Fantini, gli ori juniores in pista e la Solme-Olmo che lo aspetta

11.11.2024
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Un primo assaggio da U23 lo ha fatto quarantotto ore fa nel trevigiano a San Biagio di Callalta per conoscere la Solme-Olmo, sua prossima formazione. Cristian Fantini lascia gli juniores per saltare nella nuova categoria portandosi in dote le medaglie d’oro europea e mondiale nell’inseguimento a squadre.

I due titoli internazionali dell’estate si sono aggiunti alle due affermazioni su strada ottenute in primavera con la maglia del Pedale Casalese Armofer. Il diciottenne reggiano si è attirato le attenzioni di tanti osservatori senza avere gli stessi riflettori sotto cui erano finiti altri suoi colleghi. E probabilmente è stato un bene per Fantini perché ha potuto correre con meno pressioni, anche se comunque una proposta importante per il 2025 era arrivata dai “vicini di casa” di Cavriago. Infatti la VF Group Bardiani CSF Faizanè lo avrebbe voluto far passare pro’ integrandolo al suo gruppo dei giovani, però alla fine non se n’è fatto nulla. Un’operazione solo rimandata che solo il tempo dirà e che tuttavia lo stesso Cristian dovrà guadagnarsi attraverso la Solme-Olmo.

Fantini con Gian Pietro Forcolin, presidente della Solme-Olmo. La carriera U23 del giovane reggiano inizia dal team trevigiano (foto Photors.it)
Fantini con Gian Pietro Forcolin, presidente della Solme-Olmo. La carriera U23 del giovane reggiano inizia dal team trevigiano (foto Photors.it)

Il suo compagno

Il nome di Fantini è sempre stato uno di quelli da seguire fin dagli esordienti. Almeno un sigillo a stagione lo ha sempre piazzato e quest’anno ha fatto un grande step in avanti. Assieme a Magagnotti, Costa, Sporzon e Stella ha conquistato l’europeo a Cottbus e il mondiale a Luoyang col quartetto facendo fermare il cronometro, proprio nel velodromo cinese, a 3’51”199 per uno straordinario record del mondo. Il suo compagno Stella, il più duttile in pista, dopo quel trionfo ha speso parole gratificanti nei suoi confronti.

«Posso dire che Cristian è stata la nostra sorpresa. A inizio stagione so che c’era qualche dubbio sui suoi requisiti. Era meno performante degli altri, ma il cittì Salvoldi ha continuato a crederci e lui è venuto fuori al momento giusto. O lui o Magagnotti erano quelli deputati a chiudere le nostre prove».

Il suo mentore

Se il cittì azzurro ha continuato a crederci lo deve anche ai riscontri avuti da Luca Colombo, diesse di Fantini. L’ex iridato della cronosquadre ha instaurato un rapporto sincero e profondo con i suoi atleti, specialmente se questi pensavano di aver già dimostrato qualcosa oppure non si applicavano al meglio delle loro potenzialità.

«Con Cristian – spiega Colombo – ammetto che non sono stato tenero a volte, ma l’ho sempre fatto per il suo bene. L’ho sempre reputato un corridore con ampi margini di crescita e ho sempre creduto in lui, tant’è che lo seguivo da tanti anni. Fisicamente c’è, però deve maturare ancora come atleta e come persona. Come è giusto che facciano con pazienza quelli della sua età. Personalmente per il 2025 non lo ritenevo ancora pronto per il salto tra i pro’ (curiosamente sarebbe stato il secondo reggiano della VF Group dopo Biagini, altro ex juniores del Pedale Casalese, ndr). Credo che nella Solme-Olmo troverà l’ambiente e le persone giuste per crescere in modo più graduale. Poi ovvio che spero di vederlo passare nel giro di poco».

Tra Fantini e Colombo c’è un rapporto forte e sincero. La crescita del ragazzo è passata attraverso i consigli del diesse piacentino
Tra Fantini e Colombo c’è un rapporto forte e sincero. La crescita del ragazzo è passata attraverso i consigli del diesse piacentino

Parola a Cristian

Nei due anni al Pedale Casalese, Fantini ha imparato a correre grazie a Colombo, soprattutto in proiezione futura. Gliene è riconoscente e guarda avanti senza rimpianti.

«Il contatto con la VF Group – racconta Fantini – c’è stato a cavallo dell’europeo in pista. Ovviamente ero contento e mi ha fatto piacere, anche perché conosco abbastanza bene la famiglia Reverberi da tempo, dato che abitiamo vicini. Non si è concretizzato nulla e non so se sarebbe stata la scelta più giusta per me. Alla fine riflettendoci bene, sono d’accordo con Luca. E’ meglio essere andato con la Solme-Olmo e guardo volentieri a quello che dovrò fare con loro nel 2025.

La perla del 2023 arriva quando Fantini finalizza il perfetto lavoro dei compagni battendo Mellano (foto italiaciclismo.net)
La perla del 2023 arriva quando Fantini finalizza il perfetto lavoro dei compagni battendo Mellano (foto italiaciclismo.net)

«So che cambierà l’ambiente, sarà un’esperienza nuova in tutto. Abbiamo già fatto il primo incontro e sono sereno. Anzi sono curioso di sapere cosa mi aspetta. Al momento non sono troppo spaventato, perché so che se si fanno i lavori fatti bene, non devi temere nulla. Ecco, forse al momento ho solo il timore di come starò in gruppo durante le gare. Anche quello comunque sarà un modo per crescere, che è l’obiettivo primario».

Il biennio juniores

Le due stagioni da juniores con tre successi complessivi sono già storia per Fantini. Le rivive in velocità come quando si lancia in volata o in pista.

«Abbiamo sempre lavorato il giusto – prosegue Cristian – ovvero poco rispetto a certi altri juniores per non bruciare le tappe. Mi sono sempre fidato di Luca, fra di noi c’è un bel rapporto, anche di amicizia, non solo atleta-diesse. Già l’anno scorso avrei dovuto fare la pista, ma lui mi diceva che erano carichi di lavoro pesanti che io in quel momento non avrei saputo gestire. Aveva ragione.

«Ho fatto il 2023 di ambientamento alla categoria. Ho aiutato la squadra e spesso mi sono trovato a lavorare per Omati, però quando potevo avere un po’ di spazio mi sono giocato le mie carte. E una vittoria l’ho centrata. Quest’anno invece sono partito molto bene con due vittorie in quindici giorni poi ho calato l’attività su strada per curare la pista. Con i miei compagni di nazionale inizialmente non ci aspettavamo di vincere, ma sapevamo che stavamo andando forte. Agli europei in Germania abbiamo preso coscienza dei nostri mezzi e di quelli degli avversari. Siamo andati al mondiale convinti di vincere e di poter realizzare il record. E così è stato».

Allenamenti in vallata

Fantini si ispira a Van Aert ed abita in una porzione della provincia di Reggio Emilia perfetta per la bici e per inseguire i propri sogni. Dalla sua Ciano d’Enza (dove nel 2021 passò la quarta tappa del Giro d’Italia) la strada inizia ad inerpicarsi verso le colline e il più alto Appennino. Quelle strade sono state la palestra d’allenamento di Malori, che abita dall’altra parte del fiume. A Castelnuovo ne’ Monti, circa 30 chilometri da casa, ci sarà un arrivo della Corsa Rosa di quest’anno e Cristian sicuramente non mancherà all’appuntamento. Intanto sa su cosa vuole migliorare.

Fantini (in terza posizione) si è concentrato all’attività in pista dopo il buon inizio su strada (foto FCI)
Fantini (in terza posizione) si è concentrato all’attività in pista dopo il buon inizio su strada (foto FCI)

«Attorno a casa mia – conclude – ci sono belle strade e tanti percorsi per qualsiasi tipo di allenamento. La settimana scorsa sfruttando il sole e gli ultimi caldi, ho fatto anche tre ore e mezza con alcune salite. Sono un passista-veloce e sugli strappi sono sempre andato forte, ma è proprio su salite un più lunghe che io voglio crescere. So che ne dovrò fare tanta senza esagerare se vorrò completarmi come corridore».

Un altro junior da seguire. Grigolini in rosa a Cantoira

11.11.2024
5 min
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Udinese classe 2008, Filippo Grigolini è uno dei nomi emergenti del ciclocross italiano. Al primo anno nella categoria juniores il friulano aggiudicandosi la quinta tappa del Giro delle Regioni di ciclocross a Cantoira è balzato al comando della classifica. E’ l’ennesima dimostrazione dell’effervescenza della categoria, illuminata dal trionfo continentale di Filippo Agostinacchio e che aveva inaugurato l’anno con le imprese di Stefano Viezzi, oggi Under 23 ma a gennaio trionfatore in Coppa del Mondo e poi impossessatosi del titolo mondiale.

Grigolini quest’anno ha colto 6 vittorie nella mtb e il podio alla Julium Classic su strada
Grigolini quest’anno ha colto 6 vittorie nella mtb e il podio alla Julium Classic su strada

Il ciclocross prima di tutto

Un amore, quello di Grigolini per il ciclocross che sovrasta quello per le altre discipline ciclistiche anche se il sedicenne è pienamente inserito nel novero dei multidisciplinari: «E’ la specialità che prediligo, adoro i percorsi veloci, con curve tecniche dove rilanciando fai la differenza. Quest’anno ho fatto un po’ di tutto, anche mtb dove ho vinto il titolo nazionale allievi 2° anno e su strada, ma dalla prossima stagione privilegerò quest’ultima perché fare tre discipline è troppo dispersivo e al ciclocross invernale non rinuncio, ma posso abbinarlo con la preparazione di una sola disciplina».

La passione di Grigolini per il ciclismo ha radici antiche: «Devo dire grazie a un amico, un mio coetaneo che quando avevo 6 anni mi spinse a imitarlo e andare in giro in bici con lui. Da allora non ho più smesso è ho fatto tutta la trafila delle varie categorie per i giovanissimi, appassionandomi soprattutto all’offorad come spesso avviene dalle mie parti».

Per il friulano i percorsi preferiti sono quelli tecnici con curve secche, dove rilanciare l’azione
Per il friulano i percorsi preferiti sono quelli tecnici con curve secche, dove rilanciare l’azione

Su strada è uno scalatore puro

La scelta dell’udinese di privilegiare la strada oltre al ciclocross ha precise radici tecniche, legate soprattutto alla sua conformazione fisica e parlando con lui si nota come anche abbia ben chiare le sue idee: «Io sono molto leggero e vado bene in salita. Posso considerarmi uno scalatore puro e so che nel ciclismo moderno, soprattutto nella mia generazione una figura così specifica latita ma mi dicono che proprio per questo potrei avere un futuro. Questo però mi impone delle scelte: già dal primo anno junior voglio crescere e affrontare gare impegnative e con molte salite, per dimostrare quello che so fare».

Grigolini fa parte di quel pacchetto di atleti che Pontoni ha iniziato a coinvolgere da giovanissimi nel team azzurro e i risultati, come nel caso della medagliata europea Pellizotti, si vedono: «Il cittì mi ha iniziato a convocare per i ritiri azzurri già quand’ero al primo anno allievi. Sono state esperienze importanti, condividevamo l’ambiente, ci ha dato le basi per le nostre esperienze attuali. Anch’io ero agli europei e sinceramente mi dispiace non aver potuto fare di più del mio 12° posto, ma ho pagato a caro prezzo una foratura in partenza. Da lì però sono stato contento della mia prestazione perché ho rimontato molte posizioni e dimostrato che avrei potuto fare molto di più con un po’ più di fortuna».

Per l’udinese anche la gioia del titolo italiano Allievi 2° anno in mtb a Chies d’Alpago
Per l’udinese anche la gioia del titolo italiano Allievi 2° anno in mtb a Chies d’Alpago

Agostinacchio? Non è lontano…

D’altronde per tutta la stagione il friulano non è mai stato molto lontano dal campione europeo Agostinacchio e anche nella prova internazionale di Torino, successiva a quella di Cantoira, la sfida fra i due è stata appassionante: «Era un percorso molto veloce nel quale sono rimasto attaccato al campione europeo per quasi tutta la durata pur se caduto nella prima parte. Poi Mattia è andato via nell’ultimo giro e ha vinto per 20”. Nella parte finale non avevo più energia nelle gambe, forse per l’impegno di Cantoira di 24 ore prima o per la rimonta dopo la caduta, ma non ci ho neanche pensato troppo».

Ci sarà a Gallipoli?

Ora l’udinese avrebbe la possibilità di cogliere un traguardo prestigioso come la conquista della maglia rosa al Giro delle Regioni: «Ma è molto difficile che ciò avvenga. La squadra non ha in programma la trasferta a Gallipoli per l’ultima tappa del 22 dicembre, ma tra tricolori e altre prove internazionali non mancano le occasioni per mettermi in luce, pensando anche ai mondiali».

EDITORIALE / La multidisciplina sta sparendo?

11.11.2024
4 min
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Davide Toneatti sarà promosso nella Astana Qazaqstan Team nel WorldTour. La vittoria di aprile e i piazzamenti di tutto l’anno hanno persuaso Vinokourov a dare fiducia al friulano, figlio della multidisciplina, che a 23 anni metterà il naso nel ciclismo dei grandissimi. La notizia è sicuramente positiva perché porta un altro azzurro di talento a giocare la sua carta in una squadra che dal 2025 sarà la più italiana di tutte, con corridori come Ulissi, Bettiol, Conci, Scaroni, Masnada, Fortunato, Malucelli, Ballerini, Velasco, Romele e Kajamini.

Quello che si può notare è che Toneatti taglierà definitivamente i ponti con il ciclocross, come già accaduto nel recente passato (al momento di salire di livello) con De Pretto, Olivo e Masciarelli. Non è detto che questo per lui sia una privazione: magari ne aveva le tasche piene e non vede l’ora di concentrarsi soltanto sulla strada. La stessa cosa tuttavia si è verificata con Silvia Persico e in parte con Federica Venturelli, frenata peraltro anche dal recupero da un infortunio. La multidisciplina è passata di moda? Oppure va bene finché l’atleta è giovane e poi bisogna scegliere? Oppure, ancora, la seconda specialità è una sorta di gabbia da cui il corridore non riesce a liberarsi se non quando diventa grande?

Fra le vittorie nel cross di Toneatti spiccano un tricolore e il mondiale nella staffetta
Fra le vittorie nel cross di Toneatti spiccano un tricolore e il mondiale nella staffetta

Strada e pista

Ha retto finora l’abbinamento fra strada e pista. Abbiamo letto nell’intervista a Luca Guercilena che, al momento di firmare con la Lidl-Trek, Milan ha inserito la clausola pista, peraltro ben accetta da parte del team. Un discorso simile ha funzionato alla Ineos Grenadiers con Ganna e Viviani, ma è stata evidente la disparità di trattamento fra i due. Il piemontese ha potuto seguire un bel calendario su strada, mentre Elia si è dovuto accontentare di quel che capitava.

E’ stato però chiaro che tutti, dal giorno dopo Olimpiadi e mondiali, sono stati richiamati in servizio. Soprattutto all’indomani di Parigi, questa necessità ha reso difficile la vita agli atleti che avrebbero avuto bisogno di recuperare e invece si sono ritrovati subito in gruppo.

Milan, Consonni e Ganna: tre stradisti… concessi dal WorldTour alla pista
Milan, Consonni e Ganna: tre stradisti… concessi dal WorldTour alla pista

Programmi e sponsor

Ciò che risulta evidente dalle dichiarazioni di Patrick Lefevere e in qualche misura dello stesso Guercilena è che la multidisciplina non abbia interessi commerciali per le squadre che pagano gli atleti. Nel cross se non altro possono correre con la bici e i materiali del team, con l’eccezione dell’abbigliamento che sarà quello della nazionale. Su pista invece, anche la bici è federale e piuttosto che celebrare la vittoria di un competitor, non si celebra il campione. Il prossimo azzurro che dovrà gestire la doppia attività sarà Stefano Viezzi, che da gennaio sarà al devo team della Alpecin-Deceuninck.

Va lassù e ce lo aveva fatto capire sin dalla Coppa del mondo di Benidorm dello scorso gennaio perché affascinato dalle imprese di Mathieu Van der Poel cui in parte somiglia. Forse in Belgio gli lasceranno spazio per il ciclocross: finché si è nei team di sviluppo non ha senso costringerli a scegliere. Poi, se e quando verrà il momento di passare professionista, si vedrà il livello raggiunto e si faranno valutazioni insieme, senza preclusioni a priori.

Cross e strada: multidisciplina che funziona. A gennaio Viezzi ha vinto il mondiale juniores a Tabor. Dal 2025 passa alla Alpecin
Cross e strada: multidisciplina che funziona. A gennaio Viezzi ha vinto il mondiale juniores a Tabor. Dal 2025 passa alla Alpecin

Il ruolo della Federazione

Come fa un ragazzo a inserire qualsiasi clausola se il suo potere contrattuale è ancora esiguo? Non deve essere lui a farlo, ma probabilmente il suo procuratore o la Federazione per cui è un elemento di grande interesse, soprattutto nella prospettiva dell’ingresso del cross nel programma olimpico. E’ vero che alla fine comanda la volontà dell’atleta, ma se in alcuni casi la rinuncia è un’imposizione, allora forse l’intervento federale potrebbe aiutare parecchio. Qui si parla di medaglie olimpiche, mondiali ed europee, non di sfide regionali.

L’alternativa è che la multidisciplina, in questo caso il cross, in Italia diventi una prerogativa giovanile, che ci vedrà brillare sempre meno nelle categorie elite. Bisognerà solo abituarsi al prurito di veder sparire i talenti su cui si potrebbe costruire tanto e che invece, per scelta o necessità, prenderanno strade diverse.

Viaggio in Pirelli, terza parte: i tesori della Fondazione

11.11.2024
6 min
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MILANO BICOCCA – Una grande foto all’ingresso della Fondazione Pirelli ritrae migliaia di lavoratori all’uscita dal primo stabilimento di via Ponte Seveso a Milano, dove nel 1960 fu costruito il grattacielo Pirelli. La fabbrica fu distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Lo scatto fu realizzato da Luca Comerio perché fosse esposto all’Esposizione Internazionale di Milano del 1906. Le donne e gli uomini fissano l’obiettivo e i loro sguardi raccontano il lavoro in fabbrica e un tempo lontano della nostra storia.

Dopo la visita allo stabilimento di Bollate, l’ultima tappa del viaggio in Pirelli è un ritorno al quartier generale, per andare a curiosare nella palazzina che ne ospita la Fondazione. Dentro ci sono preziosi colpi d’occhio e ancora più prezioso l’archivio della vita industriale dell’azienda. Il resoconto di ogni passaggio, che ha permesso di ricostruire la storia economica di questa importante fetta d’Italia.

La storia di Pirelli

Basta guardarsi intorno e seguire i video esplicativi nell’ingresso della palazzina che la ospita, che fu un tempo la stazione dei pompieri. Essendo stata la prima azienda italiana a lavorare la gomma, si capisce facilmente come mai inizialmente il catalogo prevedesse anche produzioni differenziate: dagli articoli per il pare come gommoni e pinne, ai cavi elettrici, le scarpe e ovviamente le gomme. Ci sono oggetti che rimandano indietro nella memoria, come le celebri scarpe rosse con il tacco a spillo indossate da Carl Lewis in una campagna pubblicitaria di trent’anni fa (in apertura la celebre foto, Fondazione Pirelli). Cassetti e raccoglitori di documenti, fotografie, bozzetti e materiali pubblicitari: un patrimonio che dal 1972 è tutelato dalla Sovraintendenza dei Beni Culturali.

L’idea di mettere mano agli archivi dell’azienda arriva nel 1942, quando l’azienda compie 70 anni. Siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale e a Mario Luzzatto, dirigente dalla lunga storia in Pirelli, viene affidato il compito di redigere la storia della fabbrica. Per questo porta via tutti i documenti aziendali – verbali del consiglio direttivo, brevetti, disegni tecnici, formule – per catalogarli e renderli fruibili, sottraendoli alla distruzione dei bombardamenti. Il suo lavoro dura per dieci anni ed è oggi un archivio prezioso, cui attingono ogni anno per la scrittura di tesi studenti da tutto il mondo.

Cimeli dal passato

Chi fosse appassionato di grafica potrebbe perdere la testa al primo piano. Nei cassettoni sono infatti conservate le locandine di ogni campagna promozionale, dalle origini ai giorni nostri. E nell’evoluzione del gusto grafico e dei temi, nel passare dall’esaltazione della velocità a un’eleganza quasi glamour, si racconta il cambiamento del Paese e della sua cultura. Basta guardare le foto delle prime auto con le gomme gialle, dato che non si utilizzava ancora il nerofumo nella mescola, e delle prime biciclette con copertoni rigidi e difficili da spingere. Foto di accessori di abbigliamento, come gli impermeabili o il copriscarpe per calzature da donna. Come pure una ruota originale della Pechino-Parigi del 1907 con cui l’Itala del principe Scipione Borghese conquistò di fatto il primo rally.

Affascinante è anche la sezione dedicata allo sviluppo del logo Pirelli, che nei primi anni ha cambiato spesso forma e obiettivi. Fino al giorno in cui compare per la prima volta su un foglio la P lunga che è diventata il marchio di fabbrica dell’azienda.

Anche Coppi e Bartali

E poi c’è lo sport, tipico degli anni in cui l’azienda promuoveva la pratica sportiva fra i dipendenti. Adolfo Consolini, medaglia d’oro a Londra 1948 nel lancio del disco, fu dipendente Pirelli. Negli anni 20 il gruppo sportivo aziendale aveva circa 18 sezioni, mentre la galleria delle immagini propone una vetrina clamorosa di campioni che hanno vissuto la loro carriera su gomme Pirelli. Galetti, Ganna e Pavesi nel primo Tour de France. Costante Girardengo. Coppi e Bartali. E oggi Jonathan Milan e Mads Pedersen.

Il ciclismo è uscito dai radar di Pirelli negli anni 90, ma è tornato nel 2017 ed è come se il filo dell’antica storia si fosse allacciato con i tempi moderni per non staccarsi più. Lo testimonia una delle ultime opere editoriali promosse dalla Fondazione Pirelli, dal titolo “L’Officina dello Sport”. E la sensazione, al termine di questo viaggio lungo tre articoli nel mondo e nei segreti di Pirelli, è che con il ritorno del mondo ciclo, il catalogo sia finalmente completo. Come se effettivamente, al netto del fatturato, ne sentissero davvero la mancanza.

Eventi meteo estremi e ciclismo: ne parliamo col professor Fagnani

11.11.2024
6 min
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Dalla neve di Livigno dello scorso maggio durante il Giro d’Italia, all’alluvione di Valencia. Dall’ondata di calore d’inizio Vuelta, che ha portato al ritiro di Antonio Tiberi, allo stop della Tre Valli Varesine. E tutto questo solo negli ultimi cinque mesi, anzi, persino meno, a essere precisi. Cosa sta succedendo al clima? Perché si verificano eventi meteo così violenti?

Siamo nel pieno dibattito sulle possibili cause di un cambiamento così netto e rapido, ma è un dato di fatto che il clima stia mutando e che gli eventi meteo estremi siano sempre più frequenti. Un clima che cambia ha ripercussioni anche sul nostro settore, il ciclismo.

Il professor Enrico Luigi Fagnani (classe 1955) ha oltre 50 Giro d’Italia all’attivo
Il professor Enrico Luigi Fagnani (classe 1955) ha oltre 50 Giro d’Italia all’attivo

Ne abbiamo parlato con il dottor Enrico Fagnani, per tutti l’esperto meteo del Giro d’Italia. In realtà, il dottor Fagnani è un otorinolaringoiatra specializzato in audiologia, quindi un esperto di onde radio e, di conseguenza, di comunicazione: quella tipica del ciclismo, che coinvolge sempre di più radiocorsa, le comunicazioni della Polizia, gli interventi in tv e tutta una serie di informazioni legate alla gara, tra cui appunto il meteo.
«La meteorologia – spiega Fagnani – è una passione che ben si legava all’altra mia passione di radioamatore. Ho una stazione meteo a casa e ad altre mi collego da remoto.»

Quest’anno nelle prime tappe della Vuelta si sono superati anche i 45 gradi. Il cuoco dell’Astana fece un video in cui cuoceva un uovo con la padella sull’asfalto
Quest’anno nelle prime tappe della Vuelta si sono superati anche i 45 gradi. Il cuoco dell’Astana fece un video in cui cuoceva un uovo con la padella sull’asfalto
Dottor Fagnani, cosa sta succedendo al clima?

È indubbio che sia cambiato. Non so dire se per eventi naturali o per colpa dell’uomo. Ciò che lega il meteo e il ciclismo, in particolare per gli eventi in Italia, è che abbiamo ottimi mezzi per comunicare in tempi brevi e decidere cosa fare. Abbiamo sistemi LTE e ridondanza, quindi, se un’informazione non arriva da un canale, giunge da un altro. E c’è anche un ottimo spirito di squadra e una rete radar molto valida.

Lei ha una grande esperienza, con oltre 50 Giri d’Italia…

Abbiamo sempre avuto un’ottima tradizione. Una decina di anni fa, al Giro, era presente una troupe dell’Aeronautica Militare con la quale ero in contatto tutto il giorno. Avevano un loro mezzo parcheggiato nel compound della Rai e degli altri mezzi al seguito del Giro, un loro radar e persino un pallone sonda che lanciavano al mattino per avere previsioni ancora più specifiche. Negli ultimi anni ci siamo appoggiati sempre più a società private, anch’esse molto valide, come 3B Meteo, l’App ufficiale del Giro fino alla scorsa edizione.

La foto simbolo dell’alluvione di Valencia. le cui dinamiche sono state molti simili a quelle delle alluvioni in Emilia-Romagna (foto Biel Alino)
La foto simbolo dell’alluvione di Valencia. le cui dinamiche sono state molti simili a quelle delle alluvioni in Emilia-Romagna (foto Biel Alino)
Clima e ciclismo: come si legano le due cose?

La prima cosa è che il ciclismo coinvolge un gran numero di persone: circa 200 ciclisti e tutta la carovana al seguito, sia prima sia dopo la corsa. Ogni tappa copre un’area di 150-200 chilometri, attraversando territori molto diversi: pianure, colline, arco alpino… ognuno con le sue caratteristiche. Un aspetto spesso sottovalutato è che, quando la corsa è allungata o c’è una fuga, si possono verificare differenze meteo notevoli. Può capitare di sfiorare un nubifragio o che piova solo su una parte del percorso, il che crea difficoltà se le intensità sono forti.

Come capite queste variazioni?

Con i radar Doppler, che ci consentono di visualizzare le celle temporalesche a colori, dal giallo al viola, identificando le intensità maggiori. Poi ci sono i satelliti, che oggi forniscono una quantità enorme di informazioni. Tuttavia, queste informazioni vanno interpretate con cautela, perché prima di fare una dichiarazione si deve essere molto prudenti. Il rischio è quello di creare allarmismi eccessivi o, al contrario, sottovalutare l’evento climatico. E qui torna in gioco la tecnologia. Oggi abbiamo strumenti straordinari come mappe meteo, dati da App o da istituti come l’Aeronautica Militare o l’Istituto Europeo di Meteorologia. Ma per la corsa, in tempi brevissimi, i radar Doppler restano i più importanti.

Tre Valli Varesine: corridori fermati in seguito al nubifragio
Tre Valli Varesine: corridori fermati in seguito al nubifragio
Perché?

Perché offrono una visione del meteo reale, delle precipitazioni in corso, della loro intensità e del movimento delle celle. A quel punto, si possono fornire informazioni preziose alla direzione di corsa. È fondamentale avere anche un buon sistema di comunicazione interno.

Cosa può fare il ciclismo di fronte a questi eventi estremi sempre più frequenti?

Conoscendo il territorio si possono proporre percorsi che riducano i rischi meteorologici.

Il classico passaggio sullo Stelvio o su altre cime alte, per intenderci?

Esatto. Oppure, per esempio, essere consapevoli che nelle zone pedemontane del Nord-Est sono frequenti temporali violenti in pianura. Un po’ la stagione delle precipitazioni si è spostata avanti e un po’ il Giro inizia prima. Una volta, lo Stelvio e le cime alte erano meno a rischio perché vi si arrivava a giugno inoltrato; ora si transita a maggio. La sicurezza degli atleti deve essere sempre al centro: è irrinunciabile.

Quindi, per evitare situazioni come quella di Livigno, serve sempre un “piano B”?

Non sempre. Questa situazione riguarda soprattutto le tappe a rischio, come quelle di alta montagna. In pianura, se succede qualcosa di particolare, lo sai subito. Per neutralizzare, deviare o interrompere, serve una figura preposta che prenda la decisione. Ricordo Morbegno, per esempio, in cui Virgilio Rossi radiocorsa gestì brillantemente le comunicazioni tra le varie componenti: team, polizia, direzione corsa, motociclisti al seguito…

Un esempio di immagine radar: i temporali ieri sera sul Mar Tirreno (immagine da Meteo Am)
Un esempio di immagine radar: i temporali ieri sera sul Mar Tirreno (immagine da Meteo Am)
Insomma, convivere con questo clima non è semplice…

Non è facile, ma avere buone informazioni e una comunicazione efficiente è determinante per prendere le decisioni giuste. Abbiamo un ottimo spirito di squadra: dai radar alla comunicazione interna al Giro. Questo è un aspetto fondamentale per affrontare situazioni potenzialmente rischiose.

Come evolve il vostro lavoro?

Molto interessante è lo studio del vento, specie nelle tappe in linea e a cronometro. Valutiamo le variazioni delle condizioni meteo nelle prove a cronometro. Oggi, disporre di una stazione meteorologica presso il traguardo non è male. Si potrebbe persino considerare un piccolo radar Doppler portatile nell’area traguardo. Negli anni, ho sempre utilizzato la nostra postazione radio su un ponte, in una posizione elevata, variabile dai 5 ai 40 chilometri dall’arrivo. Una sorta di postazione avanzata di “nowcasting” per informare i responsabili sugli sviluppi meteo. Questa postazione è gestita dall’esperto Sergio Mometti, che ha una storia particolare.

Ci racconti…

Mometti ha corso in bicicletta da giovane, è stato per molti anni motociclista di Radioinformazioni e poi si è appassionato al ruolo di “pontista”; dalla sua postazione, le cui coordinate sono frutto di attenti studi, ascolta tutte le frequenze radio della corsa e le ritrasmette al traguardo. Inoltre, assiste i mezzi in corsa quando non riescono a comunicare tra loro. Ho scoperto che, essendo stato agricoltore da giovane, ha sviluppato una sensibilità particolare per le scienze naturali. Durante la giornata, gli chiedo spesso: «Sergio, come ti sembra oggi? Com’è l’aria? Ci sono fenomeni in arrivo?» Un esempio di nowcasting basato sulle risorse umane, completato e arricchito dalla tecnologia attuale.

Viaggio in Pirelli, seconda parte: i segreti di Bollate

10.11.2024
8 min
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BOLLATE – Fra qui e Bicocca, dove ha sede il quartier generale di Pirelli, ci sono circa dieci chilometri di tanta industria e parecchio artigianato. Per dare un’idea, nel mezzo c’è anche Cusano Milanino, storica sede di De Rosa. Lo stabilimento in cui vengono effettivamente assemblati gli pneumatici ciclo d’alta gamma è una costruzione vasta, bassa e silenziosa che sorge a pochi metri dalle case. La facciata principale è a mattoncini rossi come quando fu costruita nel 1960, poi però la struttura è stata ingrandita e ingrandita ancora, immaginando un aumento della produzione.

Ci accoglie Stefano Gadda, CEO di P.I.P. (la società che unisce le due fabbriche italiane di Pirelli: Settimo Torinese e Bollate) e direttore di stabilimento. Un breve briefing in una sala riunioni e poi comincerà il nostro giro nei capannoni in cui nascono gli pneumatici di qualità superiore. Gli altri vengono affidati ad altre aziende, previo utilizzo esclusivo del know-how e delle mescole Pirelli.

«Bollate nasce nel 1960 – spiega Gadda – e realizza fino al 1985 i prodotti diversificati in gomma di Pirelli. Quando Bicocca smette di essere un polo produttivo, questa diventa una fabbrica totalmente automatizzata per auto. Ma non era possibile svolgere qui la produzione di pneumatici per auto di lusso, per cui nel 2018 Bollate entra nel business del ciclismo. Prima con coperture da strada e ora anche gravel e mountain bike».

La sicurezza prima di tutto

Bollate ha una superficie coperta di 30 mila metri quadrati. Il passaggio al ciclismo non è stato immediato ed è passato attraverso una fase di formazione. Il personale era abituato a realizzare gomme per auto di 15 chili e si è ritrovato di colpo a doverne fare di 300 grammi. Cambia l’approccio. Così come trattandosi di una fabbrica nel centro di un paese, un grosso investimento è stato fatto sul fronte della sostenibilità. I prodotti che escono da qui, ci confermano, sono certificati FSC: specifica per il settore forestale e i prodotti derivati dalle foreste come la gomma.

«Oltre alla sostenibilità – prosegue Gadda – il valore cui teniamo di più è la sicurezza. Non abbiamo avuto incidenti negli ultimi quattro anni e badate bene che parliamo comunque di una realtà industriale, fondata sulla fabbrica. Gestire gli infortuni è senz’altro superiore al marketing».

All’interno della fabbrica troveremo una serie di biglietti scritti dai dipendenti che si scambiano fra loro dei consigli sul tema e sono diventati addirittura una grande parete in cui la loro saggezza e gli sforzi dell’azienda documentano la ricerca si sicurezza.

Sette giorni su sette

Anche qui, soprattutto qui non si fanno foto. L’esclusività sta nelle macchine con cui vengono confezionati gli pneumatici: progettate e costruite in esclusiva per Pirelli. Per cui la prima parte del capannone è un colossale androne che conduce allo stabilimento vero e proprio. Una parte è dedicata alle gomme per auto: le spugne insonorizzanti vengono applicate qua. Poi, oltre quella grande porta sul fondo, il segreto prevale sulla curiosità.

Bollate è suddivisa in quattro macro aree: taglio, assemblaggio, vulcanizzazione, controllo. Si lavora sette giorni su sette: uno schermo sopra alla postazione del capo squadra indica ai dipendenti quale sia la postazione loro assegnata. Accanto alla sua postazione, c’è un’area in cui vengono fatti aggiornamenti su varie tematiche, dall’ottimizzazione del lavoro alla sicurezza.

Quando entri, non hai la sensazione di essere in una fabbrica. Scherzando chiediamo se abbiano fatto sparire la fuliggine visto il nostro arrivo, ma pare che qui dentro sia sempre così pulito, luminoso, aerato, inodore. Dopo aver sbirciato fra le novità in arrivo, si parte per la visita. Noi l’abbiamo iniziata dalla fine, ma proveremo a raccontarvela in ordine cronologico perché il processo risulti chiaro.

Prima fase: il taglio

La carcassa è un tessuto molto sottile. E’ avvolta in bobine la cui vita è di cinque giorni al massimo, prima che il materiale perda le sue proprietà. Per il taglio si usano macchine provenienti dal mondo della tessitura: le uniche qui dentro che non siano state realizzate su specifiche di Pirelli.

Per il taglio del battistrada si ricorre invece a una macchina che si chiama Triplex. La mescola viene caricata e una vite senza fine la spinge nel bocchettone, che ha varie forme: un po’ come avviene con la macchina per la pasta all’uovo. Il battistrada così formato scorre sul nastro mentre un aspiratore porta via il fumo: non si percepisce alcun tipo di odore.

Una volta estruso tramite il passaggio nel bocchettone, il battistrada va nella vasca di raffreddamento, la cui acqua viene costantemente messa in ricircolo. Dopo la fase di asciugatura che avviene tramite un soffiatore, viene effettuato un passaggio al metal detector per evitare che nella mescola durate l’estrusione non sia finita una particella metallica. Allo stesso modo una verifica molto importante è che non ci siano stirature che renderebbero il materiale inaffidabile nella fase di assemblaggio.

Seconda fase: la vulcanizzazione

La vulcanizzazione avviene all’interno di cabine sigillate e non prevede intervento umano: il robot che opera la suo interno è brevettato Pirelli. Pare che non tutte le aziende mondiali del settore possano vantare questo primato e immaginare un operaio che prenda con le mani la gomma vulcanizzata a 170 gradi e la sposti fino al passaggio suggestivo rende quel che vediamo molto apprezzabile. Ogni isola di produzione ha 12 stampi, in modo che si possa lavorare a 12 misure di pneumatico.

L’operatore, che gestisce tre robot, riceve il pezzo da vulcanizzare. Scansiona il bar code e se la luce è verde, si può cominciare. Il robot prende il crudo e lo depone nella forma in cui avviene la vulcanizzazione. Il ciclo dura 3 minuti per una gomma da strada, 5 per la mountain bike. Finita la prima fase, il robot preleva il pezzo caldo e lo sposta. La produzione giornaliera oscilla fra 2.000-2.500 pezzi al giorno.

Nonostante le temperature, all’interno della cabina non si vedono fumi e tantomeno dall’esterno si percepiscono odori. Il fumo viene aspirato e ripulito, affinché non produca odori o sostanze nocive.

L’interno della fabbrica è lindo e pinto, più di un ospedale: raro vedere ambienti come questo (foto Pirelli)
L’interno della fabbrica è lindo e pinto, più di un ospedale: raro vedere ambienti come questo (foto Pirelli)

Terza fase: l’assemblaggio

L’assemblaggio avviene grazie a 12 macchine. Sopra ciascuna di esse si trova un display che riporta tutti i dati di lavorazione, inclusi lo scarto e gli obiettivi giornalieri. In questo modo è possibile verificare il lavoro su ogni macchina e probabilmente anche verificare l’efficienza dell’operatore. Ogni prodotto ha il suo bar code e anche la sua ricetta.

Il primo strato da cui si inizia a costruire una gomma per bici si chiama SpeedCORETM, una struttura tubeless-ready sviluppata da Pirelli e derivata dall’esperienza automobilistica. Si tratta di uno strato sottile e impermeabile di miscela di gomma infusa di particelle di aramide. Speed Core copre la parte interna dello pneumatico e grazie all’aramide nella miscela di gomma, consente una migliore resistenza meccanica.

Il filetto si costruisce con diversi giri di filo di kevlar: il numero dei giri dipende dalla specifica impostata sulla macchina per il tipo di pneumatico. Dopo aver costruito il filetto, l’operatore applica a mano i materiali di rinforzo, come ad esempio lo strato antiforatura. Poi viene applicato uno strato abrasivo che va a contatto con il cerchio, infine viene applicata la fascia del battistrada. La striscia che avrà il compito di rotolare sull’asfalto e garantire la tenuta della bicicletta in questa fase sembra un nastrino da regalo. A questo punto si applica il bar code e poi si passa alla stampa, che avviene mediante trasferimento e riporta sul fianco dello pneumatico il brand e il marchio.

Quarta fase: il controllo

Nell’area di controllo, il primo livello prevede la verifica a mano ogni copertone prodotto. Gli addetti guardano l’interno e anche l’esterno: se riscontrano anomalie, passano il prodotto a un secondo controllo più approfondito. Il terzo livello di verifica viene eseguito a campione. Ogni processo interno è sottoposto a sua volta a verifica e ottimizzazione da parte di gruppi di lavoro che si occupano di rendere migliori le fasi produttive.

All’interno di ogni pneumatico viene applicato un bar code, nel cui codice sono riassunti le fasi di processo, il personale che lo ha realizzato e i materiali utilizzati. Non sfugge niente e se il controllo riscontra un problema, la lettura del bar code ferma la gomma difettosa, che viene indirizzata a un banco di verifica successiva. Una gomma Pirelli nasce in questo modo e fra i banchi in lavorazione ne abbiamo viste anche alcune non ancora sul mercato. Purtroppo però non ci sono immagini, per trovarle bisognerà aspettare il lancio ufficiale…

Borgo e la maturazione passo dopo passo insieme al CTF

10.11.2024
6 min
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Uno dei corridori che ha fatto passi da gigante al suo primo anno da under 23 è Alessandro Borgo (in apertura photors.it). Il passaggio di categoria sembra non averlo sofferto, o comunque si è adattato in maniera molto rapida. Con il CTF Victorious si è messo subito alla prova in gare di alto livello, uscendo spesso nei chilometri finali quando le gambe contano. Delle prime risposte che fanno sperare in un talento pronto a sbocciare, ma servono pazienza e i passi giusti. Per questo il corridore veneto rimarrà per un altro anno nel team CTF Victorious. Intanto si gode gli ultimi giorni di vacanza, anche se la voglia di ripartire è tanta. 

«Sono tornato dalle Canarie venerdì 1° novembre – racconta – e ora mi godo gli ultimi giorni senza far nulla. Mi sono fatto i miei 9 giorni di vacanza nei quali ho riposato e mi sono rilassato. Penso sia meglio partire per qualche giorno, così da staccare la testa, fare un bagno al mare, divertirsi. Cose normali, che un ragazzo di 19 anni fa in estate e che io mi sono goduto ora, a stagione conclusa. Tra poco si comincerà a fare un po’ di attivazione muscolare, con palestra e uscite in bici leggere. In questi giorni ho fatto anche una pedalata in gravel, giusto per godermi il panorama».

Nelle corse di inizio stagione Borgo (il primo a sinistra) ha fatto fatica ad adattarsi alla distanza
Nelle corse di inizio stagione Borgo (il primo a sinistra) ha fatto fatica ad adattarsi alla distanza

Step di crescita

Nel 2023 Alessandro Borgo ha fatto passi da gigante, arrivando a giocarsi tanti risultati importanti. Il suo ultimo anno da junior ci aveva regalato un corridore sul quale riporre buone aspettative, ma il passaggio di categoria è sempre complicato. Borgo ha attutito il colpo alzando il proprio livello mese dopo mese. Abbiamo così deciso di individuare insieme a lui dei momenti chiave della stagione, attraverso questi raccontiamo il suo primo anno da under 23. 

«Partirei dal ritiro di gennaio – spiega Borgo – perché era il primo confronto con i miei compagni. Avevo dei dubbi su quello che sarebbe potuto essere e non sapevo bene cosa aspettarmi. Fin da subito ho capito di non essere lontano dal loro livello. In gara mi è servito un periodo di adattamento alla distanza, direi che è la cosa che ho sofferto di più. Ero abituato a fare 130 chilometri e sono passato a farne 170.

«Ricordo che ero al Memorial Polese – prosegue – una gara nazionale che passa vicino a casa mia (Pieve di Soligo, ndr). La pioggia ci aveva accompagnato tutto il giorno, faceva freddo, ma la corsa non era impegnativa a livello altimetrico. Ero riuscito a rimanere con i migliori, ma nella volata finale ero pieno di crampi. Ho subito pensato che fosse tutto troppo, ma la squadra è stata brava a tranquillizzarmi e a farmi capire che faceva parte del processo di adattamento».

Pietre e vento

Da metà marzo la svolta, almeno dal punto di vista dei risultati, con un doppio appuntamento in Belgio che ha mostrato un Alessandro Borgo diverso, più pronto e già competitivo. 

«Tra i due piazzamenti in Belgio, Youngster e Gent U23 – dice – considero più importante il primo. E’ stata l’unica e vera gara corsa con un clima da Classica del Nord. In 180 chilometri avremo fatto 400 metri di dislivello, eppure siamo arrivati tutti divisi. Quel giorno era la prima volta che correvo con tanto vento. Avevo però una buona condizione e quella mi ha salvato, ci ho creduto parecchio e questo mi ha aiutato molto nel crescere e acquisire consapevolezza. Se guardo all’ordine d’arrivo vedo che c’è tutta gente che nel 2025 correrà nel WorldTour, compreso il campione del mondo Behrens (che quel giorno ha vinto, ndr).

«Dopo il quinto posto della Gent – continua Borgo – e il quattordicesimo all’europeo ho capito che correre al Nord può fare per me. Proprio alla prova continentale ne ho avuto conferma. A 80 chilometri dall’arrivo, al primo vero settore di pavé, sono rimasto con un gruppo di quindici. Gli stessi che poi si sono giocati la vittoria. Ricordo che uscito dal settore mi sono guardato intorno e ho visto corridori di grande spessore: Teutenberg, Pedersen, Christen e tanti altri. Ho pensato: «Se ci sono vuol dire che sono le mie strade».

A San Daniele, senza watt

L’ultimo episodio è legato alla Coppa Città di San Daniele, dove Borgo ha conquistato un ottimo terzo posto alle spalle della coppia della Visma Lease a Bike Development composta da Nordhagen e Huising. Nonostante prima avesse ottenuto la sua prima vittoria da under 23 il corridore veneto ha scelto questo come ultimo momento chiave della sua stagione. 

«La corsa era lontana dalle mie caratteristiche – analizza visto che erano previsti 2.400 metri di dislivello e nel finale era prevista la doppia scalata del Monte di Ragogna. Una salita di 2,7 chilometri e 10 per cento di pendenza media, non esattamente il mio terreno. Era l’ultima corsa, e si disputava vicino a casa, quindi ero motivato. Nel finale, prima della doppia salita, ho preso il computerino e l’ho messo in tasca. Mi sono detto: «Ora vado su per quello che riesco, ascoltando il mio corpo». Grazie a quella mossa ho capito tante cose, la prima che ho imparato a conoscermi bene e credo sia fondamentale. La seconda, invece, che su salite da dieci minuti posso provare a rimanere con i migliori. Se avessi dovuto guardare i watt magari mi sarei demoralizzato o avrei mollato prima. Invece con la forza della mente ho tenuto botta».

Roberto Bressan (a sx) e Fabio Baronti (a dx) sono state due figure importanti per Borgo nella stagione 2024
Roberto Bressan (a sx) e Fabio Baronti (a dx) sono state due figure importanti per Borgo nella stagione 2024

Le parole di Bressan

Nel mezzo della sua stagione 2024 Borgo ha preso parte anche al Giro Next Gen. Per un corridore al primo anno tra gli under 23 è sempre un banco di prova importante, in grado di fare da spartiacque. Nel caso del ragazzo del CTF Victorious la forza è arrivata da fuori. 

«Al Giro Next Gen – conclude nell’analisi della sua stagione – sono andato perché Stockwell era caduto alla Corsa della Pace fratturandosi la clavicola. E’ stato difficile perché pochi giorni dopo la fine della corsa avrei avuto l’esame di maturità. Mentalmente ero provato, stanco, anche affaticato. Nella seconda tappa, quella più adatta a me, ho preso più di 10 minuti. Volevo tornare a casa e lì è intervenuto Roberto Bressan, il team manager del CTF. Mi ha fatto capire quanto fosse importante tenere duro, finire la corsa e portare a termine quella esperienza. Pochi giorni dopo il nostro colloquio, a Zocca, ho ottenuto un quarto posto. Lo devo ringraziare, perché mi ha fatto capire quanto sia importante non arrendersi mai».

Vanthourenhout, 4 anni alla guida della nazionale più difficile

10.11.2024
5 min
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Se in Italia Bennati è tenuto a bagnomaria in attesa delle elezioni presidenziali, in Belgio è già deciso che ci sarà un cambio alla guida della nazionale. Sven Vanthourenhout ha deciso di chiudere la sua quadriennale esperienza per tuffarsi nel mondo del WorldTour.

Molti media lo danno vicinissimo alla Red Bull Bora Hansgrohe, ma l’ex campione di ciclocross non ha ancora ufficialmente deciso dove andrà. Intanto però mette alle spalle un quadriennio che di soddisfazioni ne ha portate tante, ma si sa che nella patria del ciclismo i palati sono fini e non ci si sente mai appagati, anzi…

Remco a Glasgow 2023 con Vanthourenhot, dopo la vittoria nella crono: antipasto per il doppio oro olimpico
Remco a Glasgow 2023 con Vanthourenhot, dopo la vittoria nella crono: antipasto per il doppio oro olimpico

E’ proprio dall’analisi di questi quattro anni, così intensi e per molti versi difficili, che parte l’intervista al tecnico belga: «Posso dire che sono stati abbastanza eccitanti. Perché sono arrivato un po’ a sorpresa, avendo un passato da ciclocrossista e non da professionista di spicco su strada. Oltretutto a capo di una nazionale piena di grandi corridori e con una federazione importante alle spalle. È stato un grande passo nella mia carriera. Posso dire di aver avuto successo, favorito naturalmente dai nomi a mia disposizione per ogni grande evento. Le medaglie sono importanti, ma per me conta anche il modo in cui ho lavorato».

Quanto cambia tra il guidare una nazionale ed essere direttore sportivo in un team?

È un po’ diverso. Con la tua squadra puoi lavorare ogni settimana, ogni giorno con gli stessi corridori che hai, condividi gli obiettivi. Nella squadra nazionale devi sempre unire corridori di team differenti. Oltretutto in un Paese come il Belgio dove hai molti leader. Non è sempre facile farli diventare una squadra, quando ognuno è in grado di vincere o prendere medaglie. Ogni anno rendere la squadra vincente è un lavoraccio…

Vanthourenhout insieme a Van Aert. Un legame profondo che va al di là dei rispettivi ruoli
Vanthourenhout insieme a Van Aert. Un legame profondo che va al di là dei rispettivi ruoli
E’ stato difficile mettere insieme due campioni come Evenepoel e Van Aert?

Oh sì, all’inizio posso dire che non è stato così facile perché Van Aert era tutto. Aveva vinto classiche, tappe al Tour, ma intanto arrivava Remco, giovane e ambizioso. Per il quale tutto era nuovo. Quindi all’inizio non è stato così facile. Avevamo bisogno di molto tempo, di parlare apertamente e con calma. Alla fine posso dire che avevamo un ottimo rapporto, sapevamo che se volevamo vincere avevamo ognuno bisogno l’uno dell’altro e mi ci metto anch’io con le mie responsabilità. Non c’era posto per una persona singola, ma per un gruppo. Alla fine posso dire che ce l’abbiamo fatta alla grande con il nostro lavoro.

Van Aert lo conosci bene: soffre il fatto di vincere meno di Evenepoel, Van der Poel, Pogacar?

Lo conosco da quando aveva 16-17 anni come giovane crossista, ho visto molto presto di che cosa era capace. Pochi sottolineano che ha avuto molta sfortuna, vedendo affermarsi tanti giovani mentre lui era alle prese con brutti infortuni. D’altra parte, sapeva anche di essere un ottimo corridore, ha anche capacità non comuni, che magari gli altri non hanno. Io penso che alla fine si accorgerà di avere un palmarés invidiabile, una carriera da grande campione. Ma non è il momento di pensarci, perché può ancora vincere tanto.

L’abbraccio di Evenepoel e Van Aert, oro e bronzo nella crono olimpica, intervallati da Ganna
L’abbraccio di Evenepoel e Van Aert, oro e bronzo nella crono olimpica, intervallati da Ganna
Qual è stata la tua più grande gioia in questi 4 anni?

Sicuramente le Olimpiadi. Posso dire di aver chiuso alla grande. Quello è stato il più grande obiettivo nella mia carriera e posso dire che a Parigi abbiamo fatto il massimo, prima con la cronometro con l’oro di Remco e il bronzo di Wout. Era il massimo che potevamo fare e l’abbiamo fatto. Quella è stata una giornata davvero bella per noi. Abbiamo lavorato molto perché si realizzasse. Siamo entrati nella storia. Poi con Evenepoel abbiamo vinto anche la corsa su strada con una squadra eccezionale. Una squadra che lavorava insieme. Quindi sì, per me è stata una settimana incredibile.

E quale il momento più difficile?

Penso che siano stati i campionati del mondo in Belgio nel 2021. È stato anche il mio primo anno come allenatore della nazionale, il mio primo grande evento. C’era molta pressione su di noi, correvamo in casa, Abbiamo fatto un buon lavoro di squadra e e abbiamo provato a vincere, ma quel giorno trovammo un Alaphilippe davvero in stato di grazia. Mancando anche il podio e in un Paese come il nostro e con le responsabilità che avevamo è stato un duro colpo da mandar giù. Ma penso che alla fine, abbiamo imparato molto da quella giornata e che sia stata anche propedeutica per gli eventi successivi.

Lo sprint di Stuyven a Leuven nel 2021, con il bronzo che sfugge a Vanthourenhout come a tutto il Belgio
Lo sprint di Stuyven a Leuven nel 2021, con il bronzo che sfugge a Vanthourenhout come a tutto il Belgio
Tra i tanti nuovi talenti belgi chi vedi più capace di diventare protagonista fra i professionisti?

Abbiamo un sacco di buoni corridori che sono in grado di fare una bella carriera. In questo momento posso dire che con Jarno Widar abbiamo anche un elemento molto promettente per i Grandi Giri. Ma anche nella categoria junior abbiamo gente abituata a vincere. Io credo che il nostro vivaio sia ricchissimo e soprattutto produca corridori molto diversi, in grado di vincere nelle corse in linea come in quelle a tappe, in salita come allo sprint. In Belgio possono fidarsi del futuro. Ce l’abbiamo.

Da Pellizzari a Morgado: i pro’ più giovani sotto lo sguardo di Ballan

10.11.2024
5 min
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Questa è stata un’altra stagione “dei giovani”. Togliendo Pogacar, sono stati loro i protagonisti dell’anno. In tanti si sono messi in mostra e hanno stupito. Alessandro Ballan li ha seguiti con attenzione. L’ex campione del mondo ha valutato per noi il gruppo dei migliori Under 21.

La classifica UCI degli Under 21, con al massimo due anni di esperienza professionistica, vede nell’ordine: Romain Gregoire, Isaac Del Toro, Lenny Martinez, Max Poole, Finlay Blackmore, Alec Segaert, Jan Christen, Thibau Nys, Giulio Pellizzari e Antonio Morgado.

Una piccola precisazione: tecnicamente Pellizzari è al terzo anno da pro’, in virtù del “gruppo giovani” della VF Group-Bardiani, ma il primo anno ha svolto prevalentemente attività U23

Giulio Pellizzari ha concluso la terza stagione da professionista
Pellizzari ha concluso la terza stagione da professionista

Pellizzari, talento in salita

Sarà perché è italiano, sarà perché lo ha visto più da vicino, ma Ballan è rimasto particolarmente colpito da Giulio Pellizzari.
«In particolare – dice Ballan – Pellizzari mi ha colpito per le sue abilità in salita: lì davvero può dire la sua. Ha lottato spesso davanti con i grandi. Giulio ha mostrato una naturale predisposizione per le lunghe ascese, ha una buona capacità di gestione dello sforzo e di resistenza. Certo, è svantaggiato a cronometro… per ora, e non può primeggiare in un grande Giro. Ma adesso andrà in una squadra in cui lo faranno lavorare, con altri materiali e metodi, e potrà migliorare anche lì. Che poi come migliorare è un po’ il segreto di tutti questi ragazzi».

E qui Ballan apre un capitolo importante: quello degli stimoli e della fame, come dice lui. «Ora faccio un discorso generale, che non è riferito né a Pellizzari né agli altri, ma è un po’ lo specchio della direzione che ha preso il mondo. Mi spiego: oggi danno tutto o quasi per passare. Ci riescono, e quando poi hanno firmato un buon contratto, si adagiano. Io parlo anche per la mia esperienza personale. A 15 anni ho perso mio padre. Mia madre era una casalinga, la mia famiglia era povera. Dopo la scuola andavo a lavorare nei tre mesi invernali. Un anno ho fatto l’idraulico, un anno il muratore, un anno l’elettricista. E ho capito quanta fatica si facesse per arrivare a sera e guadagnare qualche soldo».

Alessandro Ballan, qui in postazione Rai con Andrea De Luca, segue con attenzione il mondo giovanile (foto Instagram)
Alessandro Ballan, qui in postazione Rai con Andrea De Luca, segue con attenzione il mondo giovanile (foto Instagram)

«Quando un giorno mi hanno detto che sarei diventato professionista e che mi sarei allenato 6-7 ore al giorno, per me era una fatica diversa: sapevo cosa significava essere un lavoratore. Oggi i ragazzi, non solo i ciclisti, non hanno l’esigenza di lavorare, di fare certi sacrifici.

«E’ lo stile di vita moderno, dove tutto è più facile… Questo, nel caso del ciclismo, per me si lega molto a quanta fame hanno di migliorarsi questi ragazzi. Spero che Pellizzari mantenga questa sua voglia di migliorarsi. Ma mi sembra motivato».

Quest’anno Gregoire ha vinto una tappa ai Paesi Bschi e ha debuttato al Tour
Quest’anno Gregoire ha vinto una tappa ai Paesi Bschi e ha debuttato al Tour

Gregoire, costanza e risultati

Un altro ciclista che ha catturato l’attenzione di Ballan è il francese Romain Gregoire. Se Pellizzari eccelle in salita, Gregoire lo ha impressionato per la sua costanza e per i risultati ottenuti in questa prima fase della sua carriera.

«Forse – dice Ballan – nel complesso il francese è il più forte di tutti. Ha vinto e si è piazzato spesso. E poi si è visto dall’inizio alla fine della stagione. Lui è uno dei francesi che sta uscendo benone. Questo perché Oltralpe loro lavorano bene nelle categorie giovanili. Sostanzialmente, noi stiamo vivendo quello che i francesi hanno vissuto 10-15 anni fa, con la differenza che loro, rispetto a noi, hanno molte squadre, WorldTour e non solo, dove farli passare, crescere e tutelare. Da qualche anno a questa parte sono arrivati i Bardet, poi gli Alaphilippe, i Gaudu… fino a Martinez e Gregoire».

Antonio Morgado sui muri del Fiandre
Antonio Morgado sui muri del Fiandre

I giovani UAE

Oltre a Pellizzari e Gregoire, Ballan ha elogiato i giovani della UAE Emirates . Si è detto colpito da Antonio Morgado e Isaac Del Toro. Morgado, noto per il suo temperamento aggressivo e la sua intelligenza tattica, e Del Toro, dotato di una notevole versatilità, rappresentano delle promesse per il team degli Emirati Arabi. Ballan ha anche elogiato Jan Christen, un giovane che, pur non comparendo in classifica, ha dimostrato qualità eccellenti che lo rendono meritevole di attenzione.

«In particolare Morgado – ha detto Alessandro – ha fatto quinto a un Fiandre pur essendo così giovane. Baldato, il suo diesse, mi diceva che ha preso tutti i muri in coda e poi rimontava. Sono andato a rivedere la corsa ed, in effetti, è stato proprio così. Fare quinto in quel modo, su quelle strade, dopo 250 chilometri, significa che sei davvero forte».

Ballan ha riconosciuto anche il potenziale di Thibau Nys e le doti, soprattutto a cronometro, di Alec Segaert.
«Ma in generale – ha concluso – mi colpiscono i giovanissimi, di nuova generazione, quelli ancora più giovani dei 21enni. Ho avuto la fortuna di assistere al Giro Next Gen: c’era gente come Torres o Vidar che davvero faceva la differenza. E parliamo di atleti di primo e secondo anno. Avevano due marce in più rispetto a quelli di terzo e quarto».