Le juniores e poi le grandi: i mondiali chiamano le azzurre

19.08.2025
6 min
Salva

I mondiali juniores da domattina e quelli delle grandi dal 16 ottobre: la stagione da tecnico di Diego Bragato entra nel vivo. Stamattina l’allenamento si è svolto dalle 9 alle 10,30 nell’Omnisport di Apeldoorn. L’impianto è una delle mete abituali del circus, che dal 2011 ad oggi vi ha disputato due mondiali e tre europei.

La pista delle azzurre vive la stagione post olimpica con molte delle protagoniste impegnate su strada. Eppure nelle rare occasioni in cui le campionesse olimpiche e mondiali sono spuntate a Montichiari, l’effetto sulle più giovani è stato ogni volta un tornado di emozioni e voglia di fare.

«Quando ci sono fanno la differenza – osserva Bragato – perché comunque per i titoli, per il carisma e per l’esperienza, le più giovani sono ben contente di dividere gli spazi e il lavoro con loro. Si nota quando ci sono, anche se sono venute a spot, organizzandosi fra loro, anche in base ai calendari di ciascuna».

Da quest’anno Diego Bragato è il tecnico della pista donne (foto FCI)
Da quest’anno Diego Bragato è il tecnico della pista donne (foto FCI)
E quando loro non ci sono, sta venendo fuori qualche nuova figura di riferimento?

Si sta consolidando Venturelli, che è giovane ma ormai va considerata tra le big, perché ne ha tutte le potenzialità. Nel gruppo under 23 lei è il riferimento. Con le juniores invece stiamo facendo un bel lavoro di costruzione. Abbiamo un bel vivaio di ragazze sia di secondo che di primo anno. E alla luce dei primi test che ho visto, anche nel 2026 ci sarà un bel gruppo di ragazze su cui vale la pena investire per costruire un futuro importante. Credo che i numeri ci siano e un paio di atlete come Sanarini e Pegolo si stanno dimostrando due figure di riferimento.

Il loro tecnico è Salvoldi, ma anche fra gli juniores uomini si sta lavorando bene…

Anche secondo me stiamo facendo un buon lavoro. Magagnotti è il riferimento e in questi mondiali può dare un segno di maturità e far vedere che può essere il riferimento di questa categoria. Dimostrando di avere i numeri per essere ammesso alla categoria superiore.

A proposito di questo aspetto, c’è la volontà che il travaso avvenga oppure si cerca di non bruciare le tappe?

Io credo che nel maschile si sia creata una filiera abbastanza… densa per poter lavorare senza bruciare le tappe. Perché dietro ai ragazzi più grandi, quelli delle medaglie per intenderci, ci sono già Manlio Moro e tutto il resto del gruppo. Boscaro, Favero, Giaimi e atleti di annate con cui continuiamo a fare risultati a livello internazionale. Quindi c’è il gruppo che ti permette di fare un travaso moderato.

La vittoria nell’inseguimento U23 agli europei ha ridato fiducia a Venturelli, diventata un riferimento
La vittoria nell’inseguimento U23 agli europei ha ridato fiducia a Venturelli, diventata un riferimento
Invece con le ragazze?

E’ un po’ più difficile. Tolte le big e Venturelli, non abbiamo un gruppo molto omogeneo e ricco, quindi dobbiamo richiedere alle giovani di entrare subito in scena, come è successo con la Baima. Dalle juniores l’abbiamo catapultata subito tra le grandi perché c’è stata e c’è ancora la necessità di accelerare un po’ i processi di crescita.

Il gruppo è meno ricco perché di fatto non esiste una categoria U23 delle ragazze?

Esatto. Le nostre ragazze sono forti da juniores, ma quando diventano under 23, vengono già catapultate in gare impegnative. Per cui diventa difficile metterci dentro un calendario della pista e stentiamo, come è successo agli europei di Anadia. Abbiamo fatto fatica a creare un quartetto di under 23 perché c’era il Giro d’Italia, perché fanno mille gare e per me è veramente difficile adesso lavorare con questa fascia di età.

Alla luce di questo, in che modo preparerete il mondiale in Cile dal 16 al 20 ottobre?

Partiamo dal presupposto di aver detto alle ragazze che nell’anno post olimpico non avremmo chiesto grossi impegni, se non appunto il mondiale a fine stagione. In ogni caso sono venute spesso in pista, si sono ritrovate, si sono organizzate tra di loro per esserci anche insieme. Questo mi fa piacere perché vedo un bel gruppo. Per i mondiali inizieremo a lavorare da settembre, con un calendario condiviso e dei lavori mirati. Fino ad ora non l’abbiamo fatto, lasciandole libere ai loro impegni con le squadre, quindi sarà un mondiale preparato nell’ultimo mese e mezzo.

Assorbita la delusione dei Giochi di Parigi, Elisa Balsamo ha intensificato la presenza in pista
Assorbita la delusione dei Giochi di Parigi, Elisa Balsamo ha intensificato la presenza in pista
Ci saranno anche le prime della classe?

Le avremo, non per una preparazione top, ma ci saranno perché il loro apporto mentale sarà prezioso. Sull’aspetto fisico avremo il tempo di lavorarci, però le sto vedendo bene. Sono più serene e le abbiamo scaricate un po’ come volumi di lavoro. Sto vedendo bene Guazzini, Consonni, Fidanza e Alzini. Anche Elisa Balsamo è venuta regolarmente in pista e ci tiene a far parte del gruppo. Se anche non facesse il mondiale, perché ha i suoi impegni su strada, probabilmente la vedremo nelle Coppe del mondo.

In teoria a ottobre a quel punto il grosso della stagione su strada sarà andato…

Fino a un certo punto. Avremo meno di un mese, per lavorare con ragazze che dovranno correre in Cina. Alcune hanno dei raduni per la nuova stagione poco prima del mondiale, altre hanno ancora gare vicino casa, che portano via solo una giornata. Quindi la strada ci sarà ancora, ma per quest’anno va bene così e secondo me arriveremo comunque bene perché stiamo facendo un lavoro sul gruppo.

In che modo?

Stiamo affiatando le ragazze. Abbiamo già iniziato con l’europeo, proseguendo il lavoro già fatto con le Olimpiadi e gli scorsi mondiali. Stiamo parlando tanto con Elisabetta Borgia (la psicologa della nazionale, ndr) perché siano affiatate tra loro e mature per gestire la pressione. Il mio intento è quello di costruire un gruppo solido, non solo fisicamente ma anche mentalmente, per Los Angeles. Affinché arrivino lì pronte a gestire lo stress, la gara, i riscaldamenti, le routine. Passo dopo passo voglio vederle più solide, anche mentalmente.

Agli europei di Anadia, Linda Rapporti ha realizzato il record del mondo dell’inseguimento, poi battuto dalla danese Fiale (foto FCI)
Agli europei di Anadia, Linda Rapporti ha realizzato il record del mondo dell’inseguimento, poi battuto dalla danese Fiale (foto FCI)
Tornando alle juniores: l’obiettivo è la medaglia o la prestazione?

Guardo alla prestazione, anche se si corre sempre per vincere. Voglio vedere i tempi e come corrono, devono imparare a gestire tutti gli aspetti. Sarei contento se migliorassimo qualcosa rispetto agli europei, perché già ero contento dei tempi degli europei.

Quali ad esempio?

Linda Rapporti ha fatto il record del mondo nell’inseguimento individuale e poi ha trovato la danese Ida Fialla che gliel’ha battuto subito. Anche il quartetto è andato forte, ma in finale le inglesi hanno fatto il record del mondo. Finché per batterci devono fare il record del mondo, vuol dire che stiamo bene. La medaglia sarà pure d’argento, però guardo i tempi e sono contento. Qui vorrei vedere uno scalino in più sia come tempo, ma soprattutto nelle prove di gruppo, come maturità e come gestione della gara. Se abbiamo quello, poi abbiamo gli anni per costruire la prestazione.

Frigo fissa gli obiettivi: Vuelta per le tappe e per una maglia azzurra

19.08.2025
4 min
Salva

Se sarà quella della svolta lo sapremo solo più avanti, ma di sicuro il 2025 di Marco Frigo è una stagione che gli sta dando risposte e certezze nel suo percorso di crescita, oltre ad avergli regalato la gioia della prima vittoria da pro’. Ancora pochi giorni di rifinitura, poi sabato sarà al via de La Vuelta dimostrando il suo profondo feeling con le gare a tappe.

Fatta eccezione per la Milano-Sanremo e il campionato italiano a crono, il 25enne di Bassano del Grappa quest’anno ne ha disputate sei accumulando più di 50 giorni di corsa. E l’annata paradossalmente sta entrando nel vivo adesso per il ragazzo della Israel-Premier Tech. Dopo averlo visto in azione dal vivo al Tour de Pologne, siamo tornati a sentire che ulteriori mire si sia posto Frigo per le prossime settimane.

In Polonia nella crono conclusiva, Frigo ha guadagnato posizioni nella generale, chiudendo settimo
In Polonia nella crono conclusiva, Frigo ha guadagnato posizioni nella generale, chiudendo settimo
Marco in Polonia sei stato uno dei protagonisti e con la crono finale hai rafforzato una bella top 10. Te lo aspettavi?

Arrivavo da un buon Baloise Belgium Tour (quinto in generale a 11” da Baroncini, ndr) e quindi ero abbastanza fiducioso di quel buon momento. Il Tour de Pologne mi ha dato la consapevolezza che lavorare duramente paga sempre e che un mese di altura a Livigno fatta bene ha dato i frutti sperati. In realtà avevo qualche punto di domanda perché quando si scende è sempre così, nonostante le sensazioni fossero positive.

Avendo chiuso a poco più di 10” dal podio, col senno di poi senti che avresti potuto osare di più?

Bisogna fare un discorso equilibrato. Di base sono contento e soddisfatto perché ho preso una bella iniezione di fiducia. Non dico che torno dal Pologne come un nuovo corridore, però adesso so che in certe corse posso stare davanti con i migliori. Però sì, riguardando ora certe tappe, forse avrei potuto agire diversamente.

Frigo al Baloise Belgium Tour ha conquistato un secondo posto di tappa e il quinto nella generale
Frigo al Baloise Belgium Tour ha conquistato un secondo posto di tappa e il quinto nella generale
In che modo?

Diciamo che per inesperienza non ho giocato i finali di tappa al meglio. Penso a Zakopane in cui ci ho provato forse troppo presto. Avevo paura di sbagliare. Tuttavia non lo vedo come rimorso, quanto più come un prezioso insegnamento per il futuro. La seconda tappa, quella di Karpacz, è stata però quella che mi ha fatto scattare la molla.

Spiegaci pure.

Ero partito per la Polonia con l’intento di curare la generale e sapevo che già al secondo giorno ci si poteva giocare qualcosa di importante con l’ultimo chilometro all’insù. Nel finale quando hanno lanciato lo sprint, sono rimasto troppo indietro. Le gambe c’erano e ne ho superati tanti verso il traguardo, ma ho chiuso più staccato di quello che speravo (tredicesimo a 9” da Lapeira, ndr). Quella frazione è stata spartiacque almeno per me. L’ho chiusa con tanta rabbia e altrettanta convinzione che avrei potuto fare molto meglio da lì alla fine.

Frigo sarà al via della Vuelta per puntare alle tappe, grazie alla consapevolezza ottenuta al Pologne
Frigo sarà al via della Vuelta per puntare alle tappe, grazie alla consapevolezza ottenuta al Pologne
Ora c’è La Vuelta. Marco Frigo ha già fissato gli obiettivi?

Sì, certo. Come squadra partiamo per puntare ai successi parziali senza guardare alla classifica generale. Anche io parto con questo intento. Per me ogni tappa sarà una buona occasione per tentare l’azione giusta, ovviamente cercando di sfruttare i momenti di libertà per gli attaccanti. Non faccio programmi particolari, vedremo solo che piega prenderà la corsa.

Conosci già che calendario avrai dopo?

Ci saranno le classiche italiane, saprò più avanti quali correrò. Ho però un altro obiettivo da centrare, che volendo potrebbe passare dalle mie prestazioni alla Vuelta.

Frigo ha vestito l’azzurro l’ultima volta al Memorial Pantani 2023. Vorrebbe indossarlo ancora per l’europeo in Ardeche
Frigo ha vestito l’azzurro l’ultima volta al Memorial Pantani 2023. Vorrebbe indossarlo ancora per l’europeo in Ardeche
Qual è?

Mi piacerebbe correre l’europeo in Ardeche e vorrei conquistarmi una maglia azzurra. Penso di essere adatto al percorso e di poter essere un uomo importante per la nazionale in appoggio a chi sarà il capitano. Anche tirare tutto il giorno o quando sarà il mio turno. Mi ero già sentito col cittì e gli avevo dato la mia disponibilità ad una chiamata se fossi arrivato con una buona forma. So che Marco (Villa, ndr) verrà a vedere le prime tappe che si correranno in Piemonte e già lì vorrei dargli qualche segnale positivo.

Simmons non solo gambe. Idee innovative. E sulle interviste…

19.08.2025
5 min
Salva

Al Tour de France i suoi colleghi in gruppo lo avevano ribattezzato Captain America e in effetti con la sua scenografica maglia a stelle e strisce di campione degli Stati Uniti un po’ Quinn Simmons lo ricordava. Tanto più se pensiamo che era sempre all’attacco, sempre davanti al gruppo e a disposizione dei compagni. Ricordiamoci, per esempio, quando in occasione della seconda vittoria di Jonathan Milan il friulano era rimasto dietro: Simmons ricucì il divario (quasi un minuto) praticamente da solo.

Ma l’atleta della Lidl-Trek ci ha colpito anche per delle dichiarazioni affatto banali. Aveva detto che il ciclismo, stando così le cose, è poco attraente per un adolescente. Rischia di diventare noioso e che alla fine nelle interviste al vincitore si sentono sempre le stesse cose: «Sono felice per la vittoria, oggi avevo gambe fortissime», questo il succo. E tutto sommato per alcuni aspetti la sua visione è anche giusta.

Simmons (classe 2001) viene dal Colorado, Stati Uniti. Ad oggi vanta 7 vittorie da pro’
Simmons (classe 2001) viene dal Colorado, Stati Uniti. Ad oggi vanta 7 vittorie da pro’

Ecco Simmons

Abbiamo così cercato di coinvolgerlo per capire davvero quale fosse il suo pensiero e cosa si potrebbe fare per riaccendere un po’ l’entusiasmo tra i giovani.

“Il ciclismo non è molto divertente per un adolescente”. Partiamo da qui. «In verità – spiega Simmons – ho detto che non guardo la bici per divertimento, la guardo perché mi piace la competizione, mi piace il lavoro, mi piace cercare di essere il migliore in qualcosa. Non vedo una bici da strada come qualcosa di molto divertente e per me ci sono altri sport che mi piacerebbe fare per divertimento o come hobby. La mia opinione è che per me la bici è più importante della felicità».

Una volta c’erano i miti. I campioni che ti attiravano verso quello sport e magari anche a praticarlo. Baggio nel calcio, il bomber della tua squadra del cuore. Pantani. Senna. Schumacher, Federer, la Pellegrini o una nazionale che vince, pensiamo alla pallavolo alle Olimpiadi. L’idolo di Simmons è stato Peter Sagan.

«Sono cresciuto guardando Sagan. Mi piaceva molto il suo stile sulla bici, la gara aggressiva, il modo in cui vinceva e la maniera in cui si presentava. Era divertente, è sempre stato molto bello, diverso, soprattutto quando ero piccolo. E poi era bello perché lo vedevo alle classiche, ma anche ai mondiali… che ha vinto tre volte. Era una grande ispirazione per me e uno dei corridori che mi hanno fatto amare la bici».

Arrivato nel professionismo che conta nel 2010, Peter Sagan è stato un vero ciclone per il ciclismo
Arrivato nel professionismo che conta nel 2010, Peter Sagan è stato un vero ciclone per il ciclismo

La “cura”…

E cosa si dovrebbe fare? Abbiamo chiesto a Simmons, per esempio, se gli arrivi di tappa in circuito aiuterebbero lo show.

«Sì – dice Simmons – mi piace molto la gara in circuito. Lo stile del campionato mondiale, la gara a piena velocità, rende bella la competizione. Ed è meglio anche per gli spettatori. Non solo, ma è anche molto più sicuro per noi corridori».

Il tema dei circuiti non è nuovo in questo ciclismo in continua evoluzione, che cerca di essere sempre più “televisivo”, come si suol dire oggi. Un “essere televisivo” che passa inevitabilmente attraverso frazioni più brevi e appunto i circuiti per coinvolgere di più la gente a bordo strada. I ritmi sono sempre più serrati, le soglie d’attenzione da parte del pubblico sono sempre più ridotte: si cerca (lo spettatore) e si propone (l’organizzatore) qualcosa di adrenalinico. Basta pensare che nell’atletica leggera un must come i 10.000 metri è sparito dai meeting internazionali. Ci sono delle riunioni apposite. E anche i 5.000 rischiano sempre di più.

Grinta, gambe e idee innovative per Simmons
Grinta, gambe e idee innovative per Simmons

Verso il futuro

Ma Simmons si è mostrato intelligente anche su questo fronte e se da una parte si è detto favorevole ai circuiti, dall’altra è stato realista: «Ho capito che c’è la storia e che qualcuno potrebbe storcere il naso, ci sarebbero molte gare che non funzionerebbero come circuiti, ma penso che se lo sport si spostasse in questo senso sarebbe buono. E ripeto, lo sarebbe sia da un punto di vista di divertimento che di sicurezza. A tal proposito la discussione sulle radio non la capisco, non capisco perché le persone pensano che sia negativa. Parlando della sicurezza, sarebbe davvero pericoloso toglierle. Per me non è un’opzione correre senza radio. Se il direttore non può informarci di un avvenimento pericoloso o se c’è una caduta, sia se sei in piedi, sia se sei rimasto in piedi… è un grande problema. Non devono nemmeno essere considerate per essere tolte».

Un altro tassello per aumentare lo show e l’attenzione – ma da giornalisti diremmo anche il racconto – è stata l’introduzione dei team radio resi pubblici a turno. Qualcosa che si vede in Formula 1. Ma anche su questo aspetto l’opinione pubblica è parsa spaccata. In America lo show regna sovrano e in qualche occasione ha persino prevalicato i cardini dello sport, ma se non vengono alterate le regole perché non prevederlo? Bisogna ammettere che sanno come catturare l’attenzione. Pensiamo alle grandi cerimonie prima del Super Bowl o agli intrattenimenti per il pubblico durante le pause nelle partite di basket. Ma anche a tutta una serie di dati che vengono proposti in tempo reale ai telespettatori.

Divertimento, show… ma anche sostanza. Che guida Simmons (foto Instagram)!
Divertimento, show… ma anche sostanza. Che guida Simmons (foto Instagram)!

L’importanza del racconto

Però è anche vero che un savoir faire mediatico, come quello del Tour de France, riesce ad esaltare in modo esponenziale l’evento. Quanta gente c’era lungo le strade? E la controprova si è avuta anche al Tour de France Femmes. Nel ciclismo non è facile intervenire. La radice dello sport, i cardini tecnici sono molto forti, ma è certo che qualcosa aiuterebbe. Non tutte le corse sono il Tour insomma.

Simmons ha parlato anche delle interviste post gara. A lui stesso abbiamo chiesto quali domande gli piacerebbe ricevere.

«Riguardo alle interviste post gara – spiega Simmons – non mi riferisco tanto alle domande che ci pongono, come giornalisti potete chiedere qualsiasi cosa, ma penso che è più la maniera in cui i corridori rispondono. Se c’è una battaglia in una gara, se c’è qualcosa che è andato male o qualcosa che non è stato giusto, non bisogna sempre dare la risposta perfettamente politicamente corretta. Penso che possiamo essere più onesti come corridori. Penso che se tutti iniziano a fare questo, chi lo fa non avrà tanto problema se diventa normale e ci si comporta come persone. Penso che in altri sport si comportano così. Noi dobbiamo sempre avere un filtro e quando lo rimuovi inizia a essere un problema».

Torniamo al VC Mendrisio, ripartito da un grande dolore

19.08.2025
5 min
Salva

E’ un anno importante per il Velo Club Mendrisio. Delicato. A inizio giugno è venuto a mancare Alfredo Maranesi, vera anima del team sin dalla sua rifondazione nel 1971. Anche se per l’età aveva già lasciato da tempo la presidenza era rimasto vicino al team, sempre prodigo di consigli, sempre a disposizione. Ed è fatale che ogni risultato ottenuto dai ragazzi del team elvetico abbia un pensiero rivolto a lui.

Alfredo Maranesi, storico tecnico e dirigente del Vc Mendrisio, scomparso lo scorso giugno
Alfredo Maranesi, storico tecnico e dirigente del Vc Mendrisio, scomparso lo scorso giugno

Lo stesso diesse Davide Botta, gettato nella mischia giovanissimo a farsi le ossa, accompagnato dalla fiducia del grande Alfredo, tiene che tutto il racconto di questa annata piena di gioie e dolori sia sempre con sullo sfondo la figura del suo mentore, al quale è rimasto profondamente legato. La squadra juniores, certamente un Davide di fronte a tanti Golia nelle occasioni internazionali, si sta disimpegnando bene e la vittoria di Nicola Zumsteg a Monte Cengio è stata la perla di una collezione di risultati comunque importante.

«Quella è stata una bella vittoria – sentenzia Botta – ma altri buoni risultati li ha fatti Nicholas Travella quarto alla Coppa della Pace, che comunque è una corsa internazionale, e secondo in una tappa al Tour de Bousolet in Francia. E’ chiaro che vincere sul Monte Cengio ha un certo peso, in particolare per uno scalatore come Zumsteg capace di battere gente come Cretti, un autentico specialista, perché parliamo di un ragazzo al primo anno. E’ stata una sorpresa un po’ per tutti».

Il diesse Davide Botta insieme a Zumsteg. Pur molto giovane, Botta si sta dimostrando abile nella sua gestione
Il diesse Davide Botta insieme a Zumsteg. Pur molto giovane, Botta si sta dimostrando abile nella sua gestione
La vostra è una squadra con una doppia anima, italiana e svizzera. Rispetto agli scorsi anni la componente elvetica è predominante o c’è sempre un equilibrio?

Le regole nazionali svizzere ci impongono di avere in formazione il 50 per cento più uno di atleti nazionali. Quindi noi quest’anno abbiamo 13 corridori, sono 7 svizzeri e 6 italiani. Io sono al quarto anno da direttore sportivo, più o meno è sempre stato così. La differenza è che i corridori di casa solitamente finiscono in Tudor, anche se c’è un’altra squadra di club molto forte e ben organizzata in Svizzera. In Ticino ci sono pochi corridori nelle categorie giovanili, quelli degli altri cantoni hanno squadre loro. Quest’anno ho avuto la fortuna di riuscire a prendere in squadra questo Zumsteg, ma poi ho anche un buon gruppo di corridori che fan parte della nazionale di pista come Poot e Buhlmann, il primo è stato bronzo col quartetto agli europei. Quindi abbiamo in squadra dei buoni corridori, soprattutto quest’anno dei buoni corridori svizzeri.

Il Velo Club Mendrisio, composto quasi equamente da corridori svizzeri e italiani
Il Velo Club Mendrisio, composto quasi equamente da corridori svizzeri e italiani
Sottolineavi come i ragazzi locali hanno un naturale approdo nella Tudor. E’ una differenza, anche di prospettive, fra i due gruppi e secondo te questo penalizza i nostri?

Noi come Mendrisio siamo una piccolissima formazione sia per struttura sia per budget, neanche paragonabile anche a tante realtà italiane. E’ chiaro che in Svizzera, a parte che c’è un bacino di corridori più limitato rispetto all’Italia, ci sono anche molti meno team. Quindi è un po’ più facile magari trovare il corridore buono in casa e più difficile andare a pescare il corridore italiano veramente forte, perché avrà trovato casa in team più strutturati. Quest’anno posso dire però che avere un corridore come Travella la reputo una fortuna.

Perché una fortuna?

Quando ci parlavo lo scorso anno non mi capacitavo di come fosse possibile che un corridore con quei risultati e soprattutto con quell’atteggiamento, quella maturità fosse rimasto fuori dai giochi. Come detto, una fortuna per noi… Infatti sia lui che Zumsteg il prossimo anno saranno alla Biesse Carrera.

La vittoria di Zumsteg alla Zané-Monte Cengio. L’elvetico è il prototipo del corridore-lavoratore (Photors)
La vittoria di Zumsteg alla Zané-Monte Cengio. L’elvetico è il prototipo del corridore-lavoratore (Photors)
Trovi una differenza anche di mentalità fra elvetici e italiani?

Diciamo che di base il sistema scolastico svizzero è molto diverso rispetto a quello italiano. Zumsteg ad esempio ha vinto la Zané-Monte Cengio facendo il percorso professionale: in Svizzera il ragazzo deve avere un contratto di lavoro con una ditta, quindi va a lavorare e allo stesso tempo c’è una formazione scolastica. Lui ha scelto la formazione professionale da muratore. Lavorava in cantiere 40 ore alla settimana portando avanti l’attività da ciclista la sera dopo il lavoro. Ha fatto la maturità a metà maggio, poi ha potuto iniziare a fare un po’ di più la vita da corridore, è andato ad allenarsi quasi un mese in altura, è tornato per i campionati nazionali svizzeri e al ritorno si vedeva già che era un corridore diverso.

E gli italiani?

La mentalità è un po’ diversa, perché il cammino verso la maturità è un po’ più semplice. In sintesi, in Svizzera la maggior parte dei corridori (a meno che non trovi un contratto da professionista) finita la scuola difficilmente si dedicano solo al ciclismo, portano avanti attività lavorative almeno al 50 per cento. In Italia è un po’ più difficile trovare il ciclista che lavora…

Nicholas Travella secondo in Francia. A soli 19 anni si è già fatto valere con una vittoria e 6 top 10 (foto Berjot)
Nicholas Travella secondo in Francia. A soli 19 anni si è già fatto valere con una vittoria e 6 top 10 (foto Berjot)
Prossimi appuntamenti ai quali tenete particolarmente?

Già Travella ha chiuso nella top 10 a Capodarco, poi ci aspettiamo molto domani dalla Milano-Rapallo, intanto mi è giunta notizia che Zumsteg è stato selezionato dalla nazionale svizzera per andare a fare il Tour de l’Avenir, poi Carnago, Freccia dei Vini, quindi un calendario molto intenso e spero che i ragazzi riescano a mettersi in mostra anche in queste corse.

Continuerete con questa divisione comunque tra italiani e svizzeri?

Per la Federazione Svizzera è importante che noi cerchiamo di dare spazio ai corridori elvetici, per fortuna molti svizzeri sono attratti dal mio club. Correremo tanto in Italia, perché il calendario italiano propone delle ottime corse, veramente valide. In Svizzera ci sono in un anno forse 10 corse di livello nazionale, non c’è confronto. Noi siamo una squadra piccolina, non abbiamo una sede di ritiro. Per questo i corridori italiani presi in considerazione sono quelli della zona di Como e Varese, geograficamente vicini.

Torino, la “fiesta roja” sta per cominciare

19.08.2025
5 min
Salva

Torino capitale del ciclismo. Nessuna città prima d’ora aveva ospitato in appena 476 giorni tutti i tre Grandi Giri. E la Gran Salida della oramai imminente Vuelta di Spagna segnerà un record difficile da battere. La tappa inaugurale del Giro d’Italia 2024, terminata di fronte alla Gran Madre e vinta da Narvaez, poteva sembrare abituale visto il legame tra Rcs Sport e il capoluogo piemontese. Mentre la storica vittoria di Biniam Girmay nella terza frazione del Tour de France di poco più di un mese dopo ha regalato un’istantanea difficile da ripetere.

Nel 2024, Girmay ha vinto la terza tappa del Tour a Torino e poi altre due
Nel 2024, Girmay ha vinto la terza tappa del Tour a Torino e poi altre due

Si inizia giovedì

Dall’amore infinito rosa alla marea gialla, fino ad arrivare alla passione rossa che sta cominciando a travolgere Torino nei giorni delle ferie d’agosto. I richiami alla Vuelta cominciano a far capolino soprattutto in centro, dove sono comparse diverse biciclette rosse con la scritta Torino. Così come i lanci sui social network per la grande festa che comincerà giovedì sera con la presentazione delle squadre nella cornice di Piazzetta Reale. Se per la sfilata di Vingegaard, Almeida, Ciccone e le altre stelle al via bisognerà aspettare le 19,30, lo spettacolo si aprirà alle 17. Prima con una lezione di spinning collettiva, seguita dal dj set (17,45) che farà crescere l’aspettativa per l’uscita delle 22 squadre insieme all’esibizione del cantante spagnolo Antonio Orozco.

«Il fatto che Torino abbia fatto questa scelta – commenta l’assessore allo Sport e ai Grandi Eventi, Mimmo Carretta – insieme a Regione Piemonte e a tutte le istituzioni come la Camera di Commercio e il Governo, fa parte di una strategia che vede la bicicletta al centro. Non si tratta soltanto di un appuntamento dal punto di vista sportivo. Attraverso i grandi eventi sportivi vogliamo favorire un certo tipo di mobilità, sottolineato anche dallo sforzo che si sta facendo per ampliare le piste ciclabili e le campagne che stiamo facendo su Torino. Dietro questi tre Grandi Giri nella nostra città, c’è uno sforzo organizzativo enorme. Tra l’altro la Vuelta arriva in un periodo anomalo, ma che regalerà tanto sport. A fine mese sono in programma anche i Mondiali di twirling e il torneo internazionale di volley maschile in un palazzetto di solito abituato alle manifestazioni del ghiaccio come il Palavela».

L’anno scorso sul traguardo di Torino, Narvaez ha battuto Pogacar
L’anno scorso sul traguardo di Torino, Narvaez ha battuto Pogacar

Sabato da Venaria Reale

Tornando in sella, sabato 24 agosto tutti gli occhi saranno puntati sulla Reggia di Venaria Reale. Essa fu già teatro dello start del Giro dello scorso anno, così come della cronosquadre del 2011 vinta dalla Htc-Hirghroad di Pinotti che si vestì di rosa nel cuore di Torino. Stavolta si arriverà a Novara (183 km), ma il percorso iniziale celebrerà il capoluogo piemontese, con il km 0 posto di fronte al monumento celebrativo di Fausto Coppi, dinnanzi al Motovelodromo intitolato al Campionissimo.

«Si taglierà in lungo e largo Torino – aggiunge Carretta – partendo da Venaria. La scelta di collocare il km 0 al Motovelodromo, ovvero un luogo di rinascita e rigenerazione urbana sociale e sportiva, vuole segnare la prima tappa in modo forte e iconico. L’appetito vien mangiando e vedremo cosa ha in serbo il futuro».

Davanti al Motovelodromo di Torino campeggia il monumento a Fausto Coppi
Davanti al Motovelodromo di Torino campeggia il monumento a Fausto Coppi

Libri, musica e gara di biglie

Programma fittissimo nella rinnovatissima ultracentenaria casa del ciclismo torinese di corso Casale, con la possibilità di fermarsi a seguire la tappa sul maxi schermo allestito per l’occasione. Il sabato si aprirà con la presentazione del nuovo libro di Beppe Conti “C’era una Vuelta” e si chiuderà alle 21 con il concerto dei Cane Vecchio Sa-Und, la pazza band creata dai telecronisti di Eurosport Luca Gregorio e Riccardo Magrini.

Sarà un continuo di eventi dal raduno della tribù di appassionati di Fantacycling (con tanto di gara di biglie) ad ospiti speciali come il “padrone di casa” Fabio Felline. Il vincitore della classifica della maglia verde nel 2016 e di recente tornato in gruppo, aveva annunciato il ritiro proprio al Motovelodromo nel dicembre dello scorso anno.

Lo scorso anno Felline annunciò nel Motovelodromo di Torino il ritiro, che poi è… rientrato
Lo scorso anno Felline annunciò nel Motovelodromo di Torino il ritiro, che poi è… rientrato

Una spesa di 4,5 milioni

Non solo Torino però, la festa per tutto il Piemonte durerà fino al 26 agosto. Domenica 24, infatti, la corsa spagnola proseguirà con una tappa che potrebbe già smuovere la classifica, visti gli insidiosi 157 km che da Alba portano a Limone Piemonte. Poi ancora le frazioni di lunedì 25 con la partenza da San Maurizio Canavese e il traguardo posto a Ceres (139 km). E martedì 26 con il via da Susa prima dello sconfinamento in Francia verso Voiron (192 km).

Già da diversi anni la Regione Piemonte ha puntato fortissimo sul ciclismo. Per portare questo bel pezzo di Vuelta in Italia ha investito 4,5 milioni di euro, forte del successo di pubblico del 2024, stimato in 300 mila persone per la Corsa Rosa e 75 mila per la Grande Boucle. Ricadute che, come ha dichiarato il presidente Cirio, hanno portato a un impatto economico di oltre 34 milioni (27,5 per il Giro e 6,88 per il Tour). Di fatto, sottraendo la spesa sostenuta dalle istituzioni, si è calcolato che ogni euro investito ne ha generati circa 8.

In meno di due anni, Torino ha ospitato il via del Giro, una tappa iniziale del Tour e da sabato la Vuelta
In meno di due anni, Torino ha ospitato il via del Giro, una tappa iniziale del Tour e da sabato la Vuelta

Sport, cultura e turismo

Lo scorso anno erano stati celebrati scorci come l’Alessandrino, il Monferrato o l’Astigiano. Questa volta la Regione ha voluto valorizzare terre come il Canavese, le Valli di Lanzo, il Novarese e la parte di “Provincia Granda” del Cuneese non coinvolta nel 2024.

«Ospitare la partenza ufficiale della Vuelta di Spagna 2025 – dichiara Cirio – rappresenta per il Piemonte un’occasione straordinaria di visibilità globale. E‘ anche un riconoscimento al nostro impegno nel promuovere lo sport e il territorio. Dopo il Giro e il Tour, con questa tappa completiamo un percorso che conferma la nostra regione come polo internazionale di eccellenza ciclistica. Sarà un evento che unirà sport, cultura e turismo. Capace di valorizzare le nostre bellezze naturali, storiche ed enogastronomiche. E offrendo a milioni di telespettatori nel mondo la possibilità di scoprire il Piemonte in tutta la sua unicità». La fiesta roja è appena cominciata.

Tre anni con la Groupama: il giovane Milan si mette in proprio

18.08.2025
5 min
Salva

La notizia che Matteo Milan lascerà l’ambiente Lidl-Trek per un contratto triennale nel WorldTour con la Groupama-FDJ è stata fra quelle che è passata nei giorni alla vigilia di Ferragosto. Il cambiamento è importante e fa capire che il giovane friulano, 22 anni e ottimi numeri, abbia scelto di investire su se stesso (in apertura, l’immagine ufficiale della vittoria a Jons nell’Alpes Isere Tour).

Nella Lidl-Trek che ha già Mads Pedersen e suo fratello Jonathan, l’unico spazio possibile sarebbe stato probabilmente il treno di uno dei due. E forse prima di mettersi a tirare le volate per altri, Matteo vorrà provare a farle per sé. Non è un mistero che la Groupama, chiuso il capitolo Demare, volesse rifondare il settore velocità, per questo lo scorso anno era stato sondato anche Daniele Bennati. Investire sul giovane friulano è il segnale che l’obiettivo rimane.

La scelta della Groupama è stata di Matteo, dopo aver consultato la famiglia: il fratello Jonathan, la madre Elena e il padre Flavio
Insomma Matteo, dopo l’inglese, ti toccherà imparare anche il francese?

Eh sì, ci sto provando (ride, ndr), ho già iniziato a studiarlo. Sarà un’esperienza nuova, una lingua nuova, un obiettivo che mi sono posto per i prossimi anni.

Come è andata? Tre anni di WorldTour sono un bel margine di sicurezza…

Era una mia piccola richiesta. Qualunque fosse la squadra, avrei voluto un contratto lungo. Non si tratta di avere meno pressioni, perché quelle ci saranno in ogni caso, piuttosto si tratta di non avere troppa fretta nel fare le cose. Due anni nel WorldTour passano facilmente. Il primo serve per ambientarsi e scoprire nuove corse. L’anno dopo sei già lì a dover fare risultato perché devi rinnovare il contratto. Non volevo ritrovarmi con l’acqua alla gola già dal secondo anno e la mia visione ha coinciso con quella della squadra. Cioè fare un nuovo step con un velocista giovane, in un gruppo di corridori giovani.

Si vuole ricreare il gruppo degli uomini veloci?

Vogliono riassortire il reparto. Io nel frattempo ho un po’ rivisto il mio identikit di corridore, dopo qualche mese in cui facevo fatica a trovare una dimensione precisa. Dall’anno scorso ho un po’ cambiato me stesso e ho preso la direzione di diventare velocista, anche perché i risultati portavano a quello. Le mie sensazioni erano migliori nelle volate e quindi mi sono detto di puntare su questo, sapendo che però tengo un po’ meglio in salita. Riesco ad arrivare con gruppi più selezionati, in cui le volate posso essere diverse da quelle di gruppo compatto. Credo di poter diventare un velocista completo.

Lasci la Lidl-Trek in cui sei cresciuto: una scelta difficile?

Il mio obiettivo era trovare la strada e la Groupama mi ha offerto l’opportunità di cercarla, assecondando e condividendo l’idea di percorso che ho sulla mia carriera. Hanno visto in me del buono, sono arrivati veramente in piena. Hanno spinto per avermi, forse perché hanno visto che in Francia ho fatto dei buoni risultati. La squadra punta alle corse di casa, hanno forte l’appartenenza al ciclismo francese e hanno voluto un corridore che possa fare bene anche sui loro percorsi.

Tre anni di WorldTour sono un bel contratto, ma anche un bell’impegno. Dove credi di dover crescere per sopportare bene l’impatto?

Secondo me sarà importante avere un buon feeling con la squadra e con i corridori: alla fine, è tutto quel che serve. Ci sono velocisti e velocisti. Qualcuno ha bisogno di meno supporto, qualcuno di più. Io devo ancora capire quello che sono. Per i prossimi anni cercherò di essere supportato il più possibile dalla squadra. E se trovi corridori affiatati che come te vogliono fare il meglio in volata e si crea un bell’ambiente, sicuramente si fa uno step in più e magari si diventa anche più veloci.

Jonathan ti ha aiutato nella scelta? Ne avete parlato?

Certo che mi ha aiutato. Mi ha aiutato lui, come tutta la famiglia, anche se poi la scelta finale ovviamente l’ho fatta io. Un punto di vista esterno ci sta sempre bene e mio fratello mi ha aiutato anche in questo. Vedevo che la Groupama è una delle squadre più solide, che esiste da tanto e negli anni ha avuto dei buonissimi velocisti come Demare. Io da parte mia ho questa attitudine per le volate e anche per le classiche e i nostri progetti si sono sposati.

Il 2025 si concluderà con la Parigi-Tours U23: lo scorso anno ci fu la coda degli europei gravel di Asiago (foto Paris Tours Espoirs)
Il 2025 si concluderà con la Parigi-Tours U23: lo scorso anno ci fu la coda degli europei gravel di Asiago (foto Paris Tours Espoirs)
Hai parlato direttamente con Madiot o con Philippe Mauduit?

Con Philippe, si occupa lui della gestione sportiva. Mi sono tanto affidato a lui, anche perché parla bene anche l’italiano, e al fratello di Pinot che segue la preparazione.

Come proseguirà ora la tua stagione?

Ho il mio programma con la Lidl-Trek. La prossima corsa sarà il Tour Poitou Charentes dal 26 agosto. Poi farò il Giro del Friuli e tutta la parte finale con le classiche italiane, il Piccolo Lombardia, la Coppa Città di San Daniele e la Paris-Tours U23.

In allenamento vi capiterà di sfidarvi di certo, immagini che il prossimo anno potresti ritrovarti in volata contro Jonathan il grande?

Spero magari di non trovarmici da subito (ride, ndr). Magari sarebbe meglio all’inizio fare un paio di corse differenti, giusto per avere il tempo di ambientarmi e prendere le misure. Però sarà divertente. Lo sto studiando negli allenamenti che ogni tanto facciamo insieme. Sto studiando la tattica per battere mio fratello…

Secondo Grande Giro? Per Bartoli conta più la testa che i numeri

18.08.2025
4 min
Salva

Si avvicina la Vuelta e sempre più corridori di conseguenza si apprestano ad affrontare il secondo Grande Giro stagionale. Per la maggior parte si tratta di Giro d’Italia e Vuelta, ma per alcuni anche di Tour de France e Vuelta. C’è chi si è mostrato già in buona condizione, come Giulio Pellizzari, e chi invece sta cercando di recuperare al meglio, come Jonas Vingegaard.

Recuperare, stare al meglio: quali sono i parametri fisici che variano tra il primo e il secondo Grande Giro? Che differenze ci sono tra chi ha corso prima in Italia e poi in Spagna e chi in Francia e poi in Spagna? Ne abbiamo parlato con il coach Michele Bartoli.

Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Quali parametri, variano tra i due Grandi Giri, Michele? E cosa guarda il preparatore?

In primis contano le qualità dell’atleta. Puoi essere un bravo allenatore, ma se il corridore non è capace di recuperare e di riallenarsi, nel mese che passa fra un Grande Giro e l’altro, il castello crolla. Se invece hai un atleta reattivo, che in una settimana-dieci giorni recupera fisicamente, allora può ripartire subito con i lavori aerobici, magari un po’ di interval training VO2 Max appena prima del secondo Grande Giro, per riattivare tutti gli aspetti metabolici.

E se invece all’atleta servono più di 10 giorni di recupero?

In quel caso i tempi di ripresa sono più stretti e tutto diventa più difficile. Questo vale soprattutto se parliamo di Tour e Vuelta. Invece se parliamo di Giro e Vuelta, alla fine la preparazione rimane simile a quella del Giro. Dopo il Giro d’Italia c’è più tempo per scaricare e riprendere: la differenza non è fisica, semmai mentale, perché affrontare due Giri nello stesso anno pesa soprattutto sulla testa.

Dal punto di vista fisico, cosa può cambiare nel secondo Grande Giro? Magari si arriva un filo più magri? O al contrario svuotati dal caldo?

No, oggi più che mai i valori sono quelli. Semmai parliamo di differenze minime in più o in meno. Ho atleti che fanno Giro e Vuelta e si presentano allo stesso livello di peso e condizione. Nel secondo Grande Giro subentra soprattutto il fattore mentale, la capacità di sopportare la fatica. Perché è sempre il secondo Grande Giro in un anno, e questo pesa.

Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
E a livello strettamente fisiologico?

Oggi praticamente nulla. Lavoro molto a stretto contatto con il nutrizionista e da quel punto di vista gli equilibri cambiano poco. Una volta sì, perché non c’erano tutte queste informazioni, metodi di misurazione, software. Oggi invece si gioca a carte scoperte, con tanti strumenti che permettono di monitorare bene l’atleta. Certo, ci vuole la bravura di allenatore e nutrizionista, non è semplice, ma se conosci bene i tuoi corridori, due Grandi Giri a grande distanza non sono un problema.

Quindi il problema principale è tra Tour e Vuelta?

Esatto. In quel caso le tempistiche sono molto ridotte e il margine di errore è minimo: un imprevisto si paga. Per questo chi esce male dal primo, se ha in programma il secondo, spesso conviene che tiri una riga e si concentri direttamente sulla seconda corsa. Finire un Grande Giro non sempre è utile, se il rendimento è compromesso: meglio fermarsi prima, se si può, e ripartire.

C’è differenza tra un atleta giovane e uno esperto nel fare il secondo Grande Giro?

Preferisco l’esperto, perché sa dare feedback migliori e riduce il rischio di errori. Ma oggi, con il supporto dei dati, anche un giovane può gestirsi bene. L’importante è che sia motivato. Se invece manca la voglia di fare sacrifici, la testa diventa un problema serio.

Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
E per chi non fa alcun Grande Giro?

Per un giovane il danno è maggiore, perché un Grande Giro aiuta a raggiungere un equilibrio atletico solido. Non farlo è un’occasione persa di crescita. Diverso per un atleta esperto come Damiano Caruso, che ha già un fisico assodato: un anno senza Grande Giro non gli cambia molto, anzi può guadagnare freschezza. Per il giovane invece pesa di più, anche se comunque si lavora tanto in allenamento e non è un disastro.

Dopo una Vuelta, la preparazione invernale riparte da una base migliore?

Sì, sicuramente la base di partenza è più alta e più solida. Su questo sono d’accordo: è un vantaggio.

E’ più difficile preparare Giro e Tour o Tour e Vuelta?

Credo sia più difficile Giro e Tour, perché il Tour è il più duro e viene come secondo Grande Giro. La Vuelta, pur essendo esigente, ha tappe più regolari, meno stress e strade più ampie.

EDITORIALE / La grande famiglia del ciclismo, il delirio dell’UCI

18.08.2025
4 min
Salva

La grande famiglia del ciclismo. Per fare digerire ai team WorldTour la sperimentazione improvvisata dei gps di sicurezza e giustificarne poi la squalifica, l’UCI ha attinto a questa raffigurazione retorica che negli anni ha assunto svariate connotazioni.

I politici di Losanna hanno infarcito il ciclismo di così tanta burocrazia e regole, che sentire un appello alla famiglia suona davvero insolito. In base a quale logica, nel ciclismo dei millimetri e delle sanzioni fiscalissime, si possono sperimentare i segnalatori GPS senza un protocollo approvato? Si sbandiera il rigore scientifico e poi si chiede una sperimentazione fatta a pane e salame? Dov’e l’oggettività se devono essere le squadre a scegliere il campione? E in base a quale regolamento si possono squalificare le atlete della squadra che si sia rifiutata di indicarne una?

Milan vince, Consonni dietro festeggia: da quest’anno l’esultanza per il compagno che vince è punita
Milan vince, Consonni dietro festeggia: da quest’anno l’esultanza per il compagno che vince è punita

La grande famiglia

La grande famiglia del ciclismo è un un luogo di cui l’UCI non fa parte ormai da tanti anni. Era una delle espressioni favorite di José Miguel Echavarri, lo storico mentore di Indurain e della grande Banesto da cui oggi è nato il Team Movistar. E anche lui ne ammise la fine nei giorni dello scandalo doping al Tour del 1998. Anche in quel caso tuttavia il ricorso alla famiglia ebbe uno strano suono. Quasi fosse stata negli anni il tacito accordo per tenere al sicuro i segreti inconfessabili.

Una forma di famiglia esiste a livello nazionale. Per questo in Italia ci si preoccupa delle società di base. Della difficoltà di trovare squadra per gli allievi e per gli U23. Del criterio con cui i ragazzi arrivano al professionismo e di quelli che a 18 anni partono verso squadre juniores all’estero. E’ il motivo per cui si chiede alla Federazione di studiare contromosse che tutelino il movimento nazionale. I connotati della famiglia ci sono ancora, ma essa rischia di trasformarsi in un far west per difendersi dalle tante spinte centrifughe. Ed è il motivo per cui, al momento della rielezione, dedicammo un Editoriale al presidente Dagnoni. Sottolineammo come avesse davanti quattro anni decisivi per guidare il movimento sulla giusta strada. Se vuole, su questa strada saremo al suo fianco.

Josè Miguel Echavarri è stato il maestro di Unzue, il fondatore della grande Banesto di Indurain (foto Cadena Ser)
Josè Miguel Echavarri è stato il maestro di Unzue, il fondatore della grande Banesto di Indurain (foto Cadena Ser)

Tutti contro tutti

Che cosa c’entra oggi il richiamo dell’UCI alla grande famiglia del ciclismo se il ciclismo stesso è stato trasformato in una lotta di tutti contro tutti? Di squadre contro le altre, per paura della retrocessione e per scovare budget maggiori (impossibile non notare il rifiuto di introdurre la divisione dei profitti di tutti gli attori sulla scena). Cosa volete che gliene importi a una squadra WorldTour se la professional di turno non trova i soldi per andare avanti? Di atleti contro gli atleti, con gli sconfitti che puntano il dito contro la forma fisica di chi ha vinto. Di agenti contro gli agenti, per piazzare il maggior numero di corridori. Dei media contro i media, per scrivere le notizie più ad effetto. Dell’UCI contro le federazioni nazionali: come definire altrimenti l’imposizione di calendari sempre più costosi? E da ultimo dell’UCI contro gli atleti. Prima pretende di ingabbiarne i gesti e poi decide di squalificare 30 lavoratrici dipendenti (le 30 atlete del Romandie) per punire le loro squadre.

Dopo l’esclusione di 5 squadre senza un regolamento UCI che la prevedesse, il Romandie Feminin è partito con 30 atlete in meno
Dopo l’esclusione di 5 squadre senza un regolamento UCI che la prevedesse, il Romandie Feminin è partito con 30 atlete in meno

E’ ancora ciclismo?

Caro David Lappartient (il presidente dell’UCI è in apertura con Ferrand Prevot), la sua gestione sta trasformando il ciclismo in qualcosa che non è mai stato. Migliore o peggiore? Non è un fatto di gusti, ma di cose che non funzionano. Se mai fosse esistita la grande famiglia del ciclismo e avesse avuto dei padri con i piedi nella storia e il cervello nel futuro, il suo posto dalla tavola sarebbe stato già tolto da un pezzo. Questa non è più una famiglia e forse non lo è mai stata. Questo non è più il ciclismo che ha fatto la storia e siamo certi che prima lo fosse davvero.

Matteo, non più “l’altro Turconi”. Arriva un nuovo scalatore

18.08.2025
5 min
Salva

Mai considerarlo “l’altro Turconi” non è più il caso. Perché Matteo Turconi si sta costruendo la propria strada e al suo secondo anno junior è ormai un riferimento per la categoria, se si considera che ha portato a casa nella stagione 5 vittorie, tutte inserite nel calendario nazionale. A queste si aggiungano 12 Top 10 con presenze sul podio anche in gare a tappe come la classifica finale del Giro d’Abruzzo. Un corridore completo, con l’instinct killer giusto per emergere anche nelle categorie superiori.

L’impressione è quella di un ragazzo che non solo vuole affrancarsi dall’ombra del fratello Filippo e non solo (sua madre Moira Tarraran ha fatto il Giro d’Italia nel 1999, suo zio è Stefano Zanini che non ha certo bisogno di presentazioni) ma che abbia dentro qualcosa in più, una straordinaria voglia di emergere.

Matteo insieme a suo zio Stefano Zanini, vincitore dell’Amstel nel ’96 e oggi diesse alla XDS Astana
Matteo insieme a suo zio Stefano Zanini, vincitore dell’Amstel nel ’96 e oggi diesse alla XDS Astana

«Forse viene da come sono andate le cose nell’anno scorso, il mio primo da junior – racconta il corridore della Bustese Olonia – la stagione non era andata come speravo, avevo ottenuto poco. Anch’io sono stupito positivamente da come sta andando, perché 5 vittorie non le avevo mai fatte neanche nelle categorie precedenti ma io guardo anche al fatto di fare tante gare di alto livello come quella di domenica scorsa. Ho anche ottenuto altri piazzamenti, quindi devo dire che sono veramente contento di come sta andando».

La tua vittoria principale, quella che ti ha dato più soddisfazione e ha fatto salire di livello la tua stagione?

Per me è stato importante il campionato regionale, anche se magari tra tutte era quello col livello più basso, ma è comunque un titolo che dà importanza. Anche se quella che magari mi è piaciuta di più è quella di sabato scorso, il Memorial Salvatico perché c’era tanta salita e mi sono potuto esprimere al meglio. Poi devo dire anche quella al Pistolesi, perché comunque è su una salita che faccio spesso in allenamento perché vicino a casa mia.

Per Turconi già 5 vittorie in stagione, tutte in gare nazionali. Ora punta alla convocazione azzurra (foto Instagram)
Per Turconi già 5 vittorie in stagione, tutte in gare nazionali. Ora punta alla convocazione azzurra (foto Instagram)
Che differenze ci sono con tuo fratello dal punto di vista tecnico?

Secondo me anche come caratteristiche siamo più o meno simili. Forse lui è più scattoso e io un po’ più regolarista, salgo sul passo. Abbiamo due stili diversi ma entrambi possiamo considerarci degli scalatori.

E quanto conta avere Filippo come riferimento attuale nel ciclismo, cioè un fratello che gareggia nella categoria superiore?

Non nascondo che è un vantaggio, sicuramente conta tanto cioè avere uno che può darti consigli perché c’è già passato da poco e comunque sta dimostrando anche nelle categorie superiori che sa dire la sua. Diciamo che mi ritengo fortunato anche perché con lui ho un ottimo rapporto, molto amicale.

Foto di gruppo con la Bustese Olonia dopo la conquista del titolo lombardo a Manerba del Garda
Foto di gruppo con la Bustese Olonia dopo la conquista del titolo lombardo a Manerba del Garda
Tu hai avuto occasione di vedere gareggiare tua madre e tuo zio?

No, perché mia mamma si è ritirata prima della nostra nascita, mentre mio zio forse ha fatto qualche gara quando ero nato, ma ero così piccolo che neanche posso ricordarmi. Però ho sentito un po’ di racconti delle sue imprese, ho visto qualcosa sui social di quando correva.

E che cosa pensi quando senti quei racconti, quel loro ciclismo che dicono tutti essere così diverso da quello che viviamo adesso e che vivete voi ragazzi?

A me devo dire che tutti i racconti di mio zio mi affascinano. Mi ritengo anche fortunato ad avere uno zio come lui, che ha fatto corse e soprattutto vinto corse di altissimo livello, che può darmi consigli. I suggerimenti di un familiare magari sono diversi dai consigli che può darti uno dello stesso settore, che non ha un legame, perché lo fa con il cuore. Parliamo di una persona che anche oggi è nel vivo dell’attività, che sa come si vive in quell’ambiente, è un riferimento a prescindere dal team dove lavora lui e dove posso militare io.

Lo scalatore lombardo è pronto al passaggio di categoria, puntando a traguardi importanti nelle prove più impegnative
Lo scalatore lombardo è pronto al passaggio di categoria, puntando a traguardi importanti nelle prove più impegnative
Con una madre che ha fatto il Giro d’Italia e con uno zio come Zanini, la vostra strada era un po’ obbligata verso il ciclismo?

Sicuramente quello ha contribuito, ma è stata una passione che è cresciuta dentro di noi, non ci siamo mai sentiti costretti. Diciamo che in casa si è sempre respirato ciclismo, anche mio padre ha corso fino ai dilettanti. L’ambiente era quello, ci ha coinvolto, ma poi abbiamo continuato esclusivamente per nostra volontà e seguiamo la nostra strada, prendendo sì i consigli ma decidendo noi.

Adesso cosa ti aspetta nella seconda parte di stagione?

Arrivano 5 settimane di fuoco, dalla corsa di Sestriere e poi due classiche internazionali come Vertova e Paganessi, che non so se farò entrambe. Spero in una convocazione per il Lunigiana e il Trofeo Buffoni per riuscire a essere convocato al campionato europeo, che mi dicono essere molto duro e quindi adatto alle mie caratteristiche.

Matteo e Filippo Turconi si ritroveranno insieme dal prossimo anno alla VF Group Bardiani
Matteo e Filippo Turconi si ritroveranno insieme dal prossimo anno alla VF Group Bardiani
E l’anno prossimo?

Raggiungerò mio fratello alla VF Group Bardiani. Il fatto che lui era già lì ha pesato nella mia scelta, vedo come si sta trovando, la squadra mi ha fatto veramente una buona impressione. E poi correre con mio fratello è una cosa che io ho sempre voluto, ma con due anni di differenza non era mai stato possibile fare. Già questo è un sogno che si realizza…