La stagione 2024 di Lorenzo Nespoli si è chiusa in questi giorni con la partecipazione al Tour of Ya’an, una corsa dedicata ad elite e under 23 in Cina. Il corridore della MBH Bank-Colpack-Ballan-Csb è volato dall’altra parte del mondo quasi per gioco e si è trovato a gareggiare in un mondo completamente nuovo.
«L’occasione – racconta Nespoli – è nata dopo il campionato nazionale di cronometro a squadre del 12 ottobre. Ero in macchina con Davide Martinelli e lo ha chiamato Nicolas Marini, il quale gli ha detto se fossimo disponibili per andare a fare questa corsa in Cina. Scherzando ho detto che sarei andato io, anche da solo. Alla fine sono partito e sono qui con il team di Marini e Chen FangNing, la FreeNova-UpVine. Non ci sono compagni o staff, solamente io».
Lorenzo Nespoli ha vinto la prima gara del Tour of Ya’anLorenzo Nespoli ha vinto la prima gara del Tour of Ya’an
Viaggio di fine stagione
Quella di Lorenzo Nespoli è diventata così un’avventura di fine anno grazie alla quale ha scoperto un Paese che non conosceva e lo ha fatto correndo in bici. Una scelta coraggiosa e dettata dai suoi 20 anni.
«Ho preso questa cosa – ammette – come un viaggio nel quale scoprire un posto nuovo. Devo ammettere che mi è piaciuto davvero molto venire dall’altra parte del mondo. Siamo nella regione di Sichuan, precisamente a Chengdu: la città del panda gigante. E’ tutto completamente diverso, siamo immersi nella natura, il colore predominante è il verde degli alberi. Solo ogni tanto arriviamo in qualche città che sono però disperse».
Lorenzo Nespoli insieme ai ragazzi del team di Nicolas MariniUn’esperienza diversa che lo ha visto correre in un Continente nuovoLorenzo Nespoli insieme ai ragazzi del team di Nicolas MariniUn’esperienza diversa che lo ha visto correre in un Continente nuovo
Che corsa è stata questo Tour of Ya’an?
Non è una vera e propria corsa a tappe, tanto che non c’è una classifica. Sono diverse gare di un giorno messe tutte una dopo l’altra. Infatti le squadre corrono solo alcuni giorni, poi fanno una pausa e arrivano alla corsa successiva. Anche noi ci siamo fermati prima, mancano ancora tre giorni di gara ma abbiamo preferito smettere perché poi si finiva troppo lontano e tornare diventava difficile.
Le tappe, se così vogliamo chiamarle, come sono?
Molte piatte, a parte una con l’arrivo in salita. L’organizzazione è davvero super, difficile trovare evento del genere anche in Europa. Qui le strade chiudono per davvero, non gliene frega nulla del traffico bloccato. Con il senno di poi ammetto che è stato un bel modo per chiudere la stagione, tanto che qualche giorno da turista me lo sono anche concesso.
Nel 2024 Nespoli ha vinto la classifica dedicata ai GPM al Giro Next Gen (foto NB Srl)Nel 2024 Nespoli ha vinto la classifica dedicata ai GPM al Giro Next Gen (foto NB Srl)
Raccontaci che ciclismo hai scoperto…
Si partiva in un centinaio ogni giorno. Il livello medio è molto più basso però poi ci sono quei dieci, quindici corridori che hanno gareggiato in Europa che vanno forte. Ci sono tanti russi e ucraini molto preparati. Gli hotel sono davvero belli ed è tutto vicino, cosa un po’ strana visto quanto è grande la Cina. Però il trasferimento medio ogni giorno era di 30 minuti. Il cibo, invece, è molto diverso dal nostro e tutto piccante. Dopo qualche giorno ho iniziato a chiedere riso in bianco e uova.
In gruppo come ti sei trovato?
Si parla inglese, anche qualcuno che mastica l’italiano l’ho trovato (tra i partecipanti c’era anche Eduard Grosu che ha corso diversi anni nel nostro Paese, ndr). Nel team di Nicolas Marini ho trovato due ragazzi che parlano inglese, il resto invece conosce solo il cinese.
Nel 2025 toccherà a lui raccogliere l’eredità di Kajamini e Meris (foto NB Srl)Nel 2025 toccherà a lui raccogliere l’eredità di Kajamini e Meris (foto NB Srl)
Un modo particolare di chiudere un 2024 che ti ha visto crescere tanto.
Sento di essere andato bene nelle gare che erano adatte alle mie caratteristiche. Al Valle d’Aosta non ero in forma a causa di qualche problema di salute, ma per il resto ho corso al meglio. Anche nel finale di stagione andavo forte e ho conquistato degli ottimi piazzamenti. E’ mancato lo spunto in più per ritenermi totalmente soddisfatto, usando la testa avrei potuto raccogliere di più.
In che senso?
Mi è mancato un po’ di costanza nei risultati, mi serve maggiore organizzazione personale: come scegliere un obiettivo e arrivarci al meglio. Il 2025 sarà il mio anno, andranno via Kajamini e Meris, così in certe gare toccherà a me e Pavel Novak raccogliere i risultati. Quest’anno ho lavorato tanto per loro e mi è piaciuto. Ma so che nel 2025 tocca a me fare il passo in più.
Nespoli nel finale di stagione ha raccolto piazzamenti importanti, ma ora serve il salto di qualità (foto NB Srl)Nespoli nel finale di stagione ha raccolto piazzamenti importanti, ma ora serve il salto di qualità (foto NB Srl)
Cosa ti servirà?
Ne parlavano con Kajamini e Meris alla cena di fine stagione, ridendo dicevamo che sarà difficile vincere lo stesso numero di corse internazionali, ma si deve provare. Già dai primi ritiri, e nella fase di preparazione, dovrò concentrarmi bene e capire quali possono essere i miei obiettivi. La programmazione è tutto.
Prima nelle squadre ogni cosa passava dai diesse, ora quel ruolo sta cambiando. Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Martinelli incontrato alla Coppi e Bartali
Jakob Fuglsang qualche tempo fa ci disse di quanta Z3 si fa in gara e della sua necessità di tornare ad allenarsi a questa intensità che era quasi sparita. «I giovani – ci disse Fuglsang – fanno Z2 e fuori soglia. Mi sono adeguato, ma con me non ha funzionato. Pertanto sono tornato alla Z3, il vecchio medio». Un tema che meritava di essere approfondito.
Per farlo abbiamo chiamato in causa Domenico Pozzovivo,il quale oltre ad essere stato in gruppo fino a pochi giorni fa, vuole diventare un preparatore atletico di primo ordine. E il cammino lo ha già iniziato da un bel po’, visto che recentemente si è laureato in Scienze Motorie.
Z2 e Z3, zone di intensità aerobica e il loro impatto sulle performance in gara, dunque. E con Pozzovivo si discute in modo approfondito delle differenze tra questi approcci di allenamento, con riferimento specifico alla sua esperienza e alle necessità dei professionisti di oggi.
Per allenare la Z2 e la Z3 si devo fare uscite a ritmi non eccessivi, ma comunque costanti (foto Twitter)Per allenare la Z2 e la Z3 si deve fare uscite a ritmi non eccessivi, ma comunque costanti (foto Twitter)
Domenico, partiamo da quel che ci diceva Fuglsang. Qual è la situazione secondo te?
Dire che i giovani si allenano prevalentemente in Z2 è un po’ una forzatura. C’è spesso del “depistaggio” in certi racconti, perché ciascuno cerca di mantenere segreti i propri metodi di allenamento. Inoltre, le semplificazioni fanno comodo: quando qualcosa sembra facile, ci attrae subito. Sentiamo dire che Pogacar ha costruito le sue basi in Z2, e quindi si pensa subito che vada bene per tutti. Ma in realtà non è così. Anche i giovani ciclisti non si allenano solo in Z2.
Cosa s’intende per allenamenti in Z2 e Z3? Che utilità hanno?
L’intensità della Z2 è utile per alcuni ruoli specifici nelle squadre, soprattutto per chi deve controllare la corsa. Ad esempio, un corridore che guida il gruppo tenendo a bada le fughe nei primi chilometri ha bisogno di allenare molto la Z2 e anche la Z3. Questo perché gli serve mantenere un’intensità costante per non esaurire le risorse troppo in fretta. Tuttavia, allenarsi in Z2 non migliora direttamente la VO2 Max, anche se può aiutare indirettamente.
Nel senso che ci puoi costruire la famosa base?
Esatto, quella per poter eseguire al meglio i lavori più intensi e specifici per il VO2 Max.
Fisher-Black e Christen, due giovani… che tiravano. Come spiegava Pozzovivo per loro tanta Z2 e, in questo caso, Z3 bassaFisher-Black e Christen, due giovani… che tiravano. Come spiegava Pozzovivo per loro tanta Z2 e, in questo caso, Z3 bassa
Quindi quali sono i vantaggi principali dell’allenamento in Z2?
La Z2 serve soprattutto per ottimizzare il consumo dei grassi, che è l’aspetto principale di questa zona di intensità. Fino al limite della Z3, il carburante principale sono i grassi, quindi lavorare in questa zona aiuta a risparmiare glicogeno per le fasi più intense. Però, allenandosi solo in Z2, si rischia di perdere velocità e potenza anaerobica, e si può anche perdere un po’ di esplosività nei brevi sforzi.
E la Z3, invece, che ruolo ha?
La Z3 è un range piuttosto ampio e spesso si divide in “medio” e “medio-veloce.” Se si sta nella parte bassa, quella del medio, permette di affinare la biomeccanica della pedalata e di lavorare su aspetti come la cadenza e la potenza. Quando si arriva nella zona Z3 alta, o sweet spot, si ha già un vantaggio in termini di miglioramento della soglia, utile per le gare in salita e i cambi di ritmo.
Durante una gara, quanto tempo si passa effettivamente in Z2 e Z3? Qui ci riallacciamo a Fuglsang.
Dipende molto dalla gara. Prendiamo una corsa come l’ultimo Lombardia, ad esempio: nella parte pianeggiante, sfruttando l’aerodinamica cioè stando a ruota o ancora di più in coda al gruppo, si usa molto la Z2, come nel tratto tra la discesa della Roncola e l’inizio dell’ultima salita. Ma in salita, poi, si sale almeno in Z3, se non in Z4. Anche nelle discese non si è mai costantemente in Z2 poiché ci sono rilanci continui.
Per certi lavori la strumentazione elettronica è fondamentale (qui Battistella)Per certi lavori la strumentazione elettronica è fondamentale (qui Battistella)
Tu quanto allenavi queste zone?
La Z2, onestamente, molto poco. E forse l’ho trascurata troppo, anche per via della mia attitudine ad affrontare l’allenamento in modo intenso. Tendo a prediligere l’intensità, quindi la Z2 mi è sempre sembrata un po’ troppo “blanda.” Tuttavia, negli ultimi tempi ho rivalutato la sua importanza, soprattutto per l’ottimizzazione metabolica nei momenti in cui è necessario bruciare grassi e perdere peso.
Dunque anche la Z2 ha un suo ruolo specifico?
Sì, esatto. È fondamentale, ad esempio, in inizio stagione o quando si torna dopo una pausa per ottimizzare il metabolismo dei grassi. Allenamenti di lunga durata in Z2, le cosiddette sessioni fat maxsono utili anche se, per chi è abituato all’intensità, è difficile doversi “forzare” a mantenere un ritmo più blando.
Con Diego Bragato, supervisore tecnico della preparazione di tutte le nazionali azzurre, abbiamo analizzato la rifinitura dei pistard in vista delle Olimpiadi
Abbiamo chiesto a Paolo Slongo di leggere per noi la preparazione di Lenny Martinez. I volumi sono in linea con gli juniores, ma usa metodi troppo avanzati
Che cosa significa per una squadra avere un campione come Jonathan Milan, che vince su strada e anche in pista? Giorni fa Elia Viviani spiegava che l’interesse della Ineos verso le sue medaglie su pista – quella olimpica e quella dei mondiali – gli sia sembrato inferiore rispetto a Rio e Tokyo. Quasi che la squadra sia stata contenta di lasciargli lo spazio per prepararle, ma nulla più. Lo aveva già detto in precedenza Lefevere a proposito della rinuncia di Alaphilippe ai Giochi di Tokyo: le medaglie olimpiche non danno lustro ai club. E’ questo l’orientamento nel WorldTour? Lo abbiamo chiesto a Luca Guercilena, general manager della Lidl-Trek (in apertura eccolo insieme a Milan e Fabio Cannavaro ad un evento Trek alla partenza del Tour da Firenze, foto Instagram).
«Sicuramente a noi fa piacere dal punto di vista della performance – dice il milanese – perché se il ragazzo si dà degli obiettivi e li raggiunge, sicuramente acquisisce un livello superiore ed è un vantaggio per tutti. Poi se parliamo strettamente di cosa noi come team riusciamo a utilizzare quando ci sono risultati con la nazionale, in realtà devo dire ben poco. A prescindere dal valore assoluto dell’atleta, che poi comunque si ripercuote sui bilanci della società, abbiamo il grosso limite di non poter utilizzare le sue immagini. Alla fine in nazionale si corre con i materiali della nazionale e di conseguenza il beneficio reale è quasi zero se non, tra virgolette, deleterio».
Jonathan Milan ha conquistato l’oro dell’inseguimento agli ultimi mondiali, con tanto di record del mondoJonathan Milan ha conquistato l’oro dell’inseguimento agli ultimi mondiali, con tanto di record del mondo
Evviva la maglia azzurra, insomma?
Ovviamente è solo un discorso in termini di immagine e sponsorizzazione. Poi è ovvio che, se parliamo dal punto di vista strettamente sportivo, avere in squadra un atleta che ha fatto il record del mondo è un grandissimo vantaggio. Anzi, devo ammettere che eravamo tutti lì a seguire la corsa, perché volevamo che Jonathan ottenesse il suo risultato. Non posso negarlo, i rapporti con i tecnici della nazionale sono ottimi. Quindi è ovvio che il piacere di vedere un record del mondo da uno dei ragazzi che corre con noi, preparato dai nostri tecnici e seguito dai tecnici della nazionale in una collaborazione che porta al risultato, fa piacere. E poi da italiano, l’azzurro è sempre speciale.
Sapevate già al momento della firma che ci sarebbero stati dei giorni in pista?
Sì, la discussione è stata molto onesta. Sapevamo che per lui la pista era e probabilmente sarà qualcosa di importante anche per la strada. Sapevamo che aveva degli impegni che l’avrebbero portato via dalla strada per essere a disposizione della pista. Quindi, sebbene in qualche momento della stagione forse avremmo avuto necessità di averlo al 100 per cento sulla strada, visto che l’accordo era stato discusso in precedenza, lo abbiamo rispettato.
Dal prossimo anno la strada sarà la priorità: secondo te, da allenatore, le sue prestazioni ne trarranno vantaggio?
Diciamo che avrà un vantaggio nella misura in cui la preparazione sarà essenzialmente mirata a determinate corse. Quindi, soprattutto psicologicamente, non avrà altri obiettivi da raggiungere e questo sicuramente gli potrà creare un vantaggio. Più psicologico che fisico, sinceramente, perché alla fine preparare un’Olimpiade o una Coppa del mondo o un campionato del mondo su pista, sono soprattutto energie mentali.
Al primo anno con la Lidl-Trek, Milan ha vinto 11 corse: un risultato che non ha stupito GuercilenaAl primo anno con la Lidl-Trek, Milan ha vinto 11 corse: un risultato che non ha stupito Guercilena
Milan ha vinto su strada e ha vinto su pista, ha gestito bene queste tensioni…
Se facciamo il paragone con il 2024, è chiaro che per quanto tu possa cominciare la stagione focalizzandoti sulle classiche, sai che l’obiettivo principale è l’Olimpiade perché ce l’ha in testa e perché prevede anche preparazioni di tipo differente. Quindi psicologicamente è comunque un carico che gli atleti devono sopportare. E peraltro, all’interno di un ciclismo abbastanza esasperato, mantenere una tensione psicologica elevata per 12 mesi è molto impegnativo.
L’idea è che lui possa crescere? Viviani parlava di due anni prima delle prossime Olimpiadi per vincere la Gand e poi al Tour, per dimostrare di essere il velocista più forte del mondo…
Non parlerei della Gand, ma delle classiche in generale, perché secondo me Jonathan è un atleta che può fare molto bene anche nelle grandi classiche. Per quello che riguarda gli sprint, non è detto che per dimostrare di essere il velocista più forte al mondo debba andare al Tour. Alla fine secondo me il livello dei velocisti al Giro d’Italia era molto elevato e lui ha dimostrato di essere uno dei più forti, se non il migliore in assoluto. Ma non vedo la pressione all’interno dei due anni, perché credo che Jonathan sia giovane e abbia margini anche dopo Los Angeles. La valutazione di un atleta la fai sulla carriera. Per cui ci sono gli obiettivi a breve termine, che sicuramente possono essere identificati con la corsa singola. Però in assoluto un atleta viene ricordato per quello che ha vinto nell’arco della carriera. Per cui come squadra valutiamo più quello che un discorso a brevissimo termine.
Ti aspettavi di trovare un Milan già così vincente?
Sì, nel senso che quando abbiamo fatto un’analisi per capire chi fosse uno degli sprinter che avrebbe potuto crescere in modo esponenziale, sicuramente l’occhio è andato su di lui. Avevamo visto il suo percorso, già prima all’interno del Cycling Team Friuli, dove comunque Bressan fa sempre un ottimo lavoro con il suo gruppo. Allo stesso tempo quando è andato in Bahrain ha dimostrato ottime capacità. E poi non nego che Villa me lo avesse già detto…
Milan ha sempre avuto grandi mezzi in volata. Qui ha appena vinto a Rosà al Giro U23 e va al podio con Fabio BarontiMilan ha sempre avuto grandi mezzi in volata. Qui ha appena vinto a Rosà al Giro U23 e va al podio con Fabio Baronti
Che cosa ti aveva detto?
Me lo aveva segnalato ben prima dell’anno scorso, dicendo che era un ragazzo che stava crescendo in modo costante e che secondo lui avrebbe potuto fare il record del mondo dell’inseguimento. Questo me lo disse, credo, quattro anni fa. Non avevo la certezza, però quando vedi il percorso di un atleta – sai quanto ha lavorato e quanti sono i margini di miglioramento – le aspettative sono sicuramente alte.
Di fronte a uno così, ti viene ogni tanto la voglia di allenarlo tu in prima persona oppure c’è fiducia cieca nel suo allenatore?
Sì, assolutamente: fiducia cieca. Ormai è un po’ che sono fuori da certe dinamiche. Non dico che non sarei più in grado di allenare questa generazione di corridori, ma i sistemi di lavoro, gli indici e i software di analisi sono cambiati completamente. Avrei bisogno di un ringiovanimento cerebrale dal punto di vista della preparazione. Poi, come sempre, per chi come me ha fatto l’allenatore, il piacere di allenare un grande campione ci sarebbe sicuramente. Però bisogna anche essere consapevoli dei propri limiti.
Quindi guardi e basta?
Non nego che, come sempre, e non solo nel caso di Johnny, quando vedo qualcosa che secondo me può essere migliorato nella preparazione, ne parlo con il gruppo performance e magari cerco di fargli vedere quale potrebbe essere una fase successiva della pianificazione d’allenamento. Però poi ho pienissima fiducia nel suo e negli altri coach, anche perché hanno dimostrato essere molto capaci nel loro lavoro.
Villa lo voleva agli europei su pista, ma la Tudor U23 ha preferito vedere Sierra al primo ritiro prestagionale. Ma la doppia attività non è in discussione
Dopo aver letto le interviste a Chiappa, Guardini e Ceci, Villa ha qualcosa da dire. Le possibilità sono state date. E su giovani va cambiata la mentalità
Ai recenti Mondiali su pista la nazionale giapponese si è presentata con le nuove bici Toray con una grande particolarità. La corona e la pedivella dal lato opposto rispetto agli standard, a sinistra invece del normale posizionamento a destra.
Non è stata una novità in senso assoluto, perché questa soluzione (sviluppata con Vision) era già stata adottata sulle Felt del team USA nella disciplina del quartetto ad inseguimento. Venne utilizzata dal 2016 al 2020 e poi abbandonata ritornando al posizionamento standard. Ritorniamo sull’argomento grazie al contributo di Fabrizio Tacchino.
Mina Sato, medaglia d’oro agli ultimi MondialiMina Sato, medaglia d’oro agli ultimi Mondiali
Cosa ci puoi dire della corona spostata a sinistra?
Non è una novità, in quanto è una soluzione usata in precedenza dal Team Usa e quella bici ha vinto anche delle medaglie. E’ interessante sottolineare a mio parere quanto la pista e le bici da pista rimangono delle fucine per la ricerca con l’obiettivo di migliorare le performance. In ambito pista si è sempre sperimentato, ma una volta non c’erano i social e talvolta le cose passano inosservate.
Fabrizio Tacchino è un preparatore federale di lungo corso Fabrizio Tacchino è un preparatore federale di lungo corso
Secondo te ci sarebbe da valutare la bici nel complesso?
Si parla di una soluzione che è sicuramente al di fuori dei normali schemi, ma rientra in un progetto dove è tutta la bicicletta ad essere molto particolare. Ne è un esempio anche tutto l’avantreno che man mano che si sposta verso il basso si stringe. Significa che è stato fatto un grande lavoro anche sui mozzi, che sono più stretti e ovviamente è chiamata in causa anche la ricerca aerodinamica.
Il Team USA con le Felt, era il 2016Chloe Dygert nel 2019Il Team USA con le Felt, era il 2016Chloe Dygert nel 2019
E’ pur vero che oggi esistono molti più strumenti di analisi!
Molto è cambiato e la ricerca tecnologica ha fatto passi da gigante. Ci sono degli strumenti a disposizione che una volta erano impensabili. Oggi si studia, si analizza e ogni soluzione è frutto di una ricerca. I costi sono pazzeschi, ma questo è. Anni addietro si andava più per intuizione e in molti casi le vittorie erano il frutto, prima di tutto, di quello che faceva l’atleta. Non che oggi non lo sia, basti pensare a quanto è cambiata la preparazione, il modo di allenarsi, a come viene usata la forza, ma il mezzo meccanico aiuta non poco.
Torniamo alla corona a sinistra. Perché si usa?
Quando si è in pista si gira in senso anti-orario, con un livello aerodinamico non simmetrico. Si crea una sorta di effetto cono dove il migliore risultato si ottiene stando bassi. Questo effetto si è amplificato negli ultimi anni dove le velocità sono prossime ai 60/70 chilometri orari.
Stessa bici per il keirin e la guarnitura è LookStessa bici per il keirin e la guarnitura è Look
Ci può essere anche un vantaggio meccanico?
A mio parere un minimo vantaggio ci può essere. E’ legato al fatto che molti atleti partono con la gamba/piede di sinistra, un fattore che comunque si può allenare. Quindi nella fase iniziale di lancio si può sfruttare maggiormente il fattore motrice.
In fase di lancio e quando la bici è lanciata?
La valutazione dovrebbe essere complessiva, di tutta la bici. Con tutta probabilità la bici è leggermente più complicata da portare a regime di velocità ottimale, ma una volta raggiunto quest’ultimo il mantenimento può essere facilitato. Ci può essere anche un guadagno aerodinamico legato al fatto di una corona meno esposta, più protetta da telaio e forcella.
Gli stessi atleti, una volta in ambiente outdoor, potrebbero avere delle difficoltà ad usare una bici standard?
Direi di no, non se ne accorgono neppure. Può cambiare leggermente la fase di spinta all’inizio e quando si è in pista durante un esercizio massimale e specifico, altrimenti non si percepiscono differenze.
Kayia Ota, bronzo dietro Hoogland (argento) e Lavreysen (oro)Kayia Ota, bronzo dietro Hoogland (argento) e Lavreysen (oro)
C’è ancora spazio per le innovazioni?
Certamente, molto dipende dai limiti UCI e da quanto le aziende sono disposte ad investire in ricerca e sviluppo. Nel caso specifico del Team Japan hanno un partner tecnico di altissimo livello nello sviluppo del carbonio e la stessa squadra è da sempre propensa alle innovazioni. Il responsabile tecnico è Nakano, fortissimo ex pistard e specialista del keirin. Ha vinto 10 titoli mondiali, secondo me non è un caso.
Novità in vista per Davide Persico e Marco Tizza, due dei tre italiani (il terzo è Giacomo Villa) facenti parte della Bingoal WB, una delle principali squadre professional belghe. La formazione infatti cambia completamente faccia il prossimo anno. Tutto scaturisce dalla fusione con la Continental francese Philippe Wagner-Basin, il che, come sempre avviene in questi casi, comporta una profonda rivoluzione interna, i cui contorni si vanno definendo giorno dopo giorno.
Christophe Brandt, diesse della Bingoal, che ha spinto per la fusione con la squadra di Philippe WagnerChristophe Brandt, diesse della Bingoal, che ha spinto per la fusione con la squadra di Philippe Wagner
Nuova legge belga
La squadra sposterà la sua affiliazione in Francia, ma è ancora top secret il suo nome, legato alla scelta del principale sponsor e Persico spiega le ragioni di questo cambio: «In Belgio è passata una legge che di fatto impedisce a Bingoal, società di scommesse sportive, di legare il suo nome a una squadra come primo sponsor. Da questo è nato il contatto con la squadra francese».
Un cambio del genere, seppur certamente molto meno appariscente di quello ventilato lo scorso anno con la fusione tra Jumbo-Visma e Soudal poi rientrato, comporta molti cambiamenti. Bisogna fondere i due roster, fare una scrematura anche fra i due staff.
Il rischio obiettivo di perdere il posto c’era: «Noi italiani però – sottolinea Tizza – avevamo il contratto già per il 2025, quindi eravamo tranquilli. Lo zoccolo duro della squadra resterà quello della Bingoal, ma so che ci sono già cambiamenti e anche nuovi acquisti come il giovane belga Van Hautegem proveniente dalla Soudal e il francese Haquin».
La seconda piazza di Persico in Colombia, non senza polemiche, aveva lanciato il suo esordio da pro’La seconda piazza di Persico in Colombia, non senza polemiche, aveva lanciato il suo esordio da pro’
Convivenza con Barbier
Sicuramente confermato, o per meglio dire inglobato nella nuova squadra come elemento proveniente dalla Wagner, sarà PierreBarbier, francese ventisettenne quest’anno vincitore della classifica della Ronde de l’Oise e la cosa non dispiace a Persico: «E’ un buon velocista, consentirà alla squadra di diversificare gli obiettivi e a me non dispiace, avremo opportunità di correre insieme privilegiando chi nel dato appuntamento avrà le gambe migliori. Io sono pronto a lavorare per lui e so che farà lo stesso».
Questo però significa anche rimettere mano al “treno” e su questo aspetto Persico vede una buona opportunità riavvolgendo il nastro della sua ultima stagione: «E’ stata una buona annata considerando che era il mio primo anno fra i pro’. Avevo iniziato bene il Colombia, addirittura con una piazza d’onore e quella mi ha dato la giusta motivazione. Ho avuto un po’ un calo tra maggio e giugno ma poi mi sono ripreso e in Cina ho vinto la mia prima gara. Avrei avuto la condizione per vincere ancora ma non ci sono riuscito, a conferma che bisognerà lavorare ancora duramente con il team per costruire un treno di livello».
Persico vincitore di tappa al Tour of Qinghai Lake. In stagione anche 6 Top 10, bilancio da migliorarePersico vincitore di tappa al Tour of Qinghai Lake. In stagione anche 6 Top 10, bilancio da migliorare
Primo ritiro a dicembre
I cambiamenti in squadra impongono quasi di ripartire da zero: «Infatti inizieremo subito, già il primo ritiro di Calpe dall’8 al 17 dicembre sarà importante in tal senso. Servirà costruire un treno che funzioni e che mi porti più vicino al traguardo, ma su questo sono molto ottimista».
Anche Tizza da parte sua si avvicina alla nuova stagione con molte ambizioni non è un caso se la sua preparazione sia già iniziata: «Il mio 2024 era partito bene, avevo fatto anche buoni piazzamenti come alla Comunitat Valenciana, ma poi il citomegalovirus ha continuato a darmi problemi come lo scorso anno. Avevo una condizione fisica che andava su e giù. Nel finale di stagione finalmente sono guarito del tutto, è arrivata qualche buona prestazione ma io guardavo già al prossimo anno, non vedo l’ora che arrivi».
Per Tizza due quinti posti al Pantani e al Matteotti. Il lombardo vuole ritrovare la vittoria che manca dal 2019Per Tizza due quinti posti al Pantani e al Matteotti. Il lombardo vuole ritrovare la vittoria che manca dal 2019
Tizza, “Cicerone” per gli italiani
Il corridore di Giussano è stato fondamentale per i suoi compagni italiani, avendo già lunga esperienza all’estero: «Facevo loro un po’ da Cicerone, ma è così un po’ con tutti, vengono da me per consigli, anche per fare da mediatore con la società. Io sono molto socievole, una battuta spesso stempera la tensione. Il cambio di team non mi spaventa, lo sapevamo già dall’estate ed eravamo consci che non rischiavamo nulla. Credo anzi che ci darà nuove opportunità, ad esempio di calendario, con corse più prestigiose».
Tizza aveva iniziato bene alla Volta a la Comunitat Valenciana, con un 7° postoTizza aveva iniziato bene alla Volta a la Comunitat Valenciana, con un 7° posto
Tornare a vincere
Proprio per questo il lombardo sa qualcosa di più in merito alla fusione: «Il nocciolo della squadra resta quello belga, i francesi metteranno dentro un paio di direttori sportivi, un preparatore e soprattutto corridori francesi giovani che avranno l’opportunità di farsi le ossa. Io continuerò a fare un po’ il regista in corsa, ma non nascondo di avere anche altre ambizioni. Molti ad esempio mi hanno fatto i complimenti per la Coppa Agostoni, ma alla fine sono tornato a casa con un piazzamento e qualche punto, nulla più. Alla mia età i piazzamenti contano poco, io voglio tornare a vincere perché so di poterlo fare, di averne tutte le capacità e voglio sbloccarmi. Sto lavorando per quello…».
Sempre più spesso sentiamo parlare di “Fat Max” nel campo della preparazione atletica, non solo nel ciclismo ma anche in altri sport di endurance, come ad esempio la maratona. Ma cos’è esattamente la Fat Max? A cosa serve? Di base, si può definire come quell’intensità di esercizio alla quale il corpo raggiunge il massimo tasso di ossidazione dei grassi, cioè il punto in cui si brucia la maggior quantità di grassi come fonte di energia.
Per capire meglio, ne abbiamo parlato con il dottor Andrea Giorgi della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè. Giorgi è la persona più indicata per affrontare questo tema sia perché è medico sia perché è anche un preparatore atletico (in apertura foto @GabrieleReverberi).
Il dottor Andrea Giorgi Il dottor Andrea Giorgi
Dottor Giorgi, può spiegarci cos’è esattamente la Fat Max?
La fat max è un concetto legato agli sport di endurance, dove l’energia proviene principalmente dall’ossidazione dei grassi e degli zuccheri, i nostri “carburanti” per sostenere lo sforzo. I grassi rappresentano una riserva energetica molto ampia nel corpo. Questa riserva è distribuita nel tessuto adiposo sottocutaneo, nei muscoli e nel sangue, particolarmente utile per le attività a bassa intensità e di lunga durata.
E quindi, per i ciclisti?
Negli atleti, i grassi ossidati provengono principalmente dai depositi intramuscolari. Questo è un adattamento specifico all’allenamento: in una persona non allenata, il corpo utilizza principalmente i grassi in circolazione, mentre l’atleta riesce a sfruttare meglio quelli intramuscolari. La particolarità della fat max è che rappresenta il punto massimo di ossidazione dei grassi durante l’attività fisica.
La Fat Max si verifica a un’intensità specifica?
Esattamente. La fat max indica l’intensità alla quale si raggiunge la massima ossidazione dei grassi come fonte di energia, generalmente tra il 65 per cento e l’80 per cento del VO2max per gli atleti, con valori variabili a seconda del grado di allenamento. Oltre questo punto, si attiva il cosiddetto “punto di crossover”, dove il corpo inizia a ossidare più carboidrati e meno grassi man mano che l’intensità aumenta. Gli atleti più allenati riescono a mantenere un elevato consumo di grassi anche a intensità maggiori, ottenendo così un vantaggio nelle attività di endurance.
Secondo Giorgi, Pogacar avrebbe un livello di fat max elevatissimo. «Quando lui viaggia con i grassi, gli altri sono già ai carboidrati»Secondo Giorgi, Pogacar avrebbe un livello di fat max elevatissimo. «Quando lui viaggia con i grassi, gli altri sono già ai carboidrati»
Come si allena la fat max?
Per allenare la fat max bisogna identificare la zona di “crossover” tramite test specifici, come quelli che misurano il consumo di ossigeno e il quoziente respiratorio (QR), ovvero il rapporto tra anidride carbonica prodotta e ossigeno consumato. In genere, quando il QR è intorno a 0,7, la maggior parte dell’energia proviene dall’ossidazione dei grassi.
È chiaro…
La fat max si allena tramite sessioni a bassa intensità da 90′ in su, che migliorano l’efficienza mitocondriale nei muscoli a fibra rossa, grazie alla presenza di mitocondri che ossidano i grassi. Tuttavia, è altrettanto importante eseguire anche allenamenti ad alta intensità per migliorare la qualità muscolare e il numero di mitocondri. Si parla spesso di diete low-carb o chetogeniche per favorire l’ossidazione dei grassi, ebbene queste possono effettivamente aumentare la capacità di ossidazione lipidica, ma riducono la capacità di utilizzare i carboidrati ad alte intensità, rendendo più difficile mantenere l’intensità elevata negli allenamenti. La chiave è trovare un equilibrio tra l’uso dei grassi come carburante a lungo termine e l’efficienza con i carboidrati durante sforzi più intensi.
In pratica, brucio i grassi ma vado più piano…
Esatto. In assenza di fonti di energia immediatamente disponibili, come i carboidrati, si perde in prontezza energetica.
Yeman Crippa è il primatista italiano della maratona. Anche per i podisti di lunghe distanze come lui il lavoro sulla fat max è centrale (foto Grana/Fidal)Yeman Crippa è il primatista italiano della maratona. Anche per i podisti di lunghe distanze come lui il lavoro sulla fat max è centrale (foto Grana/Fidal)
Ma allora perché si insiste così tanto sulla Fat Max e allo stesso tempo si parla della necessità di introdurre 100-120 grammi di carboidrati all’ora?
Perché, durante la corsa, i carboidrati sono essenziali per ottenere prestazioni ottimali alle alte intensità.
Una curiosità: una grande capacità di Fat Max è importante anche nella maratona?
Sì, per lo stesso motivo dei ciclisti. Va considerato che mediamente i podisti hanno un VO2max leggermente più alto dei ciclisti e quindi una fat max a frequenze cardiache più alte. Tuttavia, il riferimento nella maratona è solitamente il ritmo corrispondente ai 2 millimoli di lattato, un livello che l’organismo riesce a smaltire senza accumulo. Se un atleta riesce ad aumentare questa soglia di fat max, potrà mantenere una “velocità di crociera” più elevata e risparmiare energie per il finale (ricordiamo inoltre che oggi anche nella maratona si utilizzano integratori di carboidrati liquidi, che permettono di sostenere ritmi ancora più elevati: il mix di cui diceva Giorgi ndr).
MILANO – Il velodromo Vigorelli si nasconde tra i palazzi e le vie della città, quasi come se non volesse essere trovato. La sua struttura, antica e colma di storia, accoglie sullo sfondo i grattacieli di City Life una delle parti più moderne di Milano. Un contrasto, quasi una beffa al nuovo che avanza. Come a dire: «Nessuno riuscirà a spostarmi». Ma nei suoi 90 anni di storia, festeggiati il 28 ottobre scorso, i momenti in cui questo gigante ha vacillato sono stati molti. La pazienza e l’amore di poche persone, ora diventate sempre di più, ha permesso a Milano di non perdere il simbolo di un ciclismo che era e che vuole essere.
Nel giorno del suo novantesimo compleanno il Vigorelli apre le porte al pubblico e agli appassionati, raccontando la sua storia attraverso chi quelle assi di legno le ha viste passare veloci sotto i propri occhi. La serata inizia con un aneddoto, raccontato da Davide Peverali, presidente del Comitato Velodromo Vigorelli.
«In realtà gli 80 anni del velodromo – spiega con fare divertito – li abbiamo festeggiati 9 anni fa. Non perché non sappiamo fare i calcoli, ma perché nel curiosare sugli archivi del Corriere della Sera, alla ricerca di dati e statistiche, ci siamo imbattuti in un articolo sull’inaugurazione del Vigorelli, datato 28 ottobre 1934. Fino a quel momento la data ufficiale era 28 ottobre 1935. Invece in quell’anno sono arrivate le prime gare».
Il Vigorelli è noto per le sue curve con pendenze da capogiro, pedalarci sopra è un vero allenamento (foto Instagram)Il Vigorelli è noto per le sue curve con pendenze da capogiro, pedalarci sopra è un vero allenamento (foto Instagram)
Da Roma a Milano
Il parquet utilizzato per realizzare la pista del Vigorelli arriva direttamente da Roma dove nel 1932 si svolsero i campionati del mondo su pista.
«Come accade spesso per le grandi manifestazioni – dice Davide Peverali – il parquet realizzato per le prove su pista rimase inutilizzato. Così il comune di Milano acquistò, per 100.000 lire, la pista per inserirla all’interno del Vigorelli, che in quegli anni stava venendo alla luce. Ci si rese conto però che le misure delle strutture non combaciavano perfettamente, così gli ingegneri furono costretti ad accorciare il rettilineo di un metro e alzare le curve. Questo diede origine alla caratteristica che ha reso il Vigorelli famoso in tutto il mondo: ovvero la pendenza delle curve».
«La prima gara – ricorda il presidente del Comitato – fu disputata nel marzo del 1935. A vincere fu Albert Richter, pistard tedesco che su quello stesso parquet aveva vinto l’oro mondiale nella velocità. Una specie di fil rouge per dare continuità a questo legno e alla sua storia».
Ecco in quartetto di Roma in azione, questa gruppo nacque grazie all’esordio di Vigna al VigorelliNel velodromo milanese Fausto Coppi realizzò il Record dell’Ora nel 1942 (foto Farabola)Ecco in quartetto di Roma in azione, questa gruppo nacque grazie all’esordio di Vigna al VigorelliNel velodromo milanese Fausto Coppi realizzò il Record dell’Ora nel 1942 (foto Farabola)
Le parole di chi è passato
Il legno e i muri del Vigorelli hanno accolto campioni di epoche passate e recenti. Dal Record dell’Ora di Fausto Coppi alle gare settimanali che vedevano contrapporsi i ciclisti più forti al mondo. Qui sono stati costruiti anche i momenti importanti del quartetto olimpico di Tokyo del 2021. Al Vigorelli sbocciò anche il talento di Marino Vigna, uno dei ragazzi che vinse l’oro olimpico a Roma nel 1960. Esattamente 61 anni prima dell’ultima volta, quando toccò a Ganna, Consonni, Milan e Lamon.
«Vivevo a un chilometro dal Vigorelli – racconta Marino Vigna, intervenuto nella serata dei 90 anni del velodromo – e c’era un evento che negli anni diventò importante per il pubblico della pista: il Mercoledì del Dilettante. Che poi tanto dilettanti non erano visto che partecipavano campioni del mondo e ori olimpici. La prima volta che misi le ruote su questo parquet fu nel 1956, gareggiai in una gara a handicap. Consisteva in partenze con ordini invertito rispetto alla classifica. Il più scarso per primo e poi dietro quelli forti. Io ero davanti a tutti visto che su pista non avevo mai corso, fatto sta che partimmo e non mi presero più – dice ridendo – una prestazione che diede inizio alla mia carriera di pistard. La mia convocazione alle Olimpiadi di Roma del 1960 nacque proprio dal parquet del Vigorelli, nella mia città».
Il Comitato Velodromo Vigorelli ha riavvicinato i ragazzi alla pista (foto Instagram)Nel 2024 i giovani iscritti alla scuola di ciclismo sono in totale una ventinaIl Comitato Velodromo Vigorelli ha riavvicinato i ragazzi alla pista (foto Instagram)Nel 2024 i giovani iscritti alla scuola di ciclismo sono in totale una ventina
Il futuro
Non esiste solamente il legame con il passato però, il Vigorelli dopo anni difficili è tornato a vivere e ad accogliere giovani ciclisti. E’ nata una scuola di ciclismo e nel tempo è diventato anche centro federale pista, con l’intento di veder tornare a girare gli atleti in maglia azzurra.
«Il 2024 – conclude Davide Peverali – è stato un anno zero con tanti progetti in erba. La scuola di ciclismo, rivolta ai più piccoli, accoglie bambini dai 3 ai 10 anni e li introduce in questo mondo. Inoltre come centro pista contiamo su una cinquantina di tesserati e rispetto al 2023 abbiamo aumentato i giorni di apertura della pista, passando da due a quattro. Vorremmo che il prossimo anno fungesse da trampolino di lancio per riuscire a risollevare definitivamente il Vigorelli. Il nostro staff, guidato da Beppe Ravasio direttore tecnico del centro pista, è a disposizione e lavora in maniera incredibile. Portare i ragazzi e i team giovanili qui è un modo per continuare la storia di questo velodromo regalando a ciclisti di domani un palcoscenico unico».
Un compleanno che ha voluto testimoniare la forte storia di un talismano della città, vissuta attraverso le parole di chi c’era. Sarebbe stato bello che alla serata avessero preso parte anche quei bambini della scuola di ciclismo, per sentire dalle loro giovanissime voci cosa significhi per loro girare nel Vigorelli. Un posto del quale non conoscono la storia, e non sono obbligati a farlo. D’altronde è compito di chi c’era appassionare con le proprie parole coloro che ora vivono questa realtà, ma con lo sguardo volto al futuro. Così che tra 90 anni saremo ancora qui ad ascoltare nuove storie, raccontate da chi ora inizia a muovere i primi passi su questa pista.
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Ricordate l’incidente occorso a Francesco Galimberti al Giro di Romagna e tutto quello che ne seguì? A sei mesi di distanza il 23enne brianzolo della Biesse-Carrera ha annunciato il suo definitivo ritiro dal ciclismo per le gravi conseguenze di quello scontro.
Facciamo un rapido salto indietro allo scorso 21 aprile, giorno della classica romagnola in cui corrono professionisti e team continental. A Castrocaro Terme sfreccia e trionfa Morgado del UAE Team Emirates, mentre ad una manciata di secondi sta per arrivare un altro gruppetto di uomini in lizza per completare la top ten. A 250 metri dal traguardo, con lo sprint ristretto lanciato, una moto delle riprese televisive è ferma in un punto in cui non può e non deve stare. L’impatto è violento, Galimberti e Mikel Iturria della Euskadi non riescono ad evitarlo e finiscono all’ospedale con diverse fratture. E, purtroppo, con un amarissimo presentimento che fa più male delle stesse botte: quello di non poter più correre.
Tragedia sfiorata. Lo sprint per la top ten è lanciato, ma c’è una moto-tv che non dovrebbe esserci. Cadono in tanti, Galiberti si rompe il femore in più puntiMorgado vince il Giro di Romagna in volata, pochi istanti dopo succede il guaio nel gruppetto degli inseguitoriTragedia sfiorata. Lo sprint per la top ten è lanciato, ma c’è una moto-tv che non dovrebbe esserci. Cadono in tanti, Galiberti si rompe il femore in più puntiMorgado vince il Giro di Romagna in volata, pochi istanti dopo succede il guaio nel gruppetto degli inseguitori
Sogno infranto
Siamo tornati sugli effetti generati da quell’episodio per capire gli stati d’animo attraversati da Galimberti in questi mesi. Vale la pena ricordare che ci sono in atto un paio di cause. Una penale contro ignoti, come vuole la prassi in casi simili, per stabilire l’entità del danno subito ed individuare il responsabile dell’accaduto, anche se la dinamica è inequivocabile. L’altra invece legale per determinare il risarcimento. Per un assurdo scherzo del destino il suo passaggio tra i pro’ si sarebbe materializzato proprio nei giorni in cui ha dato l’addio.
«Da allora ad oggi – racconta Galimberti – il mio avvocato sta lavorando a queste due pratiche, che non saranno certo brevi, anche per conto di Iturria visto che il suo avvocato spagnolo non può esercitare in Italia. Mikel aveva riportato le fratture di tibia, clavicola e soprattutto di vertebre rischiando di restare paralizzato. In seguito a questo incidente anche lui è stato costretto ad abbandonare l’attività. Tuttavia come mi diceva, lui ha 32 anni e la sua carriera tra i pro’ l’ha fatta per tanti anni, riuscendo a vincere una tappa alla Vuelta nel 2019 (unica sua affermazione, ndr). Invece io ho visto svanire in un attimo il sogno di una vita.
«Prima del Giro di Romagna – va avanti Francesco non senza farsi trasportare da una plausibile emozione – stavo molto bene. Avevo fatto un bel Giro d’Abruzzo in mezzo ai pro’ e qualche giorno dopo ho raccolto i frutti di quella condizione vincendo in solitaria il Gran Premio di Pontedera. Era anche la prima vittoria stagionale della Biesse-Carrera ed eravamo tutti felici. In quel periodo avevo già contatti avviati con Polti-Kometa e VF Group Bardiani CSF Faizanè, ma nessuna firma in pre-accordi o robe simili. Avevo una grande motivazione, tant’è che rispetto agli altri anni ero entrato in forma molto presto, che per uno scalatore come me era un gran bel segnale. Poi è successo quello che è successo e addio».
Galimberti ha svolto un corso in un istituto di Milano per diventare meccanico di bicicletteFrancesco inizierà a lavorare nell’officina di Cicli Motta, storico negozio di Biassono a pochi chilometri da casa suaGalimberti ha svolto un corso in un istituto di Milano per diventare meccanico di bicicletteFrancesco inizierà a lavorare nell’officina di Cicli Motta, storico negozio di Biassono a pochi chilometri da casa sua
Dura da metabolizzare
Diventa tutto più difficile accettare la cruda realtà, specie se ti si presenta alla porta così, abbattendola. L’iter burocratico farà il suo corso, ma intanto Galimberti ha dovuto fare fronte all’aspetto psicologico, non solo alla convalescenza fisica.
«Nello scontro – spiega – mi ero rotto il femore in diversi punti. La frattura si era rinsaldata bene, ma aveva provocato una serie lesione al nervo sciatico che mi impossibilitava di tornare a salire in bici, non solo a correre. Ho fatto diverse visite e gli esiti sono stati chiari. Perché il nervo sciatico torni ad essere come prima occorre minimo un anno e mezzo fino ad un massimo di cinque. Avete presente cosa significhi questa tempistica nel ciclismo attuale? Sarebbe stato un periodo troppo lungo ed incompatibile con i ritmi di adesso. Voleva dire correre fino ad inizio 2026 per recuperare il terreno perso. Senza poi avere la certezza di poter passare pro’ o di altro in generale.
A metà aprile Galimberti trionfa a Pontedera dopo essere uscito dal Giro d’Abruzzo in mezzo ai pro’ con una grande condizione (foto italiaciclismo.net)A metà aprile Galimberti trionfa a Pontedera dopo essere uscito dal Giro d’Abruzzo in mezzo ai pro’ con una grande condizione (foto italiaciclismo.net)
«E’ stato un colpo duro da assorbire – continua Galimberti – e l’ho superato solo parlando, pensando e piangendo tanto. La cosa che mi dà più fastidio è che io ho dovuto mettere fine alla mia carriera per un errore di chi fa quello di mestiere da tantissimi anni. In quel frangente ci stavamo giocando un ottavo posto di assoluto prestigio, almeno per me. Mi hanno detto che probabilmente quella moto non ha superato la linea del traguardo per non prendere 200 franchi svizzeri di multa dall’UCI. E poi guardate che guaio è venuto fuori. In gara c’erano grandi corridori come Morgado, Del Toro o Baroncini. Se fosse capitato a loro, cosa sarebbe successo nel frattempo ai responsabili? Mi spiace anche che finora nessuno abbia pensato di chiamarmi o mandare un messaggio per chiedermi scusa o semplicemente per parlarmi. Però guardo oltre adesso».
Nuova vita
Un vecchio adagio dice che quando si chiude una porta si apra un portone. Il ciclista per indole tende sempre a guardare il bicchiere mezzo pieno e forse Galimberti è già entrato nella fase successiva. E’ giovane e nel suo futuro c’è il ciclismo sotto altre forme.
«In queste ultime settimane – conclude – ho fatto un corso professionale di cento ore presso la Bicycle & Business Academy, un istituto di Bovisio Masciago per diventare meccanico di biciclette. Mi è sempre piaciuto e credo di avere un giusto colpo d’occhio o orecchio per vedere o sentire i vari problemi. Inizierò a lavorare presso Cicli Motta, un negozio storico di Biassono, che sta per cambiare gestione. Cercavano un dipendente per l’officina e mi hanno offerto subito un contratto. Sono contento perché mi serviva pensare ad altro. Contemporaneamente proseguirò anche gli studi universitari di ingegneria informatica, avendo più tempo per dare tutti gli esami. E chissà che un domani non possa vivere un’esperienza in una formazione professionistica. Al momento la mia idea è quella di restare nell’ambiente, anche se non nel modo in cui pensavo io».
Biesse-Carrera impeccabile
Nel tourbillon di questa vicenda, ne esce parte lesa anche la Biesse-Carrera. L’incidente al Giro di Romagna ha privato il team continental di uno dei suoi migliori corridori. Galimberti da quel giorno non ha più riattaccato il numero sulla schiena ed anche per i suoi tecnici non è stato un colpo facile.
«Abbiamo avuto un grave danno – analizza Dario Nicoletti, uno dei due diesse assieme a Marco Milesi – in termini tecnici e qualitativi. Francesco era maturato tanto ed era diventato consapevole dei propri mezzi. Era partito molto forte e dopo la vittoria a Pontedera sono certo che si sarebbe tolto altre soddisfazioni perché garantiva anche una continuità di rendimento veramente pazzesca».
La Biesse-Carrera ha pagato lo stipendio a Galimberti sino a fine stagione nonostante non sia più salito in bici (foto ExtraGiro)La Biesse-Carrera ha pagato lo stipendio a Galimberti sino a fine stagione nonostante non sia più salito in bici (foto ExtraGiro)
Dopo il recupero, visto che correva Lorenzo il suo gemello, Francesco è stato coinvolto dalla sua squadra in alcune gare come accompagnatore, in cui dava i rifornimenti ai suoi compagni. Nicoletti sa che il suo ragazzo ha passato momenti duri e hanno cercato di aiutarlo come meglio potevano.
«Anzi, ci teniamo a dire che il nostro patron Bruno Bendoni ha avuto una sensibilità ed una correttezza uniche. Fino alla scadenza del contratto, ha garantito il pagamento dello stipendio a Francesco nonostante non fosse più tornato in bici. Sappiamo che non è sempre così scontato. Peccato che dopo questo incidente nessuna associazione di categoria o di corridori sia fatta sentire per dare il proprio sostegno o solidarietà».
La speranza è che questa storia, sia ora sia quando finirà il proprio percorso giuridico, insegni qualcosa di importante per il futuro, suggerendo comportamenti meno rischiosi a chi si muove in gruppo e regole (e sanzioni) più severe per chi continuasse con certi comportamenti.
Ben O’Connor è una delle belle conferme di questa stagione. L’australiano della Decathlon-Ag2R è stato autore di due ottimi grandi Giri, tanto da salire sul podio alla Vuelta. E un altro podio di quelli importanti lo ha conquistato al Mondiale in Svizzera.
Ora O’Connor è atteso a un grande salto: l’approdo nella Jayco-AlUla, team australiano come lui. Un team che, tra l’altro, si sta formando attorno a lui, con l’ingaggio di tanti ottimi corridori. Per questo ci chiediamo, anzi lo domandiamo al team manager Brent Copeland, se è già lecito parlare di “blocco O’Connor”.
Copeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco qui (da sinistra) Zana, Dunbar e PlappCopeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco Dunbar e Plapp, per esempio
Brent, insomma arriva O’Connor: un acquisto di peso per il suo team…
In realtà, O’Connor ci piaceva da tempo, già da quando era nel team sudafricano Dimension Data: si vedeva che aveva talento, specie per i grandi Giri.
Come è arrivato da voi? Come è andata la trattativa?
Quando Simon Yates ci ha comunicato che avrebbe cambiato squadra, abbiamo dovuto muoverci subito per sostituire un atleta così importante. Ben era libero, e l’ho contattato subito. Abbiamo iniziato a parlare, ci siamo scambiati idee, e anche lui aveva piacere di cambiare. Certo, la Decathlon-Ag2R non era contenta che andasse via, ma capiva il motivo di questa scelta. Io sono contento. O’Connor ha dimostrato di saper affrontare la pioggia al Giro d’Italia, il caldo alla Vuelta e il freddo al Mondiale. Gli ultimi risultati gli hanno dato molta fiducia.
È un leader?
Lo diventerà. Bisogna essere realistici: non è ancora allo stesso livello di un Pogacar o di un Vingegaard, e scontrarsi con questi campioni non è facile. Però può fare belle corse, dare spettacolo, ottenere risultati.
Quest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformatoQuest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformato
La sua squadra sta cambiando molto. Ha ormai un gruppo solido per le corse a tappe: possiamo parlare di un gruppo “grandi Giri” per O’Connor?
Ci stiamo lavorando. Già dopo il Lombardia ci siamo ritrovati per tracciare una prima bozza del programma. Di certo, accanto a lui ci saranno Gamper e Bouwman, gente di esperienza che ha lavorato con grandi capitani. E poi c’è Zana, che bisogna capire bene come “collocare”. Abbiamo Luke Plapp… Insomma, sì, abbiamo parecchi corridori validi per i grandi Giri e costruire una squadra solida.
Pensiamo anche a un altro nuovo arrivato, Double, o a Dunbar…
Sì, per loro vale lo stesso discorso di Zana. A metà novembre, in accordo con i preparatori, vedremo i percorsi, definiremo i programmi e, nel ritiro di dicembre, lo comunicheremo ai corridori.
In cosa O’Connor può migliorare con voi?
In molti aspetti. Sicuramente a crono. Con Marco Pinotti potrà fare grandi progressi, e Marco ha già iniziato a lavorare su questo. Poi credo che servano obiettivi chiari per i grandi Giri: sapere cosa si può davvero ottenere e farlo sentire leader.
Copeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con PinottiCopeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con Pinotti
Ecco, farlo sentire leader: un corridore australiano in un team australiano che, tra l’altro, lo ha voluto fortemente… questo può fare la differenza?
Può dargli “confidence” e potrà acquisirla non tanto per la nazionalità, ma per l’ambiente che troverà. Un inglese può trovarsi bene in un team italiano e viceversa… se l’ambiente è quello giusto per lui. Noi, per rendere l’ambiente ideale, dobbiamo metterlo nelle condizioni di svolgere al meglio il suo lavoro. Poi, certo, una certa mentalità e un linguaggio comune possono agevolare l’inserimento e rendere tutto un po’ più semplice.
Magari, se si sente più sicuro, anche i suoi alti e bassi e la fiducia in se stesso potranno migliorare. Quest’anno Ben ha fatto passi da gigante in questo senso…
Mentalmente è migliorato moltissimo e ha imparato tantissimo quest’anno. È stato l’unico al Giro a provare a tenere Pogacar. Era la tappa di Oropa, ricordate? Poi ha pagato lo sforzo, è vero, ma si è reso conto dell’impresa. Ha provato. E infatti poi non ha più commesso lo stesso errore. Alla Vuelta ha corso da leader. Ha tenuto la maglia rossa a lungo e ha gestito la squadra da primo in classifica. Forse anche lui pensava di cedere prima, e invece ha capito le sue qualità. Qualità che ha scoperto di avere anche nelle gare dure di un giorno.
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