Scotti riparte: dal 29 settembre sarà Giro delle Regioni

09.09.2024
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Cambiare tutto perché non cambi nulla. Per certi versi, Fausto Scotti ha fatto suo il celebre motto del Gattopardo nell’impostare la nuova stagione del suo impegno nel ciclocross italiano. Dopo 15 anni stop al Giro d’Italia e largo spazio al Giro delle Regioni che dopo due edizioni di prova ne raccoglie l’eredità, riproponendo però la stessa formula del suo predecessore. Ce n’è abbastanza per chiedere lumi, fermo restando che la creatura di Scotti rimane il fondamento dell’attività sui prati, che prenderà il via dalla fine del mese.

Fausto Scotti, a sinistra, propone la terza edizione del Giro delle Regioni in 6 tappe fino al 21 dicembre
Fausto Scotti, a sinistra, propone la terza edizione del Giro delle Regioni in 6 tappe fino al 21 dicembre

«Il Giro d’Italia aveva ormai dato tutto quello che poteva. Il cambiamento è dovuto alla presa d’atto che sono cambiate le forme di contribuzione: oggi i Comuni hanno molti vincoli e pochi fondi a disposizione per le manifestazioni sportive, per le Regioni non è così e quindi dovevamo dare loro spazio, vetrina per la loro attività di promozione sportiva».

Una scelta però nel segno della continuità con il Giro d’Italia…

Sì, anche se con nuovi fondi cercheremo anche di venire incontro alle società, di aiutarle mettendo a disposizione fondi per le trasferte. Il problema vero sono le risposte alle richieste: la Federciclismo da una parte accetta tutte le proposte organizzative che arrivano, basti pensare che ci sono ben 11 gare internazionali nell’arco della stagione, quelle nazionali non si contano neanche, ma ai circuiti viene dato il vincolo di non più di 6 prove e questo per noi è stato un limite molto forte.

La struttura del team di Scotti sarà di supporto a ognuna delle 6 prove del circuito
La struttura del team di Scotti sarà di supporto a ognuna delle 6 prove del circuito
Ci saranno cambiamenti rispetto alla precedente challenge?

In futuro sì, ma sarà anche in base all’evoluzione dell’attività in Italia. Noi eravamo pronti a questo passaggio, per dare alle regioni un riscontro immediato, ma anche le società ci avevano espresso la necessità di qualche cambiamento e noi vogliamo accontentarle, nei limiti del possibile. Noi potevamo allestire anche 10 tappe e comunque avremmo dovuto dire di no ad alcuni, questo limite stoppa l’iniziativa di molte entità. Siamo comunque riusciti a inserire nel circuito due gare internazionali e questo è un risultato importante.

Il calendario ricalca molto quello dell’ultima edizione del Giro d’Italia…

Sono organizzatori con cui lavoriamo da anni, che hanno dimostrato grandi capacità soprattutto in sinergia con la nostra struttura per dare a tutti coloro che verranno il massimo in termini di qualità dei servizi. Dal 29 settembre andremo in sequenza ogni domenica per la prima parte con Corridonia (organizzazione del Bike Italia Tour), poi il 6 ottobre a Sappada (Bandiziol Cycling Team) e Osoppo (Jam’s Bike Team Buja) il 13 per due eventi friulani di grande spessore. Poi si riprenderà a novembre con San Colombano Certenoli (allestimento del Velo Val Fontanabuona) il 3 e il 9 a Cantoira (Gs Brunero 1906). Infine chiusura sotto Natale, il 21 a Gallipoli per la regia del Caroli Hotels.

Il Friuli proporrà due tappe in sequenza, il 6 ottobre a Sappada e il 13 a Osoppo
Il Friuli proporrà due tappe in sequenza, il 6 ottobre a Sappada e il 13 a Osoppo
Avevate avuto proposte da organizzatori nuovi?

Tante e questo dispiace, avremmo potuto anche allestire un’altra challenge, ma non c’erano le date disponibili e neanche le forze, da parte del mio gruppo. Gli enti pubblici vogliono investire e mi dispiace che non si comprenda come poi questi fondi che sarebbero disponibili finiscano a finanziare altri sport. Noi avevamo proposte da Umbria, Basilicata, Valle d’Aosta solo per fare qualche esempio, organizzatori pronti e regioni in appoggio, ma abbiamo dovuto declinare l’offerta. Quelli che sono stati scelti sono organizzatori che ci sono al fianco da anni, non potevamo chiudere loro la porta in faccia.

Sulla spiaggia di Gallipoli ci sarà la tappa conclusiva, proprio sotto le festività natalizie
Sulla spiaggia di Gallipoli ci sarà la tappa conclusiva, proprio sotto le festività natalizie
Accennavi agli impegni del tuo team. Questi non si esauriscono però con il Giro delle Regioni…

Inizieremo il 2025 con addirittura tre giorni di gare a Follonica: spazio alle prove tricolori per il team relay e le categorie giovanili e alla domenica la gara internazionale del Memorial Scotti dedicata a mio padre. Noi di progetti ne avevamo tanti e molto ambiziosi. Ad esempio la tappa di Coppa del Mondo a Torino, sfumata davvero per piccole procedure, ma il rapporto con le istituzioni e con Flanders Classic è forte e torneremo alla carica il prossimo anno. Mi dispiace invece che sia tramontata la candidatura di Roma per i mondiali 2026, ma il Comune non ha dato le garanzie necessarie e noi ci saremmo dovuti esporre con l’Uci per 50 mila euro senza adeguate garanzie. E’ stata un’occasione gettata via.

Manlio Moro, da Parigi a Copenaghen tra pista e strada

09.09.2024
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Dopo le Olimpiadi, il finale di stagione arriva più rapido di un battito di ciglia. Come per tanti atleti, quello a cinque cerchi per Manlio Moro è stato un importante crocevia, ma ora è tempo di guardare a ciò che il resto del calendario gli riserva.

Al friulano di Pordenone non sono mancati gli stimoli – e probabilmente nemmeno le difficoltà – per far combaciare tutto. Il primo anno da pro’ di Moro, per di più nel WorldTour con la Movistar, ha coinciso con quello olimpico. Due battesimi di lusso che si sono trasformati in due esperienze fondamentali per un ragazzo di 22 anni che sta crescendo dando sempre il proprio contributo. Prima di Parigi, Moro ha vinto l’oro agli europei U23 in pista nell’inseguimento a squadre, bissando quello del 2022. Dopo Parigi, è ritornato a correre su strada senza perdere di vista l’ultimo obiettivo in pista di ottobre.

Quest’anno Moro ha corso poco su strada per preparare gli appuntamenti in pista, però vuole trovare il ritmo gara in fretta
Quest’anno Moro ha corso poco su strada per preparare gli appuntamenti in pista, però vuole trovare il ritmo gara in fretta
Manlio come sta procedendo quest’ultimo periodo?

Attualmente sono a casa di Rachele (Barbieri, la sua fidanzata, ndr) per allenarmi recuperando da una caduta al Renewi Tour in Belgio. All’inizio della quarta tappa sono volato a terra procurandomi abrasioni ovunque. Subito avevo paura di essermi rotto il gomito, che aveva un taglio profondo e si era gonfiato in fretta. Fortunatamente non è stato così e ho rimediato tutto con qualche punto di sutura. Ho fatto qualche giorno fermo e qualche altro in bici senza forzare, ma adesso ho già ripreso a fare ore e dislivello con lavori più specifici.

Sono quei classici intoppi che danno più fastidio perché ti rallentano anziché per il dolore.

Ovviamente cadere e farsi male non piace a nessuno, ma in questo caso, visto che alla fine me la sono cavata con poco, è stato un vero peccato perché avevo voglia di correre. Quest’anno, per forza di cose, ho accumulato meno di trenta giorni di gara. La Movistar sapeva che la mia stagione su strada sarebbe stata condizionata dalla pista a Parigi. Comunque il programma non è finito.

Cosa prevede il tuo calendario?

Dovrei correre il GP Wallonie e il Super 8 Classic (18 e 21 settembre, ndr), poi farò il resto del calendario italiano anche se mi devono confermare tutto. Voglio farmi trovare pronto e sono molto motivato a farlo. Anche perché poi ci saranno i mondiali in pista a Copenaghen fra poco più di un mese (16-20 ottobre, ndr). Fra poco torneremo in pista ad allenarci perché è un altro nostro obiettivo importante. Vedremo se farò solo il quartetto o altre prove.

Riavvolgiamo il nastro per un attimo ritornando nel velodromo di Parigi. Cos’hai vissuto lassù?

Le Olimpiadi sono state un’esperienza incredibile. E’ stato bellissimo essere lì. Come dicevo prima, ho lavorato sodo per essere a disposizione del cittì Villa. Sapevo che non avrei corso, però sono contento di aver fatto parte della spedizione. Forse l’unica cosa che mi dispiace, che non è imputabile a noi, è non aver ricevuto la medaglia di bronzo, anche se io non ho mai gareggiato nelle qualifiche. Bisogna dire che questa situazione non è mai stata chiarita dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale, ndr). In ogni caso non ho rimpianti, penso alle prossime Olimpiadi.

Sei stabilmente nel gruppo azzurro del quartetto con cui hai vinto l’oro europeo 2023 e due argenti mondiali negli ultimi due anni. In tanti sostengono che se Ganna dovesse prendersi una pausa dalla nazionale, non ci sarebbero troppi problemi grazie alla tua presenza. Cosa ne pensi?

Eh (sorride e sospira, ndr) mi fa piacere essere considerato il sostituto di Pippo, ma non esageriamo. Certamente abbiamo caratteristiche fisiche simili ed io in questi anni ho imparato anche da lui come essere sempre di più un vagone importante per il quartetto. Non so e non credo se Ganna stia facendo questa riflessione, io penso solo a farmi trovare pronto. Questo deve essere il mio mantra.

Visto il cenno alle prossime Olimpiadi, prima di allora a cosa punta Manlio Moro?

Fino a Los Angeles vorrei fare un bel salto di qualità su strada, soprattutto nelle prossime due stagioni. Per il 2025 cercherò di lavorare in modo profondo in inverno per avere già una buona base per le prime gare. Naturalmente non voglio mollare la pista. Sono due attività compatibili, ma totalmente diverse. Bisogna pianificare bene gli allenamenti e i programmi. In Movistar (con cui ha il contratto fino al 2026, ndr) mi trovo molto bene e mi lasciano spazio per la pista.

Migliorare a crono è uno degli obiettivi di Moro nei prossimi anni. Un lavoro che può tornare utile per la pista
Migliorare a crono è uno degli obiettivi di Moro nei prossimi anni. Un lavoro che può tornare utile per la pista
Ritornando in strada, cosa ti ha detto finora questa tua prima stagione da pro’?

E’ stato un bel salto dagli U23. Il ritmo è completamente diverso. Non esistono più gare facili. Non esistono più gare in cui vai per “fare la gamba” in vista delle altre corse. Devi presentarti al via preparato bene. A margine di tutto, quest’anno avendo corso poco non sono mai riuscito a prendere il necessario ritmo gara. Era tutto legato alla preparazione per Parigi, ma sono soddisfatto lo stesso. Adesso ho voglia di fare un bel finale.

Nella gran festa di Madrid, brindano in due: Roglic e Kung

08.09.2024
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Gli assenti hanno sempre torto, ma chissà perché finiscono sempre nei discorsi. Primoz Roglic vince la quarta Vuelta Espana senza avere davanti chissà quali avversari. Il suo percorso fino al trono di Madrid è lo stesso delle prime tre volte: cadute o batoste al Tour e poi la redenzione in Spagna. Roglic ha avuto per anni il livello di Pogacar, almeno finché questi ha salito il gradino che Primoz non potrà mai raggiungere. Per questo, era abbastanza scritto che, se fosse tornato al suo meglio, avrebbe conquistato la maglia rossa.

Alle sue spalle si piazzano Ben O’Connor, il cui miglior risultato finora era stato il quarto posto nel Tour del 2021. E poi Enric Mas, che per tre anni è arrivato secondo alla Vuelta e ormai ci si dovrà chiedere se chi la dura la vince o questa sia la sua dimensione definitiva.

Cadute e redenzioni, la prima

La prima nel 2019. Aveva chiuso terzo il Giro d’Italia vinto da Carapaz su Nibali, cui era arrivato vincendo la Tirreno-Adriatico e il Romandia. Era partito conquistando la maglia rosa nella crono di Bologna, poi si perse nei battibecco con Nibali e chiuse terzo. Arrivò in Spagna correndo nel mezzo soltanto il campionato nazionale, conquistò la maglia rossa nella crono di Pau alla decima tappa e la portò sino in fondo, lasciandosi dietro Valverde e un giovane connazionale di cui si diceva un gran bene: Tadej Pogacar.

La seconda nel 2020

La seconda nel 2020, dopo che quello stesso ragazzino impertinente gli rovinò il sogno del Tour. Roglic tenne la maglia gialla per undici tappe e la perse nella famigerata cronoscalata a La Planche des Belles Filles. Quel giorno gli astri si disallinearono e lo scaraventarono nella polvere. Riprendersi fu dura, ma Primoz trovò la forza in qualche angolo sperduto della mente. Andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno, la lasciò andare per quattro tappe e si prese la seconda maglia rossa, precedendo Carapaz e Carthy.

La terza nel 2021

La terza l’anno dopo, quando si ritirò dal Tour dopo la caduta nella tappa di Tignes. Ugualmente si rimboccò le maniche, andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno. Trascorse la maggior parte della Vuelta in terza posizione, lasciando l’incombenza del controllo alla Intermarché. Infine se la riprese vincendo la tappa ai Lagos de Covadonga, a quattro tappe dalla fine e vincendo anche la crono finale di Santiago de Compostela.

La quarta giusto oggi

Il meccanismo perfetto si inceppò l’anno dopo. Si ritirò dal Tour per caduta dopo aver aiutato Vingegaard a battere Pogacar e cadde anche alla Vuelta. Si arrotò in una improbabile volata nella tappa di Tomares, quando era chiaro che avesse le gambe per rimontare Evenepoel, che così conquistò il suo primo Grande Giro. Lo scorso anno, infine, vinse il Giro d’Italia e quando arrivò in Spagna trovò sulla sua strada i suoi compagni di squadra. Dovette arrendersi alla scelta di far vincere Kuss, lasciando il secondo posto a Vingegaard.

Un affare fra sloveni

Quest’anno doveva essere quello dell’assalto deciso e decisivo al Tour. Il passaggio alla Bora-Hansgrohe, diventata nel frattempo Red Bull-Bora-Hansgrohe. La preparazione certosina e lo scampato pericolo al Giro dei Paesi Baschi. E quando al Tour sembrava che, pur essendo indietro, avrebbe potuto giocarsi al meno il podio, la caduta verso Villeneuve sul Lot, provocata da Lutsenko e da una posizione troppo arretrata nel gruppo, lo ha rilanciato ugualmente verso la Vuelta. A tre anni dall’ultima vittoria e con 35 candeline da spegnere a ottobre. Nella stessa stagione, per giunta, in cui Pogacar ha vinto Giro e Tour: la Slovenia continua a comandare.

«E’ bello – dice Roglic – avere il record per il maggior numero di vittorie alla Vuelta. Oggi volevo finirla. E’ stata dura, ma è andato tutto bene e sono felice. Ho visto la prestazione di Kung. Sappiamo tutti che è forte in questo tipo di cronometro pianeggiante. Tuttavia, ho cercato di motivarmi per provarci, altrimenti sarebbe stata ancora più dura. Ho spinto e non ce l’ho fatta, per cui voglio congratularmi con lui, perché ha fatto un ottimo lavoro. Kung è stato incredibilmente forte oggi. Non ho parole, è incredibile che la Slovenia abbia vinto tutti e tre i Grandi Giri nel 2024. Ci sono da fare molti sacrifici, non solo io. La mia famiglia, le persone che ho intorno, ci sacrifichiamo tutti. E io sono felice di avercela fatta, per dare un senso alle tante rinunce. Apprezzo molto il supporto che ho ricevuto. Mi hanno già chiesto se vincerò la quinta, ma diciamo che per adesso quattro possono bastare».

La vittoria di Kung è stata netta: era lo specialista più forte in gruppo
La vittoria di Kung è stata netta: era lo specialista più forte in gruppo

La prima di Kung

Stefan Kung ha trent’anni ed è professionista dal 2015. Eppure, nonostante abbia vinto europei e titoli nazionali, non aveva mai vinto crono nei Grandi Giri. Oggi quel gap è stato chiuso ed è per questo che il sorriso dello svizzero era secondo forse soltanto a quello di Roglic.

«E’ incredibile – dice Kung – ho lottato per vincere una tappa di un Grande Giro per molto tempo. Volevo davvero la vittoria oggi e sapevo che con questo percorso dovevi dare il massimo e tenere duro fino alla fine. E’ quello che ho fatto, ho sofferto molto, ma penso sia stato così per tutti. C’è voluto molto tempo, ma è sempre bello se vinci con più di mezzo minuto. Dimostra che sei stato assolutamente il migliore, non è stata una coincidenza. E’ davvero bello e ripaga tutto il lavoro che abbiamo fatto come squadra, anche per sviluppare la nuova bici con Wilier.

«Cerco sempre di essere professionista al 100 per cento. Cerco sempre di tirare fuori il massimo da me stesso. E quando si vince, è una bella sensazione. Ci sono molte grandi cronometro ancora e aver vinto oggi mi darà la sicurezza per restare sull’onda. Penso che la Vuelta sia stata per me la migliore preparazione possibile per gli europei e per i mondiali di Zurigo, che saranno molto duri».

Vanotti e il “suo” Stelvio: tra gioia e fatica per quasi 20 anni

08.09.2024
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PASSO DELLO STELVIO – Durante il fine settimana dell’Enjoy Stelvio Valtellina, che ancora una volta ha richiamato numeri da record sulle rampe del passo più famoso e noto tra i ciclisti e cicloturisti, c’era anche Alessandro Vanotti. L’ex corridore professionista ha pedalato insieme agli ospiti di Merida sulle strade che tante volte lo hanno visto faticare, allenarsi, gioire e anche soffrire. Nei suoi anni da corridore Vanotti ha scalato lo Stelvio moltissime volte e tornare qui dopo diverso tempo è un modo per riviverle, scorrendo velocemente tra i ricordi. 

«Tornare sullo Stelvio – racconta Vanotti mentre intorno a noi i ciclisti continuano a salire e scendere – è bellissimo perché nella mia carriera ho vissuto tanti momenti particolari e unici. Devo dire che la prima volta che l’ho affrontato in corsa non è stato facile, non ne ho un bel ricordo. Era il Giro d’Italia 2005, si saliva dalla parte trentina, quindi da Prato e quel giorno non stavo bene. L’arrivo era posto a Livigno, quindi una volta scesi a Bormio c’era da risalire anche il Foscagno.

«Sono andato in crisi e superare i 20 chilometri dello Stelvio non è stato facile. Ti mette a dura prova e se ne esci in qualche modo vuol dire che sei stato bravo, così come tutte le salite che hanno un tempo di scalata superiore all’ora. Poi chi sta sotto l’ora è ancora più forte degli altri e questo divide il ciclista normale dal campione». 

Vanotti (in maglia blu) ha scalato lo Stelvio lo scorso 31 agosto in occasione dell’Enjoy Stelvio Valtellina (foto Merida)
Vanotti (in maglia blu) ha scalato lo Stelvio lo scorso 31 agosto in occasione dell’Enjoy Stelvio Valtellina (foto Merida)

A dura prova

Girare l’ultimo tornante e vedere la cima è una sensazione che chi pedala su queste strade si porta dentro. Sapere di aver domato un gigante del ciclismo mondiale è una sensazione unica. Farlo da professionista, mettendo l’agonismo, la sofferenza e la gioia è una cosa che in pochi hanno provato. Tra questi pochi c’è proprio Alessandro Vanotti.

«Quando scollini il fascino è incredibile – continua – è la salita con l’altitudine maggiore in Italia, la seconda in Europa. E’ esigente, non ha pendenze come il Mortirolo o lo Zoncolan, ma la sua altezza spaventa tutti. Devi essere molto concentrato, coordinarti con la respirazione e il ritmo di pedalata. Se non stai bene devi comunque superare i tuoi limiti, questa è la particolarità dello Stelvio, non puoi nasconderti mai. Poi dipende tanto dal ruolo che hai in squadra, se devi tirare per tutta la scalata o meno». 

La quota di 2.000 metri arriva presto, ma la scalata è ancora lunga (foto Merida)
La quota di 2.000 metri arriva presto, ma la scalata è ancora lunga (foto Merida)
Tu hai mai avuto questo arduo compito?

Qui no, per fortuna (ride, ndr) perché è forse impossibile riuscire a farlo tutto in testa a ritmi elevati. Mi è capitato su altre salite, ma in confronto erano meno esigenti. 

Di quel giorno di crisi cosa ricordi?

La cima non arriva mai, quindi sei lì che giri le gambe e ti sembra di non andare avanti. E’ difficile da metabolizzare quella giornata, anche in base al fatto che dopo si doveva comunque salire fino a Livigno. Lo Stelvio ti mette a dura prova ma ti insegna a superarti, a dare sempre qualcosa in più. Una caratteristica che noi ciclisti conosciamo bene e che ci portiamo dentro. E’ una sensazione fantastica che puoi insegnare agli altri. 

Al bivio per l’Umbrail gli ultimi 3 interminabili chilometri diventano ancora più difficili se il vento è contrario
Al bivio per l’Umbrail gli ultimi 3 interminabili chilometri diventano ancora più difficili se il vento è contrario
Hai aneddoti anche della scalata dalla parte di Bormio?

Sono ricordi fantastici, quando c’è bel tempo. Altrimenti diventa una difficoltà maggiore. Da Bormio l’ho scalato tante volte anche di recente, sia per la Gran Fondo Stelvio Santini che per eventi come questo di Merida. Mi piace ogni tanto testarmi ancora, alzarmi sui pedali e riprovare le sensazioni che vivevo da corridore. 

C’è un tratto che ogni volta ti colpisce per una sua caratteristica?

Quando superi quota 2.000 metri e sei ancora lontano dalla cima, visto che mancano una decina di chilometri. In quel momento ti rendi conto quanto sia importante concentrarsi, respirare e pensare metro dopo metro. Poi arrivi al bivio per l’Umbrail e lì sono dolori.

Arrivare in cima è sempre una soddisfazione immensa
Arrivare in cima è sempre una soddisfazione immensa
Perché?

Sono gli ultimi tre chilometri, nei quali se stai bene te la godi, altrimenti è un calvario senza fine. Vedi le strutture in cima e pensi di essere vicino ma non è veramente così. Molto dipende anche dal vento, quando è contrario non vai più su. Però ora ci sono bici con rapporti che agevolano la pedalata e rendono la scalata meno dura. 

In quel giorno del 2005 non avevi i rapporti per salvare la gamba…

No no (ride, ndr), era il mio primo anno da professionista. Nelle stagioni precedenti correvo con il 39 come corona più piccola davanti e il 23 al posteriore. Poi si è passati al 26 e al 28 e sembrava una nuova era del ciclismo. 

Lo Stelvio è stato un ottima palestra per costruire i tanti successi dell’Astana
Lo Stelvio è stato un ottima palestra per costruire i tanti successi dell’Astana
Lo hai fatto anche in ritiro quando correvi?

Se si alloggiava a Livigno era una tappa praticamente fissa degli allenamenti. Ma in quei casi si affronta diversamente. Intanto arrivi da un percorso di gare precedenti e il ritiro in altura era l’ultimo step prima di un Grande Giro. Noi avevamo Nibali in squadra e il blocco di lavoro era pensato per vincere. 

In che senso?

I volumi di lavoro erano diversi per ognuno di noi, io che ero gregario facevo tanto volume. Dovevo tirare 20 giorni di fila. Però ogni tanto mi toccava anche qualche cambio di ritmo perché io ero l’uomo che doveva essere sempre pronto. Nibali era straordinario come capitano e con lui c’era Scarponi, un uomo fantastico. In ritiro si lavorava ma c’era il tempo di ridere e di stemperare la tensione. 

I ricordi di questa salita sono davvero tanti e diversi, il più bello?

Proprio i ritiri. Ogni tanto partiva qualche garetta interna proprio contro Nibali e Scarponi, ma in discesa (ride ancora, ndr). Tutto nel rispetto della strada. In salita ognuno di noi doveva rispettare i propri valori, anche se qualche volta uno scattino veniva fuori. Poi con Scarponi si rideva tanto. Mentre tiravo diceva a Nibali: «Come si sta bene a ruota del “Vano”? Lui tira tutto il giorno e noi stiamo qui tranquilli». Sono stati anni bellissimi, in cui abbiamo vinto ma fatto tutto con il sorriso. 

Ferrand Prevot ai mondiali: una presenza non casuale

08.09.2024
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E’ proprio vero che ci sono lacrime e lacrime. Quelle versate da Pauline Ferrand Prevot ad Andorra, nella gara del recente campionato del mondo di mtb, avevano in sé un caleidoscopio di emozioni. C’era gioia e dolore, gratitudine e rammarico, perché per la campionessa olimpica quella era l’ultima gara in assoluto disputata sulle ruote grasse. Un mondo che le ha dato tutto, fino all’apoteosi di Parigi, all’oro olimpico vinto davanti al pubblico di casa. Che cosa puoi mai volere di più?

La francese ha dominato la gara olimpica di Parigi, dove si era presentata da favoritissima
La francese ha dominato la gara olimpica di Parigi, dove si era presentata da favoritissima

Le feste del post Parigi

Quel mondiale, Pauline non lo ha neanche preparato, per certi versi aveva anche pensato di non gareggiare neanche. I giorni dopo la vittoria olimpica sono passati tra feste, incombenze, altre feste, altre incombenze… Difficile potersi allenare, pur se ad Andorra la transalpina è ormai di casa. Il fisico non ne aveva più, ha provato a reggere per un paio di giri, ma poi il suo mondiale è diventato qualcos’altro.

«Ho capito subito che non era proprio giornata – ha raccontato ai giornalisti subito dopo l’arrivo al 14° posto – e non avrei potuto difendere il mio titolo mondiale. Avrei potuto chiudere la mia stagione dopo l’oro olimpico, ma non sarebbe stato neanche giusto nei confronti di chi mi è stato vicino, tifosi in primis. Sapevo che in una giornata simile, agonisticamente parlando, avevo tutto da perdere, ma non potevo tirarmi indietro».

Con la francese dietro, titolo mondiale alla Pieterse (NED) sulla connazionale Terpstra e la nostra Berta
Con la francese dietro, titolo mondiale alla Pieterse (NED) sulla connazionale Terpstra e la nostra Berta

Oro per la Pieterse, applausi per lei

Così, mentre davanti Puck Pieterse andava a prendersi il titolo mondiale e Martina Berta conquistava una splendida medaglia di bronzo per i colori italiani, Pauline Ferrand Prevot trasformava la gara in una passerella, fermandosi per ringraziare il suo meccanico e i suoi genitori, salutando i capannelli di tifosi. Il piazzamento a quel punto è diventato un dettaglio irrilevante, per una ragazza che dal ciclismo ha avuto tutto, vantando addirittura il primato di essere l’unica capace di indossare nello stesso momento la maglia di campionessa del mondo su strada, in mtb e nel ciclocross, quella tripletta che gente come Van der Poel e Pidcock ancora oggi insegue come una chimera.

Pauline a 32 anni ha deciso di dare una sterzata alla sua carriera: dopo aver vinto tutto nel fuoristrada vuole dedicarsi anima e corpo alla strada e vuole farlo subito, al punto che sarà presente già ai mondiali di Zurigo, pur senza aver fatto nulla quest’anno.

«L’idea è nata nel ritiro francese durante i Giochi, al Domaine du Tremblay a Yvelines – racconta l’oro olimpico a L’Equipeho chiesto se potevo partecipare ai mondiali e mi hanno detto subito sì. Sarebbe un bel mondo per riavvicinarmi a quel mondo che ho praticamente abbandonato nel 2015, limitandomi a saltuarie esperienze».

Per la Ferrand Prevot ben 12 titoli mondiali fra strada (qui a Ponferrada 2014), mtb, ciclocross e gravel
Per la Ferrand Prevot ben 12 titoli mondiali fra strada (qui a Ponferrada 2014), mtb, ciclocross e gravel

Il sogno Tour de France

Pauline già prima di cogliere l’oro olimpico aveva detto che la sua ambizione era rituffarsi nel ciclismo su strada per inseguire nuovi sogni: un’altra maglia iridata in primis, ma sullo sfondo la maglia gialla del Tour de France Femmes. Se parliamo di iride, quello di Zurigo non sarà il giorno giusto: «Resterò ad Andorra per allenarmi, ma siamo già d’accordo che mi preparerò per farmi trovare pronta per la squadra. Saremo in sette e io mi metterò a disposizione di chi sarà la punta del team».

Un approccio soft, almeno nelle aspettative, anche perché le condizioni di forma sono quelle che sono e Yvan Clolus, il tecnico della nazionale di mtb che ha contribuito alla decisione è stato chiaro a questo proposito: «Non si può prevedere un terzo picco di forma a fine settembre dopo lo stress della stagione e della preparazione olimpica. Sarebbe chiederle troppo, ma l’esperienza le sarà utilissima per rientrare nel gruppo, riassaporare certe esperienze. Questa sarà la sua quotidianità nella nuova fase della sua carriera, è giusto iniziare ora».

“La vita è uno scherzo” il tatuaggio sul collo che rispecchia la sua filosofia
“La vita è uno scherzo” il tatuaggio sul collo che rispecchia la sua filosofia

Ma nel 2025 non si scherza…

Pauline, che ha già scelto di lasciare la Ineos per approdare alla Visma-Lease a Bike, unica straniera (per ora) in un team tutto olandese con l’inossidabile Vos e la rampante Van Empel, si è rimessa subito al lavoro: «Nella settimana precedente i mondiali di mountain bike avevo accumulato tanto volume di lavoro, anche per questo sapevo che non potevo fare molto nella gara iridata». Quel che è certo, guardando il suo palmarés su strada fermo al 2022, è che anche con la superleggera la Ferrand Prevot non ha intenzione di scherzare: con 5 titoli francesi, uno mondiale, una Freccia Vallone e altro al suo attivo, ha tutte le possibilità per inserirsi ai vertici di un ambiente in forte evoluzione, tra campionesse in cerca di riscatto (Kopecky, Vollering) e grandi ritorni (Van der Breggen). State pur certi che ci sarà posto anche per lei…

La Vuelta di Garofoli negli occhi e nei pensieri di suo padre

08.09.2024
8 min
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Una foto su Instagram. Garofoli è piegato sulla bicicletta, sfatto dalla fatica sull’arrivo di Villablino alla Vuelta. Alle sue spalle c’è il padre, che gli poggia appena la mano sulla schiena, quasi con la paura di fargli male. Il commento accanto recita: «Sempre al mio fianco. Daddy».

Che cosa spinge un padre a seguire il figlio in un posto così lontano? Perché Gianluca Garofoli ha sentito il bisogno di raggiungere il Nord della Spagna per stare accanto a suo figlio? Glielo abbiamo chiesto. Perché la carriera di Gianmarco di colpo si è fermata e di colpo lo sguardo guascone di quel ragazzino tutto scatti e nervi ha cambiato sfumature. Lo vedi che si è fatto uomo, ma capisci anche che manca qualcosa. La fiducia. La continuità. E anche un contratto per il prossimo anno. Perché un padre parte dall’Italia e suo figlio gli riconosce a questo modo la presenza?

«Da due mesi a questa parte – racconta – lo vediamo veramente in sofferenza per il discorso della squadra. Si sente in crescendo, sente che non ha avuto fiducia. Si sente in un vicolo stretto e vuole liberarsi, ma ancora non ce la fa. Purtroppo negli ultimi due anni ha avuto parecchia sfortuna e per questo ha perso quasi un anno di allenamenti. Di fatto sta un anno indietro con la preparazione. Si è visto qui alla Vuelta che più corre e più le sue prestazioni migliorano. Avrebbe potuto farlo prima un Grande Giro. Penso che quella foto l’abbia messa per ringraziarmi».

Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva
Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva

Il cuore e la paura

Ripilogando, Gianmarco Garofoli fa parte dell’infornata di Milesi, Germani, Piganzoli, Moro e tutti i 2002 che nelle categorie giovanili si dividevano le vittorie. Trascorre il primo anno alla DSM Development. Vince al Val d’Aosta, ma non si trova bene e nel secondo anno da under 23 approda alla Astana Development, guidato da Orlando Maini e fortemente voluto da Giuseppe Martinelli cui lo aveva consigliato Michele Scarponi in tempi non sospetti. E’ il 2022 e il marchigiano fa appena in tempo a partire, quando gli viene diagnosticata una miocardite, per la quale deve stare fermo a lungo. E’ l’inizio dei problemi.

«Fu un periodo di grande apprensione – racconta Gianluca – e quando di recente con mia moglie abbiamo sentito la notizia della morte del povero Roganti, ci siamo guardati con le lacrime agli occhi. E’ stato come smuovere una cosa molto dura, perché noi quella situazione l’abbiamo vissuta da vicino. La miocardite fu un grandissimo spavento. Fortunatamente il malore che ebbe fu preso per tempo. Il giorno dopo andammo all’ospedale e trovarono un principio di infarto. Fu preso in tempo e trattato. Da lì è stato tutto un buio, fino alla ripresa. Abbiamo vissuto con lui tutte le sue paure e le ansie. Anche se da papà, devo ammetterlo, per certi versi fu pure bello. In quel periodo era fermo con la bici, quindi non sapeva cosa fare e si dedicò a starmi dietro. Venne al lavoro in azienda, andammo in fiera, venne in giro per clienti. Fu pure bello, perché sennò questo spazio con il suo lavoro non sarebbe stato possibile…».

Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Dopo il cuore, tutto ha ripreso il giusto corso?

Neanche per sogno, sono continuate ad accadere una dietro l’altra. Anche quest’anno ha avuto la bronchite prima del Giro Italia e ha fatto due settimane di antibiotici. Alla prima corsa, ha iniziato ad avere i crampi allo stomaco. Fatti gli accertamenti, si è scoperto che c’era l’helicobacter in corso, quindi altre due settimane di antibiotico. E insomma alla fine ha perso un sacco di tempo per cause di questo tipo.

Adesso le cose sembrano andare meglio, perché allora la sua presenza alla Vuelta?

Ho seguito la corsa nei weekend, avevo piacere che mi sentisse vicino. Certo il pensiero della squadra non aiuta. Non c’è niente di ufficiale, ma da quando è entrato lo sponsor cinese, vogliono fare giustamente lo squadrone e gli hanno fatto capire che per lui non c’è più posto.

Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Suo figlio ha sempre avuto l’atteggiamento da guascone, forse le botte prese lo hanno cambiato, perché sembra molto più riflessivo…

In realtà, vivendolo da vicino e seguendolo alle corse anche con sua madre, lo studiamo. Gianmarco è sempre stato molto autonomo e indipendente, infatti noi molto spesso stiamo in disparte. Mi ricordo che da allievo di primo anno vinse il campionato regionale e ordinò da sé la maglia con la scritta della sua squadra. Tanto è vero che l’azienda da cui l’aveva ordinata mi chiamò per farmi complimenti. Non gli capitava spesso che un ragazzino di 15 anni fosse in grado di cavarsela da sé. Addirittura in quel periodo ebbe un incidente e si ruppe la clavicola e il titolare di quell’azienda, venne all’ospedale per conoscerlo. Non era guasconeria, era gioia esplosiva per i risultati che aveva. Però per contro è stato sempre molto altruista.

Ad esempio?

Noi abbiamo un altro figlio che ha la sindrome di down. E questo ha fatto sì che Gianmarco sia sempre stato con i piedi per terra e aiuti le persone più deboli vicine a lui o all’interno delle varie squadre in cui è cresciuto. La svolta ce l’ha avuta quando è andato alla DSM, lì è cresciuto moltissimo sotto tutti i punti di vista. La lontananza da casa e dagli amici. Fu uno dei primi a partire per una devo team straniera. Rimase su per sei mesi, tornando una sola volta e lassù maturò molto in tutti i sensi.

Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Con la DSM vinse delle belle corse: come la prendeste quando decise di cambiare squadra?

Anche sul piano delle squadre, ha sempre fatto da sé le sue scelte. L’ambiente DSM era particolare, ma non mi chiese consiglio, semplicemente a un certo punto disse che sarebbe andato via. C’ero anche io in Olanda quando ruppe il contratto. Loro dissero di non volere più un corridore che non riusciva a osservare pedissequamente le loro regole e che ogni volta che qualcosa non lo convinceva chiedeva spiegazioni. Lui rispose in inglese di non voler stare un solo giorno di più nella squadra che lo aveva inserito nel gruppo del Giro di Sicilia e poi lo aveva tolto dalla lista senza chiamarlo o dargli una spiegazione.

Non ha chiesto consiglio?

Credo che abbia preso una buona decisione. Mia moglie è stata bravissima sin da piccolino a renderlo indipendente nelle sue decisioni, per cui di solito va che lo assecondiamo, cercando però di stargli vicino nei momenti più difficili.

Si è sempre saputo che il nome suo alla Astana lo fece Michele Scarponi, che per Gianmarco è sempre stato un riferimento…

Michele era venuto alla sua comunione e alla cresima. Veniva a prenderlo a casa per portarlo ad allenarsi. Due giorni prima del suo incidente, si erano allenati insieme. Eppure la conoscenza venne per caso.

Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
In che modo?

Mi pare che Gianmarco fosse ancora nei giovanissimi quando andammo allo Scarponi Day, che Michele organizzava a fine anno, con un pranzo e prima una pedalata da Filottrano a Sirolo, facendo la salita da Numana. Quella volta Gianmarco prese e scattò davanti al gruppo, avrà avuto 12 anni. Michele lo seguì e fecero insieme tutta la salita da Numana a Sirolo. Si conobbero così. Quando durante il pranzo venne il momento della lotteria per vincere le maglie che aveva messo in palio, Michele prese il microfono e disse che il body da gara non sarebbe stato estratto, perché lo avrebbe regalato al migliore di giornata. Chiamò Gianmarco e lo regalò a lui e fu così che nacque l’amicizia. Dopo un po’ che Michele era morto, Gianmarco ebbe un incidente e si ruppe una clavicola. Martinelli chiamò e ci invitò su, perché ci avrebbe pensato lui.

Lo conoscevate bene?

Non ci avevo mai parlato, ma ci raccontò che Michele gli parlava sempre di lui e diceva che avrebbero dovuto prenderlo. E anzi gli aveva detto che quando avesse smesso, si sarebbe dedicato a coltivare le sue grosse potenzialità. Era il lavoro che Michele si era prefissato per il dopo carriera.

Ci sono consigli che gli date in questo momento difficile oppure, visto che è così autonomo, lo osservate e non dite niente?

Il consiglio che gli diamo è di stare tranquillo, perché se c’è valore, viene fuori da solo. Secondo me la tranquillità paga sempre su tutto. Se uno deve andare, andrà di certo. Altrimenti vorrà dire che farà altro. E lui ogni cosa ha dovuto meritarsela. Mi ricordo dei mondiali del 2019, quando era campione italiano juniores e non volevano portarlo perché era troppo piccolino. Finché mio figlio andò ad affrontare il cittì e gli diede un ultimatum: «Dimmi cosa devo fare perché mi porti al mondiale».

Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Che cosa gli rispose?

Che lo avrebbe portato se avesse vinto il Trofeo Buffoni.

E lui?

Venne a casa e disse che lo avrebbe fatto. Infatti vinse il Buffoni, andò ai mondiali di Harrogate e si piazzò quinto. Stessa cosa al tricolore juniores. Prima di partire mi disse: «Papà, oggi vinco». E’ partito e ha vinto. Due sole volte mi ha parlato così e in entrambe ha vinto. Quindi sono convinto che la sua tranquillità porterà ai risultati. Sembra in crescita, capace di stare accanto a quelli più forti. Se avesse potuto fare prima un Grande Giro, forse oggi staremmo parlando di un altro corridore. Ha 21 anni, mi sembra strano che si ragioni di lui come di un vecchio. I procuratori gli dicono che deve fare punti sennò è difficile trovare squadra, ma io spero che la squadra venga fuori ugualmente. Stasera torniamo a casa insieme, sperando che i manager guardino i corridori non solo per i punti che portano.

Roglic vigila, Dunbar vince, fra Mas e O’Connor ballano 9 secondi

07.09.2024
5 min
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Doveva essere la tappa regina, ma con la sensazione che i giochi fossero già fatti, alla fine il poco che si è visto ha riguardato la lotta per il secondo posto. Con l’arrivo posto sulla settima salita di giornata, ad alzare le braccia al cielo è stato per la seconda volta in questa Vuelta Eddie Dunbar. L’irlandese del Team Jayco-AlUla è stato freddo ad aspettare il momento giusto, ha agganciato Sivakov a lungo in fuga e ha piazzato la zampata vincente. Alle sue spalle, dopo 7 secondi Enric Mas ha preceduto Roglic e altri 7 sono stati necessari per veder arrivare Ben O’Connor, che ha così mantenuto il secondo posto nella generale con 9 secondi sullo spagnolo. Si decide tutto domani nei 24,6 chilometri vallonati della crono di Madrid.

Eppure sull’arrivo irto di Picon Blanco a domani non si pensa ancora, tra la soddisfazione legittima del vincitore e della sua squadra, guidata in Spagna da un italiano – Valerio Piva partito per lasciare il segno.

«E’ fantastico – dice il tecnico mantovano – sapevamo che Eddie fosse in forma e super motivato per la tappa di oggi. La vittoria era un sogno e ora è realtà. Sono molto felice per lui. La squadra lo ha aiutato il più a lungo possibile e abbiamo capito che era il momento giusto quando tutti i leader si guardavano perché non aveano più gregari. Eddie è stato incredibilmente forte, perché rimanere davanti quando gli uomini di classifica si attaccano a vicenda non è facile. Ha mostrato una qualità e una forma fantastiche. Ha concluso questa Vuelta in ottima forma e questa è un’ottima notizia per lui e per noi».

L’astuzia e le gambe

Dunbar, che in classifica occupa l’undicesima posizione, è davvero al settimo cielo. La sua stagione era stata finora abbastanza sfortunata per non immaginare che prima o poi la sorte gli avrebbe sorriso. Il ritiro dal Giro d’Italia, in cui avrebbe fatto classifica, dopo appena due tappe meritava vendetta e le due tappe in questa Vuelta in qualche modo pareggiano i conti.

«Ho sempre saputo che sarebbe stata una tappa davvero difficile – dice – ma con il modo in cui sono state affrontate le ultime tre settimane, pensavo che molti sarebbero stati stanchi. Soprattutto i corridori della classifica generale, che hanno dato il massimo ogni giorno. Io sono un po’ indietro rispetto a loro e sapevo che se fossi rimasto agganciato, avrei potuto fare un bel risultato. Non mi avrebbero mai lasciato andare in fuga, per cui l’unico sistema sarebbe stato arrivare con loro. I compagni hanno fatto un lavoro fantastico negli ultimi giorni, tenendomi lontano dai guai. Mi hanno davvero sostenuto. Finiremo la Vuelta soltanto in cinque, ma hanno tutti corso in modo superbo.

«Quando ho attaccato, sapevo che avrei dovuto tenere il mio ritmo e pedalare alla soglia. Se qualcuno avesse voluto rientrare, avrebbe dovuto sostenere un grande sforzo. Però solo a 200 metri dall’arrivo ho pensato che avrei potuto vincere. Mi sono voltato e ho visto quanto spazio c’era e finalmente a 50 metri dall’arrivo ho iniziato a godermi la vittoria».

Roglic è salito sul podio con la mascherina: meglio evitare scherzi. Ma con i figli, difese abbassate…
Roglic è salito sul podio con la mascherina: meglio evitare scherzi. Ma con i figli, difese abbassate…

Un altro giorno di classifica

Roglic sta bene e si vede. Ha corso con la testa, mettendo a segno il colpo del kappaò proprio ieri. Con i 50 secondi rifilati a Mas e 1’49” a O’Connor sull’Alto de Moncalvillo, lo sloveno ha blindato la maglia e si avvia alla crono con leggerezza. Ben più di quando era leader al Tour del 2020 e Pogacar trovò le gambe per giustiziarlo. Ben più del Giro dello scorso anno quando a Monte Lussari toccò a lui giustiziare Thomas e prendersi la maglia rosa. Domani per Primoz non ci saranno altre preoccupazioni che quella di arrivare sano e salvo al traguardo, con 2’02” su O’Connor e 2’11” su Enric Mas.

«La squadra oggi non era al meglio – dice il leader nelle interviste post tappa – ma tutti hanno dato il massimo. Ho per loro grande rispetto, hanno dato tutto quello che avevano. Fortunatamente sto abbastanza bene, quindi è stata una bella giornata. Abbiamo fatto un bel lavoro in queste tre settimane e ora dobbiamo solo finirlo. Aspettiamo domani! Siamo un giorno più vicini alla meta, stiamo andando nella giusta direzione, ma domani sarà un’altra giornata importante. Dico sempre che non sono uno specialista delle cronometro. Dovrò nuovamente dare tutto sulla strada».

Anche oggi, O’Connor si è difeso alla grande, dimostrando di avere ancora forze
Anche oggi, O’Connor si è difeso alla grande, dimostrando di avere ancora forze

Metà delusione, metà speranza

I precedenti negli scontri diretti fra O’Connor e Mas non danno ragione all’uno né all’altro. Nella prima crono, Mas ha fatto 26 secondi meglio di O’Connor. Alla Tirreno-Adriatico, O’Connor fece 8 secondi meglio di Mas. Tuttavia osservando gli scontri diretti di questa Vuelta, la sensazione è che Mas abbia una marcia in più e anche una superiore attitudine in virtù dei progressi degli ultimi anni. Tanto che dopo l’arrivo O’Connor parla di giornata positiva, mentre lo spagnolo è deluso.

«Devo accontentarmi di quello che c’è – dice Enric Mas, leggermente abbacchiato – non posso chiedere di più. Mi sarebbe piaciuto prendere un po’ più di tempo su O’Connor, ma non è stato possibile. Mi è mancato qualcosa e per questo non sono del tutto contento. Pensavo che Carapaz avrebbe collaborato di più, ma adesso dobbiamo solo accettare la realtà e sperare domani di fare una super cronometro. Devo andare a dormire pensando a questo. Corro in Spagna, darò tutto e sono sicuro che andrà bene. Il podio è qualcosa di bello, ma siamo qui a parlare di guadagnare 9 secondi per salire un altro gradino del podio, mentre eravamo venuti per vincere. Perché ovviamente non credo di poter dare più di due minuti a Roglic».

Lunigiana atto finale: a Finn la tappa, a Seixas la maglia verde

07.09.2024
5 min
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TERRE DI LUNI – Il terzo round della sfida che ci ha accompagnato per tutto il Giro della Lunigiana lo vince Lorenzo Finn. La prima vittoria di tappa dopo due partecipazioni per il ligure che ha provato a vincere la Corsa dei Futuri Campioni in entrambe le edizioni (in apertura foto Duz Image / Michele Bertoloni). Sulla sua strada però si è sempre trovato davanti un corridore francese. Nel 2023 era stato Leo Bisiaux a toglierli la vittoria, mentre quest’anno ci ha pensato Paul Seixas a rovinargli i piani. Il ligure della Grenke Auto Eder ha attaccato sia ieri che oggi, ma non è riuscito a scalfire la leadership di Seixas.  

«L’anno scorso – analizza Finn – non ero riuscito a vincere una tappa, quest’anno sì e questo mi rende sicuramente felice. Riconfermare il podio e vincere una tappa sono un ottimo risultato. Chiaro che vincere la generale sarebbe stato meglio ma ripeto che non ho rammarichi».

La differenza nei dettagli

In salita Finn e Seixas hanno viaggiato di pari passo per tutti e tre i giorni di gara, uno attaccato all’altro, inseparabili. Solo il muro di Bolano ha creato una piccola crepa, di due secondi a favore del francese. Per il resto la differenza l’hanno fatta gli abbuoni. Seixas ne ha accumulato 20 secondi sui vari traguardi, Finn 16.

«Ho fatto due attacchi sugli ultimi due passaggi di Montemarcello – spiega – a tutta. Non ho rammarichi perché ci ho sicuramente provato. Fare di meglio era impossibile, ho spinto con tutte le energie che avevo in corpo. Eravamo allo stesso livello».

«Lottare contro Finn è stato molto difficile – fa eco Seixas – è molto bravo in salita, forse in quelle con maggiore pendenza sono leggermente più forte io. Infatti, la differenza per vincere questo Lunigiana l’ho fatta su rampe molto ripide come a Bolano. Ma un giorno è così e l’altro può accadere il contrario. In generale penso che siamo sullo stesso livello».

In salita il livello tra i due è stato pari, la differenza l’hanno fatta gli abbuoni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
In salita il livello tra i due è stato pari, la differenza l’hanno fatta gli abbuoni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Un altro francese

Paul Seixas succede a Leo Bisiaux e a Lenny Martinez per la terza vittoria francese nelle ultime cinque edizioni del Giro della Lunigiana.

«E’ una bella sensazione – racconta – prendere in eredità la maglia verde da Leo Bisiaux e Lenny Martinez. Vedere un mio ex compagno di squadra vincere questa corsa mi ha motivato tanto per provarci a mia volta. Il percorso era leggermente diverso nel 2023, forse meno duro».

Paul Seixas e Leo Bisiaux hanno condiviso la maglia della AG2R Citroen U19 l’anno scorso, ma non solo. Entrambi, infatti, sono impegnati nel ciclocross. Alla domanda se seguirà le orme del vecchio compagno di squadra risponde così: «Non so ancora cosa farò in futuro, sicuramente correrò meno nel cross visto che passerò under 23. Voglio concentrarmi al meglio sulla strada perché l’impegno sarà maggiore. Non ho ancora deciso se proseguirò con la Decathlon AG2R o meno, sarà una cosa che vedremo dopo il mondiale. E’ una situazione difficile della quale non posso parlare ora».

Verso il mondiale

Tutti i protagonisti di questo Giro della Lunigiana li rivedremo a breve sulle strade di Zurigo pronti per darsi battaglia e conquistare la maglia iridata. Una serie di pretendenti al titolo iridato che solamente sfogliarlo fa venire il mal di testa. Nell’osservarli da vicino, però, sembra che la storia sia un capitolo a due: Finn e Seixas.

«Questa bella vittoria – dice il francese – è la dimostrazione che la condizione è davvero buona. Mi sono sentito sempre meglio giorno dopo giorno. Sono davvero felice di aver vinto qui, è molto buono per la mia forma e per avere la giusta confidenza nei miei mezzi. Finn e io probabilmente lotteremo anche per il mondiale, ma ci sono davvero tanti pretendenti alla maglia iridata. Quest’anno ho vinto tutte le corse di un giorno alle quali ho preso parte (tra cui la Lieigi-Bastogne-Liegi juniores, ndr). Il mondiale è una corsa tanto diversa dalle altre, ma spero di arrivare con la giusta condizione per puntare al podio».

Anche per Finn si avvicina l’appuntamento iridato, nel quale sarà chiamato a lottare sia a cronometro che su strada.

«Prima, però – conclude – starò un giorno a casa per poi partire verso il Belgio visto che correrò sia su strada che a cronometro anche all’europeo. Finito l’impegno continentale sarà la volta del mondiale e punterò tutto su quello dato che è molto più adatto alle mie caratteristiche».

Baseggio secondo a Kranj, ma la scadenza si avvicina…

07.09.2024
5 min
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Il GP Kranj regala sempre spunti di discussione. L’ultima edizione ha premiato il russo di casa CTF Victorious Roman Ermakov, che ha fatto il paio con l’altra gara disputata neanche 24 ore prima, ma alle sue spalle è svettato Matteo Baseggio e non è un caso perché è praticamente tutta l’estate che viaggia nei quartieri alti delle gare a cui prende parte, con 7 Top 10 dal 28 giugno a questa parte.

Parliamo di un corridore di 26 anni, facente parte dell’Uc Trevigiani Energiapura Marchiol, quindi in una situazione quantomeno delicata. Il prossimo sarà l’ultimo anno nel quale potrà militare nella categoria, poi cadrà la mannaia: o uno sbocco quantomeno in una squadra continental, o l’addio a questo mondo. Parlando con il corridore, non si sentirà mai però la pur minima scivolata nello scoramento. Baseggio è pienamente inserito nel gioco e ha sempre accettato le sue conseguenze.

Il podio finale di Kranj con il russo Ermakov vincitore fra Baseggio e lo svizzero Balmer
Il podio finale di Kranj con il russo Ermakov vincitore fra Baseggio e lo svizzero Balmer

Il secondo posto lo ha soddisfatto appieno: «Era una gara internazionale di livello elevato, con molti team che hanno subito lanciato la gara su ritmi altissimi. A metà gara eravamo rimasti nel gruppo davanti in una cinquantina, a due giri dalla fine in 20 a giocarci la vittoria. Quando Ermakov è andato via io e Balmer abbiamo provato a riprenderlo ma andava davvero forte, d’altronde aveva un altro ritmo e si era visto il giorno prima che era in stato di grazia».

Un risultato il tuo non inaspettato, visto come andavi nel periodo…

Sono sceso da Livigno che sentivo di avere una buona condizione e ho cercato di farla fruttare, ma spero che duri ancora a lungo. Io cerco di fare sempre più che posso, di partire per ogni gara per metterci la mia firma, ho un rendimento costante ed è sempre stata questa la mia caratteristica, sperando che mi porti anche a svettare in qualche circostanza. Questa comunque non è una vittoria ma poco ci manca considerando anche che c’erano delle Professional e lo stesso Balmer è uno che ha frequentato assiduamente il WorldTour.

Il corridore dell’Uc Trevigiani mette Balmer alle sue spalle ed è secondo nella corsa slovena
Il corridore dell’Uc Trevigiani mette Balmer alle sue spalle ed è secondo nella corsa slovena
Tu non ti sei mai lamentato del fatto di essere Elite, di essere costretto a un calendario forzatamente ridotto. Non ti pesa?

Lamentarsi non serve, sono sempre stato dell’idea che fa parte delle regole del gioco. Se non sei passato ne prendi atto, scegli che cosa fare. Io pensavo di smettere, poi però questo mondo mi piace a prescindere e sono andato avanti. Mi diverto, non mi pesa allenarmi, fare la vita del corridore. Anche per me come per gli altri l’obiettivo è sempre stato passare e finché sei in questo ambiente la speranza c’è sempre, ma se il passaggio non arriverà, almeno potrò dire di aver dato sempre il massimo e di non avere rimpianti.

Parlavi di speranza: tu sei senza procuratore, fai parlare per te i risultati, ma quella speranza ce l’hai sempre?

Altrimenti non sarei qui, io voglio continuare finché mi sarà possibile e mettendomi a disposizione se qualcuno si trovasse con un posto disponibile sapendo che qui c’è un corridore che in ogni gara dà il 110 per cento, anche, anzi soprattutto per gli altri. Se mi dicessero passi ma dovrai sempre tirare, io direi di sì e tirerei sempre… Oggi tutti i giovani che passano sono super ambiziosi ed è giusto che sia così, ma io posso garantire il mio impegno a favore di chi ha più chance di emergere.

La vittoria di Baseggio al Memorial Mantovani di fine marzo, rifilando distacchi pesanti (Photors)
La vittoria di Baseggio al Memorial Mantovani di fine marzo, rifilando distacchi pesanti (Photors)
Eppure, facendo le dovute proporzioni, i risultati anche da parte tua non mancano…

Dall’inizio della stagione ho una vittoria e qualcosa come 17 Top 10, significa che sono sempre lì a lottare. Alcuni, proprio come quello di Kranj, hanno anche più valore considerando il livello di gara internazionale e la partecipazione.

In società che cosa dicono?

Sono contenti del mio rendimento, ma anche del mio comportamento: essendo uno dei più “grandi”, faccio un po’ da mediatore fra i più giovani e lo staff, contribuisco a fare gruppo, dando quel quid che poi serve anche in corsa. Non è neanche qualcosa che mi hanno chiesto nello specifico, mi fa piacere farlo, tutto qui.

Con Diego Beghini alla General Store-Essedibi nel 2020. Tante speranze non tutte realizzate (Photors)
Con Diego Beghini alla General Store-Essedibi nel 2020. Tante speranze non tutte realizzate (Photors)
Tu non hai procuratore, hai mai provato a cercare direttamente un approdo in una continental magari estera? Di corridori italiani in giro per il mondo capita di vederne…

Non nascondo di averci pensato, ma servono i contatti. Ad esempio con i team asiatici che pure hanno budget interessanti, ma non basta avere un indirizzo mail e scrivere se non hai qualcuno che accompagna la proposta, che conosce, che può metterci una buona parola. Forse sono anche io che non mi ci metto più di tanto proprio perché per me chiudere a fine 2024 non sarà la fine del mondo. Ho studiato meccanica, in questo mondo ci si può rimanere anche in altre vesti. Io intanto continuo su questa strada, provando a fare risultato sempre sin dall’Astico-Brenta di domani, poi si vedrà.