Paret-Peintre, il re del Ventoux ha fiutato l’Angliru

25.08.2025
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TORINO – Se sei francese e arrivi a braccia alzate sul Mont Ventoux al Tour, la tua vita non sarà mai più la stessa. Valentin Paret-Peintre sa bene che quell’istantanea dello scorso 22 luglio rimarrà per sempre scolpita nella sua mente e nella storia dello sport transalpino. Però, al tempo stesso, non è nemmeno tipo da sedersi sugli allori e ha già nel mirino la prossima impresa.

Suo fratello maggiore Aurélien ne aveva predetto l’ascesa quando ancora non si era affermato al Giro ed aveva ragione, forse perché conosceva bene la sua caparbietà. Dopo la fuga vincente di Cusano Mutri nel 2024 e l’apoteosi in cima al colosso provenzale, ora il ventiquattrenne della Soudal-Quick Step è alla Vuelta con un solo obiettivo: chiudere il cerchio e imporsi anche nella corsa spagnola. Diventando così uno dei corridori capaci di trionfare in almeno una frazione in ciascuna delle corse di tre settimane. E visto che ama sognare in grande, Valentin fa l’occhiolino a un’altra salita mitica di questa edizione.

Sul Mont Ventoux, Paret Peintre ha avuto ragione di Healy con l’ultimo scatto
Sul Mont Ventoux, Paret Peintre ha avuto ragione di Healy con l’ultimo scatto
Valentin, quanto è cambiata la tua vita dopo la vittoria in una tappa così iconica al Tour de France?

In Francia è stato qualcosa di pazzesco, ma forse ancora di più per Paesi come il Belgio. Lì magari conoscono solo il Mont Ventoux o poche altre salite del Tour, per cui per loro ha un significato persino maggiore. La mia vita è cambiata moltissimo. Mentre mi alleno, mi è capitato che alcune volte qualche macchina mi abbia superato e si sia fermata a bordo strada solo per fotografarmi e devo dire che è davvero folle.

Ora che è passato un po’ di tempo, ci racconti a freddo che cosa ha voluto dire per te?

Ho provato spesso a pensare ad altro e a non rimanere troppo legato a quel giorno o alle vibrazioni positive che mi ha lasciato l’ultimo Tour de France, ma a volte è impossibile. Mi capita di vedere qualche video sui social, magari per caso, e quello che provo è ancora speciale, pure a distanza di settimane. E’ stato dieci volte più grande rispetto a vincere al Giro, anche perché non dovevo nemmeno correre il Tour e poi ero lì per aiutare Remco. Dopo il suo ritiro, ho avuto maggiore libertà, ma non avrei mai pensato di vincere una tappa al Tour nella mia vita, tantomeno di riuscirci così presto. 

Tuo fratello aveva detto che saresti arrivato e così è stato. E adesso?

Ora il mio obiettivo è di vincere anche alla Vuelta, così da entrare nel club ristretto dei corridori che sono riusciti a lasciare il segno in tutti e tre i Grandi Giri. Vincere al Giro o al Tour è stato davvero stupendo, forse stavolta sarà persino più facile, se posso dirlo. Non mi aspettavo di vincere così presto al Tour de France, per cui ora sono davvero convinto di avere le carte in regola per chiudere la mia personale trilogia.

Giro d’Italia 2024, a Cusano Mutri il filiforme Valentin Paret Peintre vince con 29″ su Bardet
Giro d’Italia 2024, a Cusano Mutri il filiforme Valentin Paret Peintre vince con 29″ su Bardet
Oltre a puntare alla vittoria di tappa aiuterai anche il tuo compagno di stanza Mikel Landa?

Con lui siamo grandi amici. Vediamo come si sentirà nei primi giorni e valuteremo se potrà puntare a un piazzamento nella classifica generale o se anche lui metterà nel mirino qualche vittoria di tappa. La prima settimana sarà cruciale per capire quale sarà la miglior tattica da adottare.

Hai messo nel mirino qualche frazione in particolare?

Alla Vuelta è tutto molto più aperto e bisogna cogliere ogni opportunità che si presenta davanti. Certo, non sarebbe per niente male vincere al Ventoux e sull’Angliru nello stesso anno, ma sarà dura riuscirci. 

Trovi che la Vuelta sia molto diversa dagli altri due Grandi Giri?

Sì, decisamente e l’ho già notato l’anno scorso. Devi sempre attivare la “modalità attacco” perché non si sa mai cosa può succedere, anche nelle tappe più piatte. E’ una lotta ogni giorno e ogni tappa può essere quella giusta.

Sei pronto all’accoppiata Tour-Vuelta dopo aver corso Giro e Vuelta l’anno passato?

Adoro le corse di tre settimane, sono il mio pane. Sono convinto di recuperare molto più velocemente rispetto a tantissimi altri e mi sento sempre benissimo nelle ultime frazioni. Nei Grandi Giri, mi guardo attorno e vedo tutti che sentono la fatica, mentre io miglioro giorno dopo giorno e mi automotivo. Questa è la cosa che mi piace di più.

Valentin Paret Peintre, classe 2001, è pro’ dal 2022: 1,78 per 52 kg da quest’anno è alla Soudal
Valentin Paret Peintre, classe 2001, è pro’ dal 2022: 1,78 per 52 kg da quest’anno è alla Soudal
Sei pronto anche per indossare la maglia della nazionale francese sul finale di stagione?

Devo dimostrare nella Vuelta quanto valgo e mi piacerebbe partecipare al mondiale, ma anche all’Europeo, visto che correremo in Francia, a circa due ore da casa mia. Entrambi i percorsi si addicono alle mie caratteristiche, per cui farò di tutto per essere selezionato. Ho parlato con Thomas Voeckler e lui è curioso di vedere come arriverò all’ultima settimana della Vuelta.

In generale, come ti sei trovato con la nuova casacca?

Devo dire che tante piccole cose sono cambiate rispetto al passato. Nel Wolfpack si parte sempre per vincere, in ogni corsa, e adoro quest’attitudine, che si addice di più a me. Ci prendiamo anche dei rischi per inseguire il successo a tutti i costi, mentre alla Decathlon AG2R non accadeva così. 

Tornerai al Giro l’anno prossimo?

Spero proprio di sì, è una corsa che adoro. La mia fidanzata vive sul versante francese del Moncenisio, per cui mi alleno spesso anche sul versante italiano e mi piace molto. Dopo il Tour, sono stato in Italia per alcuni allenamenti e mi è piaciuto che quasi ogni ciclista che mi ha incrociato mi abbia gridato: «Ehi, Paret-Peintre, complimenti!». E’ un po’ la mia seconda casa. Inoltre, qui c’è una grande conoscenza del ciclismo e lo si vede anche con questa partenza della Vuelta da Torino. Sono felicissimo di avere tanti tifosi italiani così calorosi.

EDITORIALE / Da Apeldoorn la ricetta perché tutto riparta

25.08.2025
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La trasferta iridata di Apeldoorn è stata un trionfo azzurro. Lo scorso anno il bilancio parlò di tre ori e un bronzo. Quest’anno la spedizione è tornata a casa con 6 ori, 3 argenti e 4 bronzi: 13 medaglie, che hanno collocato l’Italia al primo posto del medagliere.

Matilde Cenci nel chilometro da fermo e nel keirin (foto UCI in apertura). Trevisan, ancora Matilde Cenci, Campana e Fiscarelli nel team sprint. Colombo, Cornacchini, Magagnotti, Matteoli e Federico Saccani nell’inseguimento a squadre. Ancora Magagnotti nell’inseguimento individuale, Chantal Pegolo nell’eliminazione. Questi gli ori di Apeldoorn, seguiti dagli argenti di Jacopo Vendramin nell’eliminazione, di Julian Bortolami e Riccardo Colombo nella madison, di Linda Sanarini, Matilde Rossignoli, Elisa Bianchi, Alessia Orsi ed Erja Giulia Bianchi nell’inseguimento a squadre. Infine i bronzi, con Vendramin nell’omnium e nello scratch, Matilde Cenci nello sprint e Magagnotti nel chilometro.

«Oltre ai doverosi complimenti ad atleti e società – ha commentato il presidente FCI Dagnoni – ci tengo a ringraziare tutti i tecnici e lo staff della Nazionale, che da tempo lavora in perfetta sinergia, permettendo ogni anno di raggiungere obiettivi sempre maggiori. Credo che la continuità tecnica sia uno dei segreti. Abbiamo impostato il lavoro quattro anni fa credendo in questi tecnici e da allora non ci sono stati cambiamenti sostanziali. Questo ha permesso a ognuno di lavorare con tranquillità. L’armonia che regna nelle nostre Nazionali consente agli atleti di esprimersi al meglio e di crescere tecnicamente».

WorldTour e devo team

Tempo fa scrivemmo in un Editoriale che la WorldTour italiana esiste ed è il gruppo della pista. Marco Villa era ancora al comando e la sua programmazione, che prosegue oggi in continuità, ha permesso negli anni di arrivare a titoli olimpici e mondiali fra le donne e fra gli uomini. Una struttura nata nella precedente gestione federale e che, opportunamente potenziata, lavora nella continuità cui fa riferimento il presidente Dagnoni.

L’inserimento di Dino Salvoldi alla guida degli juniores e ora della pista maschile è stato un’intuizione geniale di cui va riconosciuto il merito. Il potenziamento del team performance e il coinvolgimento sempre maggiore di Diego Bragato nella gestione degli atleti si sta rivelando un’altra mossa vincente. Ne consegue che se il gruppo degli elite è la WorldTour, le nazionali U23 e juniores sono il degno devo team, che lavora in modo coerente con i metodi del vertice. I risultati di Anadia e ora di Apeldoorn ne sono la testimonianza.

E qui il discorso si sposta al resto del ciclismo italiano, che fa fatica ed è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia quella fatica andrebbe forse riletta alla luce di altre consapevolezze per le quali il ruolo federale potrebbe non essere così impattante. Proviamo a spiegarci, tornando al periodo del Covid da cui tutto è cominciato. Prima era diverso, magari già avviato lungo una china da non sottovalutare, ma diverso. Scusate il paragone in apparenza contorto: se avrete la pazienza di seguirci, magari alla fine ci troveremo d’accordo.

Fra Covid e programmazione

Quando la pandemia travolse tutto e tutti e ci si accorse che la bicicletta era il solo modo per sfuggire al lockdown, fu evidente che alcuni negozi fossero pieni di pezzi da vendere, mentre altri erano a secco. Erano i più piccoli, quelli che andavano avanti con le regole di una volta e non erano stati in grado – per incapacità o mancanza di cultura specifica – di attuare la programmazione degli ordini che la crisi aveva reso indispensabile. Negli anni quei piccoli negozi hanno chiuso e sono rimasti in piedi le strutture più grandi.

Nelle squadre è accaduto o sta ancora accadendo la stessa cosa. Il ciclismo giovanile, che per decenni è andato avanti con il volontariato, si è trovato davanti a strutture più organizzate, che dall’estero hanno mostrato una superiore capacità di organizzazione e pianificazione. Squadre nate con budget superiori oppure capaci di attrarre risorse grazie a strutture nuove e senza troppi vincoli con il passato. In una vita precedente, qualcuno raccomandò di tenere lontani i manager dalle squadre, senza capire che così facendo si stava condannando il ciclismo italiano all’estinzione.

Chi ha capito è riuscito ad attuare una conversione, infilandosi nel binario che porta verso il futuro. L’esempio del Cycling Team Friuli e a breve della Biesse-Carrera (in procinto di entrare nell’orbita Cofidis, sia pure non come devo team) ne sono un valido esempio. Chi ha deciso di resistere sulla vecchia strada purtroppo ha dovuto rassegnarsi alla chiusura. L’esempio della Zalf Fior è una ferita ancora dolorosa.

Il settore velocità sta decollando, la conferma di Apeldoorn: qui il ct Ivan Quaranta assieme a Matilde Cenci (foto UCI)
Il settore velocità sta decollando, la conferma di Apeldoorn: qui il ct Ivan Quaranta assieme a Matilde Cenci (foto UCI)

Il ruolo della Federazione

La Federazione in tutto questo ha un ruolo? Probabilmente non avrebbe potuto scongiurare il tracollo di quel mondo. Semmai una responsabilità superiore ce l’ha probabilmente chi in precedenza si è accontentato di gestire senza programmare, gettando il seme sulla sabbia o in mezzo ai rovi. Se oggi qualcosa si può fare è prendere in mano il movimento, dargli una forma e guidare il futuro, nella stessa direzione adottata con le nazionali. Non può essere la Federazione ad attrarre i budget per le società, ma può esigere che chi guida il ciclismo di base sia davvero qualificato. Bene il volontariato, a patto che non diventi l’alibi per restare fermi. La Federazione può e deve vigilare sulla corretta gestione dei ragazzi più giovani. Coinvolgendo persone innamorate e competenti come Mario Chiesa, per fare un esempio, che proprio qui ha di recente denunciato le esagerazioni che non portano a niente.

Ecco, se qualcosa ci sentiamo di chiedere alla Federazione del presidente Dagnoni, prima di stringergli la mano per i risultati ottenuti ad Apeldoorn e Anadia, è di uscire dalla logica dei voti nel cui nome si accetta di non crescere. Di modificare lo statuto e dare voce a chi avrebbe davvero le competenze per far ripartire il nostro ciclismo. Di impegnarsi sul territorio e nelle scuole, per raccontare la potenza educativa, ecologica e sociale di questo sport. Solo qualificando chi opera nel ciclismo si può sperare che lo sport torni appetibile. E che il meccanismo virtuoso si rimetta in moto.

Per Ponomar un anno complicato, ma Peschi ci crede ancora

25.08.2025
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I risultati non dicono sempre tutto. Prendiamo ad esempio la stagione di Andrii Ponomar e della Petrolike. In particolare la presenza della squadra messicana alla Volta a Portugal che già di per sé è una gara atipica, articolata su 10 giorni, una delle più lunghe in assoluto al di fuori dei grandi giri. Guardi il cammino del team, noti che l’ucraino è uscito di gara dopo 5 tappe e pensi che sia stato un altro capitolo negativo della sua carriera. Nulla di più sbagliato, ma per capirlo bisogna ascoltare, conoscere.

La squadra messicana al via della Volta a Portugal. Ponomar si era messo in luce nella prima parte
La squadra messicana al via della Volta a Portugal. Ponomar si era messo in luce nella prima parte

Al ritorno dal Portogallo Andrea Peschi, diesse alla guida dell’ammiraglia nell’occasione lusitana, fa il punto e traccia un bilancio che, per il team, è positivo e illuminato dal successo di tappa dell’immancabile Jonathan Caicedo: «E’ una gara impegnativa, dove ci sono quasi tutti i giorni dai 35 ai 40 gradi, un caldo pazzesco. E dove le squadre portoghesi vanno molto forte, perché in base a risultati che fanno durante la Volta ao Portugal dipende tanto il loro sopravvivere, il budget che avranno. Noi è il secondo anno che partecipiamo, è andata bene sotto certi punti di vista perché abbiamo vinto la tappa più importante con Jonathan e abbiamo chiuso settimi in classifica con Cadena».

Non tutto però ha funzionato a dovere…

Effettivamente dall’altro lato della medaglia c’è che l’abbiamo terminata in 3 sui 7 con i quali siamo partiti. Due ragazzini giovani alla lunga sono crollati e Ponomar che era uno dei corridori sui quali puntavamo ha fatto una bruttissima caduta in discesa, fortunatamente senza gravi conseguenze. Peccato, perché sembrava essere in condizione, aveva anche tentato una bella fuga solitaria nella seconda frazione e ci avrebbe fatto divertire con il passare dei giorni.

L’ucraino sul podio del Giro dell’Appennino, chiuso al secondo posto dietro Ulissi
L’ucraino sul podio del Giro dell’Appennino, chiuso al secondo posto dietro Ulissi
Proprio a proposito di Ponomar, si era detto all’inizio stagione che chiamarlo era un po’ una scommessa per rilanciare un atleta che ha un indubbio talento. Finora come stanno andando le cose?

Non è stato molto fortunato. Ha fatto due o tre brutte cadute, fortunatamente con conseguenze poi limitate, ma questo ha fatto sì che non si potesse esprimere come avrebbe dovuto, sfruttando tutto il potenziale che ha dimostrato al Giro dell’Appennino, ossia di essere di essere un corridore di una classe superiore nel panorama della nostra Continental, perché comunque è arrivato secondo dietro a Ulissi e davanti a Velasco. Ha enormi doti, speriamo che la fortuna l’assista in questo finale di stagione.

Come lo vedi anche fuori dalle gare, concentrato, impegnato, che crede ancora nelle sue possibilità?

Crede molto in se stesso, così come crediamo noi sulla sua ripresa. Ma ci sono delle cose sulle quali bisogna lavorare a livello caratteriale, come si va a porre a volte su certe dinamiche. Comunque rispetto a quando è arrivato, è migliorato sotto tutti i profili quindi stiamo andando per la strada giusta. Il potenziale non lo scopriamo noi, quindi speriamo che con un po’ più di esperienza, di maturità e di fortuna riesca a tirar fuori quei risultati che gli competono.

Jonathan Caicedo, trionfo solitario nella settima tappa della lunga corsa lusitana (foto Team Petrolike)
Jonathan Caicedo, trionfo solitario nella settima tappa della lunga corsa lusitana (foto Team Petrolike)
In una squadra praticamente sudamericana, lui come si è integrato?

Fin dall’inizio bene, non c’è solamente lui che non è sudamericano, abbiamo tre italiani e un ragazzo irlandese. Andrii sin dal primo mese che abbiamo trascorso in Spagna con le prime gare a Maiorca si è subito dimostrato un ragazzo che ha la capacità di relazionarsi, anche a dispetto della lingua. Le prime difficoltà sono state superate brillantemente.

Nel suo caso pensi che anche tutto quello che è successo nel suo Paese, con il padre coinvolto nel conflitto abbia pesato anche in lui in questi anni?

E’ un ragazzo caratterialmente molto forte perché veramente dopo varie cadute che ha fatto altri magari si sarebbero arresi. Del coinvolgimento del padre del conflitto stesso me ne ha parlato, ma evitiamo l’argomento per non mettere come si suol dire il dito sulla piaga. Dimostra ogni tanto di avere delle preoccupazioni, ma che sono logiche per una situazione che attualmente è veramente drammatica nella sua nazione, quindi il sentimento che ha verso questa cosa viene camuffato spesso durante le gare, ma traspare in alcune occasioni.

Il russo Artem Nych, vincitore della Volta a Portugal con 1’15” sul francese Guerin (foto organizzatori)
Il russo Artem Nych, vincitore della Volta a Portugal con 1’15” sul francese Guerin (foto organizzatori)
Dove vi vedremo ora?

Intanto ben 4 nostri ragazzi sono in gara al Tour de l’Avenir con la nazionale messicana, noi come team faremo il GP di Kranj dove tornerà Ponomar dopo la caduta in Portogallo e tutto il calendario italiano dove contiamo di portare a casa risultati importanti. Finora abbiamo colto 7 vittorie che non è poco, ma vogliamo allungare la lista e magari Andrii può aiutarci in questo.

Boaro e il Fancellu ritrovato: nessuna magia, solo lavoro e passione

25.08.2025
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«Io penso che in tutte le squadre dove si lavora con passione – dice Boaro – le cose vengano da sole. A ottobre saranno due anni che ho smesso e cerco di dare tranquillità ai ragazzi perché so cosa vuol dire correre, ricordo la tensione e lo stress. Invece Alberto ha alle spalle un’incredibile esperienza sul piano dell’organizzazione e aiuta tantissimo anche quello. La simbiosi fra noi due rende questa squadra quello che è».

Come un posto magico, in cui entri zoppicando per uscirne di nuovo in forma, il JCL Team Ukyo di Alberto Volpi e di Emanuele Boaro (sull’ammiraglia) occupa ormai un posto importante nel gruppo. Il rilancio di Malucelli, come pure di Carboni e Pesenti e la rinascita di Fancellu confermano che fra queste mura qualcosa di diverso accada. E il pretesto per parlarne è proprio l’intervista di qualche giorno fa con il comasco arrivato terzo al Czeh Tour, con cui dare il seguito a quella realizzata con lo stesso Boaro al Tour of the Alps: come stanno procedendo le cose?

Manuele Boaro, classe 1987, è stato pro’ dal 2011 al 2023. Dal 2024 è tecnico al JCL Team Ukyo
Manuele Boaro, classe 1987, è stato pro’ dal 2011 al 2023. Dal 2024 è tecnico al JCL Team Ukyo
Hai detto di ricordare bene lo stress delle WorldTour, credi che per i giovani a volte sia troppo?

Abbiamo preso ragazzi che non sono più neanche tanto giovani, perché adesso la tendenza è farli firmare a 18, 19, 20 anni. Abbiamo recuperato qualcuno che, tra virgolette, è stato scartato. Fancellu sembrava fosse all’ultima spiaggia e qui ha trovato la serenità e la tranquillità che nelle grandi squadre è difficile. Anche se, vi dirò, stiamo lavorando veramente come una WorldTour. Nei programmi, con i preparatori e i nutrizionisti, alla fine non ci manca niente. Abbiamo poco personale, il nostro budget non è altissimo, ma questo non significa che non si possa lavorare bene.

Come si fa?

Bisogna trovare le persone giuste e i corridori motivati. Con Alberto abbiamo fatto la scelta di cercare delle persone come Fancellu che abbiano voglia di entrare nel nostro progetto e rimettersi in gioco. Alessandro il prossimo anno andrà alla MBH Bank e ne siamo contenti. La nostra squadra deve essere un trampolino, come l’anno scorso per Malucelli con l’Astana, per Carboni alla Unibet e Pesenti che dopo il devo team della Soudal potrebbe andare alla squadra di Basso. Per noi è motivo di vanto e infatti abbiamo tante richieste di corridori WorldTour o professional. E anche qui dovremo essere bravi a scegliere.

Fancellu, come Carboni e Malucelli, sono atleti di qualità che forse non sono stati accolti o non sono stati in grado di inserirsi bene nel professionismo…

Ho la fortuna di avere 12 corridori e così posso sentirli ogni tre giorni, mentre nelle squadre WorldTour si fa fatica. Guardo la mia esperienza. Quando sono a casa, lavoro H24. Quando sono alle corse, lavoro ancora di più perché c’è il personale da seguire. Ai ragazzi lo dico sempre: «Correte finché potete, perché quando smetterete sarà molto più dura». Io non riesco più ad andare in bici, lo stress aumenta. Però, come dico a tutti, ho scoperto un lavoro bellissimo e spero di farlo veramente per tanti anni.

Le fatiche del Giro d’Abruzzo e i primi piazzamenti hanno dato la scossa a Fancellu che da lì ha preso il volo
Le fatiche del Giro d’Abruzzo e i primi piazzamenti hanno dato la scossa a Fancellu che da lì ha preso il volo
Questa squadra potrebbe lanciare anche Boaro come tecnico?

L’anno scorso ha fatto il corso UCI, che serve per lavorare nelle squadre WorldTour. Purtroppo di solito gli squadroni hanno un gruppo di tecnici consolidato da anni, quindi è difficile entrare. Ma Alberto lo sa e mi ha anche detto che se dovesse arrivare una WorldTour, non sarebbe lui a stopparmi. Io cerco di fare il mio. Stiamo avendo bellissimi risultati. In Repubblica Ceca abbiamo chiuso dietro due WorldTour, ma fino all’ultima tappa eravamo davanti alla Visma. Questo fa capire che stiamo lavorando nella giusta direzione e dobbiamo continuare.

Qual è stata la svolta di Fancellu?

Nessuna magia. Io penso che bisogna parlare coi ragazzi, gli dico sempre di chiamarmi, qualsiasi cosa succeda. Un problema a casa, un problema con la macchina. La comunicazione secondo me è importantissima. Vengo dalla scuola di Bjarne, dove tutto era organizzato nei minimi dettagli e secondo me questo porta i risultati (Boaro ha corso con Riis dal 2011 al 2016, ndr). Fancellu sembra sbadato, però è anche molto pignolo nel suo lavoro. Paga da sé le alture. Di recente è andato a Sierra Nevada e prima era stato a Livigno. Noi purtroppo non possiamo garantirglielo, ma ha investito anche su questo. E’ già un segnale che il ragazzo tiene a quello che fa. Noi da parte nostra cerchiamo di non mettergli tanto stress.

In che senso?

Nel senso che lui è il leader delle corse a tappe, ma non gli diremo mai che deve vincere. Partiamo per la corsa e vediamo cosa succede. Abbiamo cercato di dargli tranquillità. Gli abbiamo detto: «Le qualità le hai: divertiti in bici, cerca di fare quello che ti viene bene». Inutile dire in partenza che la squadra lavorerà per lui. Ma se come in Repubblica Ceca, sarà secondo nella generale, è ovvio che la squadra sarà al suo fianco. Serve a togliere pressione e le risposte arrivano. Al campionato italiano è arrivato nei 15, all’AlUla Tour di inizio stagione si è mosso bene nei ventagli e ha fatto 10° in classifica generale. Ha vinto il Giro del Giappone. Io penso che la Q36.5 si sia pentita di aver lasciato andare.

Lo scorso anno Fancellu era alla Q36.5: il cambio di passo del 2025 è stato davvero notevole
Lo scorso anno Fancellu era alla Q36.5: il cambio di passo del 2025 è stato davvero notevole
Ne avete parlato?

No, lui non parla molto delle squadre passate. Del resto ci diciamo sempre di guardare il futuro e di non pensare al passato. Gli ripeto che devono divertirsi, perché il tempo va veloce e il ciclismo sta cambiando velocemente. Mi ricordo che quando si ritirò, Tosatto mi disse: «Eh, vedrai che il tempo passa in fretta!». Infatti sono già passati 10 anni e anche se ti senti sempre giovane, bisogna far capire ai ragazzi che a 25 anni non riesci quasi più a passare e a 36 sei vecchio. Se invece lavori bene, divertendoti, fai come Malucelli che è arrivato al WorldTour a trent’anni. Fancellu ha avuto la proposta dalla MBH Bank e ha firmato, perché il mercato è difficile. Ma secondo me avrebbe potuto aspettare un po’. Tante squadre hanno gli occhi su di noi per capire chi vada forte.

Chi c’è oltre a lui?

Prendiamo Raccani, per esempio. Anche lui ha avuto una buona stagione. Al Giro del Giappone è arrivato secondo dietro Fancellu, ma se davanti non avesse avuto un compagno, magari l’avrebbe vinto lui.

Il terzo posto al Tzcech Tour che peso ha?

E’ un risultato che fa veramente piacere, perché dimostra che abbiamo lavorato nella direzione giusta. Dico ai ragazzi che non bisogna montarsi la testa, ma di crederci. Lo faccio dalla macchina e anche la sera nel giro delle camere.

Raccani ha vinto due corse: riuscirà anche lui a rilanciarsi in una squadra più grande? (foto JCL Team Ukyo)
Raccani ha vinto due corse: riuscirà anche lui a rilanciarsi in una squadra più grande? (foto JCL Team Ukyo)
Visti i risultati, sapete già quali corridori arriveranno l’anno prossimo?

Al momento abbiamo tantissime richieste, però Alberto dice che vanno confermati quelli che già abbiamo con noi. Capiti i dettagli di chi parte e di chi resta, in base a quelli che confermeremo si vedrà cosa fare. Essendo una squadra giapponese, se prendiamo cinque italiani, abbiamo l’obbligo di avere sei giapponesi. Si occupa Volpi di questi aspetti. Abbiamo una chat in cui condividiamo le idee, ma sappiamo che sarebbe sbagliato avere troppa fretta. Meglio fare dei colpi mirati, anche per capire chi davvero abbia voglia di rimettersi in gioco.

Vingegaard strozza l’urlo di Ciccone: Vuelta subito esplosiva

24.08.2025
6 min
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LIMONE PIEMONTE – A un respiro dalla gloria rossa. Per qualche istante, la sagoma di Giulio Ciccone aveva fatto capolino nella nebbia e sembrava quella destinata a tagliare per prima il traguardo di Limone Piemonte, quassù dove di solito d’inverno si scia ed è di casa Marta Bassino. E, invece, con tutta la sua freddezza da killer, Jonas Vingegaard ha strozzato in gola l’urlo dell’abruzzese della Lidl-Trek, sfoderando il colpo di reni che in un sol colpo gli ha regalato tappa e maglia, la prima di leader della Vuelta della sua carriera.

Sul traguardo, Giulio è senza fiato, ma trova le parole per spiegare quanto lui davvero ci abbia sperato fino all’ultimo millimetro di asfalto: «Gli ultimi 500 metri c’è stato un po’ di casino e sono rimasto chiuso con Ayuso. Poi, sono partito con un rapporto troppo duro e infatti gli ultimi 50 metri ero troppo, troppo duro. Peccato perché oggi volevamo prendere la maglia e regalare una bella gioia a questo pubblico che mi spinge, ma ci riproveremo».

Ciccone si volta, Vingegaard vede che c’è ancora il margine per passarlo: si decide tutto in questi pochi metri
Ciccone si volta, Vingegaard vede che c’è ancora il margine per passarlo: si decide tutto in questi pochi metri

I dubbi di Vingegaard

E dire, che lo stesso Vingegaard non pensava più di ricucire sullo scatenato italiano: «A 100 metri dal traguardo – dice – non pensavo più di riuscire a vincere perché Giulio è andato fortissimo. Subito dopo la curva, credevo che lui fosse già vicino al traguardo, ma poi mi sono accorto che mancava più di quanto pensassi e così ho deciso di lanciarmi con tutte le forze e ce l’ho fatta».

Nonostante, il finale concitato, il danese della Visma-Lease a Bike si è subito reso conto di avercela fatta, alzando il braccio destro e baciando la fede nuziale. L’altro, sanguinante, non sembra preoccuparlo, così come il ginocchio sinistro, dopo la caduta occorsa per l’asfalto bagnato a una rotonda ai -25 chilometri dall’arrivo.

«Ho preso una bella botta, poi in realtà sono solo scivolato per parecchi metri. Il colpo più forte l’ha preso il ginocchio, ma subito mi sono reso conto che andata bene e per ora non sento particolare fastidio», ha aggiunto commentando il terzo successo di tappa nella Corsa spagnola dopo i due del 2023.

Ladri di biciclette

Peggio è andata al suo compagno Axel Zingle che, oltre a lussarsi la spalla sinistra e ad arrivare a più di 24 minuti, è rimasto anche a piedi per colpa di un ladro maldestro: «Mi sono slogato la spalla e ho dovuto rimettermela a posto da solo. Poi mi è successo una seconda volta mentre prendevo un gel, così mi sono dovuto fermare. Ho lasciato la bici a una persona che non parlava molto l’inglese, per tenerla quei 5/10 minuti mentre ero in ambulanza a farmi sistemare la spalla e questo tizio se n’è andato via. Per fortuna, sono arrivati con la bici di scorta dopo qualche minuto».

In realtà la versione di Zingle, evidentemente scosso, è stata più smentita dai fatti, dato che il suddetto tifoso aveva passato la bici agli addetti del camion scopa (tuttavia nella notte la Visma Lease a Bike avrebbe subito un furto ben più consistente in hotel).

In serata, come spiega anche Grisha Niermann, si valuterà se potrà ripartire domani da San Maurizio Canavese, in attesa che si sveli il mistero sulla bici sottratta: «Sono caduti sei su otto dei nostri e questo ha scombussolato un po’ i piani, ma per fortuna Jonas è rimasto concentrato e ce l’ha fatta. Devo dire che c’è stato anche grande fairplay in gruppo, al netto della situazione caotica che si era creata. La squadra si è comportata alla grande, ma sapremo solo dopo alcuni accertamenti se Axel potrà continuare la Vuelta».

Botte e risposte

Dunque, Vingegaard ha fatto centro al primo arrivo in salita, ma sottolinea subito che «se ci sarà una fuga, non sarà un problema perdere la maglia nei prossimi giorni». Niermann conferma: «A noi interessa che Jonas la indossi sul podio di Madrid, null’altro».

Fatto sta che le altre squadre dovranno inventarsi qualcosa per ribaltare tutto. La Uae Emirates ci aveva provato oggi, lanciando in avanscoperta Marc Soler ai 600 metri (subito dopo il forcing di Giulio Pellizzari). Almeida (5°) e Ayuso (8°) non hanno avuto però le gambe per seguire Ciccone e Vingegaard.

Lo spagnolo, comunque, è fiducioso: «Penso di aver superato questo primo test – dice Ayuso – e sono convinto di migliorare già verso Andorra, che sarà il momento chiave della settimana iniziale della Vuelta. Jonas e Ciccone erano favoriti, ma sia io e Joao abbiamo ancora tanta strada per dimostrare quanto valiamo».

Almeida gli fa eco: «E’ stata una giornata un po’ caotica, con la pioggia arrivata nei chilometri finali, le cadute e il nervosismo in gruppo. Per fortuna è andato tutto bene. Io, Juan e anche Marc siamo andati molto forte, gli altri sono stati più forti di noi, ma dobbiamo solo continuare a spingere. Il finale di domani presenta alcune curve insidiose, per cui cercheremo di stare davanti».

Il quarto posto di Bernal fa il pari con il sorriso del colombiano, che sembra molto in forma
Il quarto posto di Bernal fa il pari con il sorriso del colombiano, che sembra molto in forma

E la terza, breve frazione (134,6 chilometri) da San Maurizio Canavese a Ceres, sarà speciale per Egan Bernal, che tornerà sulle strade su cui è cresciuto agli ordini di Gianni Savio. Il quarto posto di oggi ha sorpreso lo stesso colombiano: «Non mi aspettavo di riuscire a lottare per il successo. Mi sono trovato là davanti e ci ho provato. E’ una bella iniezione di fiducia per il mio morale questo risultato e ringrazio Ben, Pippo e Kwiato (rispettivamente Turner, Ganna e Kwiatkowski, ndr) per avermi tenuto fuori dai guai».

Schurter si ritira. Quando Nino fu ad un passo dalla strada

24.08.2025
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E’ la fine di un’era: Nino Schurter, leggenda assoluta della mountain bike, ha annunciato il ritiro dalle competizioni. Lo farà nella “sua” Lenzerheide, tappa di Coppa del mondo in Svizzera che ha rappresentato per lui una seconda casa. Un addio che scuote il mondo off-road e che valica i confini del movimento: Nino è stato un simbolo dello sport, capace di influenzare generazioni di biker e persino il ciclismo su strada, dove nel 2014 arrivò a sfiorare una nuova carriera.

Dopo oltre vent’anni di dominio e innovazione, lascia una scia di successi e una nuova idea di atleta. In Svizzera più di qualche volta si è conteso il titolo di sportivo dell’anno con un certo Roger Federer e altre volte ha insidiato personaggi dello sci alpino quali Didier Cuche, o di fondo come Dario Cologna.

Nino Schurter è stato una leggenda del ciclismo. Si ritira dopo aver vinto tutto e ancora competitivo all’età di 39 anni
Nino Schurter è stato una leggenda del ciclismo. Si ritira dopo aver vinto tutto e ancora competitivo all’età di 39 anni

Dieci mondiali e un oro olimpico

Nino Schurter è nato il 13 maggio 1986 a Tersnaus, nei Grigioni, ma da sempre è stato a Chur ed è diventato presto il volto della mountain bike mondiale. Ha iniziato a correre da bambino, alternando sci di fondo e bici dove è stato anche campione nazionale juniores su strada, ma già nei primi anni 2000 le sue doti esplosero nel cross country.

Ha sempre corso con il team di Thomas Frischknecht, altro mito della MTB, vale a dire con il team Scott-SRAM , dimostrando una fedeltà rara in ogni disciplina. Ma questo gli ha consentito al tempo stesso di sviluppare in continuazione il suo mezzo, cosa ancora più vitale nella MTB.

Il suo palmares è impressionante: 10 titoli mondiali elite, 8 Coppe del mondo, 4 titoli europei, un oro olimpico a Londra 2012, un argento a Pechino 2008 e un bronzo a Rio 2016. A questo si aggiungono 34 vittorie di tappa in Coppa del Mondo, record assoluto, una in più del suo storico rivale: Julien Absalon. Schurter ha elevato il livello del cross country, dominando contro ogni avversario e in ogni condizione, grazie a un mix di talento, dedizione e cura maniacale dei dettagli.

Forza ed equilibrio insieme: Schurter e il suo staff sono stati dei veri innovatori della preparazione. Tanto derivava dallo sci (foto Scott Sports)
Forza ed equilibrio insieme: Schurter e il suo staff sono stati dei veri innovatori della preparazione. Tanto derivava dallo sci (foto Scott Sports)

Innovatore tecnico

E a proposito di Absalon: è impossibile parlare di Schurter senza citare il francese. Absalon è stato il suo grande rivale per quasi un decennio: due visioni a confronto, due stili e due personalità che hanno spinto la disciplina a crescere. Se Absalon puntava sulla resistenza e la perseveranza, Nino ha portato in dote un approccio scientifico all’allenamento e uno stile di guida del tutto moderno. Uno stile che lo stesso Absalon, più vecchio di lui, si trovò in qualche modo a dover studiare per un perdere il passo. Ma questo prevedeva altri setup, altre bici.

Schurter è stato il primo a introdurre in maniera sistematica esercizi di isometria, lavori di core stability e propriocezione per migliorare la gestione della bici sui terreni più tecnici. Anche la durata delle sessioni cambiò: meno ore, più intensità, con lavori mirati per simulare gli sforzi del cross country moderno. E poi corsa a piedi, sci di fondo d’inverno, poca bici da strada rispetto ai colleghi e più enduro. Solo ultimamente aveva allungato le ore su strada e gravel.

Questo gli ha permesso di restare competitivo in ogni epoca, dalla vecchia scuola alle gare esplosive degli ultimi anni. I duelli con Absalon, in Coppa del Mondo e alle Olimpiadi, sono diventati pagine di storia: Rio 2016 resta l’icona, con Schurter campione olimpico.

Nel 2014 disputò il Tour de Suisse. Da allora ha fatto qualche altra partecipazione su strada, ma parliamo davvero di 4-5 corse
Nel 2014 disputò il Tour de Suisse. Da allora ha fatto qualche altra partecipazione su strada, ma parliamo davvero di 4-5 corse

Le sirene della strada

Ma Schurter è anche di più. E anche per lui, come altri mega campioni della MTB prima di lui erano suonate le sirene della strada. Altri guadagni, altra visibilità. Miguel Martinez fece scuola. E così ecco il 2014, l’anno in cui Schurter sfiora un cambio di carriera. Nino ha ormai 28 anni e ha vinto e rivinto praticamente tutto. Gli mancano “solo”, si fa per dire, le Olimpiadi. Ma quello è un appuntamento che si potrebbe comunque realizzare.

E così, forte dei successi in mountain bike, il campione svizzero si misura con il ciclismo su strada, correndo con Orica-GreenEdge, oggi Team Jayco-AlUla, che all’epoca aveva bici Scott. Tra una prova di Coppa e l’altra Schurter prende il via a qualche gara e a giugno eccolo al via del Tour de Suisse.

Nella seconda tappa è ottavo, in un’altra si piazza nono. Alla fine sorprende tutti e chiude 15° nella classifica generale. Il suo stile aggressivo in salita e la capacità di guidare il gruppo nelle fasi tecniche non passarono inosservati. E anche a crono si difese benone, considerando che di fatto non aveva mai toccato prima quella bici… che non è affatto facile da guidare.

In molti iniziarono a chiedersi se sarebbe stato il nuovo fenomeno del ciclismo su strada. Schurter però restò fedele al suo mondo e soprattutto alla cultura off-road. Non fu neanche una questione economica, anzi… Quella stagione, con la maglia verde di Orica, resta un unicum ma anche la dimostrazione di quanto il suo talento fosse trasversale. Un corridore così avrebbe potuto fare bene nelle classiche o nelle corse a tappe brevi, ma il cuore lo riportò sempre sul terreno accidentato.

Bisogna considerare infatti che Nino è un montanaro vero, puro. Viene da Chur, nel cuore della Svizzera. Nella sua roccaforte non ci è arrivato quasi nessuno. Poche interviste. Tante uscite in solitaria. Lunghe giornate di trekking durante l’off-season. Passare alla strada sarebbe stato un salto troppo grande per lui. E forse è anche per questo se da allora, quando tutti mettevano in discussione gli stimoli in MTB, è diventato ancora più grande.

Vincendo a Lenzerheide nel 2023 Nino batte Absalon in quanto a numero di vittorie in Coppa. Qui si ritirerà il prossimo 21 settembre (foto Scott Sports)
Vincendo a Lenzerheide nel 2023 Nino batte Absalon in quanto a numero di vittorie in Coppa. Qui si ritirerà il prossimo 21 settembre (foto Scott Sports)

Cosa farà Schurter?

E’ difficile misurare l’eredità di Schurter. Ha cambiato il concetto di biker, alzando l’asticella tecnica, fisica e mentale. Ha ispirato una generazione di atleti, persino Van der Poel e Pidcock, che oggi sono due simboli e fanno la spola tra le due discipline.

Ufficialmente dice addio al cross country agonistico, ma non alla bici. In tanti scommettono che lo vedremo al via dei grandi eventi marathon: la Cape Epic è già nel suo palmarès con due vittorie, ma potrebbe tornare per divertirsi senza pressioni. Altri lo vedono proiettato verso il gravel, disciplina in piena esplosione e ideale per un campione come lui, abituato alla tecnica e alla resistenza. E poi ci saranno le iniziative con Scott, il brand con cui ha fatto la storia, e il ruolo di ambasciatore globale per la MTB. Nino non smetterà mai di pedalare, perché la bici per lui è più di una professione: è una parte di vita che non conosce traguardi.

Un record: dopo Giro e Tour, anche la Vuelta a casa di Sobrero

24.08.2025
6 min
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TORINO – Una tripletta casalinga difficile da ripetere. Tutti i corridori sognano, almeno una volta nella vita, che un Grande Giro passi sulle strade di casa, quelle su cui si è imparato a pedalare e cominciato a sognare in grande. Difficilmente però qualcuno riuscirà a emulare Matteo Sobrero. Non contento di aver vissuto il primo Giro d’Italia della sua carriera nel 2020 e di aver bissato lo scorso anno con il passaggio del Tour de France, oggi verrà travolto dal bagno di folla ancora una volta nella sua Alba.

 «E’ un traguardo personale più unico che raro – comincia a raccontarci il ventottenne della Red Bull-Bora-Hansgrohe – ma davvero splendido. Il Giro 2020 è stato tutto strano e speciale. Ero all’esordio nel mondo dei pro’ e non nascondo che ero parecchio emozionato. In realtà, lo ero anche l’anno scorso al Tour, mentre stavolta mi sento più rilassato. Sono molto contento che la Vuelta parta dal Piemonte e passi da Alba e sto cercando di assaporare ogni momento».

Il primo assaggio

Un bell’assaggio c’è stato già giovedì con la presentazione delle squadre in Piazzetta Reale: «C’era tantissimo tifo, nonostante qualche goccia di pioggia ed è stato emozionante sentirmi incitare a gran voce e chiamare da tanti appassionati, grandi e piccini, oltre ad avere al mio fianco la mia famiglia e gli amici».

Nulla però in confronto a quanto accadrà oggi su tutto il percorso, come ci ha anticipato la sorella minore Francesca, che ogni anno organizza la festa del fans club a fine novembre.

«Abbiamo saputo della sua presenza soltanto domenica scorsa – racconta – per cui non abbiamo organizzato nulla di grandioso. Un po’ anche per scaramanzia perché quest’anno eravamo già pronti per il Giro e poi è caduto, per cui non abbiamo voluto bruciare le tappe. Noi siamo di Montelupo Albese, 10 minuti sopra Alba e sembra davvero che ultimamente i percorsi dei Grandi Giri siano fatti apposta per lui. A parte gli scherzi, cercheremo di sospingerlo su tutto il tragitto. Noi saremo in partenza e in arrivo, ma so che anche la squadra dei giovanissimi in cui è cresciuto Teo, l’Asd Alba Bra Langhe Roero, si schiererà a Pollenzo di fronte alla loro pista con tutti i bambini e striscioni dedicati per omaggiarlo. Tanti amici e parenti saranno disseminati nei primi chilometri». Poi aggiunge: «L’ho visto più tranquillo del solito, molto contento del calore e del tifo e davvero carico».

La seconda Vuelta

Ci pensa Matteo a raccontare come è nata la sua seconda campagna spagnola dopo quella del 2023: «Tutto è iniziato lo scorso inverno – spiega – quando abbiamo fatto i programmi con la squadra. Avrei dovuto fare Giro e Vuelta se tutto andava bene e avevo chiesto io di poter fare soprattutto quest’ultima perché partiva dal Piemonte. Poi, la caduta ha rimesso in discussione tutti i piani».

Già, perché gli strascichi non sono stati semplici da cancellare e il ritorno alla normalità è stato ben diverso da quanto ipotizzato in un primo momento: «Non pensavo onestamente di metterci così tanto ed è stato forse il rientro più difficile da quando ho cominciato a correre in bicicletta. Nel letto d’ospedale, non avevo ben capito cosa fosse successo. Ricordo che all’inizio credevo di cavarmela con qualche giorno di stop, addirittura di potercela fare per la Sanremo o quantomeno per preparare con calma il Giro».

Con il 3° posto nella crono finale, Sobrero ha conquistato il podio del Polonia, confermando il ritorno ad alto livello
Con il 3° posto nella crono finale, Sobrero ha conquistato il podio del Polonia, confermando il ritorno ad alto livello

Al telefono con Ganna

Invece, è andata diversamente: «Non sono riuscito ad arrivare in forma nemmeno in ottica Tour de France e per ritrovare le migliori sensazioni in corsa c’è voluto il Polonia. Quando batti la testa ti sembra una cavolata, ma è una delle cose più difficili perché non riesci mai a capire se sei davvero tornato quello di prima.  Più che le fratture al naso o allo zigomo, è stata la commozione celebrale a richiedere più tempo. Dopo un mese dalla caduta, uscivo in bici e pensavo di sentirmi come prima, ma non era così. La mia condizione andava bene per un’uscita da amatore, ma c’era tutto da ricostruire, fisicamente e mentalmente.

«Ne ho parlato molto poi anche con Filippo (Ganna, ndr), che ha avuto un problema simile, anche se più leggero. I sintomi erano gli stessi e ci siamo sentiti parecchio per confrontarci e supportarci. Lui, sua sorella Carlotta che è la mia ragazza e tutta la mia famiglia sono stati davvero preziosi in questi sei mesi e ora mi sento finalmente in forma».

Ultima altura nel rifugio Umberto Maroli di Macugnaga, poi Sobrero e Ganna hanno raggiunto Torino (immagine Instagram)
Ultima altura nel rifugio Umberto Maroli di Macugnaga, poi Sobrero e Ganna hanno raggiunto Torino (immagine Instagram)

Fra squadra e sogni

E la Red Bull-Bora si è affrettata a inserirlo nel team per la Vuelta, perché la poliedricità del jolly piemontese sarà importante: «Diciamo che cercherò di ricoprire più ruoli – illustra Sobrero – in base alla giornata. Aiuterò Jai (Hindley, ndr) per la generale dove necessario. Darò il mio contributo fondamentale per la cronosquadre e qualche giorno spero di riuscire ad andare in fuga, visto che due anni fa ho sfiorato il successo col secondo posto dietro a Kamna nel mio ultimo anno in Jayco».

Per sognare la gloria personale però bisognerà aspettare il ritorno della Vuelta in terra iberica: «Più facile che abbia libertà nella seconda o nella terza settimana – spiega Sobrero – perché nella prima cercherò di dare una mano alla squadra. Conosco bene le strade che attraverseremo in questi giorni, visto che ci sono passato correndo nelle categorie inferiori. L’unica che conosco un po’ meno è la terza tappa, ma l’arrivo di Limone sarà senza dubbio scoppiettante e qualcuno proverà a muoversi per prendere la maglia. Comunque, cercherò di godermi per quanto possibile la giornata sulle strade di casa: al Giro e al Tour è passato tutto troppo in fretta».

La crescita dell’Academy di Kreuziger. Un esempio da considerare

24.08.2025
6 min
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Non solo il suo impegno alla Bahrain Victorious. Roman Kreuziger non può far altro che avere sempre un occhio, anche se lontano, alla sua Cycling Academy. La sua squadra juniores, giunta al quarto anno di vita che pur avendo numeri molto ristretti si sta rivelando come uno dei team che più si stanno mettendo in luce. All’Aubel Thimister Stavelot, la prova a tappe belga della quale si è già avuto modo di parlare per il dominio del Team Grenke e la presenza italiana, la squadra ceka si è messa in bella evidenza, con Marek Stiblik quinto in classifica finale.

Roman Kreuziger, 39 anni, ha chiuso con le gare nel 2021. Oggi è diesse alla Bahrain Victorious
Roman Kreuziger, 39 anni, ha chiuso con le gare nel 2021. Oggi è diesse alla Bahrain Victorious

Kreuziger, per i suoi impegni professionistici, ha dovuto delegare a uno staff molto qualificato ma chiaramente è sempre molto attento allo sviluppo dell’attività del team che porta il suo nome: «E’ vero che si è cominciato nel 2022, ma è dall’anno scorso che stiamo svolgendo un’attività piena e internazionale. Avevamo anche un elemento molto valido come Pavel Sumpik che infatti è entrato nel devo team della Picnic Post-NL. Quest’anno continuiamo, anche se non abbiamo ancora un ragazzo a quel livello. Ma abbiamo ragazzi molto volenterosi e in crescita, tra velocisti, scalatori e corridori da classifica».

Voi lavorate un po’ su tutto da questo punto di vista?

All’inizio l’idea era avere ragazzi della mia regione, ma poi abbiamo visto che è difficile farne una squadra compiuta e abbiamo provato a cercare in tutto il Paese. Quest’anno abbiamo anche uno slovacco e per il futuro si sta pensando di prendere anche qualche altro straniero, proprio come fa la Grenke. Ma per farlo il problema è che bisogna avere un budget un po’ più sostanzioso, considerando che ci sono i voli da pagare per far gareggiare i ragazzi provenienti da altri Paesi. Ci serve un partner un po’ più grosso per coprire tutti i ritiri necessari e le spese per i materiali, o magari entrare nell’orbita di un team WT, ma non è cosa facile che realizzi dall’oggi al domani.

La Roman Kreuziger Cycling Academy è in attività dal 2022. Quest’anno ha 7 ragazzi in organico
La Roman Kreuziger Cycling Academy è in attività dal 2022. Quest’anno ha 7 ragazzi in organico
Voi fate attività a livello internazionale, anche con le gare più importanti?

Sì perché è quello l’ambito che più insegna, più aiuta a crescere. A gestire il team c’è Petr Kubias che fino allo scorso anno era anche cittì della nazionale di categoria. Noi abbiamo un rapporto stretto con la federazione nazionale, diciamo che fra loro e noi possiamo garantire ai ragazzi un’attività internazionale quasi completa. Perché l’obiettivo principale, condiviso, è fare crescere i ragazzi della Repubblica Ceka.

Tu quanto riesci a dedicarti al team, visti i tuoi impegni col WorldTour?

Molto poco, purtroppo. Io di solito faccio il primo briefing con i ragazzi, se riesco vengo in qualche ritiro, magari faccio qualche uscita con loro.  Di solito andavo anche ai campionati nazionali, ma negli ultimi due anni con il Tour de France non riesco più, quindi mi affido in toto allo staff che è molto qualificato. Chiaramente mi riferiscono come vanno i ragazzi, soprattutto che comportamento hanno cosa che per me è fondamentale, perché io ci metto il nome.

A tal proposito, i ragazzi che arrivano al team ti conoscono, hanno visto le tue gare, quelle che hai vinto?

Giusto qualcuno sì e mi sorprende perché non è così tanto tempo che ho smesso. Tanti sono anche molto timidi perché la differenza di età comincia a essere già abbastanza grande. Però diciamo che non hanno un contatto continuo con me. Vedo però che con i miei colleghi che la gestiscono sono molto più aperti e hanno una bella relazione. Sicuramente sanno che portano un nome importante e che abbiamo le regole chiare. E’ bello dargli tutto, divise, bici, tutto il materiale che vogliono. Però ci sono anche delle regole da rispettare e capire i ruoli, perché non tutti possono essere campioni. E noi gli stiamo insegnando che anche uno che lavora per gli altri e diventa bravo in questo, può avere una bella carriera.

Tu il ciclismo italiano lo conosci molto bene, nel caso la tua squadra diventasse multinazionale, prenderesti anche ragazzi italiani?

Certamente. Come uno spagnolo o un belga o un norvegese, sono i Paesi di riferimento. So qual è il livello dei giovani italiani, magari penso che con meno squadre WT o Professional sembri che ci sono meno ragazzi, ma è solo una questione di visibilità. Io sono convinto che sono tanti i ragazzi che vanno bene e che meriterebbero, ma non hanno la possibilità di fare con continuità gare internazionali all’estero e mettersi in luce. Noi non siamo ancora al livello di avere scouting per andare a vedere le corse giovanili in giro per l’Europa, ma credo che se ciclismo va avanti come sta andando adesso, prima o poi anche le squadre juniores non potranno affidarsi agli agenti, dovranno avere gente che fa scouting, che va a vedere le gare delle categorie giovanili e prendere gli elementi da lì.

Il team ceko è un riferimento per la federazione nazionale, ma potrebbe ora allargare i suoi confini
Il team ceko è un riferimento per la federazione nazionale, ma potrebbe ora allargare i suoi confini
La tua squadra è una tra le migliori, ma c’è il Team Grenke che domina, un po’ come la UAE a livello di World Tour. Secondo te una squadra così forte, così superiore, schiaccia gli altri?

Ma io non penso che schiacci il movimento – risponde sicuro Kreuziger – E’ chiaro che avendo un budget superiore a tutti, può richiamare più attenzione e riempirsi di talenti. Entrare in una filiera è importantissimo, ormai tutte le grandi squadre WT si stanno allargando anche alle formazioni juniores. Quel che conta è dare il tempo ai ragazzi di crescere. Uno come Finn che è primo anno under 23, sicuramente su certe gare paga ancora dazio verso chi è più grande, ma ci sono anche gare dove lui ha la possibilità di emergere. Ognuno può trovare spazio.

I responsabili del tuo team ti hanno già indicato qualcuno dei ragazzi che è molto promettente?

Quest’anno c’è questo ragazzo emerso in Belgio, Stiblik, del quale ho parlato con diversi agenti che mi hanno chiamato, ma mi hanno chiesto anche dei campioni nazionali Kubena e Pastva e del campione slovacco Patras. Vedono che stiamo lavorando bene con loro e gli piace prenderli. Noi come Bahrain abbiamo già la ex CTF che adesso è la nostra devo ufficiale e abbiamo anche una squadra juniores che è il Cannibal Team. A me piacerebbe molto inserire il team in una filiera, ma devo anche dire che non dovrebbe essere tutto spinto al massimo già nella categoria. Se fanno un po’ di gavetta partendo da dietro, se ne gioveranno in seguito…

Il dispositivo GPS della discordia. Il racconto di Alessia Vigilia

23.08.2025
6 min
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Quando le buone intenzioni non riescono a collimare con le buone attuazioni o più semplicemente col buon senso. Questa è l’impressione che ne è uscita dalla sperimentazione del dispositivo di geolocalizzazione al recente Tour de Romandie Féminin, al netto dell’esclusione inflitta dall’UCI a cinque team che si sarebbero opposti a indicare il nome della ragazza deputata a partecipare a questo test. In mezzo a tutto il caos, siamo tornati sull’argomento ascoltando le parole di Alessia Vigilia, una delle atlete scelte a portare il device GPS.

Pochi grammi per il dispositivo GPS. Dopo il test-event al Romandia Femminile, verrà messo su ogni atleta al mondiale
Pochi grammi per il dispositivo GPS. Dopo il test-event al Romandia Femminile, verrà messo su ogni atleta al mondiale

Lato agonistico

La bolzanina della FDJ-Suez sta vivendo una stagione interlocutoria in cui si è sempre fatta trovare pronta, come per il Giro Women che non doveva correre e nel quale si è resa protagonista di qualche azione. Ora Vigilia sarà ancora impegnata, tra le tante gare, al Simac Ladies Tour, alle classiche italiane e alla Chrono des Nations. Invece al Romandia ha vissuto in prima persona anche la vittoria finale della compagna Elise Chabbey.

«E’ stata una corsa strana – racconta Alessia – perché è innegabile che l’impatto dell’esclusione di cinque formazioni per questa vicenda dei dispositivi si è sentito. Correre in 60 anziché in 90 fa la differenza. Tuttavia questo non toglie nulla alla gestione della gara da parte nostra. Elise ha vinto una tappa e poi il giorno successivo nell’ultima frazione ci siamo giocati il cosiddetto “all-in” per lei. Ed è andata alla grande.

«Siamo contente – continua – perché il successo del Romandia ci ripaga in parte di un Giro non andato come speravamo e di un Tour Femmes buono in cui ci siamo comportate bene, anche se avremmo voluto vedere la vittoria di Demi (Vollering, ndr). La vittoria di Elise ha dato un grande morale a tutte noi e personalmente sono davvero felice per lei perché era presente tutta la sua famiglia ad ogni tappa. Anche loro hanno contribuito al suo e nostro trionfo».

Vigilia ha contribuito alla vittoria di Chabbey al Romandie, ma l’esclusione di 5 team si è sentita nella economia della gara
Vigilia ha contribuito alla vittoria di Chabbey al Romandie, ma l’esclusione di 5 team si è sentita nella economia della gara

Scelta per il test

Strano è l’aggettivo che più accompagna questo Tour de Romandie della discordia. Vigilia ci fa ripercorrere in ordine la sua esperienza.

«Sulla chat telegram del CPA Women – spiega – il 7 agosto ci era arrivata la comunicazione della sperimentazione. Solo al termine della riunione della sera prima dell’inizio del Romandia abbiamo saputo che c’erano stati gli animi accesi. Abbiamo saputo che la riunione era andata per le lunghe, con diverse discussioni. L’UCI aveva lasciato la possibilità alle squadre di indicare una atleta fino al momento della partenza della crono della prima tappa. I nostri diesse quando sono tornati dalla riunione sono venuti da me dicendomi che avevano deciso di mettere sulla mia bici il tracker di sicurezza.

«Onestamente – prosegue Alessia – non ci ho visto nulla di male, anzi ero anche contenta di poter essere scelta o magari dare il mio contributo. So che le voci parlano di questioni politiche tra UCI e alcuni team. A me è spiaciuto vedere le atlete che hanno completato tutto il riscaldamento pre-crono e poi sono state bloccate proprio prima della partenza dai giudici. Di sicuro penso che comunque si sia verificata una situazione scomoda per gli organizzatori che non hanno visto alla partenza 30 atlete, oltre che per loro stesse».

Marturano è tornata in gara al Romandia dopo la brutta caduta al Giro Women. Anche lei scelta per il tracker GPS
Marturano è tornata in gara al Romandia dopo la brutta caduta al Giro Women. Anche lei scelta per il tracker GPS

Metti e togli

Vigilia non ha posto obiezioni, ha fatto il suo dovere di atleta, però è normale che a maggior ragione si sia fatta delle opinioni su questa sperimentazione.

«Ad ogni tappa – dice Alessia – c’era un addetto dell’UCI che mi applicava questo rilevatore GPS sotto la sella, inserito in un borsello col velcro simile ai kit per la forature. A me non è cambiato nulla perché era molto leggero. Non sembrava nemmeno di averlo, anzi in gara te lo dimentichi perché non si muove, senza avere il rischio di perderlo. Noi atlete cui veniva attaccato non avevamo responsabilità. Al termine della tappa poi te lo venivano a togliere».

Nessun riscontro

«So che qualcuno diceva che potesse rubare i nostri dati – va avanti Vigilia con tono divertito – ma io ridevo con Greta Marturano (l’atleta scelta per la UAE Team ADQ, ndr). Dicevamo che se anche fosse successo, eravamo poco preoccupate perché non avrebbero visto grandi valori. Battute a parte, questo tracker non si interfacciava in alcun modo col nostro computerino. Funzionava come un chip che rileva i tempi, dando però solo dati della localizzazione.

«Ecco, posso dire – sottolinea – che a noi atlete non hanno chiesto alcun riscontro dopo questa sperimentazione. A tutt’oggi, guardando tra email e canale telegram del CPA Women, non sappiamo se questo dispositivo abbia sempre funzionato, abbia funzionato come volevano i commissari dell’UCI o se esistesse una app in cui vedere se il nostro tracciamento è sempre stato visibile. Sappiamo che al mondiale in Rwanda tutte le atlete lo dovranno mettere, però forse servirebbe maggiore chiarezza quando si parla di sicurezza».

Quinty Ton e il suo device. Al momento non si hanno riscontri sulla riuscita dell’esperimento o funzionamento del dispositivo
Quinty Ton e il suo device. Al momento non si hanno riscontri sulla riuscita dell’esperimento o funzionamento del dispositivo

Nulla per scontato

L’impressione è che quando si parla di sicurezza non possa bastare il buon senso da parte delle istituzioni ciclistiche, soprattutto se negli ultimi anni sono accaduti episodi tragici. L’UCI non può dare per scontate certe situazioni e la assurda morte della povera junior Fuller al mondiale di Zurigo dell’anno scorso sembra non aver insegnato nulla a certi dirigenti.

«E’ giusto investire nella sicurezza – ribadisce Vigilia – perché c’è sempre qualcosa da fare in più o in meglio. Non spetta a noi stabilire come, ma sarebbe bello che gli organi internazionali ascoltassero molto di più noi atleti, visto che siamo quelli che salgono e corrono in bici. Al Romandia dello scorso anno ci fecero correre senza radioline per un’altra loro sperimentazione. E’ stato più inutile quello che invece attaccare un dispositivo di geolocalizzazione come qualche giorno fa.

Radioline sì

«Tutta la gente – conclude il proprio pensiero Alessia – pensa che noi atleti con le radioline siamo telecomandati dall’ammiraglia solo per una questione tattica. Invece nessuno ancora riesce a comprendere che ormai sono più le comunicazioni che ci vengono date per i pericoli anziché per il mero lato agonistico.

«E’ vero che noi su VeloViewer studiamo in anticipo tutto ciò che è presente sul percorso, ma è altrettanto vero che quando sei in gara nel massimo della concentrazione, spesso non riesci ad accorgerti di dove sei o ricordarti i punti pericolosi. L’anno scorso in Francia neutralizzarono una parte di una gara perché una improvvisa colata di fango aveva invaso la discesa e per fortuna via radio ci informarono di questo evitando possibili cadute o spiacevoli episodi».

Ad ogni tappa un commissario UCI metteva e toglieva il dispositivo inserito in un borsello e attaccato col velcro alla sella
Ad ogni tappa un commissario UCI metteva e toglieva il dispositivo inserito in un borsello e attaccato col velcro alla sella

Speranze future

Probabilmente andrà avanti a carte bollate la controversia tra l’UCI e i cinque team esclusi dal Romandia. La stessa gara, che quest’anno ha avuto qualche difficoltà ad essere allestita, potrebbe perdere l’attuale status WorldTour poiché non è partito il numero minimo di formazioni WorldTour.

E mentre tanto altro si starà muovendo senza che se ne abbia notizia, bisogna augurarsi che dalla rassegna iridata di Kigali in poi venga fatto qualcosa di davvero concreto in nome della sicurezza in corsa e per gli atleti. Magari mettendo da parte questioni e polemiche che talvolta appaiono personali e sterili.