A 59 giorni dalla fine dell’anno e, di conseguenza, del contratto in essere, la situazione dei professionisti è quantomai burrascosa stavolta. Certamente nei prossimi giorni usciranno i rinnovi e si annunceranno gli ultimi scambi, ma con la chiusura della Arkéa-B&B Hotels e la fusione tra Lotto e Intermarché-Wanty i posti sono sempre meno.
Facciamo dunque un quadro, una fotografia degli atleti senza contratto fra team Professional e WorldTour in vista del 2026. Un’analisi statistica sulla quale magari poi si potrà tornare a riflettere quando tutti avranno trovato, e non trovato, una sistemazione per il 2026 e gli anni a venire.
Tra passato e futuro. Girmay dovrebbe andare alla Israel, team che Ackermann (a sinistra) lascerà per andare, sembra, alla Jayco-AlUlaTra passato e futuro. Girmay dovrebbe andare alla Israel, team che Ackermann (a sinistra) lascerà per andare, sembra, alla Jayco-AlUla
Un caso Girmay?
Partiamo da un dato generale: fra WorldTour e professional sono quasi 200 gli atleti che non hanno un contratto per il 2026. Però attenzione: questo numero non è del tutto corretto. Ci sono corridori per i quali si attende l’ufficializzazione della firma, ma che hanno già un accordo, e tantissimi altri che, militando in squadre più piccole, seguono la prassi del rinnovo annuale.
Tuttavia, ci sono nomi davvero pesanti in questa “rete”. Pensiamo per esempio a Richard Carapaz, che resterà alla EF Education-EasyPost, o a Matej Mohoric che non lascerà la Bahrain Victorious. E lo stesso dovrebbe valere per Michael Matthews: l’australiano, al netto delle difficoltà economiche che stanno riguardando il Team Jayco-AlUla, sarà confermato… tanto che noi stessi lo abbiamo incontrato a Torino, presso le visite mediche della squadra di Copeland. Questi sono certamente i tre nomi più illustri.
A questi si può aggiungereBiniam Girmay: l’eritreo pedala verso la Israel-Premier Tech, o come si chiamerà dopo la ristrutturazione. Ma viste le complicazioni che hanno coinvolto la squadra israeliana recentemente, il suo annuncio ancora non è arrivato. Non solo: con la fusione in atto non è chiaro se il contratto di Girmay sia ancora valido. Ci sono cavilli burocratici importanti. E uno come Biniam fa gola a tanti team: potrebbe essere un “parametro zero” di lusso, per dirla in termini calcistici.
Chi invece è davvero a rischio è Fernando Gaviria: la Movistar Team pare non confermarlo e di lui si hanno poche notizie. Davide Cimolai, il suo apripista, non resterà e in arrivo dalla UAE Team Emirates c’è Molano.
Riguardo ai big, manca la conferma di Kwiatkowski alla Ineos Grenadiers: ma visto che il team inglese deve ancora coprire 8 caselle delle 30 disponibili, non dovrebbero esserci problemi per rivedere l’ex iridato in maglia Ineos.
Per il 2026 la Solution Tech ha confermato per ora appena cinque corridoriPer il 2026 la Solution Tech ha confermato per ora appena cinque corridori
Quanto movimento
E a proposito di caselle da riempire: prendendo il limite dei 30 atleti per squadra, nel WorldTour ci sono ancora 68 posti disponibili. Qualcuno in più tra le Professional. E’ ancora a quota zero la Modern Adventure Pro Cycling, la squadra di Hincapie nata dalle ceneri della Rally. E la Team Novo Nordisk è ferma a soli quattro corridori, uno in più della Solution Tech-Vini Fantini.
Questo per dire che dei quasi 200 nomi, tra rinnovi “automatici” e accordi già stipulati, la lista è destinata a ridursi… per fortuna. Resta però il fatto che 200 corridori a spasso sono tanti. E non tutti troveranno posto. Anche perché da dietro arrivano giovani che incalzano e sui quali le squadre puntano sempre di più.
A questo punto possiamo anche iniziare a guardare in casa Italia. In assenza di una squadra WorldTour, la buona notizia è che le Professional passano da tre a “quattro”, grazie alla MBH Bank. Ma va fatta una precisazione: tecnicamente la squadra è ungherese, pertanto ufficialmente restano tre le italiane: VF Group-Bardiani, Polti-Visit Malta e la Solution Tech-Vini Fantini.
La squadra di Bevilacqua, dal DNA del tutto italiano, non è più continental: continua a puntare sui giovani ma con qualche innesto d’esperienza, uno su tutti Fausto Masnada.
Cimolai con a ruota Gaviria: cosa faranno i due? “Cimo” (classe 1989) potrebbe anche pensare al ritiro?Cimolai con a ruota Gaviria: cosa faranno i due? “Cimo” (classe 1989) potrebbe anche pensare al ritiro?
Gli italiani
Sempre considerando WorldTour e Professional, ad oggi sono 30 i corridori italiani senza contratto, 31 se includiamo Mattia Gaffuri, il quale dopo il periodo da stagista con la Polti si vocifera possa approdare alla Picnic-PostNL. Ma vale lo stesso discorso: si attende l’ufficializzazione. Per esempio Francesco Busatto, forse il nome più illustre, dovrebbe passare dalla Intermarché-Wanty alla Alpecin-Deceuninck, rumors già uscito sui media olandesi. altra voce di corridoio: Samuele Zoccarato dovrebbe accasarsi alla MBH Bank, così come Alessandro Verre. E già la lista scenderebbe a 27… per fortuna.
Tra i nomi più importanti restano in ballo: Lorenzo Rota, Davide Cimolai, Stefano Oldani e Andrea Pasqualon. Quest’ultimo era in trattativa con alcune squadre, ma è certo che non resterà alla Bahrain Victorious. Così come non dovrebbe esserci più posto per Oldani alla Cofidis, che ha già un roster completo per il 2026.
Sul filo anche Tarozzi e Gazzoli: il primo potrebbe prolungare con la VF Group-Bardiani, il secondo restare alla XDS-Astana o, perché no, ritrovare la rotta della sua ex squadra U23, l’allora Colpack Ballan, oggi MBH Bank.
Pozzovivo rischia di chiudere la sua carriera in sordina. La Qhubeka è in forte bilico e potrebbe restare a piedi, nonostante la voglia sia ancora intatta
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Quella appena conclusa è stata l’ultima stagione da under 23 anche per Bryan Olivo, il corridore di Pordenone entrato al Cycling Team Friuli con le stigmate del campione ha vissuto quattro stagioni difficili. Nei primi tre anni con Renzo Boscolo e Roberto Bressan ha messo insieme pochissimi giorni di corsa, appena venti a stagione. Tanti stop, infortuni, frenate e ripartenze che, come spesso accade anche in gara, ti tirano il collo e alla fine ne esci stanco.
«Sono a casa da qualche giorno – spiega Olivo – e sto mi sto prendendo un po’ di riposo da una stagione che mi ha stancato più mentalmente che fisicamente. Finalmente ho avuto maggiore continuità, non sono mancati gli intoppi ma di certo non sono stati pesanti come gli ultimi tre anni. E’ stata la prima stagione vissuta con una certa regolarità, però in confronto agli altri anni quando ho avuto le occasioni per mettermi in mostra non sono riuscito a centrare il risultato».
Bryan Olivo ha corso l’ultimo anno da under 23 con il Bahrain Victorious Development (Photors.it)Bryan Olivo ha corso l’ultimo anno da under 23 con il Bahrain Victorious Development (Photors.it)
Step dopo step
I passi in avanti Bryan Olivo li ha comunque fatti nel suo percorso da under 23, sicuramente ad ostacoli ma non per questo privo di miglioramenti e alcune soddisfazioni.
«Quest’anno sono mancato nei momenti in cui mi sarebbe piaciuto confermarmi – ci dice con un velo di amarezza – perché al campionato italiano a cronometro arrivavo stanco dal Giro Next Gen. Allo stesso modo, sempre al Giro, non ho avuto modo di trovare il momento giusto per entrare nella fuga in quelle due tappe dove sapevo di avere qualche chance. Mentalmente non fare risultati pesa, ti stanchi e continui a pensare. Li rincorri e loro scappano, alla fine ne esci provato.
«Peccato perché nel mio cammino da under 23 – spiega Olivo – ho visto una crescita, nonostante i numerosi problemi. A livello fisico e mentale ogni anno sento di aver fatto dei passi in avanti. Penso che se riuscissi a mettere di seguito qualche stagione normale potrei fare ancora di più».
Il friulano è passato under 23 nel 2022 con il CTF, qui in azione al Tour of Szeklerland (foto Instagram)Il friulano è passato under 23 nel 2022 con il CTF, qui in azione al Tour of Szeklerland (foto Instagram)
Il problema sono i risultati?
Non ci nascondiamo, nell’ultimo anno da under 23 servono quelli per passare. E’ un chiodo fisso, ma alla fine non ci ho pensato tantissimo nei momenti in cui ero chiamato a fare il mio lavoro.
Sei passato come uno dei grandi nomi del ciclocross, ma anche per la cronometro, pensi sia mancata una direzione?
No, non direi proprio. Per quelle che sono le mie caratteristiche, per quanto riguarda la corse su strada, ho visto che ci deve essere un certo tipo di percorso. Oppure la gara deve venire selettiva per qualche motivo. Ad esempio alla San Geo, nel 2024, ho vinto in volata su un gruppo ristretto. Non ho lo spunto veloce per gli sprint di gruppo, ma in quel contesto ho dimostrato di saper vincere.
Coppa San Geo 2024 prima vittoria in linea per Olivo che allo sprint regola quello che è rimasto del gruppo (photors.it)Coppa San Geo 2024 prima vittoria in linea per Olivo che allo sprint regola quello che è rimasto del gruppo (photors.it)
Allo stesso modo quando la squadra è passata a essere devo team della Bahrain è cambiato qualcosa?
A livello interno, con i compagni di squadra e tanto altro magari sì, soprattutto per l’internazionalizzazione della squadra. Ma erano cose secondarie, come ad esempio la lingua. Diciamo che serviva un buon livello di inglese, mentre al CTF no.
Per quanto riguarda l’organizzazione?
No, il team ha sempre lavorato bene. Io poi sono seguito da Alessio Mattiussi da quando ero junior, quindi non è cambiato nulla.
Nel 2023 Olivo ha vinto il tricolore under 23 a cronometro, disciplina che da sempre è nelle sue cordeNel 2023 Olivo ha vinto il tricolore under 23 a cronometro, disciplina che da sempre è nelle sue corde
Gli spazi in squadra ci sono sempre stati?
Se uno va forte il posto lo trova e le occasioni vengono date. Penso di aver dimostrato di essere un ottimo uomo squadra, ma che fossi bravo a dare una mano e supportare i capitani lo si sapeva già all’interno del team. Quella di non farmi passare è una scelta del team WorldTour, giustamente prendono loro la decisione finale.
Hai parlato con altri team?
Al momento nulla, uno schermo nero. Non ho idea di cosa farò, cerco di non pensarci troppo e di godermi questi giorni di pausa. Quando sono sedici anni che fai ciclismo e a questo sport hai legato la tua vita è difficile pensare che tutto dipenda da cause esterne.
In questa stagione ha fatto anche delle corse con il team WordlTour, eccolo alla Nokere KoerseIn questa stagione ha fatto anche delle corse con il team WordlTour, eccolo alla Nokere Koerse
C’è qualcosa che ti rimproveri?
Non saprei in realtà, forse nei primi due anni da under 23 avrei potuto raccogliere qualcosina in più a livello personale.
Come ti senti a passare elite, è una cosa che ti preoccupa?
A mio avviso è meno importante di quanto sembri. Credo che sia una questione di dimostrare il reale valore dell’atleta, dimostrare ciò che si è e quanto si vale. E sono pronto a mettermi in gioco ancora, sedici anni non possono finire così.
Il ciclismo italiano impigliato fra il nuovo indispensabile e il vecchio che ci trattiene. Abbiamo atleti forti e (a volte) gestori discutibili. Come si fa?
Che cosa rappresenta Tadej Pogacar per il suo Paese? I successi del campione vincitutto hanno sensibilmente condizionato l’evoluzione della percezione sportiva in Slovenia che principalmente grazie a lui (e in ambito femminile ai successi di Anja Garnbret nel freeclimbing) non è più vista solamente come una nazione forte negli sport invernali e basta. Di questa percezione ha parlato anche Jakob Omrzel.
Parliamo di uno dei giovani più in vista in ambito internazionale in questa stagione, con dalla sua il successo al Giro NextGen e la conquista della maglia bianca di miglior giovane al Giro di Slovenia e di Croazia (un’accoppiata che non poteva passare inosservata visti i rapporti fra i due Paesi, in apertura la foto di Omrzel in Croazia) e il titolo di campione nazionale che gli sono valsi la firma di un contratto con il team Bahrain Victorious. Il diciannovenne di Novo Mesto non è però definito solo dai risultati, ma soprattutto dal suo atteggiamento verso lo sport e la vita e in un’ampia intervista a Siol.net, un’importante sito nazionale, ha toccato anche l’argomento del rapporto indiretto con il numero uno mondiale, attraverso una chiacchierata toccando anche argomenti delicati.
Il giovane della Bahrain insieme a Pogacar, alla serata di festa del ciclismo sloveno (foto Mediaspeed)Il giovane della Bahrain insieme a Pogacar, alla serata di festa del ciclismo sloveno (foto Mediaspeed)
«Io voglio essere “solo” Omrzel…»
«Spesso capita di essere paragonati a lui, questa è una legge alla quale ogni ciclista sloveno quasi soccombe. Ma io non voglio essere “come” Tadej, io voglio essere solo Jakob Omrzel, essere paragonato a me stesso. Certamente ammiro Tadej e ci sono aspetti ai quali mi ispiro, in primis la disciplina. Tadej dedica tutto il suo tempo al ciclismo. Credo di poter imparare molto da questo e cerco di seguire il suo esempio. Anche a lui piace andare in bici nel tempo libero: tutto è subordinato al ciclismo, alimentazione, riposo, allenamento… Se vuoi essere il migliore non puoi prescindere da questo».
Omrzel ha staccato completamente la spina alla chiusura della stagione, per ricaricare le batterie e appropinquarsi nella maniera migliore alla nuova stagione, la prima “tra i grandi”: «Mi rendo conto di quanto sia importante prendersi davvero questo periodo per riposare. Cerco di fare il meno possibile fisicamente e allo stesso tempo di staccare la testa dalla bici. Poi ricomincio lentamente a correre, camminare o andare in mountain bike».
Omrzel a casa con al fianco la maglia rosa conquistata al Giro NextGen (foto Ana Kovac)Omrzel a casa con al fianco la maglia rosa conquistata al Giro NextGen (foto Ana Kovac)
L’importanza della maglia di campione sloveno
Un anno importante quello che lo attende, innanzitutto perché entrerà nel massimo consesso con indosso la maglia di campione nazionale che rappresenta anche qualcosa che ti tiene sempre davanti ai riflettori: «E’ vero e ne sono davvero orgoglioso, perché dà una sensazione speciale e allo stesso tempo è un ulteriore incentivo. Sai di essere competitivo e di essere dove sei per un motivo per qualcosa che hai fatto ma soprattutto per qualcosa che rappresenti».
Non tutto però è andato nel migliore dei modi. Attesissimo al Tour de l’Avenir dopo la vittoria al Giro NextGen, poi non è stato un fattore per la vittoria: «Penso che i momenti di delusione siano i più importanti nello sport – risponde Omrzel in maniera schietta e matura – Quando tutto va secondo i piani e tutto è perfetto, niente ti è difficile: provi soddisfazione quando ottieni un buon risultato. Ma è completamente diverso quando non va, come è successo anche al Giro della Valle d’Aosta. E’ proprio dai momenti di crisi e dal tentativo di superarla che si impara di più. Ho capito che è molto difficile raggiungere due picchi di forma in una stagione. In Francia non mi sentivo al meglio, dovevo recuperare la forma ed ero proprio in quella fase in cui non ero al massimo. Ma la situazione è migliorata verso fine stagione, con il culmine al Giro di Croazia».
Il trionfo ai campionati nazionali di Slovenia, del tutto inaspettato per lui ancora U23 (foto Luka Kotnik)Il trionfo ai campionati nazionali di Slovenia, del tutto inaspettato per lui ancora U23 (foto Luka Kotnik)
La tragedia di Privitera, un peso enorme
Omrzel non cita il Giro della Valle d’Aosta a caso, perché quella corsa, per lui come per tutti gli altri in gara, non è stata più la stessa dopo la tragica fine di Samuele Privitera: «Quello è stato il fattore principale: qualcosa che ti butta completamente a terra. Soprattutto mentalmente. Ho imparato molto da quell’esperienza, soprattutto su come ha reagito il mio corpo in quel momento e su come io stesso ho percepito gli eventi. Se dovessi scegliere, direi che questa è stata la gara più difficile che abbia vissuto. Devo dire grazie al mio allenatore Alessio Mattiussi. E’ stato lui a venire nella mia stanza e a parlare con me. Senza di lui, probabilmente non avrei continuato la gara. Alessio è in un certo senso il mio contrappeso. Nei momenti in cui potrei essere un po’ amareggiato per la mia vita, lui mi dice come stanno le cose e quindi calma la situazione. Penso che giochi un ruolo molto importante nella mia carriera».
I successi di quest’anno hanno destato grande attenzione fra i media sloveniI successi di quest’anno hanno destato grande attenzione fra i media sloveni
Il “clan” sloveno alla Bahrain Victorious
Un altro aspetto importante per Omrzel, che l’ha spinto a continuare la sua esperienza alla Bahrain facendo il salto diretto nella prima squadra, è stato il fatto di poter far gruppo con i suoi connazionali: «C’è Zak Erzen con cui siamo cresciuti insieme all’Adria Mobil e siamo ottimi amici, stiamo insieme praticamente ogni giorno e il fatto che ora saremo anche compagni di squadra è la cosa più bella. Anche il meccanico del team, Aljaz Zefran, è un buon amico, e mio fratello Aljaz guida il pullman della squadra, quindi siamo tutti insieme, il che è fantastico. E’ più facile allentare la tensione quando si ha un ambiente che ti sostiene».
Il ruolo di capitano, ricoperto più volte nel corso della stagione, non lo spaventa: «Saper creare un legame con la squadra, mantenere la calma e prendere decisioni rapide è un fattore importante. Ho dovuto abituarmi un po’. ma quando si crea un legame con i ragazzi e un’atmosfera positiva nella squadra, allora non è affatto difficile. Ma non è difficile nemmeno fare l’assistente. Al Giro di Slovenia e Croazia ho anche detto che non ho problemi ad aiutare gli altri. Quel che conta è che so che posso ancora imparare molto e migliorare».
Omrzel a Kigali, con la maglia della nazionale. Nel 2026 gli europei casalinghi saranno un suo obiettivoOmrzel a Kigali, con la maglia della nazionale. Nel 2026 gli europei casalinghi saranno un suo obiettivo
Obiettivo: migliorare a cronometro
Molto da migliorare anche nelle sue prestazioni: «Sotto quasi tutti gli aspetti. Quest’anno mi sono dedicato poco alla cronometro, ad esempio, semplicemente perché non c’era abbastanza tempo. La prossima stagione dovrò approfondire molto di più questa disciplina. Sarà importante costruire un buon calendario, ma credo che non ci saranno disaccordi sulla composizione del programma. Sappiamo che sono ancora giovane e che partecipare ai Grandi Giri in questa fase sarebbe ancora inutile. Se voglio avere una carriera di qualità che duri anche a lungo, allora penso che non ci sarà nulla di male nell’aspettare un po’ di più. E’ meglio concentrarsi su gare di una settimana che sorpassare con gare di tre settimane».
E’ uno dei passaggi più importanti del ciclomercato per noi italiani: quello di Alberto Dainese dalla Tudor Pro Cycling Team alla Soudal–Quick‑Step. Lo sprinter veneto è ormai una certezza e approdare in un team che fa delle classiche e delle tappe il suo obiettivo maggiore non è da poco. Specie se quel team è proprio uno squadrone come la Soudal–Quick-Step.
Qualche giorno fa Dainese è volato in Belgio a Turnhout presso la sede di ricerca e sviluppo di Soudal, per un meeting di tre giorni come si è soliti fare oggigiorno. Qui ha conosciuto i nuovi compagni, ma anche tecnici, staff. Da lui ci siamo fatti raccontare le prime impressioni ed è emersa subito la “parolina” magica: Wolfpack.
Alberto Dainese (classe 1998) saluta la Tudor dopo due stagioneAlberto Dainese (classe 1998) saluta la Tudor dopo due stagione
E quindi, Alberto, è cominciata una nuova avventura: quanto della stagione è già impostato e quanto invece è ancora in divenire?
Sì, esatto, siamo andati in Belgio e ci siamo trovati tutti quanti: atleti, direttori sportivi, parte dello staff. Il primo giorno ho preso le misure per la bici, ho fatto il bike-fitting. Poi ho incontrato preparatori e nutrizionisti. Il giorno successivo ho conosciuto l’altra parte dello staff: mental coach, dottori, massaggiatori…
E cosa ti è parso?
Mi sembra tutto bene, professionali, più pignoli di quello che credevo, quindi è un bene. Abbiamo fatto anche un tour per la sede Soudal. Non eravamo al service course della squadra.
Invece un aspetto più descrittivo di questa giornata: la sede com’è? Come te l’aspettavi?
E’ una struttura moderna. Eravamo nella sede proprio di Soudal, quindi non eravamo al service course dove c’è il magazzino della squadra ma eravamo proprio in sede Soudal, che ha diverse filiali. Abbiamo fatto una visita dell’azienda. Siamo andati in quello che era il primo stabilimento di produzione di siliconi, incollaggi, isolanti. E’ bello che comunque tocchi con mano la realtà dell’azienda. E devo dire che mi è piaciuto molto vedere i lavoratori di Soudal. Eravamo un po’ ospiti loro.
Con gli altri ragazzi non è mancata una visita al centro R&D di SoudalCon gli altri ragazzi non è mancata una visita al centro R&D di Soudal
Vi riconoscevano? Vi chiedevano selfie?
Sì certo, poi chi più chi meno… Conoscevano soprattutto i corridori belgi. Poi comunque eravamo ben separati. Anche perché eravamo anche nel reparto di ricerca e sviluppo. Loro non venivano a disturbarci e noi non andavano a disturbare loro. Però sì, alcuni ti fermavano ed è stato carino.
In quei giorni siete andati in bici, avete fatto una pedalata?
No, siamo stati due notti e tre giorni alla fine. E tra viaggio e partenza i veri giorni di lavoro sono stati due. Come detto, abbiamo fatto visite, misure, incontri, test fisici… Per esempio ci hanno valutato con lo squat la differenza di forza fra una gamba e l’altra. Mi sono ritagliato giusto un’ora una mattina perché sono andato a correre con Filippo Zana.
Ti è stato già assegnato un preparatore?
Esatto. E’ un belga e preparerà tutti e quattro gli italiani… quindi dovrà iniziare a imparare l’italiano da qui a fine anno! Mi sembra in gamba. Con lui abbiamo visto due o tre cose da implementare e migliorare rispetto a quest’anno. Soprattutto in considerazione del fatto che venivo da una stagione con due infortuni importanti ed è stata un po’ tosta. Ho subìto un po’ sia quel che è stato il mio 2024 e una preparazione che non ha considerato la mancanza delle ore dell’anno precedente.
Da rivali a compagni di squadra: ecco Alberto con MagnierDa rivali a compagni di squadra: ecco Alberto con Magnier
Quindi?
Quindi probabilmente quest’anno mi allenerò un po’ di più. Però sono motivato, voglio anche riscattarmi da due annate sotto tono perché da quando ho fatto quella caduta terribile (il riferimento è all’incidente avvenuto lo scorso inverno a Calpe, ndr) non sono più tornato ai miei livelli. Non a caso sono già tornato in bici. Ho fatto due settimane di fermo, anche se comunque andavo a correre a piedi, ma come ripeto da sei giorni sono già in bici. E le sensazioni mi sembrano buone.
E’ interessante il discorso dell’incontro col preparatore. Tu già avevi inviato i tuoi file al coach o avete parlato lì sul momento?
Ovviamente lui aveva accesso al mio TrainingPeaks già da prima, perché quando fanno firmare un corridore tutte le squadre te lo richiedono. Vedono tutti i valori, da lì lui si è fatto un’idea e mi ha fatto un programma.
Il corridore in questo caso esprime le sue preferenze, le sue sensazioni?
Sì certo. Io sono stato il primo a dire cosa avrei voluto, cosa mi aspetto dalla preparazione e da un preparatore.
Secondo Dainese vista da fuori la Soudal dava un senso di compattezza più di altre squadreSecondo Dainese vista da fuori la Soudal dava un senso di compattezza più di altre squadre
Hai visto gli altri due sprinter del team? Chiaramente parliamo di Paul Magnier e Tim Merlier…
Sì, sì, uno: Paul Magnier, era di ritorno dalla Cina: era bello provato! Sicuramente è stimolante stare con gente di questo calibro. Non vedo l’ora di confrontarmi con loro già dal primo ritiro. Loro sono il primo e il secondo sprinter al mondo per numero di vittorie quest’anno, di conseguenza se avrò un calendario in comune sarò pronto anche a dare una mano. Anche questa è una cosa che mi stimola. E poi farò un terzo calendario e cercherò di far bene. Una cosa è certa: qua si corre per vincere ed è una mentalità che mi piace. E’ diversa da altre realtà. Conta solo fare primo.
Quindi hai già parlato con Merlier e Magnier?
Brevemente, c’erano da conoscere così tante persone che con loro ho fatto fatica a parlare anche perché erano abbastanza pressati. Ci conoscevamo per aver scambiato qualche rapida battuta in gruppo, ma nulla di più.
E invece Bramati che dice?
Con lui sono contento. Lo conoscevo poco però è una guida che mi sembra molto valida. Mi dà una carica… Ci segue, ci tiene, ci dà le dritte giuste: Brama è molto presente in squadra. Mi dicevano che è in questo gruppo da 30 anni. Lui sarà il direttore sportivo di riferimento di noi italiani, quindi: Garofoli, Raccagni, Zana e io.
L’ultima vittoria di Dainese è quella alla Région Pays de la Loire del 2024. Poi tanti problemi che non lo hanno fatto rendere al meglioL’ultima vittoria di Dainese è quella alla Région Pays de la Loire del 2024. Poi tanti problemi che non lo hanno fatto rendere al meglio
Parli con entusiasmo, Alberto, si percepisce proprio, e allora dicci: qual è stata la cosa che ti ha colpito di più?
La mentalità. La mentalità che è quel che fa la differenza. Si respira questa voglia di vincere. Per un cacciatore di classiche o per uno sprinter come me è come andare al Real Madrid… dove ti aspetti di vincere tutte le partite. Si corre per vincere e questo trascina tutta la squadra e tutto lo staff. Questa cosa mi ha sempre colpito, catturato anche prima, quando li vedevo da fuori. Già ti senti parte di qualcosa, del famoso Wolfpack… Puoi dire corro nel Wolfpack. Corrono uniti: tutti per uno, uno per tutti.
Avete già parlato un po’ di calendario o è tutto in divenire?
Per adesso so che parto dall’Australia. Pensate: mi hanno chiesto come l’avrei presa se mi avessero mandato subito al Down Under. E gli ho risposto: «Volevo domandarvelo io!». Quindi sono contento di partire subito.
Una chiamata a Eddy Mazzoleni, perso di vista tanti anni fa. Lo abbiamo trovato nel suo ristorante. Abbiamo parlato dei vecchi tempi, di capitani e scelte di vita
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Villa e Viviani hanno reinventato la pista italiana a partire dal 2010 e l’hanno portata sul tetto del mondo. E oggi che il veronese ha appeso la bici al chiodo e il tecnico è stato spostato alla strada, si potrebbe pensare che il ciclo si sia concluso. Invece la loro eredità è viva più che mai. Villa è passato alla strada, ma pochi giorni fa ha guidato le ragazze all’oro del quartetto. E Viviani, che si sta godendo le vacanze in Colombia, sembra lanciato verso un ruolo di primo piano in nazionale.
Chi meglio di Villa può dunque raccontare che cosa abbia significato Viviani per la pista azzurra? Per questo lo abbiamo… sequestrato per quasi un’ora fra racconti e aneddoti, che successivamente abbiamo dovuto asciugare per non tenere anche voi così a lungo davanti allo schermo (in apertura i due sono in Guadalupe per gli europei del 2014).
Marco Villa è il cittì della strada pro’, ma a Santiago del Cile ha guidato il quartetto azzurro all’oroE in Cile si è chiusa invece con la maglia iridata dell’eliminazione la carriera di Elia VivianiMarco Villa è il cittì della strada pro’, ma a Santiago del Cile ha guidato il quartetto azzurro all’oroE in Cile si è chiusa invece con la maglia iridata dell’eliminazione la carriera di Elia Viviani
Quando è stata la prima volta che hai scoperto l’esistenza di Elia Viviani?
Correvo ancora e ricordo il nome di questo ragazzino che correva e vinceva facilmente nella sua categoria. Mi pare che ci siamo anche incrociati in una gara a Aigle, lui portato lassù da Chemello, il tecnico regionale, che me lo presentò. Dopo me lo sono ritrovato quando ero collaboratore di Colinelli e ho cominciato a conoscerlo. Aveva già le idee precisee la predisposizione a programmare, a mettere tutto in fila: appuntamenti, progetti, ambizioni.
Le Olimpiadi di Londra 2012 furono davvero un’avventura come la racconta lui?
Era un progetto in atto, Elia stava inseguendo la qualifica e l’aveva ottenuta. A Londra avevamo un box piccolissimo e i nostri orari di allenamento. Per cui facevamo la nostra parte e poi ci fermavamo a guardare come era organizzata l’Inghilterra, che aveva un box più grande, in cui David Brailsford comandava e dominava, dopo gli anni dell’Australia. E noi eravamo lì a guardarli tutti con un po’ di invidia, ma anche con la voglia di crescere. Sembravano irraggiungibili, qualcosa di inimitabile.
E’ il 2011, primo anno di Villa cittì della pista: eccolo con Viviani agli europei di ApeldoornE’ il 2011, primo anno di Villa cittì della pista: eccolo con Viviani agli europei di Apeldoorn
La pista azzurra era messa così male?
In quel momento arrivavano più i risultati nel femminile, che aveva un budget più alto. Io col maschile facevo fatica a chiedere soldi, perché non facevamo risultati. Per fortuna sono arrivati i primi sponsor. Pinarello ci ha fatto le bici aerodinamiche sull’onda del Record dell’Ora di Wiggins, che non avremmo mai potuto comprare. Avevamo Viviani, Bertazzo, Scartezzini, Consonni, ai tempi c’era Buttazzoni. Un gruppo di ragazzi promettenti, che avevano delle doti. Però andavamo alle Coppe del mondo ed eravamo indietro con tutto, anche nella metodologia.
Era tutto da costruire?
Sono partito copiando gli altri, nessuno mi ha spiegato come dovessimo fare. Passavo più tempo in pista che in hotel, perché dopo l’allenamento mi fermavo a guardare gli altri, che tipo di lavori facessero. Giravo nei box a studiare i materiali, facevo le foto col telefonino per capire qualche aspetto tecnico da chiedere ai nostri partner.
A Londra 2012, Viviani ha 23 anni: corre su strada ed è sesto nell’omnium in pistaA Londra 2012, Viviani ha 23 anni: corre su strada ed è sesto nell’omnium in pista
Qual è stato il ruolo di Viviani in questa fase?
Abbiamo iniziato assieme. Io facevo le mie cose e lui mi dava i suoi feedback. Veniva in pista anche se doveva allenarsi e correre su strada e per questo è stato un esempio. Gli altri lo vedevano fare quel che gli chiedevo e poi vincere su strada e si sentivano più sicuri nel rispondere alle convocazioni e chiedere di andare in Coppa del mondo. C’erano squadre che dicevano di no e loro rispondevano che se lo faceva Viviani e poi vinceva su strada, probabilmente avrebbe fatto bene anche a loro. In questo Elia è stato preziosissimo.
Nella Liquigas in cui correva, il team manager era Amadio che ora ricopre lo stesso ruolo in nazionale…
Alla pista credeva più Amadio dei suoi direttori sportivi. Una volta mi ritrovai in un pranzo organizzato da Lombardi con Paolo Zani, che era il proprietario della squadra. Per i primi dieci minuti, mi mise al muro: «Quindi cosa volete voi della Federazione? Sapete che Viviani lo paghiamo noi?». Allora cominciai a dirgli che il giovedì era venuto in pista e poi la domenica aveva vinto su strada. «Non voglio il merito – gli dissi – però non mi dica che gli ha fatto male. E nel frattempo ha fatto secondo al mondiale nello scratch». Alla fine sono riuscito ad ammorbidire anche una persona di grande temperamento come Zani. Ma devo dire che senza i risultati di Elia, nessuno avrebbe capito che la cosa poteva funzionare.
Viviani vince su pista e vince su strada: qui alla Bernocchi del 2014Viviani vince su pista e vince su strada: qui alla Bernocchi del 2014
La multidisciplina che funziona…
Che ha reso grandi Van der Poel e Van Aert con il cross e ha reso Viviani il miglior corridore italiano su strada negli anni che preparava le Olimpiadi di Rio e in quelli subito dopo. Non è stato per caso, come non è un caso che Ganna sia uno dei migliori su strada e a crono. E non è un caso che Milan oggi sia uno dei migliori su strada e anche lui viene dalla pista.
Rio 2016 e arriva l’oro di Viviani nell’omnium.
Sapevamo che stava bene, però anche a Londra si era presentato primo all’ultima prova, anche se l’omnium aveva una disposizione diversa e l’ultima prova era il chilometro, che girò tutte le carte. E alla fine da primi che eravamo, ci ritrovammo sesti. Anche a Rio eravamo davanti nell’ultima prova, così quando Elia cadde, mi parve di rivivere la maledizione di Londra. Invece lui ha reagito subito, ha vinto un paio di volate e si è portato in testa. Alla penultima volata aveva la vittoria in tasca e ci siamo goduti gli ultimi dieci giri. Io gli dicevo di stare tranquillo, bastava che non cadesse. E lui mi guardava come per dire: sono in controllo e mi sto godendo gli ultimi giri.
La caduta di Viviani nell’ultima prova dell’omnium a Rio 2016 fa temere che il sogno olimpico sia finitoInvece Elia si rialza, vince subito le sue volate e negli ultimi dieci giri può godersi l’oro nell’omniumLa caduta di Viviani nell’ultima prova dell’omnium a Rio 2016 fa temere che il sogno olimpico sia finitoInvece Elia si rialza, vince subito le sue volate e negli ultimi dieci giri può godersi l’oro nell’omnium
Avete mai litigato?
Abbiamo sempre parlato apertamente, abbiamo sempre avuto le idee quasi uguali e l’idea di lavorare nella stessa direzione. Probabilmente ha sempre seguito quello che gli dicevo perché era in sintonia e si fidava. Litigato mai, solo ai mondiali di Londra prima di Rio, nell’ultima volata sembrò che Cavendish e Gaviria gli avessero fatto il biscotto. Scese di bici, sparì e non l’ho visto per tre ore. Per fortuna c’era Elena (Cecchini, sua moglie, ndr), che è stata per tutto il tempo con lui.
Che cosa era andato a fare?
E’ sparito, è andato giù nei box e poi quando l’ho rivisto mi ha detto. «Ma io a Rio che cosa ci vado a fare se non sono capace di vincere?». Gli risposi che a Rio ci sarebbe venuto e avrebbe corso per vincere. In quel momento una grossa mano la diede ancora Elena. Elia ha sempre avuto attorno le persone giuste, che ha voluto lui per primo. Elena, Lombardi, forse anche io. E vi assicuro che sa scegliere benissimo le persone di cui contornarsi.
Ai mondiali pista del 2016 a Londra, la rivalità tra viviani e Gaviria esplose fortissimaAi mondiali pista del 2016 a Londra, la rivalità tra viviani e Gaviria esplose fortissima
Pensavi che sarebbe arrivato in Cile con la possibilità di vincere?
Se parliamo di eliminazione e lui ha la gamba, può vincere contro chiunque, perché ha acquisito una tecnica che pochi hanno. Mi sarebbe dispiaciuto se si fosse ritirato, come volevano che facesse quando non trovava la squadra. Invece Elia mi ha sempre detto che avrebbe smesso quando l’avesse deciso lui. E quando ha trovato la Lotto, sin da gennaio ha detto che avrebbe chiuso dopo i mondiali del Cile, provando a vincere un’ultima volta. E’ quello che ho ricordato l’altro giorno quando l’ho visto vincere: un anno fa mi ha detto così e alla fine ce l’ha fatta. Ha dimostrato di saper vincere ancora su strada e ha chiuso con una maglia iridata su pista.
A Tokyo venne l’oro del quartetto: quel è stato il ruolo di Viviani in quel caso?
E’ stato presentissimo e da campione olimpico ha cercato di portare il suo carisma. Di quel quartetto Elia era la riserva e quando capì che pensavo di farlo correre in finale, si è messo di traverso. «Marco – mi ha detto – se vuoi vincere l’oro, devi andare avanti con questi quattro. Non pensare minimamente di mettermi dentro perché mi sono allenato con loro, non mi interessa la medaglia. Mi piacerebbe partecipare, ma il quartetto che può vincere è quello che ci ha portato in finale e ha fatto il record del mondo. Battere la Danimarca sarà difficile, ma i quattro più forti sono loro». Aveva ragione e comunque dopo qualche giorno si è preso anche lui la medaglia di bronzo nell’omnium.
A Tokyo 2021, Viviani è riserva del quartetto come Bertazzo: è Elia a chiedere a Villa di far correre i 4 che conquisteranno l’oroA Tokyo 2021, Viviani è riserva del quartetto come Bertazzo: è Elia a chiedere a Villa di far correre i 4 che conquisteranno l’oro
Abbiamo sintetizzato 15 anni di vita insieme in 8 minuti, sarà strano andare a Montichiari e non vedere più Elia Viviani?
Sono sicuro che qualunque incarico avrà, la telefonata me la farà sempre. Anche nel mio ruolo di tecnico della strada, ogni dieci giorni mi chiamava e mi chiedeva come fossi messo e se avessi avuto le risposte che aspettavo. Ci siamo confrontati e mi è sempre stato vicino. Vi confesso che in una tappa della Vuelta non riuscivo a parlare con un corridore e gli ho chiesto di andarci a scambiare due parole per capire come stesse. Mi ha dato una mano anche lì.
Non ci sono figli e figliastri, ma si può dire che Viviani sia stato l’azzurro con cui hai legato di più?
Non si tratta di avere preferenze. Anche perché se doveste chiedere a Ganna la stessa cosa, vi direbbe che anche lui con Elia si confida come se fosse un suo tecnico. E così gli altri. Gli hanno riconosciuto il ruolo che merita e che lui si è costruito negli anni con la sua coerenza, semplicemente essendo… Elia Viviani.
Il mondiale su pista a Santiago del Cile ha portato le emozioni e la gioia di vedere Elia Viviani ancora una volta protagonista sul parquet. Un’ultima volta per il “Profeta”, il quale ha lasciato la squadra che negli anni ha saputo costruire insieme a Marco Villa. Chiudere un cerchio con la maglia iridata nell’eliminazione è un qualcosa di unico e incredibile, come detto dallo stesso Viviani al termine della corsa.
Il veronese ha saputo seminare e far crescere quel germoglio della pista, ora diventata una pianta capace di dare frutti pieni di talento e voglia di seguire le orme di Viviani. Tra questi ci sono due ragazzi che hanno condiviso con la nazionale l’ultima corsa del pistard azzurro: Davide Stella e Juan David Sierra. Questa è la coppia che a Santiago del Cile ha corso nella madison, i due giovani entrambi al primo mondiale su pista tra gli elite si sono difesi e hanno capito cosa vuol dire correre tra i grandi.
Davide Stella oltre alla madison ha corso anche nello scratch terminando la prova al diciannovesimo postoDavide Stella oltre alla madison ha corso anche nello scratch terminando la prova al diciannovesimo posto
Resistenza e velocità
Davide Stella risponde mentre si trova a Istanbul, direzione Singapore. Lì correrà due criterium su strada e concluderà la sua prima stagione da under 23. Un giro del mondo in meno di una settimana, considerando che la nazionale è tornata dal Cile martedì scorso, il 28 ottobre.
«Questo mondiale – dice Stella – è stata una bella esperienza, nello scratch non ho corso come avrei voluto. Mentre nella madison le sensazioni erano buone, anche il mio compagno Sierra stava bene, ma il livello tra gli elite è completamente diverso. Ci abbiamo provato e più di così era difficile fare, un decimo posto che è sicuramente un buon punto di partenza.
«Quella di Santiago del Cile – continua – è stata la madison più veloce della storia, corsa a una media 60.6 chilometri orari. Un battesimo intenso ma utile per capire tante cose, passare dai 120 giri delle prove giovanili ai 200 della gara elite è un bel salto. La gestione della tattica è differente, si va all’attacco con l’obiettivo di conquistare il giro di vantaggio. In un’occasione ci siamo anche riusciti, quindi le nostre soddisfazioni ce le siamo portate a casa».
Stella e Sierra “spiano” i gesti e i movimenti di Viviani, la cura della bici è il primo passo per essere un campione«Un grazie particolare a Elia Viviani per tutti i tuoi preziosi consigli ed emozioni che ci hai fatto vivere». Così Stella ha celebrato su Instagram la vittoria del ProfetaStella e Sierra “spiano” i gesti e i movimenti di Viviani, la cura della bici è il primo passo per essere un campione«Un grazie particolare a Elia Viviani per tutti i tuoi preziosi consigli ed emozioni che ci hai fatto vivere». Così Stella ha celebrato su Instagram la vittoria del Profeta
L’approccio del Profeta
Per due atleti alla prime esperienze nelle corse elite su pista avere accanto una figura come quella di Viviani è stato importante. Elia non ha mai negato una mano o un consiglio, anche se qualcosina già si conosce.
«Viviani era uno di noi – dice Stella – del gruppo, faceva da guida e da consigliere. E’ sempre stato il mio idolo e averlo vicino è stato qualcosa di incredibile, faceva un certo effetto parlarci. Ho parlato tanto con lui, soprattutto per quanto riguarda l’eliminazione. Mi ha detto come gestisce il riscaldamento e come suddivide la prova, mi sono accorto che qualcosa lo facevo già. Per il resto ho preso appunti nella mente, in particolare per la gestione in gara. Non posso dirvi cosa mi ha detto, sono i consigli di un campione del mondo».
Juan David Sierra ha preso parte anche all’omnium, concluso in dodicesima posizioneJuan David Sierra ha preso parte anche all’omnium, concluso in dodicesima posizione
L’esperienza di Sierra
Juan David Sierra, invece, è a casa sua, a Rho alle porte di Milano. La stagione è finita e ora è a casa a riposare e dare una mano in famiglia. Tra pochi giorni arriverà una sorellina e ci sono tante cose da fare, oltre a godersi il momento.
«La Federazione ci ha dato una grande occasione – analizza Sierra – perché non è da tutti i giorni correre un mondiale su pista senza pressioni esterne, ma solo per fare esperienza e provare a fare il meglio possibile. Ho corso in due specialità olimpiche: omnium e madison. Nella prima avrei potuto fare un po’ meglio, ma sono gare che insegnano molto. Per quanto riguarda la madison ha ragione Stella. Il livello era altissimo e siamo andati davvero forte. Inoltre la nostra coppia era di gran lunga quella più giovane in gara, considerando che abbiamo rispettivamente 20 anni io e 19 anni Stella.
Sierra ha avuto l’occasione di correre una prova di madison in coppia con Viviani poco prima dei mondiali in Cile (foto Augusto De Nando)Sierra ha avuto l’occasione di correre una prova di madison in coppia con Viviani poco prima dei mondiali in Cile (foto Augusto De Nando)
A ruota di Viviani
Il cammino di Sierra insieme a Viviani è stato più lungo, considerando che i due hanno anche condiviso il parquet proprio qualche settimana prima del mondiale.
«Con Viviani – racconta Sierra – abbiamo passato tanti momenti a Montichiari dove ci ha dato tantissimi consigli. Inoltre ho avuto la fortuna di essere in camera con Lamon in Cile, gli ho fatto un sacco di domande, in particolare sulle Olimpiadi. Come si prepara un appuntamento del genere, come lo si gestisce e soprattutto cosa si prova a vincere una medaglia d’oro».
«Quando guardi Viviani da vicino – dice ancora Sierra – capisci come non sia un campione per caso. E’ molto meticoloso sui materiali, tanto che gli ho detto di restare nel giro della nazionale e di venire in pista a darci una mano. Io non conosco tanti aspetti e lui può essere una figura estremamente utile per il nostro gruppo».
«Inoltre – conclude – ho anche avuto l’occasione di correre una madison, una decina di giorni prima del mondiale, insieme a Viviani a Grenchen. E’ stato incredibile. Gli ho fatto un sacco di domande tecniche, sui cambi, su come lanciare il compagno e lanciarsi a propria volta, il posizionamento. Ve l’ho detto che deve rimanere nel giro, ha troppo da insegnare!».
Paolo Rosola è al Mugello con suo figlio Patrick e il camper per il Trofeo Città di Firenze di ciclocross. Il tecnico della General Store fa fatica a stare fermo e in fondo è questa la vita che ha sempre fatto. Prima da corridore, poi da compagno di Paola Pezzo quando ancora correva, quindi da diesse nei professionisti e poi in continental, sulla moto al Giro d’Italia, quindi come padre di due corridori. Quello che si è aggiunto da poco alla sua agenda è un corso per direttori sportivi di terzo livello, organizzato in collaborazione con la Federazione. E proprio aver potuto vedere da vicino la struttura dei corsi ha stimolato la curiosità del bresciano verso la nuova concezione del “tecnico allenatore”, come si chiamerà d’ora in avanti il vecchio direttore sportivo del ciclismo (in apertura, immagine photor.it della riunione tecnica prima del Trofeo Edil Group Costruzioni).
Paolo Rosola, 65 anni, è tecnico alla General Store Essegibi dal 2022 dopo gli anni alla GazpromPaolo Rosola, 65 anni, è tecnico alla General Store Essegibi dal 2022 dopo gli anni alla Gazprom
Il liceo Sacra Famiglia
E’ nato tutto dalla sua collaborazione con il Liceo Scientifico Sportivo “Sacra Famiglia” di Castelletto di Brenzone sul Garda, in provincia di Verona. Ce ne aveva parlato già nel 2022, quando la sua preoccupazione principale era la ricerca (vana) di uno sponsor per evitare che il gruppo della Gazprom si disperdesse.
«E’ un liceo scientifico sportivo – ripete Rosola – in cui circa 250 ragazzi arrivano a prendere il T1 (primo livello come direttori sportivi, ndr) e in quinta escono con il diploma di Guida Cicloturistica. Praticamente fanno tutto l’iter di circa 60 ore e io collaboro con loro da quando al Centro Studi della Federazione c’era Daniela Isetti. Nella scuola ci sono una pista di downhill e un pump track e quando i nuovi responsabili della Scuola Tecnici sono venuti a vederla, è nata la proposta di organizzare un corso per il terzo livello e la scuola ha aderito. In più l’istituto ha una foresteria gestita dalle suore, che permette agli allievi di pernottare nei weekend in cui si svolge il corso».
All’interno del liceo di Brenzone, ci sono una pump track e un percorso da downhillAll’interno del liceo di Brenzone, ci sono una pump track e un percorso da downhill
Ed è stato così che ti sei reso conto di quanto sia cambiato il terzo livello rispetto agli anni scorsi?
Esatto. Rispetto a un tempo sono stati inseriti più elementi di allenamento, di alimentazione e di psicologia. Anche la parola direttore sportivo, per come era ai vecchi tempi, piano piano andrà a sparire. Oggi quella figura prenderà il nome di tecnico allenatore. E’ colui che gestisce lo staff, perché oggi anche nelle continental abbiamo tutto: il nutrizionista, il preparatore, il dottore, il massaggiatore, il meccanico. Una volta che il direttore sportivo, quello che prima avremmo chiamato team manager, ci affida tutte queste persone, il tecnico allenatore deve gestirle. Io nella General Store sono tecnico allenatore e così d’ora in avanti sarà indicato nel tesserino, con la qualifica TA3.
Come tecnico allenatore devi sapere di preparazione, nutrizione e psicologia perché avrai a che fare con l’allenatore, il nutrizionista e lo psicologo?
Esatto. Parlo con il mio preparatore, il mio nutrizionista e con il dottore, poi posso fare la tattica di corsa. Quella viene gestita sempre dal tecnico allenatore, come nel calcio. E la Federazione ha cominciato a inserire questa figura, verso cui tutti dovranno tendere. Perché è lampante che questi corsi servano anche per fare una selezione.
La Federazione aveva già un accordo con il liceo per il primo livello e il titolo di guida cicloturistca (immagine FCI)La Federazione aveva già un accordo con il liceo per il primo livello e il titolo di guida cicloturistca (immagine FCI)
Pensi che i tuoi colleghi faranno fatica ad accogliere questo cambiamento?
A livello continental e anche nei team elite/U23 siamo lontani, perché veniamo dalla cultura delle vecchie generazioni, che invece devono cambiare. Se il WorldTour è la serie A e le professional sono la serie B, le continental sono la serie C del ciclismo. E anche nella serie C ci sono dei meccanismi uguali a quelli della serie A. Se tu parli con i professionisti, non sono i direttori che gestiscono gli allenamenti. Per cui nei corsi si cerca di qualificare questa figura del tecnico allenatore, ma è abbastanza chiaro che ci sarà da aspettare ancora perché tutti siano pronti. Bisognerà che tutti capiscano o che arrivino i giovani, come D’Aiuto, Pozza e Palomba che lo scorso anno erano con noi e si sono iscritti al corso. Chi non ci sta, può tornare a fare il direttore sportivo come prima, ma negli allievi e al massimo gli juniores.
Il problema di equiparare la serie C con la serie A è che nelle continental non siete professionisti e non fate parte della Lega Ciclismo. Pare che ci siano delle riunioni in corso per agevolare questo passaggio, ma ad ora siete dilettanti…
Verissimo e neanche so se la Federazione e le stesse squadre dei professionisti sarebbero contente di vedere le continental nella Lega, potrebbero vederci una contrapposizione.
Mentre in Italia si lavora al terzo livello, a Aigle i diesse italiani ieri hanno concluso il corso per tecnico di livello internazionaleMentre in Italia si lavora al terzo livello, a Aigle i diesse italiani ieri hanno concluso il corso per tecnico di livello internazionale
Quanto dura il corso?
E’ cominciato il weekend scorso e dura per tre fine settimana. Poi ci saranno il tirocinio, che va fatto in una squadra continental, e l’esame finale. Cosa posso dire? Io sono arrivato nelle continental tre anni fa, però vedo che ci sono ancora dei direttori sportivi alla vecchia maniera che devono gestire ragazzi, che spesso ne sanno più di loro. Bisogna essere al passo, oppure avere in squadra delle figure all’altezza. Se mi parli di nutrizione, che cosa vuoi che ne sappia? Però ho il nutrizionista, ho visto come lavora, gli ho dato i consigli perché crei un bel rapporto con i giovani e ora lo lascio lavorare. Ad esempio in ritiro, quando vedevo che i ragazzi facevano i furbi, glielo segnalavo. Perché i corridori sono giovani e devono imparare a non esagerare.
Anche questo fa parte della loro formazione.
Bisogna stare attenti a queste cose, stargli dietro, perché non sono ancora dei professionisti. Ma è un tipo di educazione che va insegnata parlando e non urlando come facevano Locatelli e gli altri delle generazioni precedenti. Bisogna spiegargli il perché delle cose che fanno. Alcuni ti rispondono che preferiscono partire con la pancia piena e devi dirgli perché sia sbagliato. Io magari gli do la spiegazione semplice: se parti a pancia piena, ti staccano subito. Però il nutrizionista può inquadrarla bene, in modo che quando passerà professionista non commetterà errori elementari. Se uno come me non avesse creduto nei giovani, ora sarebbe fermo al ciclismo degli anni Novanta. Invece è importante dare spazio ai giovani preparatori e vigilare perché riescano nel loro lavoro.
Non c’è niente di facile, diceva ieri Martina Alzini. Per questo quando il timbro di voce già fiacco di Vittoria Guazzini si abbassa ancora e diventa un sussurro, capiamo quanto sia duro arrivare a certi risultati e come il sorriso dopo un oro mascheri bene tutto, ma non cancelli nulla. Si parlava di Marta Cavalli e di come il continuo ripartire dagli incidenti le abbia tolto la voglia di andare avanti e di colpo anche la toscana ammette di essersi ritrovata a fare i conti con sensazioni simili. Lei che negli ultimi tre anni è sempre incappata in qualche caduta, ma mai come quella dello scorso campionato italiano.
«Diciamo che questa volta – dice – proprio non me l’aspettavo. Non avevo contemplato la possibilità di cadere, anche se effettivamente nel ciclismo può capitare in ogni momento. Però sarà che fino a quel momento la stagione non era andata benissimo, nel ritiro che avevamo fatto mi ero impegnata tantissimo con il focus sull’estate ed era andato tutto bene. Due giorni prima dell’italiano su strada, ero andata forte nella crono, per cui ero motivata. Poi è andata così e diciamo che non è stato semplice. All’inizio non volevo saperne di ributtarmi in bici, così mi sono messa sui rulli e pensavo a questa benedetta crono dell’europeo. Forse ci ho pensato anche troppo, tanto che quando sono arrivata lì effettivamente non ne avevo più. Non è semplice da gestire ogni volta che devi ripartire. Mi è successo tante volte, ma questa è stata dura».
Dopo l’oro del quartetto, per Guazzini e Consonni c’è stata da correre la madisonE nella gara a coppie, le due azzurre – campionesse olimpiche in carica – hanno centrato il bronzoDopo l’oro del quartetto, per Guazzini e Consonni c’è stata da correre la madisonE nella gara a coppie, le due azzurre – campionesse olimpiche in carica – hanno centrato il bronzo
In Cile come alle Olimpiadi
Niente vacanze per Guazzini, che però essendo una ragazza di spirito dice che non si può mai sapere cosa farà di qui a pochi giorni. Magari uscirà per andare a prendere un caffè e non la vedranno più per due settimane. E poi il discorso va avanti, partendo proprio dai mondiali su pista del Cile, che hanno permesso anche a lei di risollevarsi dalla caduta e dare un senso in extremis alla stagione.
«Tenevamo tanto a questo mondiale – dice – anche se non dava punti per la qualifica olimpica, che partirà dal mondiale del prossimo anno. Ma la pista è una cosa che ci piace e la facciamo volentieri, così abbiamo trovato anche qualche motivazione in più per provare a riscattare la stagione. Ognuna avrà avuto le sue motivazioni, credo, ma la cosa importante è che nessuna si sia tirata indietro e siamo andate lì come se fossimo, fra virgolette, all’Olimpiade. Con lo spirito e l’impegno giusto».
Guazzini è caduta il 28 giugno ai campionati italiani di Darfo Boario Terme ed è tornata in gara il 12 agosto al PoloniaGuazzini è caduta il 28 giugno ai campionati italiani di Darfo Boario Terme ed è tornata in gara il 12 agosto al Polonia
Fra gli uomini, tutti i più forti della pista si sono dedicati alla strada, voi avete fatto gli europei a inizio anno e li avete vinti e alla fine avete vinto i mondiali. E in Cile hai preso anche il bronzo nella madison…
Dipende dai calendari e come ci si mette d’accordo con la squadra all’inizio dell’anno. Penso che per noi sia dipeso dalla nostra volontà di andare. Sin dall’inizio abbiamo sempre detto che avremmo finito la stagione in Cile e così è stato. L’inseguimento a squadre e la madison sono le due discipline che mi piacciono di più. Quando siamo a Montichiari, i lavori che facciamo sono incentrati sul quartetto. L’oro di Parigi nella madison è stato una sorpresa fino a un certo punto, ma quell’emozione è stata fuori da ogni logica, non saprei neanche quali parole usare per esprimerlo. Detto questo, per me valgono allo stesso modo. Il quartetto è una botta di adrenalina, quattro minuti in cui si concentra tutto e poi tiri su la testa per vedere il tabellone. L’altro giorno hanno fatto due spari veramente molto ravvicinati. E quando ho alzato la testa e ho visto che davanti c’eravamo noi, è stata veramente una liberazione.
Quanto ti pesa essere caduta così spesso negli ultimi tre anni?
Per quanto riguarda la caduta all’italiano, da una parte mi dispiace, dall’altra bisogna pensare che mi è andata bene, quindi cerco di prendere il positivo. Ero in forma, avevo fatto un bel ritiro in altura con la squadra per preparare il Giro e il Tour e poi è stato difficile ritrovare la concentrazione per ricominciare. Forse proprio il fatto di avere questi mondiali a fine anno mi ha dato una mano. Ho detto: «Io lì ci voglio essere e voglio anche far bene per me e per i miei compagni». L’anno prima avevo fatto un anno senza cadute importanti e ho vinto le Olimpiadi. Quindi se proprio c’era da cadere e farsi male, meglio che sia capitato quest’anno (ride, ndr) e non nel 2024.
Il 9 agosto 2024, Vittoria Guazzini e Chiara Consonni sono diventate campionesse olimpiche della madison a ParigiIl 9 agosto 2024, Vittoria Guazzini e Chiara Consonni sono diventate campionesse olimpiche della madison a Parigi
Come hai detto tu per prima, adesso ci vorrebbe un oro nella crono, anche se organizzano percorsi da scalatori…
Dopo il quartetto ho detto che la pista è la mia passione, però mi piacerebbe fare un salto di qualità anche su strada. Sicuramente devo continuare a lavorarci e a prenderlo come un obiettivo, però è anche difficile avere come obiettivo un mondiale, se il percorso è proibitivo. Il mondiale in Rwanda non è mai stato un obiettivo a prescindere dalla caduta, perché era obiettivamente troppo duro per le mie caratteristiche. Non l’ho mai visto come uno stimolo. Quello degli europei invece era un buon percorso ma, come dicevo, dopo la caduta c’è stato un periodo di alti e bassi ed è andata come è andata (Guazzini è stata 12ª nella crono e ha fatto la sua parte per l’argento degli azzurri nel team relay, ndr). Sono contenta almeno di essermi rimessa in sesto per finire bene in pista.
Com’è il clima nel quartetto? E’ entrata Venturelli, altre ragazze come Balsamo si sono dedicate più che altro alla strada…
E’ comprensibile che se qualcuno voleva dedicarsi maggiormente alla strada, lo abbia fatto quest’anno: nessuno ha mai giudicato queste scelte, che spesso dipendono anche dalle squadre. Io personalmente non ho voluto mollare la pista, perché mi fa bene anche mentalmente per staccare un po’. Nel quartetto bene o male siamo sempre quelle, abbiamo visto che spinta ha dato l’ingresso di Venturelli, quindi che sia la benvenuta (ride ancora, ndr). Come le porte sono sempre aperte se qualcun’altra volesse tornare.
La partecipazione di Guazzini agli europei è stata opaca nella crono, più incisiva nel team relay con l’argento azzurroLa partecipazione di Guazzini agli europei è stata opaca nella crono, più incisiva nel team relay con l’argento azzurro
La pista ti fa bene per la testa oppure ti dà anche dei vantaggi su strada?
Siamo state abituate a fare determinati lavori in pista, che magari su strada non facciamo. Nessuna di noi deve vincere sul Mont Ventoux, quindi ci sta che le ragazze più veloci abbiano dei giovamenti su strada dai lavori di forza o di cambio di ritmo che possono fare in pista. Anche a me torna utile per le cronometro quando faccio dei lavori dietro moto insieme a Villa o Bragato. Non è che quando andiamo in pista, facciamo solo i quattro chilometri. C’è anche tanta collaborazione fra i tecnici, che ascoltano le nostre esigenze.
Hai parlato del Ventoux, che il prossimo anno sarà la cima che deciderà il Tour. Conti di esserci?
Il Tour è su un altro livello, senza nulla togliere alle altre gare. Ha una rilevanza mediatica che non è paragonabile. So che per la mia squadra è il grande obiettivo della stagione e ci sono le atlete per andare e far bene. Se dovessi rientrare nei piani, cercherò di farmi trovare pronta, come avrei fatto quest’anno perché sinceramente prima di cadere stavo andando veramente forte. Se così non dovesse essere, andrò dove mi manderanno e sarò ugualmente motivata.
Sette vittorie tra cui il Trofeo Buffoni in Italia con la chiusura della Chrono des Nations conquistata dal bulgaro Van Der Merwe, fanno dell’Academy Region Sud powered by Giant uno dei team juniores che si sono messi maggiormente in luce in questa stagione. Potremmo dire una delle poche alternative allo strapotere del Team Grenke Auto Eder, oltretutto non essendo ufficialmente inserito in alcuna filiera di un team WorldTour.
Trionfo in solitaria per Nolan Pedersoli al Trofeo Buffoni. Un corridore di sicuro talentoTrionfo in solitaria per Nolan Pedersoli al Trofeo Buffoni. Un corridore di sicuro talento
Team francese, ma tanti esteri nel suo roster
Un team di sicuro prestigio, che pur avendo nel suo roster corridori provenienti da ben 8 Paesi diversi ha sempre custodito la sua matrice francese, ospitando per un periodo anche il nuovo campione del mondo junior, quell’Harry Hudson che con la squadra transalpina ha corso l’Ain Bugey Valromey Tour. A gestire un gruppo di ragazzi così eterogeneo è Cyril Sabonnadiere, direttore sportivo giovane e dalle idee al passo con i tempi (nella foto di apertura è all’estrema destra).
«Proveniamo dalla fusione di due associazioni – racconta il manager – il Vélo Club de la Pomme Marseille e il Vélo Club Saint-Antoine de la Gavotte. Volevamo creare un’accademia per permettere ai ragazzi di competere a livello internazionale in gare in Italia, Spagna, Belgio e in tutta Europa. Abbiamo reclutato corridori da questi due club e, a poco a poco, li abbiamo assunti, siamo cresciuti e siamo diventati indipendenti. Tutto è iniziato nel 2022».
Nicholas Van der Merwe, nome olandese ma passaporto bulgaro, da due anni campione nazionaleNicholas Van der Merwe, nome olandese ma passaporto bulgaro, da due anni campione nazionale
Voi avete una squadra con molti corridori esteri: è difficile integrare tante nazionalità?
No, per niente perché, a quell’età, hanno la capacità di adattarsi e la voglia di imparare. Sono tutti curiosi di stare con ragazzi di nazionalità diverse. Il gruppo principale rimane francese, poi siamo molto ben consolidati in Oceania grazie agli agenti con cui collaboriamo per i corridori australiani e neozelandesi e abbiamo anche una rete in Irlanda con alcuni corridori irlandesi, quindi il contatto è piuttosto semplice per questi corridori che vogliono competere solo a livello europeo nelle gare UCI.
Ma la presenza di così tanti corridori stranieri è un vantaggio per i corridori francesi nella vostra squadra? Avete notato dei progressi?
Enormi, perché permette loro di confrontarsi con corridori di alto livello che portano una cultura ciclistica diversa, un approccio diverso all’allenamento e all’alimentazione. E permette loro di progredire atleticamente, ma anche a livello umano. Insegna loro a vedere questi ragazzi che vengono dall’estero, che sono piuttosto indipendenti, senza i loro genitori. Sono anche piuttosto forti e questo li motiva. Inoltre permette loro anche di comunicare in inglese e di imparare a sviluppare questa lingua.
Anche per Conor Murphy doppietta di titoli nazionali in Irlanda, dal 2026 sarà alla Decathlon AG2RAnche per Conor Murphy doppietta di titoli nazionali in Irlanda, dal 2026 sarà alla Decathlon AG2R
Vi aspettavate i risultati di quest’anno, con tre campioni nazionali?
Avevamo degli specialisti della cronometro e sapevamo che potevano emergere nei rispettivi Paesi. Poi avevamo anche corridori provenzali come Nolan Pedersoli, che ha vinto il Trofeo Buffoni a fine stagione Un ragazzo su cui riponiamo grandi speranze. Confrontarsi con un futuro campione del mondo come Harry Hudson durante la Valromey gli ha permesso di fare molti progressi in termini di gestione post-gara, alimentazione, recupero e approccio. Questi sono proprio i punti molto importanti che permettono ai nostri corridori locali di progredire più rapidamente.
Rispetto al campione del mondo, qual è stata la tua impressione?
Umanamente, è un ragazzo molto simpatico, molto educato, molto discreto. Che è sempre contento di ciò che la squadra può offrire. E’ un ragazzo che lavora molto in bici e sa come spingersi oltre i propri limiti per ottenere i migliori risultati possibili. E’ anche un eccellente scalatore con abilità di guida davvero eccellenti. La sua vittoria iridata non è stata un caso, sono sicuro che ora al devo team della Lidl-Trek crescerà ulteriormente. Credo che debba solo migliorare un po’ il suo posizionamento nel gruppo, perché non ha gareggiato molto a livello UCI. Ha un potenziale eccezionale e curare la sua crescita sarà una bella opportunità.
Il britannico Hudson nella sua settimana con l’Academy. E’ il secondo da destraIl britannico Hudson nella sua settimana con l’Academy. E’ il secondo da destra
Quanto lontano può arrivare in futuro?
Sta facendo progressi innegabili e penso che lo vedremo molto presto in gare con profili impegnativi, in ottima forma. Per questo il suo approdo nel devo team WorldTour è un passo importante, io credo che possa avere una grande carriera.
Qual è la situazione del ciclismo giovanile in Francia?
Ogni club sta cercando di fare del suo meglio in questo periodo di difficoltà economiche, perché i bilanci sono sempre più difficili da gestire. I viaggi, tutto ciò che riguarda l’equipaggiamento e in generale l’economia sta diventando sempre più difficile in Francia, ma credo che sia così in tutti i Paesi, quindi dobbiamo essere particolarmente intraprendenti per bilanciare il budget e offrire ai nostri corridori il miglior programma sportivo possibile.
Reef Roberts, uno dei tanti oceanici che si appoggiano all’Academy Region Sud per fare attività in EuropaReef Roberts, uno dei tanti oceanici che si appoggiano all’Academy Region Sud per fare attività in Europa
Avete corso molto in Italia. Potreste includere qualche corridore italiano nella vostra squadra?
Sì, in effetti, abbiamo già ricevuto molte richieste e contatti da procuratori quando conduciamo campagne di reclutamento. Esse si basano sui dati dei corridori e sui loro precedenti. Finora non è successo, ma saremmo lieti di accogliere ciclisti italiani in futuro, se il profilo corrisponde alle figure che stiamo cercando.