Matteo Milan, le somme di fine stagione e le idee per il 2025

19.10.2024
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Con l’europeo gravel di Asiago, anche Matteo Milan ha chiuso la prima stagione nel devo team della Lidl-Trek. C’era curiosità attorno al fratellino di Jonathan e la prima strategia messa in atto dalla squadra americana è stata farlo sentire desiderato per quello che è e non per suo fratello (in apertura i campionati italiani U23 di Trissimo, immagine photors.it). 

«Quello che ho apprezzato – conferma con la fluida parlata friulana – è stato che appena sono entrato mi hanno detto: “Ti abbiamo preso perché sei Matteo e non il fratello di Jonathan. Perché hai i numeri, perché crediamo in te e sappiamo che puoi far bene”. Questa cosa mi ha fatto super piacere e mi ha fatto credere in questa realtà».

Gli europei grave di Asiago sono stati l’ultimo impegno per il 2024 (foto Instagram/Matteo Milan)
Gli europei grave di Asiago sono stati l’ultimo impegno per il 2024 (foto Instagram/Matteo Milan)
Il tuo 2024 conta 55 giorni di corsa: non sono pochi.

Anche perché fatti senza ovviamente una grande corsa a tappe, per cui sono davvero tanti. Bisogna contare almeno tre giorni in più per ogni corsa, per cui sono stato davvero tanto fuori da casa.

Cosa ti pare di questo primo anno?

Sono entrato con un po’ di aspettative su me stesso e volevo dimostrare alla squadra di essere costante: un corridore solido. Volevo anche far vedere la mia personalità e credo che sono riuscito a tirarla fuori. Ho dimostrato di essere sempre presente e disponibile per tutte le corse. Mi sono messo a disposizione quando c’erano dei buchi, perché magari qualcuno si ammalava. Per questo ho partecipato a tre corse a tappe che non avevo in programma. Sono stato anche contento di questo, perché le opportunità escono così e infatti dopo sono usciti i risultati. E’ stato davvero bello entrare in una famiglia come la Lidl-Trek, in cui siamo trattati come professionisti.

Che calendario ti hanno proposto?

Ho corso spesso con i professionisti. Ovviamente il livello è altissimo, davvero uno step in più. Penso che quest’anno sia stato un rodaggio, perché non mi aspettavo di correre così tanto con i grandi e gli sforzi si sono fatti sentire. Quando fai cinque giorni di corsa a tappe con loro, come è successo al Giro di Danimarca, alla fine è bella tosta. Questo sicuramente mi ha dato una marcia in più e il prossimo anno voglio sfruttarla.

Pensi che l’adattamento più impegnativo sia atletico o legato allo stare in corsa?

Fisicamente non mi pare che ci siano stati grandi problemi. Il punto è capire come muoversi in corsa, gli sbagli che ho fatto e che farò, da cui dovrò imparare. Tra i professionisti si corre in modo diverso, bisogna limare di più. Se fai un errore, se ad esempio scatti troppo presto, stai sicuro che la paghi. Bisogna stare attenti a tutto e io credo di aver iniziato a capire come muovermi a fine stagione. Questo è lo step maggiore. Gestirsi, imparare a conoscersi bene e conoscere gli avversari. E come da questo tirare fuori alla fine un risultato.

Hai avuto un tecnico di riferimento?

Ognuno ha il suo, io ho Sebastian Andersen. Poi ho l’allenatore, che sempre fa parte della squadra, ed è Matteo Azzolini.

Ti sei chiesto se quest’inverno ci sarà da cambiare qualcosa per continuare a crescere?

Ci ho ragionato molto. Ho esaminato l’annata: quello su cui avevo puntato e quello su cui vorrei puntare. Voglio cambiare qualcosa, provare a specializzarmi. L’anno scorso ero entrato con idee non chiarissime sui miei obiettivi. Quest’anno ho visto dei risultati in un preciso tipo di corsa. So che in salita faccio ancora tanta fatica, quindi per il prossimo anno vorrei lavorare di più sulla parte veloce e sulla pianura. Vorrei essere più esplosivo, per cui anche durante l’inverno vorrei lavorare non solo sulla classica Z2, di cui si parla tanto, ma su tutto: anche sulla soglia. Perché alla fine per alzare la Z2 bisogna alzare anche la soglia. Mi piacerebbe provare a tenere sugli strappi e giocarmela negli sprint.

A Grosseto, quarto posto per Matteo al tricolore crono, in una giornata storia
A Grosseto, quarto posto per Matteo al tricolore crono, in una giornata storia
Il 2024 ti ha portato anche il quarto posto agli italiani crono: ti ha stupito?

Un po’ sì, perché quel giorno non stavo bene e non sono riuscito ad esprimermi come volevo. L’anno prossimo mi voglio preparare meglio perché la crono è una disciplina che mi piace. E’ spingersi al massimo di se stessi, mi piace molto ed è allenante per tutto il resto. L’anno prossimo le cronometro saranno sicuramente un mio obiettivo.

A parte i tricolori, hai corso in Italia solo il Giro del Friuli, Larciano e gli europei gravel: com’è correre tanto fuori?

Mi piace tantissimo. L’unica cosa che forse mi manca è che ogni tanto vorrei competere a livello under 23. Credo di avere buoni numeri, però se vai sempre in mezzo ai professionisti, il livello è troppo alto e c’è da sgomitare. Ho corso il Giro del Friuli ed è stata una bellissima corsa tappe, mi sono divertito. Quando in corsa riesci anche a divertirti e a non subire soltanto il ritmo degli altri, le sensazioni sono migliori. Però è vero che correre all’estero ti svolta come corridore. Le gare U23 in Italia non hanno lo stesso livello, non si corre come fra i professionisti ed è quello che si rivela più allenante per un futuro da professionista. Magari però un Giro d’Italia U23 potrebbe starci bene…

La Gand Wevelgem e poi la Roubaix: nel 2024 Matteo ha corso entrambe le prove per U23 (foto Instagram/Matteo Milan)
La Gand Wevelgem e poi la Roubaix: nel 2024 Matteo ha corso entrambe le prove per U23 (foto Instagram/Matteo Milan)
Nelle prossime settimane, riuscirai ad allenarti un po’ con Johnny oppure ognuno fa la sua vita?

Durante l’off-season, entrambi non ci alleniamo. Lui in questi giorni è stato al mondiale su pista (ieri sera Jonathan ha vinto il mondiale dell’inseguimento con tanto di record del mondo, ndr), io a casa. Quando torna, parte per le vacanze. E quando torna lui, vado in vacanza io, perché è stato un anno lunghissimo, iniziato a novembre con la preparazione e finito a ottobre con le ultime corse. Devo staccare, fare qualcos’altro che non sia solo bici. Finirà che ci vedremo direttamente in Spagna. Probabilmente si esce di più insieme quando siamo in ritiro che quando siamo a casa.

Vuelta, mondiali e nuova squadra: cosa dice O’Connor?

19.10.2024
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TORINO – Il peso di una Nazione sulle spalle, ma Ben O’Connor non è uno che si lasci influenzare dal giudizio altrui né dalle pressioni. L’ha dimostrato con un finale di stagione da applausi, andandosi a prendere il tanto agognato podio in un Grande Giro alla Vuelta, riscattandosi così di quello sfuggitogli all’ultimo Giro d’Italia e in precedenza al Tour del 2021. Non contento, ha sfoderato un’altra piazza d’onore di prestigio nella rassegna iridata in quel di Zurigo.

Mentre lo guarda svolgere i test all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, Brent Copeland si frega le mani pensando al gioiellino che sarà il farò della Jayco-AlUla per il 2025. L’aspetto che lo stuzzica di più è proprio il fatto che i due secondi posti ottenuti dal ventottenne di Perth siano arrivati in corse così diverse sia come tipologia sia per le condizioni ambientali e metereologiche. Ora il manager della squadra australiana è ancora più convinto nell’avergli affidato il compito di raccogliere l’eredità di Simon Yates.

Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Ben, che effetto ti fa il pensiero di indossare dal 1° gennaio 2025 la maglia di una squadra australiana?

I quattro anni con la Decathlon hanno rappresentato un’esperienza completamente nuova, ma sarà speciale far parte di una squadra del mio Paese. Mi conforta molto perché, pur vivendo a migliaia di chilometri dalla nostra Australia, in effetti mi sentirò un po’ a casa. Sono contento di ritrovare un amico come Luke Durbridge e uno staff di connazionali. Essere il capitano della Jayco-AlUla in un Grande Giro poi, sarà una motivazione enorme ad alzare ancora l’asticella per portare in alto la nostra bandiera comune. Spero di ripetere quanto fatto quest’anno.

Sei cresciuto in una Nazione esplosa con i successi di campioni come Cadel Evans e Simon Gerrans: hai sempre pensato di fare il ciclista?

In realtà, no. Ho provato moltissimi sport, come ad esempio il cricket, il calcio e anche la corsa. Il Tour de France era sempre in tv da noi, ma il ciclismo non è mai stata un’ossessione, semmai un’opportunità che si è creata. Ci ho provato e, con il supporto dei miei genitori che mi hanno comprato la prima bici da corsa, è cominciato tutto. E’ successo tutto in fretta e in maniera inaspettata. In poco tempo mi sono trovato da correre nelle gare nazionali in Australia a gareggiare col primo team Continental in Asia. Fino ad arrivare in Europa l’anno dopo, nel 2017, e cominciare a vivere come un ciclista professionista

Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Sei passato da essere spettatore alla tv a esserne protagonista, visto che negli ultimi anni ti abbiamo visto parecchio anche nella serie sul Tour de France trasmessa da Netflix. Ti sei divertito?

Forse sono stato in onda pure troppo e chiedo scusa a tutti gli utenti che mi hanno guardato. Dai, almeno non ci sono nella prossima stagione, per cui vi do un po’ di sollievo. E’ stato interessante, ma direi che preferisco vedere le corse piuttosto che la serie di Netflix.

Beh, il tuo 2024 è stato un film avvincente, sei d’accordo?

Direi proprio di sì, penso di aver finalmente espresso il mio potenziale. Al Giro mi è spiaciuto stare male l’ultima settimana. In quel momento pensavo soltanto al podio perso nella generale e non sapevo se e quando mi sarebbe ricapitata un’altra occasione del genere. Poi, quando mi sono trovato in testa alla Vuelta per due settimane, è stato folle.

La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
Com’è stato per la prima volta trovarsi al comando di un Grande Giro?

E’ stato pazzesco indossare una maglia iconica come quella rossa. Vedi gli altri farlo nei Grandi Giri e ti chiedi mille volte che cosa si provi. Poi tocca a te ed è incredibile, un mix di orgoglio e consapevolezza di essere un vincente. In quel momento, comunque, sei davanti a tutti. Non c’è niente di meglio e se non ti fai distogliere dalle tante attenzioni, è una carica in più.

A volte non ti sembra ti chiedere troppo a te stesso?

Sono entusiasta del mio finale di stagione perché ho raggiunto il livello che sapevo di valere. Il quarto posto al Giro mi aveva lasciato una sensazione di incompiutezza perché sentivo di poter valere di più, così come già all’Uae Tour perso all’ultimo giorno per appena due secondi. Il secondo posto alla Vuelta, invece, è stato come una vittoria per me.

Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
E tra quella piazza d’onore sudata per tre settimane e quella della domenica mondiale, che punti in comune ci sono?

In entrambi i casi ho dato tutto quello che avevo e ho finito senza nessun rimpianto né alcun pensiero negativo. Sia in Spagna sia in Svizzera ho interpretato la corsa nel migliore dei modi. Punto. E ora sono carichissimo per la prossima stagione.

Non ti ha un po’ sorpreso essere sul podio nella gara di un giorno, primo degli umani dopo l’imprendibile Pogacar?

Il mio allenatore alla Decathlon continuava a ripetermi che avrei dovuto fare più corse di un giorno perché si addicono alle mie caratteristiche, per cui penso che ora possa essere orgoglioso. Forse perché sono arrivato al mondiale senza troppe aspettative, non sapendo se avrei finito la corsa né tantomeno in che posizione, per cui figuriamoci sul podio. E’ stata una bella sorpresa, perché ero così stanco dopo la Vuelta che non ho fatto nemmeno la crono e così sono arrivato molto tranquillo alla prova in linea. 

Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Com’è stato lottare contro Pogacar?

Non ho lottato con lui, anche se in realtà ero proprio alla sua ruota quando è partito. Ho avuto un momento di riflessione e mi sono chiesto se avessi dovuto seguirlo. Ci ho provato e non ero così lontano. Lui viaggiava su un altro pianeta, per cui sono stato contento di aver sfruttato l’occasione per avvantaggiarmi sugli altri perché chiunque degli inseguitori avrebbe potuto fare secondo o terzo. 

Hai qualche hobby quando non pedali?

Mi piace stare comunque all’aria aperta e passare tempo con mia moglie o con i miei amici. Magari mi concedo qualche bicchiere di vino o di birra o un buon caffè, niente di speciale. Preferisco fare un bel picnic, una camminata in montagna o comunque qualunque attività outdoor.

Pensi già ai piani per il 2025?

E’ ancora tutto da decidere, ma mi piacerebbe tornare al Tour de France. Se poi riuscissi a inserire anche Giro o Vuelta non sarebbe male, ma non devi fare due Grandi Giri per forza e magari potrei tenermi questo piano per il 2026. Mi è sempre piaciuta la combinazione Giro-Vuelta, mentre non sono così sicuro dell’abbinamento Tour-Vuelta. Giro-Tour, invece, potrebbe essere stimolante perché d’altronde il Giro è il Grande Giro che forse si addice di più alle mie caratteristiche

Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
A maggio non le avevi mandate a dire a chi criticava la neutralizzazione della tappa di Livigno sotto la neve. Hai visto quanto successo di recente con la cancellazione delle Tre Valli Varesine e che ne pensi delle reazioni del pubblico?

Non mi sognerei mai di dire a nessuno come deve svolgere il proprio lavoro. Non dirò mai a un avvocato come deve comportarsi né a un giudice o un investitore. Per questa ragione, mi è parso alquanto paradossale che ci fosse gente che parlasse alle nostre spalle riguardo a un lavoro che non conoscono e che non saprebbero nemmeno fare. Chiunque può andare in bicicletta, non è così difficile. Ma gareggiarci e fare il ciclista professionista è totalmente un altro mondo. Ho chiuso coi social media e preferisco non leggere cosa scrive la gente che pensa di poter fare il nostro mestiere. Dovremmo essere noi ciclisti, insieme agli organizzatori, a prendere le decisioni, non il pubblico. 

La tua salita preferita?

Port de Cabus, in Andorra, forse una delle più belle che abbia fatto. E poi anche Arcalis non scherza affatto.

Quattro imprese e un… funerale. Tadej raccontato da dentro

19.10.2024
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Ricordate il film Quattro Matrimoni e un Funerale? Beh, sull’onda dell’ironia proviamo a fare qualcosa di simile con Tadej Pogacar e le sue imprese di questo 2024. Il fuoriclasse della UAE Emirates ci ha fatto divertire, palpitare e stupire dal primo all’ultimo chilometro della sua stagione.

Ma quante fughe ha fatto? E’ anche difficile contarle. Senza dubbio abbiamo ancora ben impressa quella neanche lontanamente immaginabile del campionato del mondo, ma come detto ce ne sono tante altre. Ne abbiamo scelte quattro appunto, come i matrimoni del film, più una andata male, come il funerale. Sempre del film. E ce le siamo fatte raccontare da chi queste fughe le ha viste o intraviste da dentro.

Strade Bianche: Pogacar è scattato da pochi secondi. Formolo e gli altri lo vedono scappare. E’ il primo capolavoro dello sloveno
Strade Bianche: Pogacar è scattato da pochi secondi. Formolo e gli altri lo vedono scappare. E’ il primo capolavoro dello sloveno

L’assolo di Siena

Partiamo dalla classica senese. Quest’anno la Strade Bianche era per Pogacar la corsa di apertura. Qualcuno nutriva qualche dubbio circa il ritmo gara dello sloveno, altri invece si chiedevano solo quando sarebbe partito. Alla fine avevano ragione questi ultimi.

«Io so solo che anche questa volta eravamo nel tratto sterrato di Monte Sante Marie – racconta con la sua innata simpatia, Davide Formolo – dove già era scattato due anni fa. Un tratto duro e soprattutto un tratto che già di per sé è lontano dal traguardo, ma quest’anno lo era ancora di più.

«C’era tanto fango e dopo poche centinaia di metri di questo segmento io e gli altri avevamo tutti gli occhiali sporchi. Non si vedeva nulla. Ero in quarta, quinta ruota: in testa un corridore della UAE Emirates, poi Tadej, un altro corridore che non ricordo ed io. Pensavo: “Se va così, va bene. Resto qui fino in cima… tanto non scatterà mica adesso, a più di 80 chilometri dall’arrivo”. Dopo 20 secondi alzo la testa, sposto gli occhiali e Tadej era già lontano».

Una follia? Formolo ammette che forse lo è stata, ma anche che da Tadej ci si può aspettare di tutto. Ha detto anche che a quel punto dietro hanno giocato per il secondo posto e che il distacco monster accumulato dallo sloveno, lasciava il tempo che trovava. I due sono amici, ex compagni di squadra e vicini di casa.

«Quando l’ho visto sul pianerottolo? Gli ho detto: “Che matto che sei!”. Ma con Tadej si può fare, lui è così: scherza, è un ragazzo semplice».

Tappa numero 15 del Giro. Staccato anche Nicola Conci, ora Pogacar punta Quintana. Poi il Mottolino sarà suo
Tappa numero 15 del Giro. Staccato anche Nicola Conci, ora Pogacar punta Quintana. Poi il Mottolino sarà suo

Verso Livigno

Passano due mesi abbondanti e il Giro d’Italia entra nel vivo. Al termine della seconda settimana ecco il tappone di Livigno, con l’arrivo sul Mottolino. Davanti c’è una fuga importante, tra cui Quintana, l’ultimo ad arrendersi, Nicola Conci, Attila Valter, Romain Bardet…

«Quel giorno – racconta Conci – non ha poi sorpreso il suo attacco. Si sapeva che avrebbe cercato la vittoria di tappa, ma mi ha stupito per come andava. Noi abbiamo preso il Foscagno con quasi 3′ di vantaggio. A circa 4-5 chilometri dalla vetta, il mio diesse mi dice per radio che dietro era scattato Pogacar e che stava rinvenendo forte. Immaginavo sarebbe passato un po’ di tempo, invece dopo 2′ era già lì. Che sarebbe arrivato presto okay, ma subito no! Andava come una moto e con la moto delle riprese!

«Sono rimasto impressionato dalla sua velocità. Ricordo che Valter ha cercato di stare alla sua ruota – prosegue il trentino – lo avrà tenuto per 30”, poi si è staccato anche da me. Io non ci ho provato. Quando è passato mi sono spostato dall’altra parte. Che senso avrebbe avuto tenerlo per dieci secondi e poi pagare dazio? Alla fine così facendo sono arrivato ai piedi del Mottolino con Bardet. E quello del Giro non era forse il Pogacar del Tour o del mondiale».

Tour de France, in picchiata verso Valloire lungo la discesa del Galibier. Brividi anche in ammiraglia per Hauptman
Tour de France, in picchiata verso Valloire lungo la discesa del Galibier. Brividi anche in ammiraglia per Hauptman

Giù dal Galibier

La prima vittoria di tappa al Tour de France di quest’anno è stata forse la più adrenalinica in assoluto. Lo scatto sul finire del Galibier, quelle poche decine di metri di vantaggio su Vingegaard allo scollinamento, la picchiata dal gigante alpino con le curve sospese sul baratro e quella voglia di rivalsa sulle lunghe salite nei confronti del danese. Era una fuga, anzi un attacco, stracarico di significati.

«Dalla macchina – racconta il direttore sportivo, Andrej Hauptman – è stata una bella sofferenza! Sicuro quel giorno ci sono state adrenalina e tensione. Sapevamo che gli altri leader, a partire da Vingegaard, erano forti. Ma volevamo scattare proprio a ridosso della salita, con un attacco violento perché Tadej è più esplosivo di Jonas e poi poteva sfruttare le sue doti in discesa, dove di solito lui sbaglia poco. Tutto è andato esattamente così. Ma, come detto, è stata una sofferenza.

«Noi con l’ammiraglia eravamo lontani da lui e non abbiamo potuto fare molto, questo ha contribuito ad aumentare la tensione. Sì, vedevamo le immagini dalla tv, ma il segnale specie in montagna arriva almeno un paio di minuti dopo. Quindi gli avremmo detto cose già passate. Lui non ci ha mai parlato. Noi lo abbiamo fatto pochissimo e solo nei tratti meno tecnici, dandogli qualche indicazione sui distacchi e qualche altra info importante. Ero teso. E non lo ero perché lui è sloveno come me. Anche l’altro giorno al Croazia con McNulty ero molto preso. Già dal Galibier con l’ammiraglia non so a quanto siamo scesi, ma di certo abbiamo superato i 100 all’ora. E infatti l’arrivo è stata una liberazione».

Giro di Lombardia. Con la maglia iridata Tadej parte, dietro (dove c’è anche Fortunato) non possono far altro che guardarsi
Giro di Lombardia. Con la maglia iridata Tadej parte, dietro (dove c’è anche Fortunato) non possono far altro che guardarsi

Lombardia, l’ultimo ballo

L’ultimo ballo del 2024 è stato quello del Giro di Lombardia. Certo avremmo potuto inserire anche le fughe del Grappa al Giro e del mondiale, ma di quelle indirettamente già ci avevano parlato Pellizzari e Bagioli. Così restiamo sulla Classica delle foglie Morte. E ci restiamo con Lorenzo Fortunato, terzo italiano al traguardo di Como.

«Ero nel gruppo di Pogacar quando lui è scattato – racconta Lorenzo – ero indietro, ero a tutta e anche di più… ma ero lì. Cosa dire. Il ritmo era insostenibile. E’ successo spesso quest’anno che si restasse nel suo gruppetto. Che eravamo tutti al gancio e poi lui partiva. In questi frangenti ha almeno un 30 per cento in più. C’è poco da fare».

Più o meno le parole che ci ha detto Ciccone a fine gara: tutto un altro ritmo. Tadej cuoce gli avversari con una grande squadra portandoli in asfissia e a quel punto lui, più fresco, scatta.

Tour de France, Le Lorian: Inaspettatamente Jonas Vingegaard batte Pogacar allo sprint
Tour de France, Le Lorian: Inaspettatamente Jonas Vingegaard batte Pogacar allo sprint

Infine il… funerale

Infine veniamo alla fuga storta. Come tutte le cose perfette, ci deve essere l’imperfezione, in questo caso il… funerale! Tour de France: undicesima tappa da Evaux-les-Bains a Le Lioran: 211 chilometri sulle erte del Massiccio Centrale. 

Solito copione. La UAE Emirates detta un ritmo infernale e a una trentina di chilometri dall’arrivo Pogacar scatta. Un po’ come sul Galibier apre un piccolo varco e lo amplia in discesa. Solo che stavolta in fondo non c’è il traguardo, ma una salita e poi un’altra ancora. Strada facendo qualcosa nelle gambe dello sloveno s’inceppa.

Il cronometro inverte la rotta. Vingegaard fiuta l’occasione. Stacca Remco, riprende Tadej e addirittura lo batte in volata.  Quel giorno vicino a Vingegaard c’era Jan Tratnik, l’uomo che poi è stato decisivo in favore di Tadej al mondiale.

«Non è facile ricordare bene quel giorno tra il tempo che è passato e la fatica fatta – dice Tratnik – ovviamente ci aspettavamo l’attacco di Pogacar. Eravamo preparati a questo. C’era una sola cosa da fare per Jonas: andare dietro a Tadej. Ma sulla parte ripida, dove è scattato, lui non poteva seguirlo. Quindi Vingegaard si è messo del suo passo. Nessuno però immaginava che Tadej avesse le gambe stanche e così Jonas è riuscito a riprenderlo e a batterlo. Io non ho saputo nulla dello sprint fino all’arrivo. Non avevo contatti dalla radio. Però ricordo che dopo questa vittoria credevamo di poter battere Pogacar, che il Tour potesse cambiare. Solo che lui è stato semplicemente più forte nell’ultima settimana».

Un anno difficile per la Visma, Niermann non si nasconde

19.10.2024
6 min
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Stagione in chiusura, quindi è già tempo di bilanci e quello della Visma-Lease a Bike è un po’ difficile da fare. Si fosse trattato di qualsiasi altro team (certo, Uae a parte…) staremmo qui a parlare di stagione da incorniciare con oltre 30 vittorie, ma nel caso dello squadrone olandese è chiaro che le aspettative erano altre. Soprattutto facendo il confronto con lo scorso anno, quello del “triplete” nei Grandi Giri.

Il tedesco Grischa Niermann (a sinistra), uno dei direttori sportivi del team olandese
Il tedesco Grischa Niermann, uno dei direttori sportivi del team olandese

E’ stata un’annata difficile, costellata di infortuni e lunghe assenze come quelle di Vingegaard e Van Aert. E che si chiude con l’addio di Merijn Zeeman, il direttore tecnico che dal primo ottobre ha lasciato l’incarico e tutto l’ambiente ciclistico, attirato da un ricco contratto calcistico. Di tutto questo abbiamo parlato con uno dei suoi assistenti, il tedesco Grischa Niermann, pronto ad accettare anche qualche domanda forse poco piacevole.

Come giudichi il bilancio della squadra soprattutto rispetto ai trionfi dello scorso anno?

Penso che sia chiaro che l’anno scorso abbiamo avuto molto, molto successo. Sapevamo già che non sarebbe stato possibile ripetersi a quei livelli, vincere tutti e tre i Grandi Giri in un anno è un’impresa che resterà nella storia. E’ chiaro che quando ci confrontiamo con l’anno scorso, non è un bilancio buono, ma abbiamo avuto un sacco di sfortuna. Io preferisco guardare alle cose positive e penso che abbiamo avuto successo in primavera quando abbiamo ottenuto molte vittorie. Inoltre il Tour de France con il secondo posto di Vingegaard, per come è arrivato e quel che l’aveva preceduto, è motivo di orgoglio. Noi abbiamo fatto il massimo possibile.

Vingegaard stava andando come un treno in primavera, prima dell’incidente nei Paesi Baschi
Vingegaard stava andando come un treno in primavera, prima dell’incidente nei Paesi Baschi
Trentadue vittorie, è un bilancio che vi soddisfa?

No, siamo delusi, sono sincero, soprattutto perché abbiamo avuto così tanti corridori che sono caduti in maniera rovinosa e sono stati fuori per molto tempo e questo di sicuro ci ha ostacolato.

Nell’andamento e nella gestione del team ha pesato di più la lunga assenza di Van Aert o quella di Vingegaard?

Entrambe. Quando i tuoi due corridori stellari cadono e sai che saranno fuori per molto tempo, non hai molto a cui appigliarti. Perdi un po’ il morale perché sai che questi sono i ragazzi che vanno alle gare per vincere davvero, i finalizzatori di tutto il lavoro. Abbiamo più corridori che possono vincere, ma ovviamente ad esempio se cade Van Aert che era programmato per fare il Giro, per andarci insieme a Kooji, ti lascia un bel vuoto. Non è mai un bene se qualcuno cade. Ma se i tuoi due migliori corridori cadono e restano fuori per molto tempo, ovviamente ha un grande effetto su tutta la squadra.

La rovinosa caduta di Van Aert alla Vuelta, ennesima di una stagione sfortunata
La rovinosa caduta di Van Aert alla Vuelta, ennesima di una stagione sfortunata
Secondo la vostra opinione, Vingegaard senza il grave infortunio all’Itzulia Basque Country avrebbe potuto battere Pogacar?

E’ davvero difficile dirlo. Dobbiamo ammettere che Pogacar ha forse avuto la migliore stagione di sempre ed è stato quasi imbattibile quest’anno. La tappa 11 del Tour è stata l’unica volta quest’anno in cui lo sloveno ha realmente pagato dazio. Noi dobbiamo lavorare molto per cercare di colmare di nuovo il divario con lui. Jonas è arrivato al Tour non nella condizione migliore visto quel che era successo, aveva anche molta pressione addosso, eppure ha avuto un ottimo livello. E questo ci fa ben sperare.

Van Aert per il pieno recupero in vista della prossima stagione farà comunque gare di ciclocross?

Sì, vorremmo farlo. Ma ovviamente il recupero e il raggiungimento della piena forma fisica e il pieno movimento delle gambe con l’infortunio sono la priorità e dobbiamo vedere e osservare come andrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi prima di prendere quella decisione.

A destra Brennan, talentuosissimo britannico, terzo al GP di Vallonia
A destra Brennan, talentuosissimo britannico, terzo al GP di Vallonia
Molti hanno sottolineato come la squadra non abbia centrato neanche una top 10 nelle classiche monumento. Secondo te è solo un dato statistico o la Visma sta diventando sempre più una squadra più forte nelle corse a tappe?

Penso che quello su cui ci concentriamo siano soprattutto le corse a tappe vista la conformazione della squadra, ma volevamo davvero fare bene nelle classiche, specialmente in quelle del Nord. Quello era uno dei nostri obiettivi. Ma Wout non c’era. Anche Laporte si è infortunato e anche la sua assenza è pesata. E’ un brutto risultato statistico dover dire che non hai neanche un piazzamento. Non è quello che volevamo.

Come si sono inseriti i giovani nel vostro team, quanti del devo team saliranno nella squadra maggiore?

Ne passeranno 4: gli olandesi Graat e Huising, il britannico Brennan e il norvegese Nordhagen, che hanno già fatto esperienze quest’anno nel team maggiore dimostrando avere grande talento, soprattutto Brennan, solo 19 anni. Noi stiamo guardando con grande attenzione a quanto avviene nel devo team, per sviluppare i nostri talenti e penso che i ragazzi arrivino pronti alla massima serie.

Il norvegese Nordhagen sarà uno dei 4 giovani del devo team ad accedere alla squadra WT nel 2025

Il norvegese Nordhagen sarà uno dei 4 giovani del devo team ad accedere alla squadra WT nel 2025
Dal devo team che informazioni avete avuto a proposito della stagione dei due italiani, Belletta e Mattio?

Belletta ha avuto un brutto incidente che lo ha tenuto fuori per molto tempo in estate. Ma entrambi si stanno sviluppando bene, diciamo che sono esattamente nel punto dove ci aspettavamo che fossero, ottengono buoni risultati e sono buoni componenti la squadra. Siamo davvero contenti di loro e di come si comportano.

C’è qualcuno del team che vi ha sorpreso positivamente per il suo rendimento?

Beh, il primo nome che viene in mente è Matteo Jorgenson, crediamo davvero che sia un corridore molto talentuoso, ha anche vinto molto, con Parigi-Nizza e Attraverso le Fiandre come fiori all’occhiello. Ma penso anche a Edo Affini. E’ un grande valore per la nostra squadra già da anni, ma ora finalmente con il campionato europeo e la medaglia di bronzo al campionato del mondo, ottiene un po’ la ricompensa per se stesso.

Uno dei sorrisi in casa Visma, la vittoria di Jorgenson alla Dwars door Vlaanderen
Uno dei sorrisi in casa Visma, la vittoria di Jorgenson alla Dwars door Vlaanderen
Per il prossimo anno quali saranno i principali obiettivo del team e c’è un’alternativa a Vingegaard per la classifica dei Grandi Giri?

Abbiamo preso Simon Yates con questo scopo, perché è uno che ha già vinto un Grand Tour e sa come si fa. Presto faremo i nostri piani, ne discuteremo già la prossima settimana, ma è chiaro che i Grandi Giri saranno il nostro target, il Tour de France in particolare. Ma ora abbiamo un obiettivo in più: riscattarci nelle classiche Monumento. Questo è in testa alla nostra lista dei desideri.

Milan, l’oro e il record del mondo. E adesso dategli quella birra

18.10.2024
4 min
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Adesso dategli quella birra. Jonathan Milan salta e poco a poco capisce la grandezza del risultato. La maglia iridata è sua, con il record del mondo dell’inseguimento individuale: il trono che era già stato del suo ispiratore Pippo Ganna, cui in mattinata Josh Charlton aveva soffiato il primato. 3’59”153 a 60,212 di media: il prossimo traguardo sarà scendere sotto i 3’59”.

L’intesa fra Milan e Villa rimette l’Italia ai vertici mondiali dell’inseguimento
L’intesa fra Milan e Villa rimette l’Italia ai vertici mondiali dell’inseguimento

La freddezza di Milan

Villa non sta nella pelle. L’Italia è arrivata a questi mondiali mettendo insieme il meglio rimasto, dopo un’estate che le Olimpiadi hanno reso torrida e le gare su strada hanno quantomeno complicato. Il quartetto dei giovani è deragliato per una caduta. Quello delle donne ha preso il bronzo, ma è arrivato in Danimarca fra influenze e varie stanchezze. Paternoster nell’Omnium ha pagato pegno e anche Viviani finora ha portato la bandiera, ma non è parso incisivo. Milan però è uno di quelli giusti: un gigante baciato dal talento. Uno che quando decide di esserci, non lo fa per presenza e non accetta di buon grado di fare figuracce. Se Milan ha accettato di fare il mondiale nell’inseguimento individuale, non è stato per caso.

«Cominciavano ad essere due – sorride Villa – i record che ci avevano tolto quest’anno. Una bella gioia riprendercelo, bravo a Jonathan per la costanza. Ha sempre avuto davanti un campione come Filippo Ganna e quest’anno voleva sfruttare l’occasione. C’è da dargli merito che oltre al titolo voleva fare il record. La costanza e la forza di questo ragazzo hanno fatto la differenza. Il record di Charlton stamattina lo ha colto mentre era sui rulli e veniva da un atleta giovane che non ci aspettavamo. Lui invece è rimasto impassibile. Ha corso con la sua tabella e siamo riusciti ad andare in finale. E questa sera, con la sua freddezza, è riuscito a fare questa prestazione. Quindi insomma, bravissimo: un vero campione».

Inseguimento a uomo

Lo abbiamo visto arrivare fra gli under 23, poi crescere fino a diventare campione olimpico e professionista. Lo scorso anno di questi tempi, Milan era al Tour of Guangxi a vincere le ultime volata per il Team Bahrain Victorious. Il 2024 è stato l’anno della rivelazione. La Lidl-Trek ha saputo convogliare la sua grande forza, facendone una vera star. Per cui quando stasera racconta la vittoria iridata, la sensazione è di avere davanti sempre il ragazzone di allora, ma con lo spessore ormai consolidato del campione.

«Alla fine è stato bello – dice – ho combattuto. Fin dalle qualifiche ho cercato di dare il 100 per cento, andando contro questi avversari. Alla fine non si può risparmiare niente. Nella finale ho fatto praticamente quasi un copia e incolla. Ho cercato di correre sull’avversario. Sono partito forte, devo dire, più del previsto. Però non potevo rallentare, così ho tenuto l’andatura e ho cercato di andare a tutta fino alla fine».

Record per caso?

Non si è mai vantato di nulla e non lo farà neanche davanti al record del mondo che probabilmente durerà per un po’. Difficile dire quale sarà il futuro della pista azzurra verso Los Angeles. Forse Ganna per allora sarà… solo uno stradista, mentre probabilmente Jonathan ci sarà ancora. Eppure adesso la voglia di tutti è che questi due giganti così diversi vadano a portare la loro legge anche nelle classiche più congeniali. I sessanta di media di stasera dimostrano che Milan ha nelle gambe ben più di quello che immagina.

«Il record è venuto come una conseguenza – dice – quasi in secondo piano, anche se sembra brutto dirlo. E’ chiaro che ce l’avevo in testa e che mi sarebbe piaciuto, ma quando vai in finale non ci pensi. Ti concentri sul battere l’avversario, poi è venuto fuori questo grandissimo risultato e siamo contentissimi. Del resto non si potevano fare strategie, tenersi qualcosa dentro. Contro uno così, dovevo fare del mio meglio. Contro certi corridori non puoi che andare al massimo. Adesso però mi merito un po’ di vacanza e poi vedremo. Una birra sarebbe davvero un bel modo per festeggiare».

Guarischi, finale col botto. Ma ora mettiamo la bici in garage

18.10.2024
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Venerdì scorso, giusto una settimana fa, sul traguardo di Ede in Olanda, Barbara Guarischi passava per prima sul traguardo della quarta tappa del Simac Ladies Tour. Fino a quel momento e in quelli a seguire, la storia delle volate nella corsa olandese aveva visto Lorena Wiebes imporsi su Elisa Balsamo ed era difficile immaginare che qualcuno potesse infilarsi nel mezzo: soprattutto colei che per contratto tira le volate alla campionessa europea. Sono cose che succedono raramente. Dieci anni fa Sagan e Viviani un paio di volte aiutarono a vincere Daniel Oss che fino a quel giorno aveva tirato per loro, ma erano altri tempi. Oggi vince chi deve vincere. E il livello è così alto che per farlo servono campioni in grande condizione.

La vittoria del gregario

Alla SD Worx-Protime invece succede almeno una volta all’anno. Lo scorso anno al Thuringen, ad esempio, proprio Guarischi si portò a casa la seconda tappa, davanti alla stessa Wiebes, lasciando intuire che nella squadra plurivittoriosa (63 vittorie nel 2024) contano i ruoli, ma anche i rapporti personali. La vittoria del gregario è un raggio di sole, anche se Barbara nel parlarne sembra quasi imbarazzata. Nonostante abbia vinto la prova in linea ai Giochi del Mediterraneo del 2022 e nella sua bacheca brillino anche altri successi fra cui una tappa al Giro d’Italia, la vittoria di Ede è la prima nel WorldTour.

«Non è una vittoria che mi cambia la carriera – dice quasi giustificandosi – però fa sempre piacere. E’ stato molto strano. Non sono più abituata a fare le volate per me stessa e quando non fai più gli arrivi, fai anche fatica ad avere i punti di riferimento, le sicurezze che servono in uno sprint. Sapevo che la ragazza arrivata seconda (la neozelandese Wollaston, ndr) era molto più veloce di me e allora ho giocato con l’esperienza. L’ho fatta partire per prima. Dalla radio sapevo che mi era ruota, l’avevo vista anche io. E allora ho cercato di farle sentire la pressione. Non mi sono mai mossa dall’ultima posizione e lei ha commesso l’errore di passarmi e partire per prima. A quel punto, era un arrivo che tendeva a salire, quindi chi arrivava da dietro era avvantaggiato…».

Recuperate le fatiche del Tour, agli europei si è vista un’ottima Guarischi
Recuperate le fatiche del Tour, agli europei si è vista un’ottima Guarischi

Riferimenti diversi

Non è un discorso banale. Se finora il suo traguardo era il cartello dei 300 metri, dal quale Wiebes o Kopecky di solito spiccano il volo, di colpo quello era il limite da cui tutto sarebbe iniziato. Non si trattava di un arrivo di gruppo compatto, con dei treni cui appoggiarsi. Erano una decina di atlete e Guarischi l’ha gestita con super lucidità.

«E’ proprio un altro meccanismo – spiega – nel senso che per tirare le volate, devi pensare per due o per uno. Quindi devi calcolare le distanze, la velocità… ci sono tanti fattori. Mentre se devi fare tu la volata e non hai nessuno che ti tira, devi calcolare l’avversario, quindi è molto diverso. Alla fine ho vinto. Ero molto felice, però ero anche un po’ spaesata. Probabilmente è vero quello che si dice: mi sento più appagata quando vincono Lorena e Lotte. Ma ho visto che quel giorno loro erano molto molto più contente di me. Sono due persone fantastiche, molto riconoscenti del lavoro della squadra.

«E’ una vittoria che mi manda in ferie col sorriso. Tra febbraio e aprile, sono stata fuori dalle corse per problemi di salute, ho perso parte della preparazione invernale. E anche in questo caso la squadra è stata molto brava, perché parlandone abbiamo trovato il modo migliore di arrivare al Tour. Chiudo l’anno con 53 gare, ma tanti sono stati giorni in cui lavoravo per ritrovare la gamba. Infatti dopo il Tour ho riposato una settimana e ho sentito che il mio fisico iniziava a lavorare normalmente. Già dagli europei sapevo di avere una condizione molto buona».

Si vince col gruppo

I ruoli che si ribaltano e comunque la felicità per la compagna che vince, a prescindere dal suo ruolo, fanno pensare che davvero il clima nella squadra sia quello giusto. E a ben vedere conferma ciò che nei giorni scorsi, parlando della capacità di questo team di costruire il futuro, ci aveva fatto notare un tecnico esperto come Walter Zini. La FDJ e la Movistar hanno portato via Vollering e Reusser, ma la SD Worx-Protime resta forte perché punta sul collettivo. Squadre piene di campionesse, come l’Olanda ai mondiali di Zurigo, si ritrovano spesso con un pugno di mosche.

Non bastano i campioni per vincere le corse: per come va oggi il ciclismo ci vuole la squadra. Se guardiamo proprio il Simac: probabilmente senza il gruppo per le ragazze di Danny Stam sarebbe stato molto difficile vincerlo. «Probabilmente solo col campione – riconosce Guarischi – vinci una gara su 100. Con una squadra forte invece, puoi vincere gran parte delle corse».

Adesso non resta che chiudere le valigie e prepararsi per uno stacco importante. Due settimane senza bici fra Malesia e Thailandia: qualche giorno più dei soliti dieci perché gli sforzi della stagione si sono concentrati tutti nel finale e la fatica si fa sentire. Nel frattempo la squadra è al lavoro per rinforzarsi e aggiungere nuovi ruoli e nuove figure. Quando Barbara tornerà dalle vacanze, il quadro sarà già pronto.

Fuglsang va avanti un anno in più: «Ho ancora grandi stimoli»

18.10.2024
5 min
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La notizia è arrivata un po’ a sorpresa: Jakob Fuglsang continua ancora un anno. Giusto 12 mesi fa avevamo parlato con il campione della Israel-Premier Tech. Eravamo al via della Veneto Classic (che si correrà domenica prossima) e il danese ci diceva che si preparava ad affrontare la sua ultima stagione da professionista. Che aveva piacere di fare il Tour de France perché partendo dall’Italia poteva unire in qualche modo i due Giri. E invece ecco questa, bella, notizia.

Ex biker, iridato U23 della mtb, re di due classiche monumento quali la Liegi e il Lombardia, medaglia d’argento a Rio 2016, lo stesso Fuglsang ci ha spiegato meglio il perché di questa decisione e come è nata. 

E’ il 28 aprile 2019 quando Fuglsang vince la Liegi. L’anno dopo conquisterà anche il Lombardia
E’ il 28 aprile 2019 quando Fuglsang vince la Liegi. L’anno dopo conquisterà anche il Lombardia
Insomma, Jakob: sarai corridore per un altro anno…

Esatto! Alla fine a novembre scorso, quando avevo ripreso ad allenarmi per questa stagione, mi sono subito reso conto che avevo tanti stimoli. Mi dicevo: «Sono troppo motivato per dire basta». Così ho deciso: aspetto il Tour e vedo come va. Se va male, se proprio non riesco a stare in gruppo, mi fermo, altrimenti vado avanti. Neanche l’inizio di stagione, che è andato male, mi ha fatto perdere fiducia. Dopo le Ardenne ho cambiato preparazione. Sono tornato ai miei metodi e infatti la condizione è arrivata. Ho fatto un buon Delfinato e ho aiutato parecchio Derek Gee. Da lì non ho avuto più dubbi: faccio un anno ancora. Un anno in cui darò tutto.

Cosa significa che sei tornato ai tuoi metodi?

In pratica avevo seguito le nuove preparazioni, quelle dei giovani! Tanta Z2 e dei fuori soglia, ma almeno con me non ha funzionato. Guardate come vanno le gare: si va sempre molto forte. Non si sta poi così tanto in Z2, mentre si viaggia parecchio in Z3. E la Z3, il vecchio medio per farla semplice, mi mancava. Sì, forse i numeri massimi erano anche migliori, ma il problema è che dopo tre ore ero finito. Vuoto. Non andavo avanti. Avevo consumato tutti i carboidrati. Non avevo resistenza e così quei numeri buoni diventavano inutili. Tornando a lavorare in Z3 ho ripreso i miei standard.

Quando si dice l’esperienza! Secondo noi, voi “vecchietti” potete ancora dare molto a questo ciclismo…

Lo penso anche io. Noi vecchi possiamo dare parecchio… Oggi vedo tanti ragazzi legatissimi ai numeri, ai watt/chilo. I team prendono i ragazzi in base ai numeri, e ci sta. Ma se poi non sanno gestirsi nella vita, non sanno correre, non sanno stare in gruppo a cosa servono i watt? A me piace insegnare ai ragazzi. E’ un ruolo che so fare.

Fuglsang con a ruota Gee: Jakob è un aiuto prezioso per la crescita del canadese
Fuglsang con a ruota Gee: Jakob è un aiuto prezioso per la crescita del canadese
Si dice che tu abbia stretto un bel rapporto con Derek Gee. E’ così?

Ho corso con lui per la prima volta al Delfinato e poi al Tour e sì, si è creato un bel rapporto. Derek mi ha dato subito fiducia, ha visto come mi muovevo in corsa. Poi il Delfinato è andato bene sia a me che soprattutto a lui e la stima è aumentata. Per la squadra quella prestazione è stata importantissima e questo ruolo mi va bene. Ho anche iniziato così: sono stato vicino agli Schleck nei primi anni su strada, poi a Nibali e Aru. Come dicevo è un lavoro che mi piace e che ritengo di saper fare meglio di molti altri.

Non è facile per i team oggi prolungare il contratto di un atleta che va per i 40 anni: come è andata la trattativa? Ammesso ci sia stata.

All’inizio del Tour ho chiamato Jean Bélanger, il proprietario di Premier Tech. Io sono qui grazie a lui. Gli ho detto delle mie intenzioni e se quindi poteva parlare con la dirigenza della squadra. Da lì un po’ di trattativa c’è stata, ma l’intenzione era di restare. Anche perché che senso avrebbe avuto cambiare squadra per una sola stagione a 40 anni? Dover cambiare tutto, nuovo staff, nuovi materiali. Alla mia età sarebbe stato difficile.

Fuglsang è stato una pedina fondamentale dell’Astana dei tempi d’oro: quella di Nibali
Fuglsang è stato una pedina fondamentale dell’Astana dei tempi d’oro: quella di Nibali
Se non ti avessero tenuto avresti smesso quindi?

No, avrei cercato ancora, ma se non avessi trovato quello che cercavo, cioè buone condizioni, sarei stato disposto a fermarmi. Alla fine ho fatto una buona carriera. Non faccio questo anno in più perché mi serve un contratto o perché devo ottenere chissà quale risultato. Vado avanti perché sento di stare bene, di poter aiutare la squadra… Vado avanti perché mi piace correre! Altrimenti non avrei continuato. Alla mia età non è facile. Anzi, è sempre più difficile. I giorni lontani da casa sono tanti, ho due bambine. Insomma, se non avessi trovato, sarebbe andata bene comunque.

Chiaro…

Sylvain (Adams, il team manager della Israel-Premier Tech, ndr) mi ha proposto un anno con opzione di rinnovo, ma io ho detto no: «Devo sapere che questo è l’ultimo anno e voglio dare il 120 per cento per questo». Volevo idee chiare e precise proprio per essere ancora più concentrato.

Al dopo hai già pensato?

Non troppo. Lo farò quando sarà il momento giusto. Con mia moglie abbiamo messo su un brand di abbigliamento sportivo e il da fare non manca. Poi sono convinto che quando davvero avrò smesso qualcosa succederà. Tutto è aperto.

Persico a cuore aperto, per mettere il sigillo al 2024

18.10.2024
6 min
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Con l’argento conquistato domenica ad Asiago agli europei gravel, Silvia Persico ha potuto mettere da parte la sua stagione 2024 riuscendo finalmente a trovare un accenno di sorriso. Neanche il tempo di rimettere la maglia azzurra in valigia che la ciclista di Alzano Lombardo si è messa alle spalle tutto e già alla sera era partita per le vacanze, destinazione Isole Canarie.

Davanti al fantastico tramonto delle isole iberiche, la portacolori dell’Uae Team Adq ha accettato di ripercorrere i temi di un’annata che sicuramente non è stata come se l’aspettava, almeno non all’altezza di quelle precedenti. Con l’aggravante che era una stagione particolare: quella olimpica.

Una stagione stressante e senza i risultati che voleva. La Persico guarda già al 2025
Una stagione stressante e senza i risultati che voleva. La Persico guarda già al 2025

«Almeno ho potuto chiudere ritrovando quei risultati che mi sono consoni, prima la piazza d’onore alla Tre Valli Varesine, poi l’argento continentale nel gravel. Sono piccole cose, ma che mi danno molta fiducia per la prossima stagione».

La forma, anche se tardi è arrivata. Avevi preparato la gara continentale?

Non nello specifico, ma nella seconda parte di stagione avevo lavorato molto per i mondiali, poi non essere convocata mi aveva un po’ spiazzato i programmi. Sono stata una settimana senza bici, ma poi avevo ancora voglia di dimostrare qualcosa e sono arrivati questi risultati. Forse l’europeo è andato bene perché correvo senza assilli, per divertimento.

Al Tour la lombarda è sempre rimasta lontana dai vertici, limitandosi a compiti di gregariato
Al Tour la lombarda è sempre rimasta lontana dai vertici, limitandosi a compiti di gregariato
Aver mancato l’appuntamento mondiale è stata l’amarezza estrema di questa annata così diversa dalle tue aspettative?

Sicuramente. Nelle ultime due edizioni ero andata una volta sul podio e l’altra vicina alla top 10, avevo lavorato duramente per raggiungere la miglior condizione per la gara di Zurigo e penso che avrei potuto essere utile. Poi il compito delle scelte spettava a Sangalli, mi aveva detto di tenermi pronta anche per il Team Relay ma se ha valutato di lasciarmi a casa non posso biasimarlo, avrà avuto le sue ragioni valutando l’andamento della stagione nel suo complesso.

E’ innegabile che le premesse a inizio anno erano ben diverse, considerando il tuo valore…

Io posso dire di aver sempre dato il massimo, di essermi impegnata come sempre senza mai risparmiarmi. L’inizio era stato anche abbastanza buono, a Mallorca con un 5° posto nella prima uscita, poi è emerso un problema a un ginocchio e da lì è stata una sequela di ostacoli fisici. Dal punto di vista della condizione di salute è stato sempre un su e giù che mi ha sconcertato, ma se guardo ai wattaggi toccati quest’anno, sono superiori a quelli del passato.

Le Olimpiadi dell’azzurra si sono chiuse con un 55° posto non all’altezza delle aspettative su quel percorso
Le Olimpiadi dell’azzurra si sono chiuse con un 55° posto non all’altezza delle aspettative su quel percorso
E allora come ti spieghi questa carenza di risultati?

Quando la salute non ti sostiene appieno, è difficile competere in un ciclismo femminile dove anno dopo anno il livello generale cresce. Se guardiamo a com’è stata questa stagione, è evidente che si è andati generalmente più forte anche del 2023. Ma io sono passata dal problema al ginocchio al Covid preso a giugno e dal quale riprendersi non è stato facile. Avevo lavorato tanto per le Olimpiadi e stavo anche bene, ma il giorno di gara no, non ero io. Poi mi ero ripresa, ma non è bastato per meritarmi la maglia azzurra.

Hai sentito maggiore pressione su di te, proprio per il fatto che questa era un’annata particolare, quella olimpica?

Sì, indubbiamente, ma non solo dall’esterno. Ero io stessa che mi mettevo pressione, che tenevo particolarmente agli eventi di quest’anno e non volevo farmi trovare impreparata. Ho fatto tanta altura in questa stagione proprio perché tanti erano gli eventi importanti. Poi, vedendo che le cose non andavano come volevo, che fisicamente non stavo bene, è chiaro che è intervenuto anche un po’ di scoramento. Stagioni del genere possono esserci nell’arco di una carriera, peccato che sia stata nell’anno più importante.

A Parigi, Silvia non stava bene e non ha potuto dare l’apporto al team che ci si aspettava
A Parigi, Silvia non stava bene e non ha potuto dare l’apporto al team che ci si aspettava
Molti hanno imputato questo tuo calo alla mancanza del ciclocross…

Lo so e mi aspettavo che alla fine saremmo arrivati a parlare di questo… Io volevo un inverno più tranquillo, avevo bisogno di staccare dopo anni praticamente senza interruzioni, perché abbinare ciclocross e strada con i calendari che hanno è sempre più difficile. La preparazione invernale era stata ottima, quella che volevamo, considerando anche il fatto che nel frattempo avevo cambiato preparatore. Volevo concentrami sulla strada, chiaramente quando abbiamo iniziato mi sono accorta che mancavo un po’ di quell’intensità che ti arriva dall’attività invernale.

Pensi di ovviare alla cosa inserendo qualche gara in quest’inverno, anche senza seguire tutta la stagione?

Stiamo valutando, qualche gara nella seconda parte della stagione vorrei anche farla, anche se bisogna mettere a punto almeno due bici e tanto materiale tecnico sui quali dover fare dei test di adattamento. Nelle prossime settimane faremo una valutazione con il team e capiremo se ci sono delle possibilità, sempre nell’ottica però dell’attività su strada.

Un bronzo mondiale e due titoli italiani nel ciclocross. Il proposito è quello di tornarci
Un bronzo mondiale e due titoli italiani nel ciclocross. Il proposito è quello di tornarci
Parlavi della Uae: la sensazione è che man mano tu abbia trovato sempre meno spazi per emergere, che tu sia stata utilizzata sia al Giro che al Tour come supporto, che quasi ti abbiano tarpato le ali…

Non è proprio così. La squadra mi ha sempre dato fiducia, ma poi i problemi fisici hanno cambiato le carte in tavola. Al Giro partivo con delle responsabilità, ma il Covid aveva limitato di molto le mie possibilità. Questo ha un po’ spinto i tecnici a puntare su altre, così anche al Tour non ero capitana e anche nella seconda parte dell’anno ho dovuto anche un po’ recuperare energie correndo quindi meno. Certe scelte vanno fatte nell’interesse del team e io quest’anno non sempre sono stata al top per via dei già citati problemi fisici e di salute.

Ora sei in vacanza, con che spirito sei pronta a ripartire?

Ho tanta voglia di rifarmi, di riguadagnarmi la fiducia non solo del team o degli altri, ma la mia. Valuteremo bene il calendario: nel 2024 ho fatto 42 giorni di gara che non sono neanche tanti, ma alcuni appuntamenti avrei forse dovuto saltarli. Non è stato possibile perché nel ciclismo attuale a un calendario straricco corrispondono organici ancora ristretti e quindi bisogna rispondere presente a ogni chiamata. Io comunque sono convinta di una cosa: se sto bene sono ancora quella degli anni scorsi. Domenica l’ho dimostrato.

Lo sguardo di Bennati su 4 giovani azzurri: ricambio in vista?

18.10.2024
5 min
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Il 2024 ci ha regalato un gruppetto di ragazzi giovani e dal fare ambizioso, che sanno pedalare bene e forte. Lo hanno dimostrato quando erano under 23 e una volta passati professionisti hanno mantenuto questo trend. Stiamo parlando di Giulio Pellizzari, Davide Piganzoli, Francesco Busatto e Davide De Pretto. Quattro atleti che hanno rappresentato lo zoccolo duro della nazionale under 23 di Marino Amadori fino al mondiale di Zurigo. Una volta terminato questo cammino, vista anche la nuova regola UCI che impedisce loro di correre a mondiali ed europei nella categoria U23, è arrivato il momento di trattarli da grandi

Busatto, De Pretto e Pellizari hanno corso a Zurigo con la nazionale U23 di Amadori
Busatto, De Pretto e Pellizari hanno corso a Zurigo con la nazionale U23 di Amadori

Il futuro

Lo facciamo insieme al cittì della nazionale elite Daniele Bennati. Il tecnico aretino raccoglie il testimone passatogli dal collega Amadori e guarda al futuro insieme ai giovani che avanzano.

«Secondo me questi quattro – racconta Bennati – sono nomi che per il futuro della nostra nazionale saranno importanti. Sui quali io stesso dovrò fare affidamento. C’è bisogno di un ricambio generazionale e lo possiamo cominciare nel migliore dei modi. Non solo dal punto di vista fisico, ma anche come approccio alle gare e ai vari impegni sono ragazzi che hanno mostrato sfrontatezza. Una qualità della quale abbiamo davvero bisogno».

Tra i giovani azzurri Pellizzari è quello che si è messo in mostra di più nello scorso Giro d’Italia
Tra i giovani azzurri Pellizzari è quello che si è messo in mostra di più nello scorso Giro d’Italia

1) Pellizzari e il passo giusto

Vediamo questi profili uno per uno insieme a Bennati. Una sorta di presentazione o, per meglio dire, una specie di identikit che il cittì ha fatto nei confronti di questi neo professionisti. Partiamo con il parlare di Giulio Pellizzari, se non altro perché in ottica mondiale il suo nome era sul taccuino di entrambi i tecnici azzurri. 

«Lui e Piganzoli – analizza Bennati – sarebbero potuti rientrare nei piani della nazionale maggiore in vista di Zurigo. Poi nei giorni precedenti alle convocazioni, Amadori e io ci siamo confrontati, decidendo di non fare un passo troppo lungo. Pellizzari nel 2024 ha mostrato di poter essere il corridore da corse a tappe per l’Italia. L’ultima settimana del Giro ha fatto vedere grandi cose, ciò testimonia un ottimo recupero, qualità importante in quel genere di corse. Ha un profilo che rispecchia molto le caratteristiche dello scalatore e lo ha fatto notare anche al Lombardia, dal quale è uscito con una prova maiuscola.

«L’anno prossimo passerà nel WorldTour con la Red Bull-Bora hansgrohe e credo sia uno step importante per la sua carriera, fatto nella squadra giusta. La concorrenza interna non mi preoccupa affatto, perché Pellizzari è forte e sarà la strada a dimostrare cosa potrà fare. Alla Red Bull-Bora troverà tanti italiani nello staff e nel team, in più sarà guidato da Gasparotto. Ripeto: non credo ci fosse scelta migliore».

Davide Piganzoli ha disputato una corsa rosa più solida, con un tredicesimo posto finale
Davide Piganzoli ha disputato una corsa rosa più solida, con un tredicesimo posto finale

2) Piganzoli: carico di responsabilità

L’altro azzurro con la mentalità e il fisico ideale per le grandi corse a tappe è Davide Piganzoli. Al suo primo Giro d’Italia ha portato a casa un tredicesimo posto finale. Un risultato non indifferente, che ha mostrato quanto possa essere solido il valtellinese nell’arco di tre settimane. 

«Ha caratteristiche diverse rispetto a Pellizzari – spiega il cittì – ha una struttura fisica che gli permette di essere più esplosivo. Lui stesso dovrà capire che tipo di corridore potrà essere in futuro, se da grandi Giri, da brevi corse a tappe o da gare di un giorno. Penso però che nel 2025 possa ancora curare la classifica in una grande corsa a tappe, se lo meriterebbe e da lui mi aspetto questa conferma. Rimanere un altro anno alla Polti Kometa può dargli qualcosa in più in termini di responsabilità. Correrà in un team dove sarà il faro per gare come il Giro e questo lo farà maturare ancora di più dal punto di vista mentale».

Francesco Busatto, al primo anno nel WorldTour ha fatto un calendario di grande qualità
Francesco Busatto, al primo anno nel WorldTour ha fatto un calendario di grande qualità

3) Busatto: un cammino costante

Si passa poi ai corridori da corse di un giorno: ragazzi leggeri, ma con gambe pronte a spingere forte sui pedali. Francesco Busatto e Davide De Pretto. Rispetto ai primi due loro hanno già vissuto un anno nel WorldTour, con Busatto che è passato dal devo team alla formazione dei grandi

«Busatto – continua Bennati – è in una squadra che gli permette di crescere e mettersi alla prova. Ha delle caratteristiche atletiche importanti visto che è dotato di un ottimo spunto veloce, cosa che nel ciclismo moderno può dargli un qualcosa in più. Da under 23 ha vinto la Liegi di categoria e quest’anno ha visto com’è correre in quella dei professionisti. Sono esperienze che fanno bene a un ragazzo giovane, molti corridori hanno vinto monumento o corse importanti dopo anni di presenze e piazzamenti. Un anno nel WorldTour alza sicuramente l’asticella, facendoti fare un salto importante a livello fisico e psicologico».

Tra i quattro giovani azzurri De Pretto è stata la sorpresa del 2024
Tra i quattro giovani azzurri De Pretto è stata la sorpresa del 2024

4) De Pretto: “la” sorpresa

Infine c’è Davide De Pretto, il quale ha messo alle spalle il suo primo anno nel WorldTour con la Jayco AlUla. Il suo è stato un salto importante, il vicentino arrivato dalla Zalf Euromobil ha raccolto risultati importanti. Nel complesso termina la sua stagione con sedici top 10 nelle quali rientra anche la prima vittoria da professionista al Giro di Austria.

«Lui e Busatto – conclude Bennati – hanno caratteristiche simili: sanno tenere in salita e hanno buone doti in sprint ristretti. De Pretto mi è piaciuto parecchio, il suo era uno scalino non facile da fare, passare da una formazione continental a una WorldTour non è scontato. Eppure ha risposto bene, non dico che mi ha sorpreso, ma mi ha fatto parecchio piacere. E’ un ragazzo molto propositivo e che durante tutto il 2024 ha dimostrato di poter stare a certi livelli. Il suo profilo è quello di un corridore in grado di poter vincere nel ciclismo moderno e lo accompagna anche il giusto atteggiamento».