«Strada fondamentale per il cross», parola di Franzoi

30.10.2024
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Quella che è da poco iniziata si prospetta come una stagione particolare per il ciclocross italiano: nessuno stradista professionista o under 23 di livello ci sarà. Il che potrebbe non essere il massimo. Anche l’altro giorno Diego Bragato, tecnico della performance della Federciclismo, aveva rinnovato il concetto di quanto fosse importante fare la doppia attività, strada e cross, proprio come lo è stata per la pista. E abbiamo visto i risultati che poi sono arrivati.

La tendenza invece qui è opposta: dopo Davide De Pretto, Bryan Olivo, Silvia Persico, anche Luca Paletti ha detto basta col cross. E ci fermiamo qui.

Purtroppo è un concetto che fa fatica a radicarsi in Italia. La pista per ora resta un’eccezione come ne ha parlato anche il nostro direttore nell’editoriale di un paio di settimane fa. Un concetto che abbiamo approfondito con Enrico Franzoi, uno dei crossisti azzurri più importanti dell’era recente. Enrico ha colto i suoi migliori risultati nel cross proprio quando correva con le maggiori squadre italiane: Saeco, Lampre, Liquigas…

Anche negli anni alla Liquigas, Franzoi ha fatto tante di cross, vincendo anche il titolo nazionale
Anche negli anni alla Liquigas, Franzoi ha fatto tante di cross, vincendo anche il titolo nazionale
Enrico, dicevamo, doppia attività, strada e cross: cosa ne pensi?

Io sono d’accordo, serve la doppia attività. Parlo soprattutto in base alla mia esperienza: mi sono trovato bene in carriera a fare bene sia la strada che il cross. Mi serviva tanto correre su strada. Infatti, i risultati più belli che ho ottenuto nel cross sono arrivati grazie alle molte gare su strada.

Chiaro…

Era una cosa che facevano tutti all’epoca, sia i belgi che i corridori di altre Nazioni. Anche noi italiani, alla fine: all’epoca c’erano quasi più stradisti che facevano cross che biker. Un po’ l’inverso di oggi in Italia. Insomma, la cultura di fare la stagione su strada per preparare il cross era abbastanza viva.

E poi cosa è successo?

Negli anni successivi è cambiata un po’ la mentalità. Sono aumentati i biker rispetto agli stradisti. Infatti, sono andato in Belgio a correre (alla BKCP, ndr) dove si correva su strada per preparare al meglio la stagione del cross.

Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)
Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)
Da ex crossista, pensi che la strada sia importante per il ciclocross? Oggi si parla tanto di watt, di potenza… Per la pista, Bragato e Villa hanno sempre parlato dell’enorme base aerobica che dà la strada per fare determinati lavori: è questo il motivo?

Secondo me sì, perché il cross è più simile alla strada che alla mountain bike. Anche se si va fuoristrada, la tipologia di pedalata e lo sforzo fisico sono più simili alla strada. E io ho fatto anche mountain bike, quindi conosco le differenze. Per preparare una stagione di cross, la mountain bike è ottima, specie per la tecnica…

Ma…

Ma, dal punto di vista atletico, la strada, come detto, dà di più. Certo, se parliamo di percorsi molto tecnici, come le gimkane, magari la strada perde di efficacia. Ma per i cross in Belgio o quelli della mia epoca, la strada andava benissimo. Più il circuito è lineare, più la strada è utile.

Secondo te, questi super campioni – i soliti, Van der Poel, Van Aert, Pidcock – fanno la differenza perché sono loro a essere forti, o anche perché fanno strada?

Innanzitutto perché sono loro che sono forti, ma di certo le corse di alto livello – Giro, Delfinato, Tour, Sanremo… – li aiutano parecchio. Personalmente posso tranquillamente dividere la mia carriera in due: quando ho corso su strada e quando sono andato in mountain bike. Ho notato una grande differenza, soprattutto quando andavo all’estero. Sì, andavo bene, ma spesso avevo alti e bassi, non ero costante. Correndo costantemente su strada, rimanevo sempre con i primi. Mi ricordo benissimo quando ho iniziato a fare i grandi Giri: ho sentito un enorme beneficio, come un incremento di potenza… A questo si aggiunge la costanza di correre con i migliori e crescere continuamente. C’è poco da fare.

Filippo Agostinacchio (in foto, primo a Jesolo) e il suo compagno Samuele Scappini, sono gli unici elite di vertice che corrono anche su strada
Filippo Agostinacchio (in foto, primo a Jesolo) e il suo compagno Samuele Scappini, sono gli unici elite di vertice che corrono anche su strada
Per fare questo, però, Enrico, serve anche una squadra che creda nel progetto. Una squadra che ti permetta di gestire con criterio le due attività…

Certamente. All’epoca si può dire che sia stato quasi il primo a farlo a un certo livello, ma anche allora sono stato io a insistere per fare il cross. Non c’era questa abitudine così radicata da noi, almeno per squadre di un certo livello. Non è stato facile e, paradossalmente, quando andavo bene sia su strada che nel cross, in squadra c’erano problemi. Ma io ci credevo e insistevo.

Quando iniziavi a preparare la stagione del cross?

Io correvo a piedi quasi tutto l’anno. Ma, a dire il vero, non facevo una preparazione specifica come magari qualcuno fa ora. Adattavo il mio allenamento su strada e poi iniziavo l’altra attività. Ovviamente, la mancanza di qualche allenamento tecnico si sentiva, ma veniva compensata dal grande volume di lavoro intenso che svolgevo nella stagione su strada. Poi bisogna considerare un’altra cosa.

Quale?

Sono sempre stato un passista veloce, con un fisico robusto, ipertrofico, che per entrare in forma aveva bisogno di molte gare. Più gareggiavo, meglio mi sentivo. Questo era perfetto per conciliare le due attività. Ci sono stati anni in cui ho fatto anche la crono iridata (under 23, ndr) a ottobre e la settimana dopo ero già al ciclocross.

Iserbyt (qui al Baloise Belgium Tour) quest’anno ha messo nel sacco 30 giorni di gara su strada (foto Instagram)
Iserbyt (qui al Baloise Belgium Tour) quest’anno ha messo nel sacco 30 giorni di gara su strada (foto Instagram)
Come impostavi una tua stagione standard?

Facevo tutta la campagna del Nord, fino alla Roubaix (nella foto di apertura, ndr), Parigi-Nizza compresa. Poi riprendevo al Delfinato, poiché ero sempre in lizza per il Tour, anche se non l’ho mai fatto. Poi facevo il Giro d’Austria o qualche altra corsa a tappe e continuavo fino a fine stagione, iniziando subito con il cross.

Oggi sarebbe impensabile visti i tempi di recupero, riposo, carico… Sei passato anche dalla Vuelta…

Spesso, e poi tiravo dritto. I primi anni da professionista ho tirato avanti così: 30 cross e tantissime giornate di corsa su strada. Ho fatto due o tre anni così. Poi ho dovuto dosare gli sforzi e a novembre mi riposavo. Riprendevo poco prima di Natale e tiravo fino alla fine della stagione del cross. Facevo le prime prove di Coppa del Mondo per prendere punti.

Pensi che oggi, visto il livello attuale, la strada sia ancora importante per il crossista?

Per me la strada non è solo importante, è fondamentale. Ho corso anche con una squadra belga che faceva cross, ma in estate si correva su strada, anche in competizioni di secondo piano. Anche per loro, quella era la preparazione migliore.

Quindi un Iserbyt della situazione, la strada la fa…

E tanta, direi… Almeno una trentina di corse sicuro.

Per le donne un Tour diverso, senza crono e Alpi decisive

30.10.2024
5 min
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Il Tour Femmes con il tecnico della nazionale, finché il ruolo sarà di Paolo Sangalli. Fino al 31 dicembre infatti, il milanese sarà ancora il cittì delle elite e le juniores, poi passerà alla Lidl-Trek. Per questo negli ultimi giorni ha preparato i programmi per la prossima stagione affinché chiunque subentri abbia una linea tracciata. Che sia in quanto responsabile azzurro o perché interessato a causa del ruolo futuro, a Sangalli non è sfuggito il percorso presentato ieri a Parigi. E così, se nell’articolo precedente è stato Christian Prudhomme a illustrare il Tour degli uomini, quello delle ragazze lo vediamo con lui ( in apertura c’è Marion Rousse con il presidente Lappartient, foto ASO/Maxime DELOBEL).

Una breve premessa. Le Tour Femmes avec Zwift parte il 26 luglio da Vannes e si conclude il 3 agosto a Chatel. Chilometraggio totale di 1.165 metri e dislivello positivo di 17.240 metri, per quella che sembra una diagonale della Francia dalla Bretagna alle Alpi. Rispetto allo scorso anno sembra meno duro e soprattutto manca la crono che nel 2024 lanciò Demi Vollering verso la vittoria di tappa e la conquista provvisoria della maglia di leader. Il gran finale sulla Madeleine è sicuramente affascinante ma, numeri alla mano, meno severo del Tourmalet del 2023 e l’Alpe d’Huez di quest’anno.

Nove tappe per un totale di 1.165 chilometri, per 17.240 metri di dislivello
Nove tappe per un totale di 1.165 chilometri, per 17.240 metri di dislivello
Allora Paolo, che cosa ti sembra di questo percorso?

Quello che balza all’occhio è che non c’è neanche una cronometro. Per una gara a tappe così importante, secondo me, una cronometro poteva anche starci. Per il resto partono dalla Bretagna, da Plumenec dove avevamo fatto gli europei nel 2016 e poi faranno il Massiccio Centrale. Le tappe vere di montagna secondo me ci saranno proprio nel finale, sulle Alpi, anche se il Massiccio Centrale si rivelerà comunque impegnativo.

Belle le Alpi, ma l’arrivo sulla Madeleine è certo meno incisivo di quello 2024 sull’Alpe d’Huez…

Sì, sembra che abbiano rimodellato il Tour a livello femminile, però quello che salta all’occhio è proprio l’assenza della crono. Forse in compenso hanno allungato un po’ le tappe. La terza è di 162 chilometri, la quinta di 166 e la settima di 160. Quelle di montagna sono più corte, però è vero che sono distanze importanti, diciamo così…

Volendo fare un po’ di nomi, questo arrivo lungo e non durissimo della Madeleine potrebbe favorire una Longo Borghini contro gli scalatori puri?

Vero, anche se quest’anno al Giro ha dimostrato di competitiva anche sulle salite dure. Però probabilmente la Madeleine, che è molto lunga e non certo tanto ripida, è più per gente potente, che fa watt. Mi viene in mente la Kopecky, che se la porti su a 300 watt costanti, non la stacchi. Lei è una che se la porti in giro così, poi ti punisce. Teniamo conto che senza le Olimpiadi di mezzo, ci saranno proprio tutte. Sarà proprio un bello scontro, speriamo che rientri anche la Cavalli.

La SD WORX perde Vollering che passa alla FDJ, ma ritrova Anna Van der Breggen: è credibile che torni dopo due anni e sia già competitiva?

A me risulta che si sia sempre allenata e facesse già dei valori ottimi in allenamento, quindi credo che torni già competitiva. Vero è che è perdere due anni in questo ciclismo non è poco, però lei era ai vertici. E con la Vollering di là, ci sarà un bello scontro. La SD Worx ha perso anche Fisher Black che secondo me sarebbe stata molto utile nelle corsa tappe, però…

La presentazione del Tour Femmes è stata condotta da Marion Rousse e Christian Prudhomme
La presentazione del Tour Femmes è stata condotta da Marion Rousse e Christian Prudhomme
Secondo te Realini è troppo leggera per questo Tour 2025?

E’ sempre una salita, magari non estrema, ma è lunga. Può dipendere dal modo di prenderla e dalle tattiche delle squadre, per cui credo che adesso tutti aspettino anche il percorso del Giro per capire anche come andare al Tour.

Tour 2025, su il velo: Prudhomme spiega e fa gli scongiuri

30.10.2024
7 min
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«Se si sovrappongono la mappa del 2024 e quella del 2025 – ha detto ieri Christian Prudhomme a margine della presentazione del Tour – si può notare che stiamo facendo in modo di attraversare tutte le regioni, colmando le lacune. E’ una regola, almeno ogni cinque anni, passare in ogni angolo della Francia. L’unica parte che fa eccezione è la Corsica, ma sono ancora più tranquillo perché sono stato io a portare il Tour lì per la prima volta nel 2013».

Ieri Parigi ha tenuto a battesimo il Tour de France del 2025, con il consueto clima da grande evento e il grande interesse per un percorso che torna alle origine della Boucle (in apertura foto A.S.O./Etienne Coudret). Una prima settimana piuttosto veloce e i Pirenei prima delle Alpi, con il finale che torna a Parigi, ora che la Capitale si è lasciata indietro la baraonda olimpica.

Prudhomme, a destra, ha rivendicato il disegno del Tour e la sua partenza dal Nord (foto A.S.O./Etienne Coudret)
Prudhomme, a destra, ha rivendicato il disegno del Tour e la sua partenza dal Nord (foto A.S.O./Etienne Coudret)

Partenza alla francese

Dopo le partenze da Copenhagen, Bilbao e Firenze, il prossimo Tour de France sarà interamente francese, senza neppure un chilometro oltre qualche recondito confine.

«Sono favorevole alle grandi partenze all’estero – ha spiegato Prudhomme – perché permettono al Tour de France di spiegare ulteriormente le sue ali. Ma a condizione che si vada sistematicamente anche nelle città medie e nelle piccole comunità locali. Sarà così anche l’anno prossimo, ad esempio con Ennezat o Vif, o con Mûr-de-Bretagne a Guerlédan con i suoi 2.500 abitanti. Dopo tre grandi partenze all’estero, partiremo dal Nord e abbiamo progettato il Tour in base all’altimetria dei luoghi che abbiamo trovato, alla bellezza dei paesaggi e anche alla storia del ciclismo».

Omaggio ai grandi

Il Tour torna in Normandia per la prima volta dal 2016, passando per la città natale di Anquetil. Passerà per Calorguen dove vive Bernard Hinault che il prossimo anno compirà 70 anni. La partenza a Saint Meen le Grand permetterà di omaggiare Louison Bobet nel centenario della nascita. Mentre La Plagne sarà l’occasione per ricordare Laurent Fignon, che ne ha conquistato per due volte il traguardo alpino.

«Negli ultimi quindici anni – ha spiegato ancora Prudhomme – abbiamo fatto in modo che la prima settimana non fosse più concepita con tappe pianeggianti come un tempo. Ma non illudetevi: quella del 2025 sarà una falsa prima settimana pianeggiante. Tra il finale di Boulogne, la rampa di Saint Hilaire prima dell’arrivo a Rouen o il Mur de Bretagne da superare due volte, come nel 2021, gli attaccanti in stile Liegi saranno serviti, come pure gli uomini di classifica. Complessivamente, il Tour 2025 prevede sei tappe per velocisti, di cui potenzialmente quattro nei primi dieci giorni. Eppure non è detto che ognuna di queste tappe sia una volata di gruppo».

Mark Cavendish ha ricevuto il tributo di Parigi per la carriera e il record di vittorie di tappa (foto A.S.O./Etienne Coudret)
Mark Cavendish ha ricevuto il tributo di Parigi per la carriera e il record di vittorie di tappa (foto A.S.O./Etienne Coudret)

Partenza per velocisti

Un Tour come una volta, insomma, perché quando si parte da lassù, è chiaro che per arrivare alle montagne ci saranno da percorrere diverse centinaia di chilometri

«E’ chiaro – ha detto ancora Prudhomme – che se si parte da Nizza, Bilbao o Firenze, come negli ultimi tre anni, si è già ai piedi delle salite. Forse il prossimo sarà un Tour più tradizionale, ma non c’è stata una scelta in questa direzione. Semplicemente è dipeso dalla scelta del luogo di partenza. Sarà invece tradizionale l’arrivo finale a Parigi. Siamo stati molto felici di arrivare a Nizza, l’unica città a offrirci questa opportunità a pochi giorni dall’apertura dei Giochi Olimpici. Ma siamo anche molto felici di tornare a Parigi sugli Champs Elysées e sono sicuro che sarà lo stesso tra 25 o 50 anni».

Il Tour de France 2025 misura 3.320 km con 51.550 metri di dislivello
Il Tour de France 2025 misura 3.320 km con 51.550 metri di dislivello

21 tappe, 2 crono, 2 riposi

Un’edizione totalmente in suolo francese, con una serie di tappe molto interessanti e trappole lungo il percorso, a partire dalla crono di Rouen del quinto giorno e poi l’arrivo su Mur de Bretagne due giorni dopo. I Pirenei prima delle Alpi, con l’arrivo di Hautacam e la cronoscalata dell’indomani a Peyragudes che precede un’altra giornata di montagna: cruciale gestire bene le forze. La via che porta verso le Alpi incontra il Mont Ventoux, che immette negli ultimi giorni ad altissima tensione

1ª tappa (5/7)Lille – Lille185 km
2ª tappa (6/7) Lauwin Planque – Boulogne sur Mer212 km
3ª tappa (7/7)Valenciennes – Dunkerque172 km
4ª tappa (8/7) Amiens – Rouen173 km
5ª tappa (9/7) Caen – Caen (crono)33 km
6ª tappa (10/7)Bayeux – Vire Normandie201 km
7ª tappa (11/7) Saint-Malo – Mur de Bretagne194 km
8ª tappa (12/7) Saint Méen Le Grand – Laval174 km
9ª tappa (13/7) Chinon – Châteauroux170 km
10ª tappa (14/7) Ennezat – Le Mont Dore163 km
Riposo (15/7) Toulouse
11ª tappa (16/7) Toulouse – Toulouse154 km
12ª tappa (17/7) Auch – Hautacam181 km
13ª tappa (18/7)Loudenvielle – Peyragudes (crono)11 km
14ª tappa (19/7) Pau – Luchons-Superbagnéres183 km
15ª tappa (20/7) Muret – Carcassonne169 km
Riposo (21/7)Montpellier
16ª tappa (22/7) Montpellier – Mont Ventoux172 km
17ª tappa (23/7) Bollène – Valence161 km
18ª tappa (24/7) Vif – Courchevel, Col de la Loze171 km
19ª tappa (25/7) Albertville – La Plagne130 km
20ª tappa (26/7) Nantua – Pontarlier185 km
21ª tappa (27/7)Mantes-la-Ville – Paris120 km
Totale 3.320 km

Salite diversamente mitiche

Pianura in avvio, ma per fortuna le montagne non mancheranno, con qualche gradito ritorno. Come quello del Mont Ventoux, che per la prima volta da oltre dieci anni avrà l’arrivo sulla cima. L’ultima volta fu nel 2013, quando Froome scatenò la prima della lunga serie di… frullate che gli avrebbero permesso di dominare per quattro volte il Tour.

«Ci eravamo passati nel 2021 – ricorda Prudhomme – ma l’arrivo era in fondo, a Malaucène. C’è stato anche l’arrivo accorciato nel 2016 allo Chalet Reynard a causa del vento, quando Froome si mise a correre a piedi. In realtà saranno passati 12 anni da quella prima vittoria di Chris. Ci sono effettivamente alcune tappe obbligatorie, perché sono monumenti del Tour, luoghi mitici. Il Tourmalet, il Galibier, il Ventoux o l’Alpe d’Huez, ma abbiamo capito e lo hanno capito i politici locali che oltre a certi traguardi mitici si possono azzardare anche altre salite meno conosciute. Per questo sono nati il Col de la Loze e la Planche des Belles Filles, che appartengono a una storia molto recente. Tutto quello che dobbiamo fare è sperare che la cronometro in salita di Peyragudes non dia la svolta definitiva al Tour e che l’arrivo sul Ventoux lasci ancora un po’ di suspense per ultime due tappe alpine di Courchevel e La Plagne».

Sarà stato un modo di dire, ma in fondo che la corsa venga schiacciata subito dal solito dominatore è qualcosa che fa tentennare anche gli organizzatori. Come andare al cinema per un thriller, sapendo già come andrà a finire. Forse in cuor suo e da ottimo giornalista qual era, Prudhomme tifa per il ritorno di Vingegaard e la crescita di Evenepoel.

La nuova avventura della Casasola, e già arrivano podi…

29.10.2024
5 min
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Gli effetti della nuova avventura si vedono già. Sara Casasola (in apertura, foto Mtb Nazgul) ha iniziato alla grande la sua avventura alla Crelan Corendon: dopo un decimo posto d’assaggio al Be-Mine Cross non è più scesa sotto il quarto posto, con subito due prestazioni di grande effetto nel Superprestige. Challenge di grande richiamo che noi italiani eravamo soliti snobbare un po’ privilegiando la Coppa del Mondo. Ma ora Sara fa parte di uno dei team di punta del movimento belga e quindi la situazione cambia tanto è vero che sta scalando a grandi passi il ranking internazionale.

Una scelta la sua coraggiosa, ma fondamentale per la sua carriera e che ha avuto tanti motivi alla base, primo fra tutti il prestigio del team: «Sapere che l’Alpecin aveva interesse nei miei confronti è stato un vero colpo al cuore. Mi hanno proposto un contratto di tre anni, per dedicarmi a questa attività nella loro patria, sarebbe stato folle rifiutare. Era quello che volevo, per fare il definitivo salto di qualità. Non che prima alla Guerciotti non mi trovassi bene, anzi devo solo dire grazie ad Alessandro e al suo staff perché è merito loro se sono qui».

Il podio di Overijse, con la Brand al centro fra Van Empel e l’azzurra, già quarta a Ruddenvoorde
Il podio di Overijse, con la Brand al centro fra Van Empel e l’azzurra, già quarta a Ruddenvoorde
Hai già tastato con mano le differenze rispetto al passato?

E’ un altro mondo. Tutto un altro livello, altra attenzione, questo è ciclocross al massimo grado in un territorio dove questa disciplina è davvero amata. Tra l’altro sono rimasta sorpresa dal mio livello, subito molto alto, pensavo e temevo di pagare lo scotto, invece ho visto che posso giocarmela.

Quanto in questa scelta ha inciso il puntare sul ciclocross in luogo della strada?

Non è proprio così, anzi uno dei motivi che mi ha spinto a questo investimento umano prima ancora che professionale è proprio il fatto di poter fare attività con loro per tutto l’anno. Prima, appena finivo l’attività di ciclocross dovevo passare a un altro team per un altro livello di gare su strada. Qui no, c’è continuità, credono in me anche per le gare da primavera in poi, vogliono investire su di me a 360°.

Sara davanti ai microfoni della Tv belga. Sta già diventando un personaggio nel mondo del ciclocross
Sara davanti ai microfoni della Tv belga. Sta già diventando un personaggio nel mondo del ciclocross
Le gare sono abbastanza diverse rispetto a quelle che affrontavi di solito…

Qui è come se fossi all’università, posso approfondire la mia tecnica, imparare anche quegli aspetti sui quali mi sentivo meno sicura come pedalare sul fango o in contropendenza. C’è un lavoro oscuro durante la settimana, prima di arrivare alle gare e gli effetti già si vedono.

Come ti sei trovata al tuo approccio con il team? La Arzuffi che ti ha preceduto ha raccontato di una realtà a due facce…

Ho letto con molta attenzione le sue parole. Io mi sono sorpresa inizialmente nel trovarmi davanti una struttura professionale così qualificata. Ci sono mezzi e personale a nostra disposizione, dobbiamo pensare solo a correre. Penso che rispetto a quando lei militava qui le cose siano cambiate perché c’è stata una crescita anche dello staff, poi le dinamiche sono in continua evoluzione. Vedremo come andranno le cose, io spero che si continui su questa falsariga.

La Casasola ha militato due anni nel team Guerciotti, vincendo molte classiche nazionali
La Casasola ha militato due anni nel team Guerciotti, vincendo molte classiche nazionali
Hai iniziato alla grande, con addirittura un podio in una classica come quella di Overijse…

Effettivamente è un grande risultato. La squadra mi ha dato subito fiducia, alla vigilia mi avevano detto che poteva essere una prova su misura per le mie caratteristiche, di provare a tenere il ritmo delle migliori. Mi è mancato un po’ il finale, spesso mi succede soprattutto a inizio stagione, infatti quando stavo a ruota tenevo bene ma quando dovevo imporre io il ritmo faticavo. Ma alla fine il terzo posto mi gratifica considerando chi mi è arrivata davanti.

A tal proposito sei rimasta sorpresa dalla vittoria della Brand sulla Van Empel? Si dice che questa sia la stagione del definitivo cambio generazionale, ma l’ex iridata non sembra d’accordo…

So che la Brand è già in buona forma, la Van Empel invece a dispetto dei risultati ottenuti dice che ancora deve lavorare tanto e che ha grandi margini. A ben guardare, la Brand è un po’ un’eccezione con i suoi 38 anni, perché se guardate le Top 10 di queste gare internazionali sono quasi tutte atlete Under 30. Io credo che il cambio generazionale sia davvero in corso d’opera e sono contenta di fare parte di questo momento di passaggio.

La tricolore insieme alla campionessa belga Sanne Cant: la friulana è l’unica non belga o olandese
La tricolore insieme alla campionessa belga Sanne Cant: la friulana è l’unica non belga o olandese
Ora ti aspettano gli europei.

Sicuramente sarà una gara veloce, non proprio nelle mie corde, so che Pontoni ha già visto il tracciato e ci ha detto che ne verrà fuori una gara molto tattica. Io cercherò di giocarmela, ma poi c’è anche il fattore climatico da considerare: se piove tutte le gerarchie della vigilia verranno stravolte.

Sei l’unica straniera del team: non temi che ci sia un po’ di nazionalismo, come raccontava la Arzuffi?

Al team interessa che arrivino i risultati, su questo sono stati molto chiari. Anzi, temo il momento che le cose possano non andare nella maniera migliore. Tutti hanno gli stessi materiali, lo stesso supporto, non mi sento per nulla penalizzata. Probabilmente c’è sempre un po’ di patriottismo, ma se anche fosse non lo fanno vedere, questo lo posso assicurare.

Caro Ellena, cosa avete fatto per tre giorni a Malta?

29.10.2024
6 min
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Anche il Team Polti-Kometa, ha svolto il “pre-ritiro” di fine o inizio anno, a seconda di come lo si voglia interpretare. E’ questo l’anello di congiunzione tra la vecchia stagione e la nuova. Per l’occasione, la squadra di Basso e Contador ha scelto Malta come sede, un partner importante per il team.

Giovanni Ellena ci ha parlato dei ragazzi, della sua esperienza personale e di quanto fatto nei tre giorni trascorsi nel cuore del Mediterraneo. Il che è stata anche un’occasione per scoprire le bellezze di questa isola situata tra la Sicilia e l’Africa (in apertura foto di Maurizio Borserini).

Una veduta tra città e mare di Malta (foto Pinterest)
Una veduta tra città e mare di Malta (foto Pinterest)
Giovanni, Malta in questo periodo deve essere bellissima…

Sì, è un’isola splendida. Io non c’ero stato l’anno scorso a causa di un piccolo problema di salute, quindi per me quest’anno è stato un ritorno al lavoro al 100 per cento… Anche se prima lo era già, ma non avevo partecipato dall’inizio.

Dopo quello che hai passato, l’importante era esserci…

In effetti mi era mancato. Abbiamo fatto anche due attività extra molto divertenti: una di canoa e una zip line. Non le ho potute fare, o meglio non ho voluto farle, per questioni legate al recupero fisico. Mi sentivo a disagio non partecipando completamente al gioco, e mi è dispiaciuto non essere in prima linea con i ragazzi. Ma il prossimo anno sarò il primo a lanciarmi!

Giovanni, cosa si fa in un ritiro del genere? Che cosa avete fatto a Malta? E come lo chiamate, questo tipo di ritiro?

E’ un ritiro di conoscenza: serve a far incontrare i nuovi arrivati. Abbiamo fatto la prova del vestiario con Gsport, verificato le misure delle scarpe con Sidi piccole accortezze per arrivare al primo training camp con tutto in ordine. Ci sono stati anche alcuni chiarimenti sulle misure delle bici.

Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa. E’ arrivato in questo gruppo due anni fa (Maurizio Borserini)
Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa. E’ arrivato in questo gruppo due anni fa (Maurizio Borserini)
Avete fatto anche la visita medico-sportiva?

No, quella sarà fatta ai primi di dicembre a Firenze, dal dottor Giulio Tempesti, il nostro medico, insieme al suo staff che ci segue costantemente. Quindi in questo ritiro ci siamo occupati di pianificare le visite mediche, organizzare le partenze e stilare una bozza del calendario 2025, oltre a incontrare i preparatori. C’è stato anche spazio per il relax.

Parlaci di questo…

Abbiamo avuto la possibilità di visitare la Basilica di Malta, dove abbiamo fatto la presentazione della squadra insieme al ministro del turismo e dello sport. Abbiamo visitato Malta stessa, le catacombe e le sue coste… Sono esperienze che permettono di condividere pensieri e idee. Alla fine, è risaputo che davanti a un piatto o in momenti di relax emergono conversazioni che in altre situazioni non si farebbero, perché manca il tempo o lo spirito giusto.

Come ti è sembrato il gruppo?

Un bel gruppo, davvero. Non ho trovato nessuna difficoltà d’integrazione, nessuno che facesse fatica a inserirsi. Tutti erano ben integrati. Ho visto un Piganzoli già più maturo, con le idee chiare su dove vuole arrivare e cosa vuole ottenere nel 2025; un Lonardi molto più sicuro di sé; un Peñalver che in Malesia ha capito di poter fare il velocista. E poi ci sono giovani come Crescioli, che entrano in un mondo nuovo, ma ancora a misura d’uomo, senza il ‘trauma’ del WorldTour dove ti chiedono prima il Vo2Max che il tuo nome.

Ivan Basso presenta la squadra agli esponenti di Malta, che ha una partenership sempre più importante (foto Maurizio Borserini)
Ivan Basso presenta la squadra agli esponenti di Malta, che ha una partenership sempre più importante (foto Maurizio Borserini)
Come li hai visti fuori dal loro ambiente? Ad esempio, durante la gara in canoa?

Con un grande spirito competitivo, goliardico ma sempre agonistico, tipico di chi fa questo lavoro: si vuole vincere anche a briscola! Sono uscito dall’albergo in jeans proprio per evitare tentazioni: se fossi stato in abbigliamento adatto, mi sarei unito a loro. Questo è lo spirito coinvolgente del gruppo, grazie anche alle proposte di team building di Basso, che riprende ciò che faceva alla CSC, ma in modo più sicuro e intelligente.

Hai accennato a Piganzoli. Lo vedi già come un leader?

Diciamo che sta lavorando per diventarlo. Sa di poter puntare al tredicesimo posto al Giro d’Italia, di non essere l’ultimo nelle cronometro, e sa che ha margini di miglioramento. Parte con uno spirito diverso. Ricordiamoci che l’anno scorso Davide non aveva ancora vinto una corsa da professionista, mentre quest’anno non solo ha vinto ma ha colto piazzamenti importanti. Sa di poter vincere, di poter fare terzo a un Giro dell’Emilia. Quest’anno non ha brillato al Lombardia, ma bisogna considerare chi c’era, come è partita la gara, e che è ancora in fase di crescita. Era deluso…

Con una divisa neutra, Gsport fa provare il vestiario ai corridori (foto Maurizio Borserini)
Con una divisa neutra, Gsport fa provare il vestiario ai corridori (foto Maurizio Borserini)
Ma era nel gruppo con Pogacar quando Tadej è partito…

Esatto, questo dimostra il livello a cui è arrivato.

Giovanni, hai parlato di momenti conviviali. Ne avete avuti? Avete ricordato qualche momento della stagione?

Tra ragazzi è normale che affiorino ricordi di corse o episodi specifici. E ci sono sempre risate, anche su momenti che magari all’epoca non erano piacevoli, come il freddo tremendo di una tappa in Turchia. Allora non ridevano di certo. Stare 200 giorni l’anno insieme crea inevitabilmente storie e aneddoti.”

Come erano scandite le vostre giornate a Malta? E le biciclette le avevate dietro?

Le bici c’erano perché l’ultimo giorno abbiamo fatto una pedalata cui ha partecipato anche il ministro del turismo (Clayton Bartolo, ndr) e alcuni appassionati. E’ stata organizzata una raccolta fondi per un’associazione di disabili. Ma abbiamo pedalato solo l’ultimo giorno; gli altri giorni erano dedicati ad altre attività. E qualche sera siamo usciti per una birra e due risate.

Poca bici e tanto svago in questo primo raduno a Malta (foto Maurizio Borserini)
Poca bici e tanto svago in questo primo raduno a Malta (foto Maurizio Borserini)
E la sveglia? Presto o libera?

Sempre abbastanza presto. Il primo giorno abbiamo fatto le prove per il vestiario e le scarpe, il secondo giorno la sveglia era alle 7,30 perché alle 8,30 dovevamo essere alla Basilica per la presentazione. Anche per le attività ludiche la sveglia era presto, perché iniziavano alle 9. L’ultimo giorno ci siamo svegliati ancora prima, perché la pedalata iniziava alle 7,30! Giornate di scarso stress, ma intense al tempo stesso.

Avete assegnato i corridori ai rispettivi direttori sportivi?

Abbiamo fatto un’assegnazione dei preparatori, quello sì. Per quanto riguarda i direttori sportivi, ne parleremo nel ritiro di dicembre a Benidorm. Lì ogni corridore incontrerà il suo direttore, si discuterà il calendario… Per ora li lasciamo tranquilli, senza la pressione dei direttori sportivi.

Gasparotto: «Su Pellizzari non ci poniamo limiti, ma serve tempo»

29.10.2024
5 min
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Il finale di stagione di Enrico Gasparotto e della Red Bull-Bora-Hansgrohe coincide con la programmazione del 2025. Nel quartier generale austriaco è andato in scena il primo raduno che proietta la squadra verso gli impegni del prossimo anno. Una settimana insieme per conoscere i membri dello staff, i preparatori, i direttori sportivi, il reparto manageriale. Insomma, per i nuovi una prima infarinatura su come funziona un team destinato a pensare in grande e che da poco ha annunciato la nascita della formazione development.

Gasparotto risponde al telefono da Lugano, domani (oggi per chi legge) volerà a Parigi per la presentazione del Tour de France.

«Questi due mesi, ottobre e novembre – dice il Gaspa – saranno i più importanti dell’anno per me. Da ora svolgo il ruolo di Head of Sport Directors e la programmazione è diventata il momento cruciale dell’anno. Andrò in vacanza a febbraio, quando le corse partiranno ufficialmente e il meccanismo sarà avviato. Ora ci sono da coordinare tante cose: dal team professionisti a quello under 23. Non opero direttamente in tutti e due, quello dei giovani ha il suo staff dirigenziale, ma un occhio di riguardo ci va. D’altronde qualche ragazzo verrà a correre con i grandi, per iniziare a fare esperienza».

Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni
Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni

Il giovane Pellizzari

Tanta curiosità gira intorno al nome di Giulio Pellizzari, il giovane corridore che ha salutato la Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ed è pronto a spiccare il volo con lo squadrone austriaco. Come entrerà nel progetto uno dei giovani più interessanti del nostro movimento? Riuscirà a preservare il suo cammino di crescita?

«Va detto, prima di tutto – ci spiega Gasparotto – che per Pellizzari questo è uno step importante, come lo è per noi della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Rispetto all’inverno 2023 tutto è più grande e fatto in maniera differente, più metodologica. Abbiamo tante figure esterne da inserire e imparare a conoscere: ingegneri, nutrizionisti, uno staff performance profondo. Quella di Pellizzari è un’esperienza fondamentale, rivedo il cammino fatto da me in Intermarché. Il rischio di uno “shock” è alto, da una realtà familiare passa a un team strutturato e con 170 persone che ci lavorano, se consideriamo anche le squadre U23 e U19».

Stimolo a imparare                              

Il passo in un team WorldTour può spaventare, ma in un certo modo lo stimolo a cui si è sottoposti è enorme. Serve la testa giusta per goderselo e per portare a casa un insegnamento nuovo ogni giorno. Arrivare qui a 21 anni per Pellizzari può essere importante, ma tutto va calibrato nel modo giusto.

«Lo stimolo nel correre accanto a campioni del calibro di Roglic, Hindley, Vlasov e Martinez non è da sottovalutare (continua Gasparotto, ndr). Gli investimenti negli anni sono stati importanti e vogliono portarci a vincere il Tour de France, perché no anche con ragazzi cresciuti, o comunque modellati, da noi. Pellizzari può essere tranquillamente questo profilo, ma l’inserimento va fatto in maniera graduale e logica. Ha tutto da scoprire: dalla ricerca dei materiali al loro sviluppo.

«Ci sono tanti dettagli che nella sua carriera non ha curato – prosegue – e quindi di lui non si conoscono i limiti di crescita perché è tutto da scoprire. Pellizzari ha fatto vedere tanto con i Reverberi e con lui si può fare molto, sicuramente non è un giovane “spremuto”.

Futuro da scrivere

La crescita di Pellizzari passerà tanto dalle sue qualità, vero, ma anche dalle occasioni che potrà avere con la Red Bull-Bora- Hansgrohe. Come si garantisce la maturazione di un giovane così promettente?

«Penso che sia talmente grande quello che lui può scoprire di se stesso e noi di lui – analizza Gasparotto – che dire cosa farà è fin troppo limitato. E’ ancora molto giovane, quindi penso che affiancare un corridore come Roglic o Vlasov in una grande corsa a tappe possa essere d’insegnamento per capire e imparare cosa serve per essere un capitano. Avere la percezione di cosa serve per diventare un grande corridore. Correre ancora in una professional non gli avrebbe dato questa dimensione, che invece penso sia importante avere.

«Sono situazioni – dice – che ho vissuto anche io per primo quando correvo. Affiancare un grande corridore in un Giro d’Italia e vincere ti dà sempre qualcosa. Noi Pellizzari lo aspettiamo, è anche vero che ha bisogno di step, con l’iniziare ad essere protagonista in corse di una settimana nel WorldTour. Poi il fatto che io ricoprirò questo ruolo può essere un fattore importante perché sarò la figura di riferimento e con me potrà parlare in italiano. Il suo preparatore invece sarà Paolo Artuso. La prima cosa da fare quando un corridore arriva in un contesto del genere è tutelarlo e mettergli accanto persone che possano comunicare facilmente con lui».  

Il 2024 difficile della Cofidis, Vasseur però non molla e rilancia

29.10.2024
5 min
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«Finalmente la stagione è finita, non ne potevamo più…». Non usa mezze misure Cedric Vasseur, il capo della Cofidis nel mettere la parola fine a un 2024 estremamente deludente per la sua squadra, con sole 5 vittorie all’attivo. Parliamoci chiaro: con un bilancio simile, nel calcio non ci sarebbero stati dubbi e il tecnico francese sarebbe già alla porta. Nel ciclismo (per fortuna, verrebbe da dire) non funziona così e si può ragionare su quanto avvenuto.

La vittoria di Thomas nella tappa di Lucca del Giro d’Italia, una delle poche luci del team nella stagione
La vittoria di Thomas nella tappa di Lucca del Giro d’Italia, una delle poche luci del team nella stagione

Il diesse promette cambiamenti

Il bilancio del team transalpino è molto deficitario, a fronte di un anno precedente quasi radioso, illuminato da ben due successi al Tour. Vasseur si è prestato a una lunga disamina, quasi un processo su Cyclism’Actu, senza reticenze come suo costume: «Potrei dare tante giustificazioni e attenuanti, ma la realtà è che non siamo stati all’altezza, abbiamo sprecato molte occasioni. Forse dopo le vittorie del Tour dello scorso anno, arrivate dopo 16 anni di attesa, ci siamo un po’ rilassati».

Vasseur guarda a quelle poche note positive come spinta per andare avanti: «La vittoria più bella dell’anno è stata quella di Benjamin Thomas al Giro, perché ha dato ossigeno al team, ma il momento positivo è durato solo qualche settimana. Non siamo stati squadra da WorldTour e questo deve spingerci a lavorare duro per il 2025, con un team cambiato perché le stagioni difficili non possono non avere conseguenze. Io credo che possiamo avvicinarci alla Top 10 del ranking, ma devono cambiare molte cose».

Guillaume Martin lascia la Cofidis dopo 5 anni di militanza. Quest’anno 8 Top 10, quasi tutte a inizio stagione
Guillaume Martin lascia la Cofidis dopo 5 anni di militanza. Quest’anno 8 Top 10, quasi tutte a inizio stagione

Parole dure su Martin (e non solo…)

Infatti la squadra perde un riferimento storico come Guillaume Martin, il filosofo che passa ai rivali della Groupama FDJ e il giovane Axel Zingle che si accasa alla Visma-Lease a Bike. Prima di scendere nel dettaglio delle due dolorose partenze il tecnico ammette che la squadra senza di loro perde un po’ d’identità nazionalistica: «Abbiamo bisogno di risultati, di gente che lotta per vincere se per far questo devo cercare corridori agli antipodi lo faccio. Magari un domani potremmo ridare un po’ di tricolore al team, ma sappiamo bene che ormai le squadre sono multinazionali. I Moncoutié che sono bandiere del team e vi trascorrono tutta la carriera non esisteranno più…

«Penso che continuare con un corridore che in fondo non ha più davvero voglia di lavorare fianco a fianco con la struttura non sia una buona cosa – afferma Vasseur a proposito di Martin – non è quello del 2020, ha avuto difficoltà a tenere il ritmo di altri scalatori al suo livello. Ci siamo lasciati in buoni rapporti, al suo posto arriva Emanuel Buchmann pronto ad accettare un nuovo ruolo. E’ uno che ha sfiorato il podio del Tour, anche se nel 2019 e so che può tornare a quel livello».

Per Zingle una vittoria e 24 piazzamenti, ma la squadra si aspettava di più soprattutto al Tour
Per Zingle una vittoria e 24 piazzamenti, ma la squadra si aspettava di più soprattutto al Tour

Ziingle, una scelta azzardata?

Su Zingle, il tecnico va giù ancora più duro: «Qui poteva essere leader, alla Visma che cosa farà? Io ho la sensazione che avesse già il contratto in tasca a inizio anno, man mano ha perduto slancio. Puntavamo su di lui per le Classiche del Nord ma siamo stati costretti a estrometterlo visto il suo rendimento. Al Tour volevamo mettere la squadra a disposizione di Coquard, ma non tutti hanno risposto… Zingle ha fatto altre scelte, ha altri progetti. Mi ricorda quando scelsi di andare alla corte di Lance Armstrong: ho dovuto lavorare per lui e ignorare del tutto le mie ambizioni personali. Forse tra un anno o due, Axel dirà di aver fatto la scelta giusta, o al contrario che avrebbe dovuto rimanere leader piuttosto che correre dietro alle lattine o correre per Van Aert…».

Il mercato del team è stato (ma dovremmo dire è, visto che un paio di posti sono ancora disponibili) tra i più movimentati del WT: «Arriva lo spagnolo Aranburu che è un combattente e voglio che sia questa l’immagine della nuova Cofidis. Qui sarà leader, lotterà per i maggiori traguardi e gli altri dovranno aiutarlo ma anche ispirarsi a lui. Buchmann è uno di questi, Teuns anche, un corridore che anche quest’anno ha dimostrato di essere un uomo da Classiche. Attenzione poi a Simon Carr che reputo una delle sorprese in assoluto per il nuovo anno».

Il tedesco Buchmann sarà con Aranburu il nuovo leader del team, a caccia di piazzamenti di rilievo
Il tedesco Buchmann sarà con Aranburu il nuovo leader del team, a caccia di piazzamenti di rilievo

L’ingratitudine dei ragazzi

La Cofidis è una delle poche squadre a non avere una propria filiera e su questo tema Vasseur mostra tutta la sua amarezza di uomo di ciclismo vecchio stampo: «Oggi si individuano i talenti, si permette loro di imparare, migliorare, affermarsi e poi li vedi andar via senza nemmeno un grazie, seguendo quel che freddamente consiglia il suo agente. Mettere mano a una filiera comporta tempo, soldi (almeno un milione e mezzo…), energie che toglieremmo alla squadra maggiore, visti i presupposti non ne vale la pena.

«Torniamo invece all’argomento principale. Nel 2025 non faremo la corsa sui punti per il ranking perché disperdi energie e dai spazio allo scoramento. Corriamo da leader, puntiamo a vincere il più possibile, poi vedremo. Cambieremo alcune cose a livello di preparazione, per restituire fiducia ai corridori verso i nostri metodi».

Coquard vincitore al Tour de Suisse, la sua unica vittoria nella stagione
Coquard vincitore al Tour de Suisse, la sua unica vittoria nella stagione

La disparità di trattamento

Nella sua intervista, Vasseur cita anche la situazione del ciclismo francese paragonata a quella nostrana: «Noi in Francia siamo dei privilegiati, la nazione con più team nel WT, l’Italia non ne ha più da diversi anni. Il problema è che viviamo in un sistema dove non tutti operano allo stesso modo, soprattutto hanno gli stessi strumenti, e parlo di denaro. Non c’è competizione con squadre che spendono almeno 5 volte tanto, questo è un handicap per tutto il ciclismo francese. Il tetto salariale non risolverà il problema perché ci sono mille sistemi per gonfiare artificialmente il proprio budget. Bisogna agire sulle regole, i team devono partire alla pari in base ai vincoli del gioco».

Tre uomini e una barca: in crociera con Nibali, Pozzo e Lello

29.10.2024
7 min
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Li abbiamo visti scherzare, pedalare, mangiare e ridere per una settimana. Nibali, Pozzovivo e nel mezzo Lello Ferrara. Tre uomini con tre storie diverse, accomunati apparentemente da nulla, al di fuori delle dirette sulla Squalo TV. Eppure un filo che li unisce deve esserci e abbiamo chiesto proprio a Lello di raccontarci cosa sia. Si ride parecchio, ma come pure con Pulcinella, le sue parole lasciano spesso concetti su cui riflettere. 

Lello, dicci un po’, com’è venuta fuori questa crociera?

Vincenzo era ospite di MSC e di Viaggi e Cultura di Verona, che già lavorano con Fondriest. E così, come regalo, ci ha chiesto di andare con lui. Con noi c’era anche Santaromita con moglie e figli, mentre la moglie di Domenico è incinta e io ho lasciato a casa Luisa, che aveva qualche problemino. Alla fine ci siamo trovati da soli Domenico ed io. Invece i figli di Santaromita si sono ammalati e per lui è stata un’agonia. Quindi grazie a Vincenzo ci siamo trovati in crociera.

Santaromita, Ferrara, Fondriest, Pozzovivo e Nibali: gruppo compatto (foto Instagram)
Santaromita, Ferrara, Fondriest, Pozzovivo e Nibali: gruppo compatto (foto Instagram)
Che rapporto c’è tra voi tre?

Allora, ti dico la verità. Io con Vincenzo avevo già fatto una parentesi in Cina, quando Ballerini ci portò alla preolimpica di Pechino che vinse Bosisio. Eravamo compagni di camera e io vedevo questo giovane e dentro di me dicevo: «Questo è scemo, non andrà mai forte in bicicletta!». Perché stava ora e ora attaccato al computer. E poi si è visto come ci ho preso, un altro pronostico azzeccato!!! Però lo vedevi che non era normale e aveva qualcosa di diverso rispetto a tutti i corridori che avevo conosciuto. Quanto a Domenico, ricordo che al primo anno da professionista ero al Giro di Reggio Calabria e un signore si mise a raccontarmi che era il papà di un ragazzino che andava forte e correva negli juniores. E poi quel ragazzino è diventato Domenico Pozzovivo, quindi con lui c’è sempre stato un rapporto più umano rispetto a Vincenzo.

Più umano?

Sono due pianeti diversi. Quando sei un campione del livello di Vincenzo, viaggi su un’altra galassia. Il campione è circondato dal procuratore e dal massaggiatore. Diciamo che era inarrivabile, anche se è sempre restato umano. Forse non ti ricordi, ma quando mi stavo separando sei stato tu a permettermi di fare il regalo di compleanno a mio figlio. Mi mettesti in contatto con lui tramite Pallini a Spresiano. Andai a trovarlo, non volevo disturbarlo. E lui quando mi vide, mi disse: «Ma come ti sei conciato?!». Però questa settimana ci ha fatto conoscere e ci ha avvicinato tantissimo dal lato umano, perché secondo me un campione ha sempre bisogno di vedere chi ha di fianco. Vincenzo è molto diffidente e ha bisogno di sapere che il rapporto non ha un secondo fine. Abbiamo avuto modo di conoscerci.

C’è qualcosa di simile fra lui e Pozzo come carattere?

Assolutamente no, si somigliano solo per il fatto di non voler cedere un colpo all’altro. Da una parte c’è un campione che non vuole mai perdere, dall’altra c’è Domenico che è un altro duro. Adesso è venuto fuori che gli ha tolto il KOM a casa sua. L’hanno anche pubblicato ed è nata una roba assurda, perché io non pensavo che Vincenzo ci tenesse così tanto. Caratterialmente hanno di simile solo il fatto che entrambi non mollano un metro. Domenico ha dimostrato ogni volta che è caduto di sapersi rialzare. E anche adesso, secondo me, non smette sereno: se qualcuno gli fa una proposta, lui la valuta anche se ha già dato l’addio. Vincenzo invece non vuole perdere a bigliardino nemmeno con la figlia. Hanno questa cosa che li accomuna. Per il resto, due mondi diversi. A tavola per esempio…

La crociera ha cementato l’amicizia fra Nibali, Ferrara e Pozzovivo (foto Instagram)
La crociera ha cementato l’amicizia fra Nibali, Ferrara e Pozzovivo (foto Instagram)
Che cosa?

Domenico mangiava una volta al giorno e sempre le sue cose salutari. Siamo tornati a bordo dal giro di Barcellona, che avevamo fatto sui 120 chilometri. Nella nave c’è un posto dove mangi e bevi… a gratis. Pizza, hot dog, le schifezze. Siamo tornati e Pozzovivo ha preso l’acqua, un decaffeinato ed è andato in camera. Io e Vincenzo ci siamo guardati, siamo entrati in questo enorme fast food e ci siamo presi due pezzi di pizza, due hot dog, due hamburger e due birre. Vi dico solo che poi sono andato in camera e mi sono addormentato vestito da corridore. Mi sono svegliato alle 7 e un quarto, ho fatto la doccia e sono andato a cena.

Pozzo incorruttibile?

Ha continuato la linea sua fino a Genova e continua anche adesso. Non lo prendevamo in giro, ma ci chiedevamo come facesse. Abbiamo provato in tutti i modi a farlo sgarrare, tanto che ho detto a Vincenzo di pagare un pranzo di pesce con delle bottiglie e una l’ha pagata anche Domenico, ma non ha toccato alcol e neppure cibo… sporco. Non si è concesso niente, proprio niente. Ho visto solo altre due persone così nella mia vita: Ivan Basso e Davide Rebellin. Penso che Domenico non cambierà mai perché questo ormai è il suo stile.

E va ancora forte?

Ma forte davvero! Per battere il record di scalata su una salita secca è come se tu facessi una cronoscalata. Magari Nibali non lo batterebbe in una gara, però non va piano.

Due affamati e l’incorruttibile Pozzo: Domenico è ancora in modalità corridore (foto Instagram)
Due affamati e l’incorruttibile Pozzo: Domenico è ancora in modalità corridore (foto Instagram)
Vivono entrambi a Lugano e sono entrambi meridionali. Si capisce che per arrivare in Svizzera sono partiti da molto lontano?

Vincenzo lo respiri sulla sua pelle che ha dovuto faticare tanto. Domenico invece ha il suo lato intellettuale e ha preso il distacco da tutto quello che è il mondo povero, del ciclista ignorante. Lui è stato uno dei primi forse a qualificarsi in questo mondo, mentre con Vincenzo percepisci che lui ce l’ha fatta. Arriva dal nulla e si è preso tutto da solo. Siamo stati a Messina, abbiamo discusso di tutto quello che è stato Vincenzo, dai sacrifici, la bici, l’edicola della mamma e della sorella. Anche Domenico lo vedi che è un ragazzo del Sud, ma ce l’ha fatta anche con lo studio ed è diventato una sorta di terrone borghese (ride, ndr). Invece l’altro è un povero terrone (ride ancora più forte, ndr). Però entrambi sono grandi esempi. Lo dico sempre ai giovani: bisogna guardare il passato, non per fare quello che è stato già fatto, ma per capire cosa significhi stringere i denti.

Assist perfetto: a stare in mezzo a quei due, hai pensato alla tua carriera e cosa ti è mancato?

Abbiamo parlato di questo, perché Domenico mi conosce bene. Avendo corso alla Zalf, ha vissuto a Castelfranco e quindi ha avuto modo di conoscere il Lello atleta. Invece Vincenzo per certi aspetti non mi conosce e quando mi prendeva in giro che andavo piano, c’è stato un momento in cui Domenico gli ha detto quello che aveva visto. Cioè che se mi fossi impegnato veramente, magari non avrei vinto un Grande Giro perché ci volevano continuità e mentalità, ma se mi fossi concentrato sulle gare di un giorno, avremmo avuto veramente un corridore forte. Perciò, da una parte mi dispiace di non essere riuscito ad impegnarmi, ma la mia condizione familiare era quello che era e mi sono ritrovato da solo al Nord senza una gestione. Forse questo è stato il mio più grande rammarico. Mi ricordo una volta che Ballerini mi convocò in nazionale e in un’intervista disse che ero il leader dello spogliatoio. Questo mi ha permesso di restare per dieci anni in quel ciclismo. E ci ho tenuto a dire a Vincenzo, che se avessi avuto gente che mi seguiva, di lui non si sarebbe mai parlato (sorride, ndr).

Oggi c’è ancora spazio per personaggi alla Lello Ferrara?

Come atleta ho avuto degli sprazzi. Ho corso per dieci anni sempre al minimo, però questo mi ha permesso di non dover fare un lavoro normale (ride, ndr). Magari con un ciclismo controllato come adesso, dove ti devi allenare per forza e curare l’alimentazione, sarei potuto durare di più oppure saltare di testa. Mi rincuora il fatto che quando parlo con Guercilena, mi ricorda che se solo lo avessi ascoltato invece di fare le battute e scendere dal rullo, sarei stato un corridore. Lui e Morelli lavoravano alla Mapei e ci facevano i test quando ero alla Trevigiani. Però va bene così, sono contento e non ho rimpianti. 

Sulla nave di MSC crociere anche Emma Vittoria e Miriam Venere, figlie di Vincenzo e Rachele (foto Instagram)
Sulla nave di MSC crociere anche Emma Vittoria e Miriam Venere, figlie di Vincenzo e Rachele (foto Instagram)
Siete usciti più uniti da questa crociera?

Sì, diciamo che abbiamo rischiato con quel maledetto KOM che Vincenzo e Pozzo non si parlassero più. E’ una cosa che purtroppo ha aperto una ferita in Vincenzo, il suo orgoglio sarà andarselo a riprendere. Si allenerà di certo, sono sicuro che presto il record di Dinnamare sarà nuovamente suo. Ma a parte questo, alla fine siamo usciti amici. Ci siamo conosciuti veramente, perché stare dieci giorni in camera da corridore, non significa niente. Invece in crociera abbiamo avuto modo di conoscerci bene, tant’è che ho detto a Vincenzo di darsi da fare e farmi lavorare per lui…

Risata. Allarga le braccia. Poi Lello Ferrara torna alla sua vita. «Se rinasco, voglio essere Lello Ferrara – ride – in alternativa, va bene Merckx…».

«Il ciclismo cresce solo se divide gli utili»: la voce di Guercilena

28.10.2024
8 min
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Nel ciclismo che cerca un nuovo sistema di business, le parole pronunciate qualche giorno fa da Brent Copeland hanno prodotto la reazione di Luca Guercilena, team manager della Lidl-Trek. Il ciclismo che si spinge verso vertici prestazionali clamorosi vive di contraddizioni commerciali e strutturali da mani nei capelli. In questo quadro così… arabo, mettersi a ragionare di salary cap, budget cup o di un sistema che limiti i punteggi delle squadre può suonare da un lato necessario dall’altro probabilmente poco utile per sciogliere i tanti nodi.

Luca, proviamo a capire cosa sia oggi il ciclismo?

Uno sport legato ai controsensi. Prima di pensare di introdurre cap e limitazioni, bisognerebbe mettere mano al modello di gestione in generale. Se analizziamo quali sono gli sport che hanno un cap, vediamo che sono riconducibili a delle leghe professionistiche. Significa che le parti sono all’interno di un’unica società che produce profitto per tutti. Un sistema in cui i proventi dei diritti – televisivi, commerciali, merchandising e quant’altro – vengono suddivisi secondo dei criteri ragionati tra tutte le parti del movimento. Nel nostro caso sappiamo benissimo che non è così, quindi il discorso di introdurre dei cap per favorire o sfavorire qualcuno non porta nessun bilanciamento, ma soprattutto non porta beneficio alle casse delle squadre. Se limitiamo la prima squadra WorldTour, secondo voi l’ultima ne ha un beneficio reale in termini economici? Può solo sperare di acquisire un atleta di livello superiore a quello che potrebbe permettersi un prezzo probabilmente nemmeno calmierato.

Luca Guercilena, 51 anni, è il team manager della Lidl-Trek
Luca Guercilena, 51 anni, è il team manager della Lidl-Trek
Quindi pensi che sarebbe logico o comunque funzionale al discorso creare una sorta di lega in cui tutti partecipano con diritti e doveri proporzionali alla loro dimensione?

Assolutamente, anche perché quello che noi tanto osanniamo come sistema aperto in realtà è già un sistema chiuso. Basti pensare che se uno vuole entrare nel WorldTour, può comprarsi una licenza esistente oppure, partendo dalla categoria professional, non ci arriverà prima di sei anni. A questo punto mi chiedo perché non abbia senso fare la valutazione di un modello di business molto più simile alla Formula 1 o agli sport americani, dove la suddivisione degli introiti è gestita da un ente unico.

L’unico ente che mette le mani nelle tasche di tutto è proprio l’UCI…

Penso che lo stesso problema che viviamo noi come squadre lo vivano le federazioni. Ho letto recentemente di polemiche abbastanza accese sulle spese che le nazionali hanno sostenuto in Australia e quelle che sosterranno in Rwanda. Di conseguenza, se abbiamo costantemente questa divisione, far crescere il movimento è complicato. E far crescere non significa avere manager capaci di far innamorare gli sponsor del nostro sport, ma di creare un sistema di investimenti che abbiano un ritorno che non sia esclusivamente la visibilità.

Secondo te c’è la volontà da parte di tutti che il sistema cresca?

Mi sembra evidente che ognuno difenda il proprio orticello. Gli stessi benefici e gli svantaggi che potrebbero derivare da un sistema dei cap vengono spiegati sommariamente. Basti pensare che tutti parlano di budget cap e raramente si è parlato di budget floor, che è un’altra delle componenti fondamentali quando si parla di budget cap. Quindi una quota di ingresso che normalmente non è inferiore al 90% del budget cap. Questo vuol dire che se si fa un’ipotesi di 100 come budget cap, vuol dire che una squadra che voglia fare parte del sistema minimo debba mettere 90. Si fa così proprio per assicurare la competitività, per cui la differenza tra il massimo e il minimo sarebbe veramente ridotta. Se invece le differenze sono enormi, il sistema sarà sempre in crisi. E renderà possibile che una squadra spenda una fortuna per prendere un corridore e dopo due anni sia costretta quasi a chiudere.

La Red Bull-Bora sarà nel 2025 la squadra con il budget più alto (foto JM Red Bull-Bora)
La Red Bull-Bora sarà nel 2025 la squadra con il budget più alto (foto JM Red Bull-Bora)
Su quale ipotesi si sta ragionando?

La proposta attuale è di mettere il budget cap a 50 milioni, quindi credo che la squadra che ne abbia di più attualmente sia la Red Bull con 52. Nel corso di 5-6 anni, tenendo sempre fissa la soglia dei 50 milioni, il beneficio dell’ultima squadra WorldTour, che in questo momento ha un budget di  12 milioni, arriva a 15. Mi spiegate, quando questi arrivano a 15 milioni e quelli ne hanno ancora 50, cioè tre volte e mezzo, che equità hai creato? Non dovrebbero neanche essere nel WorldTour. Se infatti applichi il cap a 50 milioni come in tutte le altre leghe, vuol dire che devi avere almeno 25 milioni per essere nel World Tour, se no non ci stai. E’ la legge di mercato. Anche se gli organizzatori ne sono fuori…

Fuori dal sistema?

Perché a loro queste cose non vengono mai chieste? Non devono presentare un bilancio, non devono presentare niente. Basta che facciano l’iscrizione al calendario e rispettino il fatto che ti danno l’albergo o anche niente e sono a posto. Per lo stesso concetto dovresti dire che i ragazzi del Tour de France non possono spendere più di 100 milioni e con gli altri creiamo un sistema di condivisione per cui traggano benefici. L’UCI dice che sono due lavori diversi, mi sta bene. Allora però trovo illogico che facciano una commissione in cui ci sono anche loro e siano chiamati a decidere come io devo spendere i miei soldi. Io non ho potere di decidere come loro spendono le loro risorse e loro entrano nella mia economia? Se io dimostro di avere più capacità di un collega o più fortuna, perché un organizzatore deve venirmi a dire a me come devo spendere i miei soldi?

Avrebbe senso ragionare sin da subito di una regolamentazione per l’ingaggio di nuovi talenti, come nel draft del basket americano?

Certo, il concetto è che a lungo termine, se ci fosse un modello di business rivisto completamente, l’ideale sarebbe avere un sistema di drafting all’interno delle squadre continental. Dovrebbe essere un ranking individuale e di squadra e il livello superiore dovrebbe autotassarsi attraverso gli sponsor di un sistema Lega, per dare dei benefici alle squadre inferiori da cui provengono i giovani talenti. Quindi l’atleta individuale farebbe parte di un ranking e le squadre che producono talenti a quel punto devono essere rimborsate per quello che è il loro valore effettivo. Se ci fossero le clausole di uscita chiare e definite dall’UCI, se il valore dell’atleta fosse realmente vincolato al sistema di punteggio e se per questo avesse un valore reale economico, sicuramente si potrebbe già applicare adesso. Ma se tutto dipende dalle mie capacità di trovare gli sponsor, il sistema parte già con delle fondamenta molto sbagliate.

Gianni Savio e la Androni sono riusciti per primi a percepire un “premio di valorizzazione del talento”
Gianni Savio e la Androni sono riusciti per primi a percepire un “premio di valorizzazione del talento”
Nelle leghe professionistiche qual è l’impatto degli sponsor?

Al massimo nel bilancio del team rappresentano il 15%, noi invece siamo al 95%. Quindi mi chiedo perché vuoi limitare la mia capacità di creare profitto? Al momento tutto dipende esclusivamente dai soldi che io riesco a trovare all’interno del mercato e come io riesco a renderli redditizi attraverso il risultato.

Forse più che limitare i budget e la capacità di trovare risorse si potrebbe intervenire tecnicamente per evitare che una squadra abbia un accumulo di corridori con tanti punti?

La realtà dei fatti è che in questo momento tutto nasce dal fatto che abbiamo un fenomeno. Se togliessimo alla UAE Emirates il punteggio di Pogacar, alla fine tutte le classifiche e anche il numero delle vittorie sarebbero uguali, né più né meno che prima. C’è la balzana idea che la UAE stia ammazzando il ciclismo, io ho sempre ragionato in modo diverso, anche quando non avevamo un budget consistente. Noi dobbiamo dimostrare di essere capaci di fare, perché così quando arriverà il supporto economico, avremo tutte le basi per fare passi ulteriori. Credo che questo sia lo spirito con cui si debba affrontare il ciclismo attuale, perché lamentarsi degli altri che hanno più soldi è sempre comunque relativo. E poi forse occorre distinguere bene fra ciclismo professionistico e resto del movimento.

In che senso?

A mio parere la riforma andrebbe fatta a 360 gradi. Il ciclismo professionistico dovrebbe essere regolamentato attraverso un sistema molto simile alle leghe professionistiche, non possiamo essere sempre vincolati a regolamenti che poi devono andare bene per gli juniores, gli allievi e gli esordienti. Se si vuole definire uno sport professionistico, bisogna rifarsi ai parametri delle leggi del lavoro.

Richard Plugge, manager della Visma-Lease a Bike, ha più volte parlato di una Superlega per bypassare il blocco dell’UCI
Richard Plugge, manager della Visma-Lease a Bike, ha più volte parlato di una Superlega per bypassare il blocco dell’UCI
Credi sia possibile?

Quando nel 2005 è partito il ProTour, un minimo di forma strutturata era stata creata. Adesso si tratta di continuare a seguire quella linea, però come sempre tutto dipende dalle persone. Nel momento in cui ci sono le persone e ruoli di potere che hanno una visione di questo tipo, allora la cosa potrebbe anche nascere in tempi relativamente brevi. Nel momento in cui la visione è sempre vincolata al fatto che siamo lo sport del passaggio della borraccia, allora resteremo sempre al palo rispetto alla Formula 1, rispetto al tennis, rispetto all’NBA e alle altre leghe, nonostante abbiamo dei numeri di partecipazione elevatissimi.

Secondo Luca Guercilena un modello così ridisegnato rende più attrattivo il ciclismo anche per sponsor che dovessero entrare o darebbe più stabilità alle società?

Entrambe le cose. Ci sarebbe un modello che prevede un senso comune della creazione di profitto. Alla fine sarebbe un beneficio di tutti, per cui l’UCI potrebbe andare da grossi sponsor come Apple oppure Visa, proponendo di sponsorizzare il suo calendario, mettendo sul piatto l’unicità del gruppo e della sua narrativa. Ma siccome l’UCI prende i voti da tanti organismi diversi, federazioni e atleti, la sensazione è che gli interessi mantenere questa suddivisione e lotta interna tra organizzatori e squadre. Divide et impera, è sempre andata così.

Pensi che la Superlega auspicata da alcuni manager sia una soluzione possibile?

Secondo me ci sarebbero i margini di operare all’interno del frame dell’UCI, con dei regolamenti adeguati e accettabili, senza nessuna Superlega. Con un modello di business nuovo dove, ripeto, non si devono rubare i diritti agli organizzatori, ma creare nuovi sistemi perché tutti abbiamo profitto. Questo sarebbe lo sforzo reale e probabilmente tramite investitori esterni ci sarebbero anche i margini per poterlo fare. Però ripeto: se si vuole operare negli ambiti istituzionali, lo sforzo deve venire dall’istituzione. Dovrebbero capire loro per primi la portata della riforma.