L’esperienza della Doni, nel WorldTour per una settimana

31.10.2023
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Tutto è nato da una foto. Era quella di Luca Vergallito insieme a Chiara Doni alla Tre Valli Varesine femminile. Ci aveva stupito alquanto la presenza di Chiara, in divisa Team Jayco-AlUla e Luca ci aveva specificato come si trattasse di uno stage di tre mesi con la formazione australiana offerto alla lombarda, anche lei protagonista dello Zwift Contest anche se fermatasi in finale. Dietro quella foto c’era una storia che vale la pena di essere raccontata, partendo non dalla stessa Chiara ma da chi ha reso possibile quel contatto: Marco Pinotti.

Chiara insieme a Luca Vergallito, con cui ha condiviso la Zwift Academy
Chiara insieme a Luca Vergallito, con cui ha condiviso la Zwift Academy

Un programma molto ridotto

«Avevo seguito con interesse la Zwift Academy e avevo saputo che, al di là della vittoria di Luca, anche la Doni era andata benissimo, vincendo addirittura alcune delle prove, ma non era poi stata selezionata soprattutto a causa dell’età. Ho guardato i numeri che aveva messo in mostra e ho chiesto un po’ in giro, nessuno aveva dato seguito alla cosa, così ho pensato che poteva essere il caso di provarla.

«Gli stagisti possono gareggiare con i team dal primo agosto – prosegue il preparatore bergamasco – il problema però è che nei tre mesi successivi il calendario del team, all’infuori delle gare WorldTour e degli impegni già calendarizzati con le atlete assunte, era molto scarno. Di fatto c’erano a disposizione solamente due date, quella del Giro dell’Emilia e della Tre Valli Varesine. Noi potevamo offrirle questo e lei ha accettato».

Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla
Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla

Le dinamiche del gruppo

Che impressione ne avete avuto? «Quella di una ragazza fisicamente molto ben preparata, addirittura sorprendente nella sua condotta di gara per un’atleta che non aveva mai avuto alcuna esperienza nel ciclismo professionistico. So che aveva fatto delle Granfondo, ma sono una cosa molto lontana dalle gare vere e proprie e lei stessa se ne è resa conto. Non nascondo anzi che alla vigilia avevo un po’ di timore perché pedalare in gruppo per chi non è abituato a farlo non è per nulla semplice, è anzi rischioso».

E Chiara come se l’è cavata? «Le sue stesse compagne di squadra sono rimaste sorprese di quel che è riuscita a fare, anche se era evidente la sua disabitudine alle dinamiche del gruppo, ancora di più alla Tre Valli che ha un percorso più difficile».

Per Chiara Doni i problemi maggiori erano nello stare in gruppo e tenere le posizioni
Per Chiara Doni i problemi maggiori erano nello stare in gruppo e tenere le posizioni

Un motore invidiabile

Perché allora la cosa non ha avuto un seguito? «Purtroppo non c’erano posti per il team principale per il 2024, con soli 16 contratti disponibili dopo la fusione con la Liv Racing. Io ho provato a spingere per aprire la possibilità di un 17° posto, ma non c’è stato nulla da fare. Forse è pesata la carta anagrafica, forse anche il suo scarso curriculum agonistico. Resto però dell’idea che se magari fosse riuscita a portare un risultato, magari una top 10 in una delle due gare, avrei avuto magari qualche carta in più da giocare per farla assumere».

L’esperienza però si acquisisce, se i numeri ci sono… «E posso assicurare che Chiara li ha, io che un po’ di occhio ce l’ho posso dire che ha uno dei motori più forti dell’intero circuito internazionale. Avrebbe bisogno di fare esperienza in una squadra più piccola, che le permettesse di fare più gare nel corso della stagione, so che qualche team era anche interessato. Ma parliamo di una ragazza che ha anche una professione avviata, deve capire lei se questi sacrifici possono essere sostenuti, se ne vale la pena. Mi dispiace sinceramente che la cosa non si sia ulteriormente concretizzata, perché di qualità ne ha e tante…».

Per Doni quest’anno la vittoria nella Granfondo di New York (foto organizzatori)
Per Doni quest’anno la vittoria nella Granfondo di New York (foto organizzatori)

Un futuro nel gravel

Sono passate le settimane, l’attività è ferma e Chiara Doni è tornata alla sua attività alla sua attività di responsabile assicurazione qualità/affari regolatori e convalida nel settore medicale, con orari di lavoro davvero molto pesanti e giornate che si concludono solo in serata. L’esperienza alla Jayco AlUla le ha fatto maturare una decisione: «Nel 2024 continuerò a correre qualche Granfondo, anche se non mi sento appartenere a quell’ambiente ed a quel tipo di gare. Inoltre, sotto la spinta ed il supporto di Swatt Club, proverò a partecipare a cimentarmi in qualche evento gravel per divertirmi e raggiungere buoni risultati».

Che esperienza è stata? «Bellissima. A cominciare dai giudizi positivi delle compagne, come la Santesteban che per me era un riferimento e una guida e che mi ha detto di essere rimasta stupita per quel che ho fatto. Effettivamente però l’esperienza conta. Faccio un esempio: quando ci si avvicinava a una rotonda, perdevo tante posizioni in gruppo perché non avevo le capacità tecniche per farmi rispettare, così poi dovevo faticare per risalire e spendevo tante energie che alla fine paghi. Magari con un pizzico di fortuna in più avrei anche portato a casa un risultato migliore, soprattutto all’Emilia».

La lombarda fra l’australiana Allen e la trinidegna Campbell. Un’esperienza indimenticabile
La lombarda al fianco di Jessica Allen, una delle colonne del team australiano

Tutto per colpa della catena…

Le immagini di quella corsa sono ancora nitide nella sua mente: «Alla prima frenata sono andata dritta e sono caduta in quanto la bici aveva alcuni problemi all’impianto frenante. Sono rientrata presto, ma l’urto aveva leggermente deformato il cambio, fatto sta che quando mettevo il 32 per andare più agile in salita la catena saltava. La prima volta ho perso 40” per riprendere il gruppo, ma alla curva delle Orfanelle è successo di nuovo e lì sono andati via oltre due minuti. Ho cambiato la bici, ma ormai era tardi per rientrare, però la gara volevo finirla».

Riprovarci? «Non avrebbe senso, metterei a rischio la mia carriera professionale di 12 anni. Fosse stato per uno stipendio nel WorldTour avrebbe avuto una ragion d’essere, altrimenti non saprei come gestire le spese. So che posso dare dai 2 ai 4 anni di attività a pieno regime, ma in un team continental non ne varrebbe la pena».

Chiara con la maglia dello Swatt Club. Quest’anno ha gareggiato anche ai mondiali Esports
Chiara con la maglia dello Swatt Club. Quest’anno ha gareggiato anche ai mondiali Esports

Il boccone amaro della Zwift Academy

L’età anche in questo caso ha pesato? «Dicono di no, ma io non posso togliermi dalla testa che abbia inciso, com’era stato al contest dov’ero stata nettamente la migliore in ogni prova, ma poi nel team hanno deciso di puntare su chi era arrivata dietro di me e quella decisione l’ho sofferta perché era stata ingiusta. Mi resta però il ricordo di una settimana bellissima, diversa dal solito, vissuta in una famiglia più che in una squadra. Qualcosa che mi ha fatto crescere come persona».

Giro o Vuelta, quale miglior GT per debuttare? Risponde Maini

31.10.2023
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«Da italiano, mi verrebbe da scegliere il Giro. Però da giovane, mi viene da dire di più la Vuelta. Se non dovessi recuperare bene le fatiche del Giro d’Italia, me le porterei per tutto il resto dell’anno. Alla Vuelta invece, si è quasi a fine stagione, quindi un po’ mi salverei». Queste le parole di Alessandro Verre ad Enzo Vicennati in un’intervista fatta durante il Tour of Guangxi.

Questa considerazione del lucano lancia un tema: qual è il miglior grande Giro  per un giovane professionista? E perché? Lo abbiamo chiesto a Orlando Maini, direttore sportivo tra i più esperti in assoluto e molto a contatto con i giovani.

Orlando Maini è attualmente uno dei diesse dell’Astana-Qazaqstan: vanta un’esperienza pluridecennale prima come atleta e poi appunto come tecnico
Orlando Maini è attualmente uno dei diesse dell’Astana-Qazaqstan: vanta un’esperienza pluridecennale

Differenze? Una volta forse…

Tutto sommato le parole di Verre hanno un certo fondamento. Lorenzo Germani, che ha un anno in meno di Verre, ci aveva detto giusto dodici mesi fa che non avrebbe avuto in programma i grandi Giri per la prima stagione nel WT, salvo lasciare una porta aperta sulla Vuelta nel caso tutto fosse andato bene. Una scelta quella della Vuelta che non avrebbe poi fatto tanti “danni”, primo perché a fine stagione e poi perché ci si arriva con qualche mese di esperienza da pro’.

«Io – spiega Maini – ritengo che il Giro d’Italia sia il giusto mix fra Tour e Vuelta. Per anni la corsa rosa è stata etichettata come la più dura d’Europa, ma dico che negli ultimi anni la tendenza non mi è sembrata questa. Semmai una volta la Vuelta e ancora di più il Tour avevano caratteristiche ben diverse. Tanta pianura all’inizio e montagne dopo e questo presupponeva una divisione di categorie di ciclisti da chiamare in causa (magari si poteva approfittare di questa finestra meno dura per esordire, ndr). Ora non è più così. E anche la Vuelta non è certo leggera. In più arriva a fine anno e anche se sei giovane e ci arrivi bene, sei comunque stanco».

Lorenzo Germani della Groupama-FDJ ha esordito nei GT all’ultima Vuelta. Il laziale è un classe 2002
Lorenzo Germani della Groupama-FDJ ha esordito nei GT all’ultima Vuelta. Il laziale è un classe 2002

L’importanza dei numeri

Maini fa poi il quadro della situazione e ribadisce quelli che ormai sono i numeri. Spesso molti nelle top 10 dei grandi Giri sono ventenni.

«E’ quel che ci dice l’anagrafe», va avanti Maini. «Siamo di fronte ad un generazione di fenomeni, che ormai sono la normalità, quando fino a qualche anno fa si cercava di far fare le grandi gare a tappe ai corridori giovani nel momento giusto, quando cioè c’era una certa maturazione fisica e anche mentale. Ora è quasi il contrario. E vediamo ragazzini primeggiare nei grandi Giri, ma anche in corse come la Tirreno-Adriatico, Parigi-Nizza, Catalunya… che sono corse vere.

«A conferma di ciò è il fatto che sempre più squadre, anche grandi, investono direttamente sugli juniores e molti osservatori partono dagli allievi. Ma se da una parte lo stato dello sviluppo fisico a quell’età può “falsare” gli ordini di arrivo, dall’altra ci sono i numeri, i test che dicono il potenziale del ragazzo. Penso a Finn e Bessega che al primo anno juniores hanno già firmato per degli squadroni».

Come detto, Maini ha fatto una foto, ma il discorso dei baby campioni non vale proprio per tutti. C’è ancora chi ha bisogno di più tempo. Per questa tipologia di atleti vale il “vecchio stile” del grande Giro dai 24-25 anni su. 

«Sì, questo discorso per me – conferma Maini – ci può stare e vale ancora. Penso ad esempio a due giovani italiani, Pellizzari e Piganzoli, che sono in due professional serie, due squadre che li stanno facendo crescere bene, con i giusti tempi. E magari se un giorno passeranno in squadre WorldTour soffriranno meno».

Per Verre un esordio al Giro dalla doppia faccia: sempre in fuga e pimpante all’inizio, fermato dal Covid dopo 13 tappe
Per Verre un esordio al Giro dalla doppia faccia: sempre in fuga e pimpante all’inizio, fermato dal Covid dopo 13 tappe

Giro e Vuelta uguali

Ma torniamo al discorso del grande Giro. Ci sono differenze tecniche perché è meglio esordire ad una Vuelta e non ad un Giro? Cosa cambia? Qualcuno ha detto che le strade della Vuelta sono migliori rispetto a quelle del Giro, ma la corsa è meno frenetica rispetto alla corsa rosa e ancora di più rispetto al Tour.

«Credo che per un giovane italiano – conclude Maini – la differenza sia nell’approccio mentale. Psicologicamente è forse penalizzato dal fatto che, correndo in Italia, si ritroverebbe a gareggiare nelle terre e sulle strade che lo hanno visto crescere. Il Giro lo sente dentro. E tutto questo messo insieme magari gli mette pressione. Ma per il resto non vedo differenze tecniche tra Italia e Spagna. Come dicevo prima, forse prima c’erano delle differenze, ma negli ultimi anni tutti e tre i percorsi dei grandi Giri si somigliano molto.

«Semmai è importante come il giovane arriva al suo primo grande Giro. Oggi gli juniores come abbiamo visto vanno direttamente all’estero e lì fanno anche più corse a tappe. Un ragazzo che invece resta in Italia è meno pronto a certe esperienze appena divenuto pro’».

Gomez al bivio: sceglierà la Zalf o resterà in Colombia?

31.10.2023
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Nicolas Gomez si è aggiudicato la Coppa d’Inverno, l’ultima corsa nazionale della stagione, così prima di ripartire per la Colombia ha avuto modo di togliersi l’ultima soddisfazione. Il 2023 doveva essere l’anno della ripartenza, una chance da giocarsi per entrare nel mondo dei professionisti dalla porta degli elite. Una cosa sempre più difficile nel ciclismo di oggi, ma non impossibile, come hanno dimostrato casi recenti. 

«A inizio stagione ero carico – racconta Gomez, 23 anni – avevo ambizioni importanti. Non è andato tutto per il verso giusto però mi sono piazzato spesso nelle prime gare. Mi è mancato quel puntino in più per fare bene, non sono arrivato prontissimo e forse l’ho pagata un po’».

Gomez alla Coppa d’Inverno passa per primo sotto il traguardo di Biassono (foto robertorizaphoto)
Gomez alla Coppa d’Inverno passa per primo sotto il traguardo di Biassono (foto robertorizaphoto)

La vittoria che mancava

Gomez ha conquistato un successo all’ultima occasione utile, quando la stagione è all’ultimo giro di chiave. Quella della Coppa d’Inverno è stata la ricompensa per una seconda parte del 2023 con qualche difficoltà in più del previsto. Le lacrime del colombiano, scese copiose dopo il traguardo, hanno detto tanto. 

«Ci voleva – ammette anche dopo tempo – volevo chiudere la stagione nel migliore dei modi, per ringraziare la squadra. I compagni si sono sacrificati tanto per me e io ho dimostrato di ricordarmi bene come si vince. E’ stato un po’ un recupero per una seconda parte di stagione che non è andata benissimo. Mi sono tolto un bel peso dallo stomaco e sono partito molto più sereno per le vacanze».

Com’è andata con Provini, come ti sei trovato?

Ero curioso di lavorare con lui e fino alla prima metà di stagione mi sono trovato bene. Poi abbiamo avuto una discussione, una cosa che ci può stare durante tutto l’anno, ma non sono riuscito più a trovare la serenità per fare tutto al meglio. Poi pensavo di fare uno stage con la Corratec se avessi fatto bene a inizio anno. 

E invece?

Penso di aver fatto un buon inizio di stagione: non pieno di vittorie, ma sempre piazzato. Speravo di andare a fare qualche gara con loro, invece della nostra squadra ci è andato solamente Tsarenko. 

Nel finale di stagione era arrivato un secondo posto nella seconda tappa del Giro del Veneto (photors.it)
Nel finale di stagione era arrivato un secondo posto nella seconda tappa del Giro del Veneto (photors.it)
Ora guardi già al 2024? Hai già deciso cosa fare?

Non ancora, in Italia mi ha cercato qualche squadra ma sempre continental: una è la Zalf, che mi ha cercato anche lo scorso anno. Alla fine avevo scelto la Hopplà anche per l’opportunità di fare stage con la Corratec. Devo essere sincero, per il 2024 non escludo nemmeno di rimanere a correre in Colombia.

Come mai?

Ci sono delle ottime continental anche da noi e in più potrei riprendere in mano il discorso della pista. Da junior ero molto forte nelle prove di velocità, sono stato campione panamericano nello scratch e nel team sprint. 

Perché una volta in Italia non hai continuato?

Non avendo una pista vicino a casa, negli anni in cui sono stato alla Colpack, veniva difficile andare. In più non avevo chi mi avrebbe potuto allenare al meglio ed in Colombia per partecipare a queste competizioni guardano tanto a chi si allena e riesce a dedicare tempo alla disciplina. 

La pista, si è visto negli anni, è una grande occasione per migliorare nelle volate. 

Vero, per questo vorrei provare a riprenderla perché qui in Colombia potrei fare entrambe le cose. Mi aprirebbe una porta importante in termini di opportunità per passare e anche per quel che riguarda una carriera in pista. Anche se sono passati un po’ di anni non è troppo tardi per provarci».

Christian Prudhomme, 2023, presentazione Grand Depart Firenze

Prudhomme, L’Equipe e il Tour: l’orgoglio e uno scivolone

31.10.2023
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Christian Prudhomme e il suo Tour de France. Si respira grande orgoglio nelle parole del direttore della Grande Boucle, forse perché essendo un giornalista, sa che ogni giorno suggerirà un titolo e questo fa la differenza.

Orgoglio. Divertimento. Condivisione. Appartenenza. Il racconto di Prudhomme, per come l’ha raccolto L’Equipe, lascia trasparire qualcosa che va oltre la soddisfazione per un lavoro ben riuscito. Resta un solo scivolone, forse perché raccontato al pubblico francese, che riguarda Marco Pantani e anche il Gastone Nencini dimenticato. La sua sensibilità contro la nostra.

«Il punto di partenza sarà l’Italia – dice Prudhomme – sarà la prima volta che il Tour partirà da lì ed è abbastanza sorprendente, addirittura anomalo. Abbiamo fatto questa scelta per due motivi. Il primo è che la polizia francese avrà molto da fare con le Olimpiadi e le Paralimpiadi. In più il 1924 è il centenario della prima vittoria al Tour di un italiano (Ottavio Bottecchia, ndr). All’inizio pensavamo che fosse la sola ricorrenza necessaria, ma i nostri amici italiani ci hanno detto: “Qui ci sono Gino Bartali, Marco Pantani e Fausto Coppi”».

Tour 2014, lo Yorkshire viene preferito a Firenze e allora ci pensa Nibali a mettere le cose a posto
Tour 2014, lo Yorkshire viene preferito a Firenze e allora ci pensa Nibali a mettere le cose a posto

A ruota dello Yorkshire

Firenze era già stata candidata al Tour del 2014, come pure lo Yorkshire. Bradley Wiggins aveva vinto la Parigi-Nizza e il Delfinato, prima di essere il primo britannico a vincere il Tour.

«Pensammo che fosse giusto – ricorda Prudhomme – cavalcare la vittoria di un inglese al Tour e scegliemmo lo Yorkshire. Ma una cosa mi colpì davvero, quando alla fine di marzo 2020, nel pieno della pandemia, ricevetti una foto e un messaggio dal sindaco di Firenze. “Firenze bella e triste – c’era scritto – non ho dimenticato il sogno del Tour”. Nardella ha fatto squadra con il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che salvò i mondiali del 2020 quando la Svizzera disse no. Inoltre, passeremo lungo lo strappo dove attaccò Alaphilippe».

Julian Alaphilippe mondiali Imola Shimano
Imola 2020, l’attacco di Alaphilippe decide il mondiale
Julian Alaphilippe mondiali Imola Shimano
Imola 2020, l’attacco di Alaphilippe decide il mondiale

Il ricordo di Pantani

E qui, nella bella intervista rilasciata all’Equipe, Prudhomme concede qualcosa di troppo allo sciovinismo francese, quasi snobbando la scelta di ricordare Pantani nella tappa da Cesenatico a Bologna. Ci sarà modo e tempo di chiedergliene una spiegazione.

«Fra Cesenatico e Rimini – dice Prudhomme nell’intervista – c’è indiscutibilmente Pantani, tra luci e ombre. Non volevamo passare particolarmente dal luogo dove è nato e dove è morto, ma è andata così. Parleremo naturalmente anche di Poulidor e della sua vittoria del 1975 a Pla d’Adet (dove il Tour tornerà, ndr) su cui verrà costruita una sua statua a grandezza naturale. Arriviamo per la prima volta anche a Colombey les Deux Eglises 80 anni dopo lo sbarco in Normandia (giugno 1944). In realtà non esiste alcun dogma se non quello di evitare due tappe di seguito che si concludano con uno sprint di gruppo. Ecco perché, nella prima settimana ci sono una crono e la tappa delle strade bianche. E anche quella è anche un omaggio all’Italia e alle Strade Bianche. Avremo quattordici settori intorno a Troyes con 32 chilometri fra vigneti, campi di mais e girasole, con strappi molto brevi ma ripidi».

Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998
Tour 1998, Pantani sul podio di Parigi con Gimondi, 33 anni dopo la sua vittoria. La Francia è il delirio
Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998
Tour 1998, Pantani sul podio di Parigi con Gimondi, 33 anni dopo la sua vittoria. La Francia è il delirio

Finale a Nizza

L’ultimo aspetto forzatamente originale del prossimo Tour de France è il finale di Nizza, dato che Parigi sarà nel pieno dei preparativi olimpici e non avrà tempo né luogo per altro.

«Non possiamo sostituire Parigi e il suo prestigio – spiega Prudhomme – chiunque sa che il Tour finisce a Parigi. Ma in questo modo, con la crono dell’ultimo giorno, avremo qualcosa di forte da proporre al pubblico. Non accadeva dal 1989 che il Tour si concludesse con una crono: l’ultima volta fu tra Fignon e Lemond. Inoltre, parliamo di una crono con 700 metri di dislivello. Tutti i direttori del Tour hanno cercato di avvicinare le montagne all’arrivo finale: quest’anno sarà così, senza trasferimenti!».

A quel punto sarà il 21 luglio e di lì a una settimana si apriranno i Giochi di Parigi. Sarà un’estate memorabile. E facendo gli scongiuri che la Jumbo-Visma non ammazzi il Tour come ha fatto con la Vuelta, la sensazione è che Prudhomme ne stia già respirando la magia.

Le difficoltà del ciclocross. Scotti ne ha per tutti…

30.10.2023
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Con i protagonisti della strada a riposo e in giro per il mondo per le vacanze, l’attenzione è tutta incentrata sul ciclocross. L’attività sui prati è già entrata a pieno regime, con tappe di Coppa del Mondo ogni fine settimana abbinate a prove degli altri principali circuiti. Non ci sono naturalmente i grandi protagonisti. Van der Poel ha già annunciato che tornerà sui prati solo nella seconda metà di dicembre per la serie di gare del periodo natalizio. Probabilmente sia Van Aert che Pidcock, gli altri “tenori” seguiranno la stessa impostazione.

Per Van Aert e VDP un inverno con poche gare, come ormai prassi vista l’attività su strada
Per Van Aert e VDP un inverno con poche gare, come ormai prassi vista l’attività su strada

E’ chiaro quindi che fino ad allora seguiremo “un altro sport”, con altri protagonisti ma con la consapevolezza che i valori espressi non sono quelli assoluti. Un trend che si sta allargando. Fra le donne, dove continua il netto dominio olandese, c’è chi come la Van Anrooij comincia a selezionare le sue apparizioni. In Italia poi è ormai chiaro come il panorama di praticanti di vertice si sia ulteriormente ristretto. Il ciclocross continua ad essere visto come un fastidioso intermezzo per i nostri ciclisti.

Su questo e tanto altro abbiamo ragionato con Fausto Scotti, organizzatore del Giro d’Italia ma per anni commissario tecnico azzurro e profondo conoscitore del movimento da tutta una vita. Partendo proprio dalle considerazioni internazionali: «I tre campioni li vedremo sempre meno spesso. La loro stagione su strada è troppo intensa, ma non lasceranno l’attività sui prati e questo non solo per una questione di passione. Ogni gara vale per loro un ingaggio dai 15 ai 25 mila euro, è un’attrattiva di non poco conto, ma che sta anche creando squilibri».

Fausto Scotti, ex cittì azzurro, oggi organizzatore del Giro d’Italia di ciclocross
Fausto Scotti, ex cittì azzurro, oggi organizzatore del Giro d’Italia di ciclocross
In che senso?

Agli altri, a quelli che tirano la carretta per tutta la stagione resta poco, ma da parte loro c’è anche una certa rassegnazione sapendo del loro strapotere, anche se sono convinto che col tempo anche Thibau Nys salirà a quel livello, d’altro canto anche lui fa strada. I team dal canto loro hanno tutto l’interesse a lasciarli lavorare in pace e favorire le loro uscite nel ciclocross perché hanno ritorni d’immagine anche fuori stagione, con gli sponsor che vengono così gratificati nei loro investimenti. Gli organizzatori? Loro con gli introiti per ogni gara vedono i loro investimenti negli ingaggi ampiamente coperti. Hanno d’altronde protagonisti che ad ogni gara se le danno di santa ragione ma sempre nel reciproco rispetto. Ti garantiscono lo spettacolo.

Perché allora non seguire questa strada anche in Italia?

Intanto perché è un paragone improponibile considerando i nomi, ma anche a livello internazionale non tutto funziona. Questa continua volontà di portare la Coppa in America ad esempio non va. I team, piuttosto che programmare una trasferta simile preferiscono investire su un ritiro prestagionale in più che gli costa meno e coinvolge più gente. Guardate quanti sono andati a Waterloo, anche tra belgi e olandesi non erano così tanti.

Thibau Nys, vincitore della prima di Coppa negli Usa. Scotti è pronto a scommettere su di lui
Thibau Nys, vincitore della prima di Coppa negli Usa. Scotti è pronto a scommettere su di lui
Torniamo in Italia: spesso si sono criticati i diesse perché negano i permessi ai loro atleti per l’attività invernale, Si diceva che con l’avvento della multidisciplinarietà stava cambiando questa cultura, ma oggi senti i ragazzi più giovani che dicono che non vogliono più fare ciclocross per curare la preparazione per la strada. Allora di chi è la colpa?

E’ un discorso che coinvolge tanti attori e tante responsabilità. Iniziamo dai procuratori, che prendono i ragazzi da quando sono allievi, li lasciano correre nelle varie discipline ma appena possono li indirizzano verso quelle più remunerative. Faccio l’esempio di Fiorin che da ragazzo faceva un po’ tutto e che viene da una tradizione familiare dove il ciclocross era molto apprezzato, il padre l’ha quasi svezzato sui prati. Ora che è junior però viene spinto a fare solo strada e pista perché lì può emergere e soprattutto ha maggiori obiettivi, anche olimpici.

E i team che voce hanno?

I team guardano ai soldi, chi ha i campioni li coccola e chi non li ha cerca altre strade. In Italia come si diceva si dà molta colpa alle squadre ma io con loro ho lavorato per anni. Guardate Reverberi: a Paletti non ha messo limitazioni, ma qui è la famiglia che comincia ad avere perplessità, perché il ragazzo d’inverno rischia di avere un’attività ancor più stressante, fra allenamenti per la strada e le trasferte del fine settimana.

Luca Paletti sta gareggiando con regolarità, una rarità fra i pro’ italiani (foto Lisa Paletti)
Luca Paletti sta gareggiando con regolarità, una rarità fra i pro’ italiani (foto Lisa Paletti)
Che cosa servirebbe allora per dare un’inversione di tendenza?

Semplice: una vagonata di denaro. Per fare un team di primo piano che agisca su tutto, come l’Alpecin, servono decine di milioni di euro e dove sono gli sponsor italiani che possono investire tanto? Che cosa si garantisce loro?

Torniamo però al punto di prima, gli stessi ragazzi che sono contrari anche a fare qualche semplice gara per allentare la preparazione. Toneatti ad esempio vuole concentrarsi sulla strada…

Qui entriamo in un altro campo: la consapevolezza di sé dell’atleta. Davide era nato come ciclocrossista, i suoi risultati li ha ottenuti lì, è con quelli che l’Astana l’ha preso. Ora rinuncia alla disciplina dove aveva più chance di emergere per puntare alla strada dove le porte sono obiettivamente chiuse.

Per la Realini il ciclocross è ormai un bel ricordo. Ma siamo sicuri che qualche gara senza assilli non sia utile?
Per la Realini il ciclocross è ormai un bel ricordo. Ma siamo sicuri che qualche gara senza assilli non sia utile?
E in campo femminile?

Avviene un po’ lo stesso. La Realini ormai non fa più ciclocross, con lei ho parlato a lungo, non è per pressioni esterne ma più per delusioni avute in questo ambiente, ad esempio la mancata convocazione per i mondiali americani. La Persico ha staccato la spina e forse farà qualche gara fra dicembre e gennaio, ma il 2024 è anno olimpico e lei può ambire non solo a partecipare a Parigi. Sono tutte cose che devi mettere nel conto: Silvia ha pagato l’attività nel ciclocross in questa stagione faticando a trovare la miglior forma perché non si era fermata mai. Lei al mondiale potrebbe anche far bene, ma le servono almeno 5-6 gare per trovare la forma.

Poi però ci sono casi come la Venturelli che reclama addirittura la possibilità di competere anche d’inverno perché le dà la carica per affrontare la preparazione…

Ma lei è junior, siamo sicuri che le cose non cambieranno passando di categoria? Io credo che la vedremo sempre meno nel ciclocross per privilegiare strada e pista, perché i suoi orizzonti sono già proiettati verso Los Angeles 2028, lì potrà davvero scrivere pagine storiche per tutto lo sport italiano. Intanto però non credo che quest’anno la vedremo spesso sui prati…

In Italia l’attività è aumentata, i praticanti anche, ma mancano reali investimenti (foto Lisa Paletti)
In Italia l’attività è aumentata, i praticanti anche, ma mancano reali investimenti (foto Lisa Paletti)
Fa bene Pontoni a lavorare quasi esclusivamente sui giovani?

Che altro dovrebbe fare? Talenti veri non ce ne sono, quelli che abbiamo come Bertolini si sono persi inseguendo fantasmi come una convocazione olimpica nella mtb penalizzando quella che era la sua via preferenziale. Puoi lavorare sulle categorie giovanili, far crescere i ragazzi, poi loro prenderanno la direzione più redditizia e certamente non è il ciclocross perché chi ci investe sopra?

Ciclismo e VO2Max: 11 domande a Michele Dalla Piazza

30.10.2023
5 min
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VO2Max, una voce e un acronimo che spesso ritroviamo nei protocolli di allenamento e menzionato quando vediamo delle prestazioni da extraterrestre. Cosa è, a cosa serve e come si misura?

Siamo andati dal dottor Michele Dalla Piazza, persona estremamente autorevole in materia, studioso e profondo conoscitore delle tecnologie legate al training moderno.

La valutazione del VO2Max, alla base del training (foto Iens’Art content&agency)
La valutazione del VO2Max, alla base del training (foto Iens’Art content&agency)
Che cos’è il VO2Max?

“V” sta per volume al minuto, “O2” sta per ossigeno e Max è palesemente massimo. Il VO2Max è la massima portata di ossigeno che il nostro corpo riesce a trasformare in energia utile alla contrazione muscolare, per un determinato periodo di tempo. Pedalare all’intensità di VO2max richiede il massimo supporto con l’integrazione di diversi elementi fisiologici del nostro corpo, tra i quali la ventilazione polmonare che consente lo scambio gassoso tra l’ambiente e il nostro sangue, il quale verrà pompato e distribuito in tutto il corpo grazie al cuore.

Un valore che mostra fino a che punto possiamo arrivare?

Il VO2Max descrive il limite massimo di ossigeno che riusciamo a catturare dall’ambiente, trasportarlo ai muscoli e quanto questi ultimi riescono a trasformarlo in potenza meccanica.

Monitoraggio costante durante la prova (foto Iens’Art content&agency)
Monitoraggio costante durante la prova (foto Iens’Art content&agency)
Non è solo questione di polmoni…..

Decisamente no. Quantità di sangue e la sua concentrazione di emoglobina, un cuore grande e un’elevata frequenza di battiti al minuto. Sono tutti fattori che contribuiscono ad un sangue ricco di ossigeno che nutre le cellule periferiche coinvolte nello sforzo. Queste ultime daranno il loro massimo per tenere testa all’intensità VO2Max che solitamente non si riesce a sostenere per più di 4 o 5 minuti.

Possiamo considerare questo valore la vera cilindrata del motore dell’atleta?

Teoricamente è così. Più il VO2Max è alto, più siamo performanti in uno sport di resistenza. Non è detto che chi ha il VO2Max più alto sia anche vincente, ci sono molti altri fattori in gioco.

La mascherina, strumento iconico per il test VO2Max (foto Iens’Art content&agency)
La mascherina, strumento iconico per il test VO2Max (foto Iens’Art content&agency)
Come si misura?

L’unità di misura del VO2max è la quantità di millilitri di ossigeno misurati in un minuto (ml/min-ndr). Non di rado viene presentata normalizzandola con la massa corporea. Per normalizzare si intende fare ml/min diviso i chilogrammi di massa corporea (ml/min/kg-ndr), un dato che ci consente di confrontare il VO2max tra atleti con pesi corporei differenti. Nel caso specifico del ciclismo si misura in laboratorio. Conoscendo la differenza tra la quantità di ossigeno inspirata ed espirata si riesce ad ottenere la quantità di ossigeno che utilizza il nostro corpo per pedalare.

Esistono protocolli diversi?

Ci sono diverse teorie. Alcuni affermano che il vero massimo consumo di ossigeno si ottiene con un test che porti l’atleta gradualmente ad esaurimento, in un tempo compreso tra gli 8 ai 12 minuti. Il carico di lavoro tiene conto del sesso, età e fitness. Ci sono esperti del settore che ritengono corretto misurare il VO2Max anche con modalità di test più brevi o più lunghi. Personalmente direi che il test da 8 a 12 minuti è il protocollo per la misurazione VO2Max psicologicamente meno difficoltoso per l’atleta.

Il test mette a dura prova a prescindere dallo stato di forma (foto Alpecin-Deceuninck Stefan Rachow)
Il test mette a dura prova a prescindere dallo stato di forma (foto Alpecin-Deceuninck Stefan Rachow)
Immaginando la scala valori di un corridore, dove posizioniamo il suo VO2Max?

Il VO2Max è un valore utilizzato anche per definire lo stato di salute di una persona. Nel ciclismo professionistico troviamo fenomeni che superano gli 80 ml/min/kg. Solitamente i valori oscillano da 70 a 80 ml/min/kg, comunque elevati in confronto alla popolazione mondiale. Per entrare nelle categorie professionistiche è importante avere un VO2Max relativamente elevato, maggiore di 70 ml/min/kg.

Ma allora quale è il valore che può fare realmente la differenza?

L’efficienza metabolica lorda (chiamata anche gross efficiency). E’ la capacità di produrre potenza meccanica sui pedali a parità di ossigeno consumato. I professionisti presentano una LT2 (zona di intensità del training) molto più elevata e un’importante dipendenza dal metabolismo dei grassi anche ad alte prestazioni di potenza. E’ un aspetto molto importante sia per i giri a tappe che per gare molto lunghe come le classiche del nord.

Il grafico che descrive lo sforzo
Il grafico che descrive lo sforzo
E’ possibile sapere in anticipo fino a dove quell’atleta potrà portare il suo VO2Max?

Il VO2Max di un atleta professionista maturo solitamente non varia più del 5% lungo l’arco della stagione. In base all’età, all’antropometria, al sesso ed altri aspetti fisiologici si riesce ad abbozzare un punto di arrivo. Usare il condizionale è d’obbligo. La genetica fa la sua parte e le risposte agli stimoli allenanti sono diverse. Tutti siamo portati a migliorare il nostro VO2Max con l’allenamento, ma non tutti siamo portati a raggiungere valori da atleta professionista.

Ci sono dei fattori esterni che influiscono sul VO2Max?

Vivere ed allenarsi ad intensità moderata, con intensità al di sotto della zona LT1, in altura dai 1.500 ai 4.000 metri. Ma attenzione, molti corridori e nuotatori hanno riferito di aver perso la forma e il recupero fisico ottimale durante il periodo di gare a causa dell’allenamento e della vita in altitudine. La causa: in altura non riuscivano a sostenere le stesse intensità affrontate al livello del mare. E’ certo che l’esposizione all’altitudine aumenta le capacità di trasporto dell’ossigeno nel sangue. L’ambiente contribuisce a modificare la nostra genetica, ma se si è portati geneticamente ad aver un alto VO2Max sarà più facile raggiungere alti valori in confronto alla popolazione mondiale.

Il VO2Max si sviluppa principalmente in giovane età (foto Tornanti_cc)
Il VO2Max si sviluppa principalmente in giovane età (foto Tornanti_cc)
C’è una fascia di età dove il VO2Max raggiunge il suo massimo?

Nel caso di ragazzi o ragazze che praticano agonismo, la statistica mostra una finestra temporale compresa tra i 10/11 e 15/17 anni per le femmine, dai 11/12 fino ai 20 anni per i maschi, dove si toccano i picchi maggiori di VO2Max. Dai 20 anni in su sembra ci sia un decadimento simile negli atleti e nei soggetti sedentari. I primi mantengono un VO2Max più elevato dei secondi per tutto l’arco della vita. Se l’individuo sedentario adulto decide di allenarsi potrà aumentare il suo VO2Max, ma mai come se si fosse allenato durante la pubertà.

EDITORIALE / Cinque squadre che tramano nell’ombra

30.10.2023
6 min
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La fusione sfumata fra Jumbo-Visma e Soudal-Quick Step è stata l’ammissione che così non si può andare avanti. Che i costi sono diventati difficili da sostenere anche per le squadre più grandi e che per continuare a dominare c’è bisogno di averne sempre di più, a fronte di sponsor che iniziano a farsi delle domande.

«Non credo che possano continuare così anno dopo anno – ha detto Pogacar da Singapore, parlando della Jumbo – sarebbe un po’ strano. Nel 2024 ci saranno anche alcuni cambiamenti. Primoz va alla BORA-Hansgrohe e con lui perdono un leader importante. E’ positivo che ci siano più squadre che hanno un forte blocco per i Grandi Giri, l’anno prossimo non sarà più Jumbo-Visma contro UAE Emirates. Ci sarà anche Remco e anche la Ineos sarà competitiva. Ciò non farà altro che arricchire ulteriormente il Tour de France».

Le parole di Pogacar sono giunte da Singapore, dove è impegnato nei Criterium del Tour (foto alenmilavec)
Le parole di Pogacar sono giunte da Singapore, dove è impegnato nei Criterium del Tour (foto alenmilavec)

Il tesoro del Tour

L’ultimo verbo, usato da Pogacar in riferimento ai contenuti tecnici della sfida, ha però anche altre sfumature: la corsa all’oro è nel vivo. All’indomani della presentazione del Tour de France infatti (foto ASO in apertura), l’agenzia di stampa Reuters ha diffuso una notizia sorprendente: cinque squadre di punta sarebbero in trattative per organizzare una competizione ciclistica alternativa. L’obiettivo è quello di limitare il potere dei grandi organizzatori e consentire l’afflusso di più denaro alle squadre.

Finora soltanto Flanders Classics, per bocca del suo CEO Thomas Van der Spiegel, aveva ventilato la possibilità di dividere i proventi dei diritti televisivi con le squadre. Stiamo parlando della società belga che organizza 70 prove in linea, tra cui il Giro delle Fiandre, la Coppa del mondo e il Superprestige di ciclocross. Gli altri soggetti dominanti del ciclismo, da ASO a RCS, hanno sempre preferito evitare il discorso. ASO non ha mai diffuso informazioni sul valore effettivo dei diritti del Tour. Tuttavia appare chiaro che per il gruppo, che pubblica L’Equipe e aveva fra le sue punte anche altre testate poi chiuse, la Grande Boucle rappresenti la principale fonte di guadagno.

L’ipotesi di rendere a pagamento salite come l’Alpe d’Huez è del tutto remota o rappresenta un fronte caldo?
L’ipotesi di rendere a pagamento salite come l’Alpe d’Huez è del tutto remota o rappresenta un fronte caldo?

Il costo del biglietto

Le squadre investono sempre di più ed è comprensibile che gli sponsor cerchino il modo di rientrare seppure parzialmente dei costi. Il punto è capire se questo sia possibile anche nel ciclismo.

I grandi sport professionistici di squadra possono contare su diversi introiti. Ad esempio c’è la vendita dei biglietti. Essa da una parte comporta la manutenzione degli impianti, ma garantisce un’importante fonte di guadagno. Negli anni 60 fu fatto il tentativo di far pagare un biglietto di ingresso per il Mont Ventoux e lo stesso sarebbe possibile teoricamente per l’Alpe d’Huez o il Mortirolo. Ci sarebbero da controllare gli accessi mediante l’assunzione di controllori e l’installazione di varchi, ma bisognerebbe anche essere certi che i numeri non inizino a calare. I tifosi potrebbero viverlo come un vero e proprio tradimento.

Una differenza sostanziale del ciclismo rispetto ad altri sport di squadra è anche che in nessun altro mondo lo sponsor dà il nome al team, come invece succede da noi. La Juventus si chiama Juventus e non Jeep. Il Milan è Milan e non Emirates. E se pure è vero che nella stessa corsa ci sono più marchi a sfidarsi e non solo due come in una partita di calcio, le tappe dei Grandi Giri hanno più traguardi intermedi e classifiche in cui più o meno tutti possono brillare di luce propria. Quale sport assicura ore e ore di diretta a una squadra che porta il nome del suo sponsor?

In Belgio si paga per seguire le gare di cross: lo spettacolo è così popolare che nessuno si stupisce
In Belgio si paga per seguire le gare di cross: lo spettacolo è così popolare che nessuno si stupisce

I diritti televisivi

E poi ci sono i diritti televisivi, la cui entità è obiettivamente da capire. Tolti i grandi Giri e qualche altra classica, infatti, sono poche le corse che riescono a coprire i propri costi. Per questo e non per amore della mondializzazione, si organizzano gare negli Emirati e nei vari deserti del mondo. Per sommare risorse che creino ricchezza, ma permettano anche di tenere in vita corse di prestigio come la Tirreno-Adriatico e la Parigi-Nizza. Gli organizzatori che con i diritti televisivi realizzano profitti li condivideranno con le squadre? Probabilmente no, come hanno dimostrato i precedenti tentativi di riformare il ciclismo professionistico su strada.

Perciò, come già nel 2012, ecco nuovamente la suggestione di creare un calendario parallelo, per affrancare i team dal potere dei grandi organizzatori. E’ successo nel golf e nel tennis, ad esempio, dove nuovi tornei sono nati e hanno affiancato quelli della grande storia. Secondo la Reuters, fra le squadre coinvolte ci sarebbero la Ineos Grenadiers e la Jumbo-Visma, anche se i rispettivi responsabili hanno preferito non commentare. Stessa reazione da parte di CVC Partners, società che dal 2006 al 2016 ha gestito la Formula Uno e nel 2020 fece la sua offerta per gestire la Serie A di calcio. Nell’articolo della Reuters sarebbe molto vicina al nuovo tentativo.

«Il ciclismo è un gigante addormentato – ha detto alla Reuters Richard Plugge, il team manager della Jumbo-Visma – e merita un modello di business migliorato. Per tutte le parti interessate, ma soprattutto per i team del WorldTour. L’unico modo per arrivarci è la cooperazione».

Sir Jim Ratcliffe, proprietario di Ineos, nel 2019 con Brailsford e Froome: il suo team dietro l’operazione?
Sir Jim Ratcliffe, proprietario di Ineos, nel 2019 con Brailsford e Froome: il suo team dietro l’operazione?

L’esempio belga

Ma siamo certi che la torta da dividere sia così grande e che il pubblico del ciclismo sia intenzionato a pagare per assistere a uno spettacolo che da quasi due secoli si svolge su strade aperte?

In Belgio l’hanno digerita. Il clamoroso ridisegno del Giro delle Fiandre con la creazione del circuito finale ha permesso a Flanders Classics di prevedere delle aree a pagamento, senza però escludere la possibilità per gli altri di assistere alla corsa liberamente. Nelle gare di cross si paga per entrare e per consumare, ma qui si tratta di circuiti facili da controllare e lo sport è così popolare che nessuno trova insolita la necessità di pagare per un tagliando.

Contador intervista per Eurosport Guillen, patron della Vuelta. Quando costerebbe mandare commentatori dall’Italia?
Contador intervista per Eurosport Guillen, patron della Vuelta. Quando costerebbe mandare commentatori dall’Italia?

L’esempio italiano

Nel resto d’Europa, il discorso è più complesso: in Italia senza dubbio. Basti pensare che la maggior parte degli spettatori televisivi tende a preferire il ciclismo su un canale in chiaro o relativamente economico come Eurosport. I costi per seguire i campionati di calcio e tornei altrettanto prestigiosi all’estero sono decisamente superiori. Chi acquista quei diritti (pagandoli profumatamente) sa di poterne recuperare una fetta addebitandoli agli utenti televisivi, cui però vengono garantiti servizi superiori.

Quanto costerebbe a Eurosport Italia mandare degli inviati alle corse, affinché possano commentarle dal vivo? E quali ripercussioni ciò avrebbe nei costi d’abbonamento?

Brian Cookson, qui con Sagan al Gala dell’UCI 2016, resta un attento osservatore del ciclismo
Brian Cookson, qui con Sagan al Gala dell’UCI 2016, resta un attento osservatore del ciclismo

«Come ha recentemente affermato John Lelangue – scriveva in un suo blog del 2020 l’ex presidente dell’UCI Brian Cookson – il ciclismo è sopravvissuto per più di 50 anni nel modo in cui sopravvive oggi. Non ci sono meno corridori o meno sponsor rispetto agli anni ’90 o 2000. Perché mettere in discussione un modello che funziona forse non perfettamente, ma che sicuramente si è evoluto e sviluppato nel corso degli anni in qualcosa che è quanto di più vicino a un modello economico? E anche se noi fan possiamo approvare, disapprovare o ignorare qualsiasi persona, prodotto, governo o organizzazione che paga per lo spettacolo, è lo spettacolo che amiamo e continueremo ad amare. E il fatto che, a pensarci bene, non lo paghiamo molto, lo rende ancora migliore».

Perracchione, nuovo pro’ senza passare dagli U23

30.10.2023
5 min
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L’ingaggio di Alessandro Perracchione da parte della Novo Nordisk ha colto molti di sorpresa. Il giovanissimo piemontese passa professionista saltando a piè pari la categoria U23. Eppure non è stato tra quelli che più si sono messi in mostra quest’anno. Entrando più a fondo della questione si scopre così che questo passaggio non nasce dal nulla. E’ invece l’evoluzione di un contatto nato molto tempo fa.

Massimo Podenzana, diesse della formazione americana che da anni permette di fare attività ad alto livello a corridori affetti da diabete di tipo 1, racconta come Alessandro sia nel mirino del team praticamente da sempre.

«Già da quando era allievo lo seguiamo con attenzione. Fu Ellena a segnalarmelo, raccontandomi la sua storia di ragazzino alle prese con il diabete sin da quando aveva 2 anni. Ha partecipato ad almeno un paio di nostri training (nella foto di apertura, ndr), abbiamo visto che ha un buon motore. Sinceramente abbiamo valutato quello più che i risultati».

Podenzana, ex tricolore su strada, è direttore sportivo della Novo Nordisk dal 2013
Podenzana, ex tricolore su strada, è direttore sportivo della Novo Nordisk dal 2013

L’anno della mononucleosi

Perracchione effettivamente non ha avuto una grande stagione, ma il perché è presto spiegato: «La sua annata è stata contraddistinta dalla mononucleosi. Praticamente gli ha impedito di ottenere risultati per tutta la prima parte dell’anno. Nella seconda parte è andato sempre in crescendo, solo che la vittoria, quella importante, è arrivata solo in extremis, nell’ultima classica della stagione.

«Alessandro è un ragazzo di qualità, che deve solamente crescere con calma, senza stress. La sua scelta è stata a lungo ponderata, ne abbiamo parlato anche con i genitori. Con loro abbiamo convenuto che la scuola viene al primo posto. Alessandro deve finire gli studi nel 2024 e quindi faremo un calendario appropriato per permettergli di concentrarsi sugli esami».

Perracchione ha corso con l’Energy Team per 2 anni: nel 2022 aveva ottenuto 3 vittorie, 1 nel 2023 (foto GAS Photography)
Perracchione ha corso con l’Energy Team per 2 anni: nel 2022 aveva ottenuto 3 vittorie, 1 nel 2023 (foto GAS Photography)

Un passista-veloce

Che tipo è Alessandro, sia come persona che come corridore: «Un ragazzo tranquillo, anche un po’ timido, che sta maturando da ogni punto di vista. Tecnicamente è un passista-veloce, che trova la sua dimensione ideale entrando nei gruppetti che si giocano la corsa. Allora può davvero vantare buone carte a suo favore. Ma è chiaro che deve ancora imparare tanto».

Eppure Perracchione, a dispetto delle difficoltà incontrate quest’anno, si era messo davvero in luce tanto che non c’era solo il team americano a seguirlo.

«Mi avevano contattato anche altre squadre – racconta il corridore classe 2005 – ma sinceramente avevo già scelto sin dall’inizio dell’anno. Con Podenzana ci conosciamo da tempo, ho partecipato anche all’ultimo training camp dove eravamo ben in 25. Se sono arrivato qui devo dire grazie a lui e a Fabrizio Tacchino, il mio preparatore che mi segue praticamente da sempre».

La vittoria al GP Camignone, precedendo Vesco e Monister (foto Rodella)
La vittoria al GP Camignone, precedendo Vesco e Monister (foto Rodella)

Il diabete e la tecnologia amica

La mononucleosi però ha avuto un forte peso nella sua evoluzione: «Non posso negare che mi ha un po’ allarmato. Vedevo che non ottenevo risultati e non ne uscivo fuori, facendo uscire qualche dubbio. Avevo fatto un inverno molto buono, volevo raccoglierne i risultati, ma fino ad agosto la forma non arrivava e devo ammettere che è stata una bella botta».

In tutto questo discorso il diabete è come uno spettatore esterno. Eppure ha avuto un peso in tutta la sua vita, anche nella sua decisione di seguire la strada tracciata dalla Novo Nordisk che da sempre accoglie nel suo gruppo atleti con questa particolare patologia.

«Io ci convivo da quando ne ho memoria – spiega – i vincoli che impone sono parte di me, del mio vissuto. Non si può negare poi che rispetto a quando sono nato sono stati fatti passi da gigante. Quando ho iniziato a gareggiare c’era ad esempio ancora la necessità di farsi le punture al dito per verificare il glucosio nel sangue tramite la gocciolina. E in corsa non potevi certo portarti tutto il necessario… Ora con le app è tutto più facile, hai un aggiornamento costante sullo smartphone o il cardiofrequenzimtro al polso. L’evoluzione tecnologica è fondamentale».

Per il piemontese anche un’esperienza in nazionale, al Trophée Morbihan ’22 (foto Andrey Duval)
Per il piemontese anche un’esperienza in nazionale, al Trophée Morbihan ’22 (foto Andrey Duval)

Il tempo di crescere

Podenzana dal canto suo ha ben chiaro come proseguire nel rapporto con Perracchione. Come farlo maturare nei tempi giusti: «Io dico che i mezzi li ha, ma va tenuto tranquillo. Per molti versi mi ricorda un altro corridore che fa parte del nostro team, Matyas Kopecky, atleta ceko quinto agli ultimi europei U23. Se si dà loro il tempo di crescere, i risultati li portano».

E’ pur vero però che saltare una categoria non è semplice se non sei l’Evenepoel di turno: «Non è facile ambientarsi, questo è chiaro e per questo bisognerà lavorarci di cesello. Nel primo anno farà un po’ la spola tra la prima squadra e quella continental. Nella prima parte dell’anno avrà un calendario dosato per poi progressivamente, messi da parte gli impegni scolastici, fare sempre più esperienze anche al livello superiore».

Anche da allievo Alessandro si era messo in luce, anche nel ciclocross (foto Sentinella del Canavese)
Anche da allievo Alessandro si era messo in luce, anche nel ciclocross (foto Sentinella del Canavese)

Si comincia a novembre

Per il tecnico spezzino quella di Perracchione è una scelta naturale e ponderata, uno dei pochi nuovi ingressi nel team: «Abbiamo anche promosso in prima squadra 4 ragazzi provenienti dal team Devo. Abbiamo avuto una stagione che reputo positiva anche se non sono arrivati successi, ma quando riesci a piazzare tuoi corridori nei primi 10 anche in qualche classica belga, significa che la qualità c’è e che stai lavorando bene. Quando ti confronti con i team WorldTour è dura, hanno a disposizione mezzi che noi possiamo solo sognare e per questo anche i piazzamenti hanno un loro valore. In Spagna a fine novembre porremo le basi per il nuovo anno e sono sicuro che quel che è mancato quest’anno arriverà».

Il “best of” di bici.PRO, da VdP a Vollering. Ora tocca a voi

30.10.2023
6 min
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Qualche giorno fa è stato assegnato il prestigioso Velo d’Or, che premia il migliore e la migliore ciclista dell’anno. Lo hanno vinto Jonas Vingegaard e Demi Vollering. Certamente due protagonisti assoluti della stagione 2023. Il danese ha rivinto il Tour e dominato moltissime altre corse. Vollering ha vinto praticamente tutto!


Anche noi di bici.PRO abbiamo stilato una nostra lista di favoriti e favorite. Da questa sono usciti tre nomi fra gli uomini e tre fra le donne. Ecco chi abbiamo scelto e perché…

Le tre donne

Partiamo dalle donne. Le più votate, quasi un plebiscito, sono state Lotte Kopecky e Demi Vollering. L’altra prescelta è una piccola ma tostissima giovane, per di più italiana, Gaia Realini.

VOLLERING – Per l’olandese parla il suo bottino: Strade Bianche, Amstel Gold Race, Freccia Vallone, Liegi, Tour de France, Vuelta Burgos, Romandia. Un filotto pazzesco che dice della solidità di questa atleta. Una solidità che non è figlia di un’annata di fuoco e fiamme, o di un exploit estemporaneo, ma di una crescita costante. Se l’exploit c’è stato è perché lei è migliorata ancora e alcune senatrici hanno iniziato a pagare dazio o sono state sfortunate: Van Vleuten, Vos, Longo Borghini. 

KOPECKY – Anche per Lotte a parlare è il suo bottino, ma forse quel che ha stupito di più è la sua prestazione sul Tourmalet al Tour de France Femmes. Una “quasi velocista pura” che riesce a difendere il podio di un GT in cima ai Pirenei: pazzesco. Così come pazzesca è stata la sua squadra. Questo rendimento è dovuto, come più volte ci ha detto Elena Cecchini, anche ad un grande clima di amicizia e competizione che si respira nella Sd Worx (ricordiamo che anche Vollering ne fa parte, ndr). In più, come ha sottolineato il nostro Gabriele Gentili, lei è una che comanda anche su pista…

REALINI – L’Italia è in nomination con Gaia! La piccola e grintosa abruzzese della Lidl-Trek è stata colei che più è cresciuta. Si è ritrovata a lottare con le giganti nelle gare elite e ha sfiorato il colpaccio al Tour Femmes U23. Classiche o gare a tappe, Realini è sempre stata presente. In salita vanta numeri importanti. Chissà che un giorno il Velo d’Or, quello vero, non possa essere suo.

I tre uomini

Passiamo poi agli uomini. Vi anticipiamo che d’Italia qui non ce n’è… e probabilmente non ne siete sorpresi. I tre più votati dalla redazione di bici.PRO sono Mathieu Van der Poel, Tadej Pogacar e Sepp Kuss.

VAN DER POEL – La prima nomination è quasi scontata: Mathieu il campione del mondo su strada e del cross. Il re di Sanremo e Roubaix. L’apripista perfetto per Philipsen. Il giudizio? Vi proponiamo quello del nostro direttore, Enzo Vicennati, che tra l’altro fa parte della giuria del Velo d’Or.

«Van der Poel – sostiene Vicennati – si è trasformato in cecchino, aggiustando in una sola stagione gli errori di generosità che in passato lo hanno portato a sprecare occasioni su occasioni. Probabilmente il VdP di due anni fa sarebbe arrivato sfinito al mondiale. In questo ciclismo che non perdona il minimo errore, l’olandese ha messo a frutto le proprie esperienze (ha disputato “solo” 46 giorni di gara, di cui 21 al Tour de France, ndr) e i consigli di chi ha accanto, mettendo la sua capacità di fare spettacolo nelle occasioni più grandi».

POGACAR – Vince o non vince, anzi… vince, Tadej c’è sempre. E come non potrebbe essere così? Diverte, si fa voler bene come pochi, accetta sfide e sconfitte e quando non ci arriva con le gambe ci mette astuzia e una fame da novellino, vedasi l’ultimo Giro di Lombardia. Nel ciclismo da F1, lui è una F1, ma d’altri tempi, unico sin qui (nell’era moderna) in grado di vincere classiche Monumento come il Fiandre e i grandi Giri.

KUSS – Sapete quante corse ha disputato quest’anno Sepp Kuss? Appena cinque. Solo che tre di queste erano i grandi Giri, le altre due il UAE Tour e il Catalunya. Cinque corse nelle quali ha inanellato ben 77 giorni di gara. Il suo premio? La simpatia, la forza, la ribalta della storia del gregario che vince… la Vuelta. Chi non ha tifato per lui in Spagna? Pochi, molto pochi. Sepp è stato presente in tutte le vittorie dei grandi Giri della Jumbo-Visma. Al Giro d’Italia ha lottato come un leone e gioito come un bambino per Roglic. Al Tour è stato mostruoso in salita. E alla Vuelta il premio del via libera per una tappa si è trasformato nella vittoria. Una storia che non potevamo non nominare.

Tra i più votati, Roglic: la sua vittoria al Giro non era affatto scontata visto com’era messo in inverno con la spalla. Qui lo spettacolo del Lussari
Tra i più votati, Roglic: la sua vittoria al Giro non era affatto scontata visto com’era messo in inverno con la spalla. Qui lo spettacolo del Lussari

Tocca a voi

Noi vi abbiamo dunque proposto i nostri candidati. Ognuno di noi doveva dare tre preferenze. Sono emersi anche i nomi di Vingegaard (in ballo fino all’ultimo), Roglic, Ganna, De Lie, Mohoric… e persino quello di un “debuttante” quale Marco Frigo. E non sono mancate la tenacia di Silvia Persico o la classe di Marlene Reusser. Giusto per citarne alcuni. 

Un po’ come al Festival di Sanremo siamo stati la “giuria tecnica”, diciamo così, ora c’è il “televoto”! Da VdP a Vollering, la palla passa a voi…

Sulle pagine social, troverete le indicazioni per scegliere il vostro favorito tra questi sei nomi. Una sola preferenza per assegnare il “nostro” campione e la “nostra” campionessa dell’anno.