ci sta. Tiberi in gara parlava, diceva quello che avrebbe voluto fare, ma il road captain era Caruso. Damiano teneva in mano la squadra, così che Antonio si sarebbe potuto concentrare solo sulla prestazione. E’ un po’ il metodo che usavo quando correvo insieme a Nibali. Io gestivo la squadra, i dialoghi con l’ammiraglia, e Vincenzo restava concentrato solo sulla prestazione.

Un modo per alleggerire la tensione.

Esatto. Caruso era il portavoce, parlava con noi in ammiraglia e con Antonio, gestendo i compagni. 

Tiberi deve migliorare nelle giornate difficili, come a Livigno: avrebbe dovuto appoggiarsi ai compagni
Tiberi deve migliorare nelle giornate difficili, come a Livigno: avrebbe dovuto appoggiarsi ai compagni
Ci sono state situazioni che avreste potuto gestire diversamente?

Sinceramente l’unico “errore” lo ha commesso nella tappa di Livigno. Era una giornata no e lo si sapeva fin dai primi chilometri, lo sentiva. Nel finale, quando Arensman ha attaccato Tiberi ha fatto l’errore di seguirlo. In quel momento aveva ancora al suo fianco Caruso. Avrebbe dovuto mettere davanti lui e fargli fare un ritmo giusto, ma è una cosa che viene con l’esperienza. 

Il podio lo conquisti anche superando al meglio le giornate no.

Vero. Quando stai bene è tutto facile. Invece, quando sei in difficoltà devi limitare i danni. Anche perché in altri casi molti leader, nei momenti di difficoltà, mettono davanti i compagni per fare un ritmo comodo. 

Tiberi era anche al via del Delfinato, ma alla seconda tappa si è ritirato, troppe le fatiche mentali accumulate al Giro
Tiberi era anche al via del Delfinato, ma alla seconda tappa si è ritirato, troppe le fatiche mentali accumulate al Giro
In questo modo disincentivano gli attacchi.

E’ una tattica che Thomas ha usato un paio di volte. E’ una cosa che acquisisci con l’esperienza. Antonio deve imparare a guardare gli avversari e capire la loro condizione dalla pedalata o da come stanno in bici. Se impara a fare questo può capire eventuali crisi e attaccare, sfruttando il momento. 

Finito il Giro è ripartito subito per il Delfinato, come mai?

Perché a giugno ci sono diverse corse in programma e non è facile fare le squadre. Antonio fisicamente stava bene, ma mentalmente era finito. Abbiamo comunque provato a vedere come avrebbe reagito al Delfinato, ma alla seconda tappa ha terminato con il gruppetto. Così ieri (martedì, ndr) è stato richiamato a casa. Ci sta che mentalmente fosse stanco, vuoto, era comunque il suo primo Giro da leader.

Slongo, i giovani e i Grandi Giri: non è solo un fatto di gambe

05.06.2024
6 min
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Ieri Tiberi ha lasciato il Criterium del Delfinato, confermando che nella scelta di mandarcelo ci fosse qualcosa di stonato. Ne avevamo parlato lunedì con Fabio Aru, affrontando il tema della partecipazione del laziale alla Vuelta dopo il quinto posto del Giro. E mentre Aru si era detto tutto sommato favorevole al Delfinato e meno alla corsa spagnola di agosto, qualche preparatore aveva visto proprio nell’impegno francese uno sforzo immotivato subito dopo il Giro: se non fisicamente, di certo psicologicamente. Pertanto, prima di sapere che Tiberi sarebbe tornato a casa, avevamo chiamato Paolo Slongo.

L’attuale allenatore di Elisa Longo Borghini alla Lidl-Trek era all’Astana negli stessi anni di Aru, ma dalla parte di Nibali che ha ottenuto i migliori risultati sotto la sua guida. La curiosità era andare a fondo nelle parole di Fabio, secondo cui aver partecipato a due grandi Giri per anno sin dalla seconda stagione da pro’ potrebbe averlo danneggiato (in apertura il sardo batte Froome alla Vuelta 2014, dopo il podio del Giro, ndr). Il confronto con Pogacar che invece farà l’accoppiata quest’anno, al sesto da professionista, fa in qualche modo riflettere.

«Magari sul fatto che Tiberi possa fare due Giri – spiega però Slongo – sono un po’ contro corrente. Tra Giro e Vuelta c’è tutto il tempo per recuperare e non essere troppo tirati, cosa che magari non c’è se fai Giro e Tour oppure Tour e Vuelta. Anche se Antonio è un atleta giovane, nei due anni scorsi ha già fatto una corsa a tappe per stagione, quindi il terzo anno può fare due Grandi Giri, avendo il tempo di recupero. Secondo me non è male. Piuttosto nel caso di Tiberi non approvo il fatto che stia correndo il Delfinato, proprio perché in prospettiva deve fare anche la Vuelta».

Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Perché?

Dopo il Giro l’avrei lasciato tranquillo e non gli avrei chiesto, anche se era in condizione, di affrontare un’ulteriore gara. Perché tante volte, anche se fisicamente stai bene, per la testa certe scelte possono fare la differenza. Ci vai contro voglia dopo un ottimo Giro, in cui per la prima volta hai fatto classifica e sei arrivato quinto. Vorresti rilassarti qualche giorno, invece sei costretto ad andare a correre. Quello secondo me è controproducente, però i due Giri nello stesso anno non li vedo male.

Secondo Slongo, perché per Pogacar si è aspettato il sesto anno da pro’?

Secondo me perché puntavano al Tour e nei primi due o tre anni che sei professionista basta farne uno solo: vale sempre la gradualità del carico di quello che fai. Essendo il Tour in mezzo alle altre due corse e quindi troppo vicino a Giro e Vuelta, hanno dato la precedenza agli interessi della squadra, che come tutte, mira alla vetrina del Tour. Quindi secondo me la scelta non è stata dovuta solo alla crescita, ma anche a questo aspetto del calendario e all’opportunità di andare al 100 per cento solo in un Grande Giro.

Però gli ultimi due Tour non li ha vinti e ugualmente non lo hanno mandato alla Vuelta. Avrebbe potuto…

Probabilmente ci può essere anche una questione di gestione. Pogacar già è un talento precoce e magari, facendo così, gli allunghi un po’ la vita sul piano psicologico. Nel senso che non lo stressi troppo facendo subito due Grandi Giri, con tutto quello che gli va dietro. Quindi i ritiri, le cose fatte in una certa maniera e poi fare classifica, che è usurante anche se l’atleta è predisposto. La scelta è quella di dire: «Non gli diamo troppo subito, in modo che gli allunghiamo la vita negli anni». Questo sì ha senso.

Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Perché secondo te Aru dice che aver fatto due Grandi Giri da subito non è stato un bene?

Forse per questo aspetto. Secondo me c’è da mettere sul piatto anche in che modo li fai. Magari ad Aru veniva chiesto di essere competitivo, come poi è stato, e questo era usurante. Probabilmente lui non era ancora pronto, forse perché gli pesava psicologicamente oltre che fisicamente, quindi avrebbe preferito una crescita più graduale e meno stressante. Ognuno è diverso e forse col senno di poi Fabio avrebbe preferito fare qualcosa di più graduale, come Pogacar nei primi sei anni di carriera.

Nibali l’avete gestito diversamente. Lui ha fatto il primo Giro nel 2007, al terzo anno da professionista.

Vincenzo ha avuto una buona gradualità. E soprattutto quello che cambiava rispetto ad oggi è che, se anche lo portavamo ai Grandi Giri, andava a imparare dai capitani. Ha avuto davanti Di Luca, Basso e Pellizotti. Lui scalpitava, però non andava in corsa con la pressione psicologica di dover fare classifica in prima persona. Questo cambia anche l’approccio rispetto al ciclismo che c’è adesso. Oggi i giovani – il Tiberi di turno, come prima Pogacar ed Evenepoel – non hanno in squadra qualcuno che faccia classifica al posto loro. Qualcuno dietro cui nascondersi, avendo una gradualità di 2-3 anni in cui possano imparare il mestiere e semmai provare a vincere una tappa o mettersi alla prova. Una volta era un ciclismo diverso, invece adesso questi giovani si trovano subito in prima linea. E anche se sono forti fisicamente, l’aspetto mentale secondo me ha un peso importante. E poi c’è un altro aspetto…

Quale?

Quello dei punteggi dell’UCI. Il 2025 è l’anno delle promozioni e retrocessioni e per le squadre i punti diventeranno nuovamente un’ossessione. Quando hai un buon budget che però non ti colloca fra le prime 4-5 squadre al mondo, hai meno corridori da far girare. Un po’ come la panchina delle squadre di calcio o di basket. Segafredo Bologna e Milano sono quelle che hanno più soldi e se mandano in campo un sostituto, sei certo che sia competitivo. Se invece quelli forti sono solo nel quintetto base e gli altri non sono all’altezza, contro gli squadroni hai un problema. Una volta per essere nel WorldTour bastavano il budget, l’etica e la professionalità: non c’era il sistema di promozioni e retrocessioni. Ora è tutto diverso. E i corridori vengono mandati in gara per fare i punti. E fra i vari punti, quelli delle classifiche generali valgono tanto.

Una bella differenza…

Una volta andavi a correre, imparavi dal capitano e intanto crescevi senza pressioni psicologiche, perché lavorare è diverso dal fare la corsa. Adesso, anche se non puoi vincere, devi andare a fare punti: anche un ottavo posto diventa importante. E a quel punto certe scelte vengono dettate dalla ragione di Stato. Per carità, la squadra paga ed è giusto che pretenda se la cosa è importante. Però queste dinamiche ti impediscono di guardare solo all’aspetto tecnico e anche come preparatore devi fare lo slalom fra le esigenze del team e quelle del corridore.