Il “vecchio” fondo medio sta scomparendo?

04.03.2023
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Si parla sempre più di base e di lavori intensi. Ormai questo andazzo sta prendendo piede anche in altri sport di endurance, vedi la corsa a piedi e lo sci di fondo. Ma quando poi si sente un giovanissimo come Pietro Mattio parlare di tanti più chilometri fatti in modo lento e altresì di alte intensità allora il dubbio diventa più che una certezza.

Alessandro Malaguti, coach del Team Technipes #inEmiliaRomagna, è l’interlocutore per verificare se i nostri dubbi sono legittimi o meno. E tutto sommato a conti fatti la nostra osservazione non è stata poi così illegittima.

Alessandro Malaguti, con i suoi ragazzi della Technipes-inEmiliaRomagna
Alessandro Malaguti, con i suoi ragazzi della Technipes-inEmiliaRomagna
Alessandro, sta scomparendo il “vecchio” fondo medio? Quelle sessioni da 10′-20′ a ritmi piuttosto impegnativi di una volta…

Che domandone! In realtà no, non sta scomparendo, ma le cose stanno cambiando e sicuramente il  focus è più spostato sui lavori intensi. Si lavora molto intorno al VO2Max, soglia… Se parliamo di atleti professionisti e dilettanti in realtà il medio lo fanno di default, se così si può dire. 

Cioè?

Nel senso che quando vanno via regolari e devono fare una salita tranquilli, questa la fanno al medio. E’ la classica distanza regolare. Se poi per medio intendiamo il vecchio medio in pianura, di quello sì: se ne fa molto meno.

E perché?

Perché in realtà qualitativamente parlando non danno un miglioramento così significativo. Non è un allenamento di grande qualità. Poi adesso c’è questa storia della Z2, che dà la massima attivazione enzimatica, la miglior sintesi mitocondriale… Può essere una moda, oppure no, però ci sono degli studi al riguardo e funziona. Personalmente però non sono di quelli che “scoprono l’acqua calda” e io un po’ di vecchio medio lo inserisco nelle preparazioni… e nonostante tutto credo di essere tra coloro che ne fa fare meno. Mi ritengo un tecnico di nuova generazione e quindi tanta intensità e “poco” volume. Il che va anche bene, ma ogni tanto l’uscita in cui c’è anche del medio la metto in programma.

Il medio in pianura si fa di meno, se ne fa di più in salita
Il medio in pianura si fa di meno, se ne fa di più in salita
Poi forse dipenderà anche dall’atleta che si ha di fronte?

Esatto. Va considerato che ci sono degli atleti che vanno sempre al risparmio, e devi spronarli, ed altri che invece devi frenare.

Una volta il medio, almeno in certe fasi della stagione era forse il 70% dell’intensità dell’arco di ore di allenamento settimanale, ora molto meno…

Torniamo al discorso di prima: non è un allenamento che, qualitativamente parlando, ti dà qualcosa in più. Alla fine si è visto che la Z2 ha quasi lo stesso effetto con un consumo inferiore, anche un consumo mentale. Che poi in realtà parlare di zone di lavoro, magari dirò un’eresia, non è neanche così corretto. Servono ai tecnici per avere dei riferimenti, dei parametri di lavoro. In realtà quando voglio far fare ad un mio atleta dei lavori di qualità, sulla famosa FTP mi ci baso poco. Preferisco fare riferimento alla potenza relativa, cioè alla potenza che quell’atleta può tenere per quel tempo. E lavoro attorno a quello. Se voglio lavorare sui 20′, insisto su quelli e lavorerò sul suo massimale. Che poi se insisto su quello di riflesso migliora anche l’endurance (il concetto è: sono abituato a spingere di più che quando vado piano consumo meno, dr).

Oggi conoscenze e dati sempre più accurati consentono di lavorare con precisione totale (e consapevolezza)
Oggi conoscenze e dati sempre più accurati consentono di lavorare con precisione totale (e consapevolezza)
Strumenti sempre più avanzati aiutano nell’individuare le varie zone? Cioè si lavora su altre intensità anche perché si può essere più precisi?

Assolutamente sì. La differenza grossa che ci hanno dato il potenziometro, i metabolimetri, la  variabilità cardiaca, gli anelli che misurano la HR e altri strumenti… ci danno la possibilità di lavorare sempre più al millimetro. E con la conoscenza che va avanti, ci si è accorti che è inutile andare a stressare gli atleti con dei volumi esagerati. All’inizio negli anni ’90 si lavorava col cardiofrequenzimetro e basta, dov’era il suo limite? Che per fare dei lavori molto intensi,  quei dati erano legati a fattori esterni: stanchezza, stress, vento… tutto ciò portava ad avere dei parametri fondamentalmente sballati. Okay, l’atleta evoluto si conosceva un po’ meglio, ma tutte quelle conoscenze erano empiriche. 

Oggi tutto è più certo.

La differenza è che oggi abbiamo dei valori misurabili e sicuri. Prendiamo le prove del lattato, per esempio, io ho misure certe del mio atleta. So esattamente come andrà in quel momento. Adesso le cronometro, l’esempio più pratico che abbiamo, sono matematica pura. Prima di iniziare, tra meteo, percorso, i suoi valori di stanchezza e quant’altro conosco il tempo che farà l’atleta con errori di pochi secondi, ovviamente al netto di forature, cadute…

Forza sui rulli: perché sì, perché no. Sentiamo Malaguti

13.12.2022
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Non è la prima volta che si sente dire che la forza, per essere fatta bene sui pedali, vada fatta sui rulli. Utopia, ricerca della preparazione naif, verità… forse c’è un po’ di tutto. Come da nostra abitudine ne abbiamo parlato con un preparatore, Alessandro Malaguti, il quale segue i ragazzi della #inEmiliaRomagna.

L’allenamento indoor è certamente migliorato rispetto al passato. Questo è stato possibile grazie ai nuovi strumenti e anche all’innegabile accelerazione che ha portato il Covid sia in termini di strumenti appunto, ma anche di conoscenze.

Alessandro Malaguti oltre a seguire i corridori della #inEmiliaRomagna ha un suo studio, Relab a Forlì (foto Instagram)
Alessandro Malaguti oltre a seguire i corridori della #inEmiliaRomagna ha un suo studio, Relab a Forlì (foto Instagram)
Alessandro, forza e rulli. E’ un “sacrilegio” affiancare queste due cose?

Dipende che forza vogliamo fare. La forza massima si può fare a secco con della ghisa e quindi con della palestra. E questa dipende da chi si ha davanti (se un velocista o uno scalatore) e da cosa si vuol fare. Poi c’è la forza resistente, quella che si fa sui pedali. E questa volendo si può fare anche sui rulli.

E tu cosa ne pensi?

Preferisco quella fatta in bici su strada, perché l’atleta lavora con il suo gesto specifico reale. Poi posso “giocare” con le rpm a seconda del lavoro neuro-muscolare che voglio andare a fare. Le SFR classiche con battiti relativamente bassi restano, ma si lavora anche ad intensità maggiori con cadenze più alte e durate inferiori della ripetuta.

Quindi meglio strada…

Sì, però va detto che i rulli moderni sono come dei videogiochi bellissimi, grazie ai quali puoi simulare tutto. Senza contare che sei al sicuro dai pericoli che invece ci sarebbero su strada. Puoi concentrarti meglio sul tuo gesto. Ti puoi allenare indipendentemente dagli agenti atmosferici. E in questo periodo è molto importante che un atleta non si ammali. Sul fronte tecnico un indubbio vantaggio è che puoi replicare esattamente ciò che intendi fare. Puoi “costruire” la tua strada perfetta. 

Realtà virtuale e rulli sempre più precisi migliorano l’allenamento indoor. Per i pro’ la differenza di battiti e watt con la strada è molto bassa
Realtà virtuale e rulli sempre più precisi migliorano l’allenamento indoor. Per i pro’ la differenza di battiti e watt con la strada è molto bassa
Questi sono i pro dunque. E i contro?

Il primo limite riguarda i volumi di lavoro. Magari in inverno non sono ancora altissimi e ci potrebbe anche stare, ma sui rulli difficilmente riuscirò a fare più di un’ora e mezza. O almeno così dovrebbe essere per non incappare in squilibri elettrolitici. Si possono fare anche tre ore al giorno in due sessioni da un’ora e mezza, ma ci deve essere un’adeguata pausa che consenta il recupero. E questo già da solo va a falsare l’allenamento. Senza contare che tre ore sui rulli sono davvero tante e c’è il rischio che nei giorni successivi non si renda come si dovrebbe.

Prima hai parlato delle pedalate che non possono essere reali come su strada: cosa intendi?

Il lavoro neuromuscolare per stare in equilibrio, per assecondare la bici, fare le curve, superare gli avvallamenti (dai più grandi a quelli infinitesimali, ndr), il vento… Anche questo fa parte del lavoro. Restando sul discorso neuro-muscolare il software che utilizzo io, Coach Peaking, mi consente di estrapolare il file di un allenamento, di caricarlo sul computerino e di replicarlo sui rulli con tutte le varie resistenze. Ma a me non piace perché è un lavoro passivo. A livello neurologico c’è un coinvolgimento inferiore.

Però alcuni preparatori sostengono che proprio l’eliminazione di questa variabile possa essere un vantaggio. In pratica si reclutano tutte le fibre a lavorare sulla forza e non se ne lascia nessuna a fare “un altro lavoro”…

Vero, è una teoria che più volte ho sentito. Ma siamo sicuri che quelle fibre sui rulli verrebbero coinvolte per esprimere la forza? Sarebbe curioso fare dei test ed avere un paragone scientifico. Io per esempio seguo dei triatleti e loro spesso si allenano con la bici da crono sui rulli. Faranno anche bene i loro lavori, ma poi quando li vedi sulla bici da crono sono imbarazzanti. E’ vero che quelle bici sono difficili da guidare, però il lavorare sui rulli non li aiuta.

Nello sci di fondo per esempio ci sono degli enormi tapis roulant sui quali si va con gli skiroll, si potrebbero fare anche con la bici?

Si tratta di rulli “mega galattici” e ci si è anche provato, ma hanno costi stratosferici… e le abitazioni sono sempre più piccole (in effetti bisogna pensare anche al marketing e non solo a quei pochi pezzi da laboratorio, ndr). E poi non so quanto siano allenanti perché non sei tu che lo azioni. I podisti che corrono sul tapis roulant infatti fanno un lavoro cardiovascolare, e va bene, ma riguardo al gesto non spingono quanto su strada. La spinta sull’appoggio del piede non è tutta loro.

Montefiori, cronoman “quasi per forza”. Una storia su cui riflettere

04.07.2022
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Cronoman quasi per forza. Nell’ultimo campionato italiano contro il tempo riservato alla categoria under 23, alle spalle del bravo Davide Piganzoli, si è piazzato Matteo Montefiori della #inEmiliaRomagna.

Matteo è un passistone puro: 186 centimetri per 80 chili. Per uno come lui la bici da crono dovrebbe quasi essere una “protuberanza” naturale. In realtà non è esattamente così.

Se Montefiori è salito sul podio tricolore, una grossa fetta del merito è del suo preparatore Alessandro Malaguti, che lo scorso anno si è impuntato per fargli avere una specialissima da tempo. E della sua squadra che lo ha accontentato.

Questa storia va approfondita perché in qualche modo non è solo relativa al corridore imolese, che resta una “mosca bianca”. Riguarda tutto il sistema italiano, sempre molto avaro quando si parla di crono giovanile.

Matteo Montefiori (classe 2002) è un passista puro. Ha vinto una crono ad inizio giugno
Matteo Montefiori (classe 2002) è un passista puro. Ha vinto una crono ad inizio giugno
Matteo, sei vicecampione italiano contro il tempo…

Abbiamo faticato un po’, ma alla fine la bici da crono è arrivata. Ci abbiamo lavorato tanto ed è andata bene con quel secondo posto. Resta un po’ di rammarico per quei 5”.

Come è nato tutto?

Dall’italiano dell’anno scorso, concluso al 14° posto senza prepararlo. Avevamo visto valori discreti ottenuti con una bici decisamente meno performante. Da quest’anno quindi, anche grazie alla squadra, ho potuto iniziare a lavorarci di più. In particolare da fine marzo-aprile, da quando è arrivata la bici da crono.

Un bel cambio di passo…

Sì, anche per la strada. Ho visto che lavorando per la crono ho avuto benefici anche su strada. Finalmente è arrivato qualche buon risultato anche lì.

Il coach Alessandro Malaguti al centro con i ragazzi della #inEmiliaRomagna. Montefiori è alla sua sinistra
Il coach Alessandro Malaguti al centro con i ragazzi della #inEmiliaRomagna. Montefiori è alla sua sinistra
Questa piazza d’onore è stata una sorpresa per te?

Forse lo è stato di più il piazzamento dello scorso anno. Malaguti fu meno sorpreso di me. Vide in me un cronoman.

Avevi mai fatto le crono?

Qualcuna sì, sia da juniores che da allievo, ma senza mai prepararle in modo specifico.

Come avete lavorato?

Nell’ultimo periodo ho usato tanto, tanto la bici da crono. In primavera uscivo due volte a settimana con la bici da tempo, poi vicino all’italiano anche quattro volte. Ci ho fatto ore di sella e anche lavori specifici. E’ importante stare parecchio tempo in quella posizione per esprimere gli stessi watt.

Perché, è più difficile esprimerli?

Se ti abitui alla posizione no, altrimenti sì. Per questo è importante usarla con continuità. A quel punto diventa un gesto più naturale e a parità di watt vai più forte.

Montefiori in azione all’italiano a crono in Friuli
Montefiori in azione all’italiano a crono in Friuli
Come hai lavorato dunque sulla posizione?

Con Malaguti, presso il suo centro Relab, a Forlì. Siamo arrivati alla posizione finale dopo un periodo di adattamento. Più abbiamo “stravolto” e più abbiamo guadagnato, ma lo abbiamo fatto nel tempo, con tre-quattro interventi, soprattutto sul manubrio. Il manubrio da crono di Pinarello è abbastanza adattabile. E credo che alla fine abbiamo individuato una discreta posizione.

E sui rapporti siete intervenuti?

Per quest’anno no. Abbiamo lasciato il 53×11. Lo stesso che uso su strada perché siamo arrivati un po’ tardi per iniziare a lavorare con il 54-56. Ma in futuro bisognerà farlo.

Matteo, cos’è per te la crono?

E’ qualcosa che mi piace. Sei in sfida da solo con te stesso. E’ molto una questione di testa. Ed è dura. Quando pedalo penso a spingere forte e a stare in tabella.

Per tabella intendi i tuoi valori, i tuoi watt?

Sì, si stabilisce un livello di watt da mantenere. Soprattutto all’italiano, la crono era lunga: 35 chilometri. Il rischio di saltare era tanto e così guardavo costantemente il potenziometro. Credo che senza questo strumento sia davvero difficile sapersi regolare. Però io ascolto molto anche le sensazioni. E infatti nel finale ne avevo ed è saltata la tabella. Ho spinto al massimo.

I lavori per la crono hanno avuto effetti positivi anche per la strada. Matteo è stato terzo in una tappa del Giro del Veneto
I lavori per la crono hanno avuto effetti positivi anche per la strada. Matteo è stato terzo in una tappa del Giro del Veneto
Chi è il tuo idolo? Il tuo cronoman preferito?

Sarà scontato dirlo, ma è Filippo Ganna.

Sei consapevole che tra gli U23 italiani siete in pochissimi a lavorare sulla crono?

Pochissimi direi di no. Soprattutto quelli della mia annata (il 2002, ndr). 

Però, come dicevamo all’inizio, è stato soprattutto grazie alla perseveranza del tuo preparatore se ora sei qui. Non è stato qualcosa di naturale…

Vero, un po’ abbiamo lottato, però per quel che mi riguarda si tratta anche di una crescita generale, mia e della squadra. La #inEmiliaRomagna non è tantissimo che c’è e siamo in crescita come team. Anche il presidente Gianni Carapia e il diesse Coppolillo mi hanno dato spazio e hanno creduto sul discorso della crono. Il primo anno l’obiettivo era finire la scuola e la squadra mi ha lasciato molto libero. Anche adesso non abbiamo pressioni, ma possiamo lavorare meglio.

Scalatori puri in via di estinzione? Un fatto di preparazione

26.06.2022
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Come si fa sempre più dura i velocisti puri, anche per gli scalatori altrettanto puri non corrono tempi facilissimi. Da quel che ci disse Locatelli, circa lo sviluppo dei ragazzi qualche tempo fa, e da quello che ci hanno detto i direttori sportivi al Giro d’Italia U23, nell’inchiesta uscita ieri, di certo qualcosa si muove (in apertura Van Eetvelt, foto Isola Press).

Come nostra abitudine, abbiamo coinvolto due preparatori di estrazione diversa, sia per le epoche in cui hanno corso, sia per le caratteristiche fisiche che avevano. Stiamo parlando di Michele Bartoli e Alessandro Malaguti.

Michele Bartoli
Michele Bartoli (classe 1970) ha smesso di correre nel 2004, oggi è un preparatore
Michele Bartoli
Michele Bartoli (classe 1970) ha smesso di correre nel 2004, oggi è un preparatore

Bartoli sale in cattedra

«A mio avviso – dice Bartoli – la figura dello scalatore non sta sparendo, ma sta cambiando. Si sta evolvendo perché stanno cambiando le preparazioni. Oggi si hanno molte più informazioni, queste sono alla portata di tutti e tutti migliorano le performance. Vai a colmare i tuoi buchi, le tue lacune.

«Mi spiego. Ai miei tempi, il passista faceva il passista, il velocista faceva il velocista, anche in allenamento. Entrambi non dico che se ne fregavano della salita, ma quasi. Invece oggi tutti, dai velocisti agli scalatori, limano il peso, curano ogni zona del copro al 100%, fanno core stability e di conseguenze le prestazioni si appiattiscono, ma si appiattiscono in alto.

«Pantani, che è il simbolo dello scalatore, non credo si sia mai davvero allenato a crono. Oggi lo scalatore che punta alla classifica prende due volte a settimana la bici da crono e questo gli consente di andare forte anche su altri terreni. Anche il velocista cura la crono, specie se c’è un prologo in vista e a seguire tappe piatte dove vincendo può prendere la maglia di leader».

In pianura velocità sempre più alte: lo scalatore puro e leggero fa più fatica (foto Isola Press)
In pianura velocità sempre più alte: lo scalatore puro e leggero fa più fatica (foto Isola Press)

Passisti-scalatori avvantaggiati

Carlo Franceschi, il manager della Mastromarco Sensi Nibali, ci aveva detto che dovendo inseguire le vittorie, il ragazzino scalatore rischia di restare nascosto. E serve un buono scouting per non perderlo. E allora ci si chiede: alla lunga anche lo scalatore giovane sta cambiando?

«Per me – riprende Bartoli – cambia perché è una necessità generale. Ma ritorno al discorso di prima. Tu oggi sai che certi esercizi ti fanno andare forte, a prescindere da che tipo di corridore sei. Il core stabity per esempio ha inciso molto. Ai miei tempi io ogni tanto negli allenamenti invernali inserivo un po’ di leg press, ma tutto il resto… zero.

«Ne guadagna il passista scalatore? Sì, questa teoria ci può stare. Magari un Van Aert venti anni fa non ci sarebbe stato. Lo avrebbero fatto correre “solo” per il Fiandre e qualche corsa veloce e invece te lo ritrovi a crono, in volata, nelle classiche e sul Ventoux. Ha lavorato sulla percentuale di grasso corporeo, sulla resistenza aerobica ed ecco che ti può vincere anche una Tirreno».

«Questa cosa, forse perché l’avevo intuita già all’epoca, la dicevo a Petacchi, compagno di tanti allenamenti. Gli dicevo di non mollare dopo la Sanremo, di non curare solo le volate che con quel fisico, e qualche lavoro diverso, avrebbe potuto vincere un Fiandre».

Alessandro Malaguti (al centro) con i ragazzi della #inEmiliaRomagna: segue loro e alcuni professionisti
Alessandro Malaguti (al centro) con i ragazzi della #inEmiliaRomagna: segue loro e alcuni professionisti

Ecco Malaguti

Da Bartoli passiamo ad Alessandro Malaguti. La cosa sorprendente è che sostanzialmente il discorso non cambia: contano le nuove preparazioni.

«Se nel ciclismo moderno resiste ancora la figura dello scalatore puro? Rispondo “ni”, ma più no che sì. Semmai – dice il preparatore romagnolo – è cambiata la tipologia delle gare. Sono aumentate le velocità e il classico scalatore colombiano fa più fatica. Anche perché molto spesso oggi non sanno guidare bene la bici (prendono aria, non limano, ndr) e in questo modo faticano di più in pianura e arrivano più stanchi ai piedi della salita».

E quest’ultimo aspetto tutto sommato ce lo ha confermato anche ieri il piccolo Juan Carlos Lopez.

«Il secondo punto principale riguarda le tecniche di allenamento. Tutti si allenamento al massimo e tutti prima di essere ciclisti sono atleti. Queste sono anche le direttive della Fci. E alla fine vediamo che nel tappone del Fedaia arrivano ai 10 chilometri dall’arrivo in 50-60 corridori tutti insieme».

Evenepoel è piccolo di statura (170 centimetri) eppure spinge fortissimo anche sul passo
Evenepoel è piccolo di statura (170 centimetri) eppure spinge fortissimo anche sul passo

La statura non conta

Anche a Malaguti poniamo il discorso sui giovani, ai quali è richiesta una maturazione sempre più precoce. E lo scalatore che di base dovrebbe essere il più piccolo e meno sviluppato resta nell’ombra.

«Che il piccolo resti dietro perché è meno sviluppato ci può stare – dice Malaguti – ma non perché sia scalatore o meno. Semplicemente perché è indietro. Da un punto di vista meramente tecnico deve continuare a lavorare su tutti i fronti. In particolare mi riferisco al rapporto potenza/peso, che è quello che più di tutti conta.

«E in tal senso dico: non facciamoci ingannare dalla statura. Guardiamo Evenepoel. E’ piuttosto basso e l’altro giorno ha vinto il campionato nazionale a crono stracciando i suoi avversari. E lo stesso vale per il giovane Martinez».

Loulou vuole Fiandre, Liegi e Lombardia. Si può fare Malaguti?

28.11.2021
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Julian Alaphilippe ha detto che ci sono tre corse che vorrebbe vincere più di altre: il Giro delle Fiandre, la Liegi-Bastogne-Liegi e il Giro di Lombardia. Tre monumenti che su carta sono alla portata del campione del mondo. Tuttavia se per la Liegi e il Lombardia non dovrebbero esserci problemi (ci è già andato vicino), nel ciclismo sempre più specializzato di oggi la corsa fiamminga potrebbe restargli un po’ fuori dai radar. Ultimamente infatti a vincerla sono corridori dal peso mediamente più elevato. Un dubbio simile non potevamo lasciarlo in sospeso e così abbiamo chiesto ad Alessandro Malaguti, preparatore giovane, che ha corso fino a pochi anni fa e che oggi ha un suo centro, Relab, a Forlì.

Fiandre, Liegi, Lombardia: una tripletta che è già stata compiuta. L’ultimo a riuscirci è stato Philippe Gilbert (e tanto è cambiato da allora) e prima ancora un certo Michele Bartoli. Cosa dovrebbe fare quindi l’asso della Deceuninck-Quick Step per realizzare questa impresa? Ma soprattutto: si può ancora fare?

Alessandro Malaguti, oggi è un preparatore atletico e lavora nel centro Relab, di cui è socio fondatore
Alessandro Malaguti, oggi è un preparatore atletico e lavora nel centro Relab, di cui è socio fondatore

Impresa possibile

Parola quindi a Malaguti: «Si può fare tutto! Abbiamo visto Wiggins, un pistard, vincere il Tour… Di sicuro è più facile che Alaphilippe possa vincere il Fiandre. Valverde la prima volta che l’ha fatto a 39 anni è entrato nei primi dieci, segno che se hai certe caratteristiche è una corsa che puoi conquistare.

«Corridori del genere sono “totali” e per certi aspetti è quasi facile allenarli, ma certo vanno gestiti. Alaphilippe può farcela: è veloce, ha il cambio di ritmo, è abbastanza forte a crono e sa guidare bene la bici. L’unico limite potrebbe essere il peso, perché in effetti è un po’ leggerino».

L’incredibile volata tra Alaphilippe e Pogacar all’ultima Liegi. La corsa andò allo sloveno chiaramente
L’incredibile volata tra Alaphilippe e Pogacar all’ultima Liegi. La corsa andò allo sloveno chiaramente

Guai a snaturarlo

Ed è qui che volevamo arrivare con Malaguti. Tra un Asgreen e un Alaphilippe ci sono 13 chili di differenza: 75 per il danese e 62 per il francese: non sono pochi. Oggi la specializzazione conta parecchio e anche se sei un fenomeno come “Loulou” poi devi fare i conti con i numeri.

«Vero – dice Malaguti –  la differenza di peso è reale, però Alaphilippe ha dimostrato di saper andare bene su queste corse. Oggi il livello è alto ma è anche molto equiparato. Dopo i 200 chilometri sono ancora 50-60 corridori che possono vincere la corsa. E in un Fiandre a 20 chilometri ce ne sono ancora 30. Questo per dire che sì serve essere specializzati, ma neanche andrei troppo a sconvolgere un atleta che è forte. Snaturare le sue caratteristiche sarebbe un errore.

«Detto questo, qualcosa di più specifico glielo farei fare, a cominciare dalla forza. Gli farei fare più forza pura, più palestra. Lavorerei sui massimali: grandi carichi con poche ripetizioni. E anche in bici più picchi di breve durata.

«Ma torniamo al discorso di prima: sono qualità che Alaphilippe già possiede. Pensiamo al mondiale: quando è scattato lui gli altri sembravano fermi. E anche il lavoro sul passo è buono. A Leuven nel finale andava via di 53×12 a 52-53 all’ora dopo aver superato il muro dei 250 chilometri».

Al Lombardia di quest’anno Julian è rimasto “incastrato” nella tattica di squadra con Masnada davanti…
Al Lombardia di quest’anno Julian è rimasto “incastrato” nella tattica di squadra con Masnada davanti…

Verso un lavoro di fino

Però un gap di una dozzina di chili rispetto agli specialisti non è poco. La differenza di watt si fa sentire e anche i rimbalzi sul pavè saranno di più presumibilmente.

«Un po’ mi viene da ridere quando sento parlare di watt puri – continua Malaguti – Vi faccio un esempio. Quando ero ancora pro’, fino al 2016, toccavo i 1.200 watt di picco. Adesso che ho smesso di correre ne ho fatti anche 1.300, solo che peso 15 chili di più! All’epoca ero molto più potente. E’ il rapporto potenza/peso che conta e quello di Alaphilippe è ottimo.

«Sì due chili in più potrebbero aiutarlo sul pavè ma poi c’è la Liegi dietro l’angolo… e lì pesano».

Loulou in ricognizione sul pavè del Fiandre. Anche ogni dettaglio tecnico per lui che è al limite col peso potrebbe fare la differenza
Loulou in ricognizione sul pavè del Fiandre. Anche ogni dettaglio tecnico per lui che è al limite col peso potrebbe fare la differenza

Attenzione alla forza

«Se invece Alaphilippe – conclude Malaguti – questa sua tripletta vuole realizzarla in anni differenti, allora quei due chili ci stanno bene. Gli farebbero comodo soprattutto pensando al lavoro in palestra. Io gli farei fare un lavoro per fargli mettere massa, massa magra… alzandogli così i picchi di forza. Ma, ripeto, se lo allenassi io non lo stravolgerei».

«Proverei a fare qualcosa per il pavé. Magari cercherei qualche soluzione tecnica ulteriore con l’aiuto di Specialized, rivedrei qualche posizione, ipotizzerei qualche gara di ciclocross o mtb, più che altro per prendere confidenza con gli altri terreni, perché saper dove e come mettere le ruote in quelle corse significa risparmiare tante energie. E poi non dimentichiamo che è nella squadra ideale per poter tentare questa sfida.

«Se mi aveste chiesto della Roubaix sarei stato più incerto, perché lì in effetti il peso è davvero importante».