GRUISSAN (Francia) – Ciccone sta nel mezzo, come gli succede da parecchio negli ultimi anni. Voleva fare il Giro d’Italia, ma si è ammalato. Lo hanno portato al Tour per puntare alle tappe e aiutare Tao Geoghegan Hart, uomo per la classifica. Invece il britannico è caduto e Giulio si è ritrovato lui a fare classifica. E così adesso che Silvano Ploner di Rai Due gli chiede se non sarebbe meglio lasciar andare la classifica per puntare a una tappa, lui risponde con ironia.
«No, non è facile – dice l’atleta della Lidl-Trek – non è facile anche perché è sempre una top 10 a un Tour de France. Non va buttata così per andare in una fuga. Ci sono dinamiche un po’ diverse, però vediamo. Niente è deciso, quindi aspettiamo. Oggi è una tappa che tanti sottovalutano, ma sarà una tappa che farà più casino delle montagne. Quindi vediamo quello che succede e poi decideremo».
La partenza da Gruissan è caotica e calda. Le cicale friniscono senza tregua e prima che iniziasse il baccano della carovana si erano prese tutto lo spazio nella gamma dei rumori. I pullman sono arrivati alla spicciolata e quando Giulio ci raggiunge, ha lo sguardo divertito di sempre.
Come nelle prime tappe italiane, al Tour questa mattina è tornato il caldo, ma Ciccone non ha perso il sorrisoCome nelle prime tappe italiane, al Tour questa mattina è tornato il caldo, ma Ciccone non ha perso il sorriso
Ti abbiamo visto abbastanza stanco, come stai dopo il giorno di riposo?
L’altro giorno è stata una tappa folle. E’ vero, nell’ultima salita ho pagato qualcosa, però vi assicuro che non è stato un crollo. I miei dati erano buoni, la potenza era buona. Era semplicemente che Il ritmo era troppo alto per le mie possibilità, tutto qui. Ieri è stato un buon giorno di recupero e ora siamo nell’ultima settimana, vediamo cosa si riesce a tirar fuori.
L’idea comunque non era di fare classifica, giusto?
No, il leader era Geoghegan Hart, sulla carta. Arrivavo qui per fare qualche tappa, per riprovare magari la maglia pois. Poi però siamo partiti dall’Italia e, come avevo già dichiarato, volevo vedere come andava la prima settimana e poi decidere. Finora ho avuto delle belle prestazioni in salita, forse la peggiore è stata proprio a Plateau de Beille. Comunque tolti i tre fenomeni, poi il livello è molto bilanciato. Secondo me vale la pena provare a tenere duro. Manca ancora la settimana più dura, quindi se capita l’occasione non voglio tirarmi indietro.
Ciccone si è ritrovato per l’ennesima volta a “dover” fare classificaCiccone si è ritrovato per l’ennesima volta a “dover” fare classifica
Qualcuno ha detto che, visto il livello che hai in questo Tour, potevi fare un bel Giro.
Mi sarebbe piaciuto e come ho sempre detto, il Giro rimane il mio sogno. Però purtroppo per forza di cose sono già due anni che i programmi saltano. Ma ripeto per me il Giro è il Giro e magari fare un Tour così bene mi darà ancora più fiducia per riprovarci in Italia.
Cos’è che rende il Tour così duro?
Il Tour è il Tour, è micidiale. Non c’è una tappa dove si può stare tranquilli e le velocità sono pazzesche. Lo stress è altissimo, il livello è altissimo: è tutto diverso. Il Tour è una gara completamente a parte, non esiste una gara simile al Tour.
I valori sono buoni, la potenza è buona, quindi si corre guardando i dati sennò si salta?
Diciamo che io non li guardo, cerco di seguire la corsa e non mi lascio condizionare dai dati. Però poi ovviamente si analizza tutto e a leggere ci sono dei valori mostruosi. Ve lo assicuro. Quindi sono contento così.
Dopo la beffa di ieri, Milan non sbaglia la distanza e vince la volata. Si chiude il periodo opaco. Dal 2024 va alla Lidl, ma un po' dispiace andar via
Hugo Houle vince la 16 tappa del Tour e dedica la vittoria a suo fratello, morto 10 anni fa: era la sua missione e l'ha centrata. Prima scosse in classifica
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
Da qualche foto sui social era emerso che i ragazzi della SC Romanese, squadra juniores bergamasca, avevano passato una settimana in Olanda, in casa della DSM-Firmenic Post NL. Un periodo di allenamenti con a coronamento di questa anche una gara di categoria 1.1, dove Stefano Gianini ha conquistato un ottimo terzo posto.
«Dal 2024 – dice Redi Halilaj, team manager della SC Romanese – siamo diventati team di sviluppo della DSM. Un progetto che raccoglie diverse realtà in Europa, tutte squadre juniores, e vuole portare i corridori nell’orbita della squadra WorldTour. Non è un reclutamento di atleti e basta, ma una serie di esperienze per far crescere i ragazzi. Per far imparare loro come si lavora e ci si allena in un team di alto livello».
Ecco gli atleti della Romanese all’interno della struttura del Team DSM-Firmenich PostNLEcco gli atleti della Romanese all’interno della struttura del Team DSM-Firmenich PostNL
Romanese orgoglio italiano
Il progetto della DSM-Firmenich Post NL comprende appunto diverse squadre del panorama juniores. Tutte selezionate secondo parametri di qualità del lavoro e di preparazione dello staff.
«In questo momento – continua Halilaj – sono all’interno del progetto alcune squadre: un’olandese, una inglese, una belga e noi. A inizio anno la DSM cercava un team italiano ed è stata segnalata la nostra realtà. Un grande attestato di stima visto il nostro lavoro e sono davvero felice per i ragazzi, perché hanno potuto prendere parte ad un’esperienza molto formativa. Verso gennaio ho fatto un paio di incontri con il loro capo scout e siamo entrati in questo progetto. La settimana in Olanda era già prevista, fin da subito».
Il primo giorno hanno effettuato dei test sul VO2Max all’interno dei laboratoriUn modo anche per apprendere come funzionano certe dinamicheIl primo giorno hanno effettuato dei test sul VO2Max all’interno dei laboratoriUn modo anche per apprendere come funzionano certe dinamiche
Come si è svolta?
Il primo giorno siamo andati nei laboratori del team e abbiamo fatto alcuni test, in particolare sul VO2Max. Abbiamo visto quali macchinari usano e i ragazzi avevano gli occhi che brillavano dall’emozione. Nel secondo giorno, invece, c’è stato un allenamento di tre ore e mezza con quattro volate da 10-12 secondi. Alla fine anche un test di un minuto al massimo delle possibilità.
Abbiamo visto che siete anche stati nel BikePark di Tom Dumoulin…
Sì, siamo andati nella giornata di venerdì. E’ un posto fantastico e super attrezzato, pensate che all’interno ci sono anche dei settori di pavé. I ragazzi hanno imparato a fare la doppia fila ravvicinata, vista la larghezza delle strade del Nord. Cose utili per la loro crescita e il loro apprendimento. Hanno anche visto come si prende in testa una curva prima di uno strappo. Praticamente hanno visto cosa vuol dire correre da quelle parti.
Nella seconda giornata un allenamento sulle strade olandesi, con quattro volate breviEccoli all’interno del BikePark di Tom Dumoulin, dove hanno imparato a muoversi su strade stretteNella seconda giornata un allenamento sulle strade olandesi, con quattro volate breviEccoli all’interno del BikePark di Tom Dumoulin, dove hanno imparato a muoversi su strade strette
Hanno imparato bene visto il terzo posto di domenica 7 luglio.
Una gara piatta, senza asperità, ma con un vento incredibile. I ragazzi sono stati bravissimi, erano nel vivo della corsa, tanto da essere entrati in tre nei primi dodici. Ma non era il risultato che cercavamo, anche se questo ha fatto piacere.
Che obiettivo avevate?
La cosa principale che mi premeva era il confronto con gli altri ragazzi. In queste esperienze all’estero impari qualcosa, sempre. E secondo me insegni qualcosa. Non è solo apprendere, ma anche donare.
L’esperienza si è chiusa domenica 7 luglio con la partecipazione alla Menen Kemmel, dove Stefano Gianini ha colto un ottimo terzo postoIl 7 luglio hanno partecipato alla Menen Kemmel, dove Stefano Gianini ha colto un ottimo terzo posto
Dove avete alloggiato?
Negli appartamenti della DSM. I ragazzi hanno vissuto in totale autonomia, a gruppi di due. Si cucinavano la cena e si autogestivano. Tutto lo staff del team alla fine della settimana ci ha fatto i complimenti. Non è facile ambientarsi in quelle zone, anche solo per andare in bici. Devi entrare e uscire dalle ciclabili, perché dove ci sono vanno usate. Ma quelle sono belle, scorrevoli e ci si può allenare sopra senza problemi.
Tu sei felice di quanto visto?
Totalmente. Secondo me una settimana del genere ti lascia tanto. Sia a me che ai ragazzi. Fa capire loro cosa bisogna fare per arrivare in alto, non basta andare forte in bici, intorno c’è un mondo. Serve umiltà e ambizione. I consigli dello staff della DSM fanno piacere e sono un tesoro importante per loro. Il ciclismo è un divertimento, ma serve anche prenderlo con la giusta dose di serietà.
Se Pierpaolo Addesi sta a Daniele Bennati, nel ciclismo paralimpico il ruolo di Villa appartiene a Silvano Perusini, che lo scorso anno ebbe l’incarico di costruire dal nulla il settore della pista. Nell’Italia delle tantissime medaglie su strada, infatti, la pista inspiegabilmente mancava. Il friulano, che per mestiere lavora in un centro di riabilitazione per tetra e paraplegici in cui gestisce tutta la parte di scienze motorie, ha preso l’incarico con serietà ed entusiasmo. Il frutto del suo lavoro e quello degli atleti sono state le prime medaglie ai mondiali – da Glasgow a Rio – e la qualificazione olimpica. Da domani la sua nazionale sarà in ritiro a Montichiari.
«Non me l’aspettavo – dice – sinceramente, non me l’aspettavo. Cordiano stesso (il presidente federale Dagnoni, ndr) mi aveva indicato come obiettivo massimo le Olimpiadi di Los Angeles del 2028, perché anche lui capiva che era tutto da costruire. Quando sono arrivato, non avevo neanche un’officina, non avevo un box, non avevo una bicicletta, una ruota, né dati sugli atleti. Quando entravo in pista con quei 4-5 ragazzi che avevo convocato, c’era una disorganizzazione incredibile. Loro non sapevano come riscaldarsi, non sapevano dove mettersi. Ne avevo uno in curva, uno nel rettilineo delle partenze, l’altro nel rettilineo opposto. Adesso invece si fissa un orario. Si dice che alle 9,30 si sale in pista e li vedi puntuali, che fanno doppia fila, organizzati con il rapporto giusto, con la pressione giusta delle gomme. Ormai abbiamo raggiunto un livello di organizzazione molto elevato. Quindi non guardo solo il risultato, ma anche il lavoro fatto. Adesso hanno delle competenze tecniche e tattiche, sanno gestire le varie tipologie di allenamento. In questi due anni, abbiamo fatto veramente un bel lavoro».
Campionati del mondo pista di Glasgow 2023, prima apparizione per la nazionale di Silvano PerusiniCampionati del mondo pista di Glasgow 2023, prima apparizione per la nazionale di Silvano Perusini
Si può dire che il primo scatto nella consapevolezza sia stato il mondiale di Glasgow?
Sono stati i mondiali in cui sono scattati il senso di appartenenza alla squadra e l’orgoglio per le medaglie raggiunte. E chi non ha portato medaglie comunque ha ottenuto dei quarti posti. Ci siamo resi conto delle nostre capacità, delle nostre potenzialità e dei margini di miglioramento. Glasgow ci ha dato visibilità a livello nazionale, grazie alla presenza dei giornalisti. Eravamo equiparati alla nazionale di Villa, siamo usciti dall’ambiente ciclistico paralimpico e siamo entrati in quello del ciclismo. C’erano le dirette, immagini che giravano in televisione e sui siti. A Glasgow c’è stata una grossa gratificazione anche dal punto di vista mediatico che, assieme ai risultati ha fatto crescere il gruppo. E tutto questo ci ha dato una grande spinta verso i mondiali di Rio.
Cosa è successo a Rio?
Abbiamo avuto una bella crescita che ci ha permesso di conquistare delle medaglie e di vincere il titolo mondiale a squadre (foto di apertura, ndr), che secondo me è il più gratificante. Fra tutte le specialità, è la più difficile da costruire dal punto di vista tecnico. Hai bisogno di lavorare su quattro atleti (Chiara Colombo-Elena Bissolati, Federico Meroni-Francesco Ceci, ndr), sulla tecnica, sulla tattica. Ci sono meccanismi da curare, devi raggiungere veramente la perfezione per fare un risultato del genere. Probabilmente nell’ambito del mondiale è stata la medaglia più bella.
Hai avuto difficoltà a fare le scelte per Parigi?
Ho avuto difficoltà perché nell’attimo in cui raggiungi una certa posizione nel ranking, l’UCI ti dice che hai dei posti limitati e quindi ti devi confrontare anche con la strada. Il gruppo guidato da Pierpaolo Addesi ha una tradizione e una storia molto più lunga di quella su pista. Ha dei campioni affermati che calcano da sempre il palcoscenico dei mondiali e delle Olimpiadi e questo ti porta a delle scelte obbligate. Quindi per il rispetto verso gli atleti della strada, che sono veramente di altissimo valore, abbiamo scelto di portare in pista chi ai mondiali aveva fatto podio nelle specialità olimpiche. Per cui i nomi erano quelli di Claudia Cretti e il tandem di Plebani-Bernard. In più ci siamo giocati la slot con Andrea Tarlao, anche se ai mondiali non aveva preso una medaglia nelle discipline olimpiche.
Ai mondiali di Rio, Claudia Cretti è stata terza nell’inseguimentoAi mondiali di Rio, Claudia Cretti è stata terza nell’inseguimento
Le discipline olimpiche sono il chilometro e l’inseguimento, giusto?
Esatto. E sono soddisfatto di partecipare con tre ragazzi – due del tandem e la Claudia – perché mai ci saremmo sognati di poter già accedere alle Paralimpiadi. Penso sia una bella gratificazione per tutto il gruppo della nazionale su pista e soprattutto per questi ragazzi che hanno lottato tanto. Mi dispiace per il tandem di Ceci e Meroni, perché a Rio hanno fatto un grandissimo mondiale. Hanno vinto la specialità a squadre, il tandem sprint a squadre, ma non hanno preso la medaglia in una specialità olimpica. Sono arrivati quinti nel chilometro, a pochissimo dal podio, ma non è bastato.
Quanto è stato difficile, visto il gruppo che si è creato, comunicare l’esclusione agli atleti rimasti fuori?
E’ una cosa tragica. Durante i ritiri nasce una grande complicità tra atleta e tecnico nel rispetto dei propri ruoli. Mi rendo conto che l’atleta patisca una scelta del genere, però è tanto pesante anche trasmetterlo, proprio per il rapporto che si crea. Non è stato semplice, però poi fai una valutazione prettamente tecnica e quindi i ragazzi devono recepirla, capirla e accettarla.
Quanto siete cresciuti sotto l’aspetto tecnico rispetto al non avere nemmeno un’officina?
Molto. Per quanto riguarda il tandem, abbiamo la collaborazione con Bonetti. Per le ruote, viviamo abbastanza alla luce della nazionale maggiore. Infine, per tutto quello che è la valutazione funzionale, ci basiamo sulla collaborazione col Team Performance della Federazione. Quindi abbiamo dei dati molto specifici sulle qualità e le capacità dei ragazzi e questo è veramente una cosa molto importante. In più utilizziamo i biomeccanici della Federazione e anche in questo riusciamo a curare il materiale e il posizionamento in modo molto preciso. Se penso a quello che eravamo, abbiamo raggiunto veramente un livello importante.
Terzo posto a Rio anche per la coppia Bernard-Plebani con record italiano dell’inseguimento con 4’08’117″Il podio nell’inseguimento è valso alla coppia Bernard-Plebani la convocazione olimpicaTerso posto a Rio anche per la coppia Bernard-Plebani con record italiano dell’inseguimento con 4’08’117″Il podio nell’inseguimento è valso alla coppia Bernard-Plebani la convocazione olimpica
Secondo te quale potrebbe essere il nostro livello a Parigi?
Facciamo subito un’analisi per atleta. Claudia Cretti ha delle possibilità di medaglia per quanto riguarda l’inseguimento individuale. Stiamo lavorando tecnicamente in modo particolare sulla difficoltà nel raggiungere la velocità di crociera. La stiamo in parte risolvendo, quindi secondo me riusciremo a fare veramente una prestazione importante e mirare a una medaglia. Nei 500 metri ancora no, perché è ancora più importante lo stacco dal blocco in partenza. Quindi secondo me arriveremo fra i primi, ma non siamo da podio. Per quanto riguarda il tandem di Plebani e Bernard, che tra l’altro hanno fatto un ottimo risultato a Rio (terzi con 4’08”), anche lì abbiamo possibilità di medaglia. Rispetto a Rio siamo con tutti in condizione leggermente migliore. Abbiamo lavorato di più per quanto riguarda gli aspetti tecnici e gli aspetti metabolici specifici delle discipline paralimpiche. Sicuramente il tempo potrà essere abbassato, bisognerà vedere cosa faranno le altre nazioni. Io però sono abbastanza ottimista di poter migliorare intanto la prestazione di Rio.
Cosa farete di qui a Parigi?
Da questa settimana, da domani fino al 20, siamo in ritiro in pista. Il 20 abbiamo una gara paralimpica a Pordenone e ci teniamo anche a fare bene. Gli organizzatori sono stati gentilissimi e in Italia sono anni che non si fanno competizioni paralimpiche su pista al di fuori dei campionati italiani. La gara è la preparazione che ti dà qualcosa in più per fare bene nelle competizioni internazionali. Sono proprio contento di partecipare a questo evento, all’interno della Tre Sere di Pordenone, come nazionale. C’è un discreto pubblico, avremo visibilità e poi nella prima metà di agosto faremo altura a Campo Felice assieme al gruppo strada. Dal 20 al 25 torneremo in pista a Montichiari e il 25 si parte per Parigi. Andiamo alle Paralimpiadi, lo trovo meraviglioso.
L’AQUILA – Volente o nolenteLotte Kopecky è stata una protagonista assoluta il Giro d’Italia Women. Volente perché sappiamo quanto sia forte e grintosa la belga. Nolente perché neanche lei e il suo clan non si aspettavano una prestazione simile. «Il programma iniziale era un po’ diverso, non credevamo di ritrovarci a dover lavorare in questo modo per questa tappa», ci aveva detto Elena Cecchini al via da Pescara, tappa finale.
Il programma era un po’ diverso sebbene l’iridata fosse venuta al Giro in buona condizione, ma non ottimale. Era venuta, per sua stessa ammissione, con l’obiettivo finale delle Olimpiadi di Parigi. Questo non significa che fosse arrivata in Italia per allenarsi e basta, sia ben chiaro.
Appena due settimane prima del Giro Women la portacolori della Sd Worx aveva rivinto il titolo nazionale sia a crono che su strada.
L’imperiosa volata di Foligno. Dopo aver perso il primo sprint dalla Consonni, qui Lotte ha vinto con 4 bici di vantaggioL’imperiosa volata di Foligno. Dopo aver perso il primo sprint dalla Consonni, qui Lotte ha vinto con 4 bici di vantaggio
Obiettivo Parigi
E infatti dopo l’arrivo finale, al netto della comprensibile delusione per la sconfitta impostale da Elisa Longo Borghini, una parte di Kopecky era soddisfatta: «Ho dato il massimo e arrivare così vicina è una testimonianza del duro lavoro della mia squadra e del mio. Sono orgogliosa di ciò che abbiamo ottenuto e questo mi dà grande fiducia per andare avanti e quindi per le Olimpiadi».
«Io non sapevo davvero cosa avrei potuto raccogliere durante questa corsa. E’ andata bene. Ho vinto una tappa, la maglia rossa e ho lottato fino alla fine per la classifica generale.
«Se penso che sono venuta qui per soffrire, per migliorare la mia forma… allora dico di aver avuto successo. Ora sono delusa – ha continuato Lotte nel dopo L’Aquila – avrei potuto vincere il Giro, ma ho bisogno di guardare il quadro in modo più ampio e allora posso dire di tornare a casa con più fiducia».
Kopecky (classe 1995) sui rulli in cima al Blockhaus. La belga era forse la più fresca al traguardo quel giornoKopecky (classe 1995) sui rulli in cima al Blockhaus. La belga era forse la più fresca al traguardo quel giorno
Giro in crescita
Analizziamolo quindi il Giro di Lotte Kopecky. Il suo e quello di Longo Borghini sono stati due approcci simili, almeno per quanto riguarda le gare precedenti. Andando a ritroso: campionati nazionali per entrambe, Tour of Britain per Kopecky, Tour de Suisse per Longo, e quindi Giro Women.
Nonostante il caldo intenso della corsa, che vedeva le ragazze davvero cotte una volta all’arrivo, la belga reagiva subito. Tante volte, specie sul Blockhaus, l’abbiamo vista tagliare il traguardo che stava ancora bene. Si vedeva dal volto, dalla sua determinazione glaciale e dal fatto che dopo pochi secondi era già sui rulli. Emblematico è stato il caso proprio del tappone del Blockhaus.
Tutte, Elisa anche, sono rimaste sull’arrivo, Lotte no. Lei è entrata subito nell’area dietro al palco delle premiazioni a fare scioglimento sui rulli. Segno di una grande lucidità e una grande capacità di recupero.
«Non avevo mai fatto una scalata tanto lunga – ha detto la belga con soddisfazione – questo significa che sto bene».
Kopecky è arrivata con una buona dose di lavoro sulle gambe e all’inizio della corsa rosa non era iper brillante. Poi con il passare delle tappe la situazione si è stabilizzata per tutte e contestualmente sono emerse la sua classe e la sua brillantezza, tanto da vincere a Foligno in volata quasi per distacco. Fino al capolavoro del Blockhaus.
Solo a L’Aquila Lotte ha dimostrato di essere umana anche lei, pagando nel finale gli sforzi del giorno precedente sulle montagne.
Lotte e il suo staff sono rimasti piacevolemte sorpresi dalla prestazione del Blockhaus. «E’ stata più dura del Tourmalet», ha detto il suo diesseLotte e il suo staff sono rimasti piacevolemte sorpresi dalla prestazione del Blockhaus. «E’ stata più dura del Tourmalet», ha detto il suo diesse
Kopecky soddisfatta
Il calendario della belga a Parigi sarà piuttosto fitto: farà le due prove su strada e poi si sposterà in pista. Dopo questa mole di lavoro le serve in primis recuperare e trovare l’ultimo colpo di brillantezza. Bisogna che metta la gemma nella corona. Per il resto tutto è stato fatto. E anche bene.
«Come ho detto tante volte – prosegue la belga – ero qui con l’obiettivo primario dei Giochi Olimpici. Io correrò sia su strada che su pista. Ora vado a casa. Farò qualche giorno di riposo e poi dalla prossima settimana (cioè questa, ndr) inizierò un training camp in pista che mi servirà per ritrovare brillantezza e quindi si partirà per Parigi.
«Non andrò in altura (anche perché non ci sarebbe tempo, ndr). Dal punto di vista della mia condizione e di come è andato il Giro d’Italia Women in questo senso sono soddisfatta. Anzi, molto soddisfatta. Penso di essere pronta per Parigi».
GRUISSAN (Francia) – Pogacar è di buon umore. Racconta di aver fatto appena un giro con i compagni stamattina (in apertura foto di Alen Milavec) e di essersi fermato in una pasticceria, mangiando – con preghiera di non dirlo al suo nutrizionista – il miglior muffin di sempre.
La maglia gialla si racconta online, come si usa dagli anni del Covid e come le squadre amano fare per non dover allestire una sala in cui accogliere i giornalisti. In più l’impennata di casi di Covid ha indotto ASO a imporre le mascherine ai media che hanno a che fare con gli atleti. Una decisione che la gente comune non capisce, sta però il fatto che per il Covid diversi atleti hanno già dovuto rinunciare alle prove olimpiche.
In questo giorno di riposo hanno già detto la loro Vingegaard e anche Evenepoel. Il belga ha ammesso che difenderà il terzo posto e non vede l’ora di correre l’ultima crono. Dice che ha studiato le tappe che ci attendono e che ieri a Plateau de Beille lo ha motivato il fatto di aver corso più veloce di Pantani.
Pogacar è di buon umore, forte del vantaggio accumulato e della consapevolezza di avere ancora del tempo libero, prima che riprenda la rumba del Tour. «Manca ancora metà del giorno di riposo – sorride – spero che finiremo velocemente la conferenza stampa così potrò rilassarmi nella mia stanza e guardare un bel film…».
Quando ieri Jorgenson è passato in testa, dice Pogacar, i numeri sono esplosiQuando ieri Jorgenson è passato in testa, dice Pogacar, i numeri sono esplosi
Vingegaard ha detto che ieri ha avuto la migliore prestazione della sua vita. Cosa significa per te?
Penso che ieri tutti abbiamo assistito a una delle migliori esibizioni in salita di sempre. Anche per me, quando ho controllato i miei numeri, è stato davvero pazzesco. Soprattutto la parte in cui Matteo Jorgenson e Jonas sono andati in testa, sono stati i numeri più alti che abbia mai fatto nella mia carriera. E’ stato un grande giorno. E si capisce che Jonas è venuto qui preparato a lottare per la vittoria. Ieri finalmente hanno mostrato le palle e hanno colpito forte. Alla fine è stato uno sforzo totale, dal basso e fino alla cima. E’ stata una tappa pazzesca, davvero pazzesca.
Si è molto parlato del fatto che tu abbia battuto il record di Pantani.
Marco Pantani ha fatto la doppietta. Giro-Tour, penso che fosse l’anno in cui sono nato. Purtroppo in Italia Marco Pantani è il dio del ciclismo, ma personalmente non mi piacciono questi confronti. Ci sono quasi 30 anni di differenza, quindi non voglio pensare alla doppietta in termini di un confronto. Mi concentro ogni giorno per raggiungere l’obiettivo in giallo, senza pensare a queste cose.
Hai letto i commenti sui social media?
Ci sono sicuramente commenti negativi, me ne sono reso conto negli ultimi due anni. In nessuna situazione puoi piacere a tutti. Anche se fai tutto alla perfezione, ci sarà sempre qualcuno a cui qualcosa non piace. Per alcuni non va bene se non vinci, per alcuni non va bene se attacchi in quel chilometro. Ci sono venuto a patti. Sui social non seguo quasi nulla, ho persone che mi aiutano in questo, soprattutto su Instagram. Il mio Instagram è una parte di me, sembra piuttosto bello, ma non guardo troppo cosa succede, perché penso che i social network siano una specie di veleno in questo nostro mondo.
Quello che ha fatto la differenza negli utlimi anni , per Pogacar sono l’alimentazione, le gomme e le ruoteQello che ha fatto la differenza negli utlimi anni sono l’alimentazione, le gomme e le ruote
La prestazione di ieri a cosa ti fa pensare?
Il ciclismo si sta evolvendo davvero tanto. Quando sei anni fa sono arrivato in questa squadra, non voglio parlarne male, ma era tutto totalmente diverso. Se confronto quest’anno con il mio primo alla Vuelta, allora era quasi tutto dilettantistico, eppure pensavo che fosse molto professionale. Andiamo avanti così velocemente perché le squadre si spingono a vicenda con la tecnologia, la nutrizione, con i piani di allenamento, con i ritiri in altura. Penso soprattutto alla Visma contro UAE e Ineos. Alla Lidl-Trek e alla Soudal-Quick Step. Ci rincorriamo per raggiungere i nuovi limiti. E così ieri abbiamo assistito alla scalata più veloce mai vista. E penso che potremmo vedere qualcosa del genere ogni anno, perché tutti si concentrano così tanto sui dettagli, altri limiti cadranno. Si ragiona su ogni singolo grammo di cibo, dove puoi risparmiare sulla bici. Stiamo andando molto veloci e per me è davvero impressionante vedere come sono cambiate le cose negli ultimi sei anni della mia carriera.
Quali sono gli aspetti che più hanno cambiato le cose?
La nutrizione, per quanto mi riguarda. Sei anni fa, quando ho iniziato, era tutto incentrato sui carboidrati. A colazione si mangiava pasta in bianco, riso bianco e magari frittata. Adesso facciamo una colazione più normale come riso, porridge, fiocchi d’avena. Ancora frittata, pane, pancake e già penso questa piccola cosa faccia la differenza. Per cui non hai più bisogno di mangiare la pasta al mattino. Il cibo è ponderato per la colazione, per la tappa, per il dopo la tappa, per i tempi in cui hai bisogno di mangiare. Quando un anno dopo di me Gorka si è unito al team, il nostro nutrizionista, per me è stato molto difficile seguirlo. Devo dire che ci sono voluti circa quattro anni per iniziare a concentrarmi davvero sul suo piano, perché non è facile seguire mentalmente così tanto l’alimentazione. Questo è stato un grande cambiamento.
E sulle bici?
Ora sono molto più veloci. Penso che le gomme facciano la differenza più grande rispetto a quelle che avevamo sei anni fa, dieci anni fa. Le ruote, l’aerodinamica, i telai. E’ semplicemente incredibile quanto sia diversa la bici adesso rispetto a cinque anni fa.
Pogacar non conosceva molto bene Evenepoel: ora ha imparato ad apprezzarloPogacar non conosceva molto bene Evenepoel: ora ha imparato ad apprezzarlo
Ti abbiamo visto parlare più spesso di un tempo con Evenepoel: come è cambiato il vostro rapporto?
Quando lo guardavo in tv, sembrava un vero campione. Uno che non gliene frega niente di nessun altro, che ha sempre fatto le sue cose e vinceva davvero sempre tutto. Fra noi non abbiamo gareggiato quasi mai negli ultimi cinque, sei anni. E ora finalmente ci siamo trovati al Tour de France. Devo dire che in queste due settimane ho sviluppato tanto rispetto nei suoi confronti. Il modo in cui guida nel gruppo, non è nervoso, è davvero rispettoso verso tutti, per cui mi piace correre contro di lui. E’ un corridore di super classe.
Nell’ultima settimana ci sono più montagne che in qualsiasi altra settimana e poi la crono. Ti aspetti attacchi di Vingegaard?
Attaccherà di certo. Non penso che punteranno su entrambe le tappe, venerdì e sabato: penso che si concentreranno su una. Noi proveremo a fare la nostra gara, non credo che possano fare nulla di pazzesco. Siamo fiduciosi di poter andare al nostro ritmo e passare le montagne con quanti più corridori possibile, perché abbiamo una squadra super buona. Ma penso che sicuramente ci proveranno. Jonas ha detto che non rinuncerà alla lotta e penso che sia il giusto modo di pensare e parlare. Sarà una settimana dura in cui sicuramente vedremo molti fuochi d’artificio, da parte di tutti.
La tappa della Bonette può essere un ostacolo, vista l’altitudine e l’arrivo a Isola 2000?
Adoro il Col de la Bonette, è una salita super bella. L’ho fatta per la prima volta l’anno scorso ad agosto e mi è piaciuta. Amo quei passi sulle Alpi e poi la discesa verso Isola 2000, dove ci siamo allenati prima del Tour. Per cui non ho paura né apprensione e non vedo l’ora che quella tappa arrivi. La scalata a Isola 2000 è fantastica, simile a quella del Plateau de Beille. Invece la tappa di sabato è quasi la mia tappa di casa, direi che è la mia tappa di casa. Mi alleno molto su quelle salite. Le conosco molto bene e non vedo l’ora di trovarmi lì il prossimo fine settimana.
Vingegaard scatterà ancora, Pogacar gli sarà attaccato come un’ombraVingegaard scatterà ancora, Pogacar gli sarà attaccato come un’ombra
Che cosa ti fa paura?
Non so cosa temo di più, credo di non temere nulla. Ci sono ancora sei tappe da percorrere, prima di finire a Nizza con una cronometro davvero dura. Ovviamente non voglio ammalarmi o altro nell’ultima settimana, quindi proviamo a evitarlo. Nel complesso, sta girando molto Covid e molte malattie. Anche in salita, quando le persone sono così vicine, è difficile prevenirlo. Perciò, incrociamo le dita perché vada tutto liscio.
Ci sono corridori malati in gruppo?
Sembra di sì, Covid soprattutto. Il team di Aso ha provato a mettere le mascherine sui podi, dietro il podio e nelle zone con la stampa. Penso che più o meno tutti stiano sperimentando lo stesso Covid che ho avuto anche io prima del Tour. Era una lieve malattia, due giorni in cui mi sono sentito un po’ spento. Niente di veramente pazzesco. Qualcuno ha la febbre o qualcosa del genere, allora forse è meglio fermarsi.
Continui a escludere di andare anche alla Vuelta?
Manteniamo la percentuale del 99 per cento che non ci andrò quest’anno. Più probabile il prossimo.
Arnaud Demare (ma anche Guarnieri) finisce fuori tempo massimo. Solo per tutta la tappa, paga freddo e crisi del giorno prima. A Tignes come sul Calvario
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
Nel guardare la classifica dell’ultimo Sibiu Tour non bisogna lasciarsi ingannare. E’ vero, il vincitore è stato Florian Lipowitz, tedesco della Red Bull Bora Hansgrohe, ma al cospetto di questo e di altri team WorldTour, protagonista è stata anche la Petrolike e in particolare il suo leader Jonathan Caicedo, vincitore di una tappa e secondo nella classifica della montagna. Non contento, l’ecuadoregno ha anche colto un positivo 5° posto al successivo Giro dell’Appennino, confermando di vivere un particolare momento di forma.
Sin dagli esordi del team Petrolike, la presenza in esso di Caicedo era risultata abbastanza sorprendente, perché il sudamericano è a tutti gli effetti un corridore da WorldTour, che non sfigurerebbe in un grande giro, come cacciatore di tappe o tra i principali scalatori del gruppo. Eppure ha fatto una scelta controcorrente. Il manager del team Marco Bellini, da sempre vicino alle avventure in giro per il mondo di Gianni Savio, spiega da dove la sua scelta è nata.
La vittoria in solitudine nella terza tappa della corsa rumena, poi chiusa al 27° postoLa vittoria in solitudine nella terza tappa della corsa rumena, poi chiusa al 27° posto
«La Petrolike è nata con un programma quinquennale molto ambizioso, che entro il 2026 deve portare il team fra le principali Professional internazionali. Proprio in questi giorni stiamo stabilendo gli ulteriori passi da effettuare. Sin dall’inizio si era pensato di investire su due corridori sudamericani in grado di portare risultati, di spiccare per promuovere il marchio del team e il profilo di Caicedo, come quello del più giovane Camargo rispecchiava le nostre esigenze».
Caicedo chiaramente risulta quasi fuori contesto visto il suo valore, come ha accettato questa situazione?
Chiaramente c’è stato un discorso economico alla base, ma non solo. Sono due elementi di livello inusuale nell’attività del continente e si è visto nella portata e nel numero dei risultati portati a casa. Caicedo ha iniziato forte vincendo la Vuelta al Tachira, la Vuelta Bantrab, poi è stato protagonista al Giro di Colombia, fino al successo in Romania. Camargo ha avuto problemi fisici, ma ci aspettiamo molto da lui nella seconda parte di stagione.
Caicedo aveva iniziato il 2024 aggiudicandosi la Vuelta al Tachira, oltre alla quarta tappaCaicedo aveva iniziato il 2024 aggiudicandosi la Vuelta al Tachira, oltre alla quarta tappa
Quella rumena era corsa di una categoria superiore rispetto a quelle che avete affrontato…
Io, tra i vari team in cui ho militato, ci sono stato almeno sei volte e sapevo le sue caratteristiche, adatte ai nostri corridori. Ho notato però, rispetto al passato, come il livello generale sia più alto e come ormai sia un traguardo ambito anche dai team della massima serie, per questo i risultati ottenuti acquisiscono un valore maggiore. Caicedo nell’occasione ha confermato di essere uno scalatore di vaglia, come se ne vedono pochi in giro per le gare, di qualsiasi livello esse siano.
Allargando un po’ il discorso alla squadra, Caicedo è visto solo come un leader per conquistare punti o anche come un riferimento per i più giovani?
Domanda interessante che mi consente di fare un distinguo: l’obiettivo primario della Petrolike è essere uno strumento di crescita per i migliori prospetti messicani e consentire loro di trovare posto in grandi team. Per questo servono sì esempi, ma anche corridori in grado di insegnare ed è questo un elemento di discussione in questi giorni. Abbiamo bisogno di corridori che possano fare un po’ da “chioccia”, che abbiano sufficiente esperienza in questo mondo per insegnare ai talenti messicani, come ad esempio i due gemelli Prieto, appena vent’anni e tante possibilità.
Il Team Petrolike è nato quest’anno, ma ha grandi ambizioni già per il 2026Il Team Petrolike è nato quest’anno, ma ha grandi ambizioni già per il 2026
Come si stanno trovando i ragazzi al loro approccio europeo?
L’inizio non è stato facile perché nelle prime corse, in particolare Laigueglia e Croazia, hanno trovato tanto freddo al quale non erano abituati, uno sbalzo di temperatura che ha provocato bronchiti, raffreddori e un generale calo di condizione. Ora la situazione va molto meglio e i risultati lo stanno evidenziando.
La squadra ha un roster tutto centro-sud americano ma una dirigenza europea. E’ possibile che l’evoluzione della squadra passi per l’acquisizione di corridori del Vecchio Continente, magari italiani?
E’ proprio questo l’obiettivo: noi abbiamo un Caicedo che è un vincente, ma come detto prima ci serve chi stia più vicino ai giovani, svolga quel ruolo di “regista in corsa” che ci manca attualmente, per questo stiamo identificando 3-4 identikit di corridori europei che possano fare al caso nostro. Corridori che accettino di scendere di categoria abbracciando il nostro più che ambizioso progetto. Potrebbero anche essere italiani, perché no.
Per Andres Camargo un inizio stagione più difficile rispetto al connazionalePer Andres Camargo un inizio stagione più difficile rispetto al connazionale
Dove state cercando?
Un po’ dappertutto, ma dopo una scelta primaria per capire se i corridori prescelti facciano al caso nostro. E’ chiaro che deve essere gente che alla bisogna possa anche prendersi carico del team, finalizzare e portare risultati. Quel che conta è portarne qualcuno alla nostra causa, che abbracci il nostro progetto e voglia crescere insieme a noi.
GRUISSAN (Francia) – Tadej Pogacar si avvia a conquistare la doppietta Giro-Tour che in anni più recenti ha respinto campioni come Contador e Froome, in una sorta di rincorsa che ricorda quella di Cavendish al record di Merckx. Si legge stamattina che ieri lo sloveno e anche Vingegaard abbiano battuto e di parecchio il record di Pantani su Plateau de Beille e di certo altri record cadranno. I record sono fatti per essere battuti. Però allo stesso modo in cui si è stati molto cauti nel dire che Cavendish non sia stato grande quanto Merckx, si potrebbe fare la stessa considerazione nell’affiancare Pogacar a Pantani e a quelli che prima di lui fecero l’agognata doppietta: Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche, Indurain, Pantani.
Pogacar merita a pieno titolo di esser iscritto a questo club così esclusivo, come è probabile che la sua carriera alla fine sarà superiore a quella di molti di loro. Eppure voler a tutti i costi dipingere il prodigio con colori anche superiori a quelli che sfoggia suona un po’ pretestuoso. Tadej è un fenomeno, Vingegaard è un fenomeno, ma hanno attorno soltanto se stessi, in un duello che si protrae senza contraddittorio. Altri ottennero il loro primato nuotando in un mare pieno di squali. E’ sbagliato perseguire la sostituzione.
A Plateau de Beille, la prima vittoria di Pantani al Tour del 1998A Plateau de Beille, la prima vittoria di Pantani al Tour del 1998
Il record di Plateau de Beille
Pogacar ha scalato Plateau de Beille in 39’42” alla media di 23,800, iniziando la salita a tutto gas. Pantani impiegò 43’28”. Un risultato stupefacente, certo, che però non tiene conto del fatto che Marco fu fermato da Roberto Conti (leggete l’articolo pubblicato pochi giorni fa) per aspettare Ullrich, il suo avversario in maglia gialla, che aveva bucato. Per cui il tempo di scalata di Pantani è composto dai minuti necessari perché Ullrich si fermasse, aspettasse l’arrivo dell’ammiraglia, cambiasse bici e risalisse il gruppo che intanto non si era fermato. Già questo basterebbe.
Non è una questione di asfalti più veloci (le strade erano belle anche nel 1998), ma se volessimo guardare, potremmo parlare delle bici e ci sarebbe tanto da dire. La Bianchi con cui il romagnolo vinse il Giro e dopo il Tour era in alluminio, non aveva ruote ad alto profilo e in termini di aerodinamica non era certo al livello delle bici di adesso. Impossibile fare confronti.
Pantani non sapeva cosa fosse un powermeter e questo magari per colpa sua, refrattario com’era all’impiego di ogni tecnologia legata alla preparazione. Quando all’inizio del 1999 cercarono di imporgli l’uso del cardiofrequenzimetro, faceva di tutto per dimenticarlo a casa o in hotel. Non andava ad allenarsi in altura, gli bastava il Carpegna. E come spuntino dopo l’allenamento, mandava giù uno zabaione. Colpa sua anche quella: c’era già chi studiava la nutrizione come un fronte sensibile, ma di certo nel 1998 non c’erano le consapevolezze di oggi.
La sfida con Tonkov al Giro del 1998 tenne Pantani sulla corda sino alla fine. Non fu abbastanza fenomeno o il russo era un osso duro?La sfida con Tonkov tenne Pantani sulla corda sino alla fine. Non fu abbastanza fenomeno o il russo era un osso duro?
Fra Giro e Tour
Fu colpa sua anche il fatto che dopo il Giro non avesse alcuna intenzione di andare al Tour, per cui trascorse la sua bella decina di giorni in spiaggia e chissà cos’altro. Fu la morte di Luciano Pezzi a spingerlo verso la corsa francese. Nessuna ferrea pianificazione: quella apparteneva semmai a Ullrich e Riis, che sul Tour affrontato nel segno della scienza avevano costruito la loro storia. Nessuna altura per Marco e certamente per lui le fatiche del Giro furono superiori rispetto a quelle incontrate da Pogacar lo scorso mese di maggio.
Pantani dovette fronteggiare prima Zulle e poi Tonkov: due ossi molto duri. Il primo lo mise in croce all’inizio fino alla crono di Trieste. Il secondo lo sfidò fino a rischiare l’infarto nel giorno di Montecampione e poi nella crono finale di Lugano. Si avanzarono delle ipotesi assai brutte al riguardo: la fortuna di Pogacar è che nessuno dice contro di lui quello che un tempo era abituale dire su chi andava così forte. In questo il ciclismo è cambiato di molto, per fortuna: oggi si ha il diritto di vincere senza insinuazioni.
Il livello del Tour 2024 è vicino a quello del Tour 1998: i due rivali sono entrambi fortissimiIl livello del Tour 2024 è vicino a quello del Tour 1998: i due rivali sono entrambi fortissimi
Quali avversari
Nel Giro del 1998, che non ebbe giorni di riposo, Pantani chiuse la prima settimana 6° a 1’02” da Zulle. La seconda la chiuse 2° in classifica a 22” da Zulle. Concluse il Giro con 1’33” di vantaggio su Tonkov.
Nel Giro 2024, Pogacar ha concluso la prima settimana con 2’40” su Martinez. La seconda con 6’41” su Thomas. E ha concluso il Giro con 9’56” su Martinez.
La differenza fra i due è che Tadej è indubbiamente un fenomeno: Pantani non ha mai vinto la Liegi e nemmeno il Lombardia. Ma in quel ciclismo che faceva della specializzazione il suo punto di forza, Marco si ritrovò al Giro contro avversari che sapevano come si vincesse un Grande Giro. Fra gli avversari di Pogacar al Giro, tolti Thomas e Quintana ormai sul viale del tramonto, nessuno aveva mai vinto un grande Giro.
Il Tour del 1998, con un solo giorno di riposo, è invece molto più simile a quello attualmente in corso, con due fenomeni in testa, capaci di dominare il gruppo con superiorità disarmante. L’attacco di Ullrich all’indomani della sconfitta delle Deux Alpes somiglia tanto a quello condotto ieri da Vingegaard. Due fenomeni e dietro il vuoto. Si è tutti fenomeni, in attesa di uno più grande: la storia insegna questo. E allo stesso modo in cui i corridori degli anni Novanta fecero sentire piccini quelli del ventennio precedente, i fenomeni di oggi mettono in ombra quelli che li hanno preceduti.
All’indomani della batosta di Les Deux Alpes, Ullrich attaccò a testa bassaAll’indomani della batosta di Les Deux Alpes, Ullrich attaccò a testa bassa
E’ tutto relativo
Evviva Pogacar, campione assoluto. Evviva però anche Pantani, che ci fece sognare e per farlo dovette sfidare i giganti. Il resto sono chiacchiere da bar che ormai non attecchiscono più neppure sui social. So bene anche io che la Volvo elettrica con cui stiamo… correndo il Tour ha un’accelerazione migliore di certe auto da corsa del Novecento, ma non mi sognerei mai di dire di essere più veloce di Josè Manuel Fangio.
E comunque, giusto per non togliere interesse, il Tour è tutt’altro che finito. Mancano le Alpi e la crono finale. E sta iniziando a fare veramente caldo.
Alberto Bettiol arriva a un passo dalla vittoria, poi deve arrendersi al ritorno da campione di Matthews. Grande spettacolo a Mende. Ma Alberto ci riproverà
Tappa del pavé a Clarke, ma il vincitore di giornata è Pogacar. Lo sloveno attacca e provoca la crisi della Jumbo. Maglia gialla salva, ma che paura...
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
Uno dei particolari interessanti emersi dalla recente intervista fatta con Edoardo Zambanini è il cambio di preparatore: dal 2024 infatti lavora con Michele Bartoli. La crescita e i risultati ottenuti dal giovane trentino ci hanno spinto, incuriositi, a chiedere allo stesso preparatore toscano quali siano stati i passi fatti. E, ancora prima, che corridore abbiaa trovato. Un viaggio nel motore di Zambanini che silenziosamente si è guadagnato la stima e la considerazione della Bahrain Victorious (in apertura foto Charly Lopez).
«Ho trovato un corridore – racconta Bartoli – di grande qualità con prestazioni in costante crescita. Ha un’ottima capacità di assorbimento dei lavori grazie al suo motore sensibile. Questa qualità però richiede attenzione nei carichi di lavoro: Zambanini risponde bene, ma un errore può pesare tanto. Con lui ho sì un programma settimanale, ma nulla vieta di cambiarlo e di valutare modifiche a seconda dei valori mostrati. Questo approccio ce l’ho anche con tutti gli altri ragazzi che seguo».
La migliore qualità di Zambanini è il recupero, il che permette di fare lavoro più incisivi (foto Charly Lopez)Edoardo Zambanini, Bahrain Victorious (foto Charly Lopez)
Subito recettivo
Zambanini è partito forte nel 2024, con un terzo posto in classifica generale al Tour of Antalya. Non una gara di primo livello, ma in questa stagione la corsa turca ha mostrato il potenziale dei giovani italiani, tra i quali c’è anche Edoardo.
«La sua sensibilità alle modifiche e agli allenamenti – spiega – è un vantaggio perché si può lavorare a pieno regime fin da subito. Altri corridori hanno bisogno di tre o quattro settimane, Zambanini no. La freschezza è un grande vantaggio, sicuramente, ma lo è anche la giovane età. Lui ogni anno cresce e ha una base sempre più solida sulla quale costruire la stagione».
Il Tour of Antalya ci ha mostrato il potenziale dei giovani italiani: da sinistra Pinarello, Piganzoli e ZambaniniIl Tour of Antalya ci ha mostrato il potenziale dei giovani italiani: da sinistra Pinarello, Piganzoli e Zambanini
Qual è la qualità migliore che possiede?
Il recupero, senza dubbio. “Zamba” reagisce bene ai carichi di lavoro e li assorbe in maniera ottima, ciò gli permette di allenarsi con maggiore insistenza e avere quindi un miglioramento maggiore. Ha iniziato la stagione il 31 gennaio ed è andato forte fino al campionato italiano, il 23 giugno. Il tutto senza un periodo importante di recupero, gli bastano pochi giorni.
Atleticamente che ragazzo hai trovato?
Sinceramente penso sia giovane e su ragazzi di questa età se le qualità ci sono arrivano da sole, serve lavorare bene ma arrivano. Penso sia completo può far bene nelle Classiche e nei grandi Giri. Con il passare dei giorni, grazie al grande recupero che ha, diventa sempre più forte. Infatti al Giro è stata una pedina importante per Tiberi in montagna.
Il corridore trentino è stato un valido aiutante per Tiberi al Giro d’ItaliaIl corridore trentino è stato un valido aiutante per Tiberi al Giro d’Italia
Quindi non avere lavorato su determinate caratteristiche.
Con corridori così giovani non capisci mai definitivamente quale possa essere il punto di arrivo. Si devono curare tutte le qualità, poi è il primo anno che lavoriamo insieme e ho spinto su tutti gli aspetti: salita, cronometro e volate.
Però un minimo di idea te la sarai fatta…
Non è un velocista e questo è indubbio. Ma ha uno spunto veloce notevole, ai Paesi Baschi è arrivato secondo dietro Hermans. Sono convinto che avrebbe potuto vincere se si fosse piazzato meglio nel lanciare la volata, era partito troppo dietro.
Quest’anno ha fatto un calendario impegnativo, cosa che può averlo aiutato a crescere, tu con la squadra ne avevi parlato?
Un pochino si concordano le gare, ma sono i team manager a fare i calendari. Poi Zambanini è emerso e ha fatto vedere cose buone. Da lì la squadra lo ha richiesto maggiormente, è un fatto di dinamiche interne. E’ ovvio che quando hai un giovane che cresce tanto e migliora lo porti alle gare.
Ha iniziato a correre presto e le sue prestazioni sono rimaste ottime fino al campionato italianoHa iniziato a correre presto e le sue prestazioni sono rimaste ottime fino al campionato italiano
Dinamiche che arrivano anche correndo da protagonista, cosa che ha chiesto alla squadra.
La Bahrain ha capito che Zambanini è un ragazzo di qualità, lo tengono in considerazione. Non dubito che in questa seconda parte di stagione potrà ritagliarsi più spazio. Tanto dipenderà dal suo rendimento una volta tornato alle corse, ma sta lavorando bene. Da sabato è in ritiro al Pordoi con il team.
Come avete impostato il lavoro per questa seconda parte di stagione?
Partiremo ancora dal basso, un po’ per ricostruire la condizione. Poi vedremo come andare avanti in base alle risposte che arriveranno.
PLATEAU DE BEILLE (Francia) – Seduto in ammiraglia in attesa dell’evacuazione generale, Rolf Aldag ricompone i pezzi di una tappa che ha visto in fuga quattro dei sei corridori della Red Bull-Bora-Hansgrohe rimasti in gara (in apertura Jai Hindley). Per il team che aveva investito su Roglic perché diventasse il… terzo uomo, si è trattato di un atterraggio piuttosto pesante. Dopo aver perso il Tour del 2020 nell’ultima crono, lo sloveno non ne ha più finito uno. Sempre una caduta a rimandarlo a casa. Così anche nella Vuelta del 2022, al punto di farsi qualche domanda sul perché. Se sia per l’abilità in sella, il posizionamento in gruppo o una sfortuna cronica come raramente ci è stato dato di vedere.
Visto che il tempo non manca, con il capo dei tecnici della squadra iniziamo un viaggio nei giorni più recenti: quelli successivi alla caduta di Roglic. Aprendo prima una breve parentesi: c’era anche lui quassù il 22 luglio del 1998, quando Pantani per la prima volta in quel Tour piegò il suo capitano Ullrich in maglia gialla. Aldag aveva allora 30 anni, oggi ne ha 55 e adesso racconta.
«Ci sono voluti due giorni per ridefinirci – spiega – trovare nuovi obiettivi e poi andare avanti, perché il Tour merita molto rispetto come gara. E penso anche che per il lavoro svolto dai ragazzi in altura, i giorni e i mesi che trascorrono lontani dalla famiglia, valga la pena provare qualcosa. Non è facile, ma vale la pena provarci».
Roglic non riparte: Aldag si sottopone alle domande dei giornalisti che chiedono aggiornamentiRoglic non riparte: Aldag si sottopone alle domande dei giornalisti che chiedono aggiornamenti
Come hai vissuto il giorno in cui Roglic è caduto?
Era vicino al traguardo. C’è sempre molta tensione in macchina e penso anche in bici. Di colpo l’ho visto cadere e quando è così, non va mai bene. Si vedeva subito che fosse un brutto incidente, per cui ero lì che speravo per il meglio. Quando però ho visto che c’è voluto del tempo per rialzarsi e ripartire, allora nella mia testa hanno iniziato a prendere forma tutti i tipi di scenario.
A cosa hai pensato?
Come prima cosa, ovviamente, ho sperato che stesse bene. A quel punto non era tanto una questione di tempo perso in classifica, ma riguardava davvero la persona. Speravo che non stesse soffrendo troppo, l’unica cosa che avesse importanza. Non era rilevante invece che perdesse 2-3 minuti.
Anche Sobrero verso Plateau de Beille ha recitato la sua parte: con Roglic avrebbe fatto un gran TourAnche Sobrero verso Plateau de Beille ha recitato la sua parte: con Roglic avrebbe fatto un gran Tour
Hanno detto che quel tratto fosse pericoloso.
Penso che non abbia senso iniziare adesso il gioco delle colpe. E’ un po’ come se mi chiedessi quanto sia difficile per gli organizzatori creare i percorsi. Se vuoi finire in un centro città, cosa che penso piaccia a tutti, come ci arrivi? Devi prendere una strada e adesso le strade sono costruite per rendere il traffico più sicuro. Avere isole spartitraffico va bene per 364 giorni all’anno, fanno davvero qualcosa di buono per il traffico. Ma per quel solo giorno del Tour de France non vanno bene. Quindi non è facile, ma non direi che sia stata una colpa di ASO. Penso che facciano del loro meglio.
Hanno parlato di segnalazioni imperfette.
Qualcuno ha detto anche questo, ma in realtà non è che qualcuno ci sia finito contro. Penso che, sfortunatamente, Lutsenko fosse già da una parte. Poi gli si è impuntata su quel cordolo la ruota anteriore ed è caduto dall’altra parte. Dovremmo sempre cercare la strada più sicura, non c’è dubbio, ma penso sia quello che fanno oggi.
Oggi Hindley e Sobrero in fuga nel finale: il programma per i prossimi sette giorni è questo?
Per un momento abbiamo avuto quattro ragazzi in fuga dei sei corridori rimasti in gara. Quindi penso che l’hanno interpretata in modo molto offensivo e aggressivo ed è quello che volevamo fare. Voglio dire, se aspettiamo il momento in cui oggi attaccherà Vingegaard, non vinceremo mai nulla. Questo è molto chiaro. Quindi cerchiamo di ottenere il meglio, mantenendo uno stato d’animo e un atteggiamento positivi. Ed è quello che hanno fatto i ragazzi oggi.
Nico Denz ha preso parte alla fuga, con il progetto di lanciare HindleyNico Denz ha preso parte alla fuga, con il progetto di lanciare Hindley
La fuga di oggi era pianificata oppure è venuta da sé?
Era tutto organizzato per lanciare Jai Hindley. Ad esempio, Nico Denz era lì, certamente non alla sua ruota, ma dando tutto per guadagnare vantaggio e far decollare la fuga. Poi Matteo (Sobrero, ndr) ha fatto ponte e si è ritrovato in fuga con Hindley e Bob Jungels. Nella vallata prima del finale si stavano assolutamente sacrificando per dare a Hindley un vantaggio consistente. Quindi ho grande rispetto per il lavoro che hanno svolto.
La decisione di fermare Primoz Roglic è stata presa dai medici, oppure è servito a salvargli le Olimpiadi?
No, noi come squadra non siamo realmente interessati alle Olimpiadi, ma siamo interessati alla salute della nostra gente e penso che questa abbia la priorità. Non conosco nemmeno la situazione delle Olimpiadi, non ho visto l’elenco con i nomi, ma per noi non era proprio questo l’obiettivo. Olimpiadi o no, per noi l’obiettivo era il Tour e ora è riaverlo sulla bici. Tenete presente anche quello che è successo dopo il suo incidente…
Jungels fra i più attivi della tappa di ieri per lanciare Hindley verso l’ultima salitaJungels fra i più attivi della tappa di ieri per lanciare Hindley verso l’ultima salita
Cosa?
C’è stata una giornata intensa con vento di traverso, in cui devi avere tutta la concentrazione. Devi avere l’interruttore acceso e un corpo pronto. E con lui non era proprio così, perché rischiare? Non si trattava davvero di programmi futuri o altro. Penso che a Primoz e al suo team, a tutti noi il Tour sia piaciuto così tanto, che faremo qualsiasi cosa possibile per rimanerci.
E’ stato già fatto un programma per Roglic?
Non ancora, non siamo ancora in quella fase. Sono felice che adesso abbia un po’ di tempo con la sua famiglia. E penso che sia importante non prendere decisioni affrettate. In ogni caso, è importante anche per lui superare la delusione, avere un po’ di lucidità e poi cercare nuovi obiettivi. Ma ripeto: non è questo il momento.