Futuro Venturelli, viaggio tecnico con Daniele Fiorin

08.09.2023
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Federica Venturelli continua a crescere. L’abbiamo vista vincere nel cross, poi in pista, su strada e nelle crono. Quest’anno ha superato la maturità e alla fine della stagione riceverà il kit del UAE Adq Development Team in cui correrà per la prossima stagione. Il talento c’è e non si discute, ma dove può arrivare questa diciottenne che sembra sempre protesa verso la perfezione? Lo abbiamo chiesto a Daniele Fiorin, milanese classe 1971, in passato tecnico federale del settore giovanile e ora direttore tecnico del Vigorelli, che della cremonese è il mentore da quando era poco più di una bambina.

Per Venturelli ai mondiali di Cali, altra pioggia di medaglie: oro nell’inseguimento e nella madison, argento nel quartetto
Per Venturelli ai mondiali di Cali, altra pioggia di medaglie: oro nell’inseguimento e nella madison, argento nel quartetto
Da quanto la conosci?

E’ arrivata da me per caso alla fine dei giovanissimi. Avevo il papà amico su Facebook e dato che ero tecnico nazionale, mi chiedeva pareri sull’allenamento o la posizione. Mi mandava dei video affinché gli dessi consiglio su come metterla in bicicletta. Però un giorno lessi un post in cui diceva che probabilmente Federica avrebbe smesso di correre. Gli scrissi per chiedergli cosa fosse successo e mi spiegò che era per motivi familiari. La mamma e la nonna non ne volevano sapere che lei passasse esordiente e iniziasse ad allenarsi in strada.

Come le convincesti?

Viviamo lontani, loro sono di San Bassano, a 150 metri da Marta Cavalli, io invece vivo a Seveso. Però gli dissi che piuttosto di farla smettere, avrebbe potuto fare un po’ di ciclocross e poi a febbraio avrebbero preso una decisione. Così Federica fece la stagione del cross, dimostrando subito di avere dei numeri. A gennaio vinse l’italiano esordenti di primo anno a Roma e da lì non ci siamo più fermati. Ha fatto i quattro anni da esordiente e gli allievi da noi come Cicli Fiorin.

Al primo anno da esordiente, prova il cross e vince il tricolore. Doveva smettere, invece spicca il volo
Al primo anno da esordiente, prova il cross e vince il tricolore. Doveva smettere, invece spicca il volo
Perché il passaggio alla Gauss?

Perché grazie a un abbinamento, avevo già portato lì mia figlia e Beatrice Caudera. Era una squadra giusta per crescere, ma l’anno scorso Sara e Beatrice sono passate in UAE perché sono più grandi e a quel punto la situazione era un po’ troppo tranquilla per un talentino come Federica. Per questo ho preferito portarla alla Valcar-Travel&Service continuando ad allenarla, in modo che potesse avere delle situazioni di gara in un gruppo competitivo, dove potesse crescere ancora.

L’hai definita “un talentino”…

In realtà è un vero talento, togliamo il diminutivo. Io credo da sempre nella multidisciplina, così Federica è cresciuta alternando ogni settimana allenamenti diversi, a seconda delle necessità. Siamo andati avanti così e i risultati si stanno vedendo. Ogni tanto ha qualche problemino di salute, è un po’ cagionevole perché pretende molto da se stessa. In bicicletta ma soprattutto a scuola e quindi si stressa anche oltre il necessario.

Tricolore su strada al secondo anno da esordiente: l’accoppiata Fiorin-Venturelli funziona da subito
Tricolore su strada al secondo anno da esordiente: l’accoppiata Fiorin-Venturelli funziona da subito
Dove può arrivare?

Può arrivare veramente in alto, perché non ha ancora fatto grossi carichi di lavoro. Abbiamo sempre lavorato bene, ma in modo specifico, senza fare quantità. La mia idea è quella di lavorare sulle qualità neuromuscolari dei ragazzi in giovane età e non sulla resistenza, altrimenti rischi di appiattire le loro qualità e di “bruciarli”. Per questo Federica ha ancora notevoli margini. Nel momento in cui comincerà a inserire dei carichi di lavoro, anche se di fondo, e se manterranno le sue qualità, potrà crescere davvero tanto.

In qualche modo ha avuto il vantaggio della precocità?

Federica è sempre stata precoce, nel senso che già da esordiente di primo anno era alta così, intorno a 1,80. Però non abbiamo mai lavorato sulla quantità, per cui ha davvero tanto margine.

Il ciclocross resta il grande amore, ma Fiorin le ha consigliato un inverno meno intenso
Il ciclocross resta il grande amore, ma Fiorin le ha consigliato un inverno meno intenso
Verrà un momento in cui dovrà scegliere dove specializzarsi?

Secondo me sì. A lei piace molto il cross, siamo cresciuti così, ma le ho consigliato di non fare una stagione invernale troppo impegnativa. Ha bisogno di tirare un po’ il fiato. Siamo cresciuti attuando una doppia periodizzazione: durante la stagione della strada, gli altri corrono e noi ad agosto invece ci fermiamo. Poi abbiamo il secondo stacco di 15-20 giorni a fine periodo del cross. Le ho chiesto di rallentare, ma la tirano tutti per la maglia e alla fine non vuole deludere nessuno.

Che rapporto ha con la preparazione?

Con i miei atleti, ho una chat su Whatsapp dove io metto gli allenamenti e loro giornalmente mi dovrebbero mandare i file, le sensazioni e valori come peso e pulsazioni. Come un diario, diciamo. E lei è una di quelle che immancabilmente la mattina, alle 7, che sia a scuola oppure a casa, manda un messaggio super dettagliato. Se ha preso degli integratori, tutto nei minimi particolari.

Il terzo posto ai recenti mondiali di Stirling, in Scozia, dice che anche a crono il livello sale forte
Il terzo posto ai recenti mondiali di Stirling, in Scozia, dice che anche a crono il livello sale forte
E’ sempre così determinata?

Caratterialmente non molla una virgola da nessuna parte, è una guerriera. Ha finito le superiori perché era avanti di un anno, ma in pagella ha tutti dieci. Nella sua chat ci sono anche Bragato e Villa, perché Federica è un patrimonio della Federazione, quindi è giusto che ci sia un confronto anche con loro e che tutti sappiano cosa sta facendo.

Fisicamente ricorda un po’ Vittoria Guazzini: quale potrebbe essere il suo terreno?

Siamo intorno ai 68-70 chili, volendo può calare anche lì. Ha iniziato da quest’anno un discorso nutrizionale, per i problemi di salute che aveva sotto forma di intolleranze che le causavano delle infiammazioni. Diciamo che anche sotto questo aspetto è tutta da costruire, come quantità dell’allenamento e nutrizione è ancora al livello di un’allieva. Non voglio mettermi nei panni dei tecnici della nazionale, ma secondo me rischiamo di vederla in pista a Parigi nel quartetto. Soprattutto se comincia a lavorarci seriamente.

Pieno di medaglie per la Fiorin ai mondiali di Cali, con Matteo Fiorin, Carola Ratti di bronzo, Anita Baima, Federica Venturelli ed Etienne Grimod
Pieno di medaglie per la Fiorin ai mondiali di Cali, con Matteo Fiorin, Carola Ratti di bronzo, Anita Baima, Federica Venturelli ed Etienne Grimod
La scelta della UAE Development?

Lo scorso anno è andata lì mia figlia e mi avevano chiesto anche Federica. Lei aveva già tante altre offerte, anche all’estero, anche WorldTour direttamente. Però il mio consiglio è stato quello di crescere gradualmente. Avrà bisogno di un primo periodo di adattamento, non essendo abituata a fare determinati carichi di lavoro, per cui magari all’inizio potrebbe pagare qualcosa e lì non le faranno pressioni.

Vorresti seguirla anche il prossimo anno?

Io da una parte mi fermerei qua, nel senso che sono abituato da sempre a lavorare con le categorie giovanili e sopra non ci ho mai voluto mettere il naso. Dall’altra mi piacerebbe non allenarla in prima persona, ma collaborare con chi la prenderà in mano, dato che la conosco da così tanto. Questo però non dipende da me né da lei: dipenderà dalla squadra.

Tourmalet, ci siamo: per Remco primo test sulle salite lunghe

08.09.2023
5 min
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«Le montagne molto lunghe sono ancora un punto interrogativo. Penso che la settimana scorsa ho dimostrato di andare bene nelle salite di 30 minuti. Il prossimo test sarà su salite di 45 minuti-un’ora. Rimane la domanda su come risponderò quando le montagne saranno una dietro l’altra. Non resta che aspettare e vedere…». Così Remco Evenepoel nel giorno di riposo ha messo le mani avanti e mostrato un timore neanche troppo velato su tappe come quella che affronteranno oggi che vedono l’arrivo posto su ascese mitiche come il Tourmalet

Una Vuelta in bacheca nessuno gliela può toccare e basterebbe quella per spazzare via ogni dubbio. La corazzata Jumbo e quei 5 minuti di buco sullo scatto di Roglic però, hanno fatto scricchiolare quella figura inscalfibile e granitica che Remco si è costruito. E’ vero non resta che vedere, ma con Pino Toni, preparatore della Bardiani, abbiamo provato ad analizzare alcuni scenari possibili. 

E’ vero che quest’anno non si è ancora misurato su salite di questo tipo in un grande Giro. Ma un corridore come Evenepoel può avere timore di queste famigerate salite lunghe?

Sicuramente le farà forte, sopra quella che è la media normale dei professionisti, lo può fare tranquillamente. Il problema è vedere come la faranno gli altri. Purtroppo abbiamo a che fare con una squadra come la Jumbo. Basta pensare a Kuss, una persona abituata a tirarle quelle salite lì, figuriamoci se sta a ruota. Se fosse un “uno contro uno“ secondo me Remco, potrebbe anche non averne paura.

Lunedì ha detto: «Ho avuto 5 minuti in cui non riuscivo a fare velocità, nel momento in cui Roglic ha attaccato». Può essere stato un segnale d’allarme che lo ha preoccupato?

Nell’economia di una giornata ci sta non avere lo spunto per chiudere una situazione di quel tipo. Se si va a vedere, ha perso la ruota e avrebbe dovuto fare 30 watt in più per riuscire a chiudere e rimettersi dietro. Consideriamo che Remco ha finito solo un grande Giro nella sua carriera e l’ha vinto. Quindi ancora deve dimostrare tanto. E’ un 2000, ricordiamocelo. Il suo problema è la robustezza, quella della Jumbo. 

Come si sarà preparato a giornate come quella di oggi? Si possono simulare salite così lunghe a ritmo gara in allenamento?

Si possono simulare. Un allenatore con la bicicletta elettrica o con lo scooter sta davanti e si fanno i vari cambi di ritmo. Il problema è includere tutte le variabili che ha una corsa. In allenamento si è tranquilli, ci si gestisce, mentre in gara in una tappa come quella del Tourmalet ci sono due GPM importanti prima. Quindi, ci si può avvicinare come intensità nella singola ora della salita però tutto il resto è impensabile replicarlo. Penso che ci abbia lavorato tanto,  perché sapeva di che morte doveva morire al Giro con Roglic e Thomas. 

Evenepoel ha parlato dei suoi dubbi sulle salite lunghe durante la conferenza stampa del giorno di riposo
Evenepoel ha parlato dei suoi dubbi sulle salite lunghe durante la conferenza stampa del giorno di riposo
Remco si è dimostrato rassicurato in parte, dicendo che al mondiale a cronometro lo sforzo è durato 55 minuti e ha espresso un’ottima potenza. E’ paragonabile a uno sforzo di una salita da un’ora?

No. In una crono non vai a raschiare il fondo delle energie come magari può capitare al termine di una tappa come quella del Tourmalet. Adesso si prende e si parte, si fa un conteggio delle medie e dell’intensità e ti dicono quanti carboidrati stai consumando. In una tappa pirenaica vai molto vicino alla tua riserva. Diventa molto importante come verrà gestita la sua alimentazione. In una crono per fare un esempio si va a 450 watt per un’ora. Vieni però solo da un riscaldamento. In una tappa di montagna hai le 3/4 ore prima che non sai come te le hanno fatte fare. Quindi è un paragone che non fila. Se lo vogliono mettere in difficoltà, devono andare ad attaccargli le sue riserve e quindi devono andare forte fin da subito. Hanno la squadra per poterlo fare. Secondo me, un ragazzo così giovane come è Remco, non è ancora così economico come può essere un Roglic o un Vingegaard. 

Probabilmente ha anche provato meno fuori giri rispetto agli altri nei grandi Giri…

Gli altri hanno delle storie completamente diverse. Roglic prima di fare il capitano è andato alle corse a tappe e ha tirato per i compagni, Vingegaard uguale. Non parliamo di Kuss. Remco invece ha sempre fatto il capitano. Deve maturare, deve diventare quel diesel che serve in una Vuelta o Giro che sia. Sicuramente si aiuta, vedo che fa tutto, perché per esempio è uno di quelli che pubblicizza tanto l’utilizzo dei chetoni. Queste sono tutte accortezze che ti permettono di risparmiare quel pochino per poi avere più energia nel finale. Prendere il chetone alla fine della corsa, prima della partenza e non so se lo prende anche la notte per recuperare meglio. E’ uno che sicuramente cura ogni dettaglio per essere il più economico possibile. 

Evenepoel deve resistere alla corazzata Jumbo e pensare a come attaccarla
Evenepoel deve resistere alla corazzata Jumbo e pensare a come attaccarla
Lavorare su questo aspetto sarà quindi la chiave per migliorare?

Secondo me sì. Sia per l’età, sia per la sua storia ciclistica. Soltanto il fatto che venga dal calcio, dimostra chiaramente che è uno molto più esplosivo, molto forte, però non ha ancora ottimizzato i suoi consumi. Ci sta lavorando e i suoi timori possono essere anche ben riposti e fa bene ad averli. Però fondamentalmente a questa Vuelta il suo problema è che ne ha tre della stessa squadra da affrontare.

Sfatare questo timore attaccando in prima persona rappresenta una cosa impensabile…

Assolutamente sì. La Jumbo è una di quelle squadre che una salita come il Tourmalet la farà per tutti i suoi 55 minuti ad un ritmo infernale. Scattare sarebbe un suicidio a mio avviso, soprattuto alla fine della seconda settimana. Deve evitare fuori giri e cercare di salvare la pelle su un terreno su cui non si sente sicuro. Poi magari potrà e dovrà sfruttare le sue doti in salite più esplosive e corte per rosicchiare secondi. 

Gli occhi di Marina, il genio di Tresca: arriva il Motivan

07.09.2023
5 min
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«I mondiali di Glasgow sono stati bellissimi – dice Marina Romoli – proprio perché hanno messo insieme atleti normodotati e paralimpici. Facevano tutti la stessa cosa, con pari dignità. E’ stato meraviglioso. Peccato che l’organizzazione sia mancata nei dettagli, ma era la prima volta e ci può stare. Di sicuro bisogna avere un occhio di riguardo in più per chi ha delle limitazioni, che siano atleti oppure ospiti. Mi piace dire che sulla mia sedia posso fare tutto, anche salire tre gradini. Solo che per farlo spesso devo chiedere aiuto a qualcuno, che mi sollevi. Sarebbe bello farlo senza chiedere a nessuno».

In visita al Giro d’Italia Donne assieme a Leonilde Tresca e Giulia De Maio. Nella foto anche Justine Mattera
In visita al Giro d’Italia Donne assieme a Leonilde Tresca e Giulia De Maio. Nella foto anche Justine Mattera

L’incontro con Tresca

La marchigiana ha parole chiare, come sempre. Da quando poi ha incontrato Leonilde Tresca (titolare di Tresca Trasformer che prepara i più bei pullman e i mezzi per aziende e squadre pro’) fra le due si è creata una chimica davvero speciale, un’amicizia non comune.

«Dice che la sua vita è cambiata quando mi ha conosciuto – dice Marina – e a volte questa cosa mi spaventa, insomma spero di avergliela cambiata in positivo. Diciamo che io sono quella calma che smussa i suoi lati più spumeggianti. Mentre è vero che lei è una di quelle persone che ha cambiato la mia vita, perché effettivamente ha ampliato i miei orizzonti. Mi ha dato coraggio, fa tante cose che effettivamente io pensavo fossero impossibili. Quando ti dice: “Io ci sono, vedrai che ce la facciamo”, io mi fido e mi butto. Insomma, abbiamo unito i nostri lati migliori e nel tempo sono nate cose nuove e positive non solo per noi, ma anche per gli altri. Che poi è l’obiettivo stesso del Motivan».

Altro che pullman: nella staffetta dell’ultimo giorno ai mondiali di Glasgow, per gli atleti solo un box e zero privacy
Altro che pullman: nella staffetta dell’ultimo giorno ai mondiali di Glasgow, per gli atleti solo un box e zero privacy

L’esperienza di Glasgow

Ne avevamo già parlato proprio con Leonilde, quando il progetto era in embrione. Partire da un camion e farne la casa per le persone disabili. Perché possano seguire un arrivo di tappa del Giro d’Italia, in cui le hospitality all’arrivo sono un inno alla barriera architettonica. O perché possano prepararsi per una competizione con tutti i comfort di cui ha bisogno un atleta. Ai recenti mondiali, appunto, le staffette di tutte le nazionali si cambiavano in gazebo senza la possibilità di tirare una tenda. Altro che i pullman delle squadre…

Un’idea che potrebbe aprire nuove strade?

Non è stato pensato solo per i grandi eventi, ma anche per prestarlo a titolo gratuito a squadre paralimpiche per ospitare gli atleti durante le loro manifestazioni. Spesso anche lì gli spazi non sono il massimo e non sono accessibili per le persone che hanno una disabilità. Specialmente per chi si deve spostare con una carrozzina su una strada che magari ha la pavimentazione poco regolare. A volte diventa un incubo. Se invece sai di andare a fare una manifestazione sportiva in cui hai tutti i comfort e puoi essere indipendente nei movimenti, è tutta un’altra cosa.

Nel 2021, Marina Romoli si è laureata in psicologia: Leonilde Tresca non poteva mancare
Nel 2021, Marina Romoli si è laureata in psicologia: Leonilde Tresca non poteva mancare
La stessa Leonilde parlava di proporlo al Giro d’Italia.

Lì c’è tutto, un’infrastruttura imponente. Però all’arrivo non c’è un’hospitality come alla partenza. Ci sono quei camion che poi si strutturano su più livelli, in cui danno da mangiare e ospitano le persone che vanno a vedere la gara. Solo che non sono per niente accessibili. E siccome sulle carrozzine siamo sempre molto bassi, vediamo le corse come i carcerati, tra i buchini delle transenne, che sono altissime. Negli arrivi in salita o quelli meno pericolosi, spesso mi concedono di guardare più da vicino, però è proprio un’eccezione.

Servirebbe uno spazio ad hoc?

Come nei concerti, ad esempio. Lì è tutto già predisposto, perché sei all’interno di una struttura fissa, però perché non farlo anche per altri eventi sportivi itineranti? Non sarebbe nemmeno una grossa spesa. Invece è come se il pensiero di fare qualcosa in questa direzione mancasse proprio. Quindi Leonilde, venendo in giro con me, si è resa conto che non è possibile e che bisogna fare qualcosa. Vivendo con un’amica nella quotidianità, si è resa conto che mancava qualcosa.

E’ il 2008, con Marina Foresi e Giada Borgato. Nel 2006, Marina era stata seconda al mondiale juniores
E’ il 2008, con Marina Foresi e Giada Borgato. Nel 2006, Marina era stata seconda al mondiale juniores
Si può cambiare qualcosa, secondo te?

Si può chiedere alle persone giuste. Quando il progetto si concretizzerà, ormai per l’anno prossimo, chiederemo udienza anche a RCS. Gli diremo che noi ci siamo e ben venga se sono interessati. Potrebbero pensare di fare un mezzo così anche loro, per il futuro sarebbe bello che tutti i loro mezzi diventassero accessibili. Che poi a volte lo sono anche, ma loro non ne hanno nemmeno idea.

Cioè?

Mi ricordo che una volta su un mezzo della RAI c’era un montacarichi, ma lo sapeva solo uno e gli altri erano all’oscuro. E’ una pedana che esce, si abbassa e si rialza. Tante volte hanno le cose predisposte, ma nessuno sa della loro esistenza. Poi magari lo usavano per portare su i monitor, senza considerare che potrebbe andare bene anche per le persone con disabilità. Il bello è che poi diventa una risorsa per tutti, lo vedo in qualunque posto io vada, anche al mare.

Il Motivan, costruito con il contributo della Comunità Europea, è in fase di realizzazione
Il Motivan, costruito con il contributo della Comunità Europea, è in fase di realizzazione
Cosa è successo al mare?

Abbiamo fatto mettere una passerella avvolgibile, fino all’entrata in acqua, così riesco ad andarci da sola. Tanti dicevano che fosse inutile, invece adesso ci passano tutti, grandi e bambini, quando la sabbia è rovente. E questo è l’emblema di un modo di pensare. E’ una cosa molto basic, in fondo: basterebbe ragionarci. Il Motivan sarà così, un mezzo inclusivo al 100 per cento.

Gazzoli è già proiettato verso la primavera del 2024

07.09.2023
4 min
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Michele Gazzoli ha fatto capire che vincere gli piace e ci ha preso gusto. Una doppietta ha aperto e chiuso il suo Giro di Bulgaria (foto Instagram in apertura), da quando è tornato a correre ha messo insieme tre vittorie in pochi giorni di gara. Il momento più difficile, però, arriva ora, il corridore della Astana Qazaqstan deve confermare i suoi risultati e proiettare tutto sul prossimo anno. 

«Dopo il Grand Prix de Plouay – spiega Gazzoli da casa sua – mi è venuta un po’ di febbre. Ora sto recuperando e preparo il Giro di Slovacchia, il finale di stagione sarà intenso, se tutto va bene metterò insieme tra i 20 e i 25 giorni di gara. Non male per essere partito a metà agosto».

Hai riallacciato il filo con la vittoria, confermandoti in Bulgaria.

L’obiettivo principale per un ciclista rimane sempre vincere, questi successi hanno riallacciato il filo conduttore. Avere i riscontri della gara serve molto dal punto di vista del morale e per continuare ad allenarsi bene. Diciamo che chiudono un cerchio, la frase “corri in settimana e la domenica ritiri il premio” non è mai stata così corretta. 

Ma guardiamo al futuro, Gazzoli che tipo di corridore può diventare?

Sono un ragazzo giovane (classe 1999, ndr). Sicuramente non da corse a tappe e questo lo so anche io. Però ho da fare ancora tante esperienze, mi piacciono le classiche, le gare di un giorno. Sono ancora da scoprire in quel contesto. 

I primi assaggi di Nord Gazzoli li ebbe da junior in azzurro. Eccolo nella Roubaix del 2016
I primi assaggi di Nord Gazzoli li ebbe da junior in azzurro. Eccolo nella Roubaix del 2016
L’anno scorso, prima dello stop avevi già fatto qualche esperienza da quelle parti…

Sì, ma chiaramente non ero nella condizione fisica e psicologica giusta. Nelle settimane delle gare in Belgio avevo preso il Covid e poi era arrivata la batosta dello stop

Hai voglia di tornare da quelle parti al 100 per cento?

Le ho fatte praticamente tutte, sia da junior che da under 23: Gand-Wevelgem, Giro delle Fiandre e Parigi Roubaix. Nei due anni da junior alla Gand sono arrivato entrambe le volte nono. Mentre al Fiandre terzo e secondo. Sono corse che mi piacciono parecchio e con le Fiandre ho un legame particolare, visto anche il mondiale vinto con Baroncini nel 2021 (dove lui è arrivato quarto, ndr). 

Immaginiamo che tu abbia voglia di finire bene ora per proiettarti sul 2024 al massimo, no?

Come detto, questo finale di stagione serve per ritornare a correre, riprendere le sensazioni giuste e togliermi delle soddisfazioni. Ma la voglia più grande è quella di iniziare la nuova stagione. 

In Belgio uno dei ricordi più dolci per Gazzoli: la vittoria iridata dell’amico Baroncini, coronata dal suo quarto posto
In Belgio uno dei ricordi più dolci per Gazzoli: la vittoria iridata dell’amico Baroncini, coronata dal suo quarto posto
Fare un inverno con la squadra anziché da solo…

Chiaramente, rivedere i compagni, andare a Calpe, pedalare insieme e ripartire. Sarà molto più frenetico, ma allo stesso tempo stimolante.

Questo inverno da solo hai avuto più tempo, cosa hai imparato?

A prendermi il giusto tempo per le mie cose e i miei momenti. Gli ostacoli ci possono essere, come un infortunio al ginocchio (il riferimento è al problema patito durante la preparazione in palestra nell’inverno del 2023, ndr). Tutto però va preso con freddezza, senza panico, c’è tempo per ogni cosa. 

Gazzoli (al centro) non vede l’ora di tornare in ritiro con i compagni, l’ultimo assaggio di “normalità” che manca
Gazzoli (al centro) non vede l’ora di tornare in ritiro con i compagni, l’ultimo assaggio di “normalità” che manca
Delle corse del Nord cosa ti piace particolarmente?

L’ambiente, l’atmosfera e la tipologia di percorso. Sono gare mancate, perché nel 2022 è come se non ci fossi stato. Il filo, forse, si riallaccerà definitivamente quando tornerò da quelle parti. Mi piace il freddo, come si è visto all’Arctic Race, la primavera sarà il mio obiettivo numero uno del 2024

Allora queste gare di fine anno servono proprio a questo?

Servono a tornare pronto e vivere le emozioni del ciclismo. Dopo la fine della stagione mi fermerò comunque, perché mi sono allenato e ho corso con continuità. Una pausa ci vuole, poi la testa sarà già ai primi ritiri, sono uno cui non pesa viaggiare, quindi potrei dire che non vedo l’ora di ripartire.

Il signor Mosca, maestro di scherzi, fughe e volate

07.09.2023
6 min
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Il video di Ganna che al via della tappa di ieri porta a spalla la Trek di Mosca e pedalando la deposita davanti al cambio ruote Shimano ha fatto il giro del web, diventando virale. I due non sapevano che di lì a poco sarebbero andati in fuga verso Laguna Negra, perché al momento erano presi soprattutto a farsi due risate.

«Uno scherzetto – ride Mosca durante i massaggi dopo la tappa – di quelli che fai quando puoi, quando si è un po’ tranquilli. Gli ho rubato il Garmin, perché alla firma avevo la bici accanto alla sua. Ho visto che non aveva il filo, l’ho preso e gli ho detto: “Tieni, se vuoi te lo vendo”. Lui non ha capito subito che era suo, poi però mentre eravamo sul palco, ho visto che tirava su la mia bici, dopo aver firmato qualche autografo. E mi ha fatto ciao-ciao con la mano…».

Questa la storia su Instagram in cui Ganna porta via la bici di Mosca: è diventata praticamente virale
Questa la storia su Instagram in cui Ganna porta via la bici di Mosca: è diventata praticamente virale

Dice che Cerea sta facendo un massaggio profondo e che in certi momenti gli fa anche male, ma va bene, almeno domattina (oggi, ndr) avrà le gambe sciolte. La Vuelta è ancora lunga e il compito del corridore piemontese, di cui pochi giorni fa è stato annunciato il rinnovo del contratto fino al 2025, è quello di entrare nelle fughe e tirare le volate per Edward Theuns.

Al momento dello scherzo avevate già previsto di andare in fuga insieme?

No, ognuno fa la sua corsa. Però non è che ci voglia un genio a capire che se loro vogliono andare in fuga con Thomas, è Pippo quello che la porterà via. Anche perché onestamente, la fuga l’ha proprio portata via lui. Aveva già provato prima con Bernal, ma credo ci fosse dentro qualcuno troppo vicino in classifica e la Jumbo ha chiuso subito. Poi dopo 30 chilometri ha portato via quella giusta. Ha fatto tutto lui. E sulla salita finale, mi ha fatto morire. Pensavo di star bene, poi l’ho visto passare davanti a tirare… Ma gliela farò pagare questo inverno, in qualche uscita me ne ricorderò (ride, ndr).

Decimo giorno di Vuelta alle spalle, metà corsa. Mosca va avanti con le fughe e le volate da tirare
Decimo giorno di Vuelta alle spalle, metà corsa. Mosca va avanti con le fughe e le volate da tirare
Come sta andando questa Vuelta per te?

Benone, direi. Tendenzialmente siamo venuti qua con l’obiettivo delle tappe e comunque ci stiamo provando ogni giorno. Chiaro che oggi (ieri, ndr) ci siamo trovati davanti Vergaerde ed io e non eravamo i due migliori per essere in una fuga con arrivo in salita. Però alla fine, dopo 60 chilometri di scatti, ci sta che non tutto vada secondo i piani. Anche perché lui ed io siamo qua per le tappe di pianura e finora nelle tre volate è andato tutto abbastanza bene. Vediamo domani a Saragozza se ne faremo un’altra buona, ma non credo avremo problemi a recuperare le fatiche di oggi.

Non sembrano volate con un treno che la fa da padrone, giusto?

Di molto organizzata c’è la Alpecin, per cui sono volate tanto caotiche proprio perché c’è una squadra sola che prova a controllarle. L’ultima volta c’è stata una caduta ai 5 chilometri e siamo rimasti tutti dietro. Per mia fortuna però, ho trovato Vlasov che era rimasto dietro, quindi la Bora ha fatto tutto il lavoro e ci riportato dentro a 1,5 chilometri dall’arrivo. E io mi sono ritrovato a ruota di Theuns e sono riuscito a tirargli la volata. Quindi ho avuto anche un po’ di fortuna.

Nella tappa di Oliva, Theuns ha colto il terzo posto: Mosca gli ha tirato la volata dopo una caduta di gruppo
Nella tappa di Oliva, Theuns ha colto il terzo posto: Mosca gli ha tirato la volata dopo una caduta di gruppo
Cosa si può dire delle polemiche sulla sicurezza e le varie neutralizzazioni?

Devo dire che le polemiche alla fine sono sempre fatte da chi non è sulla strada o in gruppo. Nella tappa di Barcellona, purtroppo, la sfortuna è stata che ha piovuto proprio la sera della cronometro ed è venuta giù tutta l’acqua che non era caduta negli ultimi tre mesi. Fino a poche ore prima c’erano 35 gradi. Il giorno dopo è veramente piovuto tanto e la strada, come succede nelle località di mare quando non piove da tanto tempo, era scivolosa e il finale di tappa era in ogni caso troppo pericoloso. Fortunatamente siamo arrivati a questa via di mezzo, per cui i tempi della generale sono sati presi ai 9 dall’arrivo, perché quelli di classifica non devono rischiare. Se metti un gruppo di 170 corridori alla prima tappa della corsa, dove tutti sono freschi e motivati, è chiaro che tutti i velocisti ci avrebbero provato e anche gli uomini di classifica avrebbero provato a tenere. E su quelle strade non c’era posto per tutti.

Invece l’altro giorno a Caravaca de la Cruz, con la neutralizzazione ai due chilometri?

Gli organizzatori hanno fatto una bella scelta. Chiaro che poi vengono le polemiche, perché uno dice che con l’arrivo in salita c’era margine per passare in sicurezza. Ma sinceramente, già noi corridori non siamo dei geni, per una volta che usiamo il cervello non è che ci si può dire tanto. Se è pericoloso, perché devo rischiare quando ormai la tappa è andata, la generale è già definita e a 200 metri dall’arrivo c’è una curva con il fango? Io sono passato dopo 80 corridori e ce n’era ancora parecchio. Immagino che i primi l’abbiano visto anche meglio, mentre nel parcheggio dopo l’arrivo si sono infossate le ammiraglie. Bisogna dire un’altra cosa sugli organizzatori…

La pioggia di Barcellona ha reso pericolosi i primi due giorni. Mosca applaude le decisioni degli organizzatori
La pioggia di Barcellona ha reso pericolosi i primi due giorni. Mosca applaude le decisioni degli organizzatori
Che cosa?

Stanno facendo delle gran belle cose, in quanto a sicurezza per noi. Ci sono delle discese dove vedi i materassi per fermare eventuali cadute, ci sono i segnalatori e tutto quel che serve. Poi è chiaro che ci sono sempre problemi, si può sempre migliorare, però per ora non possiamo lamentarci. Loro hanno questo modo di fare gli arrivi in mezzo al nulla, ma è una loro scelta: a noi non cambia molto.

Com’è stare in fuga, che ambiente c’è là davanti, che pubblico?

Oggi per la prima volta in una salita sono arrivato quando ancora la gente faceva veramente il tifo. Quando passi nel gruppetto è diverso, invece anche se all’ultimo chilometro ero già un po’ indietro, è stato bello vedere l’entusiasmo dei tifosi, quello vero.

L’annuncio del rinnovo del contratto è appena arrivato, ma l’accordo era stato raggiunto a marzo
L’annuncio del rinnovo del contratto è appena arrivato, ma l’accordo era stato raggiunto a marzo
Che effetto fa aver rinnovato il contratto per altri due anni?

Diciamo che è stato ufficializzato solo ora, però io avevo parlato con Luca Guercilena nel periodo della Sanremo e abbiamo impiegato veramente due minuti a trovare l’accordo. Io gli ho chiesto quale fosse la loro idea, lui si è detto contento del mio lavoro e che volevano tenermi. Il mio ruolo in squadra ormai è ben definito e fortunatamente è abbastanza solido. Sono contento, finalmente mi sento ritrovato dopo l’incidente. Purtroppo vado ancora un po’ troppo piano in salita, ma secondo me io vado forte come nel 2021, è il gruppo che ha accelerato…

Si va avanti fra altre battute. Sulle prossime fughe e le volate. Sulla campagna acquisti della Lidl-Trek e sulla compagna Elisa Longo Borghini ormai prossima al rientro, che intanto manda avanti tutto quello che serve per il matrimonio di ottobre. C’è la leggerezza del dopo tappa e c’è la serenità di aver trovato un ruolo ben definito in cui muoversi bene. Il resto sarà la strada a dirlo. A partire da quella verso Saragozza. Si parte alle 13,58, arrivo previsto per le 17,30. Lungo il percorso un paio di salitelle e l’annuncio di un’altra volata.

La storia prestigiosa del Paganessi. Il racconto di Gualdi

07.09.2023
5 min
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Per un bergamasco il Trofeo Paganessi è qualcosa di particolare, talmente radicato nella tradizione locale che non può andare assolutamente perso. Non è quindi un caso se una gloria locale come Mirco Gualdi si sia mosso in prima persona per tenere in vita la due giorni ciclistica riservata agli juniores, che ha visto al sabato la vittoria di Davide Donati nella sfida a due contro il belga Jarno Widar e il giorno dopo la rivincita di quest’ultimo (apertura, foto Il Giorno), ultimo astro nascente della categoria.

Gualdi però non è il solo a essersi messo in gioco, perché anche altri grandi nomi del ciclismo locale lo hanno fatto: «Praticamente c’è stato un passaggio di consegne ai vertici della società San Marco Vertova e siamo stati coinvolti io e Giuseppe Guerini. Siamo tutti da sempre legati al sodalizio e ci siamo messi all’opera per la parte organizzativa della due giorni, ma non solo, perché pensiamo anche alla ristrutturazione della società partendo dai giovanissimi. Bisogna considerare che qui i bambini sono fortemente orientati a identificare la bici con la mtb più che con il ciclismo su strada, noi facciamo in modo di ampliare i loro orizzonti».

Mirco Gualdi, ex iridato fra i dilettanti ora nell’organizzazione della due giorni bergamasca
Mirco Gualdi, ex iridato fra i dilettanti ora nell’organizzazione della due giorni bergamasca
La cosa che colpisce parlando del Trofeo Paganessi è l’enorme riscontro che ha all’estero, richiamando tutti i principali team internazionali…

Diciamo che è una gara che si autopromuove, non è che facciamo particolare pubblicità all’estero. Ma d’altronde è stato così da sempre. Potrei fare un elenco lunghissimo di campioni passati da queste parti, basti dire che almeno 60 corridori fra attuali WorldTour e professional hanno gareggiato al Paganessi. Fra loro gente come Ganna, Pogacar, Hirschi, Ewan, Skjelmose, ma potrei andare avanti per ore. Se poi guardiamo al passato, spuntano i nomi di Bugno, Argentin, Bettini… Ma a proposito del richiamo all’estero, la storia del Paganessi dice qualcosa di originale.

Che cosa?

Bisogna tornare all’immediato dopoguerra, quando dalle nostre parti ci fu un vero esodo verso l’estero. Quando la società nacque e lanciò il trofeo, alcuni dirigenti avevano cugini in Francia che provarono a sondare il terreno fra le equipe d’oltralpe, così aprirono le porte, poi vennero i team svizzeri e man mano l’elenco è andato sempre ingrossandosi. Quest’anno c’erano 20 team esteri su 36 e tantissime richieste italiane e straniere sono rimaste purtroppo inevase.

Il podio dell’ultimo Trofeo Vertova, vinto da Donati davanti al belga Widar e a al danese Louwlarsen (photors.it)
Il podio dell’ultimo Trofeo Vertova, vinto da Donati davanti al belga Widar e a al danese Louwlarsen (photors.it)
E il Trofeo Vertova?

Ci accorgemmo nel tempo che per i team stranieri spostarsi per una sola gara diventava dispendioso, ma c’era la disponibilità a trovare una soluzione perché tenevano troppo a esserci. Si pensò così di unire al Paganessi un altro evento, il giorno prima, in modo da permettere alle squadre di sostenere una trasferta onerosa con un giusto contrappunto: due gare in due giorni che diventavano anche un bel test per i propri corridori. In questo modo vengono più volentieri anche perché le gare sono profondamente diverse: quella del sabato è un circuito alla belga, con strappi, pavé, strade strette; quella della domenica una classica vera e propria, con un sviluppo più lineare.

La risonanza crescente della gara vi stupisce?

Fino a un certo punto, diciamo che siamo noi organizzatori che dobbiamo stare al passo. Quest’anno ad esempio c’è stata la prima diretta televisiva tramite il canale Bici Tv. Inoltre abbiamo coinvolto direttamente i Comuni attraversati dal percorso per fare del Paganessi anche un richiamo turistico e tramite loro sono stati coinvolti i produttori della zona, le aziende che hanno capito come la corsa potesse essere un ottimo veicolo promozionale anche all’estero. Il nostro intento è rendere l’evento pienamente autosufficiente: se un domani il Comune non dovesse più essere titolare della sua gestione insieme alla società – ma non c’è alcuna avvisaglia che lo faccia pensare – avremo comunque le forze per andare avanti insieme agli sponsor che ci affiancano.

L’arrivo vittorioso di Jarno Widar dall’alto, in una giornata piovosa (foto Benagli)
L’arrivo vittorioso di Jarno WIdar dall’alto, in una giornata piovosa (foto Benagli)
Tornando ai nomi del passato, non hai citato il tuo…

E’ curioso il fatto che per me che tenevo in maniera spasmodica a questa gara, non ci fu fortuna. Il primo anno avevo una gran gamba, ero stato terzo ai tricolori, ma caddi il giorno prima e vidi sfumare la mia presenza. L’anno dopo avevo la sinusite e non andavo avanti, così dovetti rinfoderare le mie aspettative.

Guardando al passato, che cosa è cambiato nel ciclismo degli juniores?

E’ difficile dare una risposta secca. Notavo ad esempio che quest’anno le velocità sono state le stesse dello scorso anno, ma quel che noto è l’atteggiamento dei ragazzi. Hanno tutti un approccio alla Pogacar o Evenepoel, attaccano sempre, senza tatticismi. Ai nostri tempi si stava molto più a ruota. Io ho visto corridori che hanno già nel sangue la professione, che attaccano 7 volte in 10 chilometri, che toccano velocità altissime. Uno come Widar è già pronto per livelli più alti e infatti ha già firmato con la Soudal, ma non è neanche un caso se ilquarto e il quinto del Paganessi (Storm e Fietzke, ndr) sono stati nella top 5 anche al mondiale.

Trofeo Paganessi 2014: un giovanissimo Filippo Ganna stacca tutti e vince in solitudine
Trofeo Paganessi 2014: un giovanissimo Filippo Ganna stacca tutti e vince in solitudine
Negli ultimi 10 anni ci sono state vittorie italiane con Ganna, Conci, Piccolo e Meris. Secondo te quanto attenderemo per rivedere un italiano primo al traguardo?

Donati ha dimostrato che il livello dei nostri juniores è all’altezza. Io mi aspettavo un acuto dal mio omonimo Gualdi, ma sabato era caduto e aveva un dito steccato e 4 punti al mento, eppure ha chiuso 11° mancando di un nulla l’aggancio col gruppetto che si è giocato la vittoria. Io dico che non dovremo attendere molto, abbiate fiducia…

Cioni traccia la rotta della caccia a Evenepoel

07.09.2023
7 min
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Due crono a distanza di neanche un mese: quella del mondiale e quella di martedì alla Vuelta. La prima vinta da Evenepoel con 12″ di vantaggio su Ganna. L’altra nell’ordine inverso, con 16″ di differenza. Cos’ha di tanto speciale il belga? E come si può contrastarlo se davvero, come si è detto ai mondiali, fisicamente Ganna ha raggiunto il massimo? Proviamo a rispondere con Dario Cioni, responsabile dell’area performance per quanto riguarda Ganna e anche Tarling, il secondo e il terzo del mondiale.

Partiamo dal nemico: perché Remco è così pericoloso per Filippo? 

Perché va forte e ha un’ottima posizione in bici: a crono e su strada. Anzi, su strada fa ancora più differenza, perché se scappa di mano, poi diventa difficile andare a prenderlo. Sicuramente poi, essendo più compatto, ha un miglior coefficiente aerodinamico che, unito ai tanti watt, ne fa una bella gatta da pelare.

Dopo il mondiale è parso che Pippo abbia alzato bandiera bianca: ho fatto il massimo, di più non posso…

Penso che si riferisse alla parte fisica. Magari sul mondiale ci può essere una differenza di lettura dei valori dovuta al fatto che ha usato un power meter diverso rispetto a quello della Vuelta. Potrebbe esserci uno scostamento del 2 per cento, ma anche se così fosse, quest’anno Filippo ha sempre fatto delle prestazioni su un range altissimo. Ai livelli del 2020, quando vinceva sempre, solo che nel frattempo gli avversari sono cresciuti e Remco ha raggiunto uno standard superiore.

Si può fare qualcosa per riprendere vantaggio?

Si sta parlando di livelli di eccellenza, non di mediocrità. E’ chiaro che magari fisicamente con l’età e continuando a fare grandi Giri qualcosa si possa acquistare. E poi ci sono alcune cosine da mettere a posto, prima di tutto sui materiali. Nell’ultimo anno non siamo avanzati così tanto ed è tempo di iniziare a spingere. Su alcune cose non abbiamo fatto innovazione, su altre invece abbiamo continuato a migliorare. Per esempio Pinarello ha fatto il manubrio nuovo, che comunque andava cambiato perché c’è stata l’introduzione della regola dei 14 centimetri.

Secondo te Filippo ha avuto grossi vantaggi da queste nuove regole?

Non quanto pensavamo.

E allora dove si trovano i 12 secondi di Stirling?

Finora con i materiali siamo sempre stati innovatori. Adesso però gli altri hanno visto quello che facevamo e si sono allineati. Perciò va trovato qualcosa di nuovo. La cosa confortante è che con la prestazione di martedì Filippo ha dimostrato che Evenepoel è battibile, anche se la crono della Vuelta non è equiparabile al mondiale. Però Remco sta bene, voleva vincere ed è stato battuto.

Si rischiava che diventasse una bestia nera?

Secondo me è diventato uno stimolo. Alla fine, quando hai fatto tutto il possibile e perdi, c’è comunque il rispetto. Neanche a Pippo piace arrivare secondo, quindi questa rivalità è sicuramente uno stimolo per entrambi. E’ chiaro che difficilmente troverai il modo di migliorare di un 10 per cento, perché tante cose sono state già esplorate. Però ci sono particolari o nuove cose che si troveranno, che magari ci faranno guadagnare l’uno o il due per cento. Sommando tutto, si diventa più veloci.

La radio sul petto di Evenepoel ai mondiali è qualcosa da imitare?

Secondo me era molto borderline. Il fatto che alla Vuelta non l’abbia più usata fa pensare che qualcosa sia successo. Noi siamo per il rispetto dei regolamenti e forse al mondiale non sono intervenuti per non incidere sulla vittoria. Però sarebbe bene che ci fosse chiarezza sui regolamenti, come per la storia dei calzini troppo alti. Si stanno mettendo mille regole, ma se poi non si fanno rispettare, tanto vale non metterle.

A chi spetta nel vostro team il compito di seguire queste innovazioni?

Dipende dai settori. Ad esempio Luca Oggiano è l’aerodinamico, quindi è quello che studia le innovazioni da questo punto di vista. Collabora con chi fa i caschi e il body, con Kask e con Bioracer, mentre prima aveva lavorato a stretto contatto con Castelli. In galleria del vento dirige in prima persona la sessione e qui Ganna deve intervenire per forza. Poi c’è l’aspetto dei materiali, come i copertoncini da usare e quale modello, allora Pippo non serve. E in questo caso entra in gioco Bigham.

Poi c’è l’area della performance, giusto?

Performance e tattica e quello è il terreno di Cioni, il mio. La strategia non è più come una volta, che si partiva, si vedeva come stavi e si decideva il wattaggio da tenere. Adesso parti con un piano ben preciso, con dei wattaggi-obiettivo su ciascun segmento del percorso. Parti da lontano, con lo studio del percorso su VeloViewer. Poi con i modelli meteo, vedi quale saranno le condizioni, in particolar modo la direzione e l’intensità del vento. E poi parti con le simulazioni su quello che può essere il tempo previsto di gara. Questo ti permette di avere una potenza-obiettivo. E in base a questa, distribuirai la potenza nei settori in cui hai diviso il percorso. A Valladolid erano 8, ai mondiali su un percorso più complicato erano 15.

I modelli così elaborati rispondono alla realtà?

Diciamo che fissi dei valori per la salita, per la pianura, per i tratti con il vento in un certo modo… Filippo ha capito il concetto, per cui lui ha la libertà di scegliere il target. E se lo trova limitante, ha la possibilità di alzare il livello. Per me è più importante che capisca il concetto e quali sono i punti dove può spingere di più e quali quelli dove invece deve risparmiarsi.

Nella crono di apertura del Giro a Ortona, il primo colpo subito da parte di Evenepoel e per giunta in casa
Nella crono di apertura del Giro, il primo colpo subito da parte di Evenepoel e per giunta in casa
Qual è un riferimento che difficilmente cambia?

La media finale, che però si basa molto sul suo feedback. Se quella che abbiamo stimato è troppo alta, si fa una tabella più bassa di 10 watt, in modo che possa muoversi in quel range, sapendo che comunque otterrà un certo tipo di prestazione.

Pensando alle Olimpiadi, la preparazione per la crono sarà la stessa?

Non cambierei rispetto a quanto si è fatto. Dopo il mondiale è stato ancora a Macugnaga e la cosa ha avuto nuovamente un effetto positivo. Lassù sono 2.800 metri e ci è arrivato avendo già fatto un blocco di altura ad Andorra, quindi aveva già un adattamento. E’ una formula che con lui sembra funzionare, perché tutte le volte è venuto giù ed è andato forte. Sicuramente la cosa che cambierei l’anno prossimo è non dovere ritirarsi dal Giro e non aver fatto di riflesso il Giro di Svizzera. Secondo me la prima parte della stagione è andata bene, ma non benissimo. 

Dopo la Vuelta ci saranno gli europei?

Deve ancora decidere cosa fare, ci sta pensando, comunque non farebbe la crono, che c’è di mercoledì ed è troppo vicina alla fine della Vuelta. Bennati lo vorrebbe su strada e per come stanno andando le cose, lo vedo sempre più probabile, con un punto di domanda sul Team Mixed Relay.

Il Ganna visto ieri alla Vuelta sull’arrivo di Laguna Negra farebbe davvero comodo a Bennati agli europei
Il Ganna visto ieri alla Vuelta sull’arrivo di Laguna Negra farebbe davvero comodo a Bennati agli europei
Il prossimo inverno sarà in linea con l’ultimo?

E’ ancora presto, anche perché c’è un punto interrogativo sulla Vuelta a San Juan. Però penso a un bello stacco e se lo merita anche. Se uno finisce bene l’anno, ha già un bel vantaggio per ripartire. Per questo l’idea di venire alla Vuelta, una volta ritirato dal Giro, era un must in vista dell’anno prossimo. Non farla sarebbe stato un errore: un grande Giro a stagione deve farlo, forse anche due. Vediamo i percorsi del prossimo anno, il Tour probabilmente non va bene per il programma della pista, ma c’è tutto il tempo per parlarne…

Realini, l’Avenir addentato in salita e perso in discesa

06.09.2023
5 min
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Gaia Realini ha sferrato l’attacco deciso alla classifica del Tour de l’Avenir Femmes, il primo della storia, nell’ultima tappa. Il giorno prima aveva vinto a Megeve (foto Anouk Flesh in apertura), la gamba era giusta. La aspettava un vero tappone, con il Col de Saisies e il Cormet de Roselend. Era la più forte in salita, ma ha scoperto che la discesa a volte può essere più incisiva. E la sua compagna di squadra Shirin Van Anrooij, che lo sapeva, l’ha messa nel mirino e alla fine si è portata a casa la maglia gialla delle under 23.

Ora Gaia è a casa in Abruzzo e si allena per il Giro di Romandia che inizia il 15 settembre e poi per gli europei, ma a quei giorni ci pensa ancora. Come in precedenza al Giro d’Italia, sul podio di Sainte Foy Tarentaise c’è salita al terzo posto, dietro all’olandese e alla britannica Shackley. E questo, al netto del rammarico per la vittoria mancata, le offre uno spiraglio su quello che sarà il suo futuro. Il primo anno nel WorldTour ha ancora tanto da offrirle, ma certo è stato una bella sorpresa.

«Direi proprio di sì – sorride – se all’inizio stagione mi avessero detto che avrei fatto tutto questo, sicuramente non ci avrei creduto. Tre vittorie, bei piazzamenti, il bilancio è positivo. Da questa annata devo solo apprendere per migliorare, è solo un punto di partenza».

Su una t-shirt gialla, gli autografi di tutte le partecipanti al primo Tour de l’Avenir Femmes (foto Anouk Flesh)
Su una t-shirt gialla, gli autografi di tutte le partecipanti al primo Tour de l’Avenir Femmes (foto Anouk Flesh)
Che esperienza è stato il Tour de l’Avenir?

Come prima edizione è stata… sperimentale anche per loro. Non è stata al top, però non ci hanno fatto mancare nulla. Per cui con alcuni accorgimenti e i suggerimenti dati dalle varie nazionali, sono certa che l’anno prossimo ci saranno sicuramente dei miglioramenti. Quanto a me, sapevo da tanto che lo avrei corso. Era uno dei degli obiettivi di stagione, tanto che avevo studiato il percorso sia con il cittì Sangalli sia con il mio preparatore. Sapevamo che la tappa più sfavorevole era la prima, perché comunque era una cronometro di 15 chilometri e avrei dovuto difendermi al massimo e così ho fatto. Però so di avere anche un altro punto debole che è la discesa…

Forse lo sapeva anche Van Anrooij? 

Diciamo che essendo mia compagna di squadra, Shirin ha giocato d’astuzia e intelligenza. Ha detto: «Okay, tu ci hai attaccato in salita, guadagnerai anche un minuto e mezzo, ma poi con 20 chilometri di discesa, ti faccio vedere io». E infatti me ne ha fatte vedere di tutti i colori, ma lo stesso  mi ritengo più che soddisfatta.

La nazionale italiana aveva investito dall’inizio dell’anno su Realini e il team ha fatto un ottimo lavoro (foto Anouk Flesh)
La nazionale italiana aveva investito dall’inizio dell’anno su Realini e il team ha fatto un ottimo lavoro (foto Anouk Flesh)
Perché?

Perché ho vinto una tappa e sono riuscita a portare a casa un bel piazzamento con la maglia azzurra, che ha tutto un altro sapore.

C’è differenza fra il terzo posto del Giro e questo dell’Avenir?

Diciamo di sì, perché il terzo posto al Giro d’Italia l’ho ottenuto davanti a tutte le migliori al mondo, a partire da Van Vleuten e altri nomi di grande rilievo nel panorama mondiale. C’erano avversarie forti anche all’Avenir, penso a Van Anrooij, Shackley e Van Empel, ma il livello generale era mediamente più basso.

Bernard Hinault ha presenziato a tutte le tappe, come ha fatto anche all’Avenir degli uomini (foto Anouk Flesh)
Bernard Hinault ha presenziato a tutte le tappe, come ha fatto anche all’Avenir degli uomini (foto Anouk Flesh)
C’è più da mangiarsi le mani per la crono o per la discesa?

Ma assolutamente per la discesa.

Di solito si dice che quelli che vengono dal ciclocross sono dei maghi a guidare…

Ma non è vero che chi viene dal cross è bravo nelle discese, perché è completamente diverso. Secondo me in discesa scatta il fatto di buttarsi e di tentare: chiudo gli occhi e tento il tutto per tutto. Io non sono una di quelle, ho ancora questo freno a mano. Quindi diciamo che è il mio punto debole, lo riconosco. Però con la squadra ci lavoreremo e se riuscirò a migliorare anche su questo fronte, poi ne vedremo delle belle.

Può dipendere anche dalla posizione in bici?

Sicuramente anche il fatto di tenere le mani sopra e di non avere tanta sicurezza con le mani sotto dà meno stabilità alla guida, però lo ripeto: ci sto lavorando e cercherò di migliorare il più in fretta possibile.

Gaia Realini è stata la più forte in salita, ma ha pagato inesorabilmente nelle discese (foto Anouk Flesh)
Gaia Realini è stata la più forte in salita, ma ha pagato inesorabilmente nelle discese (foto Anouk Flesh)
Van Anrooij alla fine ti ha chiesto scusa o ti ha preso in giro?

No, assolutamente: nessuna presa in giro. Soltanto tanti complimenti a lei e anche a me, per la tappa che ho vinto. In questa corsa eravamo avversarie, quindi ognuno ha guardato a sé, però poi amici più di prima, assolutamente.

Tanto più che sembrate un bel gruppo di amiche, prima che compagne di squadra…

E’ proprio così. Sicuramente nel WorldTour ci sarà più tensione e ci sono pretese maggiori, ma tra noi ragazze alla Lidl-Trek abbiamo creato un clima familiare. Quando ci mettiamo in sella, lavoriamo per un unico obiettivo. Se vince una, vincono tutte. Se perde una, perdono tutte. E nessuno dà la colpa all’altra. E’ fantastico lavorare così.

La vittoria finale è andata a Van Anrooij che ha preceduto Shackley e Realini (foto Anouk Flesh)
La vittoria finale è andata a Van Anrooij che ha preceduto Shackley e Realini (foto Anouk Flesh)
Cosa ti porti via da questa stagione?

Ha fatto uscire in me altre caratteristiche e quindi con la squadra lavoreremo per migliorarle e insieme anche per superare i punti deboli.

Ultima cosa: sapendo di avere quel punto debole, le discese di quell’ultima tappa le hai vissute serena o continuavi a voltarti?

Sicuramente sapendo di avere questa difficoltà, anche se il cronometro in cima alla salita dava un grande vantaggio, poi vedevo che svaniva sempre. Quindi ero lì, molto in tensione. E quando è così, non riesci a scendere serena, diventa tutto più complicato. Si sommano difficoltà a difficoltà. Che cosa ci volete fare? Questa volta è andata così. Ma non abituatevi…

A Cali un buon bilancio, ma Salvoldi guarda già oltre

06.09.2023
4 min
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Se Villa era impegnato alla guida delle ragazze, il settore maschile azzurro ai mondiali su pista juniores di Cali non poteva che avere Dino Salvoldi come referente e la rassegna colombiana ha portato avanti quel lavoro di rifondazione che il tecnico, al suo secondo anno nel nuovo incarico, ha deciso di dare pensando al futuro del settore e di tutto il ciclismo azzurro.

Il bilancio è sicuramente importante, con l’oro del quartetto, due argenti (Giaimi nell’inseguimento individuale e Sierra nella corsa a punti, due bronzi con Stella nell’eliminazione e ancora con Sierra insieme a Fiorin nella madison). Risultati che non hanno sorpreso Salvoldi, soprattutto dopo quanto si era visto agli europei di Anadia, ma di mezzo ci sono stati i mondiali assoluti di Glasgow che hanno fatto un po’ da spartiacque.

Il quartetto azzurro si riconferma iridato con Favero, Fiorin, Grimod e Sierra, battuta in finale la Germania (foto Uci)
Il quartetto azzurro si riconferma iridato con Favero, Fiorin, Grimod e Sierra, battuta in finale la Germania (foto Uci)

«Le prestazioni sono state all’altezza di quel che si era visto precedentemente – sentenzia Salvoldi – in un mondiale molto qualificato, ma mi ha dato ancora di più la conferma di quel che pensavo dopo Glasgow, dove i risultati raccolti non hanno rispecchiato il valore delle prestazioni dei nostri ragazzi. Abbiamo avuto sfortuna in terra scozzese, questo è indubbio».

Una trasferta in Colombia non è mai semplice da assorbire: i ragazzi hanno sofferto?

Eravamo a Cali che è a 1.000 metri di altitudine quindi non ci sono stati soverchi problemi legati all’altezza. Qualcuno ha sofferto il jet lag dopo l’arrivo, ma quel che è pesato di più è stata l’impossibilità di usare la bici da strada durante le gare per defaticare meglio. Questo alla lunga si è fatto sentire.

Per Sierra e Fiorin bronzo nella madison, battuti solo da britannici e belgi (foto Fci)
Per Sierra e Fiorin bronzo nella madison, battuti solo da britannici e belgi (foto Fci)
Anche a Cali alla fine il “front man” è stato Juan David Sierra con tre medaglie tutte di diverso colore. Come lo hai trovato, come ha assorbito la delusione del quarto posto a Glasgow?

E’ stato bravissimo nel “prima” della rassegna – ammonisce Salvoldi – perché ha saputo azzerare tutto e ricominciare, concentrarsi sin dal giorno dopo sull’obiettivo successivo e questo è sintomo di grande maturità. Ci teneva a far bene, oltretutto a Cali ha trovato anche parenti che non aveva avuto modo di conoscere prima e si è trovato come a casa, c’era un tifo notevole per lui e questo mi ha fatto molto piacere. D’altronde dopo Glasgow non è più uno sconosciuto, tutti sapevano chi era e correre nel ruolo di favorito non è facile, ma ha portato a casa altre due medaglie.

La conferma del titolo del quartetto non sembra più neanche una notizia…

Lo notavo anch’io, ormai ci si è abituati troppo bene. Oro e quasi record del mondo, eppure noi sappiamo quanto sudore e quanta fatica ci sono dietro, come un titolo non sia mai scontato. E’ diverso quando corri con tutti gli occhi addosso, con il peso del pronostico, lo scorso anno eravamo più “leggeri”.

Matthew Brennan, oro nell’inseguimento col record mondiale di 3’07″092 e poi bis nella madison e argento nello scratch (foto Uci)
Matthew Brennan, oro nell’inseguimento col record mondiale di 3’07″092 e poi bis nella madison e argento nello scratch (foto Uci)
Rispetto agli europei, la qualità dell’evento com’era?

Molto alta, qui abbiamo trovato anche la compagine russa, sotto l’egida dell’Uci e si è visto subito come gli equilibri fossero cambiati, soprattutto nelle prove di velocità hanno fatto davvero la differenza. Abbiamo capito che a dispetto dell’embargo nei loro confronti, non sono rimasti fermi, hanno continuato a progredire. I ragazzi che hanno fatto bene nelle prove di endurance, come Kazakov terzo nell’individuale a punti dietro Sierra, sono quelli del gruppo di San Pietroburgo che è di stanza in Spagna. Quando rientreranno anche al massimo livello saranno sicuramente da considerare subito più che competitivi.

La stagione però è ben lungi dall’essere conclusa, ora si avvicinano gli europei, ma che cosa cambia rispetto ai mondiali di Glasgow?

Cambia il fatto che i ragazzi sono giocoforza più stanchi – ammette Salvoldi – diventa difficile mantenere alta la tensione soprattutto a livello mentale. Dal ritorno dalla Colombia alcuni si sono ritrovati subito impegnati al Lunigiana, altri hanno ripreso confidenza con la bici da strada in allenamento e nelle altre gare del calendario. Intanto però l’attività su pista, per quel che mi concerne, non è finita…

Per Davide Stella un’altra medaglia dopo Anadia: bronzo nell’eliminazione (foto Uci)
Per Davide Stella un’altra medaglia dopo Anadia: bronzo nell’eliminazione (foto Uci)
Che cosa ti aspetta?

Già a fine mese avremo i test di valutazione per la classe 2007, con tantissimi ragazzi impegnati. Tutti i prospetti provenienti dalla categoria allievi saranno sottoposti a prove per capire la loro predisposizione alla pista. Il settore ogni anno ha bisogno di nuova linfa perché il mondo non si ferma neanche un secondo…