Giro Next Gen, prove di WorldTour: comanda la prestazione

12.06.2024
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Domenica nella crono ha vinto Soderqvist: 21 anni, della Lidl-Trek. Lunedì è toccato a Magnier: 20 anni della Soudal Quick Step. Ieri ha vinto Jarno Widar – 18 anni della Lotto-Dstny – forse il più ragazzino eppure uno dei predestinati (foto di apertura). Al primo arrivo in salita, diversi corridori di piccole squadre sono andati a casa, altri hanno rischiato di farlo. La Arvedi Cycling ne ha persi quattro su sei: due ritirati, due fuori tempo massimo. Spiega il manager Rabbaglio che sono stati male, altrimenti tre sarebbero arrivati. Il Giro Next Gen è cominciato solo da tre giorni eppure scorrendo le classifiche si ha la sensazione di trovarsi in una gara WorldTour.

Fa eccezione l’ottimo quinto posto di Kajamini (Team MBH Bank Colpack Ballan) nella tappa di ieri. Per il resto comandano i devo team, come prevedibile. Ma soprattutto stanno imponendo al gruppo un modo di correre da professionisti navigati. Scordiamoci l’andare garibaldino degli U23 di pochi anni fa.

Il gruppo lascia la Valle d’Aosta, sullo sfondo il forte di Bard (foto Giro Next Gen)
Il gruppo lascia la Valle d’Aosta, sullo sfondo il forte di Bard (foto Giro Next Gen)

La mossa di Pinarello

Ad esempio ieri il coraggioso Pinarello, vincitore quest’anno del Palio del Recioto, è andato all’attacco lontano dall’arrivo, si è lasciato cuocere e nel finale non ha avuto forze quando i vari leader hanno iniziato a fare la corsa. Per questo abbiamo chiesto al suo tecnico Mirko Rossato di capire in che modo si stia correndo al Giro Next Gen. Il padovano ha seguito la squadra maggiore per buona parte del Giro dei grandi, il confronto gli viene facile.

«Poteva andare meglio – dice ragionando sulla tappa di Pian della Mussa – ma purtroppo Pinarello ha sbagliato. Si è fatto abbindolare, non deveva andare via a 18 dall’arrivo. E’ rimasto a bagnomaria per 10 chilometri e poi l’ha pagata. Doveva aspettare i 4 chilometri, invece ha visto partire Graat della Visma e Donie della Lotto-Dstny e gli è andato dietro. Era Paletti semmai che doveva muoversi in quel momento, lui doveva stare fermo e aspettare il finale».

La sensazione però è che si stia correndo davvero in stile WorldTour.

Esattamente così. Ci sono tre fasi di corsa. La prima è la solita fuga che non interessa a nessuno, sempre in base al percorso. Poi arriva la squadra che prende in mano la corsa, come ieri la Visma. Infine dopo aver fatto le salite, con le squadre un po’ decimate, viene avanti chi ha ancora i tre-quattro corridori e da quel punto si corre da professionisti. Si decide qual è il corridore di punta e gli altri lavorano. Noi per ora non facciamo questo.

Perché?

Cerco di dare spazio a tutti perché possano giocarsi le proprie carte. E semmai in finale, quando si decide chi è l’uomo in forma, chiederò agli altri di aiutare. Però vi confermo che si sta correndo come nei professionisti. A maggio abbiamo fatto l’Alpes Isere Tour, dove ha vinto ugualmente Widar e noi abbiamo fatto ottavi, noni e decimi in classifica. Anche lì c’erano le dinamiche delle squadre pro’. Porti il corridore veloce se vedi che c’è una tappa adatta, altrimenti la squadra lavora per chi fa la classifica. Non c’è più spazio per azioni da lontano, il gruppo è in grado di chiudere. In Italia si corre allo stesso modo solo nelle internazionali.

Dove infatti arrivano anche i devo team?

Esatto, dipende dai partecipanti. Se c’è un bel numero di devo team, si corre ancora da professionisti. Come al Palio del Recioto oppure al Belvedere. Altrimenti se non ci sono le devo straniere, si corre un po’ più alla garibaldina, da dilettanti. Guardate l’ordine di arrivo di ieri, sono tutti nomi da WorldTour. Loro il posto per il Giro devono conquistarselo, così come il posto nella squadra principale, quindi la prima selezione ce l’hanno all’interno. Io invece voglio vedere effettivamente dove può arrivare un corridore e semmai chiedo che lavorino per un compagno in base alle tappe. Lunedì ad esempio siamo partiti per fare la corsa per Conforti e in finale si sono messi a disposizione e siamo arrivati secondi.

Quindi il Giro Next Gen non è più una corsa in cui si possa fare esperienza…

Esatto, comanda la prestazione. Quelli che non sono stati invitati non so cosa avrebbero potuto fare. Forse dovrebbero fare più corse a tappe all’estero per sperare di venire qui a fare una bella corsa. Noi le gare a tappe le facciamo e anche qui abbiamo una buona squadra, ma alla fine per abbiamo raccolto poco o niente. Avevamo grandi ambizioni, ma basta che sbagli un attimino e la paghi.

Probabilmente, ragionando come i devo team, sareste dovuti venire a vincere il Giro Next Gen con Pellizzari?

Probabilmente qualcuno avrebbe ragionato così. Noi abbiamo rinunciato a portarlo per lasciargli fare il Giro dei grandi. Se avessimo voluto, l’avremmo portato e sono certo che Giulio sarebbe stato a giocarsi la vittoria. Però l’abbiamo visto maturo ed era giusto che corresse con i grandi. Non siamo stati egoisti e qui abbiamo portato un ragazzo giovane come Turconi per fare esperienza in prospettiva futura. Ma avete ragione: abbiamo rinunciato all’ambizione più grande, che era quella di vincere il Giro.

In che modo per Pinarello l’errore di oggi sarà qualcosa di utile?

Gli servirà certamente di lezione, adesso sarà mio compito motivarlo. La sua ambizione non era quella di perdere due minuti, ma di fare il podio. C’è ancora spazio e so anche che già nella tappa di Fosse, se ha le gambe, possiamo fare qualcosa. Il guaio di questa corsa è che si ragiona e ci si muove come professionisti, ma non si usano le radioline. Io sono favorevole che con i giovani se ne faccia a meno, mi piace spiegarglielo e aspettare che poi lo mettano in pratica. Però in certi casi… Se ieri avessi avuto la radio, a Pinarello avrei detto di rialzarsi subito. Lo avrei fermato. Però emerge un’altra cosa. Quelli che dominano sono capaci di correre anche all’antica, sono corridori formati davvero bene.

Majerus, la vittoria sfumata e la furia di Kopecky

11.06.2024
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Due anni di attesa. Certo, se guardate il palmarés di Christine Majerus ogni stagione compare la sua vittoria al campionato nazionale lussemburghese, ma lei stessa ne conosce il valore relativo. Ne ha vinti 31 fra gare in linea e a cronometro, ma non è la stessa cosa. Non è lo stesso di qualsiasi altra corsa, con compagne di squadra ed avversarie di ogni parte del mondo, di qualsiasi categoria sia. Era dall’11 marzo 2022 che aspettava di cogliere il risultato pieno e quando hai 37 anni sai che ogni occasione conta, il tempo ti sta sfuggendo di mano come sabbia tra le dita.

La lussemburghese è campionessa nazionale in linea ininterrottamente dal 2010, a cronometro dal 2007
La lussemburghese è campionessa nazionale in linea ininterrottamente dal 2010, a cronometro dal 2007

Christine, è il tuo giorno…

Tappa finale del Tour of Britain. La Sd Worx sta facendo il suo solito, comanda la classifica generale con l’iridata Lotte Kopecky, quella a squadre, quella a punti, se ci aggiungiamo le vittorie di tappa è il bottino al quale nel ciclismo si è ormai abituati. Al mattino, riunione prima della corsa, si valuta che cosa fare. La difesa del primato non è in discussione, ma si pensa che sarebbe bello fare qualcosa di diverso dal solito.

Durante la tappa, quasi 100 chilometri con partenza e arrivo a Manchester, il team trova l’accordo: si corre per Christine. E’ il giusto premio per il suo impegno. Questa volta Kopecky e Wiebes saranno le sue luogotenenti, la piloteranno verso il traguardo, ma poi starà a lei dare la zampata finale. La lussemburghese è fuori di sé dalla gioia, durante la corsa si vede il suo sorriso, sa che sta per succedere qualcosa che aspettava da tempo. E’ pur sempre una prova WorldTour, metterci la propria firma alla sua età non è cosa di tutti i giorni.

Per tantissime volte gregaria, per la Majerus quella britannica era la giornata per prendersi la sua soddisfazione
Per tantissime volte gregaria, per la Majerus quella britannica era la giornata per prendersi la sua soddisfazione

Fuori causa la Paternoster

Si arriva alle battute conclusive e a fare la volata non sono neanche in tante, il gruppo si è sfaldato. Non c’è neanche quella spina nel fianco della Paternoster, attardata da una foratura che le costerà il podio nella classifica generale. Loro però ci sono, in forze e la volata la lanciano come quelle che sanno di essere le padrone. Solo che questa volta i ruoli sono invertiti.

Christine si lancia, sicura, pregustando il tutto. Kopecky e Wiebes sono lì, quasi scudiere del suo successo, lontane pochi centimetri. Alza il braccio. Lo alza troppo presto, al suo fianco c’è inattesa Ruby Roseman-Gannon, la campionessa nazionale australiana. Neanche l’aveva vista.

La sfortunata volata della Majerus con l’australiana che la passa sulla sua sinistra
La sfortunata volata della Majerus con l’australiana che la passa sulla sua sinistra

Davide contro Golia

Già, perché l’assenza forzata della Paternoster aveva scombinato i piani della Liv Jayco Alula, con l’australiana che non sapeva più che la compagna non c’era, quindi niente più treno da mettere insieme, ma lei si è buttata lo stesso, con coraggio, quasi un Davide contro il Golia identificato nell’intero team olandese. Forse neanche si erano accorti che anche lei si stava precipitando verso l’arrivo.

E’ questione di centimetri. Un battito d’ali. Un tuffo al cuore. Il responso è impietoso: ha vinto l’australiana e in casa Sd Worx volano gli stracci. La Kopecky è un fiume in piena davanti ai primi taccuini: «Abbiamo scelto di puntare su Christine nello sprint e lo abbiamo fatto alla perfezione fino alla fine. Quando ho visto Christine andare ero sicura che avremmo vinto, invece è stato uno stupido errore. Avrebbe potuto essere un bel finale per Christine, ma abbiamo concluso bene come squadra» per poi andarsene verso il pullman della squadra. I dirigenti la calmano, le dicono di gettare acqua sul fuoco.

Christine insieme alle compagne dell’SD Worx. A Manchester tutto era filato liscio fino allo sprint…
Christine insieme alle compagne dell’SD Worx. A Manchester tutto era filato liscio fino allo sprint…

Parola d’ordine: ammorbidire i toni…

Gli addetti stampa fanno il loro mestiere che è anche quello di edulcorare quello che avviene. Le successive dichiarazioni sono molto più morbide, rilasciate via social (e naturalmente concordate): «Può sembrare sciocco, ma si può capire la nostra decisione solo se si sa quanto rispetto abbiamo l’una per l’altra. Abbiamo deciso di lasciare che Christine sprintasse per la vittoria. Anche se non è andata come previsto, avremmo comunque fatto la stessa scelta».

Christine è a terra. In tanti anni di carriera mai le era capitata una cosa simile, assaggiando tutto d’un colpo la delusione propria unita a quella delle compagne, delle capitane. Testa bassa, con le spalle che sembrano sostenere un peso enorme. I giornalisti sono impietosi, la notizia è la sua sconfitta, o meglio come essa è arrivata. Lei riesce a dire poche parole, in maniera sommessa: «È colpa mia se ho esultato troppo presto, ma complimenti a Ruby per aver creduto nelle sue possibilità fino al traguardo. Ringrazio le mie compagne per avermi dato la possibilità e mi dispiace di aver rovinato tutto».

Il fotofinish che all’Amstel ha punito la Wiebes, anche lei esultante troppo presto
Il fotofinish che all’Amstel ha punito la Wiebes, anche lei esultante troppo presto

Chi è senza peccato…

Conoscendo il suo impegno, la sua abnegazione, il rispetto per la sua carriera (è nel massimo circuito fin dal 2008) meritava un epilogo diverso. Anche perché qualcuno in passato diceva “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” e non c’è neanche bisogno di andare troppo indietro nel tempo: Amstel Gold Race, la Wiebes alza la mano dal manubrio e la Vos la beffa. Forse prima di giudicare bisognerebbe pensarci due volte e venendo via da Manchester molti si chiedevano: ma le daranno un’altra chance?

Polmonite alle spalle, Uijtdebroeks rilancia sull’estate

11.06.2024
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Quasi certamente non avrebbe impensierito Pogacar, però di certo l’uscita di Uijtdebroeks dal Giro ha privato la quotidianità di un elemento di disturbo. Che fosse per la maglia bianca o per un piazzamento sul podio, il belga della Visma-Lease a Bike avrebbe attaccato di certo. E a quel punto qualche equilibrio alle spalle della maglia rosa sarebbe potuto cambiare.

In questi giorni lo abbiamo ritrovato in gara al Tour de Suisse, corsa che nel 2023 chiuse al nono posto con qualche bella azione in montagna. Il suo percorso nella squadra olandese è stato colpito da identica sfortuna. Intendiamoci, anche il 2023 non fu baciato dalla sorte migliore: ricordiamo bene i guai alla partenza del Giro e le sostituzioni in extremis. Quella Jumbo Visma però era talmente piena di campioni al top della forma, che non ebbe problemi a concludere l’anno in modo trionfale. Quest’anno, partito Roglic, la sfortuna ha colpito anche i pezzi grossi e le cose si stanno mettendo maluccio.

«Incredibile tanta sfortuna – ha detto Uijtdebroeks al belga Het Nieuwsblad al via dello Svizzera – e continua ad andare avanti. Kruijswijk e Van Baarle, entrambi concentrati specificatamente sul Tour, hanno avuto problemi seri. Fortunatamente abbiamo una squadra forte, con altri atleti che rientrano anche da malattie o infortuni. Troveremo una soluzione. Per me il Tour non è certamente un’opzione. Primo perché non era mai nei miei programmi e quindi non l’ho preparato. Secondo perché sono ancora molto giovane. A meno che tutti i corridori dell’intera squadra non si fermino di colpo. Ma per fortuna questa possibilità mi sembra inesistente».

Il Giro d’Italia di Uijtdebroeks era cominciato con il 14° posto nella tappa di Torino
Il Giro d’Italia di Uijtdebroeks era cominciato con il 14° posto nella tappa di Torino

La polmonite del Giro

Un senso dell’humor ad alto rischio quello del 21 enne belga della provincia vallone di Liegi, che al Tour de Suisse ha debuttato con una crono senza squilli (in apertura foto Instagram/Visma-Lease a Bike) e una prima tappa in gruppo, dato l’arrivo in volata. La sua ultima apparizione in corsa era stata appunto la decima tappa del Giro, vinta da Paret Peintre nello scenario stupendo di Bocca della Selva, sulle montagne beneventane.

«Avevo davvero la speranza di poter ripartire il giorno successivo – racconta – ma mi sono sentito male. Già la mattina, durante le interviste prima della corsa, mi veniva da tossire, avevo il fiato corto… Però continuavo a pensare a un raffreddore da fieno. Alla fine ho finito anche abbastanza bene, a 13 secondi da Pogacar. Per cui ho pensato che mi sarebbe bastata una notte di sonno per mettere tutto a posto. Invece sui rulli dopo la corsa ho iniziato a capire che qualcosa non andasse, quasi non riuscivo a respirare. Ci siamo accorti che avevo la febbre a 39: il medico ha capito subito che avevo la polmonite e il mio Giro è finito lì. E’ stato un duro colpo. Non avevo mai raggiunto un livello così alto. Soprattutto perché la prima parte del Giro non mi stava piacendo, ma avevo fiducia che andando verso le montagna il bello dovesse ancora venire».

La ripresa ad Andorra

Al momento del ritiro, Uijtdebroeks indossava la maglia bianca dei giovani, seguito a 12 secondi da Tiberi. Proprio quel giorno Antonio gli aveva guadagnato 9 secondi, magari anche per le sue condizioni.

«Era un Giro ancora tutto da correre – prosegue – difficile dire cosa sarebbe successo. Quello che ho visto fare a Pogacar non lo avevo mai visto in vita mia. Era bello corrergli accanto, nel giorno di Rapolano sugli sterrati mi sono divertito e per questo mi dispiace non aver potuto lottare per difendere o migliorare il mio piazzamento. La cosa peggiore è che i problemi ai polmoni sono andati avanti a lungo, più di quanto mi aspettassi. Una sensazione di bruciore e sempre mancanza di respiro, che a quanto pare sono sintomi tipici della polmonite. Alla fine sono rimasto fermo per una settimana, poi ho ripreso e a quel punto è entrato in ballo il Giro della Svizzera. Abbiamo iniziato a ricostruire passo dopo passo, con uno stage in quota ad Andorra. All’inizio con molta attenzione, per non fare più danni della stessa malattia. Ho trascorso lassù più di due settimane e adesso le condizioni sono di nuovo abbastanza buone. Certo non ho la forma del Giro, ho perso parecchio…».

Sono servite due settimane ad Andorra per ritrovare una buona condizione (foto @elcastelletproduccions)
Sono servite due settimane ad Andorra per ritrovare una buona condizione (foto @elcastelletproduccions)

Mirino sulla Vuelta?

Resta ora da capire quale sia il suo vero livello in uno Svizzera che vede al via meno facce da Tour rispetto al Delfinato. Quale sarà il suo posto in gruppo, soprattutto dopo lo stop per la polmonite? Neppure Cian lo sa e quando ha aperto il libro di corsa, non ha avuto grosse sensazioni, salvo poi riprendersi con lo sfogliare le tappe.

«Quando ho visto che nel finale ci sono tante montagne, sono stato felice. Poi mi è preso un colpo vedendo che l’ultimo giorno c’è una cronometro, finché però ho visto che si tratta di una cronometro in salita. Sono motivato, dovrei riuscire di nuovo a raggiungere un buon picco di forma e spero di ottenere qualcosa di buono. Resta da vedere se ciò significhi un posto tra i primi dieci, tra i primi cinque o altro. Non voglio fare pronostici. E a quel punto valuteremo come proseguire la stagione. Non avendo finito il Giro, la Vuelta potrebbe diventare un’opzione, ma non ne abbiamo ancora parlato. Il finale di stagione ha tante possibilità, incluso il mondiale. Intanto il passo successivo saranno i campionati nazionali e poi sarò a disposizione della nazionale».

Lo Svizzera di Velasco, fra mal di gambe e un piano tricolore

11.06.2024
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Sta diventando un tema. Andare a fare una corsa a tappe pochi giorni dopo il Giro d’Italia non è più semplice come una volta. Lo aveva raccontato Fortunato al Delfinato, lo ha confermato ieri Bartoli. La voce che si aggiunge oggi è quella di Simone Velasco. Il campione italiano però al Giro di Svizzera c’è andato con due motivazioni speciali. La prima è vincere una corsa con la maglia tricolore, prima di rimetterla in palio il 23 giugno a Firenze. La seconda è riconquistarla, in modo da continuare il suo viaggio da ambasciatore italiano nel mondo.

«Io gliel’avevo detto a Fortunato che il Delfinato era troppo vicino – dice scherzando il bolognese – poi alla fine è andato anche abbastanza bene, perché è riuscito a prendere la maglia degli scalatori. Gli ho detto che al suo posto ci avrei pensato e che facendo invece lo Svizzera avrebbe avuto più tempo per recuperare, però ormai è andata così».

Nella tappa di avvio dello Svizzera, Velasco e l’Astana hanno lavorato per Cavendish, che però ha chiuso staccato di 8 minuti
Nella tappa di avvio dello Svizzera, Velasco e l’Astana hanno lavorato per Cavendish, che però ha chiuso staccato di 8 minuti
A te invece come sta andando?

Sicuramente non ho potuto mollare più di tanto, altrimenti qui non ci sarei nemmeno arrivato. Quindi ho fatto 4-5 giorni abbastanza tranquilli e poi ho ripreso ad allenarmi, non proprio come se non avessi fatto il Giro, però comunque due o tre allenamenti belli tosti li ho messi dentro. Adesso siamo qua e la condizione è un giorno buona e un giorno male, come succede sempre dopo il Giro. Ho cominciato a notarlo nella tappa di ieri. Ci sono dei momenti che ti senti da Dio e dei momenti che sei morto, però questo si sa. L’anno scorso ero messo forse peggio, perché il Giro l’avevo chiuso al lumicino. Perciò spero di fare un bel risultato in qualche tappa. Con la maglia tricolore ho fatto tanti bei piazzamenti, ma non ho mai vinto e forse è l’unico rammarico che ho di questa stagione.

Quindi il Giro non ti ha dato condizione?

La condizione non te la dà più un Grande Giro, ma solo l’allenamento fatto bene in quota e qualche corsa. Una breve corsa a tappe o una serie di gare di un giorno. Il Giro, come il Tour e la Vuelta, possono darti la gamba buona, ma devi avere il modo di recuperare e per farlo ci vuole del tempo. Qualche anno fa i Grandi Giri erano meno tirati, difficilmente arrivavi alla fine così al lumicino.

Il Giro è stato duro, Velasco ammette di essere arrivato in fondo meglio del 2023, ma piuttosto provato
Il Giro è stato duro, Velasco ammette di essere arrivato in fondo meglio del 2023, ma piuttosto provato
In compenso Van der Poel arriva al Tour avendo fatto in stagione soltanto sette classiche.

Anche da questo si vede che è diventato un cecchino. Prepara gli appuntamenti, vuole arrivarci ben preparato e consapevole della condizione che ha. Effettivamente non si può che dargli ragione, perché quest’anno ne ha sbagliati veramente pochi, anzi direi quasi nessuno. Tutti i grandi corridori vanno mirati agli appuntamenti principali. Addirittura tanti di quelli che andranno al Tour salteranno i campionati nazionali per restare in altura. Siamo arrivati a questi livelli…

Anche tu avresti preferito essere in altura e non allo Svizzera?

Se avessi dovuto scegliere, forse quest’anno non avrei neanche fatto il Giro. Le tappe alla mia portata erano veramente poche e forse mi sarei orientato sul Tour. Avrei fatto una preparazione più centrata sulle classiche e poi l’altura a giugno, per cui sarei arrivato ai campionati italiani molto più fresco. Però d’altro canto con la maglia tricolore è anche bello partire nella corsa di casa. In ogni caso dopo il Giro, avrei preferito staccare un po’, andare in altura e preparare l’italiano. Solo che non andando al Tour, avrei fatto l’altura per una sola gara. Se va bene, sei stato un grande. Se va male, ti prendono per stupido.

Tricolori 2023 a Comano, l’abbraccio fra Velasco e Martinelli che lo guidò dall’ammiraglia
Tricolori 2023 a Comano, l’abbraccio fra Velasco e Martinelli che lo guidò dall’ammiraglia
Come è stato questo anno in maglia tricolore?

Sicuramente un anno speciale, un motivo di orgoglio. Mi ha dato tanto e penso di essere cresciuto anche a livello fisico e mentale. Sarà difficile riconfermarsi, ma sono convinto che domenica 23 sarò in buona condizione. L’importante sarà vincerlo di squadra, se poi riesco a riconfermarmi io, ancora meglio. Comunque uno l’ho portato a casa e lo terrò sempre con me. Il tricolore è qualcosa di importante in tutto il mondo, tutti conoscono l’Italia. In Canada è capitato in due o tre occasioni che mi avvicinasse qualcuno per fare una foto insieme e mi dicesse di essere italiano. Sono cose che ti toccano, insomma…

L’anno scorso la vittoria fu tua e di Martinelli che ti guidò dall’ammiraglia.

Anche quest’anno si parte per fare bene. Poi sono le gambe a dare le sentenze finali. Non tutti gli anni sono uguali e penso che quest’anno quelli che poi andranno al Tour verranno a Firenze con la voglia di fare bene. Non sono tanti, ma sono tutti papabili vincitori.

Bennati gli ha illustrato il percorso dei tricolori: il 23 giugno la sfida si rinnoverà
Bennati gli ha illustrato il percorso dei tricolori: il 23 giugno la sfida si rinnoverà
Cosa sai del percorso?

Non ho mai corso la Per Sempre Alfredo, che è alla base degli italiani. Però ho parlato con Bennati che mi ha mandato il file del percorso gara e l’ho guardato. Sicuramente andrò giù un giorno prima per visionarlo. Potrebbe svolgersi sulla falsa riga dell’anno scorso, forse è leggermente più duro. Dall’ultimo scollinamento mancherà un po’ meno all’arrivo e la discesa è tecnica, quindi sarà anche difficile ricucire in caso di un attacco forte. Bisogna solo farsi trovare pronti e non mollare. Mordere il manubrio e poi sperare di avere buone gambe. Perciò adesso si prova a fare qualcosa anche qua e poi… ci vediamo in Toscana!

Tour du Maroc: con Tagliani dal deserto fino a Casablanca

11.06.2024
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L’aereo che ha riportato Filippo Tagliani e i suoi compagni di squadra verso casa è partito ieri alle 16,30 dall’aeroporto di Casablanca. Alle spalle il corridore della Vini Monzon-Savini Due si è messo il Tour du Maroc. Una gara di categoria 2.2 che si è disputata dalle porte del deserto fino alle coste del nord del Paese magrebino. Nove tappe in totale con tante insidie e un continuo rimescolamento delle carte in tavola

«Il tutto è andato abbastanza bene – racconta Tagliani prima di imbarcarsi sull’aereo di ritorno – peccato essere uscito di classifica nella tappa dei ventagli. Però sono riuscito a ottenere sei top 10 in tutto l’arco della corsa».

La Vini Monzon-Savini Due è partita il 29 maggio per Agadir ed è rientrata il 10 maggio (foto Instagram)
La Vini Monzon-Savini Due è partita il 29 maggio per Agadir ed è rientrata il 10 maggio (foto Instagram)

Non la prima esperienza

Nella carriera di Tagliani non è la prima volta che si legge del Tour du Maroc, che il corridore bresciano aveva già disputato anni fa.

«Era il 2017 – continua – e correvo con la Delio Gallina. Già all’epoca era organizzata bene, nel corso del tempo la cosa che è cambiata di più penso siano gli hotel. Sono diventati più belli e accoglienti, anche se con il cibo e l’acqua ci sono sempre gli stessi problemi. Oggi come allora la squadra ha portato da casa le cose da mangiare. Non abbiamo mai consumato verdure o cibi da lavare, perché non è possibile usare l’acqua corrente. Anche per lavarsi le mani e bere bisogna sempre usare l’acqua della bottiglia». 

I cinque corridori della Savini che hanno preso parte al Tour du Maroc. Tagliani è il primo da destra (foto Instagram)
I cinque corridori della Savini che hanno preso parte al Tour du Maroc. Tagliani è il primo da destra (foto Instagram)
Com’è andata in quel senso?

Sono riuscito a non stare male, che era la cosa più importante. Dieci giorni sono lunghi, anzi dodici, visto che siamo partiti dall’Italia il 29 maggio. La corsa è iniziata due giorni dopo, il 31 maggio dal sud, quasi a confine con il deserto. 

Le tappe come erano organizzate?

In maniera ottimale, nulla era lasciato al caso. Non esagero se dico che è una corsa molto organizzata rispetto a tante altre che ho fatto, anche in Europa. Gli orari erano super stringenti e dopo la tappa tutti venivamo trasportati in hotel comodamente. 

Tagliani (qui in maglia a pois nel giorno della vittoria di Cataldo) ha ottenuto sei top 10 in nove tappe (foto Instagram)
Tagliani (qui in maglia a pois nel giorno della vittoria di Cataldo) ha ottenuto sei top 10 in nove tappe (foto Instagram)
Ecco, ammiraglie al seguito?

L’organizzazione ci ha fornito le macchine e i transfer erano organizzati con un pullman che portava noi corridori e i membri degli staff all’hotel e alla partenza. Ci siamo spostati solamente tre volte da una città ad un’altra dopo l’arrivo. Spesso partivamo dalla stessa nella quale eravamo arrivati il giorno prima. 

Il livello in corsa?

C’erano squadre continental, ma si è sempre andati forte. La grande differenza in corsa l’ha fatta il vento, che rendeva il tutto più difficile. Nella tappa più dura ne avevamo tanto in faccia anche in salita, talmente forte che si faceva una gran fatica, praticamente era impossibile scattare. Le velocità medie erano basse, ma a livello di watt i numeri sono stati alti per tutti e nove i giorni di gara. 

Tagliani ha perso la maglia del leader dei GPM all’ultimo giorno (foto Instagram)
Tagliani ha perso la maglia del leader dei GPM all’ultimo giorno (foto Instagram)
Quali squadre c’erano?

C’erano tre squadre con atleti marocchini che hanno un po’ dominato la corsa, almeno a livello numerico. Erano presenti tre nazionali africane: Burkina Faso, Marocco e Benin. Poi tante continental europee e alcune Development. Non mancavano gli atleti francesi. 

In gruppo che clima si respirava?

Penso che gare del genere siano delle vere e proprie esperienze di vita. Io ho avuto modo di legare e di parlare con gli atleti francesi, visto che il podio è stato dominato da due corridori della Nice Metropole. Il grande dispiacere per me era che avevo la maglia dei GPM fino all’ultima tappa, l’ho persa proprio alla fine. 

Il Tour du Maroc unisce e fa conoscere corridori diversi (foto Instagram)
Il Tour du Maroc unisce e fa conoscere corridori diversi (foto Instagram)
Era difficile controllare la gara?

Per noi sì, in squadra eravamo in cinque, ma alla seconda tappa uno dei due ungheresi si è dovuto ritirare perché è stato malissimo di stomaco. Anche il suo connazionale è stato male, poi però si è ripreso. I marocchini erano in superiorità numerica e nei ventagli erano avvantaggiati, tanto da occupare tutta la carreggiata. Per seguirli toccava aprire un altro ventaglio, ma non era semplice organizzarsi. Quando sono uscito di classifica è stato per questo, alla fine il gruppo si era stancato di rincorrere. 

Con il cibo come vi siete organizzati? 

Noi abbiamo mangiato sempre cose chiuse o che dovevamo bollire: pasta, riso, tonno in scatola e biscotti. A livello di prestazione il recupero era complicato, visto che avevamo tante limitazioni alimentari. Però è stata una bella esperienza, anche perché l’alternativa era rimanere a casa ad allenarsi. Sono dell’idea che è sempre meglio correre. Sono uscito in forma, anzi avrei continuato a correre.

Dove andrai ora?

Campionati italiani il 23 giugno e poi al Sibiu Tour, in Romania.

Niente Giro Next, ma Gannat prepara un’altra infornata di campioni

11.06.2024
6 min
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Una delle assenze più rumorose al Giro Next Gen è quella dell’Equipe Continentale Groupama-Fdj. Due anni fa se la giocavano e quasi tutti giorni “scrivevano” la corsa. E l’anno scorso ancora si sono ben messi in mostra. Ma i ragazzi guidati da Jerome Gannat non si sono certo arresi.

Sin qui già cinque vittorie, tutte di peso. E poi parecchi piazzamenti sempre in gare importanti, anche in Africa con i pro’ dove c’era una bella fetta del ciclismo europeo. La solidità non manca ai gruppi di Gannat che negli ultimi anni ha lanciato in assoluto il maggior numero di pro’. Lo scorso anno ha avuto un grande ricambio generazionale.

Dal 2019 Jerome Gannat è uno dei direttori sportivi della Groupama-Fdj
Dal 2019 Jerome Gannat è uno dei direttori sportivi della Groupama-Fdj
Jerome, un altro anno di rinnovamento per la tua giovane squadra, come sta andando?

Per questa stagione abbiamo avuto solo 3 innesti, tre reclute dalla categoria juniores: Maxime Decomble, Titouan Fontaine e il giovane corridore tedesco, campione europeo di montagna Max Bock. Dopo le 9 reclute del 2023 e le tre di quest’anno abbiamo un’età media di 18,9 anni. C’è solo un ragazzo di terzo anno, Brieuc Rolland, uno scalatore che si è confermato questa stagione con una vittoria a La Course de La Paix.

Complimenti!

Il nostro programma di inizio stagione è stato diverso rispetto alle altre stagioni con la partecipazione al Giro del Rwanda e tutti i corridori del team continental hanno corso una o più gare con il team WorldTour tra febbraio e marzo. Thibaud Gruel, che era con noi, si è unito alla prima squadra a metà aprile e la sua prima gara è stato il Tour de Romandie. La squadra è maturata dopo una stagione di esperienza ed ora è  più efficiente rispetto al 2023. Gruel ha vinto una tappa del Circuit des Ardennes, Noah Hobbs due tappe all’Alpes Isère Tour, Max Decomble si è laureato campione di Francia a crono, Lewis Bower una tappa alla Ronde de l’Oise e Brieuc Rolland ha vinto una tappa e la generale alla Course de la Paix. Siamo attualmente al 25° posto nell’UCI Europe Tour. Quest’anno i ragazzi sono più coinvolti in gara e la squadra influenza la corsa!

Come ai vecchi tempi insomma! Li hai già nominati più o meno, ma chi si sta distinguendo?

Brieuc è sempre costante ed è il nostro leader nelle corse in montagna e nelle classifiche generali. Sarebbe anche stato il nostro leader per il Giro Next Gen. Ha raggiunto un traguardo importante in questa stagione. Noah Hobbs ha finalmente vinto una gara: è il nostro velocista e per me era davvero un obiettivo che vincesse. Continua a progredire e sarà un velocista del futuro.

Thibaud Gruel è passato dalla continental alla WorldTour in primavera. Eccolo al Romandia
Thibaud Gruel è passato dalla continental alla WorldTour in primavera. Eccolo al Romandia
Altri?

Joshua Golliker non ha ancora raggiunto il suo massimo rendimento, ma le gare che gli piacciono stanno arrivando, penso per esempio al Giro della Valle d’Aosta. Lewis Bower ha vinto la sua prima gara con noi e in Europa e questo gli dà fiducia. In generale, tutti i ragazzi del 2023 sono progrediti e le nostre 3 giovani reclute stanno scoprendo il livello elite e maturando un po’ ogni volta.

Jerome, hai nominato il Giro Next Gen: non ci siete, perché? cosa è successo? Avevate fatto richiesta?

Sì, certo, avevamo chiesto di partecipare, perché il Giro Next Gen è la corsa più bella per gli under 23 e questo era nei nostri obiettivi di questa stagione. Come detto, avevamo Rolland per la generale e Noah Hobbs per gli sprint. A differenza degli anni precedenti in cui eravamo necessariamente invitati perché eravamo la terza squadra continental dell’UCI Europe Tour, per il 2024 eravamo in attesa di un invito da parte di RCS. A metà aprile abbiamo scoperto che non eravamo stati selezionati. È stata molto dura per noi, perché tutto il nostro calendario era orientato sul Giro. Ma abbiamo accettato la decisione.

Caspita…

Non è facile per l’organizzatore, con le tante richieste, mettere insieme un gruppo internazionale. Molte squadre chiedono di partecipare, la scelta è difficile, tutti vogliono essere presenti. Ma penso che avremmo meritato il nostro grazie al nostro passato e ai nostri risultati in gara nel 2022.

Rolland Brieuc (al centro) era il leader designato per il Giro Next gen. A sinistra Eddy Le Huitoze e a destra Noah Hobbs (foto Michel Vincent)
Rolland Brieuc (al centro) era il leader designato per il Giro Next gen. A sinistra Eddy Le Huitoze e a destra Noah Hobbs (foto Michel Vincent)
L’organizzazione vi ha fatto una comunicazione ufficiale in merito a questa esclusione?

Non so esattamente come siamo stati informati. L’organizzazione è spesso in contatto con i direttori sportivi delle squadre WT nelle diverse gare e so che ha espresso il desiderio di “ruotare” i team.

Jerome, come hai riprogettato il programma senza Giro Next? 

Il nostro programma iniziale era basato sulla partecipazione al Giro Next Gen. In particolare avevamo in programma di fare un ritiro di montagna in Valle d’Aosta almeno a maggio per prepararci adeguatamente al Giro. Era un obiettivo stagionale arrivare con una squadra pronta al 100 per cento. Nel mese di aprile il programma di Rolland è stato notevolmente ridotto. L’annuncio tardivo non ci ha permesso di trovare una gara a tappe sostitutiva, quindi abbiamo inserito il GP Gippingen Aargau (classe .1) nel nostro calendario e abbiamo mandato i nostri corridori con le rispettive nazionali per la Nations’ Cup. Ciò ha permesso a Rolland di vincere la Corsa della Pace. Due corridori, tra cui Brieuc, e Max Decomble faranno il Giro di Slovenia con il team WorldTour.

Rivedremo te e i tuoi ragazzi al Giro della Valle d’Aosta?

Sì, naturalmente! Il Valle d’Aosta è sempre stata una gara dove il team ha brillato con Thompson, Martinez, Germani, Golliker… A inizio luglio è previsto un training camp di preparazione con tutti i corridori del team proprio in Valle d’Aosta. Vogliamo fare una ricognizione di tutte le tappe. Questa sarà la gara di ripresa dopo i campionati nazionali e un obiettivo importante per i nostri scalatori: Rolland e Bock. Mentre Golliker punterà di più sulle tappe.

Gregoire, Martinez e (nascosto) Germani, durante un attacco di squadra durante il Giro U23 del 2022, con Gannat in ammiraglia
Gregoire, Martinez e (nascosto) Germani, durante un attacco di squadra durante il Giro U23 del 2022, con Gannat in ammiraglia
E invece Jerome, cosa puoi dirci dei tuoi “vecchi ragazzi”: Germani, Martinez, Grégoire, Paleni, Thompson… da chi ti aspettavi di più e da chi di meno? 

Li vedo raramente. Li ho incontrati alla presentazione del nostro team alla vigilia della Besancon Classic, tra l’altro vinta da Lenny. Questo appuntamento mi ha permesso di rivederli e di farli ritornare al nostro Performance Center di Besancon per un giorno. Hanno tutti ottimi ricordi del periodo trascorso con noi e dell’atmosfera della squadra 2022. Abbiamo formato un ottimo gruppo in quella stagione. Nel 2024, hanno tutti chiaramente compiuto progressi. Laurence Pithie ora è un corridore di successo nelle classiche. E’ stato impressionante e sarà un leader in questo tipo di gare in futuro. Ero con lui alla Gand e al Giro delle Fiandre come secondo direttore sportivo della squadra.

Pithie ha fatto un grande passo in effetti…

E poi Lenny Martinez sta confermando le sue qualità di scalatore e diventerà uno dei migliori al mondo. Penso che abbia acquisito fiducia e sicurezza. Romain Gregoire continua i suoi progressi e vince nel WorldTour, lo vedo bene alla Liegi Bastogne Liegi. Enzo Paleni ha fatto un gran Giro, anche lui è maturato fisicamente ed è molto efficace nel ruolo di gregario. Reuben Thompson è sempre presente nelle corse in montagna. E’ spesso al fianco di Lenny, ma non ha ripetuto le prestazioni del 2022. Sam Watson conferma la sua bravura nei prologhi e nei finali che “tirano”.

E poi c’è Lorenzo Germani

Eh già! Lorenzo uno dei miei preferiti. Mi ha impressionato in questa stagione. E’ sempre costante e attivo in gara. Sempre al servizio della squadra: forma una bella coppia con Gregoire.

E se Jerome Gannat potesse dare loro un consiglio, quale sarebbe?

Un consiglio? Continuate sempre in questa direzione e divertitevi a fare quello che fate, perché lo fate bene.

E’ giusto fare una corsa a tappe dopo il grande Giro?

10.06.2024
5 min
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Il grande Giro e poi la corsa a tappe a seguire: va sempre bene? Si dice che dopo le tre settimane si abbia una grande gamba e allora perché non sfruttarla? 

In questi giorni abbiamo visto diversi corridori che dopo il Giro d’Italia hanno preso parte al Delfinato o al Giro di Svizzera o stanno per partire allo Slovenia: Tiberi, Fortunato, Piganzoli, Quintana, Caruso, Conci (questi ultimi due si notano nella foto di apertura)…

Cosa comporta questa scelta di calendario? E cosa accade nel fisico? C’è una frase di qualche giorno fa di Lorenzo Fortunato che torna con prepotenza: «Adesso si fa più lavoro al training camp in altura che al Giro. E quindi quando vai in corsa, vai a raccogliere i frutti del lavoro. Non si usano più i Grandi Giri per allenarsi. A me è capitato di fare il Giro d’Italia e poi andavo allo Slovenia oppure alla Adriatica Ionica Race, dove il livello era un pochino più basso e mi salvavo. Ma per come si va adesso, il Grande Giro deve essere l’ultimo atto di un cammino iniziato prima proprio per questo». 

Michele Bartoli, preparatore di molti professionisti e della Bahrain-Victorious, è pronto a rispondere alle nostre questioni.

Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)
Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)
Michele, il grande Giro, il Giro d’Italia ovviamente in questo caso, e poi una corsa a tappe: si può sfruttare la condizione che lasciano le tre settimane?

Io cambio un po’ le vecchie teorie, per me non è più così. Oggi si è talmente al limite sia mentalmente che fisicamente che qualcosa salta. Se dopo il grande Giro c’è la concentrazione e la voglia di mangiare ancora bene, di riposare il giusto… allora bene, ma è molto, molto complicato. Prima era vero il contrario: era complicato andare piano!

Perché? Cosa è cambiato adesso?

Il modo di correre, si pesano i grammi del cibo, si deve assumere un tot preciso di carboidrati, lo stress in gara e soprattutto ci si arriva già al top col peso senza quel chiletto in più, la condizione è subito alta dopo il grande lavoro a monte (la teoria di Fortunato, ndr). Si deve pensare davvero a tante cose e quando arrivi al termine del tuo Giro ti viene voglia di mollare. Ed è normale, è comprensibile.

Lo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classifica
Lo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classifica
Diversi corridori del Giro sono andati al Delfinato e altri allo Svizzera: passano 6 giorni tra Giro e Delfinato, 13 fra Giro e Svizzera e 16 fra Giro e Slovenia. Incide questa differenza?

Sì e secondo me peggiora con passare dei giorni. Se ci si deve togliere il dente, meglio farlo subito. Poi chiaramente, dipende sempre dalla mentalità dell’atleta. Ma non è facile dopo il Giro mantenere la concentrazione. Tenere duro altri sei giorni magari ancora è fattibile, ma per lo Svizzera diventa più dura. Sì, si ha un po’ più di recupero. Puoi rifare qualche piccolo allenamento, ma ormai l’obiettivo grande è passato.

Abbiamo capito che la componente mentale è centrale, ma da un punto di vista prettamente fisiologico, muscolare?

Difficile scindere le due cose. Quando poi assaggi il riposo, la tranquillità, dopo che sei stanco il gioco si fa duro. Meglio fermarsi, mettere un punto e poi riprendere dopo aver recuperato. Chiaramente parlo per Delfinato e Svizzera e di chi deve andare lì per fare bene. Ma se vieni dal Giro e sai che poi staccherai queste corse non ti danno nulla o ti danno poco. Poi, attenzione, non dico che il grande Giro non ti lasci la buona condizione, però oggi mentalmente pesa di più. Oggi non è fattibile o è molto più difficile.

E se fosse per una corsa di un giorno?

Cambia tutto. Il Tour per l’Olimpiade (o la Vuelta per il mondiale) sono il top. Lì la concentrazione è massima e se ne trae il massimo beneficio. Il Giro è l’unico dei grandi Giri che poi non ha questo tipo di obiettivi a seguire.

Nonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal Delfinato
Nonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal Delfinato
Che poi, a meno che non si è Pogacar, se non si punta decisi alla classifica, un grande Giro lo puoi gestire in vista della gara di un giorno. Pensiamo a Van der Poel l’anno scorso con il Tour…

Esatto, quella è la preparazione migliore. Non hai lo stress della classifica, puoi mollare di tanto in tanto, puoi gestire gli sforzi, mangi bene, fai ritmo, fai i massaggi tutti i giorni.

E invece, tornando alla corsa a tappe che segue il grande Giro: c’è differenza se lo fa un giovane o un esperto? Per esempio abbiamo visto Tiberi al Delfinato e Caruso allo Svizzera…

Per me è peggio per il giovane, anche perché oltre ad una situazione di recupero, a cui magari è più abituato l’esperto, ritorna il discorso delle motivazioni. Ad un atleta come Caruso cosa può dare un piazzamento al Delfinato o allo Svizzera della situazione? Per Tiberi già è un discorso diverso è giovane e nonostante non sia andato bene non condanno la sua scelta di provarci.

Chiaro…

Penso a Fortunato per esempio. Ha fatto un buon Giro, ma al Delfinato nonostante sia stato bravo a mettersi in mostra che fatica ha fatto? Si staccava da 20-25 corridori mentre al Giro era tra i migliori. Però per lui un Delfinato ha più senso che per un Caruso. Per lui un quinto posto diventa importante anche ai fini di un contratto, di visibilità, d’importanza.

Fancellu al Delfinato: la sua prima corsa a tappe WorldTour

10.06.2024
4 min
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Il Giro del Delfinato concluso ieri è stata la prima corsa a tappe di categoria WorldTour per Alessandro Fancellu. Il corridore della Q36.5 Pro Cycling ha vissuto questa sua prima esperienza come un modo per crescere, imparare e per confrontarsi con i migliori corridori al mondo. Nella breve corsa a tappe francese, infatti, erano presenti molti dei protagonisti del prossimo Tour de France. A partire dal vincitore Primoz Roglic.

«E’ andata come da previsioni – dice da casa il comasco – è la corsa di più alto livello dopo il Tour de France. Lo ha dimostrato giorno dopo giorno, far risultato o semplicemente mettersi in mostra è impegnativo. Ma se riesci a fare qualcosa è perché te lo sei meritato e lo hai conquistato lottando

Eccolo a colloquio con Fortunato: il corridore dell’Astana, uscito dal Giro d’Italia, ha provato a tenere duro
Eccolo a colloquio con Fortunato: il corridore dell’Astana, uscito dal Giro d’Italia, ha provato a tenere duro
Da cosa si era capito che sarebbe stato complicato?

Direi fin da subito, dal primo arrivo in salita nella seconda tappa. Sono rimasto con i migliori e forse c’è un po’ di rammarico per non essere riuscito a fare la volata. Ma all’ultimo chilometro ero davvero senza gambe.

Ritmo elevato?

La salita l’abbiamo affrontata a ritmi folli (per percorrere i dieci chilometri finali del Col de la Loge il gruppo ha impiegato 18 minuti, velocità media 36 chilometri orari, ndr). La solidità dei corridori la si capisce dal fatto che in quella tappa con un arrivo in salita, anche se non estremamente impegnativo, siamo arrivati in 50

Fancellu nella sesta tappa ha visto muoversi corridori di primo piano e si è unito alla fuga
Fancellu nella sesta tappa ha visto muoversi corridori di primo piano e si è unito alla fuga
Non si staccava nessuno…

Peggio! Rimanevano attaccati anche i velocisti, quella tappa l’ha vinta Magnus Cort e Pedersen è rimasto con noi fino all’ultimo. 

Una bella misura per capire il tuo livello rispetto ai più forti al mondo.

L’idea era quella di capire quanto realmente vanno forte, è importante confrontarsi con i corridori di massimo livello. Il Delfinato e il Giro di Svizzera per la nostra squadra sono le corse più importanti in calendario. Partecipare è una bella esperienza e un onore, bisogna cercare di mettersi in mostra. Per far capire che l’invito è meritato.

Tu ci hai provato.

Entrare in una fuga è difficilissimo, ci va solamente gente con tante gambe e una super condizione. Io nelle prime quattro tappe non ci ho provato, sapevo che il terreno giusto sarebbe arrivato alla fine della corsa. Così dopo la frazione della maxi caduta ho provato ad andare in fuga. 

Ancora la sesta tappa, dopo essere stato ripreso ha provato a tenere duro ma ha pagato 13 minuti
Ancora la sesta tappa, dopo essere stato ripreso ha provato a tenere duro ma ha pagato 13 minuti
A proposito, vista da dentro com’è stata quella caduta?

Abbastanza terribile, fortunatamente sono riuscito a evitarla. Ne ho viste un po’ di cadute così: velocità alta, in discesa e appena tocchi i freni voli. Io non ho frenato e sono rimasto in piedi, facendo un po’ di slalom tra corridori a terra e bici. 

Difficile arrivare al traguardo contro corridori così?

La fuga non è mai arrivata alla fine. Segno di quanto si andasse forte e di come fossero pronti e preparati i migliori. 

In salita hai anche provato a tenere.

In tutte le tappe, era una prova per me stesso, per capire il livello. Il giorno in cui sono andato in fuga stavo bene e una volta ripreso ho provato a restare con i primi. La tappa dopo la condizione era ancora buona e sono rimasto con con i migliori staccandomi quando eravamo rimasti in 20. Non era tanto per un’ambizione di classifica ma proprio per capirmi, conoscermi. Sono rimasto soddisfatto, i primi 7-8 sono ingiocabili ma gli altri sono lì.

Nel 2024 il comasco ha corso anche per la prima volta al Nord, un’esperienza unica
Nel 2024 il comasco ha corso anche per la prima volta al Nord, un’esperienza unica
Questa è una stagione che ti sta dando anche tanta continuità…

Sì e ne sono molto felice. Sto facendo tante corse e alcune importanti, come le Classiche delle Ardenne. E’ stato il mio esordio in quel mondo e mi è piaciuto molto. Ho avuto un bel blocco di gare in primavera e questo mi ha permesso di essere più costante rispetto al passato. 

Appuntamenti così di alto livello ti servono per poter essere competitivo in altri appuntamenti?

Sicuramente. Ora farò un po’ di riposo e andrò direttamente al campionato italiano. Sono lista per il Giro di Slovacchia e a luglio correrò al Sazka Tour.

EDITORIALE / Il ciclismo dei giovani, i calendari e i conti in rosso

10.06.2024
5 min
Salva

A un certo punto bisogna dire le cose come stanno. E a chi butta fango senza approfondirle, si potrebbe dire che la situazione del ciclismo italiano di base dipende da una multiforme serie di fattori. La gestione federale che ad ora non sta spingendo sull’attività giovanile vera e propria, ma non solo quella. Con il Giro Next Gen appena partito, abbiamo sentito dire che le continental italiane e le vecchie squadre elite/U23 sono piccole realtà asfittiche senza prospettive e questo non ci sembra del tutto giusto.

C’è chi sta in piedi per miracolo, vero, ma anche chi ci riesce in cambio di sacrifici notevoli in un ambiente che da tempo gli ha voltato le spalle. Fanno quello che possono, cercando in molti casi di migliorarsi. Sono espressione di un ciclismo che ha bisogno di rifondarsi e vivono grazie a un volontariato che non sa più quale direzione prendere. Anche perché a livello nazionale nessuno ha ancora avuto la voglia, la lungimiranza e probabilmente la competenza per organizzare loro un calendario all’altezza. Sono quel che abbiamo: siamo certi che tutti lavorino per valorizzarlo?

Jakob Soderqvist ha vinto la crono inaugurale di Aosta: la prima maglia rosa parla svedese (foto Giro Next Gen)
Jakob Soderqvist ha vinto la crono inaugurale di Aosta: la prima maglia rosa parla svedese (foto Giro Next Gen)

La WorldTour italiana

Andiamo anche oltre: se non ci fossero schiere di agenti che prendono giovani atleti e li portano all’estero, forse la situazione sarebbe un po’ meno difficile. Nelle squadre italiane correrebbero i migliori italiani e al Giro Next Gen magari farebbero risultato e belle figure. A quel punto, ispirati dai risultati e non dalle promesse, i manager stranieri avrebbero un valido motivo per contattarli.

Volete che non si trovassero poche squadre italiane disposte a far correre Savino, Toneatti, Sambinello, Milan, Belletta e Delle Vedove? Probabilmente li avrebbero messi al centro delle operazioni e qualcosa avrebbero potuto fare, anziché restarsene a casa in attesa del loro turno. Quando si dice che al nostro ciclismo manca la WorldTour italiana, prima di fare spallucce, si tenga conto anche di questo fattore.

Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, con due voti contrari e un astenuto (foto FCI)
Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, con due voti contrari e un astenuto (foto FCI)

La Ciclismo Cup

Chi all’interno della Federazione si occupa di promuovere il ciclismo in Italia? Come vanno i tesseramenti di allievi e allieve? Dove è finita la Coppa Italia o Ciclismo Cup che dir si voglia? Perché non c’è più la formula che in Francia tiene in piedi l’attività delle squadre cosiddette minori, proponendo loro un calendario ben distribuito per tutto l’arco della stagione?

Le corse muoiono, le società chiudono, i corridori migrano. E la cosa più sensata che si trova da fare è puntare il dito verso le squadre che non fanno un’attività adeguata? Quanto investe la Federazione per riqualificare la loro attività? Qualcuno ha pensato di ridisegnare il modello del ciclismo in questo Paese, studiando, creando sinergie e magari prendendo spunto da altre federazioni (come quella del tennis) che dopo anni di sacrifici e investimenti mirati, sta ora raccogliendo frutti inimmaginabilli?

La Coupe de France è il fiore all’occhiello della Federazione francese e spinge l’attività sul territorio nazionale
La Coupe de France è il fiore all’occhiello della Federazione francese e spinge l’attività sul territorio nazionale

I soldi dalla base

Leggendo il bilancio FCI appena approvato, si evince che sono stati spesi più di 6 milioni di euro per attività sportiva, riconducibile quasi esclusivamente al funzionamento delle nazionali. Fra le entrate, invece spiccano il contributo di Sport e Salute (intorno ai 10 milioni) e le tasse a carico dei tesserati (poco più di 18 milioni), mentre le entrate per sponsorizzazioni e pubblicità ammontano a poco più di 2 milioni di euro.

E’ un sistema in perdita che si tiene in piedi grazie ai contributi del suo popolo. Sta ai revisori dei conti dire se si debba considerarlo in equilibrio precario o rassicurante, anche se la storia federale non ha mai visto un bilancio rimandato al mittente. Ci si copre e ci si nasconde dietro tolleranze tranquillizzanti. Per cui se anche il risultato economico continua a essere poco esaltante, il fondo di dotazione minimo definito dal CONI è talmente basso da far sembrare ogni disavanzo non troppo grave. Come spiegheranno alla base, che versa così tanti soldi per tesseramento e affiliazioni (da cui vanno scalati i costi assicurativi), che le cose là sotto non vanno poi così bene?

I conti del Giro donne

Di fatto i conti della Federazione hanno subito un duro colpo anche per il pagamento della produzione televisiva del Giro donne (poco più di 700 mila euro), senza la quale sarebbe venuta meno l’inclusione nel WorldTour con il probabile passo indietro di RCS. Per forza alla presentazione del Giro Next Gen l’amministratore Paolo Bellino, con una gaffe un po’ sfrontata, ha ringraziato il presidente Dagnoni per avergli permesso di unificare l’organizzazione dei Giri d’Italia. Gli sono stati serviti su un bel piatto d’argento, senza alcun vincolo tecnico o legato alla promozione del movimento.

Alla presentazione del Giro Next Gen, da sinistra, Vegni, il ministro Abodi, Dagnoni e Paolo Bellino
Alla presentazione del Giro Next Gen, da sinistra, Vegni, il ministro Abodi, Dagnoni e Paolo Bellino

Quale prospettiva?

Il trend dei conti federali è in calo. Ricostruendolo dai dati messi insieme di anno in anno, si è passati dall’attivo di 2.650.000 del 2020 (quando l’assenza di attività causa Covid permise di risparmiare parecchio) al passivo di 1.317.000 del 2023.

In tutto questo e consapevoli che non sia per niente facile mandare avanti una simile struttura, quanta fetta del budget spetta ad esempio all’organizzazione di cronometro nelle categorie giovanili, per il supporto dei Comitati regionali, per la creazione di un calendario che sia un senso alla nostra attività di base?

Si parla di 800 mila euro destinati ai Comitati e di 170 mila per l’organizzazione delle prove del Trofeo delle Regioni su Pista 2024. Hanno annunciato quasi 11.000.000 di euro in entrata “per i prossimi sei anni, a partire dal 2024, come minimo garantito per la gestione dei diritti di immagine della FCI, legati in particolare alla visibilità della maglia azzurra”. Aspettiamo la conferenza stampa e i relativi dettagli.

Quello che c’è di certo è che abbiamo una WorldTour, che è l’Italia della pista. Ad essa si destinano le risorse migliori, perché probabilmente lo scintillare di una medaglia d’oro coprirebbe quello che non si vuole mostrare. La sensazione è che si stia sfruttando ancora l’onda lunga del lavoro di Cassani. A lungo andare, questo è il modo giusto perché quelle medaglie continuino ad arrivare con regolarità o non piuttosto una gestione carpe diem, che non si cura troppo del futuro?