Leonardo Basso, 29 anni, al suo secondo anno all’Astana Qazaqstan Team. Perché ci occupiamo di lui? Perché è la perfetta dimostrazione di come anche in questo ciclismo che va a velocità ipersoniche, dove tutto cambia dall’oggi al domani, si possa lavorare per trovare una propria dimensione e chissà, costruirsi anche un futuro remoto, quando la bici verrà appesa al classico chiodo.
Se chiedete risultati a Leonardo, per quest’anno non ce ne sono, o meglio i siti statistici vi diranno che di top 10 neanche l’ombra, ma i numeri non dicono sempre tutto. Perché dietro le vittorie e le soddisfazioni di altri, c’è il lavoro oscuro di gente come il veneto e c’è un esempio, neanche troppo lontano nel tempo, che lo dimostra.
Basso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricoloreBasso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricolore
«Avevo preparato con molta attenzione i campionati italiani – racconta Basso – andando al Tour de Suisse per rodare sempre più la gamba. Avevo compiti precisi, soprattutto dovevo lavorare nella prima parte della corsa per mettere le punte in condizione di dare tutto quando la gara si sarebbe decisa e la vittoria di Velasco è stata la vittoria di tutti noi, il premio per il buon lavoro svolto. Ho tirato per 100 chilometri, fino all’ultima risorsa di energia che avevo, ma alla fine ne è valsa la pena».
E dopo?
Ho tirato dritto verso le gare spagnole, continuando a fare il mio lavoro e vedendo che questo fruttava, ad esempio con la vittoria di Lutsenko al Circuito de Getxo. In totale fino a fine luglio ho fatto 48 giorni di corsa e se vado a vedere, avrò staccato dalla bici non più di 5 giorni.
Dopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributoDopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributo
La sensazione è che quello che ci troviamo di fronte sia un Basso diverso da quello che era alla Ineos…
E’ vero, sento dentro di me che qualcosa è cambiato. All’Astana mi trovo davvero bene, ho trovato la mia dimensione nel supporto ai compagni, nel lavorare per gli altri. Spesso chi entra in questo mondo ha un preconcetto nei confronti dei gregari, pensando che siano corridori che valgono meno e quindi sono relegati a ruoli di secondo piano. Quando ti ci trovi capisci quanto il discorso sia molto più complesso e quanto sia importante il lavoro svolto da altri per far vincere le punte del team. Il ciclismo è davvero un lavoro di squadra.
E’ vero, però ormai è opinione comune, quando un team del WT prende un giovane italiano, che questi vada a fare tappezzeria, a imparare sì il mestiere senza però poi avere occasioni per emergere…
Il ciclismo non è così. Entrare in una squadra è sempre uno stimolo e devi metterti in gioco con tutto te stesso, sta a te poi capire piano piano le tue possibilità, quel che puoi realmente dare. Se l’atleta c’è, viene fuori: è interesse del team che ciò avvenga. Ma è anche interesse personale quello di capire che cosa si può realisticamente fare e seguire quella strada. Io come detto ho trovato la mia dimensione e ci sto lavorando sopra.
Il corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel teamIl corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel team
Per completare il discorso, tu corri in una squadra kazaka che ha comunque una forte anima italiana, ma davvero nel WorldTour di oggi si guarda alla nazionalità di un corridore, privilegiando quello “di casa”?
Io non credo proprio, tutte le squadre sono delle multinazionali, che vogliono semplicemente emergere e vincere, se il campione è nazionale bene, se viene da fuori bene lo stesso. Che manchi un team italiano nella massima serie è fuori di dubbio, sarebbe comunque un canale privilegiato per far emergere i talenti italiani, ma se hanno qualità si metteranno in luce anche in team straniero. Però c’è dell’altro…
Cosa?
Non guardiamo sempre al discorso prettamente ciclistico. Approdare in un team di questo livello, soprattutto da giovani (io sono andato alla Trek a 21 anni) è un percorso di crescita anche personale. Impari nuove lingue, stabilisci obiettivi e priorità, insomma diventi uomo e in questa maturazione ci sta anche il trovare il proprio ruolo e svolgerlo sempre meglio.
Il veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambienteIl veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambiente
E tu che obiettivi ti poni? Dalle tue parole, ma anche dal tuo modo di correre si prospetta un futuro in ammiraglia…
Ammetto che mi piacerebbe molto e mi ci sento portato, non so se al massimo livello o occupandomi dei giovani, ma si può fare molto avendo un approccio ampio al mestiere. Io però sono concentrato sull’oggi, mi piace rimanere in questa squadra, voglio continuare a lavorare e a contribuire ai suoi successi.
Ora che cosa ti attende?
Mi sto preparando per la lunga trasferta oltreoceano, con il Tour of Maryland e le due classiche canadesi del WorldTour. Quest’anno non ci saranno grandi Giri per me, ma come si vede le corse da fare non mancano…
Per Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergliPer Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergli
Hai già molti più giorni in carniere rispetto allo scorso anno…
Il 2022 è stato davvero difficile ed essendo il primo anno all’Astana non nascondo che la cosa mi è pesata. Ho preso per due volte il Covid e la ripresa è stata ogni volta più complicata. Ho pagato fisicamente. Quest’anno è tutta un’altra storia, mi sento più solido, sotto ogni punto di vista e spero che questa progressione non si fermi.
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Per la prima volta nella sua carriera, Elisa Longo Borghini non ha partecipato al campionato del mondo. Difficile trovare certe statistiche nel ciclismo maschile e forse più in genere in quello contemporaneo, dove per un motivo o per l’altro può capitare di restare fuori: non fosse altro per le caratteristiche del percorso. Alla piemontese non era mai successo. Solo una volta era rimasta fuori dalla nazionale, per le Olimpiadi di Londra, e se l’era legata al dito. Questa volta però non c’è stato da recriminare su nulla, dato che il problema di salute che l’ha costretta al ritiro dal Tour non consentiva leggerezze o gesti eroici. Così Elisa ha seguito il mondiale da casa. Il suo punto di vista è il modo di rivivere la corsa di Lotte Kopecky e delle italiane, cercando eventuali punti di snodo che potrebbero esserci sfuggiti.
Fra le curiosità di quel giorno, domenica 13 agosto, c’è che Elisa è riuscita per la prima volta a riprendere la bici. La sua giornata perciò è iniziata con un’uscita assai blanda in compagnia di Jacopo Mosca (foto di apertura), reduce dal Polonia e in procinto di partire per il Giro di Danimarca, ed è poi proseguita sul divano.
Secondo Longo Borghini, un’azzurra sarebbe potuta entrare nella prima fuga, purtroppo nessuna c’è riuscita. Paladin ha provato a inseguireSecondo Longo Borghini, un’azzurra sarebbe potuta entrare nella prima fuga, purtroppo nessuna c’è riuscita. Paladin ha provato a inseguire
Come è stato guardare il mondiale in tivù?
Strano. Li ho fatti tutti da quando sono passata elite. Anche nel 2013, quando ero caduta e mi ero fatta male, ma riuscii a recuperare in tempo. E sarei riuscita a farlo anche questa volta, se non li avessero spostati ad agosto. Però alla fine ho accettato la situazione. E’ capitato qualcosa fuori dal mio controllo, non ero arrabbiata. Mi è dispiaciuto perché mi vedevo in quel gruppetto davanti a dare legnate secche. Però se non si può, non si può. Se la salute non ti supporta, non puoi farci niente.
A che punto hai realizzato che avresti saltato il mondiale?
Ufficiosamente dal momento in cui mi sono ritirata dal Tour e abbiamo capito che la situazione era parecchio seria. Non sarebbe stato possibile recuperare.
Veniamo al mondiale. Non ti sembra che di base ci sia stata una lettura sbagliata del percorso? Perché parlare tanto di velocisti?
Per quanto mi riguarda, io avevo fatto l’europeo più o meno su quel percorso e non era stata una corsa per velocisti. Fra gli uomini era arrivato un gruppetto con Trentin, mentre la nostra gara arrivò in volata solo perché decidemmo di farla arrivare in volata. C’era stata davanti per tanto una fuga, poi un gruppettino, poi rimasi io da sola con Van der Breggen. Quindi per me era chiaro che con tutti quei rilanci e quegli strappettini, che sembrano tanto semplici ma alla fine segano le gambe, non sarebbe stata una gara per velocisti. Mi ha stupito veramente che tutti pensassero che potesse essere una gara per gente veloce. Era chiaro che sarebbe diventata una corsa durissima.
Il 7° posto di Chabbey è venuto per quella che Longo Borghini ha chiamato “corsa del morto”Il 7° posto di Chabbey è venuto per quella che Longo Borghini ha chiamato “corsa del morto”
Prima fuga, nessuna azzurra dentro e Soraya Paladin che insegue da sola…
Avevo parlato con alcune ragazze della nazionale e ci eravamo dette che sarebbe stato buono essere in una fuga da lontano, soprattutto se costava poco e c’erano dentro dei buoni nomi, ad esempio un’olandese. E dei buoni corridori effettivamente sono andati via, ma noi non eravamo dentro e mi è dispiaciuto. Però alla fine è semplice parlare da casa, in corsa ci sono delle dinamiche che non conosco. Ho visto che Gasparrini ci ha provato, ma non è riuscita ad agganciarsi. Le sono mancati quei tre metri senza i quali saremmo a raccontare un’altra storia.
Anche perché dopo la corsa le prime ad essere dispiaciute erano loro…
Questo è poco, ma sicuro. In questa intervista potrò dire tutto, ma non mi troverete mai a criticare le mie compagne, perché ci tengo alla maglia azzurra e ci tengo a loro.
In tutte le loro parole prima e anche dopo, la tua assenza è stata il fattore che ha fatto la differenza, quasi sentissero che mancava chi avrebbe finalizzato il lavoro…
E’ un argomento difficile: potrebbe essere successo, non lo so. Sentir parlare della mia assenza, da un certo punto di vista mi è dispiaciuto. Sentire però che le persone o anche gli stessi commentatori rimpiangessero che non fossi lì, mi ha dato la carica per tornare al prossimo mondiale e pareggiare i conti. In ogni caso le ragazze avevano come riferimento Elena Cecchini, che corre in una squadra molto forte e conosce le dinamiche di corsa. Io sono più che altro il braccio e lei la mente. Io sto davanti di gambe, ovviamente uso anche il cervello, però non mi reputo una trascinatrice come lei.
Cecchini è stata la trascinatrice delle azzurre: se avesse ripreso Chabbey, la Longo è sicura, sarebbe entrata fra le top 10Cecchini è stata la trascinatrice delle azzurre: se avesse ripreso Chabbey, la Longo è sicura, sarebbe entrata fra le top 10
A un certo punto è stato chiaro che il nostro leader fosse Silvia Persico.
E Silvia ha fatto vedere che c’era. Forse ha sprecato un po’ troppo seguendo i primi attacchi della Kopecky, che erano più dettati dal nervosismo. Magari poteva rimanere di più sulle ruote e far chiudere le altre, però anche in questo caso… Io stavo guardando la TV, lei solo sapeva come stavano le sue gambe e che cosa l’istinto le diceva di fare. Quindi se ha fatto così, un motivo forse c’era.
Che cosa hai pensato quando hai visto che Kopecky faceva il diavolo a quattro?
Si è visto dall’inizio che la Kopecky aveva una gamba che… sparecchiava e che era determinata a vincere questo mondiale a qualsiasi costo, più di tutte. Era pronta a morire sulla bici. Il motivo lo sa solo lei. Oltre al fatto di avere la maglia, secondo me c’era qualcosa di più forte che la spingeva a vincere quella corsa, qualcosa di personale. Quando vuoi così tanto una corsa, è perché hai qualcosa dentro che ti dà una spinta in più. Lei aveva le gambe, ma anche una cattiveria agonistica impressionante.
Longo Borghini ha capito dalle prime battute che Lotte Kopecky avesse dentro una spinta emotiva superiore: voleva vincereLongo Borghini ha capito dalle prime battute che Lotte Kopecky avesse dentro una spinta emotiva superiore: voleva vincere
Il 2023 è l’anno in cui ha perso suo fratello …
Quando ti ritrovi in quelle situazioni, sei talmente determinata, che ogni cosa diventa possibile. Avrebbe strappato la maglia alla Vollering se fosse stato necessario…
Cosa hai pensato quando hai visto Elena Cecchini andare da sola in caccia di Chabbey?
Ho pensato che se fosse rientrata, avrebbero avuto una bella posizione di vantaggio. La Chabbey ha fatto risultato (settima all’arrivo, ndr) perché su un circuito così, se ti porti avanti, è vero che ti vengono a prendere, però ormai è la corsa del morto. Dietro la selezione è già fatta e non rientrano in tanti, quindi ho sperato che Elena riuscisse a ricucire, perché poi avrebbe fatto di sicuro una top 10. Infatti, quando è partita, ho detto: «Cacchio, brava Elena!». L’ha pensata bene, anche se non è riuscita a rientrare.
Consonni e Balsamo, le più veloci, hanno tenuto finché è stato possibile…
Chiara ha corso sulle ruote, probabilmente era stato deciso così. Ha tenuto bene, ha fatto una bella gara. Elisa è stata intelligente e molto coraggiosa, perché quando ha capito di non avere le gambe per stare con le prime, ha provato ad anticipare con la Markus. Credo che per lei sia stata una buona prova, soprattutto dopo l’incidente e dopo un Tour de France in cui ha speso tanto.
Consonni ha corso sulle ruote, con la consegna di arrivare il più avanti possibileQuando ha capito di non poter lottare con le prime, Balsamo ha provato l’anticipoConsonni ha corso sulle ruote, con la consegna di arrivare il più avanti possibileQuando ha capito di non poter lottare con le prime, Balsamo ha provato l’anticipo
A proposito di Tour de France, alcune azzurre sono arrivate al mondiale parecchio provate: forse le due corse erano troppo ravvicinate?
Bè, alla Kopecky è andata bene… Ovviamente se sei un’atleta di fondo e magari non sei una giovane che ha fatto Giro e Tour, allora può andare bene. Per chi è più maturo ed è abituato a carichi di lavoro importanti, il Tour de France è stato la miglior preparazione. Lo sarebbe stato anche per me, se avessi finito il Giro e non mi fossi ritirata anche dal Tour (sorride amaro, ndr).
Forse Silvia Persico rientra fra le più giovani che potrebbero averlo pagato?
Ho paura di sì, però mi potrei sbagliare. E’ ancora giovane, magari non sta facendo ancora dei carichi di lavoro super importanti. Ha fatto 10 giorni di Giro a tutta, poi due settimane per recuperare, poi di nuovo una settimana durissima al Tour. Anche solo guardando i miei dati su Training Peaks, nonostante io mi sia ritirata prima delle tappe più dure, avevo un TSS altissimo, perché andavamo ogni giorno a tutta. Quindi può essere che Silvia sia arrivata un po’ stanca al mondiale (il Training Stress Score è un numero che tiene conto della durata e dell’intensità di un allenamento e dello stress fisiologico che ha prodotto, ndr).
Sei stata per tutto il giorno sul divano?
Molto serenamente, con Jacopo che mi portava da bere e da mangiare. Più acqua che cibo, perché devo bere tanto. E poi facevamo i nostri commenti, le nostre valutazioni da divano, come due pensionati.
Silvia Persico è stata la leader delle azzurre e si è fatta trovare nei momenti giusti. Secondo la Longo, potrebbe aver pagato il TourPersico è stata la leader delle azzurre, ma secondo la Longo, potrebbe aver pagato il Tour
In conclusione, che mondiale è stato?
E’ stato un mondiale figo secondo me, perché diverso da quello che tutti si aspettavano. Gli sprinter come Philipsen e Wiebes saltati al primo giro. Da spettatrice è stato un bel mondiale da seguire. Si prestava a scatti e contro scatti. Non è stato per niente soporifero. Anche la gara degli uomini, che magari nelle prime ore… Invece hanno fatto un finale che è durato 150 chilometri e anche guardare le ragazze è stato molto coinvolgente. Ho guardato tutte le gare, mi sono fatta anche una certa cultura nel paracycling.
Sei uscita per la prima volta in bici il giorno del mondiale, come procede adesso il recupero?
Ieri ho ripreso sul serio con le tabelle di Slongo. Se guardo i lavori che devo fare, penso che li farebbe anche mia nipote, ma sono stata per due settimane senza allenarmi, con un intervento, gli antibiotici, dolori vari e ferite, quindi sono un po’ a pezzi, ma il morale è buono. Chissà che per il Romandia non si possa ricominciare a menare le mani…
In questo ciclomercato attivo e sorprendente come non era da tempo, ci sono anche ritorni al passato, corridori che vogliono ritrovare il proprio miglior feeling riabbracciando team e formule che si erano rivelate fortunate. E’ il caso di Giacomo Nizzolo, che a 34 anni si rimette in gioco tornando a casa Ryder, alla Q36.5.
Per il ligure la formazione diretta discendente della Qhubeka è la squadra dove ha vissuto le stagioni più belle, dal 2019 al 2021, arrivando a conquistare le maglie di campione italiano ed europeo. Ryder lo accoglie nuovamente nella sua famiglia e senza la retorica del “figliol prodigo”, perché con Nizzolo i contatti sono sempre rimasti, sulla base di un’amicizia che va oltre il ciclismo.
Nizzolo in maglia Dimension Data: è il 2019 e il milanese approda al team sudafricanoNizzolo in maglia Dimension Data: è il 2019 e il milanese approda al team sudafricano
«Nel 2018 Giacomo stava andando molto bene alla Trek – racconta il manager sudafricano – era molto felice lì, ma cercava anche un cambiamento. Sentiva che stava crescendo e voleva più opportunità per essere un leader nelle classiche. Giacomo è un campione che sente sempre il bisogno della sfida. Da noi ha visto quest’opportunità ed è stato un bene per lui. E’ cresciuto come corridore, ha avuto tante opportunità. Ha vinto una tappa al Giro, cosa che non aveva mai fatto prima. E’ stato campione italiano ed europeo. Giacomo non vince molte gare, ma fa tanti punti ed è sempre lassù a lottare per il risultato. Ci ha dato l’attenzione di cui avevamo bisogno e può farlo ancora».
Nizzolo è rimasto nel tuo team 3 anni: com’erano i rapporti con lui, che persona era?
Giacomo è un combattente, che è quello che mi piace. Mi piace qualcuno che si alza ogni giorno e lotta per un risultato e per la prestazione. E’ un leader e un grande mentore per i corridori più giovani. Il nostro rapporto è sempre stato molto buono e rispecchia la nostra cultura, lottando sempre per ogni posizione. Abbiamo davvero avuto conversazioni molto oneste e aperte su come essere migliori. Quindi, avendo un pilota delle sue capacità come guida, anche alla sua età di 34 anni, lo vediamo ancora in grado di offrire prestazioni al top e guidare la nostra squadra attraverso le classiche e le grandi gare.
Il successo più importante per Nizzolo, nel 2020, il titolo europeo, perla dei 3 anni alla QhubekaIl successo più importante per Nizzolo, nel 2020, il titolo europeo, perla dei 3 anni alla Qhubeka
Perché gli hai chiesto di tornare?
In realtà è stata una cosa piuttosto divertente, è quasi successo nello stesso momento in cui lui me l’ha chiesto e io l’ho chiesto a lui, ci siamo incontrati a una gara e lui è venuto da me e mi ha detto «Ehi Doug, mi piace l’aspetto della tua squadra. E’ bello vedere che sei tornato nel nostro sport. Hai ottimi sponsor, buona attrezzatura, una bici davvero di qualità. Ho davvero tante cose che voglio ancora fare. Mi sono divertito quando abbiamo lavorato bene insieme, penso che possiamo fare ancora grandi cose. Cosa ne pensi?». E io ero al settimo cielo: «Accidenti Giacomo, riaverti in squadra sarebbe fantastico». Per noi averlo nella nostra squadra è perfetto e anche per lui evidentemente è così.
Tu lo conosci bene: in questi ultimi anni Giacomo ha avuto problemi fisici e meno risultati rispetto agli anni con te, hai trovato un uomo cambiato?
Alcune squadre non si concentrano sui dettagli dell’individuo. Noi non prendiamo i ciclisti per metterli in funzioni come velocista, scalatore, ecc.. Osserviamo i loro obiettivi, i loro sogni e come possiamo avere successo insieme. Giacomo ha avuto qualche infortunio in passato. Quando è entrato a far parte del nostro team nel 2019, ci siamo seduti e abbiamo detto: «Okay, andiamo alla causa principale degli infortuni e proviamo a risolvere il problema di fondo». Quindi abbiamo passato alcuni mesi a capire cosa stava causando il suo dolore al ginocchio e i suoi problemi e poi l’abbiamo risolto. Da quel punto, abbiamo iniziato ad andare avanti. Da allora non ha avuto gli infortuni che aveva avuto in passato. Quindi siamo molto ottimisti riguardo al futuro insieme, ma come squadra ci concentriamo sull’individuo e sulle sue sfide.
Lo sprint vittorioso di Nizzolo alla Tro-Bro Leon 2023, più recente successo della sua lunga carrieraLo sprint vittorioso di Nizzolo alla Tro-Bro Leon 2023, più recente successo della sua lunga carriera
Pensi sia ancora un vincente a 34 anni?
Decisamente. Vince gare ogni anno. Ha segnato più di mille punti UCI negli anni con noi, il che è davvero buono. E questo prima che il sistema a punti fosse migliore per le tappe nei grandi Giri. Speriamo davvero di poter avere insieme la motivazione e l’attenzione per riportarlo a quello che era due, tre anni fa.
Conti di mettere qualche giovane al suo fianco, per imparare il mestiere di velocista?
Abbiamo avuto Antonio Puppio, che è tornato con noi dopo un anno alla Israel. Abbiamo appena annunciato l’arrivo di Frederik Frison, che si è unito a noi da Lotto-Dstiny. E’ un corridore belga molto forte. Abbiamo dei corridori davvero forti intorno a Giacomo che possono supportarlo, ma lui può aiutare a crescerne altri come Walter Calzoni, che potrà imparare molto da Giacomo, o lo stesso Puppio o Parisini. Sono entusiasta di avere l’impegno e la passione di Giacomo nella squadra, la sua leadership. E poi, ovviamente, la sua opportunità di aiutare i corridori più giovani a capire meglio lo sport, allenarsi meglio ed essere migliori.
Ryder con Edvard Boasson Hagen, uno dei corridori già confermati per il 2024 (foto Getty Images)Ryder con Edvard Boasson Hagen, uno dei corridori già confermati per il 2024 (foto Getty Images)
Per ora come giudichi la vostra stagione?
Abbiamo vinto cinque gare. Speravamo di vincere di più, ma se pensi a quando abbiamo messo insieme la nostra squadra a settembre dello scorso anno, tutti i migliori ciclisti avevano già firmato contratti con altre squadre. Abbiamo riunito 24 corridori che non avevano mai corso insieme ed è stata davvero una sfida davvero difficile. Ma sono contento di quello che siamo riusciti a ottenere. Siamo stati invitati ad alcune delle grandi gare classiche e non vediamo l’ora di finire bene e forte alla fine di quest’anno e poi crescere sulla base che abbiamo costruito. Perché penso che stiamo iniziando a vedere davvero il potenziale della squadra che avevamo sulla carta all’inizio dell’anno. Sappiamo che il nostro grande obiettivo è essere ammessi al Giro d’Italia l’anno prossimo. Questo è un grande traguardo per noi.
Da Glasgow a una spiaggia delle Marche il passo non è tanto breve, ma i giorni di ferie sono pochi e per concedersi un po’ di recupero Elena Bissolati ha scelto così: azzurra nel dopolavoro, come Ceci e la maggior parte dei paralimpici. Ventisei anni, cremonese di San Giovanni in Croce, la risata sempre pronta e un bellissimo sorriso, ai mondiali ha corso le prove del tandem assieme a Chiara Colombo, centrando la medaglia d’argento nella prova a squadre dell’ultima sera.
Una dimensione nuova per lei, che assieme a Miriam Vece s’è portata sulle spalle la velocità azzurra quando la precedente Federazione l’aveva dimenticata, isolata, cancellata. Solo che mentre la sua coetanea era riuscita a entrare nel centro UCI a Aigle, Elena è rimasta in Italia, dove quel senso di solitudine alla fine le ha fatto dire basta. Basta con la nazionale di sempre, evviva però l’offerta di Silvano Perusini di provare a fare qualcosa con i paralimpici (in apertura, Elena è con Chiara Colombo a Montichiari, foto Instagram).
Bissolati ha fatto parte della nazionale normodotati sin da quando era junior. Ha chiuso nel 2022Bissolati ha fatto parte della nazionale normodotati sin da quando era junior. Ha chiuso nel 2022
Ti aspettavi di più dall’attività con la nazionale?
Diciamo che avevo raggiunto il mio punto d’arrivo, anche perché avevo già iniziato a lavorare. Ho cominciato da due anni e intanto facevo combaciare le cose. Però penso che per andare avanti con l’ambiente elite “normo”, se non lo fai per lavoro arrivi a un certo punto che devi scegliere: correre o lavorare.
Ti scoccia un po’ che il settore velocità l’abbiano preso in mano proprio adesso? Se lo avessero fatto un anno prima cambiava qualcosa per te?
Probabilmente sì. Probabilmente se si fossero mossi prima, sarebbe stato diverso. Ma diciamo che non mi lamento, perché penso di poter dare tanto sul tandem, sia a livello personale sia a livello di prestazione.
Ai campionati europei under 23 del 2015, Bissolati centra il secondo titolo nello scratchOltre all’oro di Bissolati, in quegli stessi europei, l’altra cremonese Marta Cavalli vincerà l’oro nel quartettoAi campionati europei under 23 del 2015, Bissolati centra il secondo titolo nello scratchOltre all’oro di Bissolati, in quegli stessi europei, l’altra cremonese Marta Cavalli vincerà l’oro nel quartetto
Che lavoro fai?
Mi è sempre piaciuto lavorare nella grafica, che è quello che ho studiato. In realtà ho dovuto fare una scelta e lavoro in un bar trattoria al mio paese, per incastrare allenamenti e gare. Altrimenti non ce l’avrei fatta. E quindi per gareggiare, come pure Ceci, uso i giorni di ferie.
Che cosa è stato per te questo primo mondiale paralimpico?
E’ stata la prima esperienza in tandem, quindi era tutto un mondo nuovo. Ovviamente puntavamo alto, ma non ci aspettavamo i risultati che sono arrivati.
Il settore pista è nuovo, sono nuovi gli equipaggi dei tandem, è nuovo il tecnico…
Siamo praticamente tutti nuovi, con Ceci, Plebani ed io che veniamo via dalla nazionale “normo” e ci siamo spostati verso quella paralimpica.
L’affiatamento in pista con Chiara Colombo ha richiesto ore di lavoro (foto Francesco Ceci)L’affiatamento in pista con Chiara Colombo ha richiesto ore di lavoro (foto Francesco Ceci)
Come è nato questo spostamento?
Mi hanno contattato tramite Perusini e ho accettato subito. Era gennaio, non c’è stato da pensarci tanto. Ho sempre fatto come battuta il voler provare il tandem, ma non pensavo a tutto questo. Però ho detto subito sì, anche Perusini che mi ha chiamata c’è rimasto. Mi ha chiesto se volessi pensarci, ma io avevo già deciso. Non sapevo chi fosse, l’ho conosciuto dopo.
Com’è stato interagire comunque con un’altra persona sul tandem?
All’inizio non è stato semplice, però io mi sono divertita da subito. Poi è ovvio che trovare la pedalata non è stato semplice. C’è voluto tempo sia per farmi conoscere da Chiara e sia per lei farsi conoscere da me.
Nel 2023 con Chiara Colombo non solo pista, anche il campionato nazionale su strada (foto Instagram)Nel 2023 con Chiara Colombo non solo pista, anche il campionato nazionale su strada (foto Instagram)
Anche perché tu sei un’atleta di valore internazionale, lei è al debutto assoluto…
Lei è proprio alle prime armi e questo potrebbe essere anche un punto a favore, visto che ha modo di crescere bene.
L’obiettivo sono le Paralimpiadi?
Sicuramente sì, ma secondo me non quelle di Parigi. Ci proveremo sicuramente, ma penso che non avremo molto agio proprio a livello di tempistiche. Però mai dire mai, visto il mondiale che abbiamo fatto.
Su whatsapp hai un motto, secondo cui tutto torna, basta avere pazienza. Come mai?
Sono una ragazza abbastanza impulsiva che vuole tutto e subito e mi hanno sempre detto che non è proprio così. E infatti non è così. Il motto è sempre quello che tutto torna nella vita, quindi basta avere pazienza e prima o poi le cose girano.
Ai campionati europei di Monaco dello scorso anno, ha corso tutte le discipline veloci assieme a Miriam VeceAi campionati europei di Monaco dello scorso anno, ha corso tutte le discipline veloci assieme a Miriam Vece
Questa chance col tandem potrebbe essere il giusto che sta arrivando?
Sì, sono proprio sicura che sia così ed è bello.
Che tipo di rapporto si è creato tra te e Chiara Colombo?
All’inizio ho dovuto guidare altre due ragazze, non mi hanno affidato subito lei. E’ stato un bene perché ho capito che ci sono differenze tra una ragazza e l’altra. Il modo di pedalare, il modo di porsi, tante cose… Chiara è totalmente inesperta, a parte qualche anno nelle giovanili di mountain bike. Quindi lei si è fidata subito, dato che la pista non sapeva neanche cosa fosse e su strada era andata, ma non a livello agonistico.
Avete fatto anche strada insieme?
Quest’anno ci siamo date un po’ a tutto. A giugno abbiamo fatto i campionati italiani su strada e abbiamo vinto anche quelli, però penso di specializzarmi sulla pista, perché alla fine vengo da lì e non avrebbe senso disperdere quel lavoro.
Al debutto iridato a Glasgow, per Bissolati-Colombo è arrivato l’argento nella velocità a squadreAl debutto iridato a Glasgow, per Bissolati-Colombo è arrivato l’argento nella velocità a squadre
Continuerai a fare qualche gara individuale?
Quest’anno ho fatto il campionato italiano e se riesco lo faccio anche l’anno prossimo. Mi piace correre e poi è stato un momento di confronto, per capire a che punto di condizione fossi.
Come prosegue la stagione?
Ricominciamo subito, perché a settembre abbiamo il campionato italiano: devono ancora confermare la data. E poi a marzo ci saranno i mondiali a Rio, in cui si fanno punti per la qualifica olimpica. Così se tutto dovesse andare bene, la prossima estate potremmo avere qualcosa di importante da fare…
Milan si è presentato ai mondiali con una sola corsa dopo il Giro. La fatica non è stata facile da smaltire, il podio dell'inseguimento parla di ripartenza
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A Glasgow era anche Enrico Della Casa, numero uno dell’Uec. Estremamente incuriosito dall’organizzazione di un evento complesso come la prima edizione di questa sorta di “Olimpiadi della bici”, per trarne ispirazione per nuove idee. A dir la verità, un evento del genere era nei programmi della federazione europea, ma proprio vedendo come in ambito più grande si procedesse per la stessa strada, non se n’era fatto più nulla.
Compressa fra il Tour de France e l’inizio della rassegna iridata, l’Uec aveva intanto allestito la prima edizione degli europei per scalatori. Si sarebbe portati a pensare a una manifestazione di nicchia, eppure di spunti ne ha dati tanti, basti pensare alla vittoria di Grosschartner, alla rinuncia in extremis di Pogacar, all’argento di Gaffuri. Il problema è stata la scarsa promozione dell’evento, praticamente se ne è cominciato a parlare appena finito il Tour e la gara era la domenica dopo…
Felix Grosschartner è stato il primo nome nell’albo d’oro degli europei per scalatori (foto Uec)Felix Grosschartner è stato il primo nome nell’albo d’oro degli europei per scalatori (foto Uec)
«Eppure la manifestazione era in calendario dall’inizio dell’anno – ride Della Casa alla nostra puntualizzazione – ma effettivamente è risultata un po’ schiacciata nel calendario. Non poteva essere altrimenti, vista la particolarità di questa stagione. Per noi era un test, per capire le sue prospettive, soprattutto considerando che univa vari mondi del nostro panorama, da quello agonistico di vertice a quello amatoriale, tutto unito nello spazio e nel tempo. E’ stato un test, direi ampiamente superato».
L’annuncio della possibile partecipazione di Pogacar in tal senso è stata una fortuna…
Tadej aveva dato la sua disponibilità – precisa Della Casa – e questo ci ha aiutato nella pubblicizzazione dell’evento, poi non ha potuto esserci vista la stanchezza accumulata al Tour e l’imminente impegno mondiale, ma abbiamo apprezzato molto la sua volontà. E’ stata nel complesso una buona esperienza, sulla quale sicuramente ragioneremo per migliorarne l’impatto, perché è un evento che può avere un futuro.
Sui tornanti del San Gottardo gli europei per scalatori torneranno nei prossimi due anni (foto Uec)Sui tornanti del San Gottardo gli europei per scalatori torneranno nei prossimi due anni (foto Uec)
E’ già in cantiere la seconda edizione?
Sì, resteremo al San Gottardo che ha dato la sua disponibilità per tre edizioni. Oltretutto il supporto della federazione elvetica è forte, verranno disputati lì anche i campionati nazionali, d’altronde abbiamo riscontrato molto interesse da parte di svariate federazioni e nell’ambiente l’idea è piaciuta. Abbiamo intanto avuto l’interesse del Mont Ventoux, per raccogliere l’eredità degli svizzeri, quindi il futuro è tracciato.
Manterrete questa connotazione che permette anche a chi agisce nel mondo delle Granfondo di confrontarsi con gli Elite?
L’idea è quella, anche se uno come Gaffuri è un corridore con tessera assoluta, quindi avrebbe comunque avuto diritto a partecipare. Dare a tutti la possibilità di correre è alla base di questa iniziativa, con la formula della cronoscalata tutti possono registrare il proprio tempo nello stesso giorno. Oltretutto su un tracciato gestito in tutta sicurezza il che non è poco.
Contemporaneamente ai mondiali, a Il Ciocco si sono svolti gli europei giovanili di mtb (foto Uec)Contemporaneamente ai mondiali, a Il Ciocco si sono svolti gli europei giovanili di mtb (foto Uec)
Che cos’altro proporrete?
Quest’anno lanciamo la Coppa Europa di ciclocross per categorie giovanili, che era un’idea che avevamo da tempo e che abbiamo già rodato per un paio d’anni senza però seguirla direttamente. E’ un’iniziativa che è piaciuta perché ha un alto tasso promozionale, basti guardare a quanti ragazzi provenienti dal ciclocross siano stati protagonisti nelle varie specialità a Glasgow. Oltre non andiamo, l’Uec non ha grandissime risorse e vogliamo fare poche cose ma fatte bene.
E’ vero che una rassegna pluriciclistica come quella scozzese era nei programmi dell’Uec?
Non solo – Della Casa si fa serio – era già stabilita, la prima edizione si sarebbe dovuta svolgere a Minsk in Bielorussia nel 2021, ma poi la pandemia ha fatto saltare tutti i programmi, senza dimenticare i problemi politici nel frattempo insorti. Il calendario è già molto ricco, noi poi facciamo parte del programma della rassegna quadriennale dei campionati europei, lo scorso anno è stato un successo clamoroso. Nel 2026 vogliamo portare tutte le specialità olimpiche proprio come è avvenuto a Glasgow, ma è un impegno oneroso.
I campionati europei si svolgeranno a Drenthe (NED) dal 20 al 24 settembre (foto Uec)I campionati europei si svolgeranno a Drenthe (NED) dal 20 al 24 settembre (foto Uec)
Quest’anno gli europei prendono il posto della rassegna mondiale come data. Questo dovrebbe dare anche maggiore impatto multimediale…
E’ un caso, avverrà nell’anno della rassegna omniciclistica, ma già dal prossimo anno torneremo alla nostra collocazione abituale di agosto, considerando anche la presenza delle Olimpiadi che rende il calendario ancora più complicato.
Che impressione ha avuto di questa rassegna scozzese?
E’ stato un grande evento – asserisce Della Casa – che ha permesso di conoscere il mondo del ciclismo a 360 gradi. Chi in Italia aveva mai sentito parlare ad esempio della ciclopalla, o del ciclismo artistico o le tante sfaccettature della bmx? Questo mondiale ha dato più visibilità del solito al nostro mondo e poi ha consentito agli atleti paralimpici di convivere con i normodotati, un grandissimo traguardo.
Quest’anno la Uec ha in programma ben 26 manifestazioni spartite fra le varie discipline (foto Uec)Quest’anno la Uec ha in programma ben 26 manifestazioni spartite fra le varie discipline (foto Uec)
Un’idea quest’ultima che si può ripetere?
Non solo si ripeterà, ma addirittura i prossimi mondiali su strada di Zurigo 2024 abbineranno ancora i due mondi. Noi seguiamo il paraciclismo solo da due anni, non avevamo le strutture organizzative per farlo bene. La richiesta che ci arriva è di fare altrettanto e seguiremo questa indicazione per la strada, probabilmente dal 2025. Per la pista è più difficile visto quel che serve, anche a Glasgow che pure ha un impianto all’avanguardia hanno avuto problemi.
Ulissi ha corso gli europei: Villa glielo aveva chiesto dopo il Giro. Il toscano è stato nelle nazionali di 4 cittì. Gli abbiamo chiesto di raccontarli
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Puoi chiamarti anche Julian Alaphilippe, ma se in questo ciclismo hai qualche problemino diventa dura anche per te. Il due volte campione del mondo è uscito così così dal Tour de France e ancora peggio dal mondiale di Glasgow.
Di fatto sono mesi che ci prova, ma poi quando il gioco si fa davvero duro, trova sempre chi lo batte. E allora cosa succede ad Alaphilippe?
Bramati e Alaphilippe parlano. I due lavorano insieme dal 2014Bramati e Alaphilippe parlano. I due lavorano insieme dal 2014
Parla Bramati
Ciò nonostante quest’anno il corridore della Soudal-Quick Step ha messo nel sacco due vittorie: Faun-Ardèche Classic e la seconda tappa del Delfinato. E quest’ultimo successo lasciava davvero ben sperare.
Davide Bramati è forse il direttore sportivo che meglio lo conosce. C’era spesso lui in ammiraglia in occasione dei grandi successi del francese. Sostanzialmente al “Brama” abbiamo chiesto perché Alaphilippe continua a fare fatica.
«Io – spiega Bramati – penso che Julian sia stato molto sfortunato. Dopo la brutta caduta dell’anno scorso (il riferimento è alla Liegi, ndr) non è stato facile ripartire. Oggi quando perdi dei mesi, non lasci indietro solo delle corse, ma un’intera base di solidità, di costanza… rispetto agli anni precedenti. Però è un ragazzo che ha vinto tanto e mi aspetto che torni a vincere tanto».
Alaphilippe è spesso in fuga e vuole centrare una tappa. La Soudal lo sta supportando?Alaphilippe è spesso in fuga e vuole centrare una tappa. La Soudal lo sta supportando?
Ancora un anno
Bramati esalta il recente Tour de France di Alaphilippe: è soprattutto da lì che bisogna ripartire. Non dai risultati, ma dal modo di correre.
«Si è visto come Julian abbia affrontato il Tour – riprende il “Brama” – ci ha provato quasi tutti i giorni, dopo la vittoria al Delfinato forse si aspettava qualcosina in più anche lui, ma il livello è davvero altissimo. Oggi se perdi una settimana sembra tu abbia perso un mese. E il Tour è stato corso in modo folle sempre, a parte una tappa e le crono».
Costanza, continuità: se questa è la formula vincente per tornare in auge, Bramati spiega tutto con questa frase: «Dopo quello che ha passato in seguito all’incidente dell’anno scorso, sono convinto che Alaphilippe tornerà dopo questa stagione. Deve fare prima una stagione senza grandi intoppi. Gli serve ancora l’inverno per poter lavorare su questa base e vedrete il prossimo anno…».
Alaphilippe al mondiale, un tentativo lontano dal traguardo poi si è fermatoAlaphilippe al mondiale, un tentativo lontano dal traguardo poi si è fermato
La motivazione c’è
Alaphilippe fa fatica, ma non demorde ed è concentrato. Bramati ci tende a sottolineare questo aspetto, anche perché altrimenti secondo lui non avrebbe interpretato il Tour in quel modo.
«Ma quante fughe ha preso?», incalza Bramati. «Si vede che ha voglia. Spesso è anche partito per primo, proprio per paura di non prenderle o di farsi cogliere in castagna. Per me si lascia alle spalle un buon Tour per le sue condizioni.
«Poi bisogna considerare che per un campione come lui non è facile accettare di non riuscire a vincere. Ci prova giorno e notte».
Tanti si aspettano moltissimo da lui. Ricordiamoci che fino a un paio di anni fa era lì a giocarsela con Van der Poel e Van Aert nelle classiche e adesso fa fatica ad arrivare davanti. In queste situazioni anche le critiche mediatiche montano. Per fortuna che Alaphilippe sembra non curarsene.
Due anni fa tra le stradine di Leuven, Julian firmò il suo ultimo capolavoro, portandosi a casa il secondo mondiale. Quest’anno il “labirinto” iridato scozzese poteva essere perfetto per lui, ma il francese ha pagato sia le fatiche del Tour, sia un acciacco proprio in quei giorni.
«Il mondiale in effetti poteva essere per lui – spiega Bramati – ma ci è arrivato un po’ scarico. Nei giorni precedenti non era al 100 per cento per un piccolo intoppo (sembra avesse preso un raffreddore un paio di giorni prima della gara iridata, ndr). Ma ora si guarda avanti. Come ho già detto è importante chiudere questa stagione con costanza».
E avanti significa Bretagne Classic e non facendo la Vuelta è quasi scontato che lo vedremo in Canada, ma sarà poi la squadra ad annunciare con precisione i suoi impegni. Magari potrebbe essere al top per il Lombardia.
Julian Alaphilippe inizia il secondo anno da campione del mondo facendo tesoro degli errori del passato. Sarà meno impulsivo. Impossibile vincerle tutte
Eros Capecchi è tornato a casa, nel vivaio di famiglia, dove lavora e intanto pensa al ciclismo. Nei giorni scorsi è stato in ritiro con i ragazzi del Comitato Regionale Umbro, del quale è cittì. Il caldo nel centro Italia si fa sentire e quando gli facciamo notare che la sua regione è “bollino rosso” risponde così: «Ora capisco perché sento tutto questo caldo – ride – io al meteo ci bado poco. Tanto non è che si possa fare qualcosa se fa caldo o meno».
Il lavoro procede e le piante stanno bene, neanche loro sembrano soffrire troppo il caldo. «Di acqua ne abbiamo – dice Capecchi – la diga del Monte Doglio ha ottimi livelli e non dovrebbero esserci problemi. Poi nel nostro vivaio abbiamo tante colture a terra, che richiedono meno cure e acqua. Qualche pianta in vaso si secca, ma è normale che sia così».
Il ritiro di Livigno è servito per creare un gruppo coeso ed unito, in vista dei prossimi impegniIl ritiro di Livigno è servito per creare un gruppo coeso ed unito, in vista dei prossimi impegni
I suoi ragazzi
Capecchi parla, lo fa volentieri e la telefonata diventa un motivo per affrontare tanti argomenti legati al ciclismo. La passione per la bici è tanta, e quella di coltivare i nuovi talenti del vivaio ciclistico dell’Umbria è anche di più.
«Mi piace molto lavorare con i ragazzi – conferma l’ex professionista – vedi i miglioramenti, ti ascoltano. C’è sempre chi fa un po’ di testa sua, ma è normale, una volta sbattuto il muso torna sui suoi passi. Fa parte della crescita e dell’essere adolescenti. Questa esperienza, nata per gioco, è appagante. Seguo i ragazzi da quando hanno 12 anni fino ai 18, li vedo crescere e li seguo per ogni categoria».
I ragazzi ci sono e Capecchi sarà chiamato a convocarne sei per il prossimo Giro della LunigianaI ragazzi ci sono e Capecchi sarà chiamato a convocarne sei per il prossimo Giro della Lunigiana
Che metodo utilizzi con loro?
Non ce n’è uno specifico. Li ascolto, li frequento e cerco di capire. Devi guadagnarti la loro fiducia affinché si aprano e ti parlino dei loro problemi e delle loro preoccupazioni. Riesco a fondermi con loro, mantenendo sempre dei limiti precisi che mi permettono di avere un’autorità.
Il rapporto che hai ti piace?
Tanto, ho il modo di legare insieme a loro, magari divertendoci insieme. E’ capitato di fare qualche partita a biliardino o di andare a mangiare un gelato. Se i ragazzi si sentono a loro agio, ti vengono a chiedere cose che magari non avrebbero il coraggio di domandarti. Sono esempi banali ma che costruiscono un bel rapporto, non si può sempre e solo dire “no”.
Pedalate e momenti di divertimento, nel ritiro di agosto c’è stato spazio per tuttoPedalate e momenti di divertimento, nel ritiro di agosto c’è stato spazio per tutto
I giorni a Livigno come sono andati?
Bene. E l’ho capito dal fatto che mi seguissero in tutto e per tutto. Anzi, spesso erano loro a chiedermi di fare qualche lavoro in più. Hanno proprio dato il cuore e queste per un tecnico sono grandi soddisfazioni. Lo fanno perché sanno che poi possono chiederti di prendere un gelato o mangiare un piatto di patatine. Sono piccole cose che creano il gruppo e la fiducia reciproca.
Ora siete tornati, in che modo si lavora fino ai prossimi impegni?
Correranno domenica e andrò a vederli. Ho ancora qualche dubbio da sciogliere, ma lo farò in corsa. Per i prossimi impegni – Vertova, Paganessi e Lunigiana – dovrei scegliere sei ragazzi e portarli sempre con me. Però diventa difficile, perché qualcuno ha degli impegni con la scuola e non è sempre libero. L’idea è quella di andare a vedere le strade del Lunigiana, subito dopo il Paganessi. E’ sempre bene prendere le misure con quei percorsi, il Lunigiana in foto sembra semplice, poi vai lì e ti ammazza.
Per Capecchi si avvicina il secondo Giro della Lunigiana alla guida della formazione umbraPer Capecchi si avvicina il secondo Giro della Lunigiana alla guida della formazione umbra
Hai tanta scelta quindi?
Sì e mi fa piacere, perché vuol dire che si è lavorato bene. Mi mettono in difficoltà, nel senso buono del termine chiaramente.
Sono curiosi delle tue esperienze passate, del corridore che sei stato?
Tutto si basa sulla fiducia, nel momento in cui si fidano di te sono loro a domandarti. Io non uso il metodo del “ai miei tempi” anche perché diventa facile che ti prendono in giro, diventi il vecchio che non vogliono ascoltare. Devi essere uno di loro, quando instauri questo tipo di rapporto si aprono e ti chiedono consigli e suggerimenti.
E’ un movimento, quello della tua regione, in continua crescita?
Mi piace davvero come stiamo lavorando. Tra quattro o cinque anni ci saranno delle grandi soddisfazioni. Alcuni ragazzi li vedo, soprattutto gli allievi, fanno risultati ma sono ancora “bambini”.
I giovani non si crescono con la teoria del “ai miei tempi” a loro interessa del futuroI giovani non si crescono con la teoria del “ai miei tempi” a loro interessa del futuro
Dopo un anno di lavoro che cosa pensi del ciclismo moderno?
Posso dire che in Italia non abbiamo capito bene cos’è il ciclismo ora. Diciamo che i ragazzi vanno fatti crescere tranquillamente, poi però abbiamo degli atleti validi che da under 23 non riescono a trovare squadra. Non bisogna spremerli, ma metterli nelle condizioni di fare del loro meglio. Se continuiamo così non li facciamo crescere lentamente, ma smettere velocemente.
In questo è cambiato molto il ciclismo.
Non ci sarà più il corridore che farà 17 anni di carriera, ma che problema c’è? Il ciclismo è più veloce, non è bello da dire, ma ora hai meno possibilità di provarci. Lo vedo in una regione come la nostra, dove abbiamo buoni corridori anche senza numeri elevati di tesserati. Anche se a livello di Comitati Regionali non è semplice.
In che senso?
Ne parlavo lo scorso anno con Salvoldi, proprio al Lunigiana. L’intento è fare più corse a tappe e far crescere il movimento, per noi regioni l’interesse è alto. Il problema poi è riuscire ad organizzare la stagione quando i soldi scarseggiano. Anche il ritiro appena fatto a Livigno lo hanno pagato le squadre e in parte alcuni genitori. Senza considerare che il nostro presidente mette spesso soldi di tasca sua.
Giada Borgato racconta in che modo è arrivata nella postazione Rai accanto a Pancani alle classiche del Nord. Cominciò tutto a Imola, la sera della crono
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GLASGOW – La storia di Lotte Kopecky, per come è stato possibile ricostruirla con i colleghi belgi che dopo la vittoria del mondiale non erano a rischio sbronza come quando lo scorso anno vinse Evenepoel, ma sfoggiavano tutto il loro orgoglio fiammingo.
La linguaccia
Lotte Kopecky (in apertura nell’immagine Guy Kokken Photography) nasce nell’ospedale di Rumst il 10 novembre del 1995, sorella minore di Seppe mentre in futuro arriverà un altro fratello di nome Hannes. Sua madre Anja racconta che Lotte non dà problemi quando si tratta di dormire, che inizia a camminare molto presto e che a due anni tolgono le rotelle dalla bici, perché è in grado di andare da sola.
Quando raggiunge l’età la iscrivono alla materna Sint-Lutgardis di Schelle. Sempre sua madre ricorda di averla lasciata al cancello, che Lotte l’ha salutata e poi è entrata da sola, senza versare una lacrima.
«Quando di recente ho visto una foto di lei che tirava fuori la lingua e la mordeva con forza – ha ricordato la prima maestra – ho detto a sua madre che lo faceva già da piccola. Lotte era una bambina molto tranquilla e ben educata, ma anche un maschiaccio. Combinava sempre scherzi, però mai cattivi. E anche nel parco giochi dell’asilo non faceva che pedalare».
Il mondiale di Glasgow arriva dopo una crescita costante. Lotte ha 27 anni, è alta 1,70, pesa 66 chiliIl mondiale di Glasgow arriva dopo una crescita costante. Lotte ha 27 anni, è alta 1,70, pesa 66 chili
Brava sugli sci
Lo sport arriva subito, intorno ai 3 anni. Va al circolo di ginnastica con suo fratello. Si solleva sulla sbarra, cammina sull’asse di equilibrio, salta nei cerchi. Poi prova alcuni sport con la palla, anche il calcio. Raccontano che non sia inferiore ai ragazzi di pari età. Poi prova il basket e si distingue, ma non le piace e molla.
Suo padre la porta a sciare e anche lì se la cava molto bene. Al punto che nella pista coperta Aspen di Wilrijk, un allenatore va a chiedere se la ragazzina abbia voglia di fare qualche gara, ma questa volta sono i genitori a mettersi di traverso, perché si tratterebbe di andare molto all’estero in un’età ancora acerba.
Vive anche la scuola come uno sport e va bene in tutte le materie, trovando anche il modo di ingraziarsi le insegnanti. Brilla ovviamente in educazione fisica e tutti gli anni sale sul podio delle gare scolastiche di sci di fondo.
Da bambina adorava gli animali, oggi ha un cane, Ollie, e anche un gatto nero (foto Instagram)Da bambina adorava gli animali, oggi ha un cane, Ollie, e anche un gatto nero (foto Instagram)
Amica degli animali
La bici è ancora un mezzo di trasporto, piuttosto la campionessa del mondo va matta per gli animali. Ora ha un cane, che si chiama Ollie ed è la guest star dei suo video su Instagram, ma da piccola ha avuto la casa piena di ogni genere di animale.
Dopo la visita scolastica in una fattoria didattica, convince i genitori a comprare due caprette con cui i fratelli Kopecky giocano in continuazione. Poi arrivano cani, gatti e criceti. Una volta, ha raccontato la madre, Seppe e Lotte prendono da un vicino un criceto dorato. Quando muore, lo seppelliscono, ma i ragazzi sono così addolorati che i genitori corrono a comprarne altri due. Il negoziante garantisce che siano due femmine, ma si sbaglia. Nasce una nidiata di 24 criceti, poi regalati ad amici di famiglia.
L’arrivo di Glasgow è stato un misto di emozione e incredulità: la sua superiorità è stata disarmanteL’arrivo di Glasgow è stato un misto di emozione e incredulità: la sua superiorità è stata disarmante
In bici con Seppe
La bici arriva con Seppe, che comincia a correre, presto emulato da sua sorella, che lo segue qualunque cosa faccia. Si iscrive al club Front Kontich che ha 11 anni, non va a correre, semplicemente si allena e solo quando ritiene di essere pronta, si butta nelle gare. Pare che sia così competitiva, che tiene come riferimento i maschi, perciò anche se vince le classifiche per le bambine, racconta a casa solo dei piazzamenti assoluti. E nonostante alle ragazze sia offerta la possibilità di correre con i maschi di un anno più giovani, Lotte si rifiuta: resta fra i suoi coetanei, con una grande mentalità vincente. Non la sentono mai lamentarsi per un allenamento da fare.
Lo scorso anno ha ricevuto il Patrick Sercu Trophee al premio Flaandrien 2022 (foto Het Nieuwsblad)Lo scorso anno ha ricevuto il Patrick Sercu Trophee al premio Flaandrien 2022 (foto Het Nieuwsblad)
Forte e introversa
Alle prime corse, come capita spesso, la accompagna nonno François. Il Belgio sarà anche piccolo, ma al vecchio Kopecky capita di fare anche 4.000 chilometri al mese per stare appresso al calendario della nipote. In macchina Lotte studia o si guarda intorno. Non è la campionessa di adesso, anche perché nei primi tempi rifugge dalle troppe attenzioni.
«Una volta – ricorda il nonno – ha partecipato a una gara a Herentals. Un criterium di dieci giri e a ogni giro c’era un traguardo a premi. Disse ridendo che avrebbe vinto tutte quelle volate, ma avrebbe lasciato la vittoria a qualcun altro. Ed effettivamente le cose andarono proprio così. Non voleva essere sotto i riflettori, era un po’ introversa, ma direi che adesso le cose sono cambiate».
Abbraccio con Demi Vollering: la superiorità della SD Worx ha spesso annichilito il 2023 delle donneAbbraccio con Demi Vollering: la superiorità della SD Worx ha spesso annichilito il 2023 delle donne
Si allena coi maschi
Lo sport diventa il filo conduttore e si iscrive alla Topsportschool di Gand, un liceo in cui si praticano ginnastica artistica, ginnastica acrobatica, ciclismo, Bmx e calcio. E a Gand, Lotte sboccia. Resta comunque riservata con coloro che non conosce, come oggi, ma con gli amici è trascinatrice. Solo nei confronti dello sport è super seria: durante gli allenamenti non fa un fiato, solo dopo semmai molla qualche battuta.
Quando si fanno degli stage con tutti i migliori, raccontano che voglia allenarsi con i ragazzi, a differenza della maggior parte delle altre ragazze. Inizialmente di questo ridono, ma presto scoprono che la ragazza non è poi molto inferiore. Una volta vanno in ritiro ad Alkmaar, nel nord dell’Olanda, e nevica per tutto il giorno. Mentre tutti i ragazzi si lamentano per le mani gelate, Lotte non dice una parola.
Dopo il periodo con Toyota, ora Kopecky è sponsorizzata da Skoda. In Belgio è una star (foto Instagram)Dopo il periodo con Toyota, ora Kopecky è sponsorizzata da Skoda. In Belgio è una star (foto Instagram)
Non ha più paura
Quello che si evince parlando con chi l’ha conosciuta meglio è che l’ambizione di oggi è la stessa di ieri e anche la sua indipendenza non è mai cambiata. Lo sa sua madre, lo sanno i nonni. Sua madre ha raccontato che nel momento in cui è andata a vivere da sola, non le ha mai chiesto come si facciano le cose di casa. A Glasgow, Lotte Kopecky ha raccolto il frutto dei tanti sacrifici fatti quando nessuno la conosceva, ma le tante attenzioni la fanno ancora arrossire. Certo sbalordisce la crescita esponenziale degli ultimi anni e ancora di più sbalordisce il suo podio al Tour, ma l’elenco dei suoi successi segue un filo logico impeccabile. La sola differenza rispetto ad allora è che oggi non ha più paura di passare per prima sui traguardi che si trova davanti.
In Belgio è una star e la conferma viene anche dagli ascolti televisivi. Gli spettatori che hanno seguito su VRT1 le immagini finali della sua vittoria mondiale sono stati 869.833. Il numero medio durante l’intera diretta è stato di 524.939. Lo scorso anno, ovviamente con il condizionamento del fuso orario, la media per la gara femminile fu di 163.254 spettatori. Nel 2021, quando il mondiale si svolse a Leuven, quindi in Belgio, gli spettatori medi della gara femminile furono 372.208.
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Dopo un Giro Rosa corso da protagonista, in salita è stata tra le pochissime a tenere testa a Van Vleuten, Gaia Realini ci racconta alcune scelte tecniche e qualche particolarità della sua bicicletta.
Quali rapporti utilizza? Perché il reggisella con off-set positivo e girato in avanti? Perché tiene la mani alte anche in discesa? Abbiamo posto alcuni questi allo scricciolo terribile che in salita è un riferimento.
La Emonda di Gaia Realini, usata per le frazioni più impegnativeLa Emonda di Gaia Realini, usata per le frazioni più impegnative
Come stai prima di tutto?
Sto bene, grazie. Dopo il Giro mi sono goduta qualche giorno a casa, in pieno relax con la mia famiglia e amici. Poi è stato tempo di ricominciare sono andata in ritiro con la nazionale a Livigno.
Quale è stato, se c’è stato, il momento più difficile?
Il momento più difficile al Giro è stata la quinta tappa. Era una delle più dure di questa edizione, io ed Elisa Longo Borghini eravamo nel primo gruppo, poi nel finale, sull’ultima ascesa lei e Van Vleuten si sono avvantaggiate di qualche metro. Ho iniziato la discesa una decina di secondi dietro a loro e, dopo uno dei primi tornanti, ho visto una bici rossa che sbucava da dietro un accumulo di terriccio. Ho subito avvertito l’ammiraglia dicendo che Elisa era caduta e loro mi hanno rassicurata dicendomi di continuare.
In gara Realini usa la Emonda, ma c’è anche la MadoneIn gara Realini usa la Emonda, ma c’è anche la Madone
Ti ha condizionato del prosieguo della tappa?
Sinceramente non ero molto tranquilla, ma sono riuscita a finire la tappa a ridosso delle prime. Dopo la tappa cercavo Elisa e speravo mi dicessero qualcosa ma con le premiazioni è stato difficile. Appena rientrata al bus l’ho vista e mi ha detto che aveva male ovunque. Insomma, è stata una giornata non facile da mettersi alle spalle.
Gaia Realini e la sua bici, usi sempre la Emonda?
La scelta della bici in gara dipende dal tracciato. Se è prevalentemente pianeggiante, veloce e scorrevole, utilizzo volentieri anche la Madone. Se però il tracciato è vallonato e con salite lunghe o di media lunghezza, utilizzo la Emonda. Per entrambe ho la taglia 47.
Il reggisella è girato in avanti Cockpit integrato e nessuno spessore tra manubrio e sterzo52-39 e 10-33 la combinazione preferita e più usataIl reggisella è girato in avanti Cockpit integrato e nessuno spessore tra manubrio e sterzo52-39 e 10-33 la combinazione preferita e più usata
Hai chiesto delle modifiche specifiche per adattare la bici alle tue esigenze?
Sinceramente no, non ho fatto richiesta particolari. Mi sono fidata molto della parola e del consiglio dei nostri tecnici e meccanici. Diverse accortezze sono state rese necessarie per rendermi performante in sella, perché sono un po’ fuori misura. Ad esempio si è adottata la soluzione del reggisella con off-set avanzato.
Quali sono invece i rapporti che normalmente usi?
Normalmente i rapporti sono 52-39 e 10-33. Opto quasi quasi sempre per questa combinazione. Quando si vanno ad affrontare salite con pendenze più arcigne, la variabile sta nella combinazione delle corone, 50-37. Dietro invece sempre i pignoni con scala 10-33.
Mani alte anche in discesa, ma si lavora per cambiare assettoMani alte anche in discesa, ma si lavora per cambiare assetto
Una cosa che non cambieresti mai sulla tua bici?
La bici nella sua interezza. Veramente, mi trovo benissimo con tutta la componentistica che abbiamo e fin da subito, grazie al consiglio dei tecnici, ho trovato un ottimo feeling in sella. Che si tratti di Madone o Emonda, ho sempre il comfort di cui ho bisogno per andare forte.
Perché tieni sempre le mani alte, anche nelle discese veloci?
Il fatto di tenere le mani alte anche in discesa non ha un motivo preciso. Mi rendo conto che questa posizione non è l’ideale, ma ho iniziato così e ora mi sto allenando per cambiare.