ESCLUSIVO / Zurigo, mondiale duro, non per scalatori

04.04.2024
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ZURIGO (Svizzera) – «Aveva ragione Alfredo Martini – dice Bennati con un sorriso ironico – i percorsi andrebbero visti di notte, in modo che i fari illuminano le salite e ti rendi conto delle pendenze. Comunque rispetto a ieri quando l’abbiamo fatto in macchina, oggi l’ho valutato diversamente. Finché il fisico un po’ mi sorregge, mi piace sempre provare i percorsi in bici, perché ti dà sempre tante indicazioni in più. E questo dei prossimi mondiali, rispetto ai due che ho già affrontato come cittì, è il tracciato che mi piace più di tutti. Anche quello in Australia era bello, però questo è disegnato molto bene. C’è un po’ di tutto. C’è salita impegnativa, una salita un po’ più lunga, ci sono le discese. E’ un percorso esigente…».

Le dieci del mattino di una giornata grigia sulle colline intorno alla città. Il lago è in basso, siamo quasi sul punto più alto del circuito di Zurigo su cui si assegneranno i prossimi titoli mondiali. Quando passa Demi Vollering e saluta, si capisce che le grandi manovre sono iniziate un po’ per tutti. I tecnici italiani della strada e della crono sono arrivati ieri, 3 aprile, per una due giorni di presa di contatto. Hanno alloggiato nello stesso hotel che ospiterà le squadre azzurre e il sopralluogo in bici di Bennati è l’atto conclusivo del viaggio. A breve riprenderanno l’autostrada verso Milano.

Mercoledì sul furgone

Il primo giorno è stato dedicato alla ricognizione dei tratti in linea e delle crono. I professionisti partiranno da Winthertur e proprio verso la cittadina a est di Zurigo si sono diretti i commissari tecnici sul furgone bianco della FCI. Il cielo era grigio anche ieri, il traffico ordinatissimo. Con Marco Velo al volante, Bennati sul sedile anteriore teneva in mano le stampate del percorso. Seduti dietro, Sangalli, Amadori e Salvoldi seguivano con lo sguardo.

Da Winterthur la strada esce in campagna. L’ordine non è un’imposizione, ma un’esigenza e un privilegio. All’uscita di scuola, i bambini intorno si muovevano in bicicletta e tutti rigorosamente col casco. Nessuno di loro metteva mai le ruote sulla strada perché i marciapiedi sono larghi e le corsie ciclabili non mancano. C’era una bambina così piccola che la testa le spariva nel casco e pedalava controvento sulla sua biciclettina, col cestino e lo zainetto.

Una pausa caffè dopo aver visto il tratto in linea dei pro’: ora sotto con gli U23
Una pausa caffè dopo aver visto il tratto in linea dei pro’: ora sotto con gli U23

Le prime salite

La prima salita l’hanno incontrata in prossimità di una casa con le persiane decorate. Una svolta a sinistra e la strada lascia abbastanza rapidamente la valle. Un campanile a Buch am Irkel, poi la salita va avanti a gradoni. Si è fatto una sorta di giro, infatti la discesa riporta su Winthertur e da lì la strada si stringe. Diventa un viottolo e alla fine spunta un antico ponticello di legno, con la copertura di assi. Sarà largo tre metri e, subito dopo, una curva a destra introduce a una salita ripidissima. Una sorta di Redoute, con il vuoto sulla destra e il bosco a sinistra, su fino a Kyburg.

«Non credo che il tratto in linea serva a qualcosa – commenta ora Bennati – c’è questa salita di un chilometro, un chilometro e mezzo, che però serve come warm-up e per fare le foto (sorride, ndr). Non influisce sicuramente sull’andamento della corsa e sul risultato. A differenza di altri mondiali, questa volta si girerà sul circuito per più di 200 chilometri».

Sangalli e Amadori si prendono cura della bici di Bennati: «I settori collaborano», hanno scherzato
Sangalli e Amadori si prendono cura della bici di Bennati: «I settori collaborano», hanno scherzato

Il circuito di Zurigo

Nel tratto basso del circuito, si corre lungo il fiume con le rotaie del tram parallele al senso di marcia. Gli sguardi e i commenti fra i tecnici non hanno bisogno di didascalie: troveranno certo il modo di tapparle. Una frase che è un po’ certezza e un po’ anche auspicio.

Bennati è salito in bici davanti all’Università di Zurigo. La sua Pinarello per l’occasione è una macchina da presa. Oltre al Garmin in cui ha caricato la traccia del percorso, sul manubrio ci sono due GoPro con le quali il toscano ha ripreso i giri e le salite. Ieri in macchina non si è potuto fare del tutto lo strappo più duro, con la bici Daniele è riuscito a farlo pedalando sul marciapiede, dato che normalmente il senso di marcia è opposto.

La seconda salita

Dopo quel primo strappo, con pendenza del 14 per cento, il percorso piega a destra, scende per un tratto, rientra fra le case e poi ne esce per attaccare la seconda salita. Quella meno ripida, ma più lunga.

«Qui dove siamo adesso – dice Bennati – dopo 260 chilometri è il tratto in cui si può fare la differenza. Qui si spingerà il rapporto e farà male. Il primo strappo alla fine è quasi di un chilometro e si raggiungono pendenze in doppia cifra: se uno attacca lì, vuol dire che ha tante gambe. Questa seconda salita premierà i corridori che sapranno fare velocità. Siamo ancora lontani dall’arrivo, però in questi ultimi anni si è visto che aprono la corsa anche a 100 chilometri dall’arrivo, quindi non credo che a quei 3-4 faccia paura provare nel penultimo o terzultimo giro. Secondo me non è un percorso da scalatori puri, come ho letto in questi mesi, ma sicuramente servono doti da scalatore. Bisogna andare forte in salita, però anche avere doti di velocità, perché è un percorso in cui si fa a tanta velocità. Verrà fuori anche una bella media, secondo me».

Gli juniores torneranno

Quando Bennati si è fermato accanto agli altri tecnici, si è messo a spiegare con il gesticolare delle mani che descriveva i cambi di pendenza e l’uso dei rapporti. Mentre Daniele pedalava, gli altri con il furgone hanno girato sul percorso, facendo la rampa più dura nel verso della discesa.

«Un percorso che va rivisto – dice Salvoldi, tecnico degli juniores – mi piacerebbe tornarci a giugno con una rosa ampia di ragazzi. Credo che nella nostra categoria il primo giro nel circuito farà molta selezione. La prima parte della discesa è difficile, poi quando si arriva sul lungolago il percorso è veloce, fino a che si riprende nuovamente a salire. C’è quel primo strappo impegnativo e poi la salita più lunga tutta dritta, che non dà recupero né riferimenti. E’ sicuramente un percorso per atleti con caratteristiche di esplosività in salita e abilità di guida, non esclusivamente per corridori superleggeri».

La parte superiore della seconda salita richiede il rapportone: qui si può fare la differenza
La parte superiore della seconda salita richiede il rapportone: qui si può fare la differenza

A favore di chi attacca

Bennati ha finito di cambiarsi. Amadori ride e gli dice che sui questo percorso non lo avrebbe convocato. I cittì sono molto affiatati, scherzano, ma si capisce che avendo visto il percorso, hanno già iniziato a ragionare sui nomi. Sangalli li ha scritti nel telefono e ce li mostra con la promessa che li teniamo per noi. Amadori è più cogitabondo.

«La squadra sarà importante – dice Bennati – ma non ci sono grossi tratti in pianura, quindi a ruota si sta bene, a parte quando la corsa scoppierà. Da qui in cima e verso l’arrivo, ci sono tratti favorevoli e altri di strada tecnica e più stretta, per cui chi è davanti fa la stessa velocità di quelli dietro. Per questo, dando per scontato che in un mondiale non è mai facile organizzarsi, credo che chi sarà davanti avrà vantaggio. Quando poi si arriverà in basso, ci sono due o tre dentelli che potrebbero essere dei trampolini e poi la strada continua sempre a tirare un pochettino. C’è anche un tratto al 4-5 per cento, prima di girare a sinistra sul lago e da lì gli ultimi 3 chilometri saranno pianeggianti».

Ugualmente oggi, sul percorso abbiamo incontrato Demi Vollering, regina del Tour 2023
Ugualmente oggi, sul percorso abbiamo incontrato Demi Vollering, regina del Tour 2023

Demi Vollering nel frattempo è passata un’altra volta. La campionessa olandese, vincitrice del Tour 2023, abita a Basilea, quindi non perderà occasione per prendere confidenza con il percorso iridato. Nel frattempo il furgone con i tecnici azzurri ha imboccato la discesa. Le corse chiamano e la testa gradualmente sta tornando sulle Olimpiadi e le altre scelte da fare. Per chi ha il compito di schierare le migliori nazionali, il 2024 non sarà affatto un anno semplice.

Belletta cambia marcia: il primo obiettivo è la Roubaix

04.04.2024
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VILLA DI VILLA – Il meteo non ha risparmiato il Giro del Belvedere, che accoglie gli atleti sotto una pioggia torrenziale. Auto, camper, pulmini e ammiraglie si sparpagliano all’interno di questo paesino nella provincia di Treviso. La Visma Lease a Bike Development ha imbastito quello che sembra un campeggio, con tanto di tende a coprire le teste e le bici dei ragazzi. Al riparo dall’acqua e ben coperto contro il freddo spunta Dario Igor Belletta. Il corridore nato a Magenta è uno dei due ragazzi italiani del team olandese, l’altro è Pietro Mattio

Secondo tra i “calabroni”

Belletta è al secondo anno nel devo team dello squadrone olandese. Nel 2023, prima stagione da U23 ha messo insieme 32 giorni di corsa e buone esperienze. Tra queste una delle più incoraggianti è stato l’undicesimo posto alla Parigi-Roubaix Espoirs. Non sono mancati anche altri spunti interessanti, come il doppio podio al campionato italiano: prima a crono e poi in linea.

«Innanzitutto sto bene – racconta – ho passato un buon inverno, senza intoppi. Ho già fatto qualche giorno di corsa, in preparazione agli impegni che ci saranno più avanti nel corso dell’anno». 

Ultimo check alla bici prima della partenza del Giro del Belvedere
Ultimo check alla bici prima della partenza del Giro del Belvedere
Cosa vuol dire iniziare la seconda stagione in questa squadra?

C’è un pregresso, che vuol dire conoscere lo staff, il preparatore e tutto quello che mi circonda. Non c’è bisogno di ambientarsi o di imparare a vivere all’interno della squadra. E’ più bello, c’è molto meno stress e sono molto felice. 

Essere nel team più forte al mondo come ti fa sentire?

E’ fantastico, ovviamente richiede tanto impegno da parte di te stesso in primis. Mi sento parte di questo team e c’è quasi il dovere e la responsabilità di essere il migliore al mondo in tutto quello che fai. 

Questa mentalità la senti sempre più tua?

Sì. In confronto al 2023 sto acquisendo il DNA della squadra ed è fondamentale per migliorare. 

Belvedere e Recioto sono servite a Belletta per puntellare la condizione in vista della Roubaix U23 del 7 aprile
Belvedere e Recioto sono servite a Belletta per puntellare la condizione in vista della Roubaix U23
Rispetto all’anno passato come ti senti?

Vedo dei miglioramenti, soprattutto in allenamento, il passo in più che sto cercando di fare è quello di ottenere risultati importanti in gara. Ad esempio la Roubaix che ci sarà questa domenica.

Quindi sei alla caccia di risultati?

Adesso sì. Dopo le prime corse di preparazione si punta a raccogliere qualche risultato e speriamo arrivino. La cosa che aiuta parecchio è il fatto di conoscere il calendario delle gare già dall’inverno. In questo modo sei libero di testa, nel senso che conosci già i tuoi obiettivi e ti concentri su quelli. 

Avete fatto qualche cambiamento nella preparazione?

No, la filosofia della squadra rimane sempre la stessa. Cambiano l’intensità e leggermente il volume. 

Belletta schierato alla partenza del Belvedere mentre parla con Pellizzari (al centro) e Pinarello (a destra)
Belletta a colloquio con Pellizzari (al centro) e Pinarello (a destra)
Qual è il tuo obiettivo all’interno del mondo Visma Lease a Bike?

Direi quello di arrivare nel team WorldTour. Chiaramente se non si cresce abbastanza, non è possibile cogliere le occasioni, sia da under che da pro’. Quindi sì, passare è possibile, ma bisogna anche adattarsi a quello che il team chiede; ovvero crescere e cercare anche dei risultati. 

E’ possibile pensare di passare nel WorldTour il prossimo anno?

La strada è ancora lunga, sicuramente le gare di inizio stagione faranno pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. Con il team parleremo bene a giugno (a fine Belletta scadrà il contratto con il devo team, ndr). 

A chi piace il taglio dei budget? Agli agenti proprio no

04.04.2024
6 min
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Se ne parlerà dal 2026, ma ad ora il budget cap per i team resta una cosa scritta. Lo ha stabilito il Consiglio del ciclismo professionistico, senza averlo chiarito troppo nei dettagli. Forse perché avendo davanti del tempo, si sarà pensato di descriverlo successivamente nei dettagli. Ad esempio non si è capito se si stia parlando di un tetto per il budget delle squadre o di un salary cap, ovvero una limitazione del monte stipendi, che forse avrebbe più senso, se l’obiettivo è evitare la concentrazione di grossi corridori nelle stesse (poche) squadre.

Puoi spendere tutti i soldi che vuoi, ma puoi farlo in ricerca scientifica e materiali: il tetto degli ingaggi farà sì che i corridori che vogliono guadagnare di più passino a un’altra squadra. Lo scopo non è farli guadagnare meno, ma ritrovarli leader in altre formazioni e rendere il ciclismo un po’ più equilibrato. Esso viene applicato nello sport professionistico americano, sarebbe se non altro curioso vederne gli effetti sul ciclismo.

E’ stato Madiot lo scorso anno a sollevare per la prima volta il discorso di un tetto al monte ingaggi (foto Groupama-FDJ)
E’ stato Madiot lo scorso anno a sollevare per la prima volta il discorso di un tetto al monte ingaggi (foto Groupama-FDJ)

Fra Madiot e Gianetti

Quando iniziammo a parlarne, era poco più di una boutade. Nacque da uno sfogo di Marc Madiot, rammaricato per il fatto che la semplice differenza di regime fiscale tra la Francia e altri Paesi determini una notevole differenza fra il potere d’acquisto della sua Groupama-FDJ rispetto ad altri team. Al francese rispose Mauro Gianetti, re del mercato con la UAE Emirates, dicendo che non fosse il caso di parlarne nel momento in cui grossi sponsor hanno messo il naso nel ciclismo.

E’ vero che si parla di sport professionistico, ma non possono essere i soldi la prima discriminante di cui tenere conto. Perciò è altrettanto palese che l’imposizione di un tetto non trovi d’accordo chi ha più capacità di spesa e anche chi su essa può costruire la fortuna dei propri atleti. Come dire alla gallina che può fare un numero massimo di uova d’oro e poi basta.

La UAE Emirates dispone di un grande concentrato di leader molto ben pagati
La UAE Emirates dispone di un grande concentrato di leader molto ben pagati

Agenti contro

Alex Carera, che di mestiere fa l’agente dei corridori e con la A&J All Sports che ha fondato con suo fratello Johnny cura gli interessi di fior di atleti (per qualità e quantità), davanti alla novità ha storto il naso. In realtà non si parla di far guadagnare meno il singolo atleta, ma di farlo guadagnare altrove, ma è chiaro che il fantasma di una riduzione di budget possa preoccupare chi deve spuntare ogni volta il miglior contratto. E’ meglio essere fra i tanti leader ben pagati della stessa squadra o essere il leader meglio pagato di un’altra?

«L’ipotesi di mettere un tetto ai budget – dice Carera – è una delle più grandi stupidaggini che potrebbero fare. A mio avviso chi ha proposto questa idea non ha capito che non risolve il problema. Semmai quello che andrebbe fatto sarebbe dare la possibilità alle squadre che hanno un budget inferiore di trovare sponsor e risorse per crescere a loro volta. Per creare più interesse e competitività, si devono far crescere le altre, non limitare le cinque migliori. Non esiste che metti dei limiti, anche perché non stiamo parlando di budget di 500 milioni di euro, parliamo di 40 milioni».

Lo scorso anno la Jumbo-Visma si ritrovò con i vincitori di Giro, Tour e Vuelta. Poi Roglic decise di partire
Lo scorso anno la Jumbo-Visma si ritrovò con i vincitori di Giro, Tour e Vuelta. Poi Roglic decise di partire
Magari fosse così per tutti…

Se il ciclismo diventasse più appetibile, credo che più manager sarebbero in grado di trovare questi soldi. Seconda cosa: se un manager trova 40 milioni e un altro ne trova 20, vuol dire che il primo è più bravo. E se uno è più bravo, la meritocrazia deve sempre essere premiata. E’ come dire: se io sono più bravo a fare una salita e impiego 5 minuti meno di te, devo mettere un peso così arriviamo insieme sulla cima.

In realtà la salita non è uguale per tutti. 40 milioni in Francia o in Italia hanno meno potere di acquisto che in altri Paesi…

Ma quella è la tua scelta. Se la soluzione è che tutte le squadre devono affiliarsi in un unico Paese, per esempio la Svizzera, per avere gli stessi costi e gli stessi benefici, allora è un discorso. Ma non è il salary cap che risolve il problema, tutt’altro. Anche perché, fatta la regola, trovi la soluzione. Quel tipo di limitazione ha grossi effetti soltanto per i grandi campioni e per loro la soluzione la puoi trovare facilmente.

Come?

Anziché fare un contratto con il pay agent, cioè la società sportiva, lo fai con lo sponsor personale e allora cos’hai risolto? Ma non è quella la via da seguire per risolvere i problemi. Bisogna fare in modo che i manager possano trovare i 20-30 milioni di euro e questo si ottiene rendendo il ciclismo ancora più appetibile. Negli ultimi 12 mesi abbiamo avuto la grandissima fortuna di avere delle aziende a livello mondiale che si sono interessate. Finalmente ci sono Lidl, Decathlon, Red Bull… Finalmente entrano grandi marchi e tutti ne hanno beneficio. I ciclisti, lo staff, gli agenti, i direttori sportivi, gli organizzatori e anche i media, se le aziende vogliono investire in pubblicità. Ma voglio aggiungere una cosa…

Il team Sky, ora Ineos, dominò in lungo e in largo quando era il solo team ad avere un super budget
Il team Sky, ora Ineos, dominò in lungo e in largo quando era il solo team ad avere un super budget
Quale?

Negli ultimi tre anni hanno obbligato le squadre ad avere il devo team che ti costa un milione e mezzo e la squadra delle donne che oggi ti costa tre milioni, quindi in totale fanno quattro milioni e mezzo. Quindi da una parte ti dicono di adeguarti e ti obbligano ad avere un budget più grande e poi adesso mettono un tetto? Lo capite che qualcosa non torna? E poi non è solo questo…

Stai per dire che i soldi non fanno la felicità?

Non basta avere i soldi per vincere. Ineos Grenadiers ha vinto tanto da quando si chiamava Team Sky e aveva il doppio del budget di tutti gli altri. C’era un netto squilibrio di forze. Però adesso che gli altri hanno un livello più simile, perché nessuno ha il budget di Ineos ma arrivano a un 10 per cento in meno, di colpo vincono meno. Visma, UAE, Lidl-Trek e Soudal nel ranking sono davanti alla Ineos, che da parte sua non ha il devo team e nenanche la squadra femminile. Hanno 50 milioni di budget contro i 40 di Visma e UAE, che però hanno il devo team e le donne.

Quindi?

Quindi se si vuole che tutti ragionino alla pari, facciamo che prima li mettiamo tutti nelle stesse condizioni, ma non con un budget cap. Oppure, se proprio devi metterlo, facciamo che tutti ce l’abbiano e che poi si ragioni veramente alla pari.

Alla scoperta di Van Gils, un altro giovane talento belga

04.04.2024
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E’ vero che in fin dei conti a vincere sono quasi sempre i “magnifici sei”, almeno nelle prove principali, ma c’è un ragazzo belga, di 24 anni, che sta letteralmente volando e che è atteso dalle Classiche delle Ardenne con enorme curiosità, perché davvero potrebbe far saltare il banco. Maxim Van Gils finora ha disputato 9 giorni di gara e in questi ha centrato una vittoria a cronometro, nella Vuelta a Andalucia e 5 presenze in top 10, tra cui il podio alla Strade Bianche e il 7° posto alla Sanremo, con un pizzico di rammarico per quel che poteva essere.

In un periodo difficile per la Lotto Dstny con i problemi fisici occorsi ad Arnaud De Lie, Van Gils si è preso sulle spalle le sorti del team riportandolo agli onori delle cronache. Lo scorso anno, illuminato dalla piazza d’onore nella tappa numero 13 del Tour, si era chiuso con buoni risultati nelle ultime uscite, ma è evidente il miglioramento di questo inizio 2024 e Van Gils lo ammette tranquillamente.

Van Gils è stato protagonista alla Strade Bianche, chiusa al terzo posto
Van Gils è stato protagonista alla Strade Bianche, chiusa al terzo posto

«Credo di essere migliorato – spiega – e questo mi ha fatto molto piacere. Ho lavorato bene durante l’inverno sfruttando anche quello che ho imparato nella stagione scorsa, ma spero sinceramente che ci siano altri miglioramenti in corso d’opera, soprattutto come risultati».

Ripensandoci ora, pensi che alla Milano-Sanremo potevi cambiare qualcosa per vincere?

Credo proprio di sì, perché sul Poggio, quando la corsa è esplosa, ero un po’ troppo lontano e ho speso energie che mi sarebbero state utili. Se iniziavo la salita in una posizione migliore, non dovevo accelerare così tanto. In discesa sarei rimasto attaccato ai primi e si poteva provare a trovare una posizione migliore nell’ultimo chilometro. Sì, ci sono cose da migliorare.

Van Gils si sta dimostrando uno dei corridori più arditi del momento, spesso all’offensiva
Van Gils si sta dimostrando uno dei corridori più arditi del momento, spesso all’offensiva
Anche tu come molti belgi sei arrivato alla strada partendo dal ciclocross: perché non fai più attività d’inverno?

Quando facevo ciclocross ero davvero molto giovane, adesso dopo una stagione così lunga e stressante preferisco sfruttare l’inverno per stare a casa. Inoltre cerco di non rischiare sia a livello fisico che di clima, magari faccio qualche uscita di allenamento, ma nulla di più.

Sei alla Lotto sin dal 2018, è raro trovare un corridore che per molti anni resta nello stesso team. Che cosa hai trovato in questo team?

Sì, sono un fedelissimo del team, mi piace essere qui. C’è una perfetta sinergia tra il loro modo di lavorare e come io intendo l’attività. Nel corso degli anni si è sviluppato un ottimo rapporto con i responsabili del team, sento questo ambiente come una famiglia. E non nascondo che di questo clima a volte ho bisogno, credo sia uno dei componenti di questo buon periodo. Sanno anche quando spingere un po’ sull’acceleratore, mettere pressione in maniera positiva. Ho un contratto fino al 2026 e anche questo mi fa stare tranquillo, posso pensare solo alle gare che devo fare.

Maxim ha un contratto con la Lotto Dstny fino al 2026, anche se persistono rumors di un interesse della Soudal su di lui
Maxim ha un contratto con la Lotto Dstny fino al 2026, anche se persistono rumors di un interesse della Soudal su di lui
Ora ti aspettano le classiche delle Ardenne, qual è quella che più si addice a te?

A me quella che piace di più è la Freccia Vallone, l’ho fatta lo scorso anno finendo ottavo ma credo che si possa fare molto meglio. Poi in questi 12 mesi, come detto prima, credo di essere migliorato notevolmente. Infatti sono molto impaziente di correrla.

Sei cresciuto molto negli ultimi anni, ma l’unica tua presenza in nazionale risale al 2017, ai mondiali juniores. Come mai non hai avuto occasioni?

Bella questione. Bisognerebbe chiederlo a chi in questi anni ha curato le selezioni del mio Paese nelle varie categorie. A volte mi pongo la stessa domanda…

Al Tour 2023, Van Gils ha chiuso 2° nella tappa di Grand Colombier, a 47″ da Kwiatkowski
Al Tour 2023, Van Gils ha chiuso 2° nella tappa di Grand Colombier, a 47″ da Kwiatkowski
Visti i tuoi risultati, speri di essere convocato per i Giochi Olimpici?

Non proprio. A Parigi si correrà su un percorso per classiche, ma non credo sia propriamente adatto alle mie caratteristiche. Certo sarebbe carino, un’opportunità che non capita tutti gli anni. Credo però che i mondiali di Zurigo di quest’anno siano più nelle mie corde e lì spero proprio di esserci e vestire, finalmente, la maglia della nazionale. Credo che sarebbe ora, no?

Tu hai vinto il Saudi Tour nel 2022. Pensi di poter ambire alla vittoria anche in corse a tappe brevi?

Sì, naturalmente. Le gare a tappe fino a una settimana sono corse che mi piacciono. Per ora non sono un mio obiettivo, nel senso che quando gareggio non guardo tanto alla classifica quanto alle singole tappe, ma più avanti vedremo. Infatti il piano per la seconda metà della stagione ricalca quello di questi giorni: puntare alle gare d’un giorno.

Il saluto con Pogacar. Il belga ammette che contro lui e gli altri fuoriclasse spesso c’è poco da fare…
Il saluto con Pogacar. Il belga ammette che contro lui e gli altri fuoriclasse spesso c’è poco da fare…
Nelle grandi corse si parla sempre di Van Der Poel, Pogacar, Evenepoel: tu hai dimostrato di poter essere alla loro altezza, il fatto che l’attenzione sia sempre tutta per loro lo reputi ingiusto?

No, perché dovrei? Non si può negare che questi ragazzi vengano da un altro pianeta. Ottengono tutti i grandi traguardi, sono sempre i soliti nomi perché sono campioni con la C maiuscola. Quindi è normale. I giornalisti parlano di loro perché sono i leader, io come altri cerco di lottare con loro sperando che qualche volta vada bene. L’importante è che ci siamo, ci facciamo vedere, onoriamo il nostro lavoro con i risultati.

Qual è il tuo sogno per questa stagione?

Vincere una tappa al Tour: quella dello scorso anno ancora non mi è andata giù…

Chiara Consonni c’è. E anche la squadra inizia a girare

04.04.2024
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OUDENAARDE (Belgio) – Il sorriso è quello di sempre, le unghie stavolta sono rosa e la gamba appare sempre più tirata. Chiara Consonni prosegue questa sua seconda stagione alla UAE Adq. Sin qui le cose sono andate abbastanza bene, anche se è mancata la vittoria.

Il Giro delle Fiandre l’ha vista nel pieno della gara, fino a quando poi nel finale la corsa non è scoppiata del tutto. Ma Consonni ce lo aveva detto, lo sapeva: «Il Fiandre forse è un po’ duro per me, ma conto di fare bene lo stesso». E comunque non è affatto naufragata.

Chiara Consonni (classe 1999) firmava autografi prima del via del Fiandre ad Oudenaarde
Chiara Consonni (classe 1999) firmava autografi prima del via del Fiandre ad Oudenaarde

Più gamba e più chilometri

«Io sto bene – dice Chiara – penso di aver recuperato bene dalla caduta (era finita a terra nella Omloop van het Hageland, ndr). Sono contenta dei risultati raccolti sin qui, anche se non sempre sono stati quel che speravo, ma in queste ultime tre gare, tra l’altro quelle che più mi piacciono, De Panne, Gand e Dwars door Vlaanderen ho sentito un’altra gamba». Chiaramente Fiandre escluso.

Le corse femminili, specie queste classiche importanti, si stanno allungando. E non poco. Si parla di un 10-15 per cento di chilometri in più. Per una sprinter, e pistard, tra l’altro giovane come Chiara non è semplice adeguarsi. Questo poteva essere un limite e lei lo sapeva. Con il nuovo preparatore, Luca Zenti, ci sta lavorando.

«All’inizio soffrivo di più le distanze maggiori, ma alla Gand, per esempio, che era di 170 chilometri, nel finale ero lì. Il lavoro in allenamento si è fatto sentire. 

«E conta anche l’alimentazione in tal senso. Due anni fa ricordo che alla Roubaix, nell’ultimo settore ero vuota e lo stesso in altre volate dopo distanze lunghe. Adesso invece mangiamo meglio, mangiamo di più. Gel, barrette e borracce con le malto aiutano molto.

«Ed è sempre tutto proporzionato. A De Panne che era lunga quasi come la Gand, ma meno dura, abbiamo mangiato meno. Tuttavia nel finale quando ho fatto la volata non ero vuota, anzi… In allenamento si lavora anche sull’aspetto alimentare, anche quella è un’abitudine quando devi fare dalle 4 ore in su in gara».

Chiara Consonni a tutta sui muri fiamminghi
Chiara Consonni a tutta sui muri fiamminghi

Da limare

Circa un mese e mezzo fa, Consonni ci aveva detto che alcuni dettagli del suo “treno”, o comunque del preparare le volate con la squadra dovevano essere messe a punto. Ci aveva visto lungo. La sensazione è che Chiara sia pronta, le sue compagne un filo meno.

«In effetti c’è tanto da migliorare – dice Consonni – però come già vi avevo detto l’altra volta si tratta di esperienza. Esperienza da fare e rifare in gara. Le altre sono insieme da più tempo. A De Panne per esempio non abbiamo fatto male. Forse eravamo un po’ indietro, ma ci siamo mosse bene. Si tratta di correre insieme sempre di più».

Chiara Consonni durante lo sprint della Gand, spalla a spalla con Wiebes
Chiara Consonni durante lo sprint della Gand, spalla a spalla con Wiebes

Quel finale a Gand

L’esempio forse più lampante è stato il finale della Gand-Wevelegem. Dopo l’ultimo muro la Sd Worx di Lotte Kopecky e la Lidl-Trek di Elisa Longo Borghini hanno immediatamente serrato i ranghi rispettivamente per Lorena Wiebes e Elisa Balsamo. La UAE Adq invece ci ha messo un po’ di più. 

Però è anche vero che per quel giorno Chiara e compagne avevano più di una scusante.

«Vero – spiega Consonni – quel giorno qualche incomprensione c’è stata, ma io ho avuto un problema con la radiolina. In pratica ho fatto gli ultimi 60 chilometri senza radio. E’ stato un incubo. Bruttissimo. Non capivo la situazione. Chi ci fosse davanti. Ed è stato complicato organizzarci.

«Dopo l’ultimo Kemmel ci siamo ritrovate tutte davanti, ma con quelle velocità non era facile organizzarci. Lidl-Trek e SD Worx erano unite, ma poi ci abbiamo provato anche noi. Solo che anche lì non vedevo più Silvia Persico».

Silvia aveva avuto un problema tecnico. Si era fermata. Davanti un’altra compagna era scattata poco prima. E così senza radio, Consonni stessa è stata costretta ad andare dietro all’ammiraglia. Il “Capo”, Davide Arzeni, le ha spiegato tutto e poi con urla concitate l’ha spronata.

«Capo è bravissimo ad incitarci e a tirarci su il morale. Ci ha detto di stare unite e così abbiamo fatto».

Della Vedova, un grido d’amore e d’allarme per il ciclismo giovanile

03.04.2024
7 min
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«Ho voluto gettare un sasso nello stagno e capire se si possono smuovere le acque». Il post su Instagram della settimana scorsa di Marco Della Vedova sul ciclismo giovanile ha immediatamente avuto una grande eco nel panorama delle relative categorie e non solo. La causa scatenante era stato accorgersi che, a causa del fine corsa troppo vicino ai vincitori, la maggior parte dei ragazzi venuti da molto lontano non erano riusciti a concludere la gara. Da qui e dalle reazioni ricevute, è nata una denuncia delle problematiche, in termini di sicurezza e sprechi, delle categorie giovanili.

Il concetto è piuttosto chiaro quanto semplice. La base va coltivata adeguatamente se si vogliono avere ancora talenti, ma il rischio di arrivare ad un punto di non ritorno è molto alto per il diesse della Bustese Olonia. C’è una serie di problematiche che riguardano da vicino esordienti ed allievi (in apertura foto Aimi), senza tralasciare gli stessi juniores, in ogni gara. Con Della Vedova abbiamo riavvolto il nastro riprendendo il suo accorato sfogo per provare a vedere se ci possono essere delle soluzioni attuabili o per lo meno mettere sul piatto tanti spunti da approfondire. E’ serenamente consapevole di non avere la verità in mano ed è aperto ad ogni tipo di confronto o suggerimento. Sentiamolo su un argomento a lui sensibile.

Marco Della Vedova, diesse degli juniores della Bustese Olonia. Ex pro’ per sette anni, da venti è anche ispettore di percorso per le gare RCS
Marco Della Vedova, diesse degli juniores della Bustese Olonia. Ex pro’ per sette anni, da venti è anche ispettore di percorso per le gare RCS
Marco, quanto ti è costato scrivere quelle parole?

Tanto, ma mi sono venute spontanee. So che ci sono genitori che partono dalla Val Formazza con i propri figli per andare a correre a Brescia, raggiungendo la propria squadra. Oppure da Potenza Picena per andare in Emilia. Significa farsi 600 chilometri, più di sei ore di viaggio e quindi perdere una intera giornata per una gara di esordienti o allievi che sapete quanto durano. Sono sacrifici che in qualche modo andrebbero ripagati. Però se organizzatori, direttori di corsa e giuria non concedono a tutti i ragazzi di finire la propria gara, vuol dire che stiamo sbagliando qualcosa. E non da oggi.

Facendo gli avvocati del diavolo, sono situazioni che non si verificano sempre.

E’ vero che non è sempre così, per fortuna. Ma per me non dovrebbe capitare nemmeno una volta. So perfettamente che non si può trovare un rimedio istantaneo con delle parole sui social. So anche che non si possono far partire 280 esordienti e vederne classificati una quarantina tra primo e secondo anno perché li hanno fermati. Negli altri sport a quell’età tutti finiscono le proprie gare. Anzi, nella Mtb, ciclocross o pista si può, mentre non capisco perché nel ciclismo giovanile su strada non si possa.

Qual è il rischio principale?

Ripeto, c’è qualcosa che non va. Continuando a fare in questo modo, perderemo i ragazzi molto presto o sempre prima. La Federazione deve accorgersi che i numeri sono in picchiata. Già gli juniores sono ormai gestiti e considerati come se fossero in team continental e arrivano alla fine di quei due anni esasperati. Adesso questa estremizzazione c’è nei giovanissimi dove vedo tattiche surreali, bici con ruote ad alto profilo o freni a disco. Figuratevi negli esordienti o allievi. Invece a me interessa che dei ragazzini di tredici-quattordici anni finiscano la gara in sicurezza e soddisfatti di averlo fatto.

Radio-corsa è presente quasi ad ogni gara. Della Vedova trova superflua la moto-tv nelle gare giovanili (foto Aimi)
Radio-corsa è presente quasi ad ogni gara. Della Vedova trova superflua la moto-tv nelle gare giovanili (foto Aimi)
A proposito, la sicurezza è un altro tema importante.

Delicato direi, perché strettamente legato a quello del numero di partecipanti. Anche nell’ultimo weekend ho visto e ho saputo di gare con parecchi pericoli sulla strada per i ragazzi. Però non posso essere sempre io a fare casino (dice con un sorriso amaro, ndr). Qualcuno mi ha scritto in privato contestandomi e dicendo che non conosco l’argomento o che dovrei organizzare io se sono più bravo. Questo fa capire che non è stato capito il senso del mio sfogo.

Cos’hai risposto?

Devo dirvi che onestamente mi sono un po’ risentito. Sono nel ciclismo dal 1980, da quando ho iniziato da giovanissimo. Ho corso in bici per ventidue anni, ho fatto il pro’ per sette (con Brescialat, Lampre e Mercatone Uno, ndr), poi sono diventato diesse dei giovani e parallelamente sono vent’anni che lavoro per RCS Sport come ispettore di percorso delle loro gare. Tra tutto avrò più di tremila corse alle spalle vissute sotto ogni punto di vista, quindi, a costo di essere frainteso come un vanitoso, tutto quello che dico lo dico con cognizione di causa. E sono padre pure io. Poi certo, non ho la bacchetta magica per risolvere tutto, però non voglio nemmeno restare immobile davanti a certe cose.

Quali potrebbero essere le eventuali soluzioni?

Ce ne sono tante che si potrebbero valutare e provare a vedere se possono funzionare. Per prima cosa dovrebbero estendere il dispositivo del fine gara di ulteriori cinque minuti. Non possiamo vederlo fissato ad un minuto e mezzo dal vincitore, soprattutto nelle gare in circuito. Poi, laddove fosse possibile, bisognerebbe pensare a percorsi diversi, ma che possano essere completati da tutti. Dove c’è una folta partecipazione, come spesso accade in alcune gare, limitare il numero dei partecipanti oppure fare delle batterie per dorsali pari e dispari, dividendo le squadre equamente, come si fa nei meeting regionali o nazionali dei giovanissimi. L’organizzatore non deve voler fare a tutti i costi più categorie possibili in una giornata.

Per Della Vedova il dispositivo di fine gara dovrebbe essere esteso di ulteriori cinque minuti per concedere a tutti di finire la propria prova (foto Aimi)
Per Della Vedova il dispositivo di fine gara dovrebbe essere esteso di ulteriori cinque minuti per concedere a tutti di finire la propria prova (foto Aimi)
Cosa intendi?

Ad esempio se negli esordienti hai numeri alti, si fanno più partenze tra primo e secondo anno. Così tutti possono correre e finire la propria gara. Per me non è necessario che si corra per forza ogni weekend. Così come mi sento di dire che non tutte le società sono obbligate ad organizzare gare, anche perché si rischia di andare al risparmio per le cose fondamentali. Proviamo a vedere cosa fanno in altri Paesi, come la Svizzera, e prendere spunto. Da noi spesso ho visto e vedo delle contraddizioni.

Quali ad esempio?

Ci sono gare di esordienti con moto-tv, con radio-corsa da categoria elite e poi magari non hanno transenne adeguate oppure la gente necessaria per la sicurezza del percorso. Personalmente toglierei le premiazioni dai giovanissimi agli allievi o quantomeno non gli darei tutta questa importanza. Si rischia di creare aspettative inutili. Toglierei tutti quelli che sono i costi superflui, specialmente se un organizzatore o un comitato ha dimostrato di non sapere tenere un certo livello di sicurezza e valore sociale. Anche questo è un aspetto che va tenuto in considerazione.

Spiega pure.

Intanto a scuola non si insegna quasi più nulla ad educazione fisica. Si stanno riducendo le ore o sono le prime ad essere tagliate per certi programmi e comunque molti ragazzi le saltano. Non è un bel segnale. In questo senso il ciclismo, come il resto dello sport, deve tenere i ragazzi lontano da cattive situazioni o dalla sedentarietà psicofisica. Ma se il nostro sport non prova a cambiare mentalità a livello giovanile, non avremo più corridori fra qualche anno. Anche perché è faticoso e quando si cade ci si fa male. Oltre a non essere più sicuro per allenarsi. Adesso non mi stupisco se tutti tendono a scegliere tennis o nuoto. Possono praticarli al chiuso o all’aperto, ma in sicurezza. E tutti possono fare o completare le proprie gare.

Spesso ci sono giornate in cui corrono tre categorie con partecipazione alta. Sono pochi gli organizzatori bravi ad allestirle
Spesso ci sono giornate in cui corrono tre categorie con partecipazione alta. Sono pochi gli organizzatori bravi ad allestirle
Sono parole di un Marco Della Vedova pessimista o speranzoso?

Al momento dico pessimista, anche se dovrei dire realista. Guardo le cose come stanno andando e non vedo la voglia di cambiare. Il ciclismo giovanile dovrebbe provare a fare un paio di stagioni più austere come una volta, senza l’arrivismo attuale di certa gente. Venti-trenta anni fa si ambiva a raggiungere un certo tipo di servizi nelle gare giovanili con l’obiettivo comune di fare crescere dei corridori. Ora non è più così. Ora che avremmo tante possibilità di fare le cose fatte bene, abbiamo organizzatori che non si rendono conto di non essere all’altezza. Tutti vogliono fare quello che fa l’altro senza averne le credenziali. Per contro applaudo e faccio i complimenti a chi riesce ad allestire tutto alla perfezione o quasi. Di sicuro vedere il nostro amato sport con tali differenze nel settore giovanile mi fa molto male.

Il Giro torna a Oropa: 10 anni fa Battaglin, ultimo italiano

03.04.2024
5 min
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Nel 2014, alla sua quarta stagione da pro’, Enrico Battaglin conquistò la vittoria nella 14ª tappa del Giro d’Italia. Dove? Nel magnifico scenario di Oropa. Un luogo magico per il ciclismo, che fa tornare alla mente ricordi come quello del salto di catena di Marco Pantani poi rintuzzato con la classe che solo il romagnolo aveva. Quest’anno alla seconda tappa della corsa rosa si arriverà ancora una volta lassù ed Enrico Battaglin è stato l’ultimo italiano a vincerci. 

Prima di riavvolgere il nastro, Enrico dicci cosa fai oggi?

Ho provato a cercare squadra a fine 2022 e non sono riuscito a trovare un contratto. A gennaio 2023 ho iniziato a lavorare in una ditta vicino a casa mia perché ne avevo bisogno. Faccio un lavoro normale che non c’entra con l’ambito ciclistico. 

Battaglin a fine 2022 ha appeso la bici al chiodo
Battaglin a fine 2022 ha appeso la bici al chiodo
E’ una decisione maturata da una necessità o c’è altro? 

Era un momento particolare, perché durante il 2022 avevo un accordo non scritto, però comunque a settembre non avevo ancora firmato. Dovevo fare un buon finale di stagione e alla fine non si è concretizzato il rinnovo. Era difficile trovare squadra in quel momento, mi sarebbe piaciuto terminare nel 2024. Volevo correre ancora e me lo sentivo di essere in grado di fare altri due anni. Guardando le corse di oggi, vedo che il livello è sempre più alto quindi diciamo che sarebbe stata sempre più difficile. Però comunque avrei potuto finire un po’ più dignitosamente. Invece ho finito un po’ in modo malinconico e mi resta ancora l’amaro in bocca.

Non hai avuto tu l’ultima parola sul tuo ritiro…

E’ un mondo un po’ difficile. Nel momento della gloria sei su, poi nel momento delle difficoltà non c’è nessuno che ti vuole dare la mano.

Come è cambiata la tua vita?

Lavoro dal lunedì al venerdì, 9-18. E’ tutta un’altra vita, però riesco anche un po’a godermi mio figlio. Dopo una vita di sacrifici sicuramente una vita normale è più facile, più difficile per altri aspetti, ma più agevole per molti altri. 

Hai valutato l’idea di rimanere nell’ambito del ciclismo oppure è una cosa che hai messo da parte?

Mi piacerebbe rientrare nei prossimi anni. Ho fatto il primo livello e vorrei fare il secondo e terzo da allenatore. Però non ci sono tanti corsi adesso in Italia. La voglia è magari di iniziare i prossimi anni in una categoria di giovani che può essere allievi o juniores e poi magari chissà anche qualcosa in più, però non nell’immediato. 

Tre vittorie per Battaglin al Giro, questa è la prima (2013) a Serra S. Bruno davanti a Felline e Visconti
Tre vittorie per Battaglin al Giro, questa è la prima (2013) a Serra S. Bruno davanti a Felline e Visconti
Il ciclismo lo segui?

Sì, abbastanza. I momenti più salienti, perché a volte mi sembra un po’ noioso. Anche se adesso comunque le corse esplodono molto prima, quindi su certe gare è meglio collegarsi per tempo e vedere qualcosa di speciale. 

Allora saprai che quest’anno la seconda tappa del Giro d’Italia arriva proprio in cima ad Oropa dove tu vincesti 10 anni fa e ad oggi sei l’ultimo italiano ad averlo fatto. Cosa ricordi di quel giorno?

Ero in fuga e ho avuto la possibilità di affrontare la salita in un modo completamente diverso da quella che affronterà il gruppo quest’anno essendo il secondo giorno. Mi ricordo che era stata una giornata un po’ particolare, perché il giorno prima aveva vinto il mio compagno Marco Canola quindi in squadra c’era molto entusiasmo. Siamo andati in fuga e alla fine è venuta fuori una vittoria anche se era un percorso non proprio adatto a me. Mi sono gestito bene in salita, perché alla fine mi ero staccato però poi sono rientrato e nel finale e sono riuscito a fare il mio sprint.

Che tipo di salita è?

Non è sicuramente la salita più dura che ho fatto in vita mia, ma è dura. Con il livello di adesso sicuramente anche se è il secondo giorno farà già molti danni.

Hai notato qualcosa di diverso nel vincere ad Oropa?

Era sicuramente scenografica perché arrivare in cima con il santuario sullo sfondo è molto bello. Questa salita si lega molto al nome di Pantani per quello che ha fatto.

A Oropa 15 anni prima di Battaglin, la straordinaria rimonta che infiammò il Giro 1999
A Oropa 15 anni prima di Battaglin, la straordinaria rimonta che infiammò il Giro 1999
Venendo a quello che sarà, secondo te Pogacar potrà indossare già lì la sua prima maglia rosa?

Dov’è che non può non prendere la maglia rosa… Secondo me con quello che riesce a fare, non avrà problemi. Ho visto che ha vinto nettamente in Catalogna, è già in una forma mostruosa, lo abbiamo visto alla Strade Bianche. Quindi presumo che secondo me proveranno già a prenderla quel giorno. La prima parte è abbastanza tranquilla quindi sicuramente proveranno a controllarla poi magari se prenderà la maglia nei giorni successivi la lascerà. 

Per il parallelismo che c’è tra Tadej e Pantani, secondo te non si lascerà scappare l’occasione?

Sì, assolutamente. Anche se secondo me non si devono fare paragoni. Pogacar è un corridore completamente diverso. Un corridore che vince il Fiandre non può essere paragonato a Pantani. E’ più un corridore che può essere paragonato ai Coppi e Bartali che facevano i capitani dalla Sanremo alla Roubaix ai Grandi Giri. C’era un capitano che vinceva in tutte le gare a cui partecipavano e adesso lui è così.

Come ci hai detto il ciclismo nonostante hai appeso la bici al chiodo lo segui ancora. Pensi che andrai a vedere dal vivo i tuoi ex colleghi?

C’è una tappa che arriva vicino a casa mia a Bassano del Grappa, ma non lo so…Ci rifletto e vedrò. 

Con Cattaneo alla scoperta della crono finale del Tour

03.04.2024
4 min
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Il Giro dei Paesi Baschi si è aperto con una cronometro. Ha vinto Primoz Roglic e Remco Evenepoel è arrivato quarto, ma cadendo. Questo può succedere quando non si conoscono i percorsi troppo bene e si vuol osare. Ed è proprio per poter osare, che qualche tempo fa lui e Mattia Cattaneo sono andati in ricognizione della crono finale del prossimo Tour de France.

La crono in questione è la Monaco-Nizza: 34 chilometri, 728 metri di dislivello e il Col d’Eze. Una crono che potrebbe decidere la Grade Boucle. Una tappa così va assolutamente testata. L’italiano della Soudal-Quick Step ci spiega come è andata e che tipo di crono sarà.

Remco Evenepoel e Mattia Cattaneo durante la ricognizione a Nizza (foto Instagram)
Mattia, appunto, che crono sarà?

Una crono molto dura. Una crono nella quale i primi cinque, immagino saranno gli stessi della classifica generale, quindi quelli con più gambe.

Descrivici un po’ questi 34 chilometri…

L’avvio è abbastanza semplice poi ecco la salita di Le Turbie: 8 chilometri. Si scende un po’ e si fa il Col d’Eze dalla parte opposta che siamo abituati a fare durante la Parigi-Nizza. Si tratta di un chilometro e mezzo al 15 per cento. E lì sembra più una cronoscalata che una crono. Poi discesa, abbastanza veloce e finale tutto da spingere.

Hai parlato di discese: conteranno?

La prima parte del Col d’Eze sì, ma la seconda è velocissima. A parte due curvoni ampi non è così difficile che puoi creare una differenza. Al massimo credo che nella seconda parte si possano perdere o guadagnare 2”-3”. E’ la salita che inciderà molto di più. Credo che la classifica si farà sul Col d’Eze, da lì alla fine cambierà molto poco.

Il profilo della cronometro finale del prossimo Tour de France, misura 34 km
Il profilo della cronometro finale del prossimo Tour de France, misura 34 km
Quindi è una frazione contro il tempo da fare con la bici da crono?

Io tutte le crono le farei con la bici da crono, ma certo è che in questo caso l’aspetto del peso conta. E anche tanto. In totale di sono 12 chilometri di salita. Però resto fedele alla bici da crono. Le velocità non saranno basse e l’aerodinamica gioca un ruolo importante.

E allora ipotizziamo il setup che sceglierebbe Mattia Cattaneo…

Allora, bici da crono come detto, via la ruota lenticolare posteriore: monterei due ruote con profilo da 80 millimetri. Poi molto dipenderà dal vento, ma in questo modo risparmierei un po’ di peso. Noi avremmo anche il set da 64 millimetri, che hanno un rapporto tra peso e aerodinamica migliore. Lì si andrebbero a risparmiare anche 300 grammi rispetto ad una lenticolare.

E che rapporti useresti?

A vederla così e dopo averci fatto questa pedalata, direi una doppia corona 62-44 con l’11-30 dietro, però lo dico adesso. Bisogna vedere in quel momento come saranno le gambe dopo tre settimane di gara. Insomma non è una crono secca, ma inserita al termine di un grande Giro e come detto è pure dura. In salita bisognerà spingere forte. Le differenze di velocità potrebbero essere elevate, specie dove è più pedalabile. 

Ruota lenticolare sì o no? Questo è il dubbio di Cattaneo
Ruota lenticolare sì o no? Questo è il dubbio di Cattaneo
Se c’è da spingere così tanto, come mai non pensi ad un 11-34 così da lavorare meglio con la corona da 62 in salita?

Ammesso che comunque si potrebbe optare per ogni combinazione, di base non sono un super amante della cassetta 11-34, ci sono salti troppo elevati. Io poi uso molto i rapporti centrali, proprio per avere sbalzi minori tra un dente e l’altro. Ormai in generale se le salite non sono troppo dure non uso neanche la corona da 40 ma resto sul 54. E infatti in quei salti dei pignoni più alti mi farebbe comodo un 25 (mentre le cassette Shimano fanno 24-27, ndr).

Mattia, quanto potrebbe durare questa crono?

Per me sui 40-45′, ma onestamente è una stima grossolana. Non so quanto realmente si andrà forte sulla salita . Quando siamo andati io e Remco venivamo dalla Parigi-Nizza e la gamba era un po’ stanca, quindi non l’abbiamo fatta forte.

E la pioggia potrebbe incidere?

Semmai più il vento. Come ho detto la discesa è veloce e le strade sono larghe: una eventuale pioggia non dovrebbe incidere così tanto.

Copeland, alla presidenza dell’AIGCP per cambiare tutto

03.04.2024
5 min
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E’ notizia di pochi giorni fa che l’Associazione Internazionale Gruppi Ciclisti Professionisti ha cambiato completamente i suoi vertici. Dopo tre anni di guida, il team manager della Visma-Lease a Bike Richard Plugge non si è ricandidato per la presidenza e questa è passata per un nuovo triennio (forse, e vedremo perché) a Brent Copeland, titolare del Team Jayco AlUla. Con lui è cambiato tutto il comitato direttivo, ora composto da esponenti di Team Dsm-Firmenich, Arkea-B&B Hotels, Cofidis, Movistar, Uae Team Emirates e Israel Premier Tech.

Al di là dei nomi, è chiaro come un direttivo simile sia “figlio” delle forti polemiche legate al progetto One Cycling, la superlega ciclistica che lo stesso Plugge insieme ad altri team di primo piano del mondo WorldTour vorrebbe fortemente realizzare. Ora l’Associazione ha ai vertici team che non vogliono far parte di quel progetto, che non condividono i principi alla sua base.

Richard Plugge, presidente uscente, principale fautore del progetto One Cycling
Richard Plugge, presidente uscente, principale fautore del progetto One Cycling

«Abbiamo tanti punti da affrontare in questo triennio – spiega il manager sudafricano – per noi l’obiettivo primario è creare un clima di unità nel mondo dei team professionistici. Oggi non c’è solo una divisione fra le varie classi, ma anche allo stesso interno del WorldTour, noi dobbiamo trovare dei punti d’incontro. Un’associazione unita negli intenti è l’unica che possa presentarsi al tavolo con gli enti che si riferiscono a noi, ossia l’Uci in primo luogo ma anche l’Aso o la Rcs, organizzatori delle grandi corse. Il progetto One Cycling non ha aiutato in tal senso, creando spaccature che non fanno bene al nostro movimento».

Che cosa del progetto One Cycling salveresti e che cosa invece non ti piace?

E’ una domanda alla quale non posso dare una risposta esauriente per la semplice ragione che io come molti altri ho partecipato solo alla prima riunione. Ho visto subito che le idee alla base non erano chiare e che i presupposti erano sbagliati, quindi mi sono tirato fuori e altri hanno fatto lo stesso. Dietro l’idea della Superlega ci sono 5-6 team che, per quanto grandi, non sono rappresentativi del movimento.

Con Lappartient, presidente Uci, Copeland vuole collaborare nel reimpostare l’attività
Con Lappartient, presidente Uci, Copeland vuole collaborare nel reimpostare l’attività
Non è un caso però se prima nel comitato direttivo c’erano proprio rappresentanti di alcuni di quei team, ora è tutto cambiato…

E’ vero, ma questo non è successo per fattori strettamente legati a One Cycling. Noi abbiamo un programma che non parte dal contrastare la Superlega, bensì dal riunire le varie forze ciclistiche sulla base di un progetto. Senza di esso è inutile sedersi a un tavolo per parlare con i nostri referenti di regole, di calendari, di diritti televisivi. Noi poi dobbiamo avere ben chiaro un punto: l’AIGCP non deve entrare nella parte commerciale del ciclismo, non è un tema che ci compete.

E’ pur vero che se vi presentate al tavolo per parlare di calendario, ciò ha un influsso economico. La Superlega calcistica voleva sostituirsi alle federazioni per gestire l’attività, voi invece siete sempre dell’opinione che sia l’Uci a dover curare il calendario?

Sì, ma con il nostro contributo. Noi dobbiamo farlo avendo chiara l’idea che dobbiamo procedere insieme al massimo organo per progettare il ciclismo del futuro. Il calendario va rivisto, questo è certo, ma dev’essere un processo condiviso perché non è assolutamente facile cambiare.

Le Classiche Monumento (qui il Fiandre) devono essere sempre più i cardini della stagione
Le Classiche Monumento (qui il Fiandre) devono essere sempre più i cardini della stagione
Da più parti si levano voci per trovare eventi che “impongano” la presenza di tutti i più forti, un po’ come avviene nei tornei del Grande Slam di tennis. Sei d’accordo?

Noi gli eventi simili li abbiamo già, sono le Classiche Monumento e i grandi Giri, ma bisogna tener conto che le gare sono molto diverse fra loro ed è difficile che uno abbia caratteristiche che si adattino a ogni prova. Il paragone con il tennis però ha ragion d’essere: anche lì vediamo i grandi nei tornei principali e poi tantissimi altri tornei dove i big si sparpagliano e che sono seguiti molto meno dallo spettatore medio, non specializzato. Da noi è lo stesso: tantissime corse, che confondono le idee. Dobbiamo dare una nuova importanza alle corse del WorldTour: sono troppe, inflazionate, in contemporanea. Ogni Paese vuole avere la sua prova e questo penalizza il mercato.

Ricordi com’era la Coppa del mondo, con una maglia specifica?

Certamente, ricordo le vittorie di Fondriest e Bettini. Quella potrebbe essere una soluzione, ma di idee sul tavolo ne abbiamo molte. Consideriamo anche che il ciclismo si basa molto sulla tradizione, i cambiamenti vanno ponderati con attenzione. Il calendario in questo momento è un problema primario: noi come Jayco-AlUla in certi momenti abbiamo in attività tre squadre maschili e due femminili in contemporanea, questo dice che c’è qualcosa che non va perché il pubblico non riesce a seguire tutto.

Bettini primo alla Sanremo con la maglia di leader di Coppa del Mondo. Un format da recuperare?
Bettini primo alla Sanremo con la maglia di leader di Coppa del Mondo. Un format da recuperare?
Come fai a seguire l’Associazione con tutti gli impegni che hai nel team?

Questo è un altro aspetto fondamentale. Nelle riunioni prima delle elezioni io ho spesso detto, anche in maniera veemente che l’associazione doveva cambiare, che non ha senso che un team manager la presieda perché è evidente il conflitto d’interessi. Ma non c’era tempo per trovare un esterno. Noi però dobbiamo farlo, trovare un CEO o amministratore delegato fuori da ogni legame con qualsiasi team. Intanto dobbiamo trovare un consulente esterno per rivedere tutta la nostra attività, anche lo statuto stesso dell’associazione, porre nuove regole. Qualcuno che ci segua almeno per 3 mesi nella nostra gestione per capire, con occhi esterni, che cosa funziona e che cosa va cambiato. Io ho intenzione di ridisegnare questo strumento per renderlo al passo con i tempi che ci attendono e sono molto delicati.