Alfonsina Strada, cent’anni dopo pedalando contro il pregiudizio

20.05.2024
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Ci sono tanti modi per vincere. E non tutti richiedono che si transiti per primi sotto il traguardo. Alfonsina Strada lo ha fatto, più volte. Ma non è famosa per quello. La sua vittoria è molto più profonda, radicata. Lei può essere davvero considerata un’antesignana dell’emancipazione femminile, un personaggio a suo modo modernissimo, in un’epoca ormai lontana un secolo. Perché a colpi di pedale ha preso a spallate lo status quo, i pregiudizi legati all’universo femminile. Se oggi le ragazze gareggiano in giro per il mondo, vivono di ciclismo con contratti importanti, lo devono anche a lei. E le celebrazioni per il centenario della sua presenza al Giro, stabilite in quest’edizione, sono un tributo sacrosanto.

Carattere forte, quello di Alfonsina. Seconda di 10 figli, impara presto che la vita bisogna guadagnarsela ogni giorno, masticando il duro sapore della povertà. A 10 anni, quasi inaspettatamente un giorno suo padre rientra a casa con una bici. A maschi di famiglia vorrebbero impossessarsene, ma Alfonsina sa come farsi rispettare e alla fine ci sta sempre lei, sopra. E’ come se quel mezzo diventasse la sua voce, esprimesse la sua voglia d’indipendenza.

Un murales recente a ricordo dell’impresa della Strada. Il Giro celebra il centenario della sua presenza
Un murales recente a ricordo dell’impresa della Strada. Il Giro celebra il centenario della sua presenza

Che smacco per gli uomini…

Inizia a gareggiare, corre contro i maschi e spesso li batte. Sono gare dove c’è sopra un bel giro di scommesse, Alfonsina porta a casa soldi e questi insabbiano ogni renitenza, ogni retaggio culturale in famiglia. Non fuori però: quella ragazzina che non sa stare al suo posto non piace, se poi si permette anche di battere i maschi… Non è una situazione che può durare a lungo, anche perché le dicerie pesano sull’equilibrio famigliare, così arriva il tempo che Alfonsina prende la sua strada.

Nel 1907, a 16 anni, vince il titolo di miglior ciclista italiana (poca cosa in verità, non è che fossero poi così tante…), va anche a correre all’estero, addirittura a San Pietroburgo viene premiata dallo Zar Giorgio II in persona. Nel 1911 stabilisce il record mondiale di velocità. Si trasferisce a Milano dove incontra Luigi Strada. A differenza di tanti altri, lui non disapprova la sua passione per le biciclette, anzi. Il giorno delle nozze, le regala una bici. Alfonsina cambia cognome, da Morini diventa Strada, quasi un destino in quelle sei lettere.

L’iconica immagine della giovanissima emiliana in sella alla sua bici
L’iconica immagine della giovanissima emiliana in sella alla sua bici

L’iscrizione al Lombardia

La svolta arriva nel 1917: Alfonsina decide di iscriversi al Giro di Lombardia. C’è grande trambusto nella sede del comitato organizzatore. La sua richiesta arriva come un fulmine a ciel sereno. Non la vorrebbero, ma nel regolamento non c’è alcun articolo, alcuna postilla che dica che sono solo gli uomini a poter partecipare. Alla fine sono costretti loro malgrado a farla partecipare. Tanti le fanno il tifo contro, la chiamano il “diavolo in gonnella”, ma lei è superiore a tutto. Non vince, sarebbe stato troppo, ma visto che più della metà dei corridori si ritira per il clima impervio e il percorso e lei non è fra questi, è come se avesse dato uno schiaffo a tutti i pregiudizi e a chi li esprime. Ci tornerà l’anno successivo, finendo 21° assoluto (prima donna, naturalmente…)

I soldi che guadagna in bici non bastano, anche perché nel frattempo il marito si è ammalato. Lavora come sarta, ma sente che è un ripiego. Che non rispecchia quel che vuol fare. Nel 1924 decide di riprovarci, ma alza le sue ambizioni: ora vuole partecipare al Giro d’Italia. Questa volta gli organizzatori la accolgono di buon occhio. Calma, non è che sia cambiata la cultura del tempo, anzi… Solo che le difficoltà economiche e dissidi nell’ambiente hanno tenuto lontani molti team e agli organizzatori fa comodo il richiamo di una donna al via contro i maschi. E’ pur sempre una bella pubblicità.

La Strada ha stabilito il record dell’ora femminile nel 1938 con 35,38 chilometri (foto Umbekannter Kustler)
La Strada ha stabilito il record dell’ora femminile nel 1938 con 35,38 chilometri (foto Umbekannter Kustler)

Un manico di scopa

Con il numero 72, Alfonsina Strada si presenta al via: saranno 12 giorni di gara, 3.613 chilometri da percorrere in 12 tappe. A ogni frazione la gente si divide fra chi la osanna e chi la critica. Gli organizzatori cavalcano l’onda della popolarità, a ogni arrivo senza guardare la classifica lei viene acclamata e premiata anche più del vincitore assoluto.

L’ottavo giorno, tappa da L’Aquila a Perugia, si pedala sotto la pioggia battente e la corsa diventa una lunga prova a eliminazione. Una pozza d’acqua le fa compiere un sobbalzo e il manubrio si spacca. Chiunque si sarebbe ritirato, non lei. Prende un manico di scopa e lo adatta con un po’ di nastro, fatto sta che raggiunge il traguardo. Ma fuori tempo massimo. Dovrebbe chiuderla lì, ma per gli organizzatori sarebbe un dramma: poi la corsa chi la segue più? Si raggiunge così un compromesso: continuerà a correre senza che le venga preso il tempo. A patto che arrivi al traguardo finale di Milano.

Una carriera lunga quella di Alfonsina Morini in Strada, nata a Castelfranco Emilia nel 1891
Una carriera lunga quella di Alfonsina Morini in Strada, nata a Castelfranco Emilia nel 1891

L’apertura del negozio

Alfonsina lo fa, è fra i 30 che completano il Giro a fronte dei 60 che non ce l’hanno fatta. Poco importa il responso cronometrico finale, lei c’è. Diventa un’icona per l’universo femminile, forse anche troppo. Sono anni difficili per il Paese che sta cambiando pelle e sui retaggi culturali si fa leva per il cambiamento che nulla cambia… La Strada però ha ormai una popolarità che ha valicato i confini nazionali: la chiamano a correre all’estero e lei lo fa, torna anche a vincere contro gli uomini, porta a casa un bel po’ di quattrini.

Dopo la Guerra, morto il primo marito, Alfonsina si risposa con un ex ciclista, Carlo Messori, con il quale nel 1950 finalmente può avverare il suo sogno: aprire una bottega di bici a Milano. Quel negozio rimane aperto per 7 anni, durante ii quali è un riferimento nazionale, anche perché resta un unicum nell’universo nazionale. Pensateci bene: anche oggi quante sono le donne meccanico di bici? Quante fra le stesse cicliste sanno mettere mano a una bici? Per Alfonsina la bicicletta non aveva segreti e tanti si rivolgevano a lei per riparazioni e consigli.

La Strada all’uscita dalla sua bottega, riferimento per anni per i ciclisti milanesi (foto Umbekannter Kustler)
La Strada all’uscita dalla sua bottega, riferimento per anni per i ciclisti milanesi (foto Umbekannter Kustler)

Morire come ha vissuto

Alfonsina muore nel 1959, a 68 anni, con una fine in fin dei conti degna di come aveva vissuto. Era andata ad assistere alla Tre Valli Varesine, provando a mettere in moto la sua Moto Guzzi 500 cc ha un infarto che le è fatale. Anche la sua morte contribuisce alla sua storia, alla sua immagine di emblema del riscatto femminile, della parità dei sessi. Una battaglia vissuta in anni remoti, da sola, contro un muro. Sgretolato a colpi di pedale.

La Q36.5 fuori dai Giri: la frustrazione dello sponsor

20.05.2024
5 min
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Luigi Bergamo, il signor Q36.5, probabilmente domani si affaccerà al Giro che raggiunge la Val Gardena e la provincia della sua Bolzano. La squadra che porta il nome della sua azienda di abbigliamento ne è rimasta fuori per il secondo anno consecutivo, allo stesso modo in cui la continental ad essa collegata non prenderà parte al Giro Next Gen. Il discorso potrebbe essere spinoso. Se è vero che il Giro d’Italia è la vetrina che dà un senso alle squadre di matrice italiana, è chiaro che non farne parte sia un disagio da gestire. A ciò si aggiunga il fatto che un buon aggancio col Giro, Vincenzo Nibali, da agosto dovrebbe interrompere la sua collaborazione come consulente con la squadra diretta da Ryder Douglas.

«E’ un po’ la situazione – dice Bergamo – non do colpe a nessuno. Sono i problemi legati alle squadre professional. Se non hai certi punti o comunque certi corridori, principalmente i punti, fai fatica ad accedere alle gare. Noi siamo stati fortunati nella prima parte della stagione, perché abbiamo avuto accesso a tutte le gare di RCS. Abbiamo parlato. Già l’anno scorso avevamo chiesto se fosse possibile partecipare al Giro. Però logicamente, avendo solo tre wild card, è legittimo che due siano andate alla VF Group-Bardiani e alla Polti, che sono due squadre italiane. Saremmo parzialmente italiani anche noi, ma l’entrata della Tudor come sponsor ha cambiato le cose. Poteva esserci una minima speranza se qualche squadra WorldTour, come in passato la Lotto, avesse rinunciato, ma così non è stato».

Luigi Bergamo è fondatore e CEO del marchio Q36.5 (foto Jim Merithew)
Luigi Bergamo è fondatore e CEO del marchio Q36.5 (foto Jim Merithew)
Che cosa significa per uno sponsor italiano non essere al Giro?

Non essere al Giro e poi ovviamente nemmeno al Tour è una bella frustrazione. Abbiamo avuto visibilità nella prima parte della stagione, ma nella seconda sparisci. Certo, faremo il Giro di Svizzera, magari il Delfinato, però tre settimane di Giro sono un’altra cosa. Ora ho visto anche della development team, però non so cosa sia successo.

Cosa ne pensa?

Anche quello è un peccato, perché di fatto è una squadra italiana. Non conosco le cause, è una cosa ancora fresca.

Pensa che il suo gruppo possa avere qualche problema con Rcs Sport?

No, direi di no. Tutti coloro con cui ho parlato anche lo scorso anno li ho trovati disponibili. Però è vero che l’asticella si alza e ogni anno si pretende sempre di più. Siamo stati sfortunati con diversi corridori che si sono fatti male oppure hanno avuto problemi e questo di certo ha tolto visibilità e risultati.

L’aspetto sportivo è un po’ al di sotto delle attese?

Parlerei di sfortuna. Nizzolo ha cominciato a correre praticamente ieri a Veenendaal per l’infortunio (foto di apertura). Il canadese Zukowski si è rotto la clavicola ed è fuori anche lo spagnolo Azparren. Si puntava sull’esperienza del belga Frison per le classiche, ma è stato fuori a lungo ed è appena rientrato. Insomma, un po’ di acciacchi e altri che l’anno scorso erano andati bene e quest’anno non vanno. La squadra ha performato meno rispetto a quello che era stato l’anno scorso. L’avvio era stato più che positivo, speravamo che si continuasse anche con qualche giovane che l’anno scorso era andato benino e invece fa ancora fatica.

In compenso, si può dire che avere una squadra sia utile per un’azienda che produce abbigliamento sportivo?

Almeno quello ci dà soddisfazione, è un bel banco di prova, anche per valutare quello che a volte chiamo l’abuso del prodotto. Quello di strapazzare i capi che forniamo è il vero test, anche per trovare nuove soluzioni. Essendo votati per scelta e per passione all’innovazione dell’abbigliamento, una squadra che metta tutto alla prova è sicuramente un buono strumento e una fonte di ispirazione.

I corridori sono buoni tester?

Non tutti sono attenti o ti danno degli input appropriati, però ce ne sono alcuni che per passione sono un po’ più attenti e vicini al prodotto. Cercano sempre il limite, sia con la bici che con i capi che indossano. Oltre al nome del brand o del marchio, che ha il punto di forza nella termoregolazione, la sfida è legata alle velocità sempre più alte, che richiedono una performance superiore da parte dell’abbigliamento. C’è sempre maggiore attenzione nel portare concetti di aerodinamica che una volta erano legati solo alla cronometro, mentre adesso si sono spostati anche alle corse su strada.

Nel 2024 tanti piazzamenti per Moschetti, che indossa un body anche su strada
Nel 2024 tanti piazzamenti per Moschetti, che indossa un body anche su strada
Ormai si corre sempre più col body: pensa che diventerà una tendenza anche per il mercato?

L’amatore vuole maglietta e salopette. Anche se lo abbiamo proposto, vedo che il pezzo singolo funziona molto poco, anche perché è più difficile da abbinare. Tante volte hai bisogno del pantalone di taglia M e la maglia S e non possiamo fare lavorazioni su misura per ogni cliente. La persona normale, al di là di quelli che corrono e fanno delle vere competizioni, è più comoda con i due pezzi separati. Diciamo che per l’azienda le cose legate alla squadra procedono bene. Per il resto, si tratta di aspettare. Ci vediamo a Santa Cristina Valgardena, un salto dovrei farlo di sicuro.

Tutto Pogacar, da mattina a sera, nel giorno dell’impresa

19.05.2024
7 min
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LIVIGNO – Quando un corridore del Team Polti arriva, solleva lo sguardo verso la vetta e si chiede sconsolato se non si potesse arrivare un po’ più in alto, la gente intorno ride, mentre Tadej Pogacar è già nel pieno del racconto. La tappa è finita come avevano pianificato, ma tra il dire e il fare c’erano di mezzo l’ultima salita e una scalata prodigiosa per riprendere tutti i fuggitivi e per ultimo il brillante Quintana.

Matxin ha seguito la tappa nel box dei giornalisti, 100 metri dopo il traguardo. Seduto su una sedia e senza farsi notare, inviava aggiornamenti nel gruppo whatsapp dei DS del UAE Team Emirates. Tempi e annotazioni. Poco prima che Tadej attaccasse, uno sguardo per anticiparci quanto stava per succedere. Poi, quando era ormai chiaro che lo sloveno fosse involato verso la vittoria, abbiamo messo da parte la scaramanzia, chiedendogli qualche lume. La conferma dal tecnico spagnolo arrivava puntuale. L’attacco è venuto nel punto desiderato, dove iniziava il vento a favore. E poi ammetteva di trovare insolito vivere le tappe da fermo e non in ammiraglia, ma a guidare la squadra oggi c’erano i diesse italiani: Baldato, Mori e Marcato.

Tadej appare un po’ stanco, ma di certo quelli che continuano ad arrivare dopo di lui (lo faranno ancora per un’ora e 58 minuti) sono conciati decisamente peggio. La crono ha presentato il conto ai suoi sfidanti, ma è ragionevole pensare che per vincere oggi qua in cima anche lui abbia dovuto fare i conti con la fatica. Però quando ha attaccato sembrava che volasse. Agile e potente, con quel 55 spinto senza apparente fatica, ma la fatica c’è stata. Il suo umore tuttavia è decisamente migliore rispetto alla prima settimana e lo si capisce quando con le risposte salta da un tema all’altro con leggerezza e la voglia di sorridere.

Ricordi quando sei stato a Livigno per la prima volta?

Sono stato qui molte volte, la prima al primo anno da junior. Eravamo stati a Sankt Moritz per dieci giorni in una casa in ritiro con la nazionale, quello che potevamo permetterci. E così venimmo a Livigno con un furgone mezzo rotto per fare benzina, perché costa meno e per comprare del cibo. Quella è stata la prima volta, un bellissimo ricordo. Da lì ci sono tornato quasi ogni anno e qui ho anche uno dei ricordi più belli della mia vita. Questa vittoria si avvicina alla cima della lista, ma è ancora molto lontano dal numero uno. Sono super felice di essere di nuovo qui e di aver vinto la tappa regina.

Adesso però dovrai dire qual è il ricordo più bello della tua vita…

Forse posso dirlo, che diavolo! E’ stato quando ho iniziato a uscire davvero con la mia ragazza, la mia fidanzata Urska. A Livigno ci fu il primo appuntamento, un bellissimo momento della mia vita.

Veniamo alla tappa, è durata più di sei ore, come era stato il risveglio? Puoi dirci qualcosa della tua colazione oppure è segreta?

No, non è segreto (ride, ndr). Mi sono svegliato alle 7,20, per fare colazione alle 7,30. Ho mangiato porridge di riso, insomma del riso dolce. Si sposa bene con le fragole e i mirtilli. Poi il pane, quello fatto in casa a lievitazione naturale dal nostro chef, con una piccola omelette. Poi i waffle, sempre fatti dal nostro chef, con marmellata di pesche e anche di lamponi. Insomma, una colazione abbondante e siamo rimasti a tavola per circa 40 minuti. E alle 8,30 siamo partiti dall’hotel per andare alla partenza.

Da adesso in poi, forse comincia un nuovo Giro, dato che i distacchi sono così ampi. Pensi di correre in modo accorto o proverai a vincere ancora per fare la storia della corsa?

Non so cosa dire cosa serva per essere una leggenda o per fare la storia del Giro. Di sicuro però ogni Giro ha la sua storia e le sue storie. In ogni grande corsa avviene qualcosa che poi finirà nei libri. Perciò ora penso più al giorno di riposo qui a Livigno, che per me è uno dei posti più belli d’Italia. E poi vedremo cosa porterà la prossima settimana. Per ora posso dire che sono felice del vantaggio, dei risultati e della mia squadra, il resto lo vedremo giorno per giorno. Mancano ancora sei tappe, speriamo di arrivare a Roma allo stesso modo.

Riprendere Quintana per Pogacar è stato rivivere i ricordi di quando da ragazzo guardava il Tour in tv
Riprendere Quintana per Pogacar è stato rivivere i ricordi di quando da ragazzo guardava il Tour in tv
Matxin ha detto che avete eseguito il piano alla perfezione: avere Quintana là davanti lo ha reso più faticoso?

Sì, il piano era esattamente questo. Quando ho sentito il divario da Steinhauser, ho pensato: “Sì, facciamolo. Proviamo ad aumentare il divario con gli avversari in classifica generale”. Quando abbiamo alzato il ritmo con Majka, non avevo molto chiara la strada, però sapevo che c’era il vento a favore e che mi avrebbe favorito. Mi piace il vento a favore. Poi ho sentito che Steinhauser si stava spegnendo lentamente e che Quintana lo aveva scavalcato. Però non mi sono mai preoccupato davvero. Anche se non avessi vinto la tappa, sarebbe stata comunque una giornata fantastica.

Hai qualche ricordo di Quintana, di quando lottava per i Tour?

Guardavo sempre il Tour quando Froome e Quintana si attaccavano a vicenda ed ero sempre arrabbiato con Nairo. Mi chiedevo perché non provasse ad attaccare prima, a scattare a dieci chilometri dall’arrivo. Invece aspettava sempre gli ultimi tre chilometri. Sono questi i miei ricordi ed era bello comunque da vedere in televisione e ragionare su come avrei voluto fare io. Oggi è andato forte, quelli dalla fuga sono andati tutti.

Il calore deitifosi si è fatto sentire: Pogacar ha sostenitori davvero in ogni angolo d’Italia
Il calore deitifosi si è fatto sentire: Pogacar ha sostenitori davvero in ogni angolo d’Italia
Attila Valter ha provato a seguirti, ma ha detto che era folle rendersi conto della facilità con cui andavi oltre i 400 watt. Ti sorprende che i rivali della classifica non abbiano provato a seguirti?

Non ho guardato indietro quando Majka ha accelerato. Sapevo cosa dovevamo fare, so come corre Rafal e anche cosa mi aspettava. Non mi sono voltato. Ho semplicemente guardato avanti e ho cercato di impostare il mio ritmo. Ho sentito che Martinez ha provato a seguirmi, ha fatto davvero un buon lavoro. Dopo aver preso vantaggio, sapevo che se fossi riuscito a respirare, poi avrei trovato un ritmo davvero buono e così è stato. Quando sono rientrato nel gruppo di Attila Valter, ho dato subito un po’ più di gas. Si fa quando riprendi una fuga, perché qualcuno prova sempre a seguirti. Così è il ciclismo…

Ti manca il fatto di non avere uno sfidante come Vingegaard?

So che quella sfida arriverà a luglio. Per ora posso dire che in questo Giro mi sto divertendo, e d’ora in avanti mi permetterà di fare le mie cose. Non vedo l’ora che arrivi luglio per incontrare Jonas, Remco, Primoz e forse qualcun altro. Perciò, cerchiamo di sopravvivere a questa settimana e poi concentriamoci su luglio.

Ieri hai dimostrato di aver fatto dei grandi passi avanti anche nella crono: una buona notizia proprio pensando a luglio?

Avevamo migliorato la posizione già prima dei campionati del mondo dell’anno scorso, ma era un po’ troppo aggressiva e mi ha rovinato i glutei e anche la testa. Quella con cui ho corso al Giro è un po’ meno aggressiva e nel frattempo sto lavorando sul mio fisico per spingere e adattarmi meglio alla posizione. Ogni allenamento che faccio è migliore, sono davvero soddisfatto della direzione e del miglioramento del mio corpo, della mia posizione, delle mie gambe, della mia motivazione. Dobbiamo concentrarci finché non arriviamo a curare ogni dettaglio.

Tiberi ha pagato la fatica della crono arrivando a 3’59”. E’ 5° nella generale
Tiberi ha pagato la fatica della crono arrivando a 3’59”. E’ 5° nella generale
Dopo queste prestazioni così esaltanti, pensi di essere ancora un atleta con dei margini?

Di sicuro sì. Posso migliorare soprattutto nella crono, perché penso che il mondo del ciclismo ci porterà nei prossimi anni a sfide ancora superiori. E io penso di poter crescere molto. Quindi andiamo per gradi, ma sono davvero felice del punto in cui sono. Le bici per il Tour de France dovranno essere perfette.

Qualcuno dice che il Giro è finito.

No, il Giro finisce sul Monte Grappa, a Bassano. E’ l’ultima dura tappa di montagna, una giornata davvero brutale. Per questo ho continuato a guadagnare vantaggio. Meglio farlo quando si può. Oggi è stato un bel giorno.

Piganzoli-Pellizzari: cuore e gambe, ma a Livigno destini diversi

19.05.2024
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LIVIGNO – L’aria ai quasi 2.400 metri del Mottolino, frazione di Livigno, è frizzante e pizzica le narici. Fa freddo, la temperatura non supera gli otto gradi e i corridori arrivano uno ad uno con distacchi che danno tempo al sole di nascondersi dietro l’orizzonte. Uno dei primi ad arrivare, alle spalle del vincitore di giornata e maglia rosa, Tadej Pogacar, è Davide Piganzoli. Il corridore della Polti-Kometa oggi ha corso in casa e all’attacco. E’ andato in fuga e si è dimostrato uno dei più attivi.

La Polti-Kometa oggi ha lavorato per Piganzoli, qui alle spalle di Fabbro sul Mortirolo
La Polti-Kometa oggi ha lavorato per Piganzoli, qui alle spalle di Fabbro sul Mortirolo

L’aria di casa

Il calore che i tifosi, assiepati fuori la zona mista, riservano a Piganzoli è fortissimo. Un boato lo accoglie, lui sorride, si siede e racconta questa giornata lunga e impegnativa. «Era la tappa di casa – dice – ci ho provato. Ci ho creduto ma alla fine sono mancate un po’ le gambe».

«Mi aspettavo più bagarre all’inizio – continua il valtellinese – invece la fuga è andata via subito, con un gruppo numeroso di una cinquantina di atleti. Con il passare dei chilometri c’è stata più selezione e siamo rimasti in trenta. Eravamo in cinque della Polti e ho chiesto ai miei compagni di lavorare. Fabbro ha fatto un gran ritmo sul Mortirolo. Io conoscevo bene la discesa e quindi mi sono riportato facilmente sui corridori che si erano avvantaggiati.

Generoso

Sulla strada che lentamente ha portato il gruppo da Bormio alla cima del Passo di Foscagno, Piganzoli è stato uno dei più attivi. Sembrava quello con la gamba migliore, più fresca, tanto che è stato lui a fare la prima mossa ai meno 30 dall’arrivo.

«Non penso di essere stato impaziente – riprende seduto sulla sedia della zona mista – stavo bene e avevo l’opportunità di vincere una tappa al Giro d’Italia, cosa che non capita tutti i giorni. L’ho fatto un po’ con il cuore e un po’ con le gambe, per la mia terra e i miei tifosi. Ho vissuto una giornata di grandi emozioni che mi hanno dato tanta voglia di fare.

«Le gambe alla fine erano quelle che erano. Quando ho provato ad allungare pensavo fosse il momento giusto. Pogacar è stato più forte e si è visto».

Per Pellizzari una fuga dal sapore di rivalsa dopo tre giorni difficili
Per Pellizzari una fuga dal sapore di rivalsa dopo tre giorni difficili

Pellizzari per ritrovarsi

Nel folto gruppo che questa mattina è scappato nei primi chilometri c’era anche Giulio Pellizzari. Lui era anche tra i sei corridori che sulle rampe del Colle San Zeno si sono avvantaggiati anticipando la fuga di giornata.

«Siamo andati via in discesa – sul Colle San Zeno – ero alla ruota del ragazzo della Alpecin-Deceuninck che è sceso davvero forte e gli sono rimasto a ruota. C’era anche Piganzoli, ma ha preso un buco e non ci ha seguiti».

«Forse ci siamo un po’ cucinati nella valle, con quella strada che piano piano saliva e non dava troppo respiro. Probabilmente sarebbe stato meglio stare nel secondo gruppo. Quei 45 chilometri nella valle li abbiamo pagati, tanto che alla prima accelerazione (ad opera proprio di Piganzoli, ndr) sono saltato».

Il sogno di arrivare a Roma

Pellizzari respira. Ha la voce bassa e prima di parlare prende degli integratori dal massaggiatore per accelerare il recupero. Li manda giù insieme a sorsi d’acqua amari come la giornata di oggi, ma lo spirito non si affievolisce

«Sono finito, cotto – ci confida con ancora la fatica negli occhi – ci ho provato più di testa che di gambe. Era una tappa dura per tutti, quindi ho provato ad anticipare ma è stata veramente tosta. Non sto proprio un granché, nei giorni scorsi sono stato male e oggi ho voluto provarci per dare un segnale anche a me stesso».

«Fisicamente sto a pezzi, volevo quasi andare a casa. Domani c’è il giorno di riposo, per fortuna, ci vuole proprio. Arrivare a Roma sarà già un successo ma mi va di provare a finire questo mio primo Giro d’Italia. Infatti, appena mi hanno staccato sono venuto su del mio passo per salvare un po’ di energie. Anche perché la settimana più dura deve ancora iniziare».

Applausi per Quintana: «Adesso sono fiducioso»

19.05.2024
5 min
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LIVIGNO – La faccia non è di quelle tristi di chi ha perso una tappa. Anche da dietro gli occhiali, si capisce che Nairo Quintana sorride. A parte il terrore per la curva pendente, stretta e in sterrato, in pratica un baratro, dopo l’arrivo, poi il volto del colombiano si distende.

Asciugamano attorno al collo. Diversi colpi di tosse. Ma anche il tifo dei suoi connazionali. Il rumore fastidioso dell’ennesimo elicottero porta-vip e finalmente il corridore della Movistar inizia a raccontare. La gentilezza è rimasta quella di un tempo.

Nairo Quintana (classe 1990) dopo l’arrivo ai 2.385 metri del Mottolino, secondo a 29“ da Pogacar
Nairo Quintana (classe 1990) dopo l’arrivo ai 2.385 metri del Mottolino, secondo a 29“ da Pogacar

Nairo risorge

Tra i prati innevati del Mottolino per rubare un pezzetto di scena all’azione bellissima di Tadej Pogacar, serviva lui. Serviva un campione importante. A spingere Nairo erano in tanti. Rivederlo ai vertici ha fatto piacere a tanta gente. E la ressa per intervistarlo dopo il traguardo la dice lunga.

«Era una tappa che mi piaceva – spiega Quintana – era molto difficile, c’era molto dislivello. Ci pensavo da quando era iniziato il Giro d’Italia. Peccato essere arrivato al Giro in una condizione non facile. Ma aver tenuto duro è stato importante. E questa tappa è stata emozionante, molto significativa per me».

Nella testa dello scalatore scattano tante cose. Oggi Quintana è tornato ad assaporare, come lui stesso ha detto, le sensazioni di una volta. E probabilmente è per questo motivo che sorride. «La strada – aggiunge – è quella giusta».

Questa frazione misurava 222 km e 14 erano oltre i 2.000 metri: quote che piacciono molto a Nairo
Questa frazione misurava 222 km e 14 erano oltre i 2.000 metri: quote che piacciono molto a Nairo

Mai abbattersi

E’ vero: Pogacar se lo è divorato. Una volta era lui a fare così, ma gli anni passano, la concorrenza oggi più che mai è spietata e i problemi non si può dire non ci siano stati per Nairo. Ma essere ancora qui a lottare è stato significativo.

«Pogacar – riprende Quintana – è stato molto forte. E’ solido e può vincere tutto quello che vuole. Dalla macchina mi dicevano che Tadej era uscito e che dovevo accelerare. Così ho fatto. Il mio è stato un passo importante, ma quando mi ha ripreso sapevo che tenerlo sarebbe stato molto difficile. A quel punto mi sono gestito, cercando di non andare fuori giri e di salire regolare nel finale. Pogacar voleva vincere… c’era poco da fare».

Durante le partenze delle tappe al mattino si parla. E tra le varie chiacchiere Max Sciandri, il suo direttore sportivo, ci aveva detto che Quintana sicuramente sarebbe venuto fuori col passare dei giorni. «Uno col suo motore – aveva detto il tecnico toscano – prima o poi emerge. Anche se non è al top. Gli altri caleranno di più». E così è andata.

Vedere Nairo in piedi è una rarità, ma sapendo dell’attacco di Pogacar stava spingendo a tutta
Vedere Nairo in piedi è una rarità, ma sapendo dell’attacco di Pogacar stava spingendo a tutta

Non finisce qui

Se poi ci si mette anche l’esperienza il gioco è fatto. O almeno sarebbe stato fatto se non ci fosse stato Pogacar. Quintana è stato nella fuga. Dapprima con qualche compagno, poi da solo. Ha contribuito all’attacco, ma sempre senza esporsi troppo. 

Il colombiano è uscito allo scoperto quando era il momento giusto. Quando bisognava dare tutto. Quando ci si avvicinava alle sue quote, quelle del Foscagno, valico over 2.000 metri. E lo ha fatto col suo tipico intercedere: rapporto lungo, spalle fisse verso l’anteriore e nessuna espressione. Sembrava andasse piano. Sembrava…

«Io ero convinto oggi – riprende Quintana – ho spinto forte, ma come ho detto Pogacar voleva vincere. Il Monte Grappa? Eh, lo conosco, lo conosco… lì ho bei ricordi (ci vinse al Giro 2014, ndr). Aspettiamo dai. Il Giro non è finito e adesso sono più fiducioso».

Contador intervista Quintana, tra i due un gesto d’intesa prima di congedarsi
Contador intervista Quintana, tra i due un gesto d’intesa prima di congedarsi

Intesa tra scalatori

Poco prima che lo staff lo caricasse sull’ovovia per tornare a valle, arriva Alberto Contador, inviato di Eurosport. Lui e Nairo parlano in spagnolo. Alberto gli pone più o meno le stesse domande, salvo che Quintana aggiunge che merito di questo suo miglioramento è anche del buon clima che si respira in squadra. «C’è armonia. Ci aiutiamo e le cose vanno bene. Ringrazio la squadra per avermi riportato alle competizioni».

Una volta loro due se le davano di santa ragione, adesso le loro strade sono separate. Ma finita l’intervista tra i due campioni scatta come un gesto d’intesa. Un’intesa tra scalatori. Alberto gli dice all’orecchio, probabilmente gli sospira un: «Bravo». Poi appoggia la sua spalla a quella di Nairo, che contraccambia e ribatte. «Es bueno, es bueno…».

E la fiducia o quel “es bueno”, non sono solo di facciata o di sensazioni. Negli ultimi 15 chilometri, cioè da quando è scattato Pogacar, Nairo è stato il terzo più veloce. Ha incassato 2’58”, una decina di secondi in più di Bardet, che però non era stato in fuga tutto il giorno, ma aveva sempre viaggiato coperto a ruota.

Ha ragione Sciandri: il motore, quando c’è, prima o poi viene fuori.

Uae Team Adq, in piena espansione. Parla Cherie Pridham

19.05.2024
5 min
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Se in campo maschile tutti guardano all’Uae Team Emirates come la squadra attualmente più forte del lotto (grazie soprattutto alle imprese di Pogacar), fra le donne la situazione è più complessa. L’Uae Team Adq è sicuramente un team di riferimento, ma il suo peso specifico pur importante non è paritetico. Quest’anno sono arrivate finora 6 vittorie, un bilancio lontano da quello non solo della Sd Worx, riferimento del settore, ma anche di altre formazioni.

Parliamo di una formazione in crescita, da considerare in piena evoluzione nella ricerca di un’identità definita. Cherie Pridham, manager della squadra si sta adoperando per dargliela conscia del fatto che serve tempo.

«Ovviamente vogliamo sempre più risultati. Vogliamo far crescere ogni squadra, quella maggiore come il devo team e stanno crescendo rapidamente. Sono piuttosto soddisfatta del punto dove siamo arrivati sotto la nuova gestione, con l’impegno mio e del team di direttori sportivi. Ci sarebbe piaciuto di meglio, soprattutto nel periodo delle classiche belghe, ma abbiamo colto piazzamenti importanti, che valgono».

Una delle 6 vittorie in casa Uae, quella di Eleonora Gasparrini a La Classique Morbihan
Una delle 6 vittorie in casa Uae, quella di Eleonora Gasparrini a La Classique Morbihan
Che cosa è mancato nel periodo delle classiche?

Semplice: un po’ di fortuna. Ovviamente ci vogliono le gambe, ma alcuni risultati non sono andati come volevamo. A volte abbiamo avuto degli incidenti, come con Consonni alla Gand-Wevelgem. Ma dobbiamo prendere quanto di buono c’è stato in ogni situazione.

Il roster di 16 atlete è troppo ristretto per affrontare tutta la stagione?

Nel WorldTour mondiale ci sono molti più corridori, ma il nostro è un movimento che si è sta sviluppando ora. Un paio di elementi in più farebbero comodo, ma bisogna crescere piano e in modo sostenibile economicamente. La partecipazione è ristretta a poche atlete, inoltre al fianco del team principale c’è quello development, insomma di carne al fuoco ce n’è tanta. Le corse femminili crescono rapidamente dobbiamo seguire il flusso senza però esagerare. Dobbiamo far crescere le nostre punte come Consonni o Persico, gestire il team nel suo complesso. Sappiamo che dobbiamo rafforzarci e lo faremo, a ogni livello. Ma occorre procedere passo dopo passo.

La devastante caduta alla Vuelta a Burgos. Per Bertizzolo, a terra, il responso è la frattura a un braccio
La devastante caduta alla Vuelta a Burgos. Per Bertizzolo, a terra, il responso è la frattura a un braccio
L’infortunio della Bertizzolo quanto peserà nel prosieguo della stagione?

Ho parlato con Sofia dopo la diagnosi del radio rotto. Ma le gambe funzionano. Servirà solo un po’ di recupero dall’incidente iniziale. So che Sofia tornerà preso, stiamo già pensando ad un ritorno strategico. Il Giro potrebbe ancora essere un’opzione, ma sempre in accordo con il team medico.

Ci saranno novità il prossimo anno, sia a livello manageriale che di atlete?

Per quanto mi riguarda, no, penso che ci stiamo stabilizzando bene. Naturalmente io sono il manager, quindi non è mio compito discutere di contratti. Per quanto riguarda lo staff verrà consultato ovviamente, ma non spetta a me deciderlo. Non sono a conoscenza di alcun cambiamento al momento.

Davide Arzeni, uno dei diesse, portato in trionfo dopo la tripletta al GP Liberazione
Davide Arzeni, uno dei diesse, portato in trionfo dopo la tripletta al GP Liberazione
A Giro e Tour con quali ambizioni andate, per puntare alle tappe o alla classifica?

Dobbiamo essere realistici e con la squadra che abbiamo, le vittorie di tappa sono un obiettivo chiaro per noi. Per salire di livello e di ambizioni serviranno ancora 1-2 anni. Poi nello sport non si può mai sapere, il podio della classifica generale al Tour de France può sempre arrivare, non c’è nulla di impossibile. Hai bisogno che tutto vada per il verso giusto, ma per il futuro di questa stagione, penso che saremo contenti delle vittorie di tappa.

Voi avete in squadra un forte numero di italiane: quanto è utile che ci sia un gruppo della stessa nazione?

È un gruppo di corridori e staff che ho ereditato, ma non è una situazione diversa da quando lavoravo alla Lotto, dove c’era uno zoccolo duro belga perché era un team belga. Qui le radici sono italiane. Nel destino del team c’è una maggiore internazionalizzazione, aprendo la porta a esperienze diverse, nazionalità diverse, culture diverse. E’ un passaggio importante. Ma questo avverrà in futuro. Per ora stiamo lavorando con un buon gruppo di staff e persone motivate e, ovviamente, le ragazze si stanno abituando allo stile di gestione. I progressi ci sono e sono evidenti.

Silvia Persico dovrebbe essere la punta della Uae nei grandi giri, con uno sguardo alla classifica
Silvia Persico dovrebbe essere la punta della Uae nei grandi giri, con uno sguardo alla classifica
Quale risultato da qui alla fine della stagione renderebbe il vostro bilancio completamente positivo?

Penso che una vittoria di tappa in un Grand Tour sia lo snodo più significativo. Dobbiamo essere aggressivi nelle gare e non essere solo un numero, vogliamo lottare per quella vittoria e se questo ci permette di vincere tappe al Giro e al Tour, questo mi renderà molto felice.

Hai lavorato a lungo nell’ambiente maschile: questi anni con le ragazze sono più facili o difficili?

Domanda delicata, bisogna stare attenti qui – afferma ridendo la Pridham – Sono cresciuta come atleta e so quanto fosse difficile quando lo ero. Penso che il ciclismo femminile stia diventando sempre più professionale. C’è una crescita continua, anche nella percezione stessa del nostro mondo da parte delle sue protagoniste. La squadra e i corridori stanno spendendo molto di più, investendo molto di più in se stessi per diventare più professionali. Con le donne l’approccio è un po’ diverso. Quando ti rivolgi a una squadra professionistica maschile, puoi essere un po’ più diretto. Come donne, per natura vogliamo sapere tutto. Vogliamo più spiegazioni, più ragionamenti. Ma diventeranno sempre più coinvolte nella loro carriera.

Ulissi: una stagione diversa con grandi soddisfazioni

19.05.2024
4 min
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La stagione di Diego Ulissi prosegue lontana dai Grandi Giri, il toscano del UAE Team Emirates continua a raccogliere risultati di tutto rispetto. Il ritorno dal Giro di Ungheria, dove ha colto un secondo posto e due piazzamenti in top 10, ha il sapore di casa. 

«Sto bene – racconta Ulissi – sono tornato dall’Ungheria e ora sto un po’ a casa fino alla prossima corsa, il GP Gippingen, del prossimo 7 giugno. Tutto sta andando secondo i piani, sto facendo il mio con tantissimi piazzamenti e già una vittoria all’attivo».

Alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali il primo successo di stagione
Alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali il primo successo di stagione

La richiesta della squadra

Il Giro d’Italia prosegue la sua rotta verso Roma e in gruppo la UAE Emirates la sta facendo da padrona. Ma chiaramente tra le sue fila manca Diego Ulissi, che dopo cinque partecipazioni consecutive non era al via della corsa rosa. 

«Già da dicembre – spiega – mi era stato comunicato che non avrei fatto grandi Giri. Il ciclismo moderno e le esigenze della squadra richiedono che si cerchi di fare punti anche in altre gare. Sono un corridore che ha dimostrato di essere in grado di raccogliere ancora risultati e piazzamenti. E’ una strategia della squadra che condivido e che ho appreso con la massima serenità. Matxin ha preso questo tipo di scelta e io mi sono messo a disposizione come sempre».

Al Giro d’Abruzzo un secondo posto nella tappa di Prati di Tivo, alle spalle di Lutsenko
Al Giro d’Abruzzo un secondo posto nella tappa di Prati di Tivo, alle spalle di Lutsenko
I risultati parlano chiaro.

La motivazione è che vado alle gare e posso vincere. Piuttosto che andare al Giro per tirare, hanno preferito mettermi a caccia di risultati. Io prendo le scelte del team e le accolgo in maniera serena, posto che sarei andato anche al Giro a tirare per Pogacar, come ho fatto negli ultimi due anni per Almeida. 

La stagione ti ha dato le giuste soddisfazioni fino ad ora?

In questi anni ho sempre mantenuto un livello molto alto e mantenerlo non è semplice. Non ci sono gare più o meno importanti, anche quelle che sono considerate di secondo livello richiedono di essere al 100 per cento. Sono contento di quanto fatto sin qui. 

Per competere con i giovani Ulissi ha alzato l’intensità dei sui allenamenti
Per competere con i giovani Ulissi ha alzato l’intensità dei sui allenamenti
Non facendo un grande Giro hai cambiato qualcosa nella preparazione?

I ritmi in allenamento sono più alti, così da arrivare alle gare pronto e in condizione. Nell’arco della stagione ho corso molto (33 giorni fino ad ora, ndr) quindi non ho avuto tanto tempo per fare allenamenti particolari. 

In generale non è cambiato nulla?

Negli ultimi anni sì, per rimanere competitivo contro i più giovani mi sono dovuto adattare anche io. Non correndo un grande Giro ho alzato i livelli di intensità a discapito della resistenza. Anche perché per il discorso dei punteggi il livello del gruppo alle corse si è alzato ulteriormente. Ad ogni gara si va per vincere. 

La preparazione di Ulissi è variata quel poco che serve per essere competitivo nelle brevi corse a tappe (foto UAE Emirates)
La preparazione di Ulissi è variata quel poco che serve per essere competitivo nelle brevi corse a tappe (foto UAE Emirates)
Cambiando calendario e disputando gare diverse, hai notato qualche differenza?

Come detto la competizione, che è sempre alta. Una volta alle gare di cosiddetta seconda fascia si arrivava meno preparati, ora non succede più. 

Il programma per la seconda parte di stagione cosa prevede?

Adesso finisco la prima parte con il Giro di Slovenia e il campionato italiano. La seconda metà di stagione rimarrà uguale agli ultimi anni con Appennino, Giro di Polonia e tante gare di un giorno o di una settimana. L’unico appuntamento che ho saltato è stata la Tirreno per un malanno. 

La crono a Ganna, il re è tornato. E dice grazie a Pogacar

18.05.2024
6 min
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DESENZANO DEL GARDA – E’ fatta. Sotto il podio la grande famiglia di Ganna sorride come in poche occasioni, come dopo le vittorie più importanti. La cronometro ha ritrovato il suo re, ma gli ultimi minuti nell’attesa di Pogacar sono stati uno stillicidio insopportabile. Lombardi ha la faccia del pericolo scampato. I genitori sono dietro il podio. Papà Marco è seduto e dice che ci voleva, per tutto quello che avrebbe comportato un’eventuale sconfitta. La mamma guarda la cagnolina Mya stesa per terra e fa notare che anche lei è sfinita. Cioni dice che era ora.

«Per la forma che aveva – precisa il diesse toscano – e per il lavoro fatto. E’ stato sfortunato a Sanremo, era arrivato secondo nella crono della Tirreno. Fare secondo come a Perugia avrebbe bruciato come avere zero vittorie. Stamattina siamo tornati sul percorso. Abbiamo scelto il monocorona da 64 con pignoni 11-34 per avere una scala. Ha fatto fatica a ingranare per i primi 2-3 chilometri. Poi quando ha iniziato ad andare, andava veramente forte. Non ero tanto preoccupato, perché mi aspettavo che nel finale Pogacar calasse. Ma lo avevamo pensato anche a Perugia, per cui con Tadej non si può dare mai nulla per scontato».

Quel ragazzo in rosa

Ganna ha voglia di parlare. Tirare fuori il tumulto che aveva dentro e che spesso tiene per sé. Le immagini mentre aspettava che arrivasse Pogacar sono state estenuanti, aveva negli occhi la paura che si ripetesse la beffa di Perugia. Accanto a lui a un certo punto è spuntato Jonathan Milan, che per fortuna l’ha aiutato a calare la tensione. E Pippo racconta.

«Dietro a questa vittoria – dice – c’è tanto lavoro, soprattutto quando sai che al giorno d’oggi la differenza la fai veramente nelle piccole cose. Ormai anche l’uno per cento di ogni minima cosa ti fa fare la differenza. Siamo stati in galleria del vento prima di venire qua. Abbiamo cercato di migliorare la posizione, cercato di fare tutto il meglio. Anche nella crono di Perugia, quando era veloce, riuscivo a mantenere i miei soliti standard di velocità. E oggi non c’era la salita di quel giorno. E comunque c’è stato un ragazzo di rosa che mi ha fatto soffrire tanto».

Pogacar è stato in testa fino alle porte del tratto più veloce, poi è calato e ha preferito mollare
Pogacar è stato in testa fino alle porte del tratto più veloce, poi è calato e ha preferito mollare

Niente di scontato

Un Pogacar così forte a cronometro, specie se piatte, non se lo aspettava nessuno. Alla vigilia di questa tappa, tanti temevano che potesse batterlo ancora, come se nei giorni scorsi si fosse trattenuto dal dare tutto. E quando ai primi intermedi lo sloveno ha iniziato a fare tempi migliori rispetto all’azzurro, la paura si è fatta largo.

«Come ho detto già a tanti – riprende Pippo – devo anche ringraziarlo per avermi stimolato giorno per giorno. Per arrivare a questo obiettivo e cercare di vincere. Sembra facile. Ganna arriva alle crono e vince. Magari! Firmerei anche io un pezzo di carta in cui ci fosse scritto questo. Andrei a dormire molto più rilassato e alla mattina mi sveglierei come un bimbo. Però non è mai scontato, non è mai facile. Riuscire a vincere dà quel colpo in più di morale, anche in vista della prossima settimana.

«Il giorno dopo Perugia c’era una tappa veramente tosta e dopo due chilometri sono stato il primo a staccarmi insieme a Gaviria. Non so se di testa perché avevo mollato o se perché ho avuto una giornata no. Però l’idea di affrontare 160 chilometri di gruppetto non è mai facile. Per questo ogni giorno ho cercato non tanto di risparmiare, ma certo di tenere più energie possibili per arrivare a oggi e spingere sui pedali sia con le energie positive, sia con quelle negative».

Il test con Foccoli

Fuori c’è un baccano d’inferno di gente che chiama lui e chiama Pogacar, come un tifo trasversale che s’è innamorato sì dello sloveno in rosa, ma sa riconoscere la passione e la forza del gigante piemontese. E Ganna va avanti a raccontare.

«Devo dire grazie alla gente – dice – c’era tanta gente che mi ha dato veramente un supporto incredibile. Anche grazie a loro oggi siamo riusciti a portare a termine questa piccola impresa. Sono stati soltanto 32 chilometri, ma nella testa sono sembrati molto più lunghi, quasi una Sanremo. Volevo vincere. Desenzano è quasi la seconda casa, con la pista a pochi chilometri. Ero venuto a vedere il percorso anche prima del Giro, dopo il Tour of the Alps, insieme al meccanico Andrea Foccoli. Mi aveva seguito lui quel giorno, mi ha accontentato e ha detto: “Va bene, andiamo a provarla». Quindi devo dire grazie anche a lui e a tutta la squadra che mi ha fatto arrivare oggi qua con le migliori gambe, con la miglior forza nella testa e con tutto quello che serve per riuscire a vincere».

Alla fine Ganna era commosso: la vittoria sarà benzina per le sue motivazioni
Alla fine Ganna era commosso: la vittoria sarà benzina per le sue motivazioni

L’attesa con Milan

L’ultima battuta, proprio prima di tuffarsi nell’affetto di quel pubblio straordinario, Ganna la dedica a quegli estenuanti e assieme divertenti minuti assieme a Milan. Solo due atleti azzurri per ora hanno vinto tappe in questo Giro: loro due. Ed entrambi vengono dal gruppo della pista, che oggi si è presentato qui per fargli sentire il suo calore. Alla partenza c’erano Viviani, Scartezzini e Lamon, la sua famiglia: un altro motivo per dare tutto.

«Con Johnny – ride – abbiamo avuto anche tempo di scherzare. Gli ho detto: “Pensa Johnny, tu aspetti 4-5 ore di tappa, poi fai la volata. Sono 17-20 secondi di volata e sai immediatamente se hai vinto o perso. Io ho aspettato due ore, ti rendi conto? Io sono qui che ho finito. Ho fatto la mia migliore performance, però fino all’ultimo, finché l’altro non taglia il traguardo, non saprò mai se ho vinto oppure ho perso”. Quindi è stato un momento un po’ così. Lui è arrivato da dietro l’angolo, ha fatto cucù con la testa. Quando l’ho visto, gli ho detto: «Dai Johnny, vieni vicino perché mi serve un supporto per finire la giornata…».

La crono con Scaroni: «Oggi risparmio, domani punto»

18.05.2024
7 min
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DESENZANO DEL GARDA – Si parla sempre delle crono di chi ci punta forte: dai rapporti ai body, dalle pedivelle alla bici. Invece per alcuni atletile cronometro individuali dei grandi Giri rappresentano un occasione di “recupero”. Un’occasione per poter fare meglio nei giorni successivi.

Ed è questa la situazione di Christian Scaroni. Il lombardo ha affrontato la crono di oggi in modo controllato in quanto domani vorrebbe fare bene nel tappone di Livigno. Abbiamo preso “Scaro” come esempio, ma di gente che domani vuole andare in fuga e che si è gestita come lui ce n’era davvero tanta in gruppo.

La sua squadra, l’Astana-Qazaqstan ci ha dato l’opportunità di seguirlo dall’ammiraglia, per poter raccontare questo approccio particolare.

La giornata di Scaroni

Sull’esterno del bus turchese è appeso il programma di ogni corridore. E’ da qui che apprendiamo, come tra l’altro ci aveva mostrato in mattinata Federico Borselli, che per Scaroni, come per gli altri, la sveglia era libera, l’importante era presentarsi a colazione per le 9.

Quindi sgambatina, doccia, pranzo tre ore prima del via, e arrivo al bus per le 13,30. La sua partenza era alle 15,42, “Scaro” perciò iniziava il riscaldamento alle 15,02 per completarlo alle 15,27. Qualche istante per fare i bisogni, prendere un gel e recarsi al via, distante circa un chilometro dalla zona dei bus.

Il piano è chiaro: fare la crono bene, ma soprattutto con l’idea di risparmiare energie in vista di Livigno e dei giorni successivi. La strategia prevede un pacing al di sotto della soglia aerobica.

Noi intanto lasciamo la zona dei bus con l’ammiraglia. Prendiamo posto nella fila e ci mettono la targa col nome di Scaroni. Ci avviciniamo al percorso. Tramite un apposito ingresso tra le transenne, non appena sfreccia la maglia turchese di Christian, varchiamo quell’ingresso e ci mettiamo alla sua ruota.

A ruota di “Scaro”

Dall’altimetria sembra un percorso piatto e velocissimo. Neanche per sogno. Specie fino al secondo intermedio, strappetti, curve, rotatorie, tratti in pavè e dossi (ben 30 nei primi 25 chilometri) si susseguono senza soluzione di continuità.

Scaroni si spiana sulla sua Wilier Turbine. Dopo circa 10′ dal via, in lontananza si intravede un corridore. E’ Mauri Vansevenant. Christian praticamente lo terrà lì per tutta la tappa. Solo nel finale lo stacca.

Dall’ammiraglia arrivano le indicazioni sulla strada. Yuri Belezeko con la radio lo guida dalla macchina. Ma molti consigli glieli dà Gabriele Tosello, capo meccanico del gruppo kazako che di crono ne ha fatte tante.

Per esempio consiglia a Belezeko di non avvicinarsi troppo con la macchina quando Scaroni sta riprendendo Vansevenant. «Più tardi ti vedono, più tardi si spostano. In questo modo la loro ammiraglia fa da riferimento a Christian». Trucchi del mestiere.

Scaroni in azione verso Desenzano, alla fine ha chiuso 77° a 5’07” da Ganna. Obiettivo risparmio centrato alla perfezione
Scaroni in azione verso Desenzano, alla fine ha chiuso 77° a 5’07” da Ganna. Obiettivo risparmio centrato alla perfezione

Questa era la “cronaca” della cronometro di Scaroni. Tenetela a mente, perché sarà la “colonna vertebrale” di quello che ci racconta ora Christian. I suoi progetti, i suoi pensieri…

Christian, insomma una buona crono per quel che ti interessava…

Direi di sì. E’ andata come volevo. Sono soddisfatto. Conoscevo tra l’altro quelle strade, tutti quei su e giù, destra e sinistra, perché da esordiente e allievo correvo qui. E infatti non è mancato neanche il tifo! 

Piccolo passo indietro: mentre ti scaldavi sui rulli ci hai detto: «Colazione e pranzo leggeri». Puoi entrare nel dettaglio?

A colazione ho preso un’omelette e una fetta di pane. Poi sono uscito per una sgamabata leggerissima, un’oretta, giusto per sciogliermi un po’ e poi ho pranzato. Circa 200 grammi di riso a cui si è aggiunto un gel.

E quindi 25′ di riscaldamento, con qualche minuto un po’ più impegnato, e sei partito per la crono. All’inizio hai fatto un gesto: non sentivi la radio?

In realtà credevo fosse rotta, ma avevamo fatto solo pochi metri e di fatto Yuri ancora non aveva parlato molto. Il discorso è che molti non vogliono tante informazioni, a me invece piace sapere tutto del percorso. Mi aiuta a gestirmi. Anche perché a Perugia dopo la prima curva sono caduto!

Possiamo ben capire allora… Belezeko aveva un foglio con tutti i punti più insidiosi. E te li elencava man mano.

Quelle indicazioni provengono da Fortunato e Velasco, che hanno fatto la ricognizione. Anche io mi ci sono attenuto. Tra l’altro non essendo una tappa cui puntavo non ho rischiato nulla. In qualche curva che si sarebbe potuta fare in posizione da crono, ho messo le mani sulla piega. Idem sui dossi. Perdere un secondo in più non mi cambiava nulla.

Veniamo al “pacing”, al ritmo di gara. Sei riuscito a rispettare la Z3-Z4 che ci avevi detto?

Sono riuscito a gestirmi bene nel complesso. Prima del via avevo parlato con coach Mazzoleni: era importante perché la crono era lunga. Così abbiamo deciso di partire un po’ più forte. Fare i primi 8′-9′ per andare a prendere il corridore davanti (Vansevenant, ndr). 

Perché?

Perché sapevo che anche lui non l’avrebbe fatta forte, mentre proprio per una mia personale gestione dello sforzo, lui mi avrebbe fatto da punto di riferimento, anche se chiaramente non potevo sfruttarne la scia. E infatti dopo che l’ho preso i miei watt sono calati un po’.

Pensa che dall’auto avevamo avuto la sensazione opposta. Vedendo che lui non si faceva sorpassare, credevamo ti mandasse fuori tabella…

No, no… ho scelto questa tattica, prenderlo prima, perché a me fa più fatica fare la crono basandomi sui watt del computerino che su un riferimento visivo. E’ una “furbata” del mestiere. A volte due atleti che non hanno velleità di classifica si parlano e si aspettano.

Il momento in cui Scaroni agguanta Vansevenant, siamo a circa un terzo della crono
Il momento in cui Scaroni agguanta Vansevenant, siamo a circa un terzo della crono
E tu avevi parlato con Vansevenant?

No, anche perché non abbiamo questa confidenza, ma sapevo e immaginavo che non l’avrebbe fatta forte, anche perché come me, e molti altri, lui domani potrebbe fare qualcosa. Quindi con Mazzoleni abbiamo pensato: meglio fare 7-8 chilometri più forti e poi metterci “comodi”.

Però nel finale te ne sei andato, perché?

Perché tutto sommato stavo bene. E mi sono sentito di allungare un po’, così ho accelerato. Alla fine sono stato in Z4 nella prima parte, poi mi sono messo in Z3 e pertanto mi sono gestito tranquillamente. Il mio wattaggio è stato quello ipotizzato, anzi sono riuscito a stare anche un filo sotto: 290-300 watt (contro i 300-310 pronosticati, ndr). Questo aiuta a salvare un po’ la gamba.

Dopo la crono, sei tornato in bici in hotel?

Sì, ho fatto un giretto facile, facile. La doccia. Ho preso il recupero. E adesso farò i massaggi.

Stasera a cena cosa mangerai, anche in vista della tappa di domani verso Livigno che sarà lunga e durissima?

Di preciso non lo so. Il nutrizionista sta facendo il calcolo di quanto speso proprio adesso e a tavola scoprirò le quantità precise di quel che dovrò mangiare. Ma di certo ci saranno dei carboidrati anche in vista di domani.