Ellena: «Per Piganzoli è il momento del salto definitivo»

13.07.2024
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Il fatto che Davide Piganzoli stia bene lo si vede dalle storie su Instagram e dalla costante voglia di scherzare con i compagni. Lui e la squadra, la Polti-Kometa, sono andati in ritiro in Valtellina per preparare la seconda parte di stagione (in apertura foto Maurizio Borserini). Il bilancio per Piganzoli fino a qui è positivo, con un tredicesimo posto al Giro d’Italia inseguendo i migliori. A inizio anno era anche arrivata la prima vittoria da professionista, in salita al Tour of Antalya. 

Abbiamo così bussato alle porte di Giovanni Ellena, diesse del team Polti-Kometa, e con lui si è parlato del nuovo Piganzoli. Di cosa è rimasto nel giovane valtellinese dopo le fatiche del Giro d’Italia e di ciò che potrà fare in futuro.

Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti
Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti

Costante confronto

Se si pensa a Piganzoli di riflesso la mente va anche verso il nome di Giulio Pellizzari. Entrambi sono stati un binomio indissolubile della nazionale di Amadori e insieme hanno lottato al Tour de l’Avenir lo scorso anno. Dal Giro si è visto come i due siano stati gestiti diversamente dalle rispettive squadre. Piganzoli dopo la Corsa Rosa è andato allo Slovenia, si è ritirato e si è fermato. Pellizzari ha proseguito fino al Giro d’Austria, concluso pochi giorni fa.

«Piganzoli al Giro – racconta Ellena – ha voluto provare a tenere duro e fare classifica, ottenendo un tredicesimo posto finale. Un risultato tutto sommato positivo se si considera che era alla prima esperienza. Pellizzari, invece, è uscito di classifica e ha avuto modo di tentare di vincere una tappa. Gestioni diverse, vero, ma da noi è stato lo stesso Piganzoli a chiedere di provare a tenere duro. Un ragionamento che ci siamo sentiti di incoraggiare».

La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
Poi è andato al Giro di Slovenia e si è ritirato.

Purtroppo tra la fine del Giro d’Italia e l’inizio dello Slovenia è caduto, e questo ha compromesso il finale della prima parte di stagione. Ha provato a correre, ma alla fine abbiamo optato per fermarlo e ricostruire la condizione per la seconda parte dell’anno. E’ stato un peccato però.

Come mai?

La gamba dopo il Giro era buona e allo Slovenia poteva fare bene, così come all’italiano. Poi avremmo valutato se mandarlo anche allo Slovacchia, ma la caduta ce lo ha impedito. “Piga” avrebbe potuto fare molto bene a mio avviso.

Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Dopo il Giro cosa gli è rimasto?

Che la classifica finale può essere una strada percorribile. Anche se il ragazzo ha ancora tanto da imparare, ma ci sta, visto che ha solo 22 anni. La vittoria a inizio stagione ha fatto capire che ha una maturità importante, ma deve ancora scoprirsi totalmente. Se chiedete a lui, il tredicesimo posto al Giro è motivo di orgoglio. Solo che agli occhi della gente nessuno ci fa caso, solamente due o tre addetti ai lavori. Tuttavia il risultato rimane ed è incoraggiante. 

Adesso ha lavorato per ripartire forte?

Sì. La sua stagione riprenderà con calma alla Vuelta a Burgos. Non arriverà al 100 per cento, ma va bene così. Sarà una corsa che servirà in chiave di costruzione. Da lì andrà in altura e poi affronterà tutto il calendario italiano di fine anno. 

Tu che corridore hai trovato dopo il Giro d’Italia?

Sicuro, lui è sempre stato un ragazzo che ostenta sicurezza. Quel che si vede è una crescita mentale e fisica importante, ma non definitiva. La testa c’è, altrimenti un Giro del genere non lo avrebbe fatto. Dal punto di vista atletico deve ancora crescere ma i passi sono quelli giusti. Deve migliorare nello spunto veloce, cosa che cresce provando a vincere. Vero che ha vinto in Turchia, ma era un arrivo in salita, dove la forza emerge in maniera netta. 

Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Ora quindi va a correre per imparare altro?

Il calendario italiano offre chance importanti con gare vicine alle sue caratteristiche che però non hanno un arrivo in salita. All’Agostoni, alla Tre Valli o all’Emilia non vince sempre il più forte, ci sono tanti componenti da considerare: freddezza, lucidità, spunto veloce…

Lo lanciate nella mischia e vedrete che combina…

E’ il momento di imparare ancora e può farlo con la consapevolezza che la squadra c’è e che crede in lui. 

E che ha ancora un anno di contratto.

Scadrà nel 2025 e questa fase di costruzione ulteriore servirà anche a lui. Un conto è presentarsi ad una squadra WorldTour da giovane promessa, un altro è arrivare come un corridore pronto per vincere e fare bene. 

L’Avenir lo avevate preso in considerazione?

Era tutto in mano a Piganzoli. Lui avrebbe deciso se partecipare o meno, chiaramente confrontandosi con noi e con Amadori. La caduta a inizio giugno ha compromesso un eventuale cammino verso l’Avenir, non sarebbe arrivato al massimo della forma. Poi fare delle gare con noi tra i professionisti penso possa fargli bene per crescere ancora.

Solo cadendo si può risorgere. L’esempio di Bertagnoli

13.07.2024
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A tenere alto l’onore della bmx italiana a Parigi 2024 sarà Pietro Bertagnoli, veronese di 24 anni, erede di quei De Vecchi e Fantoni che hanno già calcato le scene olimpiche e nel suo animo c’è il sogno neanche troppo segreto di lasciare il segno, almeno come fece De Vecchi capace di approdare alle semifinali a Londra 2012 mancando di poco l’ingresso fra i magnifici 8.

La sua scelta è stata molto difficile, perché in un movimento che è andato svecchiandosi e progredendo in questo quadriennio accorciato, sono stati tanti a mettersi in mostra, dall’iridato giovanile Radaelli all’altro giovane promettente Sciortino fino al mai domo Fantoni. Bertagnoli, come raccontato dal cittì Lupi, ha anche dovuto far fronte a brutti incidenti come quello dello scorso anno ai tricolori, ma ha saputo sempre risollevarsi e questa convocazione può da un lato avere il sapore di un premio, dall’altro però è anche la dimostrazione che bisogna crederci sempre.

Pietro Bertagnoli è nato il 22 agosto 1999. Con Fantoni e Sciortino ha vinto l’argento europeo a squadre nel 2024
Pietro Bertagnoli è nato il 22 agosto 1999. Con Fantoni e Sciortino ha vinto l’argento europeo a squadre nel 2024

«La Bmx è mia compagna da sempre – racconta il veneto tesserato per la società francese Saint Brieuc Bmxho iniziato a 5 anni dopo che mio padre mi aveva portato all’impianto di Montoro, uno dei principali del Triveneto e non solo. Fino a 10 anni però mi sono diviso con il calcio, anche perché mio padre è allenatore, ma poi erano un po’ troppi impegni, capitava anche che avevo allenamenti da una parte e dall’altra così ho dovuto scegliere e ho optato per le due ruote».

Hai mai avuto la voglia di passare a un’altra specialità?

Se parliamo di ciclismo no. Un po’ mi solleticava l’idea di dedicarmi al motocross, ma a parte i costi non ho trovato molta disponibilità in casa…

Fondamentale nella scelta di Bertagnoli per Parigi è stato il 5° posto agli europei
Fondamentale nella scelta di Bertagnoli per Parigi è stato il 5° posto agli europei
D’altronde anche la tua carriera nella bmx è andata avanti con molti infortuni…

Dal 2013 posso dire che non ci sia stata una stagione senza qualche intoppo. Qualcuno è stato anche importante, pesante da recuperare. Io però sono sempre rimasto sul pezzo, troppa era la mia passione per la bmx, ma certamente questi infortuni hanno rallentato la mia crescita e mi chiedo spesso senza di loro dove sarei potuto arrivare in questo frattempo.

Nella tua scelta pensi abbia pesato il fatto che sei già Elite e hai potuto affrontare i big della specialità?

Io credo che sia importante e che soprattutto sia stato fondamentale in questi anni aver introdotto la categoria Under 23. E’ vero che la bmx è uno sport giovane, dove gli juniores spesso gareggiavano e vincevano anche contro i più grandi, ma io resto dell’opinione che la crescita debba sempre avvenire per gradi e la categoria U23 aiuta in tal senso. Io poi ci ho militato un anno vincendo un paio di gare della Coppa del mondo in Turchia, poi sono passato, ma quell’esperienza è stata utile. Il salto diretto possono farlo solo quei 2-3 fuoriclasse, esattamente come succede nel ciclismo su strada.

Il veronese ha iniziato prestissimo, senza mai abbandonare la bmx, spostandosi anche in Francia per la sua attività
Il veronese ha iniziato prestissimo, senza mai abbandonare la bmx, spostandosi anche in Francia per la sua attività
Come sei arrivato alla selezione?

Lo scorso anno, dopo l’infortunio ai campionati italiani sono rimasto fermo da luglio a novembre, poi c’era da prepararsi in fretta perché con la stagione olimpica tutto era anticipato e già a gennaio in Nuova Zelanda c’erano prove di Coppa del mondo. La condizione è andata man mano crescendo fino al 5° posto assoluto agli europei di Verona. Poi è arrivata la notizia del ripescaggio e quindi della convocazione per Parigi.

Il torneo olimpico sarà però ben diverso da quello delle normali prove titolate…

Sì, sarà articolato in due giorni. Nella prima si svolgerà il primo turno qualificativo che promuoverà i migliori 12 atleti, poi si svolgerà il repechage che ne qualificherà altri quattro. Il giorno dopo si tornerà al tabellone normale con le due semifinali e la finale, il tutto in notturna e questo è un altro fattore da non sottovalutare.

Il veneto corre per il team francese Saint Brieuc Bmx con il campione europeo Pirard
Il veneto corre per il team francese Saint Brieuc Bmx con il campione europeo Pirard
C’è però un’altra, importante differenza, nel senso che sia i quarti di finale che le semifinali si svolgeranno su 3 manche, con classifica in base ai punteggi ottenuti. Questo quanto incide?

Può sembrare strano ma poco, perché nella bmx non puoi stare lì a fare calcoli, devi solo spingere a tutta e cercare di arrivare sempre davanti. Sono due giri secchi per ogni gara, devi puntare a imboccare le curve e i salti per primo e emergere a ogni giro. La classifica è una conseguenza, se sbagli una manche è difficile riuscire a recuperare anche un quarto posto…

Che cosa ti aspetti?

Io non mi pongo particolari obiettivi, spero solo di andare lì e fare il meglio, dimostrare quel che so fare. Se tutto andrà bene e ci sarà anche l’aiuto della fortuna, potrò andare lontano. Poi in una finale può succedere di tutto come le edizioni precedenti hanno dimostrato. Certo contro lo squadrone francese sarà dura per tutti, hanno 3 atleti e sono tutti candidati alla medaglia d’oro.

Come varia il grasso corporeo nei corridori? Ascoltiamo Giorgi

13.07.2024
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Nella stessa cornice di Firenze al via del Tour de France, che ha ospitato Boret Fonda e la sua disamina sulle pedivelle corte, c’è stato spazio anche per Andrea Giorgi. Il medico della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè ha avuto modo di tenere anche lui una conferenza. Il tema ha riguardato la distribuzione del grasso corporeo nelle categorie juniores, under 23 e professionisti

«E’ dal 2016 – racconta – che prendo parte ai congressi di inizio Tour e che presento qualcosa. L’idea di quest’anno è nata nell’inverno di questa stagione, quando misuravo il grasso corporeo sottocutaneo. Il metodo che utilizzo da qualche anno è di usare l’ecografia perché risulta un metodo più efficace rispetto alla classica plicometria».

Il metodo dell’ecografia muscolare è più efficace e maggiormente preciso rispetto alla plicometria
Il metodo dell’ecografia muscolare è più efficace e maggiormente preciso rispetto alla plicometria

Misurazioni dirette

«Quella dell’ecografia – dice ancora Giorgi – risulta un metodo migliore perché fai una foto, prendi l’immagine e misuri i centimetri di grasso. La plicometria pinza la pelle e i calcoli per togliere i tessuti non interessati sono tanti. Cambiano anche le condizioni nelle quali si deve fare la plicometria, ovvero il protocollo Isaac. Quindi a riposo e senza attività fisica alle spalle».

«Usare l’ecografia – spiega – è un metodo ormai molto comune, lo utilizza la DSM perché risulta più semplice e si può applicare in ogni condizione. Inoltre ora esistono dei software che leggono l’immagine e danno automaticamente i millimetri di grasso. 

Gli juniores hanno un fisico ancora da formare, per questo la percentuale di grasso è maggiore rispetto a U23 e pro’ (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Gli juniores hanno un fisico ancora da formare, per questo la percentuale di grasso è maggiore rispetto a U23 e pro’ (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Come mai hai voluto fare questo studio su queste tre categorie?

Mi piaceva capire l’evoluzione dell’atleta nel corso della sua maturazione fisica e sportiva. Le grandi differenze tra le categorie sono legate al monte ore di allenamento. 

Dove hai notato le maggiori differenze?

Nelle gambe, più precisamente nel polpaccio e nella coscia, mentre nelle altre parti è simile. Il peso in sé non varia ma cambia la distribuzione del grasso.

Perché? 

Esiste il fenomeno di azione lipolitica, ovvero il grasso risulta minore nei muscoli maggiormente utilizzati, che nel ciclista sono quelli delle gambe. Le misurazioni hanno riportato che un corridore giovane a parità di peso ha una maggiore percentuale di grasso corporeo. Questo perché il monte ore di un professionista è più alto rispetto a quello di uno juniores o di un under 23. La maggior crescita la si ha nel momento in cui si passa da under 23 a professionista perché le ore di allenamento settimanale diventano intorno le 22 e le 25. 

La grande differenza la si fa nel passaggio da U23 a pro’. In foto De Cassan dal 2024 alla Polti-Kometa
La grande differenza la si fa nel passaggio da U23 a pro’. In foto De Cassan dal 2024 alla Polti-Kometa
Voi in Vf Group Bardiani avete avuto il caso di Pinarello che questo inverno ha perso diversi chili.

Quattro per la precisione. Lui ha fatto un’azione di dimagrimento e un carico di lavoro che gli ha permesso di andare più forte tutto l’anno. Sicuramente si sente più leggero e maggiormente agile. 

Perdere così tanto peso per un atleta già magro può essere un rischio?

Dipende. Si perde del grasso, vero ma si perde anche una parte di muscolo. L’equilibrio è difficile da trovare ma si riesce. Un altro esempio è quello di Pesenti, lui in Beltrami pensava di essere già molto magro, tuttavia abbiamo fatto un’azione dimagrante ed è riuscito a calare ancora di più di peso. E le prestazioni sono migliorate incredibilmente.

Non è solamente una questione di grasso e perdita di peso. 

No, il muscolo, anche se diminuisce di volume, può comunque migliorare nella prestazione. Essere più leggeri consente all’atleta di affaticarsi meno e di reggere carichi di lavoro che prima erano impossibili. Un esempio riguarda Vingegaard e Pogacar. Il primo è uno scalatore puro, molto magro e quindi fortissimo in salita. Pogacar, invece, è più robusto e quindi più prestante in tutti gli altri campi. Anche Evenepoel è dimagrito a vista d’occhio per essere competitivo in questo Tour. Tanto lo fanno gli obiettivi e dove ci si vuole specializzare. 

Ma dimagrire nelle altre aree, quelle non allenate direttamente, come si fa?

Lo si vede dal mio studio. La grande differenza sta nelle ore fatte in bici. Più queste aumentano e più il ciclista perde grasso anche in altre aree del corpo come le braccia. Il salto tra under 23 e professionisti è rilevante, causato anche dal fatto che i ragazzi finiscono la scuola e quindi hanno più ore per allenarsi. 

Molti ragazzi giovani hanno una predisposizione genetica per essere magri e ciò permette di concentrarsi su altri aspetti (foto LaPresse)
Molti ragazzi giovani hanno una predisposizione genetica per essere magri e ciò permette di concentrarsi su altri aspetti (foto LaPresse)
Ora però ci sono juniores già magri e che fanno numeri incredibili, basti vedere il Giro Next Gen.

Quei ragazzi, come Widar o Torres sono predisposti ad essere particolarmente magri. Non devono dimagrire e su loro si agisce già nello specifico, hanno uno step in meno da fare, se vogliamo vederla così. Vai direttamente ad agire sulla qualità degli allenamenti, cosa che non puoi fare su un corridore che deve perdere peso. Questo perché il deficit calorico non permette al corridore di allenarsi ad alte intensità nella maniera corretta. Servirebbe integrare lo sforzo con una nutrizione dedicata ma essendo in deficit calorico ciò non è possibile.

Vingegaard getta la maschera: sui Pirenei sarà caccia a Pogacar

12.07.2024
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PAU (Francia) – Nell’immensa bolgia che ha accolto il gruppo a Pau, a un certo punto non s’è capito più niente. Eravamo al pullman del UAE Team Emirates a parlare con Ayuso, ritirato per il covid, quando s’è sparsa la voce che Pogacar fosse caduto prima della volata. Il tempo di capire che non fosse vero e ci siamo trovati davanti alla maglia gialla che invece lo sprint addirittura l’ha fatto. Certo alla larga dallo sgomitare dei velocisti, ma pur sempre una volata di gruppo. Già è abbastanza strano – ma emozionante – che corra in attacco infischiandosene delle astuzie e le cautele del leader, ma addirittura fare la volata di gruppo?

Domani Pla d’Adet, ma prima ancora il Tourmalet e Horquette d’Ancizan accenderanno il fuoco sotto il pentolone del Tour. Finora se le sono date, ma senza mai affondare il colpo. Domani potrebbe essere l’inizio di un nuovo viaggio. Oggi per qualche chilometro, Adam Yates li ha fatti tremare. La sua presenza nella fuga poteva significare ritrovarselo nuovamente in classifica. Per questo la Visma-Lease a Bike si è impegnata per chiudere.

Sprinter Pogacar

Eppure Pogacar se la ride. Sta facendo esattamente come negli ultimi due anni: fuochi d’artificio per tutti, ogni giorno, alla prima occasione. E domani che cominciano i Pirenei, Tadej si ritroverà senza Ayuso e con Vingegaard che vuole davvero capire a che punto si trovi.

«Il finale non era stressante – spiega la maglia gialla – ero nella mia zona sicura, la mia bolla ed ho evitato tutte le situazioni più frenetiche con la mente lucida. Alla fine però ho visto la possibilità di fare un piazzamento nei dieci e ho fatto la volata. Tranquilli ragazzi, non preoccupatevi. Semmai è più preoccupante l’abbandono di Ayuso, ma credo che abbiamo ugualmente una squadra fortissima. Soler e Politt stanno facendo un lavoro incredibile. Yates e Almeida in montagna sono due sicurezze. Sono tutti in forma per il lavoro che ci attende da domani. Sono le prime salite vere, finora non ce ne sono state, tranne forse nel giorno del Galibier. Considerata la situazione della classifica generale, ora possiamo correre un po’ sulla difensiva. Vorrei vincere la tappa, ma non spenderò troppe energie per quello».

Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme
Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme

Cecchino Vingegaard

Tanto è spavaldo Pogacar, per quanto è cauto e cinico Vingegaard. Il danese non ha l’appeal, il ciuffo e i modi telegenici dell’attuale maglia gialla, ma è un grande professionista. Cento giorni fa era messo davvero male, ora è qui con la sensazione che potrebbe nuovamente giocarsi il Tour. Pogacar l’ha capito e questa consapevolezza secondo noi ha reso meno rilassanti i suoi giorni. Forse il tanto sbandierare la serenità è la prima spia di qualche preoccupazione sorta nel frattempo?

«Entriamo in un terreno che mi si addice un po’ di più – dice Vingegaard – aspettiamo con ansia i prossimi giorni. Mi sento molto bene, oggi per noi è stata una bella giornata. Siamo arrivati tutti insieme, non abbiamo perso tempo con nessuno e adesso speriamo di poter recuperare bene fino a domani. Yates in fuga non era la situazione ottimale, non volevamo lasciarlo rientrare nella classifica generale, per questo abbiamo preferito riprenderlo. Da questo punto di vista è stata una giornata dura. Abbiamo provato anche a spaccare il gruppo con i ventagli, ma alla fine i principali avversari erano ancora lì e non avrebbe avuto molto senso continuare a spingere e suicidarsi.

«Da domani però non ci sarà spazio per nascondersi, ma vedremo come verrà gestita la tappa. Dovremo solo aspettare e vedere. Non ho intenzione di dire cosa faremo domani, ma abbiamo le nostre idee. E’ il fine settimana che mi si addice meglio, per cui spero in una corsa dura. Potrei anche attaccare. Finora abbiamo ragionato sul presente, anche perché non stavo benissimo: da domani inizieremo a lavorare per il futuro».

Nostalgia di Parigi

Philipsen della presenza di Pogacar in volata dice di non essersi accorto. Non che sarebbe cambiato qualcosa. Il belga, già primo a Saint Amand Montrond, ha fatto la sua traiettoria creativa, spostandosi dal centro sulla destra e resistendo poi alla rimonta di Van Aert. Al momento del cambio di linea, Wout non ha potuto fare altro che prendergli la ruota. Sarà perché convive male con il soprannome “Disaster”, quando gli chiedono che cosa pensi delle lamentele di qualche avversario, Jasper si indurisce e taglia corto. Hai qualche commento?

«No comment. Non mi piace questa domanda». Le domande dirette si possono fare, poi tutti pronti a ricevere risposte come questa. Il belga va avanti nel discorso dicendo che solo a fine Tour faranno un’analisi per capire che cosa non abbia funzionato nella prima settimana, ma che due vittorie non sono così male. Non vuole parlare di forma che non c’era e tantomeno di sfortuna, per paura che ne chiami altra. Poi con quel ghigno furbetto da velocista spiega che è impossibile prendere nuovamente la maglia verde. E che da velocista trova singolare che il Tour non finisca a Parigi.

«E’ davvero strano – sorride (penserà già al ritiro dopo la tappa di Nimes?) – manca lo zuccherino in fondo. Non è la sensazione più bella, ma è così e non possiamo cambiarlo. In pratica sappiamo che dopo la tappa 16 ne avremo altre cinque in cui soffriremo per arrivare in fondo. Dovremo restare forti, questo è il Tour del 2024».

Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa
Wout Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa

Van Aert diviso a metà

Chi si va mangiando le mani è Wout Van Aert, anche oggi secondo, come se gli mancasse la forza necessaria per volgere la volata a suo favore. Sempre alla ricasca degli altri, scegliendo traiettorie non sempre ideali.

«C’erano vibrazioni da vere classiche oggi – dice – un po’ di vento, terreno collinare e tappa a tutto gas dal colpo di pistola. Mi è davvero piaciuta, per questo è un peccato che non riesca ancora a vincere. Il gruppo era piccolo, tanti pensavano di potercela fare. Ho sbagliato ritrovandomi in testa troppo presto, per il vento che c’era. Quando è così, a volte sei troppo lontano e a volte troppo davanti. Ho dovuto aspettare un po’ ai 350 metri dall’arrivo, perché sarebbe stato troppo presto. Forse se fossi partito ai 200, avrei vinto, ma non dirò mai che non sono soddisfatto del lavoro di Laporte per me. Domani inizia di nuovo un’altra gara e daremo pieno supporto a Jonas. Spero di svolgere il mio compito, ma a questo punto spero anche di vincere una tappa. Nella seconda settimana mi sto sentendo bene, il grande risultato è nelle gambe, ma devo dimostrarlo anche sulla bici».

Lippert fa festa. Magnaldi ci prova. E dietro colpi di stiletto

12.07.2024
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CHIETI – Colpi di stiletto? Schermaglie? Lotta psicologica? Elisa Longo Borghini e Lotte Kopecky si sono quantomeno punzecchiate in questa sesta, dura e caldissima tappa del Giro d’Italia Women. Alla fine sono loro due le protagoniste assolute, anche se oggi a gioire è stata Liane Lippert (nella foto di apertura), che era in fuga.

In gruppo serpeggia un clima se non di paura, quantomeno di attesa, verso quella che sarà probabilmente la tappa decisiva di questo Giro Women. E se non dovesse essere decisiva per decretare la vincitrice finale, lo sarà per dare lo scossone definitivo alla classifica. Due volte il Blockhaus e per di più con questo caldo è qualcosa di enorme.

Erica Magnaldi si rinfresca dopo il traguardo: oggi punte di 39 gradi sul percorso. Per lei circa 15 borracce
Erica Magnaldi si rinfresca dopo il traguardo: oggi punte di 39 gradi sul percorso. Per lei circa 15 borracce

Magnaldi coriacea

E oggi è stato solo l’antipasto. Lo sa bene Erica Magnaldi, terza all’arrivo e super protagonista della fuga di giornata.

«Ho tirato tanto è vero – dice la portacolori della UAE Adq con ancora il fiatone – ma il mio punto di forza è la salita e quindi ho tentato di staccare le avversarie sull’ultima ascesa. Purtroppo siamo alla sesta tappa e dopo tante frazioni dure e un’altra tappa in cui sono stata in fuga non ero più freschissima. Se non altro sono riuscita a staccare una delle quattro e mi sono almeno assicurata il podio, ma bisognava pur sempre arrivare. Non volevo rivivere la scena di due giorni fa quando sono stata ripresa a 80 metri dal traguardo e così mi sono sacrificata, pur sapendo di essere battuta in volata».

Ad una dozzina di chilometri dall’arrivo le quattro avevano oltre 2’30” di vantaggio e per Magnaldi che in salita va forte poteva essere l’occasione per risalire anche nella generale, soprattutto guardando al Blockhaus. Lei però declina l’opzione e ammette che pensava soprattutto alla tappa.

«Ho iniziato questo Giro senza puntare alla classifica, per essere più libera mentalmente e fisicamente. Il mio grande obiettivo dopo il Giro è il Tour de France Femmes. Vorrei non arrivarci troppo stanca».

«In gruppo devo ammettere c’è abbastanza paura – prosegue Magnaldi – io stessa sono un po’ intimorita pensando a domani, perché il caldo ci sta davvero mettendo a dura prova. E su una salita del genere si sentirà ancora di più. Immagino sarà una tappa di pura sopravvivenza per tutte».

Elisa Longo Borghini in maglia rosa e Lotte Kopecky in maglia rossa: sono loro due i fari di questo Giro

Le regine

Sopravvivenza non per Lotte Kopecky ed Elisa Longo Borghini. Su carta almeno, saranno loro le carnefici. Oggi quando hanno accelerato nello strappo finale: Kopecky scatta, Longo Borghini chiude e rilancia. Sembravano Vingegaard e Pogacar. Una superiorità netta rispetto alle altre, anche se la stessa Elisa ci dice che non sarà una sfida a due.

«Quando ho vinto la volata la mia sensazione è stata più quella di un gesto di “oh ce l’ho fatta”, che di gioia vera e propria. A 32 chilometri all’arrivo Lotte si è mossa, ma il suo non è stato tanto un attacco quanto un allungo perché era stizzita da non so cosa. Io l’ho seguita perché non si sa mai. A gente così lasci 10 metri e ti dà 10′.

«Quando invece è partita nel finale lo avevo capito che sarebbe scattata. Mi ha fatto il “prefisso internazionale” praticamente! Ho provato a staccarla ma non è stato  possibile… perché è forte».

Per radio, la diesse Teutenberg le ripeteva di stare attenta, perché Lotte era arrabbiata. «Ma – racconta l’atleta della Lidl-Trek – anche io sono grintosa, pensavo dentro di me. Non sono qui a spulciare i peluches! Però è stato bello. E’ una sana competizione.

«Sul contrattacco mi sentivo bene, ma è anche vero che domani è una tappa molto dura e una piccola energia risparmiata conterà. Potevo forse insistere, però non mi sembrava il caso».

E ora Blockhaus

Qui al Giro Women è opinione comune che Kopecky possa fare il colpaccio anche in salita e che quindi questa corsa rosa sarà una cosa a due. Elisa deve stare attenta.

Tuttavia Longo Borghini non ne è affatto convinta che sarà una sfida a due: «Non sarà una cosa solo tra noi due, ci sono tante scalatrici forti. Non è perché ora sono in maglia rosa vuol dire che ci resterò. Il livello è alto. Quando non c’è la Vollering sembra sempre che non ci sia nessuno. In realtà non è così. Guardate oggi come siamo andate. Ho visto la tappa del Blockhaus con Gaia (Realini, ndr) anche quella dell’Aquila che secondo me è durissima: tutto è ancora da giocare».

«Mi aspettavo che fosse più difficile oggi – ha detto una serissima Kopecky dopo l’arrivo – faceva molto caldo e forse è per questo siamo andate un po’ più tranquille. Volevo prendere i secondi bonus, ma non avevo abbastanza compagne di squadra per controllare la corsa. 

«Il Blockhaus? Non ne so nulla. Stasera devo studiarlo, anche se so che è una salita dura. Ma l’anno scorso dicevano anche che il Tourmalet sarebbe stato troppo duro per me. E invece l’ho fatto bene», ha suonato sibillina l’iridata.

Insomma è già duello anche nelle prese di posizione differenti.

Le Paralimpiadi nel momento del ricambio. Parla il cittì Addesi

12.07.2024
4 min
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Non solo Olimpiadi. Alle porte, come sempre succede ogni 4 anni, ci sono anche le Paralimpiadi che Parigi ospiterà dal 28 agosto all’8 settembre prolungando così la sbornia a cinque cerchi. L’Italia che nel secolo scorso era quasi una spettatrice distratta nel consesso paralimpico è diventata una potenza assoluta anche in questo ambito e molto lo si deve ai successi del settore ciclistico. La squadra che andrà a Parigi sarà però un po’ diversa da quella delle ultime edizioni.

Pierpaolo Addesi, in gara a Tokyo 2021 è diventato cittì nel gennaio 2022
Pierpaolo Addesi, in gara a Tokyo 2021 è diventato cittì nel gennaio 2022

Per la capitale francese, relativamente al settore strada che è storicamente quello che portava medaglie, sarà composta da 8 uomini e 6 donne, senza considerare però le guide dei tandem. Per 5 uomini e 3 donne sarà la prima esperienza olimpica e questo è un segnale importante. Sarà anche la prima delle Paralimpiadi con Pierpaolo Addesi (nella foto di apertura a Tokyo 2020) nelle vesti di cittì, quando ancora tre anni fa era lì a battagliare con gli altri per vittorie e medaglie e questo è un altro segnale.

«Quella che va a Parigi è una squadra profondamente rinnovata rispetto al passato – sottolinea il tecnico azzurro – eravamo arrivati al punto di dover procedere a un ricambio generazionale, avevamo un’età media molto avanzata. Parigi arriva in mezzo a un lungo periodo di transizione, non sappiamo quindi che cosa aspettarci, non siamo certamente la squadra dominatrice di Rio 2016. Non dimentichiamo che anche tre anni fa, pur con 7 medaglie in carniere, ottenemmo molto meno rispetto al passato e l’unica vittoria nel team relay arrivò per circostanze fortunate».

Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3
Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3
C’è un gap che l’Italia deve quindi coprire, un po’ quello che avviene nel ciclismo professionistico?

Per certi versi, ma con qualche differenza sostanziale. Innanzitutto molti atleti hanno l’entrata della pensione d’invalidità e questo consente loro di avere economicamente un primo aiuto. Poi – e questo è un fattore importante – alcuni stanno entrando nei corpi di polizia, il che consente loro di avere uno stipendio garantito oggi che fanno gli atleti a tutti gli effetti ma anche un domani che smetteranno. E’ una strada intrapresa da poco, ma sicuramente darà frutti. Il concetto è che bisogna ormai allenarsi a tempo pieno per emergere in questo ambito.

Federico Andreoli insieme all’ex pro Paolo Totò, vincitori della tappa di Coppa del Mondo a Maniago
Federico Andreoli insieme all’ex pro Paolo Totò, vincitori della tappa di Coppa del Mondo a Maniago
Che cosa dobbiamo quindi aspettarci dalla spedizione per le Paralimpiadi, il ciclismo resterà un riferimento per l’intero gruppo azzurro?

Se anche non raggiungeremo i fasti di Londra o Rio, io credo che ci toglieremo belle soddisfazioni, lo dicono i risultati delle grandi manifestazioni titolate del recente passato. Vorrei sottolineare la presenza dei due tandem, Bernard insieme a Davide Plebani e Andreoli insieme a Paolo Totò. Questo è stato uno dei primissimi settori sul quale sono intervenuto perché vedevo che c’era uno spazio che si poteva coprire, bastava trovare atleti disponibili e ciclisti normodotati che avessero voglia di rimettersi in gioco in questo bellissimo mondo. Nel tandem è più facile combinare equipaggi validi. Ma io guardo anche altro…

Ossia?

Noi dobbiamo continuare l’opera di diffusione della nostra attività, di promozione. Infatti abbiamo lanciato una serie di campus per far capire quanto lo sport sia importante nel nostro mondo, per chi ha disabilità diventa quasi una ragione di vita e può dare benefici enormi. E’ chiaro che le medaglie e i risultati diventano poi il richiamo, sulla base di quelli è più facile raccogliere adesioni, allargare la base, per questo l’appuntamento di Parigi è così importante.

Luca Mazzone sarà portabandiera azzurro a Parigi 2024 insieme ad Ambra Sabatini
Luca Mazzone sarà portabandiera azzurro a Parigi 2024 insieme ad Ambra Sabatini
Quanto conta avere Mazzone come portabandiera?

Non nascondo che quando ho avuto la notizia mi è preso un groppo alla gola, perché quanto se lo meritava, quanto si è speso per la nostra attività non solo con le sue vittorie e le sue medaglie. E’ un titolo che il nostro movimento meritava, forse se non fosse successo quel che è successo già a Tokyo avremmo avuto Alex Zanardi come portabandiera. Mazzone, come Cornegliani, come la Porcellato è un esempio di dedizione, di testa d’atleta. Ci rappresenta alla grande, noi del ciclismo come tutto il movimento paralimpico.

Parigi è ormai alle porte, che cosa ti soddisferebbe?

Vedere i miei ragazzi che riescono a fare il meglio di quanto è nelle loro possibilità. Sono convinto che se sarà così, porteremo a casa più di qualcosa…

Meris si gode la condizione e non ha paura del futuro

12.07.2024
5 min
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La MBH Bank-Colpack-Ballan-Csb può contare su una freccia in più nel proprio arco per questo finale di stagione. Le tre vittorie nell’arco di due settimane messe a segno da Sergio Meris portano un vento di buon umore e di speranza (foto NB Srl in apertura). Il bergamasco, al primo anno tra gli elite, ha colto nel segno in questo inizio estate. Come ci si potrebbe aspettare il morale è alto, anche se è mancata la ciliegina sulla torta.

«Sto bene – racconta – ora voglio sfruttare la gamba che sembra essere in buona condizione. L’obiettivo però è di non strafare, mantengo la solita routine cercando di farmi trovare pronto».

Meris di recente ha ottenuto la terza vittoria stagionale, al Giro del Medio-Brenta (foto NB Srl)
Meris di recente ha ottenuto la terza vittoria stagionale, al Giro del Medio-Brenta (foto NB Srl)

Allenamento e studio

Il caldo picchia forte anche nella pianura bergamasca, Meris si allena cercando di sfruttare le ore più fresche, ma non sono molte quelle a disposizione. 

«Mantengo la solita routine – spiega il classe 2001 – se riesco anticipo l’orario degli allenamenti, giusto per non prendere troppo caldo. Appena rientro mangio, recupero e mi rilasso. Cerco anche di studiare un po’, sono al terzo anno di Scienze dell’Alimentazione. Sto frequentando l’Università online, cosa che mi permette di conciliare al meglio studio e bici. Il mondo dell’alimentazione mi ha sempre affascinato, in più avendo frequentato il liceo scientifico lo studio mi appartiene. Il primo pensiero è sempre legato alla bici, ma anche la carriera di nutrizionista mi affascina».

In precedenza si era sbloccato al Giro del Veneto con due vittorie di tappa (photors.it)
In precedenza si era sbloccato al Giro del Veneto con due vittorie di tappa (photors.it)
Ora però in bici stai andando forte. 

Vero, quindi rimango dell’idea di provare a diventare professionista (dice con una risata simpatica, ndr). Sono contento di come sta andando ora, a inizio anno ho avuto un po’ di sfortuna, prima un infortunio al ginocchio mi ha tenuto fermo un mese, poi una caduta mi ha rallentato ancora. 

Hai ripreso bene però.

Dopo il Giro di Ungheria sono andato in altura. Dal punto di vista fisico e mentale è un passaggio molto importante per me, mi ricarico completamente. Da lì in avanti, infatti, sono andato forte. Terzo al Matteotti, quinto alla Due Giorni Marchigiana e poi le tre vittorie in fila. Peccato non aver capitalizzato i due successi di tappa al Giro del Veneto.

A inizio anno non erano mancate l’esperienze con i pro’, ma la condizione non era quella giusta
A inizio anno non erano mancate l’esperienze con i pro’, ma la condizione non era quella giusta
Cos’è successo?

Avevo tanti rivali tutti vicini in classifica, così nell’ultima tappa mi hanno attaccato più volte sulla salita finale. Ho sempre risposto in prima persona, ma questo mi ha portato ad esaurire le energie. Negli ultimi tre chilometri mi sono spento piano piano. Da un lato mi spiace, dall’altro invece penso di aver imparato qualcosa. E comunque rimangono le due vittorie di tappa. 

Alle quali si aggiunge quella del Medio-Brenta.

Per noi era un po’ la corsa di casa, visto che si partiva dalla sede della Ballan SPA, nostro sponsor. Diciamo che ho vinto in famiglia e questo fa sempre tanto piacere. La gara era importante per la squadra ma anche per me. 

Meris è al primo anno elite: come nelle stagioni precedenti, corre con la MBH Bank-Colpack-Ballan (foto NB Srl)
Meris è al primo anno elite: come nelle stagioni precedenti, corre con la MBH Bank-Colpack-Ballan (foto NB Srl)
Anche perché sei al primo anno elite, ogni vittoria è un sigillo importante. Come ti trovi nella categoria?

Ogni anno cresco mentalmente e fisicamente ed è successo anche nel 2024. A inizio stagione ero un po’ titubante, ma ora credo che quest’anno sia importante per me, per maturare ancora. Quella degli elite è una categoria che si pensa possa essere limitante, ma non è così. Vero che molti ragazzi passano professionisti presto, però è una regola che non vale per tutti. 

Tu come stai vivendo questo 2024?

Come un divertimento. Mi sento bene e mi godo la bici, gli allenamenti e le gare. 

La MBH Bank-Colpack-Ballan sarebbe dovuta diventare professional nel 2025, ma sembra che la cosa sia saltata. Come hai preso questa notizia?

Non ho mai fatto troppo conto sul passaggio della squadra. Non per mancanza di fiducia, ma perché le cose sono complicate e non è tutto in mano ai nostri team manager. Io ho sempre vissuto giorno per giorno, senza pensare troppo al futuro. Già nel 2023 dovevo passare professionista, ma tutto era sfumato.

Nonostante sia passato elite non ha paura del futuro, sa che può ancora conquistarsi il professionismo (foto NB Srl)
Nonostante sia passato elite non ha paura del futuro, sa che può ancora conquistarsi il professionismo (foto NB Srl)
L’idea qual è ora? Difficile rimanere oppure c’è una possibilità?

A questo punto ne dovremo parlare con la squadra, ma per passare professionista qui non posso rimanere. Devo impegnarmi e andare forte, cogliendo ogni occasione. Mi sono sbloccato e voglio dare il massimo, a partire dal Giro dell’Appennino di domenica. 

Con la squadra parlerai?

Certo. Da qui a fine anno faremo dei colloqui e capiremo cosa fare. Loro per me ci sono sempre stati, sono tanti anni che corro qui e troveremo la soluzione migliore. Voglio tenere alto il tiro e andare forte, per me ma soprattutto per tenere alto il nome della squadra.

Plateau de Beille in vista. Il ricordo di Conti di quell’estate 1998

12.07.2024
5 min
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«Marco mi diede gli occhiali, poi la bandana… e lo fece ai piedi della salita. Pensai: “Mamma mia questo vuol partire subito”. E io ero già a tutta». Roberto Conti ci porta subito dentro questa intervista che di fatto è un racconto. Domenica prossima il Tour de France torna ad affrontare la scalata di Plateau de Beille. Una salita che per noi italiani evoca un ricordo molto dolce: la vittoria di Marco Pantani nel 1998. Da qui la planata verso la mitica doppietta che oggi sta cercando di fare Tadej Pogacar.

Quel giorno ci fu l’inversione di rotta della Grande Boucle dominata fin lì da Jan Ullrich. Il gigante tedesco si presentò all’inizio dei Pirenei con 5’04” di vantaggio sul Pirata. Il quale era persino contento! Un’impresa folle lo attendeva. Un’impresa che però forse solo Marco pensava potesse tramutarsi in realtà.

Nella prima tappa di “mezzi Pirenei”, cioè con qualche salita nel finale, ma ideale per le fughe, Pantani scattò sul finire dell’ultima scalata e guadagnò una ventina di secondi sul tedesco. Il giorno dopo ci fu appunto la Luchon – Plateau de Beille. E con essa la foratura di Ullrich proprio all’imbocco della salita che quasi mandò i piani all’aria. Lo scatto del Pirata ma senza fare il vuoto all’inizio. E infine le sue braccia al cielo.

Qualche anno dopo, sempre insieme Roberto Conti (a sinistra) con Pantani e Fontanelli…
Qualche anno dopo, sempre insieme Roberto Conti (a sinistra) con Pantani
Roberto, cosa ricordi di quel giorno, di quella mattina al via?

Ricordo che alla partenza un compagno di Ullrich, Udo Bolts, venne da me e mi chiese: “Robi, ma siete qui per le tappe o per vincere il Tour?”. Io gli risposi per le tappe aggiungendo anche che quel giorno avremmo vinto. E lui ancora: “E allora perché ieri avete attaccato se c’era la fuga fuori?”. Io rimasi un po’ così e lui: “Robi non fregarmi!”. Ma in quel momento era la verità. Puntavamo alle tappe. Mentre Marco era veramente convinto di vincere quel Tour.

E voi?

Proprio vincere no, ma salire sul podio sì. Tra l’altro era qualcosa che già aveva fatto. In quel Tour, ma si potrebbe dire in quegli anni, c’erano delle crono lunghe e sappiamo come andava Ullirch contro il tempo. Oggettivamente sarebbe stato difficile. Quasi impossibile.

Come andò quella mattina? Cosa vi diceste nella riunione?

Fu tutto molto regolare. Se fosse andata via la fuga l’avremmo dovuta tenere vicino il più possibile. Al Tour se vanno via fughe che prendono 10′ poi si fa fatica a chiudere, anche se ti chiami Pogacar o Pantani. E così facemmo: tenemmo la fuga sempre a tiro e poi Marco fece il resto verso Plateau de Beille, la salita finale.

L’arrivo del Pirata. Riprese l’ultimo fuggitivo (Roland Meier) ai -7 km. Da lì, una cavalcata solitaria. Ullirch arrivò a 1’40”
L’arrivo del Pirata. Riprese l’ultimo fuggitivo (Roland Meier) ai -7 km. Da lì, una cavalcata solitaria. Ullirch arrivò a 1’40”
Come approcciaste la salita? Chi tirò?

Adesso non ricordo proprio bene tutto, sono passati tanti anni… purtroppo, ma ricordo che quel giorno tirai poco. Non ne avevo! Ricordo bene però che pochi metri dopo l’inizio della salita Marco stava per partire e io lo fermai. Gli dissi: “No, no… Marco, aspetta”. E lui: “Ma perché non posso?”. Gli dissi che Ullrich aveva forato e che sarebbe stato meglio aspettare. Poi sarebbe sorta una guerra di antipatie, di giochi, di polemiche. Tra l’altro sarebbe potuto succedere a lui la stessa cosa. “Quando rientra attacchi”, gli dissi.

E Marco?

Non disse niente. Si mise lì buono… E poi dopo il rientro di Ullrich, partì. Mancavano ben più di dieci chilometri.

Tu e i tuoi compagni cosa sapevate durante la scalata di quello che stava combinando Marco?

Sapevo che stava guadagnando sulla fuga e su Ullrich. Ed eravamo felici per la vittoria di tappa che stava per arrivare. Ma quel che ci stupì non fu tanto la scalata, quanto quello che ci disse Marco la sera in hotel: “Ragazzi, siamo qui per vincere il Tour”. Noi gli dicemmo in coro: “Magari”. Il Tour è il Tour e come detto c’era ancora una crono lunga e lui aveva pur sempre 3’01” di ritardo da Ullrich.

Lo vedesti subito dopo l’arrivo?

No, no… in hotel. Marco tra premiazioni e interviste arrivò parecchio dopo. In quei casi si andava nella camera del suo massaggiatore. Gli si facevano i complimenti e a cena scattavano i racconti. Dopo cena telefonata a casa e poi di nuovo nel giardino o nella hall a parlare della corsa, dei progetti, delle cose che non avevano funzionato o semplicemente a scherzare. E anche quella volta andò così.

La salita di Plateau de Beille misura 16 km per una pendenza media del 7,8% e una massima del 10%. Dislivello di 1.235 m
La salita di Plateau de Beille misura 16 km per una pendenza media del 7,8% e una massima del 10%. Dislivello di 1.235 m
I corridori scaleranno Plateau de Beille dopodomani: che salita troveranno?

Una tipica salita pirenaica. Ricordo che andava su con dei lunghi e ampi drittoni con qualche tornante di tanto in tanto. Era una salita che non lasciava molto respiro, sempre attorno all’8-9 per cento con qualche rampa un po’ più dura ogni tanto. E poi ricordo che non finiva mai!

Prima abbiamo parlato del vostro approccio della salita e invece Pantani come si comportò?

In corsa non parlava tanto. Era piuttosto taciturno. E fu così anche quel giorno. Gli portavi da bere, da mangiare e lui se ne stava lì. Quando stava bene era così: taciturno, era concentrato. Pensate che quando forò Ullirch noi, anche lui, eravamo tutti in fila indiana e Marco non se ne accorse tanto era sulle sue.

Roberto, dopo l’impresa di Plateau de Beille lui vi disse che voleva vincere il Tour, ma voi avevate la sensazione che il Tour avesse davvero preso un’altra piega?

Come detto, per vincere no. In classifica Marco era dietro… Ma sapendo dei suoi attacchi, dei suoi attacchi da lontano dentro di me pensavo: “Vuoi vedere che questo qui tira fuori il coniglio dal cilindro?”.

Girmay cala il tris, ma la notizia è la maledizione di Roglic

11.07.2024
6 min
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Più di due minuti per Roglic che ha tagliato il traguardo scortato da tutta la squadra. Anche questo ti fa sentire capitano, come con Pantani dopo la caduta del Chiunzi. Ma alla fine sarà una ben magra consolazione, soprattutto se i medici diranno qualcosa di brutto e inatteso. E’ stata una tappa per certi versi disastrosa, in cui il solo contento sarà alla fine Girmay, che ha sollevato le braccia al cielo per la terza volta in questo Tour de France.

Riavvolgiamo il nastro dall’epilogo. Per scorrettezze durante lo sprint sono stati declassati Demare e Cavendish. Poco prima, a 12 chilometri dall’arrivo, Alexei Lutsenko ha provocato la caduta che costerà il Tour a Primoz Roglic, che finalmente era parso in crescendo. Mentre nei chilometri precedenti hanno alzato bandiera bianca Pello Bilbao, Fabio Jakobsen e non è partito Morkov, positivo al Covid. Doveva essere una tappa di trasferimento, è venuto fuori un finimondo.

«Se guardo la mia performance – dice Van Aert, secondo all’arrivo – posso essere soddisfatto. Avevo alcuni dubbi, soprattutto ieri. Mi facevano male l’addome e il braccio, ma abbiamo accertato che non ci siano fratture, anche se sull’asfalto sconnesso si fa sentire. Stamattina mi sentivo meglio, stavo bene sulla bici. Così ho voluto provare lo sprint. E’ stato difficile, avrei potuto fare meglio, se non fossi dovuto ripartire durante la volata. Ancora una volta ho scelto la parte giusta, quindi non è stata colpa mia. E’ stato uno sprint disordinato, senza una squadra che lo abbia impostato. Davanti c’erano solo uomini sciolti. Io ho iniziato a ruota di Demare. Doveva semplicemente andare dritto, ma ha scelto di spostarsi a destra dove c’ero già io. Ho dovuto smettere di pedalare e spostarmi dall’altra parte. Poi sono arrivato accanto a Biniam, ma con mezza ruota di troppo. E’ un peccato.

«Ed è un peccato che sia caduto Primoz, mi dispiace molto per lui. Ha già avuto tanta sfortuna, la classifica generale non dovrebbe definirsi così, ma c’è molto stress. Dal mio punto di vista è stata una frazione molto difficile, con alcuni spartitraffico troppo pericolosi. Penso che certi ostacoli possano essere segnalati meglio o addirittura rimossi. Perciò sono molto orgoglioso del fatto che Primoz sia voluto arrivare al traguardo. E ora spero che stia bene e che continui la corsa».

Amarezza per Roglic

Attorno al pullman della Red Bull-Bora-Hansgrohe si respira un pessimo umore. Quando è arrivato Roglic, ha trovato anche un tifoso che insisteva a camminargli accanto per farsi un selfie, incurante della spalla lacera e degli evidenti segni della caduta. La dinamica è stata spiegata e vivisezionata. Al centro della strada c’era da diversi metri un cordolo che separa le due carreggiate. E Lutsenko, forse perché spinto o forse perché non se ne è accorto, dal lato sinistro, si è spostato per andare a destra. La sua bici si è impuntata sul gradino, è finita dall’altra parte ed è diventata la rampa di lancio per Roglic. Lo sloveno non lo ha nemmeno visto arrivare, dato che al momento della caduta di Lutsenko era ancora indietro. Si è semplicemente trovato davanti l’uomo a terra ed è franato a sua volta, battendo la schiena.

L’inseguimento è stato doloroso e drammatico. Era palese che Primoz non ce la facesse. E a vederlo in quella brutta posizione, sono saltate alla mente tutte le volte che è caduto, lasciando andar i suoi sogni. Come al Tour del 2022, il primo vinto da Vingegaard. Quando lo sloveno cadde nella tappa del pavé, fu decisivo per l’attacco contro Pogacar sul Granon, poi impacchettò le sue cose e tornò a casa.

Passaggio a Rocamadour, luogo sacro per i francesi, teatro dell’ultima crono 2022
Passaggio a Rocamadour, luogo sacro per i francesi, teatro dell’ultima crono 2022

Il racconto di Pogacar

«Abbiamo sentito uno schianto – ha commentato Pogacar – ma il finale era già abbastanza stressante e non mi sono voltato per capire che fosse caduto. Ma poi, subito dopo il traguardo, hanno detto che era Primoz e mi è dispiaciuto molto. E’ davvero in buona forma e lo vedo progredire durante le tappe, quindi finora ho pensato che avrebbe lottato sino in fondo per questo Tour.

«E’ stato davvero triste vederlo cadere oggi e penso che abbia perso un bel po’ di tempo. Spero che stia bene. Normalmente è un grande combattente, spero si possa riprendere e puntare a vincere qualche tappa. Io invece sono stato bene. Mi aspettavo gambe più stanche, invece sono stato abbastanza bene per tutto il giorno».

Okay, sembrano dirsi Pogacar e Vingegaard, da sabato si comincia…
Okay, sembrano dirsi Pogacar e Vingegaard, da sabato si comincia…

«Una caduta come quella di oggi non dovrebbe accadere – dice Merjin Zeeman, ex direttore di Roglic alla Jumbo-Visma – c’erano cordoli impossibili da vedere per il gruppo. La caduta non è colpa dei corridori e ci dispiace davvero per Primoz. Non puoi far percorrere al gruppo del Tour una strada del genere, è da irresponsabili».

Girmay, grazie a Dio

E poi arriva lui, il vincitore vestito di verde che ha esultato come un giorno fece Sagan, imitando Hulk. Anche se nel caso di Girmay, la sensazione è che sia stato semplicemente un urlo liberatorio dopo la tensione della volata.

«Voglio ringraziare Dio – dice – senza il quale non avrei la forza per fare tutto questo. Poi voglio ringraziare i miei compagni e la mia squadra, perché senza di loro non riuscirei a dimostrare di essere il più veloce. Fin dall’inizio di questo Tour de France, sapevo che avrei potuto vincere. In tre sprint ho dimostrato che, se sono ben posizionato, sono in grado di farlo. Oggi poteva starci bene che la fuga arrivasse, ci avrebbe fatto comodo. Ma quando si è capito che sarebbe finita in volata, ho detto alla mia squadra via radio che mi sentivo bene e che mi sarei buttato.

«Questo mi fa venire voglia di continuare a concentrarmi completamente sugli sprint. La maglia verde mi mette le ali. Mi sento super veloce ed è soprattutto un fatto nella testa. Ho avuto i miei alti e bassi nelle ultime stagioni, ma quest’anno ho cambiato le cose e sta funzionando. Ho cambiato anche la mia filosofia».

La lenta sfilata della Red Bull-Bora non è servita a limitare il passivo di 2’27”
La lenta sfilata della Red Bull-Bora non è servita a limitare il passivo di 2’27”

Roglic, errore o sfortuna?

Probabilmente in serata arriveranno aggiornamenti sulle condizioni di Roglic, l’uomo che ha cambiato squadra per giocarsi il Tour e si ritrova ancora una volta al tappeto come già altre volte in passato. Non è mai per caso, a certi livelli. Enrico Gasparotto ha detto in diretta RAI che da qualche giorno non riescono a vedere la corsa dall’ammiraglia e non si è capito se questo significhi non poter dire ai corridori di stare davanti o se fosse semplicemente un modo per dire che non potesse fare un commento. In ogni caso che Roglic stia sempre indietro e finisca spesso nei guai è un fatto.

Nel finale convulso e mal segnalato di oggi, i primi della classifica erano tutti in testa con le loro squadre. E’ bello pensare che la squadra compatta si il modo di tenerti lontano dai guai, non un drappello afflitto che ti scorta dolorante verso un traguardo ormai troppo lontano.

«Primoz ha appena fatto la doccia – ha detto Rolf Aldag, manager del team – il medico lo sta visitando, per determinare quali cure mediche ha bisogno. Ci auguriamo tutti che non succeda nulla di grave, per il momento la cosa più importante è lo stesso Primoz, non il suo risultato al Tour de France. Speriamo che stia bene, che non si sia allenato così duramente per niente. E’ un dato di fatto, questa caduta ha avuto conseguenze importanti sulla nostra squadra oggi».