Neanche il tempo di tornare a casa dalla trasferta transatlantica, che Edoardo Zambanini ha trovato ad attenderlo la convocazione per i mondiali, cosa di non poco conto per un ventitreenne e con essa interviste, fari dell’attenzione puntati addosso e tante attese. Merito anche dei piazzamenti ottenuti nella doppia tappa canadese del WorldTour e in generale di una stagione vissuta sempre più da protagonista.
In Canada si è avuta netta la percezione del cambio di passo del corridore di Riva del Garda, non più semplice gregario alla Bahrain Victorious, ma corridore sul quale il team inizia a fare affidamento anche come finalizzatore. Zambanini alle due corse americane teneva particolarmente e si è visto.
«Sono due prove che mi piacciono particolarmente – racconta – ero già stato lì lo scorso anno ma avevo preso la bronchite e non me le sono godute fino in fondo. Anche per questo con il team avevamo deciso d’inserirle. E’ stata un’esperienza bella, che mi porto nel cuore e che mi ha confermato come sia sempre più portato anche per le gare d’un giorno. Una trasferta che mi è piaciuta tantissimo anche perché era davvero un bel gruppo, il nostro, dove ci siamo impegnati ma soprattutto divertiti».
Una trasferta vissuta con ruoli differenti rispetto al solito…
Effettivamente il team mi ha dato fiducia e di questo non posso che essere grato. Sono partito per il Canada direttamente dal Tour of Britain dove pure avevo colto risultati molto buoni, tra cui anche un podio e sulla base di quello nel team si è deciso di darmi responsabilità. E’ davvero bellissimo vedere i compagni che corrono per te, che ti aiutano a rimanere nelle prime posizioni del gruppo, è un impegno che comporta anche il dovere ma anche la voglia di ripagare tanti sforzi.
Come ti trovi ad essere tu a dover gestire la squadra?
Devo prenderci le misure… Per i primi due anni alla Bahrain ho fatto gavetta com’era giusto che sia, ho corso per gli altri imparando e sacrificandomi, ora vedo che la fiducia nei miei confronti sta crescendo. Prima della corsa nella riunione si stabiliscono i compiti e non senza sorpresa ho appreso che per il GP du Quebec io sarei stato leader insieme a Mohoric. La gara è stata strana con Bilbao che doveva tirargli la volata, ma si è accorto di avere dietro Pogacar e così hanno preferito desistere, io avevo seguito un’altra strada.
E a Montreal?
Avevo un ruolo libero. Lì i finalizzatori dovevano essere Buitrago e Bilbao, ma il primo ha perso presto il treno giusto. Così nel finale io e Pello scattavamo a turno, poi quando è andato via Pogacar, Bilbao è riuscito a evadere dal gruppo conquistando una bella piazza d’onore, io ho fatto la volata del gruppo conquistando la seconda Top 10 consecutiva.
Due piazzamenti nei primi 10 in due classiche del WorldTour a distanza di 48 ore non sono cosa da poco…
Infatti sono molto soddisfatto, sapevo di essere in una buona condizione ma portare a casa un risultato non è mai scontato. Anche perché si trattava di due gare di altissimo livello, con partecipazione di grandi corridori, il che accresce il valore dei miei piazzamenti.
Fra le due gare quale ti piace di più?
Forse quella di Montreal, perché è a chiusura della carriera ed è più seguita, nel circuito si corre praticamente immersi fra le persone, è un’atmosfera inebriante. Si vede che ci tengono tantissimo, non capita spesso di vedere gare con un simile seguito. Spesso si finisce in volata, ma sono entrambe molto lottate, poi quest’anno la Uae ha imposto un controllo ferreo, a Quebec City la corsa si è messa in maniera più caotica, a Montreal Tadej ha imposto la sua legge.
Nella tua scala dei valori privilegi sempre le corse a tappe o ci hai ripensato?
Le gare a tappe sono sempre le mie preferite perché ho doti di resistenza e recupero non comuni, si è visto anche al Tour of Britain. Quest’anno però mi trovo bene anche nelle classiche d’un giorno e questo credo sia perché d’inverno mi sono allenato senza intoppi e ho avuto una stagione finora lineare, a differenza delle due precedenti dove c’erano sempre problemi di salute. Mi sto evolvendo. Prima ad esempio sfruttavo solo le mie fibre veloci, ma ho lavorato molto in salita e ora le due cose si compensano come deve essere se si vuole emergere.
Il team come hai detto tu si fida, non sei più uno dei tanti italiani approdati in un team WorldTour a lavorare per gli altri. La cosa ti ha mai creato disagio, soprattutto il vedere altri, tutti stranieri a lottare per le prime posizioni quando la gara entrava nel vivo?
So che si parla molto degli italiani relegati ai margini, di questo ne discutiamo anche nel gruppo, ma chi è più anziano di me dice che il livello generale si è alzato. Con gli stessi wattaggi, solo un paio d’anni fa vincevi, oggi fai fatica a piazzarti. Di questo bisogna tenerne conto. Io mi sto guadagnando la fiducia del team, mi assumo i rischi che comporta, so che devo portare risultati ma quel che conta è che ci sia un buon feeling con gli altri, il resto viene da sé.
Che emozione ti dà essere in nazionale?
E’ una grande responsabilità e onore, un premio agli sforzi che ho fatto e ai progressi di cui dicevo prima. La cosa che mi piace di più è arrivare in un gruppo rimettendosi tutti in discussione, correre insieme e legare con chi fino a ieri era avversario. Serve coesione, io credo che sia il primo ingrediente perché poi possano arrivare i risultati e sono convinto che nel gruppo azzurro questa coesione ci sarà.
Che cosa ti farebbe tornare da Zurigo soddisfatto?
Diciamo che vorrei fare una gara da ricordare col sorriso, chiuderla in positivo, facendo la mia parte. Non parlo di risultati, mi basta tornare a casa contento di quel che avrò fatto.